Template:Avvisounicode Il primo riferimento noto ad eserciti in quella che oggi si chiama India risale a millenni fa nei Veda e nei poemi epici Rāmāyaṇa e Mahābhārata. Dal periodo antico al XIX secolo, vennero alla ribalta numerose potenti dinastie che in taluni casi furono contrastate da capi indiani meno importanti i quali — attraverso la guerra — contendevano loro il controllo del territorio e l'esercizio del potere. I britannici colonizzarono l'India nel XIX secolo.

Vi sono diversi antenati dell'attuale esercito indiano: i reggimenti sepoy, la cavalleria locale, le compagnie a cavallo irregolari e quelle di zappatori e genieri indiani patrocinate dalle tre presidenze britanniche. L'esercito dell'India fu istituito dall'impero anglo-indiano nel XIX secolo prendendo gli eserciti pregressi delle presidenze, fondendoli e sottomettendoli alla Corona (britannica). Il British Indian Army (esercito anglo-indiano) combatté in entrambe le guerre mondiali.

L'esercito coloniale fu sostituito dalle forze armate nazionali indiane dopo la dichiarazione di indipendenza del paese, ovvero nel 1947. Dopo la Seconda guerra mondiale, molte truppe del tempo di guerra furono congedate, e le relative unità disciolte. Le ridimensionate forze armate risultanti furono spartite tra India e Pakistan. Le forze armate indiane combatterono in tutte e tre le guerre indo-pakistane e nella guerra sino-indiana (1962). L'India combatté ancora la guerra di Kargil con il Pakistan nel 1999, la guerra alpina disputata a maggior altitudine di ogni tempo. Le forze armate indiane hanno partecipato a diverse operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e sono attualmente il secondo maggior fornitore di truppe della forza di interposizione internazionale.

Periodo vedico

 
Mappa dell'India all'epoca del Ramayana e Mahabharata
 
Rāma va in battaglia
 
Illustrazione dal manoscritto della battaglia di Kurukshetra

Le tribù rigvediche di indoari erano guidate dai rispettivi capi tribali (raja) e si scontravano tra loro e con tribù di altra etnia. Usavano armi di bronzo e carri da guerra con le ruote a raggi, trainati da cavalli, descritti soprattutto nel Ṛgveda. La parte più grossa del bottino ricavato dalle spedizioni di razzia e dalle battaglie andava al capotribù. I guerrieri appartenevano al Varṇa Kshatriya.

I Veda e altri testi collegati risalenti al periodo vedico (Età del ferro) succeduto al periodo rigvedico (circa 1100–500 a.C.) contengono le prime menzioni scritte di eserciti in India. Il più antico impiego conosciuto dell'elefante da guerra è databile in questo periodo; gli animali sono nominati in parecchi inni in sanscrito vedico.[1]

 
Il Padmavyūha è una formazione militare multi-livello che assomiglia a un fiore di loto (padma, पद्म) o a un disco (chakra, चक्र) se visto dall'alto.[2].

I due grandi poemi epici dell'India, Ramayana e Mahabharata, sono incentrati sui conflitti tra i Mahajanapadas emergenti e fanno riferimento a formazioni militari, teorie della guerra e armi esoteriche. Parlano di eserciti permanenti che usavano carri ed elefanti da guerra, e addirittura macchine volanti. Il Ramayana descrive molto dettagliatamente le fortificazioni di Ayodhya. Il Mahabharata descrive varie tecniche militari come il Padmavyuha usato nella guerra di Kurukṣetra (durata 18 anni, ma in un'epoca, sicuramente "avanti Cristo", benché imprecisata,[3] secondo alcuni perfino leggendaria[4]).

Dinastie Magadha

Dinastia Shishunaga

 
Ajatashatru usò catapulte contro i licchavi.

L'espansionista re Bimbisāra conquistò Anga nell'attuale Bengala occidentale e rinforzò il presidio della capitale magadha, Rajagriha. Ajatashatru (il cui regno sarebbe durato dal 492 al 460 a.C.) costruì un nuovo forte a Pataliputra, nuova capitale magadha, per lanciare un attacco contro i licchavi attraverso il Gange. Alcuni testi giainisti narrano che avrebbe usato una catapulta ed un carro coperto da combattimento con una mazza oscillante che potrebbe essere visto come l'antesignano dell'odierno carro armato.

Dinastia Nanda

 
La falange attacca al centro della battaglia dell'Idaspe, disegno di André Castaigne (1898-1899).

La dinastia Nanda scaturì nella zona di Magadha nell'antica India, nel corso del IV secolo a.C. Al suo apogeo, l'impero governato dalla dinastia Nanda si estendeva dal Bengala ad est, al Punjab ad ovest e a sud toccava i monti Vindhya.

Nel 327 a.C. Alessandro Magno iniziò la sua incursione nel Punjab.
Il re Ambhi, signore di Taxila, consegnò la città ad Alessandro. Il re macedone affrontò uno scontro epico con il monarca indiano Poro nella battaglia dell'Idaspe (326). Dopo la vittoria, Alessandro fece un'alleanza con Poro, lasciandolo satrapo di quello che era stato il suo regno.

Ad oriente di tale territorio, presso il fiume Gange, iniziava il potente regno di Magadha, sotto la dinastia Nanda.
Secondo Plutarco, al momento della battaglia del fiume Idaspe contro Alessandro, la consistenza dell'esercito Nanda era stimata in 200 000 fanti, 80 000 cavalieri, 8 000 carri da guerra e 6 000 elefanti da combattimento, il che rappresentava un serio deterrente per i guerrieri di Alessandro, tanto da arrestarne definitivamente la penetrazione in India.

Dinastia Maurya

 
L'impero Maurya alla sua massima estensione, con Ashoka (regnò dal 268 al 232 a.C. circa[5]).

Stando a Megastene, che fu ambasciatore dell'impero Seleucide, Chandragupta Maurya (regnò dal 324 al 297 a.C. circa[6]) costituì un esercito di 30 000 cavalieri, 9 000 elefanti da guerra e 600 000 fanti. Chandragupta conquistò gran parte del subcontinente indiano, fondando un impero che andava dal Mar Arabico al Golfo del Bengala. Sconfisse poi l'impero Seleucide di Grecia, al tempo governato da Seleuco I, per conquistare le zone ad est dell'Indo. In seguito voltò a sud, prendendo buona parte di quella che oggi si chiama India centrale. Le sue forze armate erano amministrate da sei comandi, uno per ciascuna delle specialità dell'esercito (fanteria, cavalleria, elefanti e carri), più un comando per la marina ed un altro per logistica e sussistenza.

La fanteria del tempo era per lo più armata di longbow in bambù e di una spada a lama larga a una o due mani probabilmente simile alla khanda. Altri soldati a piedi potevano essere armati di un grande scudo rettangolare ricavato dalla pelle di un animale e di picca o giavellotti. La cavalleria portava lance. Gli elefanti venivano montati, di solito a pelo (raramente con un howdah all'epoca, poiché è un'invenzione greca), da arcieri o lanciatori di giavellotti, con un conduttore attorno al collo dell'animale. In questo momento storico i carri da guerra erano certamente al declino,[7] ma venivano mantenuti nell'esercito per una questione di prestigio.

Nel 185 a.C., l'ultimo sovrano maurya fu assassinato da Pusyamitra Shunga, allora comandante supremo delle forze armate maurya, che successivamente avrebbe fondato la dinastia Shunga.

Dinastia Shunga

Il periodo shunga fu contrassegnato da guerre e conflitti. Gli shunga sono conosciuti per aver combattuto i kalinga, glii shatavahana, gli indo-greci e forse i panchala e i mathura.

Le guerre che l'impero shunga condusse contro il regno indo-greco sono un capitolo fondamentale nella storia di questa epoca. Dal 180 a.C. circa il sovrano indo-greco Demetrio I di Battria conquistò la valle di Kabul e forse avanzò nella zona oltre l'Indo. All'indo-greco Menandro I si attribuisce la partecipazione alla campagna (secondo alcuni, capitanata dallo stesso Menandro) di alcuni sovrani indiani contro Pataliputra; però l'esatta natura e i risultati di questa iniziativa militare rimangono ampiamente sconosciuti o incerti.

Di Pusyamitra si tramanda che abbia compiuto due aśvamedha ("sacrificio del cavallo", in sanscrito) e iscrizioni imperiali shunga sono state reperite fino a Jalandhar. Dei testi quali il Divyavadhana riferiscono che il suo potere arrivasse anche più lontano, a Sialkot, nel Punjab.

 
La colonna di Eliodoro in Madhya Pradesh (India)

Inoltre, se pure fu perduta, Mathura fu riconquistata dagli shunga intorno al 100 a.C. (o da altri sovrani indigeni: gli arjunayana (zona di Mathura) e gli yaudheya citano vittorie militari sulle loro monete ("vittoria degli arjunayana", "vittoria degli yaudheya"), e durante il I secolo a.C., i trigarta, gli audumbara e infine i kuninda cominciarono a loro volta a battere moneta). Si trovano racconti di battaglie tra greci e shunga nell'India nordoccidentale si trovano anche nel Mālavikāgnimitram, una commedia di Kālidāsa che descrive uno scontro tra cavalieri greci e Vasumitra, nonno di Pusyamitra, sul fiume Indo, nel quale gli indiani sconfissero i greci e Pusyamitra riuscì a compiere l'aśvamedha.

Sembra che indo-greci e shunga si siano riconciliati, stabilendo relazioni diplomatiche, intorno al 110 a.C., come risulta dalla colonna di Eliodoro, che commemora l'invio di un ambasciatore greco, Eliodoro, dalla corte del re indo-greco Antialcida alla corte dell'imperatore shunga Bhagabhadra posta in Vidisha (India centrale).

Età aurea

I testi indiani classici sull'uso dell'arco in particolare e sulle arti marziali in genere sono conosciuti come Dhanurveda.

Dinastia Shatavahana

 
Nave indiana su una moneta in piombo del sovrano Vasisthiputra Sri Pulamavi, a ricordo delle attitudini marinare e guerriere degli shatavahana nel I e II secolo d.C.

Secondo alcune interpretazioni dei Purāṇa, la famiglia shatavahana apparteneva alla Andhra-jati ("tribù") e fu la prima dinastia del Deccan a costituire un impero nel daksinapatha (regione meridionale). Gli shatavahana (detti anche Andhra e Shalivahan) assursero al potere in quelli che oggi sono Telangana, Andhra Pradesh e Maharashtra intorno al 200 a.C. e restarono in auge per circa 400 anni. Quasi tutti gli odierni Telangana, Maharashtra, Madhya Pradesh, Chhattisgarh, Odisha, Goa, Karnataka ed Andhra Pradesh caddero in dominio degli shatavahana. La loro prima capitale fu Koti Lingala, assieme a Paithan, allora chiamata Pratishthan.

Simuka (di datazione incerta[8]), fondatore della dinastia, conquistò Maharashtra, Malwa e parte del Madhya Pradesh. Il suo successore e fratello Kanha (o Krishna) ampliò ancora il regno verso ovest e a sud. Gli successe Satakarni I (II secolo a.C.[9] o I secolo a.C.[10]), che sconfisse la dinastia Shunga dell'India settentrionale. Il suo successore, Gautamiputra Satakarni (di datazione incerta, fra il II e il I secolo a.C.[10][11][9]), sconfisse gli invasori indo-sciti, indo-parti e indo-greci. Il suo impero si estendeva verso sud fino a Banavasi (distretto del Kannada Settentrionale), e comprendeva Maharashtra, Konkan, Saurashtra, Malwa (zona tra Madhya Pradesh e Rajasthan), il Rajasthan occidentale e Vidarbha (zona orientale del Maharashtra). Più tardi i sovrani shatavahana persero alcuni di questi territori. La supremazia shatavahana ebbe un effimero ritorno di fiamma con Yajna Sri Satakarni (variamente datato fra il II e il III secolo d.C.[12][13][14][15]) ma si eclissò definitivamente con la morte di quest'ultimo.

Dinastia Mahameghavahana

 
L'iscrizione di Hathigumpha (ହାତୀଗୁମ୍ଫା) nell'Orissa, è una delle più importanti fonti epigrafiche per il periodo considerato nel testo principale.

La dinastia Mahameghavahana fu un'antica dinastia del Kalinga che arrivò al potere dopo la caduta dell'impero maurya (tra il 250 a.C. e il V secolo d.C.[senza fonte]). Il terzo sovrano della dinastia, Khārabēḷa, conquistò gran parte dell'India in una serie di campagne che si svolsero all'inizio dell'era volgare.[16] La potenza militare kalinga fu ricostituita da Khārabēḷa: sotto il suo comando, lo stato kalinga estese mirabilmente il raggio d'azione marittimo con rotte commerciali che collegavano gli allora Sinhala (Sri Lanka), Birmania (Myanmar), Siam (Tailandia), Vietnam, Kamboja (Cambogia), Borneo, Bali, Samudra (Sumatra) e Jabadwipa (Giava). Khārabēḷa guidò molte campagne vittoriose contro gli stati di Magadha, Anga, gli shatavahana e le regioni sud-indiane soggette ai Pandya (moderno Andhra Pradesh) ed espanse Kalinga fino al Gange ed al Kaveri.

Sorsero colonie kalinga in Sri Lanka, Birmania ed anche nelle Maldive e nelle regioni malesi. Ancor oggi in Malesia gli indiani sono chiamati keling (termine divenuto offensivo dopo gli anni 1960[17]) per questo motivo storico.[18]

Sebbene tollerante in materia religiosa, Khārabēḷa favorì il giainismo,[19][20] e determinò la diffusione di tale culto nel subcontinente indiano, ma molti testi sulla storia dell'India sminuiscono tale aspetto. La principale fonte di notizie su Khārabēḷa è la sua famosa iscrizione di Hathigumpha, diciassette righe scolpite nella roccia delle caverne di Udayagiri e Khandagiri presso Bhubaneswar (Orissa). Secondo l'iscrizione di Hathigumpha, egli attaccò Rajagriha in Magadha, in tal modo inducendo il re indo-greco Demetrio I di Battria a ritirarsi a Mathura.[21]

Dinastia Gupta

 
La colonna di Ferro, eretta a Delhi da Chandragupta II il grande dopo che ebbe sconfitto i Vahilaka.

Il Siva-Dhanur-veda[22] illustra le forze armate dell'impero Gupta. I gupta facevano ampiamente affidamento sugli elefanti da guerra; i cavalli erano usati molto meno. All'epoca dei gupta (240—550 d.C.) i carri da guerra erano stati pressoché abbandonati, poiché si erano rivelati piuttosto inefficaci contro greci, sciti ed altri invasori. I gupta utilizzavano cavalleria pesante protetta da cotte di maglia ed armata di mazze e lance, il cui compito era esercitare un'azione d'urto per scompaginare gli schieramenti nemici. Contro la fanteria usavano anche gli arcieri. Il loro longbow era composto di bambù o di metallo e tirava una lunga freccia in canna di bambù con punta metallica; contro gli elefanti corazzati si adoperavano aste di ferro. A volte impiegavano anche frecce incendiarie. Gli arcieri erano sovente difesi da fanti muniti di scudi, giavellotti e spade lunghe. I gupta disponevano di una marina militare, che consentiva loro di dominare le acque territoriali.

Samudragupta prese i regni di Shichchhatra e Padmavati (distretto di Gwalior) nei primi anni della sua carriera. In seguito, s'impadronì del regno Kota e attaccò le tribù in Malwa (India centro-occidentale), gli Yaudheya, gli Arjunayana, i Madura e gli Abhira. Soggiogò pure i resti dell'impero Kusana. Al tempo della sua morte (380 d.C.) aveva conquistato più di venti regni.

Kālidāsa, poeta sanscrito del IV secolo d.C., attribuisce a Chandragupta II il grande la conquista di venti regni, dentro e fuori l'India. Terminata la campagna in India orientale ed occidentale, si diresse a nord, sottomettendo i Parasika, poi gli huna e i kamboja, tribù dislocate rispettivamente nella valle dell'Amu Darya.[senza fonte] Chandragupta II controllava l'intero subcontinente indiano; l'impero gupta fu la massima potenza mondiale durante il suo regno, in un'epoca in cui l'impero romano era al declino.

Skandagupta (regnò dal 455 al 467) affrontò gli invasori eftaliti o unni bianchi, che calavano dal nordovest. Skandagupta aveva combattuto gli unni durante il regno di suo padre, e fu celebrato in tutto l'impero come un grande guerriero. Sventò l'invasione eftalita nel 455, e riuscì a mantenerli alla larga; tuttavia, le spese belliche prosciugarono le risorse dell'impero e contribuirono alla sua caduta.

Età classica

Impero di Harsha

L'imperatore Harsha (606–647) governò l'impero omonimo che dominava l'iIndia settentrionale per oltre quarant'anni.

Note

  1. ^ [1][collegamento interrotto]
  2. ^ Madan Gopal, India through the ages, a cura di K.S. Gautam, Publication Division, Ministry of Information and Broadcasting, Government of India, 1990, p. 81.
  3. ^ Dating the Kurukshetra War
  4. ^ Kurukshetra War: Is it real or just a myth?
  5. ^ Upinder, op. cit., p. 331
  6. ^ Upinder Singh, A history of ancient and early medieval India : from the Stone Age to the 12th century, New Delhi, Pearson Longman, 2008, ISBN 978-81-317-1120-0. p. 331
  7. ^ L'obsolescenza del carro da guerra può essere ritenuta una conseguenza dei paralleli progressi zootecnici, che permettevano di ottenere un tipo di cavallo più grande e forte, capace quindi di trasportare da solo, con velocità e maneggevolezza, un combattente montato e tutta la sua attrezzatura bellica.
  8. ^ Upinder, op. cit., pp. 381-384
  9. ^ a b Rajesh Kumar Singh, Ajanta Paintings: 86 Panels of Jatakas and Other Themes, Hari Sena, 2013, pp. 15-16, ISBN 978-81-925107-5-0.
  10. ^ a b Carla M. Sinopoli, On the edge of empire: form and substance in the Satavahana dynasty, in Susan E. Alcock (a cura di), Empires: Perspectives from Archaeology and History, Cambridge University Press, 2001, p. 166-168.
  11. ^ Charles Higham, Encyclopedia of Ancient Asian Civilizations, Infobase Publishing, 2009, p. 299, ISBN 978-1-4381-0996-1.
  12. ^ Carla M. Sinopoli, On the edge of empire: form and substance in the Satavahana dynasty, in Susan E. Alcock (a cura di), Empires: Perspectives from Archaeology and History, Cambridge University Press, 2001, pp. 166–168.
  13. ^ Rama Shankar Tripathi, History of Ancient India, Motilal Banarsidass, 1942, p. 196.
  14. ^ Pran Nath Chopra, T. K. Ravindran, N. Subrahmanian (a cura di), Ancient period, S. Chand, 1979, p. 25.
  15. ^ Alain Daniélou, A Brief History of India, Inner Traditions, 2003, p. 137.
  16. ^ Agrawal, Sadananda (2000): Śrī Khāravela, Sri Digambar Jain Samaj, Cuttack, Odisha
  17. ^ malay concordance project – Cherita Jenaka, edisi baru, Kuala Lumpur: Oxford University Press, 1963.
  18. ^ Keling_English Version. Visvacomplex.com. Retrieved on 2013-07-12.
  19. ^ Maharaja Kharavela, su freeindia.org. URL consultato il 16 gennaio 2012.
  20. ^ Maharaja Kharavela's Family, su freeindia.org. URL consultato il 16 gennaio 2012.
  21. ^ Shashi Kant (2000): The Hathigumpha Inscription of Kharavela and the Bhabru Edict of Ashoka, D K Printworld Pvt. Ltd.
  22. ^ Dhanurveda (English Version) - Atarn atarn.org

Bibliografia

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Collegamenti esterni