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[[File:Processo Kappler.jpg|thumb|upright|Kappler dinanzi al tribunale militare di Roma]]
Nel 1948 fu celebrato il processo a carico del tenente colonnello (''SS-[[Obersturmbannführer]]'') [[Herbert Kappler]] e di alcuni dei suoi subordinati del [[Sicherheitsdienst|servizio di sicurezza]] che avevano partecipato all'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]]: il maggiore (''SS-[[Sturmbannführer]]'') Borante Domizlaff, il capitano (''SS-[[Hauptsturmführer]]'') Hans Clemens, il maresciallo capo (''SS-[[Hauptscharführer]]'') Johannes Quapp, il maresciallo ordinario (''SS-[[Oberscharführer]]'') Kurt Schütze e il sergente maggiore (''SS-[[Scharführer]]'') Karl Wiedner.
==I capi d'imputazione==
{{Vedi anche|Rastrellamento del ghetto di Roma|Eccidio delle Fosse Ardeatine}}
I capi d'imputazione furono:
* per tutti gli imputati, concorso in violenza con [[omicidio]] [[Reato continuato|continuato]] commesso da militari nemici in danno di cittadini italiani;
* per il solo Kappler, [[estorsione]] [[Aggravante|aggravata]]<ref>{{cita|Buzzelli-De Paolis-Speranzoni 2014}}.</ref>.
== La deposizione di Kappler ==
Il processo avanti al Tribunale Militare di Roma inizio il 3 maggio e si concluse il 20 luglio 1948<ref>{{cita|Algardi 1973|p. 96.}}</ref>. Nella sua deposizione Kappler, dopo aver dichiarato che quello di via Rasella non era «il primo attentato che accadeva a Roma» in quanto prima di esso ben «quindici casi mortali si erano già verificati», descrisse i preparativi dell'eccidio delle Ardeatine<ref>Deposizione di Kappler, citata in {{cita|Algardi 1973|p. 97.}}</ref>. Secondo Kappler, poiché inizialmente si erano reperiti solamente 170 nomi «degni di morte» da includere nella lista dei fucilandi, egli si trovò «costretto ad includere nella lista cinquantasette ebrei», in quanto, disse, «per ogni ebreo che non avessi compreso nell'elenco avrei dovuto prendere gente la cui colpevolezza non avrei potuto dimostrare oppure ricorrere ai centodieci uomini rastrellati in via Rasella. Si trattava insomma di provocare il minor male possibile, dato che gli ebrei erano considerati nostri nemici»<ref>Deposizione di Kappler, citata in {{cita|Algardi 1973|pp. 97-8.}}</ref>.
Rileva Zara Algardi che Kappler conosceva l'italiano, ciononostante si esprimeva esclusivamente in tedesco facendosi tradurre frase per frase dall'interprete; varie volte, durante il suo interrogatorio, egli sottolineò le proprie convinzioni anticomuniste<ref>{{cita|Algardi 1973|pp. 97-8.}}</ref>. Secondo Kappler, don [[Pietro Pappagallo]] (sacerdote trucidato anch'egli alle Ardeatine) era «socio attivo di un gruppo di comunisti». Richiesto dal presidente circa il perché dell'uccisione dei fratelli Cibei, di cui uno aveva quindici anni e l'altro (secondo il magistrato) quattordici, Kappler rispose di non saperne niente: «Sono state fucilate cinque persone in più del previsto. Non ho mai potuto accertare come siano arrivate alle Fosse Ardeatine. Nella polizia italiana non tutto si svolse regolarmente. A Regina Coeli un impiegato spaventato aprì una cella a caso e consegnò i detenuti che v'erano dentro»<ref name="Algardi98">Deposizione di Kappler, citata in {{cita|Algardi 1973|p. 98.}} In realtà Duilio Cibei era nato l'8 gennaio 1929 ed aveva pertanto quindici anni al momento della morte; Gino Cibei era nato il 13 maggio 1924 e aveva dunque diciannove anni. Peraltro, i fratelli Cibei rientravano nella lista dei prigionieri a disposizione delle autorità tedesche, e non invece fra quelli consegnati dalla polizia italiana: cfr. l'[http://www.anfim-nazionale.it/fosse/prkappresentazione.htm elenco dei caduti sul sito Anfim].</ref>.
Kappler affermò che l'eccidio delle Ardeatine si sarebbe evitato se gli attentatori si fossero presentati ai tedeschi oppure se fosse pervenuta un'offerta da parte della popolazione; aggiunse che «da mesi erano affissi i manifesti per gli attentati con la indicazione della rappresaglia da 1 a 10»<ref name="Algardi98"/>. Secondo Zara Algardi, queste affermazioni facevano parte di una strategia processuale concordata da Kappler con alcuni dei suoi difensori, finalizzata a «stornare l'odio della popolazione romana sugli autori dell'attentato» e sui loro dirigenti politici. Sempre secondo l'Algardi, «la manovra non riuscì poiché si sapeva che i manifesti di cui parlava l'imputato erano stati affissi, due mesi prima, per soli due giorni; e che nessun manifesto del genere era stato affisso dopo l'attentato di via Rasella»<ref>{{cita|Algardi 1973|p. 98.}}</ref>.
Kappler asserì di avere fatto «il possibile per ridurre al minimo la rappresaglia» e che «la cittadinanza romana, del resto, aveva sempre facilitato gli atti terroristici»<ref>Deposizione di Kappler, citata in {{cita|Algardi 1973|p. 99.}}</ref>.
Mentre Kappler descriveva nel dettaglio le modalità di esecuzione dell'eccidio, provennero talora insulti e imprecazioni da parte del pubblico presente in udienza:
{{citazione|Quando Kappler aggiunse, parlando lentamente e freddamente: "Anche il colpo nel cervelletto..." dalle file del pubblico si udì una esclamazione romanesca che il presidente non ebbe il coraggio di reprimere: "Te possino ammazzà!". L'imputato continuò: "Gli ordini non ammettevano che su ogni vittima potesse essere sparato più di un colpo. I prigionieri avevano i gomiti legati dietro la schiena...". Una voce a questo punto risuonò disperata nell'aula: "Vigliacco!" mentre facevano eco i pianti delle madri, delle vedove, dei figli delle vittime presenti in gran numero al processo. Poco dopo, ancora un'altra voce: "Dio ti fulmini, boia!"<ref>{{cita|Algardi 1973|p. 99}}, ove è precisato che queste sono notizie «riferite dalla stampa che seguiva il processo».</ref>.}}
Kappler sostenne di aver rifiutato le offerte di collaborazione da parte di alcuni italiani che (a suo dire) gli si erano proposti per partecipare all'eccidio; affermò inoltre che, da parte delle autorità italiane e vaticane, non vi era stato alcun intervento per scongiurare o dilazionare la rappresaglia. Quando il presidente gli fece notare che le vittime erano state uccise con modalità simili a quelle utilizzate per il [[massacro di Katyn']], l'imputato rispose: «Non è di mia competenza stabilire chi ha fatto eseguire la fucilazione di Katyn»<ref name="Algardi100">Deposizione di Kappler, citata in {{cita|Algardi 1973|p. 100}}. È storicamente accertato che il massacro di Katyń fu opera della [[NKVD|polizia sovietica]].</ref>. Kappler raccontò di essere riuscito a persuadere un suo subordinato, tale Wetjen, a partecipare all'eccidio, vincendo la «ripugnanza» di quest'ultimo:
{{citazione|Allora gli spiegai tutte le ragioni per cui doveva compiere da buon soldato quell'atto. Mi rispose: "Avete ragione, ma la cosa non è facile". "Vi sentireste di sparare un colpo accanto a me?" replicai. Alla sua affermativa risposta gli passai un braccio intorno alla vita e ci recammo insieme nella cava. Egli sparò accanto a me<ref name="Algardi100"/>.}}
== Le deposizioni dei partigiani ==
Furono chiamati a deporre, in qualità di testimoni, diversi partigiani a vario titolo coinvolti nei fatti di via Rasella. Nel corso dell'udienza del 12 giugno 1948 fu ascoltato Rosario Bentivegna, la cui partecipazione all'attentato era stata rivelata da ''[[l'Unità]]'' durante il processo a suo carico per l'uccisione del sottotenente della [[Guardia di Finanza]] Giorgio Barbarisi (conclusosi con un'assoluzione per legittima difesa), mentre i nomi degli altri principali partecipanti all'azione erano allora sconosciuti<ref>Intervista a Rosario Bentivegna a cura di {{cita news|[[Giancarlo Bosetti]]|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1993_01/19930124_0004.pdf|«Così ho vissuto dopo via Rasella»|l'Unità|24 gennaio 1993}}</ref>. In quella che la stampa definì «un'atmosfera densa di elettricità», la madre di una delle vittime delle Fosse Ardeatine, Sparta Gelsomini, gli urlò: «Vigliacco, vigliacco, se ti fossi presentato allora mio figlio non sarebbe stato fucilato!». Bentivegna disse di essere stato all'epoca «un soldato», dichiarando di aver agito su ordine di Giorgio Amendola. Dopo aver illustrato la dinamica dell'azione, sostenne di non essere stato a conoscenza dei bandi tedeschi sulle rappresaglie e rilevò che dopo l'attentato non vi era stata nessuna richiesta ai responsabili affinché si consegnassero, aggiungendo: «Se avessimo ricevuto un simile invito dal comando tedesco, per salvare coloro che poi furono fucilati alle Cave Ardeatine, noi partigiani ci saremmo senz'altro presentati». Alla richiesta dei nomi degli altri gappisti, Bentivegna rifiutò di rispondere. Interrogato sugli obiettivi dell'attentato, affermò: «Essi furono più politici che militari. Non si trattava solo di danneggiare dei reparti tedeschi, ma era necessario far intendere loro che il fatto di non avere rispettato l'accordo stabilito per dichiarare Roma città aperta era per loro stessi molto pericoloso»<ref>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0010_01_1948_0132_0001_24490809/|Depone l'attentatore di via Rasella|La Stampa|13 giugno 1948}}</ref><ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1948_06/19480613_0001.pdf|Depone contro il boia Kappler il partigiano Rosario Bentivegna|l'Unità|13 giugno 1948}} Continuazione: ''[http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1948_06/19480613_0002.pdf Il processo Kappler]''.</ref>. Secondo Zara Algardi, Bentivegna dichiarò: «La colonna dei tedeschi costituiva un obiettivo militare. I tedeschi avevano firmato un armistizio e lo ruppero. Invasero Roma che pertanto divenne obiettivo per i bombardamenti alleati. Facevano arresti e rastrellamenti. Erano soldati tedeschi: ho avuto ordine di attaccarli e li ho attaccati»<ref>Deposizione di Bentivegna, citata in {{cita|Algardi 1973|p. 101.}}</ref>.
Giorgio Amendola depose durante l'udienza del 18 giugno 1948. Segue il suo interrogatorio<ref name=deposizioni>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0010_01_1948_0136_0001_24520933/|La deposizione dell'on. Amendola|La Stampa|19 giugno 1948}}</ref><ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1948_06/19480619_0001.pdf|Depone Giorgio Amendola, capo dei garibaldini romani|l'Unità|19 giugno 1948}} Continuazione: ''[http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1948_06/19480619_0004_04.pdf Depone il compagno Amendola al processo delle Ardeatine]''.</ref>.
{{Cassetto
|titolo= Deposizione di Giorgio Amendola, 18 giugno 1948
|testo=
Amendola:
{{citazione|L'azione di via Rasella? Essa fu preordinata dalla giunta militare del C.L.N. nelle sue linee generali. L'esecuzione pratica del piano venne poi affidata ad altri organi. Perché arrivammo a queste azioni? Chiaro e semplice: I tedeschi non rispettavano la dichiarazione di «città aperta»; noi volevamo costringere i tedeschi ad allontanare i depositi, gli autoparchi, gli accampamenti che avevano costruito nella città e questo per evitare che gli alleati riprendessero i bombardamenti aerei. E così vennero svolte le nostre azioni: a piazza Barberini, a piazza Verdi, a via Tomacelli, a viale Mazzini. Si arrivò, così, a quella di via Rasella. Si era pensato, in un primo momento, di attaccare un corteo fascista che doveva sfilare in occasione della celebrazione della fondazione dei fasci. Poi questo corteo non ebbe più luogo e, così, pensammo di assalire una colonna tedesca. L'azione diventava sempre più necessaria e urgente: bisognava far intendere ai tedeschi che, qualora avessero intenzione di trasformare Roma in un campo di battaglia, essi avrebbero avuto da fare anche con le forze della resistenza.}}
Presidente del tribunale (generale di brigata Euclide Fantoni):
{{citazione|Ma sapevate che agendo in tal modo andavate incontro a delle rappresaglie?}}
Amendola:
{{citazione|In modo specifico no. Sapevamo, però, che in genere i tedeschi usavano l'arma feroce della rappresaglia per tenere sotto una specie di incubo le forze partigiane. Non poteva essere questo a interrompere l'azione della resistenza: ed eravamo decisi ad affrontarla.}}
Presidente:
{{citazione|Ma nel compiere questi attentati vi preoccupavate che non venissero colpiti anche dei civili?}}
Amendola:
{{citazione|Per questo solo motivo usavamo in genere degli esplosivi di limitata capacità e provvedevamo ad avvertire i civili della zona dove l'attentato veniva eseguito. A via Rasella non un civile morì per lo scoppio della bomba: se qualcuno fu colpito lo si deve alla feroce quanto inutile reazione dei tedeschi che non spararono sui gappisti che li avevano attaccati, ma su inermi borghesi.}}
Presidente:
{{citazione|Ma perché non pensaste ad attaccare, successivamente, le carceri di via Tasso e di Regina Coeli per liberare i compagni detenuti?}}
Amendola:
{{citazione|La cosa fu pensata, ma non venne presa in considerazione: i tedeschi avrebbero fucilato i detenuti nelle stesse celle, ammesso pure che l'attacco da parte nostra fosse riuscito. Ci saremmo presentati ai tedeschi se ciò fosse stato necessario, ma da nessuno ci fu chiesto nulla. D'altronde, la nostra salvezza non ci importava per una esigenza personale: noi avevamo il dovere di vivere per continuare nella lotta, cosa che, in realtà, tutti facemmo e molti di noi caddero in azioni successive. Questo per rispondere a coloro che in questi giorni hanno insinuato sul valore dei partigiani.}}
}}
Secondo Zara Algardi, «i difensori di Kappler tentarono accanitamente di far dire al testimone i nomi dei componenti la giunta militare, nella palese intenzione di fare il processo al movimento partigiano, tentativo rinnovato durante le deposizioni di Calamandrei e Salinari - quest'ultimo comandante dei gruppi che avevano operato in via Rasella - con le insistenti domande rivolte a conoscere i nomi dei componenti la loro squadra»<ref>{{cita|Algardi 1973|pp. 101-2.}}</ref>.
Dopo Amendola furono sentiti nell'ordine Franco Calamandrei e Carlo Salinari, i quali come Bentivegna prima di loro rifiutarono di fare i nomi degli altri gappisti che avevano partecipato all'azione (Salinari addusse come motivazione del rifiuto il dover ricevere «un'autorizzazione del mio comandante»). Calamandrei sostenne che come luogo dell'attentato era stata scelta via Rasella in quanto stretta e ritenuta poco frequentata, in modo da non coinvolgere i civili. Il teste Filippo Mancini affermò di aver visto due vittime italiane dell'esplosione, identificandole come «un bambino ed un vecchio»<ref name=deposizioni/>.
Riccardo Bauer, ascoltato il 1º luglio, dopo aver confermato che l'attentato seguiva le direttive generali della Giunta militare del CLN, affermò: «debbo dire che se avessimo supposto che i tedeschi avrebbero reagito in modo così bestiale, non avremmo mosso un dito. Credevamo di combattere un esercito di soldati e non un'accolta di belve»<ref>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,4/articleid,0010_01_1948_0147_0004_24647667/|"Credevamo di combattere soldati e non belve"|La Stampa|2 luglio 1948}}</ref><ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1948_07/19480702_0002.pdf|Tutte le azioni eseguite a Roma furono ordinate dalla Giunta Militare|l'Unità|2 luglio 1948}}</ref>.
== Le richieste del pubblico ministero ==
L'accusa chiese che Kappler venisse condannato all'ergastolo per omicidio continuato aggravato dalla premeditazione e dalla vendetta, più quindici anni di reclusione per aver estorto determinate quantità di oro alla comunità ebraica romana. Per il pubblico ministero l'eccidio delle Fosse Ardeatine non configurava una rappresaglia legittima. L'attentato di via Rasella avrebbe potuto legittimare i tedeschi ad applicare una sanzione collettiva contro la popolazione del territorio occupato, ma l'uccisione di ostaggi innocenti non avrebbe potuto in alcun modo essere ritenuta ammissibile. Kappler, inoltre, non avrebbe potuto invocare l'[[esimente]] di aver obbedito a un ordine, perché «chi include nelle liste di morte un quindicenne e altri quattro innocenti che non avevano raggiunto i diciotto anni è un infanticida e non è un soldato»<ref>Conclusioni del Pubblico Ministero, citate in {{cita|Algardi 1973|pp. 102-3.}}</ref>.
== La sentenza di primo grado ==
All'interno della sentenza di condanna del 20 luglio 1948, emessa contro Herbert Kappler e altri coimputati per la strage delle Fosse Ardeatine, il Tribunale Territoriale Militare di Roma negava la qualifica di legittima azione di guerra dell'attentato di Via Rasella, in quanto non commesso da "legittimi belligeranti":
{{citazione|Secondo il diritto internazionale (art. 1 della Convenzione dell'Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari, i quali ultimi rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona responsabile per i suoi subordinati, abbiano un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi.
Ciò premesso, si può senz'altro affermare che l'attentato di Via Rasella, qualunque sia la sua materialità, è un atto illegittimo di guerra per essere stato compiuto da appartenenti ad un corpo di volontari il quale, nel marzo 1944, non rispondeva ad alcuno degli accennati requisiti<ref>[http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/02sentenza631.aspx Sentenza del Tribunale Territoriale Militare di Roma n. 631 del 20 luglio 1948].</ref>.}}
I partigiani autori dell'attentato non possedevano tutti i requisiti previsti dalla [[Convenzione dell'Aia (1907)|IV Convenzione dell'Aia]] del 18 ottobre 1907 per il riconoscimento della qualifica di legittimi belligeranti anche ai civili organizzati in corpi di volontari, ossia essere comandati da una persona responsabile per i propri subordinati, indossare un segno di riconoscimento fisso riconoscibile a distanza, portare le armi apertamente e condurre le operazioni secondo le leggi ed i costumi di guerra<ref>[https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19070034/201506290000/0.515.112.pdf Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907, IV], "concernente le leggi e gli usi della guerra per terra", allegato "Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra", sezione I, capitolo I, articolo 1. Cfr. [http://www.icrc.org/ihl.nsf/FULL/195?OpenDocument testo in inglese] o [http://www.icrc.org/dih.nsf/FULL/195?OpenDocument in francese].</ref>.
== Gli altri gradi di giudizio e l'esecuzione della pena ==
La mancanza di tali requisiti veniva confermata il 25 ottobre 1952 anche dal Tribunale Supremo Militare, all'interno della sentenza di rigetto del ricorso presentato da Kappler contro la condanna:
{{citazione|L'attentato di Via Rasella, alla luce delle norme di diritto internazionale, si pone in termini di rigorosa linearità: la sua qualificazione non può essere altro che quella di un atto di ostilità a danno di forze militari occupanti commesso da persone che non hanno la qualità di legittimi belligeranti<ref>[http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Documents/sentenza_kappler_TSM_1714_1952.pdf Sentenza del Tribunale Supremo Militare di Roma n.1714, del 25 ottobre 1952], p. 67.</ref>.}}
Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con sentenza n. 26 del 19 dicembre 1953, ribadendo la sentenza del 1952 del Tribunale Supremo Militare di Roma, dichiararono inammissibile il ricorso di Kappler avverso alla sentenza, perché lo stesso Kappler fece arrivare comunicazione di rinuncia al ricorso<ref>[http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/08sentenza26.aspx Sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione n.36 del 19 dicembre 1953].</ref>.
Il Tribunale Supremo Militare di Roma con sentenza in data 25 ottobre 1960 respinse il ricorso presentato da Kappler affinché le quindici uccisioni in più delle Fosse Ardeatine fossero considerate reato almeno in parte "politico", al fine di poter rientrare nei termini dell'amnistia<ref>[http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/13sentenza25-10-60.aspx Sentenza del Tribunale Supremo Militare di Roma in data 25 ottobre 1960].</ref>.
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<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|Zara|Algardi|Processi ai fascisti|1973|annooriginale=1958|Vallecchi|Firenze|cid=Algardi 1973}}
*{{Cita libro|titolo =La ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in Italia. Questioni preliminari|autore1 =Silvia Buzzelli|autore2 =Marco De Paolis|autore3 =Andrea Speranzoni|editore =Giappichelli|città =Torino|anno =2014 |annooriginale=2012|lingua =it |ISBN =978-88-348-4730-5|cid =Buzzelli-De Paolis-Speranzoni 2014}}
*{{Cita libro|titolo =La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013|autore1 =Marco De Paolis|autore2 =[[Paolo Pezzino]]|editore =Viella|città =Roma|anno =2016 |lingua =it |ISBN =978-88-6728-640-9|cid =De Paolis-Pezzino 2016}}
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|2012|annooriginale=1999|Feltrinelli|Milano|isbn=978-88-07-72342-1|cid=Portelli 2012}}
* {{cita pubblicazione|autore=Giorgio Resta, [[Vincenzo Zeno-Zencovich]]|data=novembre 2013|titolo=Judicial "Truth" and Historical "Truth": The Case of the Ardeatine Caves Massacre|rivista=Law and History Review|volume=31|numero=4|editore=|pp=843-886|url=http://www.scribd.com/doc/185383198/GIORGIO-RESTA-AND-VINCENZO-ZENO-ZENCOVICH-Judicial-Truth-and-Historical-Truth|issn=0738-2480|cid=Resta e Zeno-Zencovich 2013|lingua=en}}
* {{cita libro|Joachim|Staron|Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche|2007|annooriginale=2002|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11518-8|cid=Staron 2007}}
;Scritti giuridici
* {{cita pubblicazione|autore=[[Francesco Capotorti]]|titolo=«Rappresaglie» esercitate dall'occupante per atti ostili della popolazione nemica|rivista=Rassegna di diritto pubblico|volume=II|numero=2|editore=Jovene|città=Napoli|data=aprile-giugno 1947|pp=112-125|cid=Capotorti 1947}}
;Note a sentenza
* {{cita pubblicazione|autore=Francesco Capotorti|titolo=Qualificazione giuridica dell'eccidio delle Fosse Ardeatine|rivista=Rassegna di diritto pubblico|volume=IV|numero=1|editore=Jovene|città=Napoli|data=gennaio-marzo 1949|pp=170-192|cid=Capotorti 1949}}
* {{cita libro| nome=Massimo | cognome=Starita | capitolo=XII. International Criminal Law | titolo=The Italian Yearbook of International Law. Volume IX. 1999 | curatore=Benedetto Conforti, Luigi Ferrari Bravo, Francesco Francioni, Natalino Ronzitti, Giorgio Sacerdoti | anno=2000 | editore=Kluwer Law International | città=The Hague - London - Boston | pp=168-74|url=https://books.google.it/books?id=as7VGmAaAk8C&pg=PA171&lpg=PA171&dq=Francesco+Capotorti,+%C2%ABRappresaglie%C2%BB+esercitate+dall%27occupante+per+atti+ostili+della+popolazione+nemica&source=bl&ots=8yK__YPvs6&sig=6O2L9qWk-o0CphSYkrzWgidLOVg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjenv-r4erdAhWP66QKHRYUA8gQ6AEwAnoECAcQAQ#v=onepage&q&f=false | ISBN=90-411-1470-X|lingua=en }}
==Collegamenti esterni==
* {{cita web|url=http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/02sentenza631.aspx|titolo=Sentenza del Tribunale territoriale militare di Roma n. 631 del 20 luglio 1948|sito=difesa.it}}
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