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'''Villa Franzan''', situata nella contrada del [[Barcon]] nel territorio posto a nord-ovest del comune di [[Sarcedo]], è molto più di un complesso residenziale di [[villa]], testimonianza di quell’antica e ormai tramontata “civiltà della villa veneta” che ha lasciato anche a [[Sarcedo]] le sue evidenti tracce. La sua storia non può essere slegata da quella della località in cui fu edificata, tanto che, fin da subito, il nome con cui si indicavano i suoi edifici fu proprio “Il Barcon”; con questo nome la gente del posto chiama ancora oggi il maestoso complesso architettonico, che nel [[XX secolo|Novecento]] ebbe l’importante funzione di ospitare il [[Seminario]] di Padova, anche se esso si trova in uno stato di abbandono e rovina da ormai quattro decenni.
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===La contrada del Barcon===
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La contrada del [[Barcon]], posta nella zona limitrofa del paese, si è conservata per ampi tratti nelle sue caratteristiche originali (soprattutto i campi che si estendono ad est della villa fino al [[torrente]] [[Igna]]), vale a dire di terreno pianeggiante a prevalente funzione agricola, e ha origini molto antiche. Attualmente, la prima attestazione del termine “[[Barcon]]” che emerge dai documenti, si ricava dal [[Balanzon]] (estimo delle case e dei terreni) degli anni [[1541]]-[[1544]], nel quale il nobiluomo Rizzardo Alidosio di Vicenza risulta possedere, oltre a numerose altre proprietà, anche “campi 75 in contrà del Barchon con una teza susso presso la via comuna”. Dobbiamo poi aggiungere un’altra data, che si ricava dall’iscrizione presente nel capitello posto all’angolo di nord-ovest del recinto di mura del [[Barcon]], la quale recita: APPARIZIONE DELLA / B. V. M. / DI [[CARAVAGGIO]] / XXVI MAG. MCDXXXII / ALLA PIA GIANNETTA; anche se non c’è traccia in altri documenti di questo avvenimento del [[1432]], che aggiunge alla località un’aura di sacralità, la data anticiperebbe di ben un secolo la prima datazione di tali luoghi.
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Da queste note si può quindi affermare che questo territorio fu ritenuto importante per i suoi terreni fertili e la sua conformazione geografica e quindi certamente, fin dai tempi antichi, coltivato e abitato dall’uomo.
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Proprio la sua antica origine ha fatto sì che il termine “[[Barcon]]” (che in breve significa “grande recinzione di campi”) oltre alla contrada del paese, andasse ad indicare anche la grandiosa struttura architettonica lì edificata dai [[Franzani]] intorno al [[1665]] con il recinto di campi annesso.
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===La villa===
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I [[Franzani]] (Franzan) erano originari del [[Lago di Como]] ed immigrarono a [[Thiene]] verso la fine del [[Cinquecento]] per svolgere la loro attività di commercianti di panni (“merzari”); col tempo accumularono molte fortune e investirono i loro capitali nell’acquisto di numerosi appezzamenti di terreno nei paesi limitrofi a [[Thiene]]. Più tardi coronarono la loro ascesa sociale acquistando il titolo nobiliare.
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L’unica datazione certa che possediamo del complesso edilizio del [[Barcon]] è quella relativa all’erezione della chiesetta di S. Antonio, anno [[1666]]. La [[villa]] fu sicuramente costruita nello stesso periodo, se non addirittura prima di tale data, visto che nel [[1665]] il conte Domenico Franzani denunciò di possedere a [[Sarcedo]] “una pezza di terra arrativa piantada et videgada posta nelle sudette pertinenzie in contrà del [[Barcon]] con casa sopra dominicale da me habitata [...], de campi cento quarantacinque quarti uno tavole novanta nove”. A questi 145 campi se ne aggiungevano altri quattordici circa, per un totale di quasi 160 campi solo in questa contrada; complessivamente i campi posseduti da Domenico a [[Sarcedo]] sommavano a 395 circa.
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Una mappa del [[1673]] mostra il [[Barcon]] come doveva presentarsi in quegli anni, una volta ultimato il progetto edilizio.
Da questa straordinaria mappa appare, a volo d’uccello, un complesso signorile davvero imponente: il corpo della [[villa]] padronale, residenza dei [[Franzani]], si presenta tale e quale a come lo si può ancora vedere oggi; parte in linea con il palazzo e parte ad angolo retto con esso si trovavano le [[barchesse]] con un lunghissimo [[porticato]] ad archi che, ad un certo punto, era interrotto da una [[torre colombara]] alta, all’incirca, come la [[villa]]; c’era, inoltre, una terza ala di edifici a sud. In tutti questi edifici rustici dovevano trovar posto le stalle, i fienili e gli appartamenti dei lavoratori che servivano alle funzioni di carattere agricolo del complesso. Sono indicati anche i due accessi alla corte chiusa da un alto muro di cinta a ponente: un portello più piccolo e un portone grande, che si sono mantenuti nel corso dei secoli; a nord si vede l’oratorio di [[Sant’Antonio]] affacciato sulla strada e l’area, recintata sempre da muro, che era adibita all’orto.
Il noto storico dell’arte vicentino, Renato Cevese, afferma che villa Franzan è enorme e che le dimensioni “sono eccezionali anche per una villa seicentesca”. Essa è composta da tre piani caratterizzati da quattordici finestre (che si possono contare sulla mappa appena illustrata) e da una porta d’ingresso al pianterreno, da quattordici finestre e una grande finestra curvilinea con [[balaustra]] sormontata da testa umana al [[piano nobile]], e da quindici finestre nella soffitta. Tali finestre sono singole alle estremità, binate le altre e assai ravvicinate le quattro centrali, affiancate alla porta o alla grande finestra; questo ritmo compositivo è ripetuto nelle due [[facciate]] della [[villa]], ma quella rivolta a sud è arricchita da un [[frontone triangolare]]. Un altro frontone triangolare conclude il fianco della villa rivolto ad ovest, che si affaccia sulla strada; vi si trovano due finestre per ogni piano, ma quelle al piano nobile sono entrambe ingrandite da [[balaustra]] e adorne di testa umana nella chiave dell’arco. Il Cevese considera tale fianco il “momento architettonicamente più alto” dell’edificio e afferma: “esso acquista bellezza per la rada tessitura degli elementi, distanziati in senso orizzontale e verticale, per la varietà delle forme e la felicità di tutti i rapporti”.
 
La pianta della [[villa]], che si ripete al pianterreno e al [[piano nobile]], è composta da una grande e lunga sala mediana, parallela alla fronte meridionale, che si combina con il vano d’ingresso della fronte a nord, dando vita a “una figura spaziale crociata”; a sinistra della sala maggiore si trovano sale minori, mentre a destra c’è “il solenne scalone, a due rampe piuttosto ripide, coperto da soffitto a [[volte]] altissime”. Questo contesto planimetrico “che nell’innesto dei due spazi mediani trovava una soluzione di spiegata monumentalità”, a giudizio del Cevese “non appare consueto nel panorama dell’architettura seicentesca locale”.
Considerati i caratteri stilistici della [[villa]] e dell’oratorio, Renato Cevese conclude ipotizzando come autore, dell’una e dell’altro, l’architetto [[Antonio Pizzocaro]]. Di conseguenza, una costruzione dall’aspetto sobrio e severo, ma allo stesso tempo grandiosa e monumentale che si imponeva incontrastata, con i suoi annessi rustici e l’oratorio gentilizio, sulla campagna del [[Barcon]].
 
La [[villa]] fu anche decorata all’interno, pur non raggiungendo mai livelli artistici paragonabili a numerose altre ville venete: oltre alle travature dipinte, “che concorrono ad attribuire alla villa un aspetto di aulica magnificenza”, alcune stanze al piano nobile recano fregi affrescati sotto il soffitto, risalenti alla fine del [[Seicento]] o agli inizi del [[XVIII secolo|Settecento]].
 
===Il recinto del Barcon===
Un’altra mappa del tempo del [[1675]], ci fa comprendere meglio come si configurava l’intera area del [[Barcon]] a fine [[Seicento]]; tale mappa fu disegnata in seguito alla supplica inoltrata dai conti [[Franzani]] agli Ufficiali alle Rason Vecchie di [[Venezia]] per sistemare il recinto di campi del [[Barcon]] e le strade che lo servivano.
Essa mostra che il progetto, in seguito realizzato, era quello di costruire un unico grande quadrilatero, cinto da muro, all’interno del quale si venivano a trovare la [[villa]] con le barchesse e la chiesetta, assieme all’altra unità residenziale della Palazzina, anch’essa all’epoca di proprietà dei [[Franzani]]; questo diverrà propriamente il recinto del [[Barcon]] di cui ancora oggi rimangono evidenti tracce. Soprattutto va notato che, al posto della tortuosa strada a levante, si doveva dar vita ad una diritta e lunga strada che chiudeva il recinto da quel lato. Di questa strada, che nel catasto austriaco ottocentesco verrà poi chiamata “di dietro al Barcon”, non rimangono oggi tracce, ma si possono ancora vedere alcuni residui della muraglia che la costeggiava.
 
Per quanto riguarda l’antica casa padronale denominata Palazzina posta a [[nord]] della villa e non molto lontano da essa, si nota che nel [[Seicento]] appare dotata di [[colombara]], [[barchesse]], [[orto]] e [[corte]], il tutto cinto da mura: questi caseggiati hanno subìto negli anni varie modifiche (le ultime si sono ultimate in questi mesi), ma si è conservato, ad esempio, il grande [[Arco (architettura)|arco]] a ponente che permette l’accesso alla proprietà dalla strada proveniente da [[Thiene]].
 
Per finire questo sguardo sul passato degli edifici e del territorio del [[Barcon]] ci viene in aiuto la mappa d’avviso napoleonica del comune di [[Sarcedo]], datata [[1809]].
Nella precisa e razionale visione dall’alto dei rilievi della mappa si può intuire chiaramente la mole della [[villa]] e la più esile linea rappresentante le barchesse, i porticati e i caseggiati rustici che in due ali chiudevano il cortile a nord e a est; è importante notare che non sono più presenti gli edifici a [[mezzogiorno]], smantellati nel corso del [[XVIII secolo|Settecento]], probabilmente in conseguenza di una minore attività produttiva del complesso. Si scorge, inoltre, la superficie quadrata della torre colombara che, da un lato, testimonia la sua esistenza ancora a questa data (e vi rimmarrà per gran parte dell[[’800]]) e, dall’altro, conferma la veridicità delle rappresentazioni seicentesche del complesso edilizio. Interessante è rilevare anche il grande rettangolo formato dai 57 campi “recinti di muro”, compreso tra le quattro strade che lo chiudono lungo i quattro punti cardinali, frutto della sistemazione della proprietà operata dopo il [[1675]].
 
Questa possessione, con poche altre aggiunte, è tutto ciò che rimane nel territorio di [[Sarcedo]] al ramo dei “[[Franzani]] del [[Barcon]]” agli inizi dell'[[XIX secolo|Ottocento]], del corpo dei quasi quattrocento campi posseduti da Domenico Franzani nel [[1665]]; di lì a qualche anno, nel [[1818]], l’ultimo erede, don Francesco Franzani, si renderà artefice della vendita del complesso di edifici del Barcon.
 
===La chiesetta di S. Antonio===
Sono complessivamente tre i luoghi di culto che furono in funzione nel complesso del [[Barcon]]. L’ultimo e il meno interessante dal punto di vista artistico fu edificato nella seconda metà del [[XX secolo|Novecento]] per ovviare alle esigenze della numerosa comunità del [[Seminario]] minore di [[Padova]]; tale cappella fu aggiunta all’estremità orientale dell’ala di edifici in linea con il palazzo.
 
Al [[piano nobile]] della [[villa]], invece, i [[Franzani]] costruirono nel [[Seicento]] la loro cappella privata, dedicata all’Immacolata, che rimase in funzione fino ai tempi del Seminario quando veniva utilizzata dai professori-sacerdoti.
 
La più importante, artisticamente ma anche storicamente, fra le tre costruzioni religiose al Barcon, fu l’oratorio gentilizio dedicato all’[[Immacolata Concezione di Maria]] e a [[S. Antonio da Padova]]. Tale oratorio si affaccia sulla strada del Barcon, a poche decine di metri dalla villa, e presenta una porta d’ingresso a [[frontoncino triangolare]], incorniciata fra quattro [[lesene]] [[corinzie]] che, a loro volta, reggono il [[frontone triangolare]]. All’interno esso presenta l’aula coperta da [[volta a botte]] e il [[presbiterio]] da [[volta a crociera]]; l’altare seicentesco, intarsiato di marmo, è adornato da una pala dell’Ottocento rappresentante Sant’Antonio al quale appare la Vergine. Secondo il Cevese “la sicurezza dei rapporti e la raffinatezza delle sagome non possono essere spiegate se non con l’intervento di architetto assai provveduto” che egli identifica, come detto, in [[Antonio Pizzocaro]].
Sopra l’altare della chiesa, in una lastra di marmo nero, si trova incisa la seguente iscrizione:
 
D. V. T./
IM CONCEP. B.V.M. AC D. ANTONIO PAT./
D. NICUS PR ET ANGELUS EQS FIL. FRANZANI/
EX COMITIBS MEDUNAE/
PIETATE DUCTI VIRTUTE FORTUNAM/
ADEPTI P. P./
ANNO D.NI MDCLXVI
 
“A Dio Uno e Trino – all’Immacolata Concezione della B. V. Maria e al divo Antonio da Padova – il Sig. Domenico padre e il Cav. Angelo figlio Franzani – dei Conti di [[Meduna]] – mossi da devozione – avendo conseguito una fortuna con la loro operosità – posero – l’anno del Signore [[1666]]”.
 
L'iscrizione, l’unica che ci è rimasta del complesso del Barcon, è molto importante e non solo perché ricaviamo la datazione dell’oratorio: questa scritta conferma innanzitutto che questo ramo dei [[Franzani]], divenuti conti nell’anno [[1661]], aveva conseguito un’enorme fortuna grazie al lavoro, alla mercatura, e ne era cosciente tanto da dichiararlo pubblicamente e con orgoglio; inoltre ci fa capire che una figura importante nell’ideazione della residenza signorile e della chiesetta fu il cavalier Angelo, figlio di Domenico, laureato in Filosofia e Legge, che evidentemente frequentò il mondo dei letterati, i salotti e le [[accademie]], e mise a frutto le proprie esperienze e qualità per nobilitare l’immagine e l’onore della propria famiglia.
 
Questa la descrizione che dell’oratorio fece l’arciprete di [[Sarcedo]], don Francesco Zasa, in occasione della sua visita ufficiale al Barcon, il [[19 settembre]] [[1668]]: esso “consta di legiadrissima architettura; ornato di statue sopra al frontespiccio con un bellissimo altare et antepetto di pietre macchiate et impresse frà varijssimi intagli et quello che fa al caso meo con le fenestre et meze lune politissimamente vedriate con l’altare portatile sacro con tre nuove et belle tovaglie, croce, et candilieri d’ottone nuovi et Secreta. La Sacristia col suo banco con cinque paramenti con camise nuove; un calice non molto grande ma dorato et bello; un bel missale, et uno da morto con signali; et altre galaterie d’ornamenti si nella sacrestia come nella Chiesa. Li paramenti sono di seta et di cinque colori cioè bianco, rosso, verde, paonazzo et nero con le sue borse et veli compagni et corporali et purificatori et cordone bianco. V’è un zenochiatorio con la tabella per la preparazione alla messa onde ho scorto esser d’avvantaggio provisto per poter esser ammesso all’attitudine che vi sia celebrato; et ciò attesto con mio giuramento così essendo la verità”.
La chiesetta di S. Antonio fu beneficiata, negli anni, di ben due cappellanie; l’obbligo di celebrare messa fu sicuramente motivo di prestigio per questo oratorio così lontano dalla chiesa parrocchiale di [[Sarcedo]] e al quale si recavano, come si deduce da vari documenti, molte persone. Le due mansionerie crearono però anche problemi e preoccupazioni a chi, nella seconda metà del [[XVIII secolo|Settecento]] e agli inizi dell’[[XIX secolo|Ottocento]], si trovò obbligato, per motivi ereditari, a garantire lo svolgimento regolare delle messe in tempi in cui le somme di denaro predisposte all’epoca non erano più sufficienti.
 
La prima mansioneria fu istituita dal conte Domenico, nel suo [[testamento]] in data [[26 agosto]] [[1671]]: “Alla mia chiesa del Barcon [...] lascio che al reverendo Sacerdote che quella officierà ducati sessanta all’anno da esser quelli datti dall’infrascritto mio herede ogn’anno à sua ellettione o’in danari, o con l’assegno de livelli o campi della sudetta rendita et in caso li fosse assegnato campi, che li lavoradori sian obbligati farli tutte le aradure che li farà bisogno, dovendo il sacerdote celebrare la sudetta messa ogni giorno, concedendoli però un giorno di libero alla settimana, applicando il sacrificio di quella secondo la mia intentione, pregandolo ad assister al Terzetto et alla Dottrina”.
 
Il secondo obbligo di messa fu voluto dall’abate don Girolamo Franzani, nipote di Domenico, come da [[testamento]], e consisteva nella celebrazione di cinque messe alla settimana con l’aggiunta di altre due messe ''infra mensem''; questa cappellania iniziò ad essere officiata dall’anno [[1743]]. Don Girolamo designò erede universale dei suoi beni la [[Pia Opera di Carità]] di [[Vicenza]] la quale, infatti, si vedrà essere garante dei pagamenti stabiliti per le messe ancora alla metà dell’[[XIX secolo|Ottocento]].
Con queste due mansionerie, che prevedevano sostanzialmente la celebrazione di ben due messe quotidiane, l’oratorio di Sant’Antonio al [[Barcon]] divenne sicuramente un importante luogo di culto e di preghiera, posto praticamente a metà strada tra la parrocchiale di [[Sarcedo]] e quella di [[Thiene]].
 
===Le Dame Inglesi al Barcon===
Dopo che l’ultimo erede [[Franzani]] “del ramo del [[Barcon]]” vendette la proprietà nel [[1818]], si chiuse un’epoca per lo storico complesso architettonico: il Barcon subì nell’[[XIX secolo|Ottocento]] alterne vicende con continui passaggi di proprietà e smembramenti della stessa tra più soggetti, che lo porteranno gradualmente a una perdita di importanza e di valore, fino all’acquisto da parte delle [[Dame Inglesi]] di [[Vicenza]], nel [[1877]].
 
Questo Istituto attuò una notevole opera di restauro dell’intero complesso edilizio caduto nel frattempo in rovina, e ne avviò anche la [[ristrutturazione]] secondo le nuove funzioni che esso veniva ad assumere, cioè quello di sede di villeggiatura estiva di un collegio educativo.
 
Come racconta la cronaca dell’Istituto, le Dame Inglesi fecero il loro ingresso ufficiale al [[Barcon]] il [[20 settembre]] di quello stesso anno [[1877]]. Esse arrivarono con il treno a [[Thiene]] e furono accolte dalla popolazione che le ricevette calorosamente, accompagnandole dalla [[stazione]] fino alla località detta “Bosco dei preti”; da lì proseguirono per il vicino paese di [[Sarcedo]], raggiungendo quindi la loro villa. Anche i cittadini di Sarcedo accolsero le Dame con molto entusiasmo e si fece stampare per l’occasione il seguente volantino celebrativo:
 
OGGI XX SETTEMBRE MDCCCLXXVII IN SARCEDO/
S’INAUGURA L’APERTURA DEL COLLEGIO/
DELLE DAME INGLESI/
QUESTO LUOGO AVVILITO/
ABBANDONATO ALLA PROFANAZIONE DEL TEMPO/
RISORGE A VITA NOVELLA/
QUI VALOROSO DUCE/
QUI CELEBRI INSTITUTRICI SAPIENTEMENTE DIRETTE/
QUI IL FIORE DELLE GIOVINETTE EDUCANDE/
QUI TUTTO FESTA ALLEGREZZA SPERANZA/
SI FAUSTO GIORNO VERRA’ SEGNATO/
SU BIANCA PIETRA/
A NON PERITURA MEMORIA/
 
Le Dame Inglesi erano quindi riuscite in pochi mesi, sotto la sapiente guida della superiora suor Teresa Surlera, a mettere a nuovo il complesso residenziale, riportandolo agli antichi splendori. Questa monumentale opera di [[restauro]] era costata non poco impegno, soprattutto sotto l’aspetto economico: sistemazione della mura di cerchia della possessione, messa a nuovo della mura dell’orto, restauro del palazzo, costruzione di “nuove adjacenze, latrine e cisterna”.
 
Il risultato fu però davvero notevole, come testimoniato da un [[disegno]] dell’epoca, che mostra la parte signorile del complesso: la [[villa]] fu magnificamente adornata da tre [[statue]] sul frontone triangolare e da [[obelischi]] ed altri elementi decorativi sul [[cornicione]]; l’ala in linea col palazzo era stata trasformata, pare, in [[dormitorio]] o forse si erano ricavate delle aule per far scuola; a levante rimaneva un porticato ad archi dove sicuramente si trovavano le stalle e poi, nella parte più a meridione e quindi lontana dalla villa, gli appartamenti per i lavoratori.
Il Rumor, nella sua commemorazione funebre della Surlera, disse che “a lei entusiasta della natura, a lei che aveva un senso squisito del bello, cui un fiore, un fil d’erba rendeva contenta, la vita del Parco era una festa continua. Quivi ella profuse con larghezza anche del suo e assicurò alle alunne presenti e future una ricreazione signorile, al collegio una magnifica villa”.
 
Un’ulteriore conferma, e delle deplorevoli condizioni del complesso prima dell’acquisto da parte delle Dame Inglesi, e dello splendore riacquistato dopo l’opera di restauro, viene dal sonetto che il poeta [[Giacomo Zanella]], negli ultimi anni della sua vita preside della scuola dell’Istituto, indirizzò a Teresa Surlera il [[28 settembre]] [[1877]], pochi giorni dopo l’insediamento al [[Barcon]]. Esso recita:
 
“Qui, dove di fanciulle allegra schiera/
Nell’aperta dei campi aura vitale,/
Della rosata sanità primiera/
Va ritemprando il fior soave e frale,/
 
Era di tetti un’obliata e nera/
Cadente nudità: per l’ampie sale/
Battagliavano i venti e la buféra/
Ruggìa nel sen delle deserte sale./
 
Chi lo squallente e affumicato ostello/
Rese all’aura ed al sole, e di colori/
Valse a rifarlo luminoso e bello?/
 
Amor materno: amor che in ermo lido/
E fin dell’Alpe fra i selvaggi orrori/
Tesse alle amanti colombelle il nido.”/
 
Questo componimento fu fatto scolpire sul marmo e poi posto nella villa da diciotto ex allieve della Surlera nel [[1892]], in occasione del 40° anniversario di superiorato.
Come si è visto citando il Rumor, quando il [[Barcon]] venne acquistato dalle Dame il suo nome venne cambiato ufficialmente in “il Parco”; a dare tale suggerimento alla superiora fu proprio lo Zanella. D’altronde egli si recava spesso, durante le vacanze estive, alla villeggiatura delle Dame; proprio da lì, sempre in quel [[1877]], egli aveva accompagnato le alunne in visita al [[museo geologico]] di [[Villa Piovene a Lonedo di Lugo]], in seguito alla quale occasione egli compose “Le Palme Fossili”, uno dei suoi più celebri componimenti.
 
===Il Barcon sotto la Diocesi di Padova===
Trent’anni dopo, per il [[Barcon]] giunse un nuovo passaggio di proprietà che ne inaugurò l’ultima gloriosa stagione: l’acquisto da parte della [[Diocesi di Padova]].
 
A [[Thiene]], nel [[1888]], aveva aperto la propria sede il Collegio Vescovile di Padova grazie all’interessamento diretto dell’allora [[vescovo]], cardinale Giuseppe Callegari; fu acquistato a tale scopo uno stabile di proprietà del Comune presso la chiesetta della Concezione delle ex monache Dimesse, che ospiterà più tardi l’istituto medico pedagogico “Nordera”.
Il collegio arrivò ad ospitare in pochi anni oltre un centinaio di convittori e acquisì la fama di ottimo istituto. La sede, però, si rivelò ben presto poco opportuna sia per l’impossibilità di ampliare ulteriormente i locali, sia perché la contrada era rumorosa e resa insalubre dalla vicinanza di alcune industrie.
 
Nel [[1907]] fu eletto il nuovo vescovo di [[Padova]], monsignor Luigi Pellizzo, che si recò in visita al collegio il [[5 maggio]] dello stesso anno; egli conosceva sicuramente le nuove esigenze poste dalla struttura e probabilmente proprio in seguito a quella visita decise di ricercare una nuova sede, individuandola proprio nel [[Barcon]] di [[Sarcedo]]. Da alcune lettere di corrispondenza tra il rettore del Collegio Vescovile e la superiora delle [[Dame Inglesi]] relative a quell’[[estate]], si ricava che le trattative erano già a buon punto, tanto che si cita il progetto di apportare delle modifiche allo stabile, in modo tale da adattarlo alle nuove funzioni che il collegio doveva svolgere.
I lavori consistettero nell’abbattimento di alcune pareti e nell’innalzamento di altre per creare nuove stanze; da questa corrispondenza emerge anche che il rettore si trovò in difficoltà con l’istituto poiché, ad esempio, si tardava a sgombrare il palazzo e le adiacenze dai mobili ed altri oggetti di proprietà delle Dame. D’altronde il collegio doveva aprire nella nuova sede il 4 novembre di quell’anno e si aspettavano 130 fanciulli da collocare nel palazzo, senza contare i prefetti, e una ventina di professori che avrebbero preso posto nella “palazzina” lì vicina.
 
Erano quindi in corso grandi lavori di ampliamento, adattamento e restauro; l’acquisto del [[Barcon]] da parte del vescovo Pellizzo fu ufficialmente sancito dal contratto redatto il [[9 dicembre]] [[1907]], per una cifra di £. 150.000.
La nuova sede del collegio mantenne la vecchia denominazione di “Collegio Convitto Vescovile di Thiene” pur trovandosi nel comune di [[Sarcedo]] e, per di più, sotto la [[Diocesi di Vicenza]]. Il problema relativo alla diocesi di appartenenza venne risolto da un decreto della [[Sacra Congregazione Concistoriale]] datato [[22 aprile]] [[1912]], il quale stabiliva che il territorio del Barcon sarebbe passato sotto la giurisdizione del vescovo di Padova “fino a quando esso resterà in dominio o almeno in uso di collegio o seminario vescovile”. Per questo motivo nei documenti del tempo, nelle foto e nelle cartoline, si parla sempre de “il Barcon di Thiene”.
 
L’anno seguente, [[1913]], si festeggiò il 25° anniversario della fondazione del collegio, la cui celebrazione viene così descritta nel Liber Chronicus dell’[[archivio]] parrocchiale di [[Thiene]]: “La festa del XXV° riuscì splendidissima. Al mattino ebbe luogo la [[Messa]] di mons. Vescovo, sulle 10 fu prodotto il melodramma “Salvatorello” del maestro Sanffredini, eseguito dai convittori del Collegio. Al dopo pranzo si ebbe il saggio ginnastico intercalato negli esercizi delle varie squadre da marce della Banda S. Gaetano. Chiusero la festa splendidi fuochi ed illuminazione del Collegio a palloncini.”
Fu una giornata importante alla quale parteciparono tutto il clero di Thiene e numerose e distinte personalità.
 
In occasione di questo anniversario fu pubblicato un opuscolo celebrativo molto interessante e ricco di fotografie, che tracciava brevemente la storia del collegio; in esso si dice che il collegio di Thiene nella sua nuova sede era “uno dei più comodi e igienici istituti di educazione”, e viene così descritto: “Il Collegio sorge in mezzo all’aperta campagna, è circondato da prato e orto con numerosi e spaziosi cortili. L’area di proprietà del Collegio è chiusa da muro di cinta. Il fabbricato è formato di due lati che si tagliano verso l’estremità ad angolo retto volto a mezzogiorno, di cui uno misura m. 164 di lunghezza e m. 15 di larghezza, l’altro m. 140 di lunghezza e m. 15,10 di larghezza. Inoltre alla distanza di circa m. 50 vi è una sala capace di una dozzina di letti, che serve come infermeria d’isolamento nelle malattie contagiose.
Tutto il mobilio fu completamente rinnovato, ottenendosi in pari tempo uniformità, comodità ed una certa eleganza.
Il Collegio è fornito di luce e forza elettrica, di acquedotto, di lavanderia, di forno, il quale dà un ottimo pane di farina di puro frumento, che si acquista dal Collegio e si macina nel molino elettrico del [[Seminario]] di Padova”.
 
Per quanto riguardava l’istruzione, ecco come continua la pubblicazione: “Alle scuole ginnasiali furono aggiunte le tecniche e le preparatorie, e quest’anno anche la prima liceale. L’arredamento scolastico e ginnastico non lascia nulla a desiderare. Vi è un buon gabinetto di scienze naturali, che soddisfa ai bisogni delle materie che si insegnano, ed una sala destinata alla biblioteca del Collegio, che raccoglie già parecchi volumi.
La prova migliore che il Collegio Vescovile di [[Thiene]] corrisponde ad ogni esigenza di buon istituto di educazione e d’istruzione si ha nel numero sempre crescente di convittori, e nell’esito degli esami pubblici, che molti alunni sostengono presso gli istituti regi”.
 
Nell’anno scolastico [[1907]]- [[1908]] erano presenti 146 convittori e 27 esterni, mentre nel [[1912]]-[[1913]] il numero dei convittori era salito a 252 con 10 esterni.
Tra l’agosto e il settembre del [[1913]], per la prima volta, i chierici del [[Seminario]] di Padova vennero a passare le vacanze al [[Barcon]], e fu stabilito che questa sarebbe stata in avvenire la loro ordinaria ed obbligatoria sede di villeggiatura estiva; prima di tale anno, infatti, essi passavano le vacanze in famiglia.
 
===Le trasformazioni del Barcon===
Fu in quegli anni, che vanno dal [[1907]] al [[1913]], che il complesso signorile di villa Franzan subì, dopo quelle ottocentesche, ulteriori e definitive modifiche e si trasformò nel [[Barcon]]: oggi, infatti, per “Barcon” si intende il complesso degli edifici, senza distinguere tra palazzo signorile con chiesetta seicenteschi e stabili costruiti nel [[XX secolo|Novecento]].
Per arrivare allo stato attuale del complesso, non solo furono abbattute tutte le adiacenze rustiche, ma anche la situazione interna del palazzo fu stravolta per soddisfare le esigenze dell’apparato amministrativo del Collegio, prima, e del [[Seminario]], poi. Il Cevese definisce “incresciosa” la suddivisione della sala mediana al [[piano nobile]], conseguente a tali lavori, in quanto essa portò ad un “penoso smembramento” del piano stesso; anche il fianco della [[villa]] che dà sulla strada fu modificato in seguito a tali lavori, ricavando una finestrella curvilinea inserita in una [[triade]] tra le due finestre maggiori, e aggiungendovi lo stemma del vescovo Pellizzo.
 
E’ a questo punto doverosa una chiarificazione dei mutamenti architettonici subiti, che di sicuro fecero perdere una parte dell’antico valore storico-artistico al complesso, ma che furono anche necessari per adempiere alle nuove funzioni che il Barcon fu chiamato a svolgere. Da alcune fondamentali foto, tratte dalla già citata pubblicazione del [[1913]], si ricava che, al momento dell’acquisto da parte del vescovo Pellizzo, esisteva ancora un porticato con sette archi, ultimo residuo, molto probabilmente, dell’antico ed estesissimo portico che chiudeva su tre lati la residenza dei [[Franzani]]; all’estrema destra vi era una casa di una certa mole che era probabilmente la cosiddetta “palazzina”, utilizzata come abitazione dei lavoratori prima, al tempo delle [[Dame Inglesi]], e dei professori poi, come risulta dalle lettere citate.
 
Successivamente vi fu il primo ampliamento promosso dal collegio, che consistette nell’innalzamento dell’ala di edifici in linea col palazzo dominicale; già con questo primo intervento la fisionomia della residenza venne a cambiare perdendo parte del suo prestigio, poiché la [[villa]] non si ergeva più incontrastata sui bassi edifici adiacenti, ma veniva affiancata da un corpo quasi di pari altezza, staccato solo di pochi metri da un appartamento a due piani.
 
Con il secondo ampliamento spariva definitivamente ogni residuo delle antiche barchesse e si innalzava un altro edificio di notevole mole, a tre piani.
 
Il terzo ampliamento concludeva l’opera, dando vita ad un’omogenea ala residenziale ad [[est]] che venne poi prolungata ulteriormente verso sud; si giunge così al [[Barcon]], come si presenta ai nostri giorni.
 
L’opuscolo del XXV° anniversario riportava anche una [[pianta topografica]] del collegio che documenta come il Barcon fosse divenuto, effettivamente, un unico grande e continuo edificio, i cui locali interni furono funzionalmente strutturati secondo le esigenze dell’istituto religioso.
Il [[palazzo]] signorile, centro architettonico del complesso, fu ovviamente destinato alla parte amministrativa e rappresentativa; al piano terra la sala mediana fu adibita a “sala delle visite”, mentre alla sua sinistra una prima stanza, che faceva da anticamera, immetteva nello studio del [[rettore]]; entrando invece dalla porta a [[nord]], il primo locale consisteva nella portineria: qui venivano accolti i ragazzi poiché, infatti, l’accesso al Barcon avveniva tramite il portone e il cortile retrostanti, tra la villa e la chiesetta; a nord-est si trovavano le grandi cucine che dovevano sfamare una consistente comunità e che possedevano anche un forno per fare il pane.
Al piano superiore, che non era più il fulcro della residenza come al tempo della “civiltà di villa” quando veniva chiamato “[[piano nobile]]”, si trovavano varie stanze in parte adibite all’amministrazione e in parte ad alloggio. Il lungo edificio che proseguiva in linea con la villa ricopriva varie funzioni: principalmente refettorio per gli studenti al piano terra, guardaroba al primo piano e alloggio per i professori al secondo piano; esso si concludeva con la cappella dell’istituto sotto la quale, al piano terra, si trovavano le stanzette dei pianoforti e degli armonium, dove si studiava musica.
 
L’altra ala di edifici ad angolo retto con il corpo appena descritto era dedicata allo svolgimento delle lezioni nelle diverse aule scolastiche ed al soggiorno degli alunni in lunghi stanzoni-dormitorio.
Il Barcon, così disposto, si affacciava su un esteso cortile alberato: per la maggior parte era destinato ai ragazzi, mentre nella parte situata davanti alla villa esso era strutturato come [[giardino all’italiana]], abbellito da una fontana, e riservato al clero.
 
===Dalla prima alla seconda guerra mondiale===
Il [[Barcon]] fu direttamente coinvolto nei due grandi eventi tragici del [[XX°]] secolo, le due guerre mondiali; vediamo come.
Con l’avvento della [[prima guerra mondiale]] la città di [[Thiene]] e i paesi del circondario si ritrovarono ad essere coinvolti fortemente nelle operazioni di organizzazione delle [[retrovie]], essendo il [[fronte]] posto a non molti chilometri di distanza. Nelle colline di [[Centrale]] e [[Sarcedo]] si scavarono delle trincee per creare la “linea di resistenza dell’[[Igna]]” che si doveva poi congiungere con le trincee ed i reticolati di [[Villaverla]]-[[Motta]] fino a [[Malo]], come cintura di difesa di [[Vicenza]].
 
In particolare, dopo l’offensiva austriaca del maggio [[1916]], che coinvolse soprattutto le prealpi venete e l’[[Altopiano di Asiago]], si rese urgente la disposizione di edifici per il deposito di materiali, la direzione delle operazioni militari e l’accoglimento dei feriti. Il Barcon venne così destinato ad [[Ospedale militare]] “di riserva e tappa”, dove prestavano servizio di infermeria, oltre alle ordinarie, anche molte signore che si erano rese volontarie, viste le esigenze del momento.
Di questo periodo si sono conservate alcune interessanti foto scattate dal tenente Sante Gaudenzi che qui passò alcuni mesi come ufficiale tecnico dell’Ambulanza chirurgica d’Armata n° 1.
 
Non abbiamo molte altre notizie di questi anni, ma sappiamo che, in conseguenza di tale fatto, il collegio, per l’anno scolastico [[1916]]-[[1917]], venne trasferito a [[Padova]], lasciando completamente liberi i locali e a disposizione della Sanità militare “che già ne occupava una parte”; è quindi molto probabile che non solo per quell’anno, ma per tutto il corso della guerra il collegio sia rimasto a Padova, lontano dal Barcon.
 
Finito questo evento epocale che stravolse la vita della popolazione, nel [[1920]] il Collegio Vescovile era nuovamente funzionante a [[Thiene]], anche se ospitava solo 80 ragazzi con le sole scuole ginnasiali; erano ormai finiti i tempi fiorenti dell’anteguerra.
 
Arrivò a questo punto per il Barcon il momento di un nuovo cambiamento, anzi di un ampliamento delle proprie funzioni: con lettera pastorale del [[13 luglio]] [[1922]] il vescovo di Padova stabiliva di dividere il Seminario minore (fino alla 5a ginnasiale) dal maggiore, e decideva di portare il minore al Barcon. I convittori del collegio furono in un primo momento trasferiti parte a [[Padova]] e parte ad [[Este]], ma la storia del “Collegio Convitto Vescovile di Thiene” non si conclude qui, poiché nel [[1928]] verrà aperta una nuova sede a Thiene, presso il palazzo Cornaggia ex residenza dei conti Thiene, dove vi rimase fino all’anno [[1953]]-[54].
Il [[Barcon]] venne dunque a ricoprire questa ennesima nuova funzione, quella di educare ed istruire i futuri preti della [[Diocesi di Padova]]; i locali furono ulteriormente modificati ed adattati, anche se il grosso dei lavori lo si era già compiuto per il collegio.
 
Arriviamo così, dopo il lungo [[ventennio fascista]], alla [[seconda guerra mondiale]].
Nel Liber Chronicus dell’archivio parrocchiale di Thiene il periodo bellico del Barcon viene inaugurato da questa importante annotazione, datata [[4 ottobre]] [[1943]], che ci porta subito nel vivo della guerra e dell’occupazione tedesca: “un reparto di soldati tedeschi meccanici (30 uomini) occupano una parte del Seminario al Barcon ove hanno stabilito un’officina meccanica per riparazione cannoni”; segue un’altra annotazione in data 16 ottobre: “quantunque i due lunghi e spaziosi saloni colle relative aule scolastiche della parte sud-est del [[Seminario]] siano stati occupati da soldati tedeschi, tuttavia ieri, [[15 ottobre]], i seminaristi sono rientrati. Alcune camere del riparto professori sono state adattate ad aule scolastiche; ed oggi monsignor vescovo è venuto a compiere la solita e bella funzione di riapertura dell’anno scolastico”.
 
Dunque, dal [[1943]] alla fine della guerra, si ritrovarono a convivere al Barcon due categorie di persone alquanto diverse tra di loro: seminaristi e preti da una parte, soldati tedeschi dall’altra. La situazione pare ancor più paradossale se si pensa che dal febbraio del [[1944]], dopo i bombardamenti che colpirono Padova, il Seminario maggiore fu trasferito a Thiene e una metà di quei chierici prese alloggio al Barcon, aumentandone di conseguenza la già numerosa comunità, mentre il resto fu sistemato in vari altri edifici.
 
Questo reparto di soldati aveva destinato i locali occupati ad officine “Instandsetzung von Flakgerat” per la riparazione di mezzi, attrezzature ed armi contraeree della [[Wehrmacht]]; vi lavoravano soldati di origine tedesca, austriaca, ungherese, oltre ad alcuni civili italiani della zona. L’occupazione dell’ultima parte del seminario e del cortile verso sud era, inoltre, strategica: furono piazzati una mitragliatrice e un binocolo nei pressi del cancello grande ad ovest, per il controllo di tutta la strada del Barcon; invece, nell’appezzamento di terreno dietro il fabbricato, verso est, su una piattaforma in cemento, fu installato un cannone a lunga gittata con telemetro per la misurazione delle distanze; da lì i tedeschi tennero sotto tiro le vicine montagne e gli aerei alleati di passaggio, anche se non sembra che fosse partito dal Barcon il colpo che fece precipitare un aereo americano a [[Sarcedo]] l’[[8 febbraio]] del [[1945]].
 
Sembra che i rapporti tra il Seminario e le truppe tedesche si mantenessero buoni, grazie anche alla benevola collaborazione instauratasi tra l’allora direttore don Luca Candiotto e il comandante della piazza di Thiene, colonnello Georg Siemon, responsabile anche delle officine del Barcon; quest’ultimo si dimostrò pervaso da spirito di equilibrio e di umanità, risparmiando alcuni lutti e dolori alla comunità e dando protezione ed asilo ad antifascisti italiani, proprio nelle cucine tedesche del Barcon.
Bisogna ricordare che egli, al momento della ritirata generale tedesca della [[primavera]] del [[1945]], ricevette ordine dal Comando supremo di far esplodere gli edifici del seminario con tutti i depositi di materiale bellico; il Siemon fece evacuare dallo stabile i soldati in partenza, finse di eseguire gli ordini, ma in realtà se ne andò per ultimo senza arrecare alcun danno all’antico complesso architettonico.
 
Conclusesi le vicende della seconda guerra mondiale, il Seminario minore tornò alla normalità e il Barcon lo ospitò per altri venti anni circa; nel [[1968]] la comunità era composta di 230 seminaristi nelle tre classi medie, 17 sacerdoti, un gruppo di chierici e 7 suore del Cottolengo.
Per l’anno scolastico [[1969]]-[[1970]] il seminario fu trasferito al palazzo Cornaggia di Thiene, ex sede del collegio vescovile, mentre fu poi aperta la nuova sede di [[Tencarola]].
 
Il complesso di edifici al Barcon fu venduto a privati cittadini e da allora non ha più svolto alcuna funzione particolare, versando in uno stato di abbandono e desolazione; il Brazzale, interpretando ormai quarant’anni fa le tristi sorti a cui era destinato, riportava le parole che l’allora rettore del Seminario usò nel salutare definitivamente la loro sede, parole che anch’io voglio ricordare: “Addio vecchio, glorioso, amico Barcon”.
 
===Bibliografia===
Mentre per le notizie della località e del [[Barcon]], dalla sua costruzione e per tutto l’Ottocento, ci si può avvalere esclusivamente di documenti d’archivio, per la storia del Novecento esiste oggi una discreta bibliografia di cui si fornisce una dettagliata descrizione.
 
Fonti non edite
 
Archivio della Curia Vescovile di Vicenza, Stato delle Chiese - Sarcedo, foglio volante alla data
 
Archivio Dame Inglesi di Vicenza, Cronaca 1819-1910; Documenti riguardanti il Parco; Raccolta Zanella
 
Archivio Parrocchiale di Thiene, Liber Chronicus.
 
Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea Gregolin, b. 17, disegno n. 16, foto 16; Rason Vecchie, busta 198, disegno 881 (Sarcedo, foto n. 935)
 
Archivio di Stato di Vicenza, Estimo, b. 30-31, b. 164; Balanzon del vicariato di Thiene (1541, 1544); Catasto napoleonico (mappa d’avviso e sommarione); Notaio Fabretti Girolamo, b. 10938, alla data
 
A. BENETTI, Fonti e ricerche sulla storia di Thiene, I-II, Verona 1975 (l’opera è rimasta dattiloscritta).
 
D. BRUNELLO, Il Barcon e la villa Franzan di Sarcedo. Un complesso architettonico nel suo contesto territoriale (sec. XVI-XX), tesi di laurea, Università di Padova, a.a. 2000-2001
 
Fonti edite
 
A.A.V.V, Gli affreschi nelle ville venete dal Seicento all’Ottocento, Venezia 1978
 
G. BRAZZALE, Sarcedo, Vicenza 1966.
 
G. BRAZZALE, Sarcedo. Rettifiche, integrazioni, aggiornamenti, Vicenza 1970.
 
G. CAPPELLOTTO, L. CAROLLO, L. MARCON, Sarcedo: pagine di storia dal 1935 al 1945, Vicenza 1990.
 
R. CEVESE, Ville della provincia di Vicenza, Milano 1980.
 
Collegio Convitto Vescovile di Thiene nel XXV° dalla fondazione, Schio 1913.
 
E. GASPARELLA, Come si visse la guerra 1915-1918. Memorie storiche di Thiene e del fronte vicentino, Vicenza 1925.
 
Guerra a fuoco. Dal Carso agli Altipiani, dal Monte Grappa al Piave: la Grande Guerra nell’album fotografico del tenente Sante Gaudenzi, a cura di Lucio Fabi, Cremona 2003
 
M. MICHELON, Pensieri solitari di un cattolico sbandato (1943-1945), Vicenza 1985.
 
S. RUMOR, Donna Teresa Surlera. Commemorazione letta nella chiesa dell’Istituto delle Dame Inglesi in Vicenza la mattina del 5 di agosto 1895, Venezia 1895.
 
G. SARTORATTI, Caro vecchio Barcon, Padova 2001.
 
G. SARTORATTI, Achtung, Achtung! Storie di preti e di Wehrmacht al Barcon, Padova 2003
 
[[Categoria:ville venete]]