Cervello in una vasca

scenario filosofico

In filosofia, il cervello in una vasca è uno scenario proposto da Hilary Putnam nel 1981 che riprende un racconto di Daniel Dennett [1]per ragionare sulle idee di conoscenza, realtà, consapevolezza e significato messe alla prova da l'ipotesi di un dubbio scettico radicale simile a quello cartesiano del genio maligno che rappresenta l'estremizzazione del dubbio metodico in dubbio iperbolico.

Un esperimento fantascientifico

Lo scenario in questione, comune a molte storie di fantascienza , ipotizza che uno scienziato pazzo, una macchina o un'altra entità possa estrarre il cervello dal corpo di una persona, immergerlo in una vasca di liquido nutritivo e connettere con dei cavi i suoi neuroni a un supercomputer, il quale gli fornirebbe impulsi elettrici identici a quelli ricevuti da un cervello normale. Il cervello in una tale situazione vivrebbe quindi in una realtà simulata, continuando ad avere esperienze perfettamente consce (come quelle di una persona col cervello all'interno del corpo), senza però che queste siano collegate a cose o eventi nel mondo reale. Più esattamente:

 
Un cervello in una vasca che crede di star passeggiando all'aria aperta.
«[...] Sembra che ci siano persone, oggetti, il cielo ecc., ma in realtà l’esperienza della persona (la vostra esperienza) è in tutto e per tutto il risultato degli impulsi elettronici che viaggiano dal computer alle terminazioni nervose. Il computer è così abile che se la persona cerca di alzare il braccio la risposta del computer farà sì che "veda" e "senta" il braccio che si alza. Inoltre, variando il programma lo scienziato malvagio può far sì che la vittima "esperisca" (ovvero allucini) qualsiasi situazione o ambiente lo scienziato voglia. Può anche offuscare il ricordo dell’operazione al cervello, in modo che la vittima abbia l’impressione di essere sempre stata in quell’ambiente. [...] magari l’universo ... consiste solo di macchinari automatici che badano a un’ampolla piena di cervelli. Supponiamo che il macchinario automatico sia programmato per dare a tutti noi un’allucinazione collettiva ... Quando sembra a me di star parlando a voi, sembra a voi di star ascoltando le mie parole. Naturalmente le mie parole non giungono per davvero alle vostre orecchie, dato che non avete (vere) orecchie, né io ho una vera bocca e una vera lingua. Invece, quando produco le mie parole quel che succede è che gli impulsi efferenti viaggiano dal mio cervello al computer, che fa sì che io "senta" la mia stessa voce che dice quelle parole e "senta" la lingua muoversi, ecc., e anche che voi "udiate" le mie parole, mi "vediate" parlare, ecc. In questo caso, in un certo senso io e voi siamo davvero in comunicazione. Io non mi inganno sulla vostra esistenza reale, ma solo sull’esistenza del vostro corpo e del mondo esterno, cervelli esclusi. [2]»

Note

  1. ^ Daniel Dennett, Dove sono?, 1978
  2. ^ Hilary Putnam, Brains in a Vat, 1981, pp.6-7

Bibliografia

  • Sanford C. Goldberg, The Brain in a Vat, Cambridge University Press, 2016

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