Utente:Salvatore Talia/Sandbox2
L'accusa della mancata presentazione
Dopo l'eccidio delle Fosse Ardeatine, iniziò a diffondersi la diceria secondo cui gli attentatori di via Rasella fossero stati invitati pubblicamente a costituirsi alle autorità occupanti; sempre secondo questa diceria, i tedeschi avrebbero deciso di porre in atto la rappresaglia unicamente perché tale presunto invito a presentarsi non fu accolto[1]. Giorgio Bocca afferma che tale accusa si trova già insinuata nei primi commenti della stampa fascista, posteriori all'annuncio tedesco di aver eseguito la rappresaglia, e definisce l'accusa stessa «infame e inconsistente» nonché viziata da molteplice malafede, in quanto in realtà «gli autori dell'atto di guerra né sono avvertiti della rappresaglia, né sono invitati a evitarla con il loro sacrificio personale. La strage avviene il giorno seguente: nessun giornale o manifesto o comunicato radio ne ha dato l'avviso»[2].
Lo storico Paolo Simoncelli ha riportato in un suo articolo la testimonianza del medico Vittorio Claudi (m. 2006) che avrebbe visto un manifesto in Piazza Verdi (Roma) nel quale vi sarebbe stata una richiesta di consegna da parte del comando tedesco[3] prima di effettuare il massacro.
Lo storico Roberto Roggero, in Oneri e onori, fa peraltro notare come «nulla garantisce che se gli autori dell'attentato si fossero presentati all'autorità tedesca, la rappresaglia non sarebbe comunque stata messa in atto»[4]. Mentre, ad esempio, la rappresaglia è stata evitata nel caso di Salvo D'Acquisto, che pur innocente si era accusato responsabile della morte di alcuni soldati tedeschi; in un altro caso, quello di Vincenzo Giudice, nonostante egli si fosse consegnato, la rappresaglia era stata effettuata causando la morte di 71 persone, fra le quali molti bambini.
Tali questioni si posero fin dal processo per le Fosse Ardeatine a carico del tenente colonnello Kappler presso il Tribunale Militare di Roma, il 20 luglio 1948. Kappler, in tale occasione, dichiarò che «se i responsabili si fossero presentati entro 24 ore dall'accaduto, la rappresaglia sarebbe stata evitata». Rosario Bentivegna, presente in aula in qualità di testimone, fu contestato da alcuni familiari dei fucilati delle Fosse Ardeatine, i quali lo accusarono di non aver evitato la rappresaglia consegnandosi ai tedeschi. Bentivegna si difese immediatamente affermando che i tedeschi non richiesero la consegna degli autori dell'attacco, e che non era certo che la sua consegna avrebbe evitato la rappresaglia»[4].
In precedenza, tuttavia, il feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring, in data 15 novembre 1946, sentito come testimone al processo contro i generali Mackensen e Mältzer, a domanda rispose:
Kesselring: "Ora in tempi tranquilli, dopo tre anni passati, devo dire che l'idea sarebbe stata molto buona".
"Ma non lo faceste".
Kesselring: "No, non lo feci"[5].»
La sentenza della Cassazione del 2007 ha confermato il fatto che nessuna richiesta di consegna degli autori dell'attacco per evitare la rappresaglia fosse stata affissa dalle autorità di occupazione: nonostante ciò Simoncelli ha comunque continuato a sostenere la tesi della pubblicazione del manifesto in due articoli, intitolati Via Rasella, partigiani avvisati? Ecco la prova e Il manifesto «scomparso», usciti sull'Avvenire rispettivamente il 17 e 18 marzo 2009[6].
Secondo Alessandro Portelli, la falsa notizia secondo cui i partigiani, presentandosi alle autorità nazifasciste subito dopo l'attentato, avrebbero potuto evitare l'eccidio delle Fosse Ardeatine, sarebbe stata inventata a scopi propagandistici dal federale Giuseppe Pizzirani, durante una riunione del Partito Fascista Repubblicano in data 30 marzo 1944[7].
Luca Baiada sostiene di aver individuato l'origine di quella che egli definisce una «leggenda (...) demistificata dai migliori studi e dichiarata falsa dalle sentenze»: un volantino senza data, firmato "I fascisti repubblicani dell'Urbe", in cui appunto si afferma falsamente che «i banditi comunisti dei gap avrebbero potuto evitare questa rappresaglia, pur prevista dalle leggi di guerra, se si fossero presentati alle autorità germaniche che avevano proclamato, via radio e con manifesti su tutti i muri di Roma, che la fucilazione degli ostaggi non sarebbe avvenuta se i colpevoli si fossero presentati per la giusta punizione». In base a una serie di indizi testuali, Baiada ritiene di poter collocare questo volantino in una data compresa fra il 30 marzo e il 18 aprile 1944. Secondo Baiada, è possibile che questo volantino sia stato affisso ai muri e che abbia potuto ingenerare, in molti di coloro che lo videro, il falso ricordo di aver visto il «documento mai esistito (l'invito a presentarsi)» evocato nel volantino stesso[8].
- ^ Candeloro 1984, p. 271.
- ^ Bocca 1996, pp. 291-2.
- ^ Editoriali & altro ...: Via Rasella, partigiani avvisati? «Ecco la prova»
- ^ a b Roberto Roggiero, Oneri e onori, Greco&Greco, p. 407
- ^ Testimonianza di Albert Kesselring, riportata in: Portelli 2012, p. 211.
- ^ Via Rasella, Mirodouro.it
- ^ Portelli 2012, p. 218.
- ^ Luca Baiada, Fosse Ardeatine, guerra psicologica dal 1944, in "Il Ponte", nº 4, aprile 2014.