Polizeiregiment "Bozen" e Teatro Tenda (Firenze): differenze tra le pagine

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{{Teatro
{{vaglio|arg=guerra|arg2=storia}}
|NomeTeatro= Teatro Tuscanyhall
{{Infobox unità militare
|Tipologia= [[teatro tenda]]
|Categoria= gendarmeria
|Immagine= Saschall, firenze.JPG
|Nome= '''Polizeiregiment "Bozen"'''<br/>(Reggimento di polizia "Bolzano")
|Didascalia=
|Immagine= Bundesarchiv Bild 101I-312-0983-10, Rom, Soldaten vor Gebäude.jpg
|Fossa= <!-- Fossa per orchestra: presente/assente -->
|Didascalia= Uomini del "Bozen" in via Rasella dopo l'attentato del 23 marzo 1944
|Capienza= 1440/1700 (platea: 1160/1420; galleria: 280)
|Attiva= 1943-1945
|Periodo= [[1978]]
|Nazione= {{DEU 1933-1945}}
|Progettista= <!-- Nome del progettista -->
|Alleanza= [[Potenze dell'Asse]]
|Indirizzo= Via Fabrizio De Andrè all'angolo con Lungarno Aldo Moro n. 3 - 50136 Firenze
|Servizio= [[Ordnungspolizei]]
|Città = Firenze
|Tipo= [[Reggimento]] di polizia
|CittàLink =
|Ruolo= [[Gendarmeria]]
|Paese = ITA
|Descrizione_ruolo=
|Dimensione= circa 2.000 unità
|Struttura_di_comando=
|Reparti_dipendenti= tre battaglioni di quattro compagnie ciascuno
|Descrizione_reparti_dipendenti=
|Guarnigione= Caserma di [[Gries-San Quirino|Gries]], Bolzano; a Roma il III battaglione era alloggiato nelle soffitte del [[Palazzo del Viminale]]
|Descrizione_guarnigione=
|Equipaggiamento=
|Descrizione_equipaggiamento=
|Soprannome=
|Patrono=
|Motto=
|Colori=
|Descrizione_colori=
|Marcia=
|Mascotte=
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|Anniversari=
|Decorazioni=
|Onori_di_battaglia=
<!-- Comandanti -->
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|Descrizione_comandante_corrente=
|Capo_cerimoniale=
|Descrizione_capo_cerimoniale=
|Colonel_in_Chief=
|Descrizione_Colonel_in_Chief=
|Comandanti_degni_di_nota= colonnello Alois Menschik (comandante del reggimento); maggiore Hellmuth Dobbrick (comandante del III battaglione); sottotenente Wolgasth (comandante dell'11ª compagnia)
<!-- Simboli -->
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|Descrizione_simbolo2=
<!-- Varie ed eventuali -->
|Titolo_vario=
|Descrizione_vario=
|Testo_vario1=
|Ref = Fonti citate nel corpo del testo
}}
Il '''teatro Tuscanyhall''' è un teatro moderno di [[Firenze]], in zona [[Varlungo]]/[[Bellariva]], sul [[lungarno]] Aldo Moro 3. Usato come centro polifunzionale, è uno dei principali luoghi per concerti.
 
Conosciuto per molti anni semplicemente come "teatro Tenda", dal 2002 fu noto come "teatro Saschall", legato alla marca d'abbigliamento "[[Sasch]]".<ref>{{cita web|url=http://www.sasch.it/web/ita/saschall.asp|titolo=Breve descrizione del Saschall sul sito Sasch|accesso=17 maggio 2010|urlmorto=sì}}</ref> Dal 29 settembre [[2011]], dopo la scadenza del contratto di sponsorizzazione con la Sasch, l'impianto cambia denominazione in "teatro Obihall", legato alla catena tedesca di negozi fai da te "[[OBI (azienda)|Obi]]". Dal 1 Gennaio 2019 il teatro cambia denominazione in Tuscanyhall<ref>[http://www.saschall.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=1&TS02_ID=253&mese=9&anno=2011 Tributo a De André - Inaugurazione OBIHALL] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20110926212244/http://www.saschall.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=1&TS02_ID=253&mese=9&anno=2011 |data=26 settembre 2011 }} saschall.it</ref>
Il '''Polizeiregiment "Bozen"''' (Reggimento di polizia "[[Bolzano]]"), poi '''SS-Polizeiregiment "Bozen"'''<ref>Il prefisso "SS-" fu aggiunto il 16 aprile 1944. Cfr. {{cita|Staron 2002|p. 38|harv=s}}, e {{cita|Baratter 2005|p. 190|harv=s}}.</ref>, era un reparto militare della [[Ordnungspolizei]] (polizia d'ordinanza) formato da coscritti altoatesini di lingua tedesca, reclutati nell'autunno 1943 in seguito all'occupazione tedesca dell'[[Provincia autonoma di Bolzano|Alto Adige]]. È noto principalmente in quanto il suo terzo e ultimo battaglione fu impiegato nella Roma occupata, dove l'11ª compagnia venne colpita dall'[[attentato di via Rasella]] compiuto da partigiani [[Gruppi di Azione Patriottica|gappisti]] il 23 marzo 1944, riportando 33 caduti e 55 feriti<ref>Subito dopo l'attentato si contarono 32 morti e 56 feriti, essendo incluso tra questi ultimi il soldato Haller, morto la notte stessa a causa delle ferite riportate. Non si è ancora in grado di stabilire se tra i feriti vi furono altri decessi nei mesi successivi. Cfr. {{cita|Zanette 2011|p. 34|harv=s}}.</ref>. Per rappresaglia, i tedeschi perpetrarono l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], alla cui esecuzione i sopravvissuti della compagnia attaccata non parteciparono, nonostante in base alla consuetudine militare germanica spettasse a loro vendicare i commilitoni caduti.
 
==Storia==
Le caratteristiche del "Bozen" rappresentano uno dei vari aspetti controversi dell'attentato di via Rasella: per questo motivo, nell'ambito delle decennali polemiche sull'argomento, sono state tratteggiate descrizioni del reggimento tra loro notevolmente difformi, in cui la capacità offensiva e il grado di adesione al nazismo dei suoi uomini sono enfatizzati<ref>«famigerato battaglione Bozen, specializzato nella repressione di partigiani, più nazista dei nazisti». Cfr. {{cita news|[[Giorgio Bocca]]|http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lintransigenza-maestra-di-vita/1427796|L'intransigenza maestra di vita|L'Espresso|6 novembre 2006}}</ref> o al contrario minimizzati<ref>«Nemmeno un vero e proprio reparto militare, più comparse che guerrieri». Cfr. {{cita news|[[Silvio Bertoldi]]|http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/29/Ore_del_marzo_1944_carrettino_co_0_97062914677.shtml|Ore 15 del 23 marzo 1944: un carrettino da spazzini carico di morte|Corriere della Sera|29 giugno 1997}}</ref><ref>«probabilmente la meno nazista delle formazioni tedesche presenti a Roma». Cfr. {{cita news|[[Sergio Romano]]|http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/11_Febbraio_11/ATTENTATO-DI-VIA-RASELLA-L-ORRORE-DELLE-RAPPRESAGLIE_750ad142-35aa-11e0-9a90-00144f486ba6.shtml|Attentato di via Rasella L'orrore delle rappresaglie|Corriere della Sera|11 febbraio 2011}}</ref>, rispettivamente per affermare o negare la legittimità morale e l'efficacia militare dell'azione partigiana.
Realizzato nel [[1978]] a Bellariva, sulla riva destra dell'[[Arno]], sulla scia del fenomeno dei teatri tenda come spazi alternativi ai teatri tradizionali che da [[Roma]] si era diffuso in tutta Italia, questo nuovo spazio si è imposto nel panorama culturale grazie a una programmazione promiscua.
 
Ristrutturato più volte, la sua ultima redazione, prima dell'attuale, risale a quella realizzata per rimediare ai danni provocati il 28 agosto 1989 da una tromba d'aria abbattutasi su Firenze.
== Contesto storico ==
Dopo l'[[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|annuncio dell'armistizio italiano]] dell'8 settembre 1943, i tedeschi dettero avvio all'invasione dell'Italia. Sin dal 10 settembre le province di Bolzano (Alto Adige), Trento e Belluno furono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich venendo incluse nella [[Zona d'operazioni delle Prealpi]] (in tedesco ''Operationszone Alpenvorland'' – OZAV), territorio sul quale la [[Repubblica Sociale Italiana]] – entità statuale satellite della Germania – era titolare di una sovranità puramente formale.
 
Negli ultimi anni il teatro, dopo un periodo di chiusura, è stato interessato da un radicale intervento di riprogettazione che si è posto l'obiettivo non solo di risolvere i problemi di adeguamento alle vigenti normative di sicurezza, ma di risolvere gli aspetti di precarietà e di inserimento nel contesto urbano che avevano fino ad allora caratterizzato la struttura. Il nuovo spazio, inaugurato finalmente nel [[2002]], pur richiamando lo spirito del teatro Tenda che ormai è entrato a pieno titolo nella memoria della città, si connota come un intervento contemporaneo capace di esprimere forme e funzionalità contemporanee.
[[File:Bundesarchiv Bild 121-0064, Kitzbühel, großdeutsche alpine Skimeisterschaft.jpg|thumb|left|[[Franz Hofer (Gauleiter)|Franz Hofer]] (al centro), commissario supremo dell'OZAV, ordinò l'arruolamento coatto di tutti gli uomini residenti nelle provincie di Trento, Bolzano e Belluno appartenenti alle classi 1894-1926. A destra il ministro degli Interni del Reich, [[Wilhelm Frick]]. Foto del febbraio 1939.]]
Allo scopo di procedere con la creazione di unità militari, fu istituito a Bolzano l'Ufficio Centrale di Reclutamento, una commissione mista composta da membri dell'amministrazione civile, della [[Wehrmacht]] e delle [[SS]], con il compito di sondare la disponibilità della popolazione a servire in armi il Terzo Reich. In un primo momento, l'attenzione delle autorità germaniche era limitata agli ''Optanten'', cioè quegli altoatesini che, in base al [[Opzioni in Alto Adige|sistema delle opzioni di cittadinanza]] risalente a un accordo italo-tedesco del 1939, avevano optato per la cittadinanza tedesca<ref name=historia>[http://digilander.libero.it/historiamilitaria3/bozen.htm Il Polizeiregiment "Bozen"], da historiamilitaria.it.</ref>. In seguito, visti gli scarsi risultati, il commissario supremo dell<nowiki>'</nowiki>''Alpenvorland'' [[Franz Hofer (Gauleiter)|Franz Hofer]], [[Gauleiter]] del [[Reichsgau Tirol-Vorarlberg|Tirolo-Vorarlberg]], emanò delle direttive che stabilirono i criteri per l'arruolamento coattivo della popolazione maschile della regione senza riguardo all'appartenenza etnica: la direttiva n. 30 del 6 novembre 1943 dichiarava che «per raggiungere la vittoria finale per una nuova Europa è necessario l'impiego totale di tutte le forze»<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 187|harv=s}}.</ref>. In base a tale disposizione, tutti gli appartenenti alle classi 1924 e 1925 furono chiamati dalle autorità tedesche ad assolvere il servizio di guerra nell'[[Organizzazione Todt]], nel SOD (''[[Südtiroler Ordnungsdienst]]''), nel CST ([[Corpo di sicurezza trentino]]), nei Polizeiregimenter, nei corpi delle SS e nella Wehrmacht; mentre l'arruolamento in formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana, pur formalmente previsto, venne ostacolato in tutti i modi<ref name=historia/>.
 
==Struttura==
La successiva ordinanza n. 41 del 7 gennaio 1944 specificava che «tutti i cittadini di sesso maschile delle classi dal 1894 al 1926 incluso, che hanno la residenza nel territorio della Zona di Operazioni delle Prealpi oppure vi risiedono non solo transitoriamente, sono obbligati alla prestazione del servizio di guerra»<ref>Letteralmente «sind zur Ableistung des Kriegsdienstes verpflichtet». Cfr. {{cita|Baratter 2005|pp. 187-188|harv=s}}.</ref>. Il precedente regime delle opzioni fu quindi travolto, venendo obbligati all'arruolamento tutti gli uomini appartenenti alle classi di leva indicate, di lingua italiana o tedesca che fossero, compresi coloro che a suo tempo avevano optato per l'Italia anziché per la Germania, i cosiddetti ''[[Dableiber]]'', i quali furono tacciati di tradimento, sottoposti a vessazioni e angherie, e in molti casi inviati al [[fronte orientale (1941-1945)|fronte orientale]]<ref name=baratter189>{{cita|Baratter 2005|p. 189|harv=s}}.</ref>.
[[File:Steve vai at Saschall (Florence).jpeg|thumb|[[Steve Vai]] durante un concerto al Saschall]]
Il teatro si articola in tre corpi distinti. Il primo con il [[foyer]] e la sala conferenze, di forma trapezoidale e aperto con un loggiato verso il fiume: è una struttura metallica che richiama una tettoia industriale e contiene il doppio volume del foyer, mentre nei volumi al piano terra sono ricavati la biglietteria, il guardaroba e la caffetteria; il volume del primo piano è destinato alla sala conferenze (200 posti).
 
Il secondo corpo costituisce la vera e propria memoria del vecchio teatro Tenda: una grande tensostruttura in tessuto speciale, impostata su pareti laterali di varia altezza e fissata al centro su quattro [[pilastri]] reticolari, copre la grande platea pavimentata in calcestruzzo e che presenta un palcoscenico soprelevato di 1,20 metri. Un terzo corpo di fabbrica, il più piccolo, sul fronte che guarda verso il fiume ospita al piano inferiore i servizi igienici per il pubblico, le centrali tecnologiche e i locali per il servizio ristorazione e [[catering]]; al piano superiore, invece, sono ricavati i camerini per gli artisti e per il personale di servizio e i servizi igienici di pertinenza.
La chiamata al servizio di guerra nell<nowiki>'</nowiki>''Alpenvorland'' è stata definita da qualche autore come un vero e proprio «rastrellamento di sudtirolesi» nelle vallate, dovuto alla nota volontà dei tedeschi di impiegare tutte le risorse umane disponibili, tanto da arrivare a schierare nelle ultime fasi del conflitto anche i giovanissimi della ''[[Hitlerjugend]]'' e gli anziani del ''[[Volkssturm]]''. Per la maggior parte, gli arruolati erano contadini, artigiani, pastori e mugnai, molti dei quali montanari. Ricevettero una cartolina indirizzata «All'obbligato al servizio di guerra»<ref>«An den Kriegsdienstpflichtigen».</ref>, che lapidariamente enunciava: «Vi viene dato l'ordine di presentarVi in base all'ordinanza del commissario supremo»<ref>«Sie werden hiermit aufgefordert, sich auf Grund der Verordnung des Obersten Kommissars...».</ref>. Chi avesse tentato di rifugiarsi in montagna per sottrarsi all'arruolamento avrebbe rischiato la condanna a morte, nonché la persecuzione dei propri cari, come minacciava un manifesto in lingua italiana del gennaio 1944:
 
==Programmazione==
{{citazione|Coloro che sono chiamati al servizio di guerra ricevono lo stesso trattamento in vigore nelle analoghe organizzazioni del grande Reich germanico. La parificazione avviene anche per quanto riguarda la disciplina e le punizioni. [...] Chi non ottempera all'ordine di presentazione, di visita o di chiamata o comunque si sottrae allo stesso o tenta di sottrarsi con la fuga o danneggiando dolosamente la propria salute viene punito con la pena di morte. In casi meno gravi la pena può essere commutata nel carcere duro fino a 10 anni. Le stesse pene sono comminate per i complici. Fino alla cattura dei rei o dei loro complici, possono essere arrestati i loro congiunti, e cioè la mogli, i genitori, i figli sopra i diciotto anni e fratelli e sorelle che convivono col reo o complici<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 188|harv=s}}.</ref>.}}
[[File:Fabri FIbra Tradimento.jpg|thumb|[[Fabri Fibra]] al Saschall nel 2006]]
Dai concerti di musica pop e rock (si pensi solo ad alcuni nomi che si sono esibiti qui negli anni ottanta: [[Fabrizio De André]] e la [[Premiata Forneria Marconi]], [[Franco Battiato|Battiato]] e [[Vasco Rossi]], [[Claudio Baglioni|Baglioni]] e [[Roberto Vecchioni|Vecchioni]], [[Pino Daniele]], [[Gianna Nannini]], [[Ivano Fossati]], i [[Litfiba]], gli [[Skiantos]], [[Francesco Guccini]], [[Lucio Dalla]] e [[Francesco De Gregori]], [[Vasco Brondi]], [[Valerio Scanu]], [[Antonello Venditti]], [[Renato Zero]], [[Gianni Morandi]], [[Luca Carboni]], [[Emma Marrone|Emma]] nel [[2012]], e poi artisti stranieri come [[Bob Geldof]], [[Level 42]], [[Simply Red]], [[Beady Eye]], [[Matt Bianco]], [[Steve Vai]]) a quelli che hanno aperto Firenze alla [[musica afroamericana]], che hanno fatto conoscere le nuove tendenze del [[jazz]], la musica di ricerca e la musica creativa e infine la [[fusion]] contemporanea.
 
Eppure già nei suoi primi mesi di vita lo spazio si apriva anche al teatro drammatico con un evento eccezionale, ''La ballata dei 14 giorni di Masaniello'', frutto della collaborazione del giovane gruppo di ''Pupi e Fresedde'' diretto da [[Angelo Savelli]] e il famoso ''Bread and Puppet'' di [[Peter Schumann]]. Da qui anche un'intensa attività teatrale legata a tanti nomi fra i quali [[Dario Fo]] e [[Franca Rame]], e ancora la [[danza]] con [[Liliana Cosi]] e [[Marinel Stefanescu]] e infine il [[cabaret]] e gli spettacoli di comici che poi avrebbero dominato la scena italiana degli ultimi decenni(dagli storici [[Roberto Benigni]], [[Paolo Hendel]], [[David Riondino]], [[Carlo Isola]], i [[Gemelli Ruggeri]], [[Stefano Bicocchi|Vito]], [[Daniele Trambusti]], ai più recenti [[Leonardo Pieraccioni]], [[Giorgio Panariello]] e [[I Fichi d'India]]).
L'arruolamento forzato dei ''Dableiber'' e l'estensione nei loro confronti delle sanzioni per i renitenti costituiva violazione di almeno tre articoli della [[Convenzione dell'Aia (1899)|Convenzione dell'Aia]] del 1899, sottoscritta e mai denunciata dalla Germania:
A completare un'importante presenza culturale nella città sono da ricordare anche i convegni politici e le feste etniche (per esempio gli omaggi all'[[Irlanda]] e a [[Cuba]]), manifestazioni come [[FirenzeGioca]] o incontri eccezionali come quello del maggio [[1999]] con il [[Dalai Lama]].
Sede nel [[2010]] del primo congresso di [[Sinistra Ecologia Libertà]].
 
==Note==
* Art. 44: «È proibito forzare la popolazione di un territorio occupato a prendere parte alle operazioni militari contro il proprio paese».
<references/>
 
==Voci correlate==
* Art. 45: «È proibito costringere la popolazione di un territorio occupato a prestar giuramento alla potenza nemica».
* [[Teatri di Firenze]]
* [https://www.tuscanyhall.it/ Sito ufficiale Tuscanyhall]
 
==Altri progetti==
* Art. 46: «L'onore e i diritti della famiglia, la vita degli individui e la proprietà privata, al pari delle convinzioni religiose e dell'esercizio dei culti, devono essere rispettati»<ref>{{cita|Zanette 2011|p. 23|harv=s}}.</ref>.
{{Interprogetto|commons=Category:Saschall (Florence)}}
 
==Collegamenti esterni==
Solo in [[provincia di Belluno]] questo tentativo di coscrizione obbligatoria fallì e – malgrado il rischio di condanne a morte e di ritorsioni sui famigliari – la gran parte dei giovani aderì con diverse modalità al movimento di liberazione, che in zona era già bene organizzato e operava anche per sabotare in vario modo il reclutamento da parte degli occupanti. A Trento e a Bolzano si registrarono invece solo sporadiche defezioni da queste milizie costituite con giovani del posto, tuttavia non mancarono casi di diserzione e di partecipazione a forme di resistenza, specie quando fu chiaro che queste truppe venivano impiegate in azioni antipartigiane e di ritorsione sui civili, dentro e fuori il territorio dell<nowiki>'</nowiki>''Alpenvorland''. Per tutelare le loro famiglie, i disertori in genere dissimulavano la fuga, ad esempio inscenando in pubblico un arresto da parte di bande partigiane<ref>Giuseppe Sittoni, ''Sudditi fedeli e contro. Durante l'occupazione nazista'', Pergine Valsugana (Trento), Publistampa, 2011, ISBN 8890250658, p. 288.</ref>.
*{{cita web|http://www.cultura.toscana.it/spettacolo/teatri/firenze/teatro_saschall_firenze.shtml|Scheda della Regione Toscana}}
 
{{Varlungo}}
== Costituzione e addestramento ==
{{portale|Firenze|teatro}}
Un primo nucleo del reggimento fu costituito nell'ottobre 1943, sotto le direttive del colonnello Alois Menschick, con il nome di Polizeiregiment "Südtirol", successivamente cambiato (a seconda delle fonti, il 29 ottobre<ref name=wedekind329>{{cita|Wedekind 2003|p. 329|harv=s}}.</ref> o nel corso di novembre<ref name=baratter186>{{cita|Baratter 2005|p. 186|harv=s}}.</ref><ref name=historia/>) in "Bozen" (Bolzano). Furono poi creati altri tre reggimenti sudtirolesi (''Südtiroler Regimenter''), anch'essi identificati non con un numero, come accadeva per gli altri reggimenti di polizia tedeschi, ma con dei riferimenti geografici: "Alpenvorland" ([[Prealpi]]), "Schlanders" ([[Silandro]]) e "Brixen" ([[Bressanone]]). Complessivamente questi reparti avevano una consistenza di circa diecimila uomini, numero ragguardevole dovuto al fatto che molti consideravano l'arruolamento nei reggimenti di polizia un modo per rimanere vicino casa, speranza che, tranne per una parte del "Bozen" e per il "Brixen", effettivamente si realizzò<ref name=historia/>.
 
[[Categoria:Teatri di Firenze|Tuscanyhall]]
Entro la fine del mese di ottobre il "Bozen" raggiunse le 2.000 unità venendo suddiviso in quattro battaglioni, poi ridotti a tre (il quarto, costituito nell'aprile 1944, già nel mese successivo fu scorporato per costituire il primo nucleo del Polizeiregiment "Alpenvorland"<ref name=wedekind329/>), dei quali solo il terzo svolse il proprio servizio fuori dalle due zone d'operazioni create dai tedeschi nell'Italia nordorientale. Ogni battaglione era composto da quattro compagnie numerate progressivamente (I battaglione: compagnie dalla 1ª alla 4ª; II battaglione: compagnie dalla 5ª all'8ª; III battaglione: compagnie dalla 9ª alla 12ª)<ref name=historia/>.
 
Gli uomini, inizialmente circa duemila [[opzioni in Alto Adige|optanti]] delle classi 1900-1912,<ref name=wedekind328>{{cita|Wedekind 2003|p. 328|harv=s}}.</ref> furono addestrati fino al febbraio 1944 prima di essere inviati in zona di operazioni. L'idea originaria di costituire un reggimento integralmente con volontari fu abbandonata a causa della scarsità degli stessi, e si procedette alla leva delle classi citate prima.<ref name=wedekind329/>
 
Alle reclute venne impartito un addestramento di tre mesi sull'uso di granate, fucili, mitra e mitragliatrici (molte di preda bellica, soprattutto italiana come gran parte dell'abbigliamento integrato dalle mostrine tedesche), mimetizzazione, sicurezza, combattimento in piccoli gruppi e controguerriglia. Secondo i reduci, il "Bozen" fu il meglio addestrato dei quattro reggimenti, fatto che in parte spiegherebbe perché le sue perdite di guerra furono più contenute di quelle, ad esempio, del reggimento "Alpenvorland". A differenza dello "Schlanders", al "Bozen" e agli altri reggimenti non furono impartite lezioni ideologiche sul cosiddetto ''Judensystem'' (sistema ebraico)<ref name=historia/>.
 
La paga per il soldato semplice di un reggimento di polizia sudtirolese era di 12,5 lire al giorno (corrispondente a 3,33 euro attuali), 2,5 lire in più rispetto alla paga dell'esercito<ref name=historia/>.
 
== Primo battaglione ==
Il primo battaglione fu inviato nel marzo 1944 in [[Istria]], inclusa nella [[Zona d'operazioni del Litorale adriatico]] (OZAK), affiancando le truppe tedesche in operazioni antipartigiane, accerchiamenti e rastrellamenti, oltre a sorvegliare le linee ferroviarie e di trasporto per garantire i rifornimenti. L'arretramento del fronte balcanico lo costrinse in un primo momento a trasferirsi a Gorizia con gli stessi compiti, per poi ritirarsi fino al [[passo del Predil]] (oggi presso il [[confine tra l'Italia e la Slovenia|confine italo-sloveno]]) nel vano tentativo di frenare l'avanzata dell'[[Eighth Army (Regno Unito)|VIII Armata britannica]], alla quale nella successiva ritirata si arrese a [[Thörl-Maglern]], in [[Carinzia]], nel maggio 1945<ref name=wedekind329/>. I prigionieri furono inviati in un campo di raccolta a [[Kötschach-Mauthen]], da dove alcuni di loro riuscirono a fuggire per tornare in Alto Adige attraverso la [[Gailtal]]. Furono quindi trasferiti prima ad Udine e poi a Rimini-Bellaria, sorvegliati con maggior rigore da guardie neozelandesi e polacche. Coloro che avevano eluso la sorveglianza ed erano tornati alle proprie case, essendo sprovvisti del foglio di congedo regolare, dovettero presentarsi presso la Caserma "Vittorio Veneto" di Bolzano, dove in breve tempo furono concentrati molti ex appartenenti ai corpi di polizia altoatesini, sottoposti a una sorveglianza piuttosto blanda; tuttavia, in seguito i prigionieri furono per la maggior parte trasferiti presso il campo di Rimini e poi a Taranto, venendo rilasciati nel settembre 1946<ref name=historia/>.
 
Questo battaglione fu l'unico a essere munito di veicoli blindati, disponendo di due mezzi italiani catturati dopo l'8 settembre 1943: un'autoblindo [[Autoblindo Fiat-Ansaldo|AB41]] e una [[Lancia 1Z|Lancia 1ZM]]<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 197|harv=s}}.</ref><ref>[http://beutepanzer.ru/Beutepanzer/italy/Color/lanzia_01.htm 1944, Summer. A Lancia 1ZM of the I. Abt./SS-Pol.Rgt. Bozen in the Istria peninsula or in the Fiume area], da beutepanzer.ru.</ref>.
 
== Secondo battaglione ==
Il secondo battaglione nel febbraio del 1944 fu inviato nella provincia di [[Belluno]], dove tra marzo e dicembre effettuò 85 operazioni antipartigiane, in particolare nel [[valle del Biois]] in agosto e sul [[monte Grappa]] in settembre. Il 20 ed il 21 agosto fu coinvolto insieme ad alcune unità delle [[Waffen-SS]] nel massacro della valle del Biois in cui, oltre a combattenti partigiani, furono uccisi 44 civili e distrutte 245 abitazioni lasciando 645 persone senza tetto. Inoltre, nel marzo 1945, in seguito all'uccisione di tre militari sudtirolesi nel corso di un attacco partigiano, uomini di questo battaglione parteciparono all'impiccagione di 14 persone in una piazza centrale di Belluno. Alla fine della guerra, la maggior parte dei membri del reparto fu fatta prigioniera dai partigiani il 2 maggio 1945 ad [[Agordo]]. Alcuni tentarono di scappare attraverso la valle d'Agordo, ma furono nuovamente catturati dai partigiani e internati nel campo di [[Cencenighe Agordino|Cencenighe]], dove vari partecipanti all'eccidio del Biois furono riconosciuti e immediatamente fucilati. I prigionieri restanti, consegnati agli americani, furono inviati nel campo di Rimini e condivisero la stessa sorte di quelli del primo battaglione<ref name=historia/><ref>{{cita|Wedekind 2003|pp. 329-330|harv=s}}.</ref>.
 
Nel 1979 si celebrò a Bologna il processo per il massacro del Biois, nel quale furono condannati all'ergastolo solo i comandanti, il maggiore delle SS Alois Schintlholzer di Innsbruck e il maresciallo Erwin Fritz di Berlino, i quali furono processati in contumacia e non scontarono mai la pena poiché Austria e Germania non ne concessero l'estradizione. Alcuni militari sudtirolesi furono assolti per mancanza di prove e, chiamati a testimoniare, accusarono i loro ex ufficiali per il comportamento tenuto nel corso dell'operazione, fornendo elementi decisivi per la determinazione dei capi d'accusa<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 184|harv=s}}.</ref>. Circa l'assoluzione dei sudtirolesi, si è parlato di pressioni politiche della [[Südtiroler Volkspartei]] (SVP) in loro favore<ref>{{cita|Zanette 2011|pp. 28-29|harv=s}}.</ref>.
 
== Terzo battaglione ==
=== Invio a Roma e impiego operativo ===
Il trasferimento del terzo battaglione a Roma avvenne dal 12 al 19 febbraio 1944<ref name=historia/>, in condizioni difficili a causa delle contemporanee operazioni per le prime due [[battaglia di Montecassino|battaglie di Montecassino]] e per contrastare lo [[sbarco di Anzio]]<ref name=baratter191>{{cita|Baratter 2005|p. 191|harv=s}}.</ref>. Teoricamente alle dipendenze del [[SS- und Polizeiführer|comandante delle SS e della polizia]] in Italia, generale [[Karl Wolff]], nell'assolvimento dei compiti di sorveglianza a Roma seguiva le direttive del comandante militare della piazza, il generale della [[Luftwaffe (Wehrmacht)|Luftwaffe]] [[Kurt Mälzer]]<ref>{{cita|Goetz 1983|p. 166 ss.|harv=s}}, cit. in {{cita|Staron 2002|p. 38|harv=s}}.</ref><ref>[[Gianni Oliva]], ''L'ombra nera. Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più'', Mondadori, Milano, 2007, pp. 118-119.</ref>. In proposito, nel settembre 1946 lo stesso Wolff, fatto prigioniero, dichiarò:
 
{{citazione|Per il desiderio del Feldmaresciallo [[Albert Kesselring|Kesselring]] avevo messo a disposizione da poco tempo un battaglione di Polizia ordinaria molto giovane e formato di recente, il battaglione Bolzano, costituito da tedeschi del Sud Tirolo, al fine di svolgere i compiti propri della Polizia ordinaria e di proteggere il Vaticano. Durante il periodo della sua utilizzazione questo battaglione venne tolto al mio comando e alla mia giurisdizione, essendo completamente sottoposto alla 14ª Armata. A causa della sua natura e per il suo particolare utilizzo esso figurava come unità non combattente<ref name=baratter191/>.}}
 
Il commissario supremo dell'''Alpenvorland'' Hofer, nonostante fosse a capo di un'amministrazione civile, riteneva che i reggimenti di polizia sudtirolesi fossero ai suoi ordini, avendo alle sue dipendenze il locale comandante delle SS e della polizia, generale Karl Brunner. Per questo aveva formalmente preteso che ogni spostamento dei Polizeiregimenter al di fuori dell'OZAV dovesse ottenere la sua autorizzazione, cosicché il trasferimento del reparto a Roma fu, con ogni probabilità, oggetto di un accordo tra lui e Wolff<ref name=baratter191/>.
 
Malgrado il battaglione fosse giunto nella capitale nel febbraio 1944 e fosse al suo primo impiego operativo, nel febbraio 1946 la delegazione italiana presso la [[Trattati di Parigi (1947)|Conferenza di Pace di Parigi]] presentò un memoriale<ref name=participation>Intitolato ''Participation in the war on the side of Germany of Austrians and of German-speaking Alto Atesini (South Tyrolians) after the 8th of September 1943''.</ref>, in cui circa il "Bozen" era scritto: «Unità di questo reggimento furono impiegate anche a Roma nei famosi rastrellamenti che ebbero luogo durante l'inverno 1943-44», in riferimento al celebre [[rastrellamento del ghetto di Roma]] dell'ottobre 1943, che portò alla deportazione di un migliaio di ebrei romani nei campi di sterminio. Tuttavia, in quei giorni gli uomini del "Bozen" si trovavano a circa mille chilometri di distanza, essendo appena iniziato il loro addestramento nella caserma di Gries. Lo storico Carlo Gentile ha individuato come possibile causa dell'errore la partecipazione al rastrellamento di unità che condividevano con il "Bozen" la denominazione di "Polizeiregiment", gli SS-Polizeiregimenter 12, 15 e 20, provenienti dalla Germania e dai territori orientali occupati, i quali non erano legati in alcun modo al "Bozen": l'ultimo dei tre era stato formato a Praga ed era composto da SS addestrate a [[Dębica]]. Nel dopoguerra l'errore dell'attribuzione al "Bozen" del rastrellamento è stato poi ripetuto da vari storici, che hanno citato la relazione diplomatica senza accertarne la veridicità<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 193|harv=s}}.</ref>.
 
Il battaglione, ridotto a sole tre compagnie, trovò alloggio nelle soffitte del [[Palazzo del Viminale]], sede del [[ministero dell'Interno]]. Gli incarichi operativi furono così ripartiti: alla 9ª compagnia fu affidata la sorveglianza dei lavori di allestimento di strutture difensive ad [[Albano Laziale|Albano]]; la 10ª fu impiegata nel centro della città per la guardia agli stati maggiori tedeschi, al Vaticano e agli edifici pubblici (a un motociclista di questa compagnia [[Robert Katz]] imputa l'omicidio di [[Teresa Gullace]], avvenuto il 3 marzo<ref name=katz241>{{cita|Katz 2009|p. 241|harv=s}}.</ref>); mentre l'11ª fu posta in riserva. In base al processo di rotazione delle unità, il 24 marzo l'11ª avrebbe dovuto sostituire la 10ª, la quale sarebbe passata in riserva<ref name=historia/>.
 
Non avendo particolari incarichi oltre al servizio di guardia al ministero dell'Interno, l'11ª compagnia fu sottoposta per oltre un mese a un'attività addestrativa supplementare di marcia e di tiro, in attesa di dare il cambio alle altre due compagnie. Gli uomini ricoprivano tutti il grado più basso (''Unterwachtmeister der Polizei'') dopo quello di allievo<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 192|harv=s}}.</ref>. Quasi ogni mattino marciavano fino al campo di esercitazioni e al poligono di tiro, nei pressi del [[Foro Mussolini]], per poi fare ritorno verso le 14 seguendo sempre lo stesso percorso: [[piazza del Popolo (Roma)|piazza del Popolo]], [[via del Babuino]], [[piazza di Spagna]], via dei Due Macelli. Giunti all'incrocio con [[via del Tritone]], sebbene questa strada fosse più comoda per raggiungere [[via Quattro Fontane]], il maggiore Dobbrick, comandante del battaglione che marciava spesso insieme ai suoi uomini, ordinò che la colonna continuasse lungo via del Traforo per poi svoltare a via Rasella, parallela di via del Tritone mal lastricata e più ripida, per evitare il traffico del centro. La colonna marciava con alla testa il comandante della compagnia, il sottotenente Wolgasth di [[Amburgo]], divisa in tre file con un sottufficiale davanti ad ognuna. Gli uomini più alti erano nelle prime file, in modo da dare un'impressione di forza<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 194|harv=s}}.</ref>. La marcia era spesso accompagnata da un canto, ''Hupf, mein Mädel''<ref name=katz241/> (Salta, ragazza mia), imposto da Dobbrick con dure punizioni per chi non avesse cantato. Sebbene fosse intonato molto controvoglia dai militari altoatesini, che si sentivano ridicoli<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 196|harv=s}}.</ref>, i partigiani consideravano il canto una provocazione e una dimostrazione di spavalderia<ref>{{cita|Portelli 1999|pp. 199-200|harv=s}}.</ref><ref>«Passava cantando, quasi a sottolineare la sicurezza delle forze d'occupazione». Testimonianza di Giorgio Amendola, in [[Gianni Bisiach]], ''Pertini racconta. Gli anni 1915-1945'', Milano, Mondadori, 1983, p. 130.</ref>.
 
Agli uomini, tra cui vi erano dei [[ladini]] che parlavano tedesco con difficoltà, fu vietata la libera uscita per impedire ogni contatto con la popolazione romana, venendo severamente puniti qualora avessero comprato qualcosa all'esterno o, essendo per la maggior parte cattolici praticanti, si fossero recati segretamente in chiesa. Durante l'addestramento, gli ufficiali tedeschi erano soliti insultarli come «traditori», «maiali» e «bastardi». Per la difficoltà nell'addestrarli e la scarsa marzialità dimostrata anche dopo ore di esercitazioni, li definivano inoltre «teste di legno tirolesi» (''Tiroler Holzköpfe'')<ref>{{cita|Baratter 2005|pp. 194-195|harv=s}}.</ref>.
 
=== L'attentato di via Rasella ===
{{vedi anche|Attentato di via Rasella}}
[[File:Bundesarchiv Bild 101I-312-0983-05, Rom, Festnahme von Zivilisten.jpg|thumb|Uomini del "Bozen" insieme a militi della RSI catturano dei civili presso [[Palazzo Barberini]] subito dopo l'attentato]]
[[Giorgio Amendola]], uno dei comandanti dei [[Gruppi di Azione Patriottica]] (GAP) a Roma, dichiarò di aver scelto personalmente il "Bozen" come obiettivo<ref name=amendola>[http://www.larchivio.org/xoom/rasellaamendola.htm Lettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella], in larchivio.com.</ref>. Secondo un'altra versione, la scelta sarebbe stata di [[Mario Fiorentini]] "Giovanni"<ref>{{cita|Capponi 2000|p. 211|harv=s}}.</ref><ref>{{cita news||http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id{{=}}187123|Via Rasella, parla chi ideò l'agguato: «Non fu attentato ma atto di guerra»|Il Messaggero|23 marzo 2012}}</ref>.
 
Il 23 marzo l'11ª compagnia fu colpita dall'attentato di via Rasella ad opera del GAP "Carlo Pisacane". La compagnia era stata in addestramento fino al mese precedente<ref name=wedekind329/> o era ancora in addestramento<ref name=staron38>{{cita|Staron 2002|p. 38|harv=s}}.</ref>.
 
=== La mancata partecipazione alla rappresaglia ===
Sebbene la consuetudine di guerra tedesca prevedeva che fosse il reparto colpito a dover eseguire la rappresaglia, in modo che i soldati uccisi fossero vendicati dai loro stessi camerati, gli uomini del "Bozen" non parteciparono all'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]]. Secondo una ricostruzione basata sulle testimonianze di alcuni dei sopravvissuti, la mattina del 24 marzo furono chiamati dal loro comandante ad attuare la rappresaglia, ma si rifiutarono per motivi religiosi<ref name=stampa79>{{cita news|||Scampati alla strage di via Rasella rifiutarono di fucilare gli ostaggi|La Stampa|24 marzo 1979}}</ref><ref name=messina>{{cita news|Dino Messina|http://archiviostorico.corriere.it/2004/febbraio/23/superstiti_del_battaglione_decimato_non_co_9_040223055.shtml|E i superstiti del battaglione decimato non vollero vendicarsi|Corriere della Sera|23 febbraio 2004}}</ref>. Il reduce Albert Innerbichler, taglialegna in pensione della provincia di Bolzano, nel 1996 raccontò:
 
{{citazione|La mattina dopo l'attentato, mentre ci stavamo vestendo, la guardia ci ordinò all'improvviso di metterci sull'attenti. Entrò un sottufficiale di cui non ricordo il nome che ci disse ancora una volta che avremmo avuto l'onore di vendicarci dei nostri camerati caduti partecipando alle esecuzioni dei detenuti soggetti alla rappresaglia. Uno di noi parlò per tutti: disse che eravamo cattolici e che mai ci saremmo prestati ad uccidere dei civili innocenti. Il sottufficiale, in un silenzio assoluto, gridò ''Feiglinge''! (codardi), e se ne andò via furente<ref name=baratter201>{{cita|Baratter 2005|p. 201|harv=s}}.</ref><ref>''[http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1996/05/28/Cronaca/PRIEBKE-I-SUPERSTITI-DEL-BOZEN-POTEVA-RIFIUTARSI-COME-NOI_144900.php Priebke: I superstiti del "Bozen", poteva rifiutarsi come noi]'', Adnkronos, 28 maggio 1996.</ref>.}}
 
Secondo un altro superstite, Luis Kauffman: «Ci furono discussioni, telefonate concitate, esplosioni di rabbia. Ma la nostra decisione fu chiara: non potevano pretendere che dei cristiani come noi...»<ref>{{cita|Portelli 1999|p. 201|harv=s}}.</ref>. Il reduce Arthur Atz, in una prima intervista a tratti molto confusa a causa della sua scarsa dimestichezza con l'italiano, negò che l'ordine fosse stato impartito direttamente alla truppa, attribuendo il rifiuto al comandante:
 
{{citazione|No, no, quello non hanno chiesto a noi, no, perché noi non siamo stati capaci di fare una roba così... perché anche il Maggiore ha detto: quei soldati non sono capaci di fare... perché sono troppo cattolici, perché non avevamo ammazzato nemmeno [...] No, noi non siamo domandati mai... non ci hanno domandato mai di fare... uccidere quelli [...] perché il Maggiore Dobrick lo ha anche detto che quegli uomini non sono capaci di fare questa roba [...] Anche il Maggiore ha detto che lui non fa una roba così, perché è sempre una cosa, no, ammazzare così tanta gente<ref name=atz>[http://www.larchivio.com/atz.htm Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale ad Arthur Atz].</ref>.}}
 
In successive interviste anche Atz affermò di essersi rifiutato<ref>{{cita news|Giancarlo Perna||L'ultimo dei Bozen: mi rifiutai di sparare alle Fosse Ardeatine|Il Giornale|16 settembre 1997}} Cfr. {{cita|Portelli 1999|p. 412|harv=s}}.</ref><ref>{{cita news|Pierangelo Giovannetti||«Rifiutammo l'ordine di Kappler»|Avvenire|17 marzo 2004}}</ref>.
 
Preso atto del rifiuto, gli ufficiali e i sottufficiali del battaglione, tutti tedeschi, tentarono di convincere il comandante, maggiore Dobbrick, dell'impossibilità di far eseguire le fucilazioni a militari che «non hanno mai sparato contro altri uomini, nemmeno in battaglia. È "ausgeschlossen" (escluso) e "unmöglich" (impossibile) pretendere che si mettano ora a fucilare ostaggi inermi». Il comandante reagì adirato e apostrofò i suoi uomini come «Cani vigliacchi!», per poi recarsi dal generale Mälzer<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 202|harv=s}}.</ref>.
 
Lo svolgimento del colloquio presso l'ufficio di Mälzer è ricostruito negli atti del processo al tenente colonnello delle SS [[Herbert Kappler]], iniziato nel 1948. Intorno alle ore 12, mentre Mälzer informava Kappler che l'ordine proveniva da Hitler in persona, sopraggiunse il maggiore Dobbrick, convocato qualche ora prima. Dopo che Kappler presentò a Mälzer la lista con una parte dei nominativi dei prigionieri da fucilare, il generale si rivolse a Dobbrick affidandogli il compito di far eseguire la rappresaglia ai suoi uomini. Secondo le deposizioni di Kappler, Dobbrick «insistette che non poteva aspettarsi che i suoi uomini, che erano di sentimenti religiosi, avessero potuto procedere all'esecuzione nel breve tempo a disposizione», dichiarando: «I miei uomini sono anziani. In parte sono molto religiosi, in parte pieni di superstizione e vengono da remote provincie delle Alpi»; in breve, «Dobbrick mise avanti la questione che i suoi uomini non erano addestrati alle armi e che erano anche di età avanzata»<ref>Varie deposizioni di Kappler citate in {{cita|Portelli 1999|pp. 201-202|harv=s}}.</ref>. Per questo, due giorni dopo Kappler protestò contro Dobbrick presso il generale Karl Wolff, comandante delle SS e della polizia in Italia. A causa delle difficoltà opposte da Dobbrick, Mälzer telefonò al comando della 14ª Armata e parlò con il colonnello Wolfgang Hauser affinché gli fornisse un reparto per l'esecuzione, ma l'ufficiale rispose testualmente: «la polizia è stata colpita, la polizia deve fare espiare». Solo a questo punto Mälzer ordinò a Kappler di provvedere personalmente alle fucilazioni con le sue SS<ref>[http://www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/Kappler_Herbert/Pagine/02sentenza631.aspx Sentenza n. 631, del Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948], dal sito del Ministero della Difesa.</ref><ref>{{cita|Katz 2009|pp. 280-281|harv=s}}.</ref>.
 
Circa la denuncia di Kappler contro Dobbrick, [[Robert Katz]] scrive che non ebbe conseguenze cosicché il maggiore rimase al comando delle due restanti compagnie del suo battaglione, trasferito nel Nord Italia<ref name=katz444>{{cita|Katz 2009|p. 444|harv=s}}.</ref>. [[Bruno Vespa]], all'interno di un'opera divulgativa, scrive che Dobbrick «salvò l'onore a prezzo della vita [...] si rifiutò di eseguire le fucilazioni e, più tardi, venne a sua volta fucilato»<ref>{{cita|Vespa 2005|p. 335|harv=s}}.</ref>. La presunta esecuzione dell'ufficiale non trova riscontri in nessun'altra fonte.
 
Nonostante il reggimento non avesse preso parte alla rappresaglia, nel rapporto della delegazione italiana alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946<ref name=participation/>, lo stesso che imputava ai militari altoatesini il rastrellamento del ghetto, si legge: «Fu un'unità del reggimento "Bozen" che diede luogo alla sfrenata rappresaglia contro 320 ostaggi civili trucidati alle Fosse Ardeatine vicino a Roma il 24 marzo 1944»<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 200|harv=s}}.</ref>.
 
Negli anni novanta, nel corso del processo agli ufficiali delle SS [[Karl Hass]] ed [[Erich Priebke]], subordinati di Kappler e tra gli organizzatori dell'eccidio, il rifiuto di Dobbrick di far eseguire la rappresaglia ai suoi uomini, giudicato da Kappler pretestuoso, insieme al successivo «autentico rimbalzo di responsabilità che si verificò tra i vari Comandi militari tedeschi», è stato considerato la prova che la legittimità dell'ordine apparve dubbia ad alcuni tra gli stessi militari tedeschi. Quindi, secondo la corte, gli imputati lo eseguirono «non perché convinti della sua legittimità, ovvero perché non consapevoli della sua manifesta criminosità, ma solo perché preferirono anteporre il proprio personale interesse all'esecuzione di centinaia di innocenti»<ref>[http://www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/Priebke_Erich/Pagine/08_22-07-97.aspx Sentenza del Tribunale Militare di Roma, in data 22.07.1997, dal sito del Ministero della Difesa</ref>.
 
È stato ipotizzato che dietro il mancato coinvolgimento del "Bozen" nell'eccidio vi fosse la volontà del Gauleiter Franz Hofer di evitare che i «suoi uomini sudtirolesi» si macchiassero di un crimine tale da aggravare le sue responsabilità, compromettendo le sue speranze di conservare il governo della regione in seguito a una futura trattativa di pace con gli Alleati<ref>{{cita|Zanette 2011|p. 30|harv=s}}.</ref>. Hofer credeva infatti di poter sopravvivere politicamente alla sconfitta della Germania nazista, creando con il favore degli Alleati – con i quali era in contatto tramite il colonnello delle SS [[Eugen Dollmann]] – una repubblica tirolese indipendente che avrebbe messo fine alle pretese austriache e italiane sulla regione e sarebbe servita agli americani come baluardo verso l'Est<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 292|harv=s}}.</ref>.
 
=== Vicende successive ===
Trenta militari, non essendosi ripresi dallo shock dell'attentato, disertarono e tornarono alle loro case in Alto Adige. Denunciati, furono costretti a presentarsi presso la caserma di Gries. Successivamente vennero inquadrati in compagnie punitive e inviati al fronte orientale, da cui la maggior parte di loro non fece ritorno<ref name=baratter201/>.
 
Nel giugno 1944, con il ritiro delle truppe tedesche da Roma, il battaglione fu trasferito in Italia settentrionale, dapprima a Lecco, poi in Piemonte. Nel novembre 1944 era operativo a Bologna. Dalla fine del 1944 al maggio 1945 fu operativo in Trentino ed in Cadore. Negli ultimi giorni di guerra si arrese ai partigiani.<ref name=wedekind329/> Robert Katz afferma che il terzo battaglione nel corso delle attività antipartigiane nel Nord Italia commise delle atrocità contro i civili<ref name=katz444/>.
 
Secondo lo storico tedesco Joachim Staron, i giudizi espressi da Katz si baserebbero su un saggio di Elizabeth Wiskemann<ref>''The Rome-Berlin Axis. A Study of the Relations between Hitler and Mussolini'', Londra [1949], 1966, p. 390.</ref> che parla genericamente di "crudeltà" senza citare fonti a sostegno<ref name=staron38/>.
 
== Caratteristiche ==
=== Relazione con le SS ===
Il Polizeiregiment "Bozen" era un reparto della [[Ordnungspolizei]] (polizia d'ordinanza)<ref>{{cita web|http://www.lexikon-der-wehrmacht.de/Zusatz/SS/Ordnungspolizei-R.htm|Zur Geschichte der Ordnungspolizei|sito=lexikon-der-wehrmacht.de|lingua=de|15 marzo 2014}}</ref><ref>[http://www.rom.diplo.de/contentblob/3762348/Daten/2924364/Rapporto_hiko.pdf Rapporto della Commissione storica italo-tedesca insediata dai Ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale di Germania il 28 marzo 2009], luglio 2012, pp. 30 e 110.</ref>, subordinata come tutte le forze di polizia del Reich al comando delle [[SS]] sin dal 17 giugno 1936, allorché [[Heinrich Himmler]], già [[Reichsführer-SS|capo delle SS]], fu nominato anche capo della polizia, suddivisa in Ordnungspolizei (al comando di [[Kurt Daluege]]) e [[Sicherheitspolizei]] (servizi speciali, al comando di [[Reinhard Heydrich]])<ref>[[Franz Leopold Neumann]], ''Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo'', Milano, Mondadori, 2004, p. 79.</ref>.
 
Generalmente trascurato dalla storiografia sull'attentato di via Rasella, per anni il "Bozen" è stato oggetto di descrizioni inesatte e contraddittorie, venendo erroneamente identificato come un reparto di SS formato da volontari, tanto che la frase «Transitava per via Rasella un plotone di SS» è stata – come ha notato lo storico [[Lorenzo Baratter]], autore di numerosi studi sui reggimenti di polizia altoatesini – «ricopiata dal 1944 ad oggi con la stessa, sorprendente, caparbietà degli antichi amanuensi»<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 206|harv=s}}.</ref>. Nel comunicato con cui il [[Comitato di Liberazione Nazionale]] denunciò l'eccidio delle Fosse Ardeatine era scritto che a via Rasella il nemico «aveva perso trentadue dei suoi SS»<ref>{{cita|Katz 2009|p. 312|harv=s}}.</ref>. Il giornalista americano [[Robert Katz]], nel suo ''Morte a Roma'' (prima edizione 1967), citando appunti presi durante un'intervista al gappista [[Mario Fiorentini]] del 27 marzo 1965, scrive: «Sulle [[mostrina|mostrine]] delle loro uniformi grigie e sul fronte dei loro elmetti, come Fiorentini può vedere, portano la doppia saetta, simbolo delle SS»<ref>«On the lapels of their gray uniforms and on the front of their helmets, as Fiorentini could see, they bore the double lightning bolt, symbol of the ''SS''». Cfr. {{cita|Raiber 2008|p. 212, nota 4 relativa a p. 41|harv=s}}.</ref>. In merito, lo storico americano Richard Raiber ha commentato: «Tutto ciò era immaginario. Avrebbe dovuto essere noto ai partigiani – se non a Katz – che i poliziotti, fossero SS o meno, non portavano le ''[[Simboli runici adottati dalle SS|Sigrunen]]'' sulla mostrina destra delle loro divise, un distintivo riservato solo a membri delle [[Waffen-SS]] al di sotto del grado di colonnello delle SS (''SS-[[Standartenführer]]''), mentre la "doppia saetta" era raffigurata sui lati, e non sul fronte, degli elmetti indossati dai membri delle SS»<ref>«All of this was imaginary: It must have been know to the partisans–if not to Katz–that no policeman, whether or not SS, wore ''Sigrunen'' on the right collars of their uniforms, a custom reserved exclusively for members of the ''Waffen-SS'' below the rank of ''SS'' Colonel (''SS-Standartenführer''), while the "double lightning flashes" were painted of the right temporal aspects, not the fronts, of helmets worn by members of the SS». Cfr. {{cita|Raiber 2008|p. 212, nota 4 relativa a p. 41|harv=s}}.</ref>.
 
[[File:Rappresaglia 1973 - Bozen.jpg|thumb|Scena del film ''[[Rappresaglia (film 1973)|Rappresaglia]]'' (1973) basato sul libro di [[Robert Katz]] ''Morte a Roma''. Il "Bozen" è erroneamente raffigurato come un'unità di SS, con relative mostrine e divisa grigia. Appartenendo alla polizia d'ordinanza, la divisa dei militari era invece di colore verde.]]
Da ''Morte a Roma'' di Katz è stata tratta la sceneggiatura del film ''[[Rappresaglia (film 1973)|Rappresaglia]]'' (1973) di [[George Pan Cosmatos]], nel quale gli uomini del "Bozen" sono rappresentati come SS, in divisa grigia con le tipiche mostrine con la doppia S dell'alfabeto runico. Sempre Katz, nel più recente ''Roma città aperta'', ha descritto il reparto come un «battaglione SS» composto da optanti per la Germania che, «di fronte all'obbligo del servizio militare, avevano compiuto l'ulteriore scelta di arruolarsi nelle SS piuttosto che nella Wehrmacht»<ref name=katz240>{{cita|Katz 2009|p. 240|harv=s}}.</ref>.
 
[[Giorgio Amendola]] e [[Mario Alicata]], comandanti dei GAP a Roma, non hanno mai parlato di SS nei loro scritti, definendo l'obiettivo dell'attentato "polizia tedesca", "plotone di gendarmi"<ref>{{cita|Amendola 1973|pp. 291 e 296 ss.|harv=s}}, cit. in {{cita|Staron 2002|p. 38, n. 32|harv=s}}.</ref> o "reparto di gendarmeria tedesca"<ref name=amendola/>. Rosario Bentivegna, nel suo libro ''Achtung Banditen!'', edito per la prima volta nel 1983, non specifica il corpo di appartenenza dei militari attaccati, scrivendo che «venivano su, verdi nelle loro divise come ramarri»<ref>{{cita|Bentivegna 2004|p. 199|harv=s}}.</ref>; le divise verdi erano caratteristiche della polizia d'ordinanza, nota infatti colloquialmente come ''Grüne Polizei'' (polizia verde)<ref>Si veda il lemma "Grüne Polizei" del [http://books.google.it/books?id=ykWfAAAAIAAJ&pg=PA313 glossario] in Werner Warmbrunn, ''The Dutch under German Occupation, 1940-1945'', Stanford University Press, 1963, p. 313.</ref>, mentre l'uniforme di servizio delle SS era di colore grigio<ref>Anche {{cita|Portelli 1999|p. 199|harv=s}}, scrive: «Non portano l'uniforme grigia delle SS combattenti, ma quella verde ramarro degli addetti ai rastrellamenti».</ref>. In un'intervista realizzata nel 1994 nell'ambito di un'inchiesta su via Rasella<ref>Realizzata dal regista Enzo Cicchino e andata in onda per il programma della Rai ''[[Mixer (programma televisivo)|Mixer]]'' di [[Giovanni Minoli]].</ref>, rispondendo all'osservazione dell'intervistatore «si è insistito molte volte, ed anche Lei lo ha affermato in questa sede, che i Tedeschi uccisi in Via Rasella fossero delle SS, invece non è vero», Bentivegna ha dichiarato:
 
{{citazione|Erano membri di un reggimento voluto da Himmler, tenuto a battesimo da Himmler – c'è una documentazione per questo – che si chiamava SS Polizei Regiment Bozen, cioè non erano SS come struttura politica organizzativa, però era un reggimento di polizia militare delle SS, e nel titolo del reggimento c'è proprio "SS Bozen Regiment"<ref name=bentivegna>[http://www.larchivio.com/rasella.htm Adattamento ed elaborazione dell'intervista originale a Rosario Bentivegna]</ref>.}}
 
Anche [[Carla Capponi]] ha parlato di «SS di Bolzano, gruppi speciali»<ref>[http://www.larchivio.com/capponi.htm Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Carla Capponi].</ref>. Nel corso della stessa inchiesta, il reduce del reggimento Arthur Atz, interrogato su quale fosse il suo corpo di appartenenza, ha risposto: «Polizia tedesca. Polizia. [...] Non abbiamo fatto parte delle SS, quella era una pura bugia che hanno detto, eravamo sempre poliziotti, mai delle SS, credevano soltanto loro che eravamo delle SS»<ref name=atz/>. Sulla questione, lo storico Giorgio Angelozzi Gariboldi ha affermato: «La definizione che fossero SS è incongrua... perché non avevano la divisa grigia delle SS, una divisa con le mostrine delle SS nel bavero, ma una divisa verde vivace [...] questi del Bozen con le SS non avevano nulla a che fare»<ref>[http://www.larchivio.com/gariboldi.htm Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Giorgio Angelozzi Gariboldi].</ref>.
 
Esaminando i documenti personali e le uniformi degli uomini del "Bozen", vari autori ne hanno confutato l'appartenenza alle SS. Hermann Frass ha scritto: «Non si parlava assolutamente di SS, nemmeno sul libro paga, che era redatto dal comando del reggimento e che riportava il suo sigillo di servizio. Né sull'uniforme, né sull'elmetto, né sul cinturone compariva il simbolo delle SS. Gli ufficiali venivano chiamati con le definizioni di rango della Wehrmacht e non con quelle delle SS»<ref>Hermann Frass, ''Das Drama der 11. Kompanie in Rom vor dreissig Jahren'', in «Südtirol in Wort und Bild», 18 (1974), Heft 3, in {{cita|Baratter 2005|p. 189|harv=s}}.</ref>. Lorenzo Baratter ha rilevato l'assenza del distintivo delle SS sulle divise, mentre ha definito «del tutto formale» l'uso di libretti personali con il logo delle SS, esteso dal 1944 a tutti i reparti di polizia e loro ausiliari. Lo stesso autore ha fatto notare che tra l'Ordnungspolizei e le SS potevano esistere relazioni funzionali – ad esempio, per gli ufficiali subalterni e superiori il grado ricoperto valeva in entrambi i corpi, mentre i generali avevano un doppio grado assegnato automaticamente a partire dal 1942-43 – ma tra l'appartenere all'uno o all'altro corpo vi era una differenza sostanziale, dimostrata dal fatto che, mentre la SS fu dichiarata «organizzazione criminale» dal [[Processo di Norimberga|Tribunale Internazionale di Norimberga]], i componenti dell'Ordnungspolizei poterono rimanere in servizio anche nel dopoguerra<ref>{{cita|Baratter 2005|pp. 189-190|harv=s}}.</ref>.
 
Il prefisso "SS-" apposto alla denominazione del reggimento derivava da un provvedimento di Himmler del 24 febbraio 1943, con il quale fu disposto che tutti i reggimenti di polizia – in segno di riconoscimento per il loro valido impiego sul fronte orientale – fossero rinominati in SS-Polizeiregimenter, senza tuttavia modificarne l'appartenenza alla Ordungspolizei<ref>«Mit Erlaß des RFSS und Chef des Deutschen Polizei vom 24.Februar 1943 erhielten die Pol.-Rgter, auf Grund der engen Verbindung von Polizei und SS und in Anerkennung ihres Einsatzes an der Ostfront in Krisenzeiten die Bezeichnung "SS-Polizei-Regimenter", blieben aber unverändert Bestandteil der Ordnungspolizei». Traduzione: «Con provvedimento adottato da parte del RFSS e Capo della polizia tedesca [Himmler] il 24 febbraio 1943 i Polizei-Rgter [reggimenti di polizia], in virtù della stretta connessione tra la polizia e le SS e in riconoscimento del loro impiego sul fronte orientale in tempi di crisi, hanno ricevuto l'appellativo "SS-Polizei-Regimenter", ma è rimasta invariata la loro appartenenza alla Ordnungspolizei». Cfr. [http://www.lexikon-der-wehrmacht.de/Zusatz/SS/Ordnungspolizei-R.htm Zur Geschichte der Ordnungspolizei], lexikon-der-wehrmacht.de.</ref>. I reggimenti non furono quindi inquadrati nelle [[Waffen-SS]]: in particolare, per le unità sudtirolesi ciò non avvenne grazie al diretto intervento a Berlino del commissario supremo dell'OZAV Franz Hofer<ref>{{cita|Zanette 2011|p. 25|harv=s}}.</ref>. Dal bollettino dei comandanti della polizia relativo all'anno 1944 risulta inoltre che il nome del "Bozen" fu cambiato in SS-Polizeiregiment ventiquattro giorni dopo via Rasella, il 16 aprile. Quindi secondo Baratter «A prescindere dalle considerazioni che riguardano l'uso del termine SS associato ai Polizeiregimenter, è dunque dimostrato che il 23 marzo il "Bozen" non apparteneva nemmeno sotto il profilo formale alle SS»<ref>{{cita|Baratter 2005|p. 190|harv=s}}.</ref>. Anche nel caso del Polizeiregiment "Alpenvorland" il provvedimento fu applicato con molto ritardo, il 29 gennaio 1945, mentre il "Brixen" e lo "Schlanders" nacquero direttamente come SS-Polizeiregimenter<ref name=historia/>.
 
Per la persistenza dell'errore nelle ricostruzioni storiche, Baratter ha incolpato «storici militanti che nel dopoguerra hanno commesso delle strane "sviste", evitando di ammettere che a Via Rasella furono colpiti dei soldati che non appartenevano nemmeno formalmente alle SS, non erano dei volontari e che, per la loro stessa origine, sudtirolese, avevano subito da fascismo e nazismo per almeno vent'anni quello che i partigiani romani nemmeno lontanamente potevano intuire»<ref>{{cita news|Nicola Spagnolli|http://www.miradouro.it/node/3768|Le guerre mondiali viste dalle Dolomiti. Incontro con lo storico Lorenzo Baratter|Il Popolo Veneto|26 febbraio 2006}}</ref>. Richard Raiber ha definito l'identificazione con le SS «un mito creato dai partigiani dopo la guerra»<ref>{{cita|Raiber 2008|p. 41|harv=s}}.</ref>.
 
=== Nazionalità ===
Esistono versioni discordanti su quale fosse l'effettiva nazionalità dei componenti dell'11ª compagnia attaccata a via Rasella. Una parte delle fonti afferma che era formata interamente da uomini che in seguito alle [[Opzioni in Alto Adige|opzioni di cittadinanza]] avevano deciso per la Germania (''Optanten''). Secondo Robert Katz erano uomini che «al tempo dell'unione con la Germania, avevano scelto la cittadinanza tedesca»<ref name=katz240/>. La [[Corte suprema di cassazione]], all'interno della sentenza di condanna inflitta nel 2007 al quotidiano ''[[Il Giornale]]'' per diffamazione ai danni dei gappisti, ha dichiarato che «facendo parte dell'esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica»<ref>Nel 1996 ''Il Giornale'' aveva invece scritto, tra altre affermazioni giudicate diffamatorie, che era formato interamente da cittadini italiani. Cfr. Corte di cassazione, Sezione III civile, [http://www.eius.it/giurisprudenza/2007/104.asp Sentenza 6 agosto 2007, n. 17172].</ref>.
 
Tuttavia, è storicamente comprovato che le autorità tedesche dell<nowiki>'</nowiki>''Alpenvorland'', dopo un primo insoddisfacente tentativo di limitare l'arruolamento agli optanti per la Germania volontari<ref name=wedekind328/><ref name=historia/>, effettuarono varie chiamate di leva obbligatoria – minacciando severe pene per i renitenti – rivolte a fasce della popolazione maschile sempre più ampie, fino a includere tutti gli abitanti della regione, compresi quindi coloro che avevano optato per l'Italia (''[[Dableiber]]'')<ref>{{cita|Baratter 2005|pp. 187-189|harv=s}}.</ref>. In questo quadro altre fonti delineano una situazione più complessa, ammettendo in varia misura la possibilità che nel reggimento militassero anche cittadini italiani. Secondo Michael Wedekind nel reggimento "Bozen", il primo reparto di polizia sudtirolese formato, militavano «perlopiù politicamente affidabili ''Optanten''»<ref>«zumeist politisch zuverlässige Optanten».</ref>, mentre i reggimenti costituiti in seguito – l'"Alpenvorland", lo "Schlanders" e il "Brixen" – erano composti prevalentemente da ''Dableiber''<ref name=wedekind328/>. [[Lutz Klinkhammer]] afferma che i militari del "Bozen" in servizio a Roma erano «in parte ''Optanten'', ma perlopiù ''Dableiber'' [...] costretti, contro ogni norma internazionale, al servizio militare»<ref>{{cita|Klinkhammer 1997|p. 12|harv=s}}.</ref>. In riferimento al contesto in cui fu costituito il reggimento, [[Alessandro Portelli]] scrive che «Fino al settembre 1943, sono reclutati solo gli "optanti" [...]. Dopo l'8 settembre, vengono richiamati anche cittadini formalmente italiani, la cui la [sic] volontarietà è poco più che una finzione, ma che comunque preferiscono questo servizio che è meglio pagato e li tiene lontani dal fronte»<ref>{{cita|Portelli 1999|p. 198|harv=s}}.</ref>. Lorenzo Baratter sottolinea come i tedeschi arruolassero indifferentemente altoatesini di ogni cittadinanza: «Non importava se i destinatari delle cartoline di precettazione fossero cittadini di lingua italiana oppure tedesca, optanti per la Germania piuttosto che per l'Italia: bastava essere uomini, residenti nel territorio dell'''Alpenvorland'', essere nati tra il 1894 e il 1926. Non c'erano altre vie di scampo»<ref name=baratter189/>. Per [[Claus Gatterer]] il reggimento era composto per la maggior parte da quei filo-austriaci descritti dal prefetto italiano [[Giuseppe Mastromattei|Mastromattei]] come animati da sentimenti di «ostilità pregiudiziale e irriducibile contro il nazismo»<ref name=historia/>.
 
[[Umberto Gandini]] evidenzia la loro stessa incertezza in merito: «Quelli che persero la vita erano sudtirolesi, quasi tutti già anziani, arruolati per forza appena tre mesi prima, partiti malvolentieri e scaraventati come tanti altri nella bolgia di una guerra non voluta né capita, incerti pure sulla loro cittadinanza al punto che non avrebbero saputo dire con sicurezza se dovevano considerarsi, per la burocrazia, italiani o tedeschi. [...] Avevano tutti documenti d'identità italiani in tasca ma parlavano tedesco; indossavano la divisa della polizia tedesca ma erano stati in precedenza, quasi tutti, soldati italiani»<ref>Umberto Gandini, ''Quelli di via Rasella. La storia dei sudtirolesi che subirono l'attentato del 23 marzo 1944 a Roma'', ricerca pubblicata dal quotidiano «[[Alto Adige (quotidiano)|Alto Adige]]» nel 1979, cit. in Paolo Piffer, ''[http://issuu.com/museo.storico.trentino/docs/altrestorie_12 Le voci di quelli del "Bozen"]'', in «Altre Storie», anno quarto, numero dodici, novembre 2003, p. 9.</ref>. Le ricerche storiche hanno infatti documentato che, a prescindere dalla cittadinanza acquisita in seguito alle opzioni, coloro che furono inviati a Roma avevano in gran parte già prestato servizio militare nel [[Regio Esercito]] italiano, essendo stati molti di loro fanti a [[Torino]], artiglieri di montagna a [[Merano]] e a [[Rovereto]], alpini a [[Brunico]], genieri a [[Casale Monferrato]]. Johann Kaufmann, caduto nell'attentato, era stato fante a [[Palermo]]. Il sopravvissuto Peter Putzer, originario di [[Varna (Italia)|Varna]], era stato artigliere da montagna italiano, compiendo l'addestramento al [[passo del Tonale]] con i cannoni austro-ungarici catturati durante la [[prima guerra mondiale]]<ref name=baratter186/>. Arthur Atz, di [[Caldaro sulla Strada del Vino|Caldaro]], dichiarò di aver svolto il servizio militare italiano nel 1939 in [[Sardegna]], venendo reclutato nel "Bozen" dopo aver optato per la Germania nel 1943. Le risposte di Atz su quale fosse la nazionalità sua e dei suoi ex commilitoni appaiono confuse, anche a causa del suo italiano stentato:
 
{{citazione|Noi siamo... parliamo tedesco e siamo italiani, perché siamo sotto l'Italia. Parliamo tedesco a casa. [...] [Eravamo] Tutti tedeschi, tutti tirolesi. Soltanto gli ufficiali erano tedeschi. I soldati erano tirolesi, ma noi diciamo tedeschi perché parliamo tedesco. Eravamo tutti italiani noi, come nazionalità eravamo italiani, ma io ho detto che quelli che erano dei battaglioni... però parlavamo tutti tedesco, non siamo mica tedeschi, soltanto la lingua parliamo<ref name=atz/>.}}
 
Nelle polemiche su via Rasella, il fatto che i militari attaccati fossero altoatesini e non propriamente tedeschi è stato uno degli aspetti che hanno maggiormente diviso: i critici dell'azione partigiana, ritenendo i caduti cittadini italiani costretti a indossare quell'uniforme dalle circostanze della guerra, dunque anch'essi vittime dei tedeschi, hanno accusato i gappisti di aver commesso un inutile fratricidio; viceversa, nell'ottica dei partigiani l'essere italiani in divisa tedesca era un'aggravante, come dimostra l'episodio riferito da [[Pasquale Balsamo]] della telefonata da lui ricevuta dalla madre di uno dei militari uccisi, intenzionata a difendere la memoria del figlio rivendicandone l'italianità. Alla domanda «Capisce, Balsamo, che mio figlio era italiano?», l'uomo rispose: «Signora, non lo dica a nessuno! Perché sennò è pure alto tradimento! Suo figlio non solo era italiano: vestiva la divisa tedesca, occupava un paese italiano e perseguitava gli italiani in divisa tedesca, quindi era un traditore»<ref>{{cita|Portelli 1999|p. 200|harv=s}}.</ref><ref name=baratter189/>. Per Bentivegna «erano di nazionalità germanica, e molti di loro avevano lottato per la nazionalità germanica prima... nel 1938 quando ci fu l'accordo sull'Alto Adige tra Mussolini e Hitler. [...] Per noi avevano una divisa nemica, erano nemici. Cioè, anche i fascisti erano italiani, che ragionamento è?»<ref name=bentivegna/>.
 
In varie interviste, Erich Priebke dichiarò che tra gli esecutori del massacro delle Fosse Ardeatine il desiderio di vendetta era poco sentito, in quanto per loro i caduti di via Rasella «non erano veri tedeschi, era gente che veniva dal Tirolo, fossero stati nostri...»<ref>{{cita news|[[Emanuela Audisio]]|http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/05/12/bariloche-si-mobilita-per-il-nazista-priebke.html|Bariloche si mobilita per il nazista Priebke|La Repubblica|12 maggio 1994}}</ref>; insomma erano «più italiani che tedeschi»<ref>{{cita news|Emanuela Audisio|http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/12/priebke-muore-100-anni-lascia-un-testamento.html|Priebke muore a 100 anni e lascia un testamento shock|La Repubblica|12 ottobre 2013}}</ref>.
 
=== Età ===
"L'età dei caduti del Bozen andava dai 26 ai 42 anni compiuti. La testimonianza di un portinaio raccolta da [[Raleigh Trevelyan]] in «Roma '44» secondo cui si trattava di «vecchi, padri di famiglia» è abbastanza forzata"<ref name=messina/>
Altre fonti fanno comunque notare che la maggioranza del reggimento proveniva da uomini delle classi 1900-1912,<ref name=wedekind328/> uomini quindi tra i 31 e 43 anni, che vengono definiti proprio "ältere Familienväter".<ref>{{cita|Goetz 1983|p. 168 ss.|harv=s}}, citato in {{cita|Staron 2002|p. 38|harv=s}}. Si noti che il comparativo "[http://dizionari.corriere.it/dizionario_tedesco/Tedesco/A/alter.shtml älter]" si può usare nel senso di "[http://dizionari.corriere.it/dizionario_tedesco/Tedesco/R/reif.shtml reif]", cioè maturo; si parla quindi di "maturi padri di famiglia", ad ogni buon conto "più vecchi" di coscritti ventenni.</ref>
 
== Controversie e commemorazioni ==
Dopo la guerra, ogni cinque anni a marzo i reduci del "Bozen" si sono riuniti presso il [[Santuario di Pietralba]], dove tra gli [[ex voto]] è custodito un quadretto con i nomi dei caduti di via Rasella<ref name=stampa79/>. Nel 1981 si svolse al cimitero militare di Bolzano, innazi a una lapide in bronzo dedicata ai militari uccisi, una cerimonia che vide la presenza di circa quattrocento persone, durante la quale fu intonato il canto ''[[Ich hatt' einen Kameraden]]'', che in Germania e in Austria accompagna tradizionalmente le esequie con onori militari e le commemorazioni dei caduti, essendo ufficialmente incluso nei cerimoniali delle forze armate. Tra i partecipanti, oltre a rapprestanze di associazioni dei reduci e degli ''[[Schützen]]'', vi erano il presidente della provincia autonoma di Bolzano [[Silvius Magnago]], leader della [[Südtiroler Volkspartei]] (SVP), e il senatore dello stesso partito [[Karl Mitterdorfer]]. Nell'annunciare la cerimonia sull'organo di stampa della SVP, l'ex senatore [[Friedl Volgger]] definì l'azione partigiana un gesto di «folli fanatici», suscitando dure proteste da parte dell'[[Associazione Nazionale Partigiani Italiani|ANPI]]<ref>{{cita news|Giuliano Marchesini||Hanno ricordato i caduti al canto di «Kameraden»|La Stampa|30 marzo 1981}}</ref>.
 
Nel 1984 il quotidiano ''[[Dolomiten]]'', principale giornale in lingua tedesca dell'Alto Adige, criticò l'allora presidente della Repubblica Italiana [[Sandro Pertini]] per non aver reso omaggio, in occasione delle sue visite a Bolzano, alla lapide posta nel cimitero militare cittadino in memoria dei «sudtirolesi che furono uccisi nel proditorio attentato di via Rasella [...] arruolati e utilizzati semplicemente come corpo di guardia non facendo del male a nessuno»<ref>{{cita news||http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/09/27/da-bolzano-un-attacco-pertini.html|Da Bolzano un attacco a Pertini|la Repubblica|27 settembre 1984}}</ref>. Pertini replicò domandando al direttore del quotidiano se si fosse «mai recato, nelle sue visite a Roma, alle Fosse Ardeatine, ove sono raccolte le salme di 335 innocenti uccisi dai tedeschi per rappresaglia dell'attentato di via Rasella»<ref>{{cita news|||Secca replica di Pertini al quotidiano Dolomiten|La Stampa|2 ottobre 1984}}</ref>.
 
In diverse occasioni a via Rasella sono state apposte senza autorizzazione lapidi in memoria dei caduti del "Bozen", poi rimosse dalla polizia: nel 1996 dal gruppo di estrema destra [[Movimento Politico]]<ref>{{cita news|Giuliano Gallo|http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/17/Una_lapide_Roma_via_Rasella_co_0_960117639.shtml|Una lapide a Roma in via Rasella, provocazione fascista sulla strage|Corriere della Sera|17 gennaio 1996}}</ref> e nel 2000 da sconosciuti<ref>{{cita news||http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/08/19/via-rasella-sequestrata-lapide-che-ricorda-bozen.html|Via Rasella, sequestrata lapide che ricorda i Bozen uccisi|La Repubblica|19 agosto 2000}}</ref>.
 
== Ordine di battaglia ==
Comandante: Oberst der Schutzpolizei (colonnello di polizia) Alois Menschik
 
Aiutante: Hauptmann der Schutzpolizei (capitano di polizia) Ullbrich
 
Battaglioni:
* I/SS-Polizei Regiment Bozen
* II/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Schroder)
* III/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Dobbrick)
* Polizei Ersatz Bataillon Bozen (battaglione rimpiazzi)
 
== Note ==
{{references|2}}
 
== Bibliografia ==
;Saggi storici
* {{cita libro|Lorenzo|Baratter|wkautore=Lorenzo Baratter|Dall'Alpenvorland a Via Rasella. Storia dei reggimenti di polizia sudtirolesi (1943-1945)|2003|Publilux|Trento}}
* {{cita libro|Lorenzo|Baratter|Le Dolomiti del Terzo Reich|2005|Mursia|Milano|isbn=88-425-3463-3|cid=Baratter 2005}}
* {{de}}{{cita pubblicazione|autore=Helmut Goetz|anno=1983|titolo=Das Attentat in Rom und die Fosse Ardeatine (1944)|rivista=Innsbrucker Historische Studien 6|pagine=161-178|cid=Goetz 1983}}
* {{cita libro|Robert|Katz|wkautore=Robert Katz|Roma città aperta. Settembre 1943 - Giugno 1944|2009|annooriginale=2003|Il Saggiatore|Milano|isbn=88-565-0047-7|cid=Katz 2009}}
* {{cita libro|Lutz|Klinkhammer|wkautore=Lutz Klinkhammer|Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44)|1997|Donzelli Editore|Roma|isbn=88-7989-339-4|cid=Klinkhammer 1997}}
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|1999|Donzelli Editore|Roma|isbn=88-7989-457-9|cid=Portelli 1999}}
* {{en}}{{cita libro|Richard|Raiber|Anatomy of Perjury. Field Marshal Albert Kesserling, Via Rasella, and the GINNY Mission|altri=prefazione di Dennis Showalter|University of Delawere Press||isbn=978-0-87413-994-5|cid=Raiber 2008}}
* {{de}}{{cita libro|Joachim|Staron|Fosse Ardeatine und Marzabotto: Deutsche Kriegsverbrechen und Resistenza|Verlag Ferdinand Schöning|Paderborn|2002|isbn=3-506-77522-7|cid=Staron 2002}}
* {{de}}{{cita libro|Michael|Wedewind|Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik in Norditalien 1943 bis 1945. Die Operationszonen "Alpenvorland" und "Adriatisches Küstenland"|2003|Oldenbourg Verlag|München (Monaco di Baviera)|isbn=3486566504|cid=Wedekind 2003}}
* {{cita libro|Michele|Zanette|L'Alto Adige di Hitler. Collaborazione e resistenza durante l'occupazione nazista dell'Alto Adige 1943 - 1945|Anno Accademico 2010-2011|Università degli Studi di Trento|url=http://michelezanette.files.wordpress.com/2013/04/lalto-adige-di-hitler.pdf|formato=pdf|cid=Zanette 2011}}
 
;Memorie dei partigiani
* {{cita libro|Giorgio|Amendola|wkautore=Giorgio Amendola|Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945|1973|Editori Riuniti|Roma|cid=Amendola 1973}}
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|wkautore=Rosario Bentivegna|Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella|2004|annooriginale=1983|Mursia|Milano|cid=Bentivegna 2004}}
* {{cita libro|Carla|Capponi|wkautore=Carla Capponi|Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista|2009|annooriginale=2000|Il Saggiatore|Milano|cid=Capponi 2000}}
 
;Opere di divulgazione
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|Via Rasella. La storia mistificata. Carteggio con Bruno Vespa|altri=[http://www.manifestolibri.it/vedi_brano.php?id=385 introduzione] di [[Sergio Luzzatto]]|2006|Manifestolibri|Roma|isbn=8872854474|cid=Bentivegna 2006}}
* {{cita libro|Bruno|Vespa|wkautore=Bruno Vespa|Vincitori e vinti. Le stagioni dell'odio. Dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi|2005|Mondadori|Milano|isbn=8804548665|cid=Vespa 2005}}
 
== Collegamenti esterni ==
* [http://digilander.libero.it/historiamilitaria3/bozen.htm Il Polizeiregiment "Bozen"], da historiamilitaria.it
 
{{Rasella-Ardeatine}}
 
{{Portale|Alto Adige|seconda guerra mondiale}}
 
[[Categoria:Storia dell'Alto Adige]]
[[Categoria:Forze di polizia della Germania nazista]]