Piero Zuccheretti e Discussione:Muktikā: differenze tra le pagine

(Differenze fra le pagine)
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
 
Rise Yogi13 (discussione | contributi)
aggiunto template tradotto da
 
Riga 1:
{{Tradotto da|en|Muktikā}}
{{Disclaimer|contenuti}}
{{Bio
|Nome = Piero
|Cognome = Zuccheretti
|PostCognomeVirgola = all'anagrafe '''Pietro'''
|Sesso = M
|LuogoNascita = Roma
|GiornoMeseNascita = 4 maggio
|AnnoNascita = 1931
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte = 23 marzo
|AnnoMorte = 1944
|Epoca = 1900
|Attività =
|Nazionalità =
|Categorie = no
|FineIncipit = fu una delle vittime civili dell'[[attentato di via Rasella]], compiuto il 23 marzo 1944 a Roma da partigiani dei [[Gruppi di Azione Patriottica]] (GAP)
}}
Dopo cinquant'anni di pressoché completo oblio nelle ricostruzioni dei protagonisti e nella storiografia, a partire dalla metà degli anni novanta la sua sorte è stata oggetto di aspre polemiche nonché di alcuni procedimenti giudiziali, questi ultimi conclusisi in senso favorevole ai partigiani. Alcune di tali controversie hanno riguardato una fotografia che secondo alcuni autori<ref>Fra questi Pierangelo Maurizio, Francobaldo Chiocci, Gian Paolo Pelizzaro.</ref> ritrarrebbe i suoi resti, la quale è stata dichiarata falsa da una sentenza, a sua volta contestata da una successiva inchiesta giornalistica.
 
== Biografia ==
[[File:Giovanni e Piero Zuccheretti.jpg|thumb|upright|La famiglia Zuccheretti al mare a [[Ostia (Roma)|Ostia]]]]
 
Piero Zuccheretti nacque nel 1931 da Luigi e Angela Anello, insieme al fratello gemello Giovanni. La sua estrazione sociale era modesta; il padre era macellaio<ref name=Intervista-Portelli233>Intervista a Giovanni Zuccheretti, in {{cita|Portelli 2012|pp. 233-5}}.</ref>; il nonno materno Pietro Anello esercitò l'attività di fotografo, gestendo a partire dal 1929 un piccolo laboratorio fotografico nel centro di Roma<ref>Intervista a Giovanni Zuccheretti, in {{cita|Portelli 2012|p. 49}}.</ref>. I due gemelli Giovanni e Piero furono divisi alla nascita: Piero fu subito affidato al nonno<ref name=Intervista-Portelli233/>. Dall'età di undici anni fino alla morte, Piero lavorò come apprendista in un negozio di ottico in via degli Avignonesi<ref>Intervista a Giovanni Zuccheretti, in {{cita|Portelli 2012|pp. 99-100}}.</ref>, di cui suo nonno era uno dei proprietari.
 
Secondo Pierangelo Maurizio, che nel suo libro ha pubblicato varie fotografie del piccolo Piero, quest'ultimo «era un bellissimo bambino, capelli castano chiari, occhi vivi di brace»<ref>{{cita|Maurizio 1996|p. 17}}.</ref>. I due gemelli erano affettivamente molto legati. Nei ricordi del fratello Giovanni, Piero «aveva un carattere molto forte, era molto svelto, per esempio se c'era qualcuno che me voleva menà, veniva lui, me difendeva da tutti»<ref name=Intervista-Portelli233/>.
 
== La morte ==
[[File:Via rasella mappa.jpg|thumb|left|La zona di via Rasella con l'indicazione del luogo dell'esplosione e del punto dove sarebbero stati fotografati i resti di Zuccheretti]]
 
La dinamica della morte di Piero Zuccheretti non è del tutto chiara. Al momento dell'attentato egli si recava al lavoro presso il negozio di ottica in via degli Avignonesi, strada parallela a via Rasella.
 
Zuccheretti venne investito in pieno dalla deflagrazione del congegno esplosivo innescato da [[Rosario Bentivegna]] in via Rasella (un carretto della nettezza urbana contenente diciotto chili di tritolo e schegge di metallo), rimanendo ucciso sul colpo. Il corpo del ragazzo fu dilaniato dalla violenza dell'esplosione<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 195}}.</ref> e il tronco proiettato per decine di metri<ref name=Bertoldi>{{cita news|[[Silvio Bertoldi]]|http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/29/Ore_del_marzo_1944_carrettino_co_0_97062914677.shtml|Ore 15 del 23 marzo 1944: un carrettino da spazzini carico di morte|Corriere della Sera|29 giugno 1997}} Umberto Ferrante, tipografo rastrellato dai tedeschi subito dopo l'esplosione, ricorda: «Appena usciti dalla tipografia, con le mani alzate, ci trovammo davanti a una scena che non dimenticherò mai. Il tronco di quel bambino era stato scaraventato a metà della salita; venti-trenta metri più su di Palazzo Tittoni»: {{cita|Portelli 2012|p. 198}}.</ref>.
 
In un'intervista raccolta da Pierangelo Maurizio, Giovanni Zuccheretti ha ipotizzato che Piero si fosse immesso in via Rasella perché attratto dai canti dei soldati tedeschi del [[Polizeiregiment "Bozen"]] che proprio in quel momento percorrevano la via. «È stato un vero appuntamento con la morte. Piero non voleva andare a lavorare. Poi a casa lo convinsero. E lui salì sull'autobus. Ma era pieno, zeppo, come sempre. Qualcuno – ci hanno raccontato – lo spinse, e Piero scivolò giù. Ma rincorse l'autobus e salì sul predellino: se solo avesse aspettato un'altra corsa, non sarebbe morto. Per una fatalità incomprensibile, poi, l'autobus sul quale si trovava Piero saltò la fermata a [[via del Tritone]]. Così mio fratello scese a [[Piazza Barberini]], all'angolo di [[via Quattro Fontane]]. Le note di quella canzone allegra rotolavano sui sampietrini, arrivarono fino a lui. E invece di imboccare via degli Avignonesi, scese giù per via Rasella, ad aspettare i soldati davanti al carrettino»<ref>Intervista a Giovanni Zuccheretti, in {{cita|Maurizio 1996|pp. 17-8}}.</ref>. Bentivegna, tuttavia, sostenne di non aver visto il bambino avvicinarsi alla bomba<ref>{{cita news||http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/09/Bimbo_ucciso_via_Rasella_Gli_co_0_9605098842.shtml|"Bimbo ucciso in via Rasella". Gli ex partigiani: sciacallaggio montato ad arte|Corriere della Sera|9 maggio 1996}}</ref>.
 
{{doppia immagine verticale|right|Il Messaggero 25 marzo 1944 - Zuccheretti.jpg|Il Messaggero 27 marzo 1944 - Zuccheretti.jpg|180|Il necrologio di Piero Zuccheretti e l'annuncio del suo funerale pubblicati sul ''Messaggero'' rispettivamente il 25 e il 27 marzo}}
 
Nella stessa intervista Giovanni Zuccheretti si dice sicuro che, al momento dell'esplosione, Piero fosse «appoggiato» o «addirittura [...] seduto» sul bidone della spazzatura contenente la bomba, e conclude: «Loro, i gappisti, prima di fuggire non possono non averlo visto. Ma non hanno fatto nulla per salvarlo»<ref>Intervista a Giovanni Zuccheretti, in {{cita|Maurizio 1996|p. 16}}.</ref>. Tuttavia Maurizio, menzionando al riguardo il parere di un medico legale, definisce «un'ipotesi coltivata solo dal dolore» la supposizione di Giovanni Zuccheretti che Piero fosse a contatto con la bomba, in quanto «non c'era bisogno che Piero Zuccheretti fosse appoggiato o seduto sul carretto per essere ridotto a brandelli». Secondo i calcoli del medico interpellato da Maurizio «in base al potenziale dell'ordigno», tutti coloro che si trovavano al momento dell'esplosione «in un raggio di 37 metri hanno fatto la stessa fine»<ref>{{cita|Maurizio 1996|p. 16}}.</ref>.
 
Bentivegna e De Simone, in un libro pubblicato nel 1996, scrivono: «Quel giorno Piero andava al lavoro, ma chissà per quale motivo saltò la fermata del bus davanti al "[[Il Messaggero|Messaggero]]", dove scendeva sempre, e scese invece a quella successiva, in piazza Barberini angolo con via Quattro Fontane. E chissà per quale altro motivo, invece di girare subito per via degli Avignonesi si spinse fino a via Rasella, la strada successiva. Vi giunse proprio nell'istante in cui gli ultimi centimetri della miccia stavano bruciando, i due gappisti ''Paolo'' [Rosario Bentivegna] ed ''Elena'' <nowiki>[</nowikI>[[Carla Capponi]]] si erano già defilati dietro l'angolo, il fronte della colonna tedesca stava avanzando verso di lui cantando e nulla esisteva più, tra lui e il carrettino bomba, che potesse fermarlo. Forse fu proprio il rombo del passo cadenzato dei soldati del Bozen, e la loro canzone di guerra ad attirare il ragazzino verso via Rasella»<ref>{{cita|Bentivegna e De Simone 1996|p. 30}}.</ref>.
 
Scrive [[Alessandro Portelli]]: «Il 23 marzo 1944, Piero Zuccheretti girava l'angolo fra via del Boccaccio e via Rasella per andare a lavorare e veniva dilaniato dall'esplosione»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 100}}.</ref>.
 
Secondo il gappista [[Pasquale Balsamo]], che partecipò all'attacco, un gruppo di bambini seguiva la colonna di militari che stava cantando, ma egli stesso e il partigiano Fernando Vitagliano li cacciarono via calciando lontano il loro pallone<ref>{{cita|Portelli 2012|pp. 194-5}}.</ref>. Diversa e più particolareggiata la versione resa dallo stesso Balsamo nel 1954: «una frotta di bambini si era accodata alla colonna nazista per giocare ai soldati. Fu un attimo terribile per tutti. Era troppo tardi per procrastinare di un solo secondo l'azione; il segnale, ormai, era stato dato. I due gappisti fecero appena in tempo a "rapire" uno di quegli ignari bambini e trascinarsi piangenti per il gioco guastato, tutti gli altri»<ref>{{cita news|Pasquale Balsamo|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1954_03/19540323_0004.pdf|Tutta Roma onorerà domani la memoria dei suoi 335 martiri|l'Unità|23 marzo 1954}}</ref>.
 
Liana Gigliozzi (nata nel 1941), in un'intervista raccolta nel 1997, ricorda: «Vedemmo due uomini risalire la strada, erano vestiti da spazzini. Uno dei due, ho poi saputo, era Rosario Bentivegna. "Andate via, bambini" ci dissero. Sentii una spinta, qualcuno ci scaraventò, a me e mio fratello, nel negozio del calzolaio» che si trovava all'angolo con via delle Quattro Fontane. Dopo aver riportato la testimonianza di Pasquale Balsamo, Portelli scrive: «A metà di via Rasella, un altro bambino è meno fortunato. Forse mentre Bentivegna si allontanava verso via Quattro Fontane, Piero Zuccheretti sbucava alle sue spalle dall'angolo di via del Boccaccio vicino al carretto»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 195}}.</ref> (via del Boccaccio è la strada che unisce via degli Avignonesi a via Rasella).
 
Secondo Giovanni Zuccheretti, il padre riuscì agevolmente a operare il riconoscimento del bambino in quanto, nonostante lo smembramento del corpo provocato dall'esplosione, la testa era rimasta intatta e il volto completamente indenne<ref name=Intervista-Portelli233/>.
 
Il 26 marzo, l'[[Agenzia Stefani]] attribuì all'azione dei partigiani la morte di sette italiani, indicandoli come «quasi tutti donne e bambini»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 417 n}}. L'autore aggiunge: «Questa versione viene abitualmente rilanciata nelle polemiche della stampa di destra ancora oggi».</ref>, mentre quattro giorni dopo ''[[l'Unità]]'' clandestina riportò che «donne e bambini» erano stati uccisi dai colpi esplosi dai tedeschi in seguito all'attentato<ref>{{cita news||http://www.stampaclandestina.it/wp-content/uploads/numeri/UNITA_ROMA_A21_N8.pdf|Colonna di carnefici tedeschi attaccata in via Rasella|l'Unità|30 marzo 1944, edizione romana, n. 8|p=1}}</ref>.
 
== I processi ==
=== Il processo Kappler (1948-1953) ===
Nel 1948 fu celebrato il processo di primo grado all'esecutore dell'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]] [[Herbert Kappler]]. Il 3 giugno, durante l'esame dell'imputato, lo stesso Kappler dichiarò che quando era giunto in via Rasella in seguito all'attentato era rimasto «commosso nel vedere la strage della quale era stato vittima anche un bambino»<ref>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0010_01_1948_0124_0001_24646734/|Preludio alla strage|La Nuova Stampa|4 giugno 1948}}</ref>. Affermò fra l'altro Kappler durante il processo: «Dell'esame delle macerie pensai di occuparmene io ma quando vidi una coscia e un braccio di bimba passai ad altri l'incarico. Sentivo lo stesso risentimento avuto in altre occasioni in seguito a bombardamenti aerei»<ref>Interrogatorio di Kappler citato in {{cita|Portelli 2012|p. 200}}.</ref>.
 
Il 12 giugno fu chiamato a deporre come testimone Rosario Bentivegna. Il presidente del tribunale, tra l'altro, gli domandò: «Perché fu scelta proprio via Rasella, posto poco opportuno per la presenza di italiani che furono anch'essi colpiti, tra cui un bambino?». Bentivegna replicò: «Il mio caposquadra [[Carlo Salinari]] ricevette l'ordine e noi lo eseguimmo. Ripeto, l'ordine fu dato da Amendola»<ref>{{cita news|||Come fu organizzato e compiuto l'attentato a via Rasella contro i tedeschi|Il Messaggero|13 giugno 1948}}</ref>.
 
Il dirigente comunista [[Giorgio Amendola]], il quale in qualità di comandante dei GAP romani aveva ideato e ordinato l'attentato, depose il 18 giugno. Alla domanda del presidente del tribunale «Ma nel compiere questi attentati vi preoccupavate che non venissero colpiti anche dei civili?», Amendola rispose:
 
{{citazione|Per questo solo motivo usavamo in genere degli esplosivi di limitata capacità e provvedevamo ad avvertire i civili della zona dove l'attentato veniva eseguito. A via Rasella non un civile morì per lo scoppio della bomba: se qualcuno fu colpito lo si deve alla feroce quanto inutile reazione dei tedeschi che non spararono sui gappisti che li avevano attaccati, ma su inermi borghesi<ref name=deposizioni>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0010_01_1948_0136_0001_24520933/|La deposizione dell'on. Amendola|La Nuova Stampa|19 giugno 1948}}</ref>.}}
 
Alcuni testimoni affermarono l'esistenza di vittime civili: Umberto Presti, generale della [[Polizia dell'Africa italiana|PAI]] e comandante della polizia della «città aperta», all'udienza del 15 giugno parlò di tre morti italiani, due uomini e un bambino (essendo presumibilmente i due uomini l'altra vittima dell'esplosione, Antonio Chiaretti, e uno dei civili uccisi dalla reazione tedesca)<ref>{{cita|Staron 2007|p. 391, nota 27 relativa al capitolo primo}}.</ref>; il 18 giugno Filippo Mancini riferì invece di due vittime italiane dell'esplosione, indicandole come «un bambino ed un vecchio»<ref name=deposizioni/>.
 
La sentenza di primo grado, emessa il 20 luglio 1948, contiene in narrativa un accenno a Zuccheretti: «Sul luogo rimanevano uccisi, oltre ai militari tedeschi, due civili, dei quali per uno (un bambino) si è accertato, dato il particolare laceramento del corpo, che la morte avvenne a seguito dello scoppio della bomba»<ref>{{cita web|url=http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/02sentenza631.aspx|titolo=Sentenza del Tribunale territoriale militare di Roma n. 631 del 20 luglio 1948|sito=difesa.it}}</ref>.
 
=== Il processo civile per l'attentato (1949-1957) ===
Nel 1949, un gruppo di feriti dell'attentato e parenti delle vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine agì in sede civile avverso i tre membri di sinistra della giunta militare del CLN centrale – Giorgio Amendola, [[Riccardo Bauer]] e [[Sandro Pertini]] – e i gappisti Carlo Salinari, [[Franco Calamandrei]], Rosario Bentivegna e Carla Capponi, al fine di ottenere un risarcimento dei danni. La sussistenza del diritto al risarcimento fu esclusa in tutti e tre i gradi di giudizio (1950, 1954, 1957), in quanto l'attentato fu giudicato un atto di guerra attribuibile allo Stato italiano e dunque legittimo per l'ordinamento giuridico italiano<ref>{{cita|Resta e Zeno-Zencovich 2013|pp. 861-4}}.</ref>. I genitori di Piero Zuccheretti non parteciparono al processo, non essendone stati informati<ref name=Intervista-Portelli233/>.
 
=== Il processo Priebke (1996) ===
Nel corso del processo all'ex capitano delle SS [[Erich Priebke]], celebrato presso il Tribunale militare di Roma nel 1996, il difensore dell'imputato inserì Giovanni Zuccheretti in una lista di quattro persone da escutere quali testimoni a discarico<ref>{{cita news|Antonio De Florio||«Sevizie in via Tasso? Solo qualche ceffone»|Il Messaggero|14 maggio 1996|pp=1 e 7}}</ref>. Tuttavia, alla fine la difesa rinunciò a tali testimonianze<ref>{{cita|Staron 2007|p. 342}}.</ref>.
 
=== Il procedimento penale per l'attentato (1997-1999) ===
Nel 1996 Giovanni Zuccheretti, insieme a Luigi Iaquinti (nipote dell'altra vittima dell'esplosione, Antonio Chiaretti), presentò una denuncia contro gli ex gappisti avviando un procedimento penale che fu oggetto di durissime polemiche<ref>{{cita news|R. I.|http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/29/Scalfaro_giudice_non_processa_storia_co_0_97062914797.shtml|Scalfaro: un giudice non processa la storia|Corriere della Sera|29 giugno 1997}}</ref><ref>{{cita news|Franco Coppola|http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/06/29/si-cancellano-la-resistenza.html|'Sì, cancellano la Resistenza'|la Repubblica|29 giugno 1997}}</ref>. Il 16 aprile 1998, il GIP Maurizio Pacioni del Tribunale di Roma dichiarò che l'attentato di via Rasella non era stato «un legittimo atto di guerra», ma una [[strage]] perseguibile penalmente, concludendo tuttavia con un provvedimento di archiviazione poiché «l'attentato può essere configurato come una strage, ma rientra sotto l'[[amnistia]] emanata con il [[Regio decreto]] del 5 aprile 1944», in quanto il suo fine rispondeva all'obiettivo di «liberare l'Italia dai nazisti»<ref>{{cita news||http://www.repubblica.it/online/fatti/rasella/rasella/rasella.html|Via Rasella fu una strage ma per liberare l'Italia|la Repubblica|16 aprile 1998}}</ref>.
 
I partigiani coinvolti nel procedimento – Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo – ricorsero, contestando fra l'altro la qualificazione dell'attentato come strage (anziché come atto legittimo di guerra). Con sentenza della [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] Penale, Sezione I Penale n. 1560 del 1999, la Corte accoglieva il ricorso e annullava l'archiviazione del [[reato]] per estinzione causa intervenuta amnistia, sostituendola con la non previsione del fatto come reato<ref>[http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/Legislazione/Giurisprudenza/Azione_guerra/Pagine/AttentatoViaRasellaRoma.aspx Cass. Pen., Sezione I Penale n. 1560 del 1999: "Attentato di Via Rasella in Roma del 23 marzo 1944"]</ref>.
 
== Documenti, storiografia e memorialistica ==
=== Dal dopoguerra agli anni ottanta ===
Il 9 giugno 1948, durante il processo contro Herbert Kappler, il settimanale ''[[L'Europeo]]'' pubblicò un articolo del giornalista e storico [[Paolo Monelli]] in cui quest'ultimo, ricostruendo la vita e il carattere dell'imputato, commentò con sarcasmo la "commozione" dichiarata da Kappler alla vista dei morti di via Rasella, mettendola a confronto con la ferocia dimostrata dal medesimo nell'eseguire l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]]:
 
{{citazione|Quando accorre in via Rasella e scorge il cadaverino squarciato di un bimbo, e pensa ai tanti bambini di Palermo, di Amburgo, morti sotto i bombardamenti aerei non regge all'orrore, alla nausea, deve correre a casa. Ma poche ore più tardi, meticolosamente, freddamente, prepara l'elenco delle persone da fucilare, vi butta sopra manciate di ebrei per fare il peso buono, arrotonda il numero di altri dieci appena gli dicono che è morto un altro dei feriti tedeschi (ma il bambino che ha visto morto in via Rasella perché non ne ha tenuto conto nella sua feroce aritmetica?); e non gli piace affatto che qualcuno dei suoi subordinati voglia sottrarsi all'orribile compito. [...] E con le buone e con le cattive impone di sparare, e insegna come si fa, e trascura pietà e umanità per i morituri [...], li ammazza come bestie, legati, nella cieca grotta.}}
 
Monelli trascrisse poi alcuni passi del suo articolo (fra cui quello sopra citato) nelle note alla sesta edizione del suo classico ''Roma 1943'', pubblicata nel 1963<ref>{{cita|Monelli 1993|p. 372}} (nota 67 al cap. 10).</ref>.
 
Nel 1965 fu pubblicata, postuma, una nuova edizione della monografia sull'eccidio delle Fosse Ardeatine del professor [[Attilio Ascarelli]], l'anatomopatologo che, dopo la liberazione di Roma, aveva curato il recupero delle salme dei suppliziati. In questa edizione furono pubblicati due documenti che fanno riferimento a Zuccheretti. Il primo è presentato come la trascrizione di «alcuni appunti stenografici trovati al [[Ministero della Cultura Popolare]]» (comprendenti, fra l'altro, un resoconto della [[Reazioni all'attentato di via Rasella e all'eccidio delle Fosse Ardeatine#La conferenza stampa di Kappler e Mälzer|conferenza stampa tenuta dai tedeschi dopo l'eccidio]]): in essi si legge che, dopo l'attentato, vi erano in via Rasella «trentadue morti tedeschi adagiati in fila da un lato della strada e due morti italiani, un uomo e un bambino di circa 10 o 12 anni»<ref>Allegato N. 2, in {{cita|Ascarelli 1965|p. 78}}.</ref>. Il secondo documento è la sentenza di primo grado contro Kappler, in cui si fa riferimento a un bambino ucciso dall'esplosione della bomba<ref>Tribunale militare di Roma, sentenza contro Herbert Kappler, in {{cita|Ascarelli 1965|p. 175}}.</ref>.
 
La prima dettagliata inchiesta sui fatti del marzo 1944 fu pubblicata dal giornalista statunitense [[Robert Katz]] nel 1967 ed edita in italiano l'anno successivo dalla [[Editori Riuniti]], con il titolo ''Morte a Roma''<ref>{{cita|Katz 1968}}.</ref>. In tale opera, nella quale l'autore si schiera decisamente in favore della legittimità morale dell'azione gappista, non si fa alcuna menzione di vittime civili della bomba. Zuccheretti non è menzionato nemmeno nelle successive edizioni in italiano del libro di Katz (1971, 1974, 1994, 1996), mentre è nominato nella sola introduzione alla sesta edizione, del 2004, in riferimento al processo per diffamazione intrapreso da Bentivegna contro ''[[Il Giornale]]'' nel 1996, allora giunto alla conclusione del secondo grado di giudizio. Qui Katz ammette di essere stato a conoscenza delle testimonianze, durante il processo Kappler, circa la morte di un bambino a causa dell'attentato; tuttavia egli sostiene di aver sempre ritenuto non probanti tali testimonianze, e di aver viceversa pensato che non ci fossero abbastanza prove per escludere il bambino dal novero dei civili uccisi dal fuoco di reazione tedesco (anziché dalla deflagrazione della bomba). Katz afferma inoltre di aver sempre prestato fede alle testimonianze dei gappisti, che dichiararono di aver allontanato tutti i civili dalla via prima dell'esplosione<ref>{{cita|Katz 2004|introduzione alla sesta edizione}}.</ref>.
 
Lo storico [[Giovanni Sabbatucci]] ritiene la mancata menzione di Zuccheretti in ''Morte a Roma'' particolarmente sorprendente, considerata la minuziosità di Katz nel descrivere la vicenda fin nei minimi particolari. Secondo Sabbatucci omissioni e reticenze di questo tipo nelle ricostruzioni di parte gappista hanno contribuito ad alimentare le «leggende nere» di parte opposta sull'attentato<ref>{{cita audio|autore=Giovanni Sabbatucci|titolo=Intervento alla presentazione del saggio di Alberto ed Elisa Benzoni|url=http://www.radioradicale.it/scheda/111306?p=0&s=620|accesso=10 ottobre 2017|data=30 aprile 1999|editore=[[Radio Radicale]]|minuto=10|secondo=50|citazione=[...] il punto è perché questa circostanza è stata per tanto tempo taciuta. Perché un libro come quello di Robert Katz, ''Morte a Roma'', che è un libro che descrive questa vicenda con una minuzia a volte persino eccessiva, perché in questo libro non si riesce a trovare traccia di questo fatto. Non c'è il nome di questo bambino Zuccheretti morto nell'attentato. Ci sono tutti, tutti i nomi, tutte le circostanze, la sequenza è ricostruita minuto per minuto, ma questa cosa non c'è. Già questa cosa fa pensare, ovvero non sono questi i punti decisivi, non sono le circostanze decisive per formulare un giudizio, ma se poi si occultano dei particolari, si tacciono dei particolari, se ne modificano altri, non bisogna poi meravigliarsi che allora sorgono magari anche le leggende nere di altra e di opposta provenienza}}</ref>.
 
Nel film ''[[Rappresaglia (film 1973)|Rappresaglia]]'' del 1973, basato sul libro di Katz, l'omissione trasmoda in negazione, mostrandosi subito dopo l'attentato il comandante del "Bozen" che, alla domanda di Kappler «Sono morti anche dei civili?», risponde: «No, non c'era nessuno nella strada, solo noi».
 
Matteo Mureddu, allora capitano dei Carabinieri e funzionario della Real Casa in servizio presso il [[Palazzo del Quirinale]], nonché membro del [[Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri]], in un suo libro di memorie edito nel 1977, menziona con nome e cognome Piero Zuccheretti come vittima dell'attentato, affermando di averne visto il «cadavere dilaniato» in via Rasella<ref>{{cita|Mureddu 1977|p. 146}}:
 
{{citazione|Il cadavere dilaniato del dodicenne Piero Zuccheretti giace al suolo fra i ciottoli, i calcinacci e gli avanzi di un carretto della nettezza urbana, sul quale, come si saprà dopo, era stato collocato l'ordigno. Un braccio del bambino è andato a conficcarsi tra le sbarre di ferro che proteggono uno dei finestroni inferiori di palazzo Tittoni. Piero stava recandosi a un laboratorio di ottica e fotografia in Via degli Avignonesi e seguiva divertito i soldati che marciavano cantando.}}</ref>.
 
In un'intervista del 1982, allorché l'intervistatore osservò «Pochi sanno che in via Rasella morirono anche dei romani. Compreso un bambino», Rosario Bentivegna rispose: «C'è chi dice fossero due, chi sette i civili morti in seguito all'azione. Questa cosa non è mai stata accertata. Non si è mai saputo chi fossero, come si chiamassero. Ho fatto fare delle ricerche anche all'anagrafe. E niente. Non va dimenticato che, dopo l'esplosione, i tedeschi superstiti spararono a lungo, a casaccio»<ref>Intervista a Rosario Bentivegna a cura di {{cita news|[[Pino Aprile]]||Metterei un'altra volta la bomba in via Rasella|Oggi|31 marzo 1982|numero=13|pp=48-53: 50}}</ref>.
 
Nella prima edizione del suo libro di memorie ''Achtung Banditen!'' (1983), Bentivegna scrive in una nota: «La propaganda nemica diffuse la voce che civili, residenti o di passaggio, erano stati coinvolti nell'azione di via Rasella. Non risulta, dalle fonti storiche consultate, che in via Rasella vi siano stati caduti civili. La stessa furibonda reazione dei nazisti, immediatamente successiva all'azione dei partigiani, non sembra che abbia portato alla morte di alcun civile [...] – All'Ufficio Anagrafico del Comune di Roma, alle date 23, 24 e 25 marzo 1944, non risultano decessi attribuibili all'azione di via Rasella»<ref>{{cita|Bentivegna 1983|p. 172, nota 4 relativa al capitolo trentatreesimo}}.</ref>. Bentivegna corregge l'errore nella riedizione di ''Achtung Banditen!'' del 2004, in cui riporta la nota «per correttezza storiografica» e afferma che essa «era decisamente sbagliata, e dovuta a un'errata lettura dei dati anagrafici: nel tempo dell'occupazione anche l'anagrafe di Roma funzionava poco»<ref>{{cita|Bentivegna 2004|p. 209}}.</ref>.
 
Gian Paolo Pelizzaro definisce «falso» quanto affermato da Bentivegna in entrambe le edizioni del libro, in quanto all'Anagrafe di Roma sono regolarmente custoditi sia la scheda anagrafica di Zuccheretti (con la data di morte indicata nel 23 marzo 1944 e la causa attribuita a scoppio di bomba in via Rasella), sia l'atto di morte<ref>{{cita|Pelizzaro 2012|pp. 31-2}}.</ref>.
 
<div align="center">
<gallery>
Scheda anagrafica pietro zuccheretti nascita.jpg|Scheda anagrafica della nascita di Zuccheretti
Scheda anagrafica pietro zuccheretti morte.jpg|Scheda anagrafica della morte di Zuccheretti, con la causa indicata in «scoppio di bomba in V. Rasella»
Certificato morte pietro zuccheretti.jpg|Certificato di morte di Zuccheretti
</gallery>
</div>
 
=== Dagli anni novanta ===
Nel cinquantesimo anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, il giornalista Angelo Frignani (nipote della vittima [[Giovanni Frignani]]) pubblicò un resoconto della morte di Piero Zuccheretti basato su un'intervista al gemello Giovanni. Nell'esposizione di Frignani risulta che il corpo di Zuccheretti fu ridotto in sette pezzi dall'esplosione e che i piedi non furono mai trovati<ref>{{cita news|Angelo Frignani||Cinquant'anni fa: da via Rasella alle Fosse Ardeatine|Giornale d'Italia|24 marzo 1994|pp=8-9}}</ref><ref>{{cita|Katz 2004|introduzione alla sesta edizione}}.</ref>.
 
Nel marzo 1994, durante un'intervista a Bentivegna per un programma televisivo, l'intervistatore domandò: «Durante l'esplosione della bomba morirono anche sette civili, fra cui un bambino. È stato il senso di colpa a far sì che ostinatamente da parte partigiana non si sia mai voluto ammettere che ci siano stati dei morti italiani eccetto i sud-tirolesi?». Bentivegna escluse nuovamente che il 23 marzo a via Rasella fossero rimasti uccisi dei civili italiani, sulla base di proprie «ricerche all'Anagrafe di Roma». Tuttavia, affermò di aver recentemente saputo dal ricercatore Cesare De Simone, autore di un libro in uscita in quei giorni, che il professor Ascarelli «parla di due ragazzi, o un uomo e un vecchio, non è chiara la questione, che ha visto tra i cadaveri dei soldati tedeschi, e che possono essere stati uccisi successivamente in seguito alla reazione spropositata che i tedeschi hanno avuto». Aggiunse inoltre un'altra informazione riferitagli sempre da De Simone: «sembra che ci sia al [[Cimitero del Verano|Verano]] la tomba di un ragazzo che è morto il 23 marzo, un garzone che è morto il 23 marzo in via Rasella. Però di questi sette di cui si parla nessuno ne ha mai parlato del nome e cognome e, torno a dirle, all'Anagrafe non sono registrati. Questi tre casi, io ho sentito delle testimonianze e non posso escluderli, ma certamente non sono stati colpiti dalle bombe partigiane»<ref>Trascrizione dell'[http://www.larchivio.com/rasella.htm intervista a Rosario Bentivegna] a cura di Enzo Cicchino, andata in onda nel 1994 su Rai 2 nel corso della puntata ''Via Rasella. L'altra faccia delle Fosse Ardeatine'' del programma ''[[Mixer (programma televisivo)|Mixer]]''. Nella trascrizione il nome di Ascarelli è storpiato in "Starelli".</ref>.
 
Nel suo libro uscito in quell'anno, ''Roma città prigioniera'', Cesare De Simone scrive che la bomba di via Rasella provocò «una sola» vittima innocente, appunto Zuccheretti, e fa riferimento a una perizia sui morti di via Rasella che sarebbe stata redatta, per incarico dei tedeschi, dal professor Attilio Ascarelli, e dalla quale si evincerebbe la presenza dei resti di un uomo anziano e di una bambina<ref>{{cita|De Simone 1994|pp. 112-3}}.</ref>.
 
In termini assai simili scrivono di Zuccheretti lo stesso De Simone e Bentivegna in ''Operazione via Rasella'' (1996), sostenendo che i civili morti per la bomba «furono due. L'anatomopatologo dell'università, il professor Attilio Ascarelli [...] venne incaricato dai tedeschi di ricomporre le salme smembrate dei soldati morti a via Rasella. Nella sua relazione finale, Ascarelli scriverà che oltre ai militari aveva trovato "parti di corpo umano" appartenenti "con tutta probabilità" a un vecchio e a una bambina. – Dell'uomo non si è mai riusciti con certezza a stabilire l'identità. La "bambina" della relazione di Ascarelli non era una femminuccia, ma un ragazzino. Si chiamava Pietro Zuccheretti e aveva 13 anni»<ref>{{cita|Bentivegna e De Simone 1996|pp. 29-30}}.</ref>. Riguardo a tale presunta "relazione" di Ascarelli, secondo Robert Katz, è probabile che De Simone sia rimasto vittima di un inganno, e che il documento da lui citato fosse in realtà un falso<ref>Katz cita in proposito una testimonianza giurata dello stesso Ascarelli, resa alla Polizia Militare britannica nel settembre 1945, in cui il professore (ebreo romano e zio di due delle vittime delle Ardeatine) dichiara di essere rimasto in clandestinità, «per ovvie ragioni di sicurezza», durante tutto il periodo dell'occupazione nazista di Roma. Cfr. {{cita web|url=http://www.theboot.it/mar_intros.html|titolo=Robert Katz, ''The Zuccheretti Affair: New Evidence'', in ''Death in Rome: The Updates'' (2004)|sito=TheBoot.it|urlmorto=sì|urlarchivio=https://archive.is/20130218105517/http://www.theboot.it/mar_intros.html|dataarchivio=18 febbraio 2013}}</ref>. Anche il giornalista Pierangelo Maurizio rileva che tale presunta perizia redatta da Ascarelli sui morti di via Rasella non risulta essere mai esistita<ref>«Bene, quella perizia non è mai esistita perché consultando l’archivio del professor Ascarelli alla facoltà di medicina di Macerata, nella dettagliata biografia che scrivono i suoi discepoli si stabilisce senza ombra di dubbio che "dal 1938 per le leggi razziali il Prof. Ascarelli aveva dovuto abbandonare ogni incarico". Questo lo ricostruisce la dottoressa Cecilia Tasca. E ancora: "Nel Marzo 1944 era rifugiato come tanti ebrei e come tanti antifascisti in un convento romano", come spiega nella sua biografia il dottor Mariano Cingolani, sempre della stessa facoltà. Solo con l'arrivo degli americani il professor Ascarelli venne incaricato, dal luglio 1944, di dirigere l'operazione per la riesumazione dei martiri delle Fosse Ardeatine»: {{cita web|http://www.storiain.net/storia/via-rasella-donato-carretta-e-lombra-lunga-del-pci/|Federigo Argentieri, "Via Rasella, Donato Carretta e l'ombra lunga del PCI", intervista a Pierangelo Maurizio, "Storia in Network", 1 novembre 2015|03-10-2017}}</ref>.
 
Nel 1997, lo storico [[Paolo Pezzino]] in un suo saggio critica la tendenza, mostrata tra l'altro da Bentivegna nel libro scritto con De Simone, per cui tutte le obiezioni verso la scelta e l'operato dei partigiani vengono poste sullo stesso piano e bollate come «menzogne», «falsi storici», «lampanti idiozie» e altre espressioni altrettanto liquidatorie. Pezzino chiede se un giorno sarà possibile «riflettere sulla natura e le modalità di quella scelta da parte dei gappisti romani senza per questo essere considerati denigratori della Resistenza» ed essere sbrigativamente liquidati come mentitori e falsari. Inoltre domanda:
 
{{citazione|il tema dei civili italiani che caddero nell'attentato dilaniati dalla bomba partigiana potrà essere discusso, come storici e come cittadini, anche sotto il profilo dell'etica della [[responsabilità (filosofia)|responsabilità]] (si può programmare, in una strada cittadina e in pieno giorno, un attentato nel quale è altamente probabile che anche estranei rispetto all'obiettivo prescelto vengano coinvolti?), senza essere moralmente ricattati (ancora oggi [[Luigi Pintor]] giudica una provocazione il porsi una simile domanda<ref>Pezzino cita un articolo di Luigi Pintor in ''[[il manifesto]]'', 9 maggio 1996, riprodotto in [[Carlo Galante Garrone]], ''Via Rasella davanti ai giudici'', pp. 57-8, in AA.VV., ''Priebke e il massacro delle Ardeatine'', supplemento a ''l'Unità'', agosto 1996.</ref>), e costretti ad appiattirsi sull'etica della convinzione professata dai partigiani, considerandola l'unico metro di giudizio possibile, data la validità degli obiettivi finali per i quali essi combattevano?<ref>{{cita|Pezzino 2007|pp. 226-7}}.</ref>}}
 
Il libro di Alessandro Portelli ''L'ordine è già stato eseguito'', pubblicato in prima edizione nel 1999, contiene una lunga intervista resa all'autore nel dicembre 1997 dal fratello gemello di Piero Zuccheretti, Giovanni, il quale fra l'altro accusa nuovamente Rosario Bentivegna di avere visto il piccolo Piero stare accanto al carrettino che conteneva la bomba, proprio nel momento in cui lo stesso Bentivegna ne causava l'esplosione<ref name=Intervista-Portelli233/>.
 
Intervistato da Portelli, Bentivegna affermò di essere stato inizialmente convinto che non vi fossero state vittime civili nell'attentato; solo dopo esserne venuto a conoscenza ne scrisse anch'egli<ref>Rosario Bentivegna, intervistato in {{cita|Portelli 2012|p. 327}}: «Io non ne ho mai saputo niente, quando l'ho saputa l'ho scritta».</ref>.
 
[[Carla Capponi]], una dei gappisti che parteciparono all'azione (e dal 22 settembre 1944 moglie di Bentivegna), ricorda invece di aver appreso della morte di un ragazzo da un [[necrologio]] pubblicato sul ''[[Il Messaggero|Messaggero]]'', ma di aver ritenuto che il bambino fosse stato ucciso dai colpi sparati dai tedeschi. Tuttavia il necrologio di Zuccheretti, pubblicato sul quotidiano romano il 25 marzo, incolpava la «cieca violenza di provocatori sovversivi»<ref>Citato in {{cita|Portelli 2012|p. 328}}. Il necrologio è erroneamente datato al 26 marzo.</ref>.
 
Portelli, dopo aver ricordato che nel 1997, durante il processo a Priebke, la morte di Zuccheretti divenne uno degli argomenti principali di una campagna d'opinione condotta dalla destra contro i gappisti<ref name=Portelli327>{{cita|Portelli 2012|p. 327}}.</ref>, rileva come, in ogni caso, durante il dopoguerra il destino di Zuccheretti abbia costituito a lungo oggetto di omissioni e reticenze da parte della sinistra. Egli sottolinea come Piero Zuccheretti non sia nominato né in ''Morte a Roma'' di Robert Katz (1967)<ref>{{cita|Katz 1968}}.</ref>, né in ''Achtung Banditen!'' di Bentivegna (1983); eppure, «che per l'esplosione della bomba fossero morti due civili fra cui un bambino risultava già dalla sentenza Kappler nel 1948»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 327}}. In seguito (p. 437) Portelli precisa che successivamente Bentivegna corresse l'errore, menzionando Zuccheretti nel libro scritto con Cesare De Simone nel 1996 ({{cita|Bentivegna e De Simone 1996}}).</ref>. Citando la testimonianza di Bentivegna secondo cui quest'ultimo a lungo non seppe nulla della morte di Zuccheretti, Portelli commenta: «questo rende l'omissione ancora più pesante, perché ne fa il segno non di una menzogna personale ma di una tendenza più ampia a dimenticare»<ref name=Portelli327/>.
 
Commenta Portelli: «Col senno di poi, è facile dire che Piero Zuccheretti avrebbe dovuto essere non solo riconosciuto, ma rivendicato, come un'altra delle tante vittime, sia pure indirette, della guerra e dell'occupazione tedesca [...]; che l'Italia antifascista avrebbe dovuto intitolargli lapidi e strade. Ma allora si sarebbe dovuto non solo ammettere, ma proclamare, che la resistenza era stata una guerra, con le sue conseguenze indesiderate, persino con i suoi errori. Ma per poterlo fare ci sarebbe voluta un'altra egemonia, un altro contesto politico; in piena [[guerra fredda]], con il fronte antifascista diviso, la resistenza sotto attacco, le discriminazioni ai comunisti e i processi ai partigiani, una cosa del genere era forse impensabile»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 328}}.</ref>.
 
Nel suo ultimo libro di memorie, pubblicato nel 2011, Bentivegna scrive: «Di Pietro Zuccheretti ero [...] venuto a conoscenza [...] quando avevo letto la perizia Ascarelli, che peraltro non aveva identificato i resti dei civili coinvolti nell’azione di via Rasella, indicando il corpo del povero Zuccheretti come quello di una giovane ragazza. Ma non mi ero sentito responsabile»<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 351}}.</ref>.
 
== La controversia sulla foto ==
=== La pubblicazione della foto ===
[[File:Zuccheretti.jpg|thumb|La foto che ritrarrebbe i resti di Piero Zuccheretti]]
 
In prossimità dell'inizio del processo contro [[Erich Priebke]], sui ''[[Mezzo di comunicazione di massa|media]]'' italiani si aprì un vivace dibattito riguardante sia le responsabilità morali per l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], sia la liceità e l'opportunità dell'[[attentato di via Rasella]]<ref>{{cita|Resta e Zeno-Zencovich 2013|p. 871}}.</ref>. Vari organi di stampa, perlopiù di orientamento conservatore o [[Revisionismo storiografico#Fascismo e Resistenza|revisionista]], condussero un'accesa campagna d'opinione contro i gappisti che avevano compiuto l'attentato<ref>{{cita|Katz 2009|pp. 384-5}}.</ref><ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 349}}.</ref><ref>{{cita|Resta e Zeno-Zencovich 2013|p. 871, nota 88}}.</ref>, talora anche basandosi su posizioni che ricalcavano le tesi difensive proposte dallo stesso Priebke<ref>{{cita|Tucci 2012|p. 335}}.</ref>.
 
Il 24 aprile 1996 il quotidiano ''[[Il Tempo]]'' pubblicò una fotografia che mostrava un tronco e una testa umana, sostenendo che si trattava dei resti mortali di Piero Zuccheretti. La foto accompagnava un articolo di Pierangelo Maurizio in cui veniva riportata una testimonianza di Giovanni Zuccheretti, fratello gemello di Piero. Giovanni sosteneva di aver ricevuto la fotografia qualche anno prima, da alcuni conoscenti; ipotizzava che, al momento dell'esplosione, il piccolo Piero fosse seduto sopra il carrettino contenente la bomba, e affermava che i partigiani l'avessero visto senza però fare nulla per salvarlo<ref>{{cita|Katz 2009|pp. 385 e 457 n.}} Katz osserva che nel titolo dell'articolo Giovanni Zuccheretti afferma con sicurezza che Piero fosse seduto sopra il carrettino, ma dal testo dell'articolo stesso si evince invece che si tratta di una mera congettura. Cfr. {{cita|Maurizio 1996|pp. 16 e 19}}.</ref>. Altre fotografie ritraevano i presunti resti del corpo e una panoramica di via Rasella dopo l'esplosione, con – indicato da una freccia – il punto ove sarebbe stato ritrovato il corpo di Zuccheretti<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 354}}.</ref>.
 
Il 26 aprile lo stesso quotidiano pubblicò un altro articolo di Pierangelo Maurizio contenente un'intervista a Gustavo Mayone, nipote di Leonardo Mayone che all'epoca dei fatti lavorava in via Rasella come tipografo. Leonardo sarebbe riuscito a sfuggire al rastrellamento tedesco dopo l'attentato, e avrebbe custodito per decenni le fotografie di cui sopra. Nell'intervista Gustavo Mayone affermava che suo zio Leonardo non gli aveva mai voluto confidare da chi avesse avuto quelle fotografie, scattate (a detta dello stesso Leonardo) da un suo amico fotografo<ref>Pierangelo Maurizio, ''Parla Gustavo Mayone: così mio zio, tipografo, ha custodito le immagini delle vittime civili'', in ''Il Tempo'', 26 aprile 1996, citato in {{cita|Bentivegna 2011|pp. 354-5}}. Bentivegna afferma (p. 355) di aver invitato (a seguito della pubblicazione dei due articoli citati) in casa propria Pierangelo Maurizio, il quale in tale occasione gli avrebbe mostrato l'«originale ingiallito» della foto.</ref>.
 
Sempre su ''Il Tempo'' comparve una testimonianza di Guido Mariti, collega di Leonardo Mayone presso la tipografia in via Rasella. Secondo Guido Mariti, [[Herbert Kappler]], poco dopo l'attentato, avrebbe dato ordine di scattare delle fotografie che sarebbero state immediatamente sviluppate in un laboratorio fotografico nella stessa via Rasella. Il fotografo, amico dello stesso Guido Mariti, avrebbe poi dato una copia delle fotografie a quest'ultimo, e un'altra copia a Leonardo Mayone, alla condizione che non le mostrassero mai ai genitori di Zuccheretti<ref>Pierangelo Maurizio, ''Ho visto morire quel bambino'', in ''Il Tempo'', citato in {{cita|Pelizzaro 2009|p. 43}}, ove la data di pubblicazione di tale articolo di Maurizio è indicata nel 26 aprile 1996. Tale data è invece indicata nel 3 maggio 1996 in {{cita|Bentivegna 2011|p. 355 n.}} Cfr. {{cita|Maurizio 1996|p. 27}}.</ref>.
 
L'8 maggio successivo ''[[Il Giornale]]'' riprese la foto, in prima pagina e in grande formato, a corredo di un articolo di Francobaldo Chiocci<ref>{{cita news|Francobaldo Chiocci||I partigiani della strage di via Rasella non si fermarono davanti a un bimbo|Il Giornale|8 maggio 1996}}</ref> nel quale i gappisti venivano nuovamente accusati di aver proceduto con l'esecuzione dell'attentato nonostante avessero visto il bambino seduto sulla carretta con l'esplosivo<ref>{{cita news||http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/05/09/il-gappista-di-via-rasella-polemica.html|Il gappista di via Rasella: "polemica di sciacalli"|la Repubblica|9 maggio 1996}}</ref>; inoltre si ipotizzava che i partigiani, «mentre fuggivano», avessero visto saltare in aria Piero Zuccheretti, «la testa staccata dal tronco»<ref>Francobaldo Chiocci, ''art. cit.'', citato in {{cita|Katz 2009|pp. 385-6 e 457-8 n.}} In nota Katz osserva che il particolare secondo cui i gappisti avrebbero visto Piero Zuccheretti seduto sul carrettino è desunto dalle supposizioni di Giovanni Zuccheretti contenute nel sopra citato articolo pubblicato su ''Il Tempo'' del 24 aprile 1996, mentre Francobaldo Chiocci «è l'unico inventore della scena [[Hollywood|hollywoodiana]] in cui i partigiani vedono volare i pezzi del corpo e la testa mentre se ne stacca».</ref>.
 
Secondo Alessandro Portelli, «la foto del bambino fatto a pezzi sul selciato è l'icona principale di questa campagna»<ref name=Portelli327/>.
 
Nel libro ''Operazione via Rasella'', pubblicato nell'ottobre del 1996, Bentivegna e Cesare De Simone opinano che la foto del cadavere di Zuccheretti sia «probabilmente l'ennesimo falso. Infatti nella foto dei miseri resti umani si nota distintamente che i sampietrini della strada terminano contro il [[cordolo]] di un [[marciapiede]]; invece a via Rasella non vi erano marciapiedi, quel 23 marzo '44, come provano tutte le foto d'epoca»<ref>{{cita|Bentivegna e De Simone 1996|p. 118}}.</ref>.
 
Frattanto la fotografia del cadavere veniva anche depositata agli atti del processo Priebke. All'udienza del 5 giugno 1997 testimoniò Sergio Volponi, figlio di Guido (uno dei rastrellati dai tedeschi in via Rasella dopo l'attentato, successivamente ucciso alle Fosse Ardeatine); il testimone affermò che la foto era autentica e dichiarò che, dopo l'eccidio delle Ardeatine, un fotografo aveva dato alla madre dello stesso teste quattro fotografie scattate in via Rasella subito dopo l'attentato, fra cui quella ritraente i resti di Zuccheretti (peraltro diversa dalle altre tre, in quanto non riportante la stampa del carattere [[Agfa-Gevaert|Agfa]] e pertanto sviluppata su un diverso materiale)<ref>{{cita|Bentivegna 2011|pp. 361-2}}.</ref>.
 
Lo storico [[Alessandro Portelli]], che intervistò Giovanni Zuccheretti nel dicembre del 1997 – durante la preparazione di un saggio di storia orale sulle Fosse Ardeatine – testimonia nel suo libro che quest'ultimo, durante l'intervista, gli mostrò un'altra foto di Piero Zuccheretti; Portelli afferma di aver riscontrato la somiglianza fra il bambino ivi ritratto e il cadavere raffigurato nella foto di cui si discute l'autenticità<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 437}}: «Giovanni Zuccheretti, fratello di Piero, mi ha mostrato una foto di quest'ultimo, che mi è parsa somigliante al bambino nella foto in discussione».</ref>.
 
=== Il processo per diffamazione ===
Per reagire alla campagna di stampa, [[Rosario Bentivegna]], con atto di citazione notificato in data 14 giugno 1996, citò per danni presso il Tribunale di Milano il giornalista Chiocci, l'allora direttore de ''[[Il Giornale]]'' [[Vittorio Feltri]] e la casa editrice del quotidiano, la Società Europea di Edizioni S.p.A.<ref>[https://www.eius.it/giurisprudenza/2007/104.asp Corte di cassazione, Sezione III civile, Sentenza 6 agosto 2007, n. 17172].</ref>. Fra le asserzioni che Bentivegna contestava in quanto false e lesive per la sua reputazione vi erano quelle secondo cui i partigiani avessero visto Zuccheretti vicino alla bomba prima di accendere la miccia, e secondo cui il bersaglio dell'attacco gappista fosse costituito da vecchi soldati disarmati di cittadinanza italiana; inoltre Bentivegna riteneva insultante l'equivalenza morale fra lui e Priebke affermata da ''Il Giornale''<ref>{{cita|Resta e Zeno-Zencovich 2013|p. 873}}.</ref>.
 
Il Tribunale di Milano respinse la richiesta di Bentivegna, affermando che gli articoli in questione rispettavano il diritto di cronaca e di critica<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 366}}.</ref>. Nella sentenza – fra l'altro – si affermava che «le condizioni del cadavere del bambino quali risultano anche dalle foto in atti della testa a terra, staccata dal tronco, sembrano giustificare la tesi della sua estrema prossimità al carretto contenente l'esplosivo»<ref>Sentenza del Tribunale di Milano n. 6088 del 14 giugno 1999, citata in {{cita|Pelizzaro 2009}}.</ref>.
 
Avverso tale sentenza, nell'ottobre del 1999, Bentivegna presentò ricorso alla Corte d'Appello di Milano. Richiestone da Bentivegna, lo storico [[Carlo Gentile (storico)|Carlo Gentile]] ottenne dall'Archivio federale (''[[Bundesarchiv]]'') di [[Coblenza]] una serie di trentuno fotogrammi, scattati immediatamente dopo l'attentato da un tale Koch, fotografo del servizio di propaganda dell'esercito tedesco. Le immagini furono accolte come prova durante l'udienza dell'11 aprile 2000, assieme ad un appunto dello stesso Gentile. Fra tali immagini non vi erano però quelle pubblicate da ''Il Giornale'' e ''Il Tempo'', né Gentile riteneva che queste ultime potessero aver mai fatto parte del rullino conservato al ''Bundesarchiv'': ciò anche in considerazione della «differenza sotto l'aspetto qualitativo tra le fotografie di Koch e quelle pubblicate sui due giornali italiani»<ref>Appunto di Carlo Gentile, citato in {{cita|Pelizzaro 2009}}.</ref>. Gentile concludeva il proprio appunto con una valutazione analoga a quella contenuta nel libro di Bentivegna e De Simone del 1996: «All'epoca dell'attentato non esisteva alcun marciapiede in quella strada. Poiché a pochi centimetri dal corpo dilaniato inquadrato nell'immagine in questione appare il cordolo di un marciapiede è a mio avviso del tutto improbabile che possa essere stata scattata a via Rasella il 23 marzo 1944»<ref>{{cita|Bentivegna 2011|pp. 366-7}}.</ref><ref>{{cita|Pelizzaro 2009}}.</ref>.
 
Capovolgendo l'esito della sentenza di primo grado, la Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 14 maggio-20 giugno 2003, accolse il ricorso di Bentivegna e condannò Chiocci, Feltri e la Società Europea di Edizioni S.p.A. a pagare allo stesso Bentivegna la somma di Euro 45.000,00 a titolo di risarcimento danni<ref name="Sentenza 2003">[http://www.eius.it/giurisprudenza/2007/104.asp Decisione del 14 maggio-20 giugno 2003 della Corte d'Appello di Milano, citata nella sentenza 6 agosto 2007, n. 17172 della Sezione III civile della Corte di cassazione].</ref>.
 
La Corte d'appello rilevò, negli articoli di giornale in questione, una serie di affermazioni ritenute false e lesive dell'onorabilità di Bentivegna; in particolare: la foto del cadavere di Zuccheretti fu giudicata falsa; i soldati del Polizeiregiment "Bozen" non erano affatto disarmati e non è vero che avessero tutti la cittadinanza italiana; i caduti civili per l'attacco partigiano furono due e non sette; l'[[Attentato di via Rasella#L'accusa della mancata presentazione|accusa della mancata presentazione]] era falsa. La Corte qualificò inoltre l'attacco partigiano come un legittimo atto di guerra contro un nemico straniero<ref name="RZZ874">{{cita|Resta e Zeno-Zencovich 2013|p. 874}}.</ref>, e condannò la parificazione morale tra partigiani e nazisti e in particolare l'equiparazione tra Priebke e Bentivegna, in quanto gravemente lesiva dell'onorabilità personale e politica di quest'ultimo<ref name="Sentenza 2003"/>.
 
Contro la sentenza di appello, che dava loro torto, Feltri e la Società Europea di Edizioni S.p.A. proposero ricorso per cassazione. Con sentenza in data 6 agosto 2007 la Sezione III Civile della Corte di Cassazione respinse il ricorso, confermando ''in toto'' la sentenza d'appello che pertanto divenne [[cosa giudicata]]<ref name="RZZ874"/>. Secondo la Cassazione, una volta accertata «la falsificazione della fotografia, non vi era più alcuna possibilità di accertare in quale punto si trovasse il ragazzo e in quale preciso momento egli fosse comparso nel teatro dell'esplosione (rispetto al momento in cui era stata accesa la miccia)». La sentenza di Cassazione rigettava quindi – assumendo la falsità della fotografia – anche la ricostruzione della meccanica della morte di Piero Zuccheretti proposta da ''Il Giornale''<ref>«Numerose circostanze esposte dal giornalista [...] non erano rispondenti al vero. – Tra questi elementi, la Corte individuava [...] la falsificazione della fotografia della testa (staccata dal tronco) dell'adolescente tredicenne, la cui morte in conseguenza dell'attentato di via Rasella nessuno poneva più in discussione. – La rappresentazione fotografica della testa del ragazzo era stata molto sottolineata nell'articolo del Chiocci, ove, sia pure a mezzo delle dichiarazioni rese dal fratello, si argomentava (prospettando anche la cosa come vera) che gli attentatori ed in particolare proprio il Bentivegna avevano preferito non spegnere la miccia, pur avendo visto il ragazzo che necessariamente – dati gli effetti della esplosione sul suo corpo – doveva essere appoggiato o seduto sopra la carretta della spazzatura dove erano collocati gli ordigni esplosivi. – Accertata la falsificazione della fotografia, non vi era più alcuna possibilità di accertare in quale punto si trovasse il ragazzo ed in quale preciso momento egli fosse comparso nel "teatro" dell'esplosione (rispetto al momento in cui era stata accesa la miccia)»: {{cita web|http://www.eius.it/giurisprudenza/2007/104.asp|Corte di cassazione, Sezione III civile, Sentenza 6 agosto 2007, n. 17172|05-09-2017}}</ref>.
 
=== Opinioni sull'autenticità della foto ===
Le conclusioni di Carlo Gentile sulla falsità della foto sono state accolte dallo storico Robert Katz, sia nel suo libro ''Roma città aperta'' (2003)<ref>{{cita|Katz 2009|p. 457}}.</ref>, sia nell'introduzione alla sesta edizione di ''Morte a Roma'' (2004)<ref>{{cita|Katz 2004}}.</ref>.
 
Nel 2004 Sergio Volponi, pur esprimendo l'opinione che (all'epoca del processo Priebke) la fotografia fosse stata «usata in maniera strumentale per fomentare una stupida polemica revisionista della destra becera e cialtrona», mise in discussione il giudizio espresso dalla Corte d'appello di Milano in merito alla fotografia medesima, di cui ribadì l'autenticità affermando che quello che Gentile aveva ritenuto essere il cordolo di un marciapiede sarebbe in realtà «la soglia di una casa»<ref>Intervista a Sergio Volponi a cura di {{cita news|[[Elena Stancanelli]]|https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/08/29/avevo-dieci-anni-guardavo-fuori-dalla-finestra.html|Avevo dieci anni e guardavo fuori dalla finestra per passare il tempo. Mio padre era malato, aveva l'influenza, e dormicchiava. Abitavamo al quarto piano di via Boccaccio n.3, angolo via Rasella|la Repubblica|29 agosto 2004|27 ottobre 2017}} L'articolo inizia con la frase «Il pomeriggio del 23 marzo 1944 c'era un gran bel sole».</ref>.
 
Nel marzo 2009, un'inchiesta giornalistica di Gian Paolo Pelizzaro, pubblicata dal mensile ''[[Storia in rete]]''<ref>{{cita|Pelizzaro 2009}}.</ref> e ripresa dal quotidiano ''[[Il Tempo]]''<ref>{{cita news|Pierangelo Maurizio|http://www.iltempo.it/politica/2012/12/12/via-rasella-e-il-giallo-della-foto-del-bimbo-falciato-1.220239|Via Rasella e il giallo della foto del bimbo falciato|Il Tempo|24 marzo 2009|5 settembre 2017}}</ref>, contestò la valutazione della Corte d'appello di Milano circa la fotografia, in quanto i giudici avevano acquisito senza nessun riscontro ulteriore il parere di Carlo Gentile, espresso senza che lo studioso avesse effettuato alcun sopralluogo sul posto. Sulla base di un sopralluogo fotografico, Pelizzaro ritiene che il particolare identificato da Gentile come cordolo di un marciapiede sarebbe in realtà la [[modanatura]] del [[basamento (architettura)|basamento]] di travertino del palazzo sulla sommità di via Rasella, a circa un metro di distanza dall'incrocio con via delle Quattro Fontane. Il basamento di travertino in quel punto presenterebbe infatti le stesse venature, crepe e scheggiature riconoscibili nell'immagine. I poveri resti sarebbero quindi stati scagliati a una decina di metri a monte del luogo dell'esplosione, dato compatibile con le testimonianze che descrivevano i resti a «venti-trenta metri più in su»<ref name=Bertoldi/>. Lo stato dell'immobile consente ancora oggi un utile raffronto con la fotografia (rispetto ad allora è stato solo realizzato un marciapiede asfaltato).
 
{{tripla immagine|centro|Piero Zuccheretti1.png||Via Rasella, dettaglio Palazzo Tittoni.jpg||Via Rasella, angolo via Quattro Fontane.jpg||Raffronto tra la presunta fotografia dei resti di Zuccheretti e il tratto di via Rasella all'incrocio di via Quattro Fontane indicato dall'inchiesta di ''Storia in rete'' (foto del 2009)|Dettaglio della modanatura del palazzo|Uno scorcio del palazzo. Sotto la finestra al centro della foto si vede la modanatura.|larghezza totale=500}}
 
Il giurista Giuseppe Tucci, in un libro pubblicato nell'ottobre 2012, ricostruendo la campagna stampa contro Bentivegna e giudicandola rivolta a delegittimare l'intera Resistenza romana, scrive fra l'altro: «A distinguersi, però, per i toni e per il cinismo con cui vengono alterati fatti ormai giuridicamente e storicamente accertati è "il Giornale", diretto da Vittorio Feltri, che già nel 1996 inizia la sua campagna, utilizzando persino fotografie raccapriccianti della testa di un bambino, morto accidentalmente il 23 marzo 1944 in via Rasella, che poi risultarono un vero e proprio falso»<ref>{{cita|Tucci 2012|p. 335}}.</ref>.
 
=== L'ultimo libro di memorie di Rosario Bentivegna ===
Nel 2011 fu pubblicato il libro di memorie di Rosario Bentivegna ''Senza fare di necessità virtù'', in cui l'ex gappista ricostruisce la campagna stampa contro di lui contemporanea al processo Priebke. Bentivegna giudica «piuttosto inverosimile» la versione a suo tempo proposta da Pierangelo Maurizio circa la provenienza della foto del cadavere di Zuccheretti<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 355}}.</ref>, richiama la conclusione del documento processuale di Carlo Gentile circa la presenza in tale foto del «cordolo di un marciapiede»<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 367}}.</ref>, e sostiene che vi siano ulteriori «elementi da considerare» che proverebbero la falsità della foto. Secondo Bentivegna, che menziona al riguardo una perizia redatta nel 1997 dal dott. Vero Vagnozzi (consulente di balistica forense presso il Tribunale di Roma)<ref>La perizia risulta conservata nel fondo Rosario Bentivegna presso il Senato della Repubblica: cfr. [https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/Inventario%20del%20Fondo%20Rosario%20Bentivegna%201944-2012.pdf Michela Ponzani, ''Inventario del fondo Rosario Bentivegna 1944-2012''], p. 18.</ref>, «l'adolescente, vittima delle esplosioni, doveva verosimilmente trovarsi in prossimità dell'ordigno a una distanza di qualche metro dal punto di scoppio, com'era desumibile dalla smembratura del corpo e dalle tracce di bruciatura sui capelli». Immediatamente dopo lo scoppio della bomba fatta esplodere dai gappisti vi furono parecchie altre esplosioni, dovute alle bombe a mano che i soldati del "Bozen" portavano attaccate alla cintola. Conclude Bentivegna: «Figurarsi, dunque, se dopo tante esplosioni di quel tipo potessero essere mantenute quelle incredibili condizioni di conservazione fisiognomica di una parte del capo del povero Zuccheretti. L'immagine pubblicata da "Il Giornale" e da "Il Tempo" era dunque un evidente falso»<ref>{{cita|Bentivegna 2011|p. 368}}.</ref>.
 
Sebbene lo stesso Bentivegna avesse ormai da lungo tempo riconosciuto l'esistenza di due vittime civili della bomba gappista, nella recensione del volume per ''[[l'Unità]]'', Bruno Gravagnuolo scrisse: «Falso [...] che due civili siano stati colpiti dal gesto di guerra partigiana. La loro morte fu causata dai tedeschi che sparavano all'impazzata e dalle loro granate»<ref>{{cita news|Bruno Gravagnuolo||Da «balilla» a comunista togliattiano|l'Unità|23 settembre 2011|p=39}}</ref>.
 
Nel 2012, dopo la morte di Bentivegna, sulle pagine di ''Storia in rete'' il giornalista Gian Paolo Pelizzaro deplorò che, in ''Senza fare di necessità virtù'', l'ex gappista non avesse fatto alcuna menzione dell'inchiesta circa l'autenticità della foto pubblicata dalla stessa rivista nel 2009, «rilanciata da "Il Tempo" e "Avvenire" e acquisita anche da [[Wikipedia in italiano]]», e definì l'ultimo libro di Bentivegna una «occasione mancata»<ref>{{cita|Pelizzaro 2012}}.</ref>.
 
== La memoria ==
Sulla tomba di Zuccheretti al [[cimitero del Verano]] una lapide recita: «Piero. L'odio degli uomini ti uccise vittima innocente di un odioso conflitto. Perdesti la tua giovane vita nell'eccidio di via Rasella, lasciando in straziato dolore la mamma, il papà, il fratello, gli zii, il nonno»<ref>{{cita|De Simone 1994|p. 113 n}}.</ref>.
 
Nel maggio 1996, dopo l'inizio del processo a carico di [[Erich Priebke]], la tomba divenne luogo di una commemorazione da parte di alcuni esponenti di [[Alleanza Nazionale]], i quali vi deposero una corona di fiori<ref>{{cita news|fra. gri.|http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,13/articleid,0643_01_1996_0133_0013_8765076/|Corona di fiori per via Rasella|La Stampa|16 maggio 1996}}</ref>. Il gesto suscitò alcune polemiche: secondo la giornalista [[Fiamma Nirenstein]], esso suggeriva «una equiparazione fra i boia delle Fosse Ardeatine e i partigiani»<ref>{{cita news|Fiamma Nirenstein|http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,16/articleid,0644_01_1996_0135_0016_13163824/anews,true/|Priebke, il processo vada in TV|La Stampa|18 maggio 1996}}</ref>.
 
La morte del ragazzo ha ispirato un'opera dell'artista statunitense [[Cy Twombly]]<ref>{{cita web|url=http://www.twomblysrome.org/pietro_zuccheretti.htm|titolo=Pietro Zuccheretti|editore=twomblysrome.org|accesso=1º febbraio 2015}}</ref>.
 
Nel 2017 il Comune di [[Tolentino]] gli ha dedicato una via<ref>Comune di Tolentino, [http://www.comune.tolentino.mc.it/comunicati-cms/intitolazione-nuove-vie-2/ Intitolazione nuove vie], 14 marzo 2017.</ref>.
 
== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
{{div col}}
;Saggi e articoli
* {{cita libro|Attilio|Ascarelli|Le Fosse Ardeatine|1965|annooriginale=1945|Canesi|Roma|cid=Ascarelli 1965}} Nuova edizione, con la collaborazione di Beniamino Carucci, Delia Malfè, Antonio Racioppi. Seguono scritti e discorsi relativi alla celebrazione del ventennale dell'eccidio ardeatino, della liberazione di Roma e degli atti del processo Kappler.
* {{cita libro|Cesare|De Simone|Roma città prigioniera. I 271 giorni dell'occupazione nazista (8 settembre '43 - 4 giugno '44)|1994|Mursia|Milano|isbn=88-425-1710-0|cid=De Simone 1994}}
* {{cita libro|Robert|Katz|wkautore=Robert Katz|Morte a Roma. La storia ancora sconosciuta del massacro delle Fosse ardeatine|1968|annooriginale=1967|Editori Riuniti|Roma|cid=Katz 1968}}
** Riedizione: {{cita libro|||Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine|2004|Il Saggiatore|Milano|edizione=6|isbn=88-515-2153-0|cid=Katz 2004}}
* {{cita libro|Robert|Katz|Roma città aperta. Settembre 1943 - Giugno 1944|2009|annooriginale=2003|Il Saggiatore|Milano|isbn=88-565-0047-7|cid=Katz 2009}}
* {{cita libro|Pierangelo|Maurizio|Via Rasella, cinquant'anni di menzogne|1996|Maurizio Edizioni|Roma|isbn=no|cid=Maurizio 1996}}
* {{cita libro|Paolo|Monelli|wkautore=Paolo Monelli|Roma 1943|1993|annooriginale=1945|Einaudi|Torino|isbn=88-06-13377-2|cid=Monelli 1993}}
* {{cita pubblicazione|autore=Gian Paolo Pelizzaro|data=marzo 2009|titolo=...E Pietro, 12 anni, saltò. In aria...|rivista=Storia in rete|numero=41|pp=42-47|url=http://www.storiainrete.com/wp-content/uploads/2009/02/05-via-rasella-pdf.pdf|cid=Pelizzaro 2009}}
* {{cita pubblicazione|autore=Gian Paolo Pelizzaro|data=giugno 2012|titolo=Via Rasella, un caso ancora aperto. A 70 anni dall'attentato|rivista=Storia in rete|numero=80|pp=26-33|url=http://www.storiainrete.com/8946/in-primo-piano/via-rasella-un-caso-ancora-aperto-a-70-anni-dallattentato/|cid=Pelizzaro 2012}}
* {{cita libro|Paolo|Pezzino|wkautore=Paolo Pezzino|Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca|2007|annooriginale=1997|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11877-2|cid=Pezzino 2007}}
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|2012|annooriginale=1999|Feltrinelli|Milano|isbn=978-88-07-72342-1|cid=Portelli 2012}}
* {{cita pubblicazione|autore=Giorgio Resta, [[Vincenzo Zeno-Zencovich]]|data=novembre 2013|titolo=Judicial "Truth" and Historical "Truth": The Case of the Ardeatine Caves Massacre|rivista=Law and History Review|volume=31|numero=4|pp=843-886|url=http://www.scribd.com/doc/185383198/GIORGIO-RESTA-AND-VINCENZO-ZENO-ZENCOVICH-Judicial-Truth-and-Historical-Truth|issn=0738-2480|cid=Resta e Zeno-Zencovich 2013|lingua=en}}
* {{cita libro|Joachim|Staron|Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche|2007|annooriginale=2002|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11518-8|cid=Staron 2007}}
* {{cita libro|Giuseppe|Tucci|capitolo=La diffamazione dei partigiani: il caso Bentivegna|Riparare Risarcire Ricordare. Un dialogo tra storici e giuristi|curatore=Giorgio Resta e Vincenzo Zeno-Zencovich|2012|Editoriale Scientifica|Napoli|pp=317-339|ISBN=978-88-6342-415-7|cid=Tucci 2012}}
 
;Memorie
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|wkautore=Rosario Bentivegna|Achtung Banditen! Roma 1944|1983|Mursia|Milano|cid=Bentivegna 1983}}
** Riedizione: {{cita libro|||Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella|2004|Mursia|Milano|isbn=88-425-3218-5|cid=Bentivegna 2004}}
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|coautori=Cesare De Simone|Operazione via Rasella. Verità e menzogne|1996|Editori Riuniti|Roma|isbn=88-359-4171-7|cid=Bentivegna e De Simone 1996}}
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista|altri=con [[Michela Ponzani]]|2011|Einaudi|Torino|isbn=978-88-06-20690-1|cid=Bentivegna 2011}}
* {{cita libro|Matteo|Mureddu|Il Quirinale del re|1977|Feltrinelli|Milano|cid=Mureddu 1977}}
{{div col end}}
 
{{Rasella-Ardeatine}}
 
{{Portale|Roma|seconda guerra mondiale}}
 
[[Categoria:Attentato di via Rasella]]
[[Categoria:Sepolti nel cimitero del Verano]]