Risorgimento e Governatori romani dell'Africa proconsolare: differenze tra le pagine

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[[File:Africa proconsularis SPQR.png|upright=1.4|thumb|La provincia d'Africa nell'Impero romano intorno al 120]]
{{nota disambigua|titolo=[[Il Risorgimento]]}}
Questa è la lista dei '''[[Governatore provinciale romano|governatori romani]] conosciuti della [[Africa (provincia romana)|provincia dell'Africa proconsolare]]''', localizzata nei moderni stati di [[Algeria]], [[Tunisia]] e [[Libia]].
Con '''Risorgimento''' la storiografia si riferisce al periodo della [[storia d'Italia]] durante il quale la [[nazione italiana]] conseguì la propria [[unità nazionale]], riunendo in un solo Stato – il [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] – gli [[stati preunitari]].
 
== La provincia d'Africa ==
Il termine, che designa anche il movimento culturale, politico e sociale che promosse l'unificazione, richiama l'ideale [[Romanticismo|romantico]] e [[Nazionalismo|nazionalista]] di una resurrezione d'Italia attraverso il raggiungimento di un'identità unitaria che si era iniziata a delineare durante la dominazione romana, la cui specificità «...valse a imprimere sull'Italia un tratto oggettivo di esperienza unitaria...»<ref>[[Ernesto Galli Della Loggia]], ''L'identità italiana''. Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 36. ISBN 88-15-06612-8</ref>. Tale processo identitario si arrestò definitivamente nella seconda metà del [[VI secolo]].<ref>Andrea Giardina ''L'Italia romana: storie di un'identità incompiuta'', Laterza, 1997.</ref>
{{Vedi anche|Africa proconsolare}}
 
Divenne provincia romana nel [[146 a.C.]] al termine della [[terza guerra punica]]. Un secolo più tardi, nel [[46 a.C.]], dopo la [[battaglia di Tapso]], Cesare riorganizzò i territori africani ed il regno della Numidia orientale divenne invece una nuova provincia: l''''Africa Nova'''. Per contrasto, i territori che già in precedenza costituivano la provincia d'Africa presero allora il nome di '''Africa Veto''' ("Africa vecchia").<ref name="Rinaldi Tufi378">S.Rinaldi Tufi, ''Archeologia delle province romane'', Roma 2007, p.378.</ref>
Sebbene non vi sia consenso unanime tra gli storici, la maggior parte di essi tende a stabilire l'inizio del Risorgimento, come movimento, subito dopo la fine del dominio [[Napoleonico]] e il [[Congresso di Vienna]] nel [[1815]], e il suo compimento fondamentale con l'annessione dello [[Stato Pontificio]] e lo spostamento della capitale a [[Roma]] nel febbraio [[1871]].
 
Dopo la [[battaglia di Azio]] ([[31 a.C.]]) [[Gaio Giulio Cesare Ottaviano|Ottaviano]] riorganizzò le province nel [[27 a.C.]]: le due province dell'''Africa Veto'' e ''Nova'' vennero unificate e classificate come [[provincia senatoria]], retta da un [[proconsole]], con il nome di '''Africa Proconsolare''' (''Africa Proconsolearis'').<ref name="Rinaldi Tufi378"/> Tra il [[37]] e il [[41]], l'imperatore [[Caligola]] sottrasse al governatore il comeo della legione, che venne affidato ad un ''[[legato legionis]]'' imperiale, nominato direttamente dall'imperatore.<ref name="Rinaldi Tufi378"/><ref name="TacitoHist4,48">[[Tacito]], ''[[Historiae (Tacito)|Historiae]]'', IV, 48.</ref><ref name="Dione59,20,7">[[Cassio Dione Cocceiano]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', LIX, 20, 7.</ref> Con [[Settimio Severo]] (nel [[193]]), la Numidia venne separata dall'[[Africa Proconsolare]], e governata da un procuratore imperiale.<ref name="Rinaldi Tufi378"/><ref name="AE1911,107">{{AE|1911|107}}.</ref>
Tuttavia, gran parte della storiografia italiana ha esteso il compimento del processo di unità nazionale sino agli inizi del [[XX secolo]], con l'annessione delle cosiddette ''[[Irredentismo italiano|terre irredente]]'', a seguito della [[prima guerra mondiale]],<ref>È questa l'opinione non solo di tanti intellettuali nazionalisti e irredentisti dell'epoca, ma anche di alcuni storici liberali, fra cui [[Adolfo Omodeo]], che fu «uno dei più accesi sostenitori della visione della Grande guerra come continuazione e compimento delle guerre di indipendenza e del Risorgimento...» Citazione da: AA. VV. ''Storia d'Italia''. Einaudi 1974 ed. speciale il Sole 24 Ore, Milano 2005 vol. 10 ([[Alberto Asor Rosa]], ''Dall'unità ad oggi'') pag. 1356.</ref> creando quindi il concetto di [[quarta guerra di indipendenza]]. Anche la [[Resistenza italiana]] ([[1943]]-[[1945]]) è stata talvolta ricollegata idealmente al Risorgimento.<ref name= Craveri>Piero Craveri, Gaetano Quagliariello, ''La Seconda Guerra Mondiale e la sua memoria'', Rubbettino Editore, 2006, p.579 e sgg</ref>
 
Sotto [[Diocleziano]] l'amministrazione provinciale venne riformata e la provincia dell'Africa proconsolare venne suddivisa nelle nuove province di '''Proconsolare Zeugitana''' (''Proconsolearis Zeugitana'') e di '''Valeria Bizacena''' (''Valeria Byzacena''), che entrarono a far parte della [[Africa (diocesi)|diocesi d'Africa]] nella [[Prefettura del pretorio d'Italia]] (''Italiae''), mentre la Numidia divenne una delle sette province della [[diocesi]] d'Africa, e fu divisa in '''Numidia Cirtensis''' e '''Numidia Militiana''' (queste ultime due riunite in un'unica provincia, al tempo di [[Costantino I]]).<ref name="Rinaldi Tufi378"/> Con la divisione dell'impero dopo la morte di [[Teodosio I]] nel [[395]], dalla provincia di Valeria Bizacena si distaccò ancora la nuova provincia della '''Tripolitania''' e le tre province fecero parte dell'[[Impero romano d'Occidente]].
Sin dalla nascita del [[Regno d'Italia]], sono state mosse critiche al processo di unificazione, le quali hanno dato origine ad una [[Revisionismo del Risorgimento|storiografia revisionista]], di varia ispirazione culturale ed ideale, che contesta in diverso modo la rappresentazione offerta dalla storiografia più diffusa circa i processi politici e militari che condussero all'unità d'Italia, tanto da influenzare, in taluni casi, l'origine di movimenti [[autonomismo|autonomisti]] e [[Indipendentismo|separatisti]], meridionali e settentrionali.
 
{| class="wikitable" style="width:99%;margin:auto;clear:both;"
[[File:Logo 150 anni dell'Unità d'Italia.png|thumb|300px|Logo del Governo Italiano per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia]]
! bgcolor="lightgrey" colspan=9 font-size=200%| EVOLUZIONE DELLA PROVINCIA D'AFRICA E NUMIDIA
|-
| bgcolor="lightgrey" | prima della conquista romana
| [[Cartagine]]
| colspan=2 | [[Regno di Numidia|Numidia]] orientale ([[Massili]])
| colspan=2| Numidia occidentale ([[Massesili]])
|-
| bgcolor="lightgrey" | dal [[146 a.C.]]
| bgcolor="#FFDEAD" | '''Africa'''
| colspan=4 | Numidia
|-
| bgcolor="lightgrey" | dal [[105 a.C.]]
| bgcolor="#FFDEAD" | Africa (con annesse parti della Numidia)
| colspan=2 | Numidia orientale
| colspan=2 | Numidia occidentale
|-
| bgcolor="lightgrey" | dal [[45 a.C.]]
| bgcolor="#FFDEAD" | '''Africa Veto'''
| bgcolor="#FFDEAD" colspan=2 | '''Africa Nova''' (ex Numidia orientale)
| Numidia occidentale
|''IV Coloniae Cirtensium''
|-
| bgcolor="lightgrey" | dal [[27 a.C.]]
| colspan=5 bgcolor="#FFDEAD" | '''Africa Proconsolare'''
|-
| bgcolor="lightgrey" | dal [[193]]<ref name="AE1911,107"/>
| colspan=3 bgcolor="#FFDEAD" | Africa Proconsolare
| bgcolor="#FFDEAD" colspan=2| '''Numidia'''
|-
| bgcolor="lightgrey" | con la [[tetrarchia|riforma]] di [[Diocleziano]]
| bgcolor="#FFDEAD" | Africa '''Proconsolare Zeugitana'''
| bgcolor="#FFDEAD" colspan=2 |Africa '''Valeria Bizacena'''
| bgcolor="#FFDEAD" | '''Numidia Miliziana'''
| bgcolor="#FFDEAD" | '''Numidia Cirtense'''
|-
| bgcolor="lightgrey" | al momento della divisione dell'impero nel [[395]]
| bgcolor="#FFDEAD" | Africa Proconsolare Zeugitana
| bgcolor="#FFDEAD" | Africa Bizacena
| bgcolor="#FFDEAD" | Africa '''Tripolitana'''
| bgcolor="#FFDEAD" colspan=2 | Numidia
|}
 
== Lista dei governatori ==
== Estensione cronologica del fenomeno ==
=== Epoca repubblicana ===
[[File:Vittorio Alfieri tomb.jpg|thumb|250px|Tra il 1806 e 1810 [[Antonio Canova|Canova]] scolpì l'[[Italia turrita]] piangente sulla tomba di [[Vittorio Alfieri]], uno dei primi intellettuali a promuovere il sentimento di unità nazionale]]
{{Vedi anche|Repubblica romana}}
 
Se non diversamente specificato, i nomi dei governatori d'Africa e le loro date sono prese dall'elenco di T.R.S. Broughton:<ref>T.R.S. Broughton, ''The Magistrates of the Roman Republic'', New York, in ''American Philological Association'', New York 1951-1952, vol. 1,2 (1952).</ref>
La definizione dei limiti cronologici del Risorgimento risente evidentemente dell'interpretazione [[storiografia|storiografica]] riguardo a tale periodo e perciò non esiste accordo unanime fra gli storici sulla sua determinazione temporale, formale ed ideale.
 
Le iscrizioni del periodo repubblicano sono meno comuni rispetto a quelle del periodo imperiale, tanto che i nomi dei governatori sono per lo più ricordati dalla storiografia antica o dai ''[[fasti triumphales]]''. Dopo la [[terza guerra punica|fine di Cartagine]] del [[146 a.C.]], non sono ricordati magistrati o pro-magistrati nella nuova provincia fino alla [[guerra giugurtina]] (112–105 a.C.), quando al termine della guerra venne affidato ad un consolare.
Esiste inoltre un collegamento tra un "Risorgimento letterario" e uno politico: fin dalla fine del [[XVIII secolo]] si scrisse di Risorgimento italiano in senso esclusivamente culturale.
Durante le [[Guerra civile romana|guerre civili degli anni '80 e '40 a.C.]], vi è difficoltà a definire quali siano i governatori legittimi dal solo titolo militare, come rivali di opposte fazioni che erano obbligati a far uso della forza.
 
{| class="wikitable" style="width:99%;margin:auto;clear:both;"
La prima estensione dell'ideale letterario a fatto politico e sociale della rinascita dell'Italia si ebbe con [[Vittorio Alfieri]] ([[1749]]-[[1803]]), non a caso definito da [[Walter Maturi]] il «primo intellettuale uomo libero del Risorgimento»<ref>Walter Maturi, "D'Azeglio", Dizionario biografico degli Italiani. (Roma, 1962), 4: pp.746-52.</ref>, vero e proprio storico dell'età risorgimentale, che diede inizio a quel filone letterario e politico risorgimentale che si sviluppò nei primi decenni del [[XIX secolo]].
! bgcolor="lightgrey" colspan=7 font-size=200%| Lista dei [[Governatore provinciale romano|Governatori romani]] dell'[[Africa proconsolare]]
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">'''Anno'''</div>
| colspan=6 bgcolor="#FFDEAD" | <div align="center">'''[[Africa proconsolare]]'''</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[146 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Scipione Emiliano|P. Cornelio Scipione Africano Emiliano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[111 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Calpurnio Bestia]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[110 a.C.|110]]-[[109 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Spurio Postumio Albino (console 110 a.C.)|Spurio Postumio Albino]]<ref>Continuò il mandato fino all'arrivo di Metello.</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[109 a.C.|109]]-[[107 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Cecilio Metello Numidico]]<ref>Continua come proconsole fino all’arrivo del suo successore [[Gaio Mario]], il quale prefer evitare di incontrarlo queo ci fu il trasferimento del comeo. Trionfò sui Numidi nel [[106 a.C.]] e ricevette il ''[[cognomina ex virtute|cognomen]]'' di Numidico da quel momento.</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[107 a.C.|107]]-[[105 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Mario]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[105 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cornelio Silla]]<ref>Delegato al commeo di ''pro praetore'' queo Mario tornò a Roma.</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[88 a.C.|88]]-[[87 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Sestilio]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[86 a.C.|86]]-[[84 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Cecilio Metello Pio]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[84 a.C.|84]]-[[82 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Fabio Adriano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[82 a.C.|82]]-[[79 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gneo Pompeo Magno]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[77 a.C.|77]]-[[75 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Licinio Lucullo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[69 a.C.]] o prima</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Aulo Manlio Torquato]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[67 a.C.|67]]-[[66 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Sergio Catilina]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[62 a.C.|62]]-[[59 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Pompeo (pretore 63 a.C.)|Q. Pompeio Rufo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[58 a.C.|58]]-[[57 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Vettio Sabino]]?</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[56 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Valerio Orca]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[52 a.C.]] e forse prima</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Attio Varo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[51 a.C.|51]]-[[50 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Considio Longo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[49 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Elio Tuberone]]<ref>Potrebbe non aver mai assunto la carica.</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[49 a.C.|49]]-[[48 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Attio Varo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[47 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[47 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Porcio Catone Uticense]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[46 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Caninio Rebilo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[45 a.C.|45]]-[[44 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Calvisio Sabino (console 39 a.C.)|C. Calvisio Sabino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[45 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Sallustio Crispo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Anno</div>
| colspan=3 bgcolor="#FFDEAD" | <div align="center">[[Africa Vetus]]</div>
| colspan=3 bgcolor="#FFDEAD" | <div align="center">[[Africa Nova]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[44 a.C.|44]]-[[42 a.C.]]</div>
| colspan=3 | <div align="center">[[Quinto Cornificio]]</div>
| colspan=3 | <div align="center">[[Tito Sesto]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[42 a.C.|42]]-[[40 a.C.]]</div>
| colspan=3 | <div align="center">[[Gaio Fuficio Fango]]</div>
| colspan=3 | <div align="center">[[Tito Sesto]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[40 a.C.|40]]-[[36 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Emilio Lepido]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[35 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Statilio Tauro]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[34 a.C.|34]]-[[32 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cornificio]]</div>
|}
 
=== Epoca imperiale ===
Come fenomeno politico, il Risorgimento viene compreso da taluni storici fra il [[proclama di Rimini]] ([[1815]]) e la [[breccia di Porta Pia]] da parte dell'esercito italiano (20 settembre [[1870]]), da altri, fra i primi [[moti del 1820-21|moti costituzionali]] del [[1820]]-[[1821]] e la proclamazione del Regno d'Italia ([[1861]]) o il termine della [[Terza guerra di indipendenza italiana|terza guerra d'indipendenza]] ([[1866]]).<ref>Cfr. Gilles Pécout, ''Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922)'', Pearson Paravia Bruno Mondadori, 1999, p. 5 e sgg.</ref>
{{Vedi anche|Impero romano}}
 
==== Alto impero ====
Altri ancora, in senso lato, vedono la sua nascita fra l'[[Dispotismo illuminato|età riformista]] della seconda metà del [[XVIII secolo]]<ref>Stuart J. Woolf dedicherà il primo dei due volumi del ''Risorgimento italiano'' all'età delle riforme settecentesche e a quella napoleonica, considerandole parti integranti del lungo processo risorgimentale. Cfr. ''Il Risorgimento italiano. Dall'età delle riforme all'Italia napoleonica'', Torino, Giulio Einaudi Editore, 1981, vol. I.</ref> e l'[[età napoleonica]] ([[1796]]-[[1815]]), a partire dalla [[Napoleone Bonaparte#La campagna d'Italia|prima campagna d'Italia]]<ref>È di questo avviso, fra gli altri, [[Alberto Mario Banti]], che individua nel triennio 1796-1799 il «il momento in cui si posero le fondamenta dei principi ideali che animarono l'idea risorgimentale» (''Il Risorgimento italiano'', Roma-Bari, Editori Laterza, 2004, p. XI. ISBN 978-88-420-8574-4</ref>.
{{Vedi anche|Alto Impero romano}}
 
{| class="wikitable" style="width:99%;margin:auto;clear:both;"
La sua conclusione, parimenti, viene talvolta estesa, come detto, fino al riscatto delle terre irredente dell'Italia nord-orientale ([[Trentino]] e [[Venezia Giulia]]) a seguito della [[prima guerra mondiale]].<ref>È questa l'opinione non solo di tanti intellettuali nazionalisti e irredentisti dell'epoca, ma anche di alcuni storici liberali, fra cui [[Adolfo Omodeo]], che fu «uno dei più accesi sostenitori della visione della Grande guerra come continuazione e compimento delle guerre di indipendenza e del Risorgimento...», in AA. VV., ''Storia d'Italia'', Einaudi, 1974, ed. speciale il Sole 24 Ore, Milano, 2005, vol. 10 ([[Alberto Asor Rosa]], ''Dall'unità ad oggi'') p. 1356.</ref> Infine, le forze politiche che diedero vita alla [[Costituzione della Repubblica Italiana]] ed una parte della storiografia hanno individuato nella [[Resistenza italiana|Resistenza]] all'occupazione [[nazismo|nazi]]-[[fascismo|fascista]], tra il [[1943]] ed il [[1945]], un "secondo" Risorgimento.<ref name= Craveri />
! bgcolor="lightgrey" colspan=7 font-size=200%| Lista dei [[Governatore provinciale romano|Governatori romani]] dell'[[Africa proconsolare]]
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">'''Anno'''</div>
| colspan=6 bgcolor="#FFDEAD" | <div align="center">'''[[Africa proconsolare]]'''</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[29 a.C.|29]]/[[28 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Autronio Peto]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[25 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Acilio Glabrione (console 33 a.C.)|Marco Acilio Glabrione]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[21 a.C.|21]]/[[20 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Sempronio Atratino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[20 a.C.|20]]/[[19 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cornelio Balbo (minore)|Lucio Cornelio Balbo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[14 a.C.|14]]/[[13 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Senzio Saturnino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[13 a.C.|13]]/[[12 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Domizio Enobarbo (console 16 a.C.)|Lucio Domitio Enobarbo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[9 a.C.|9]]/[[8 a.C.]]-[[4 a.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Quintilio Varo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[5]]/[[6|6 d.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Cosso Cornelio Lentulo (console 1 a.C.)|Cosso Cornelio Lentulo Gaetulico]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[8|8 d.C.]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Caninio Gallo (console 2 a.C.)|Lucio Caninio Gallo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[14]]-[[15]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Nonio Asprenate (console 6)|Lucio Nonio Asprenate]]<ref>[[Tacito]], ''Annales'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber I#LIII|I.53]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[15]]-[[16]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Elio Lamia]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[17]]-[[18]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Furio Camillo (proconsole d'Africa)|Marco Furio Camillo]]<ref>Tacito, ''Annals'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber II#LII|II.52]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[18]]-[[21]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Apronio]]<ref>Tacito, ''Annals'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber III#XXI|III.21]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[21]]-[[23]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Giunio Bleso]]<ref>Tacito, ''Annales'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber III#XXXV|III.35]], [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber III#LVIII|III.58]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[23]]-[[24]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Cornelio Dolabella (console 10)|Publio Cornelio Dolabella]]<ref>Tacito, ''Annales'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber IV#XXIII|IV.23]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[26]]-[[29]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Vibio Marso]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[29]]-[[35]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Giunio Silano (console 15)|Marco Giunio Silano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[35]]-[[36]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Rubellio Bleo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[36]]-[[37]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Servio Cornelio Cetego]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[38]]-[[39]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Calpurnio Pisone (console 27)|Lucio Calpurnio Pisone]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[40]]-[[41]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Salvio Otone]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[41]]-[[43]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Marcio Barea (console 26)|Quinto Marcio Barea]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[44]]-[[46]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Galba|Servio Sulpicio Galba]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[46]]-[[47]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Servilio Noniano|Marco Servilio Noniano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">?[[48]]-[[52]]? (sotto [[Claudio]]<ref name="ProconsolatoAfrica">{{cita|Plinio il vecchio|''Historia Naturale'', II, 96}}; {{AE|1916|110}} da Tivoli.</ref>)</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Tampio Flaviano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[52]]-[[53]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Statilio Tauro]]<ref>Tacito, ''Annals'' [[wikisource:The Annals (Tacito)/Book 12#59|XII.59]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[53]]-[[56]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Pompeio Silvano Staberio Flaviano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[56]]-[[57]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Sulpicio Camerino Petico]]</div>
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[57]]-[[58]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gnaeo Osidio Geta]]</div>
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[58]]-[[59]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Curzio Rufo|Quinto Curzio Rufo]]<ref>Tacito, ''Annales'' [[Wikisource:la:Ab excessu divi Augusti (Annales)/Liber XI#XXI|XI.21]]</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[60]]-[[61]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Vitellio|Aulo Vitellio]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[61]]-[[62]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Vitellio il giovane|Lucio Vitellio]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[62]]-[[63]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Servio Cornelio Scipione Salvidieno Orfito (console 51)|Servio Cornelio Scipio Salvidieno Orfito]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[63]]-[[64]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Vespasiano|Tito Flavio Vespasiano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[68]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Vipstano Aproniano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[121]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Minicio Natale]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[139]]-[[140]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Minicio]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[140]]-[[141]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Prifernio Peto Rosiano Gemino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[142]]-[[143]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Sesto Giulio maggiore]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[142]]-[[143]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Tullio Varrone]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[153]]-[[154]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Minicio Natale Quadronio Vero]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[157]]-[[158]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Edio Rufo Lolliano Avito (console 144)|Lucio Edio Rufo Lolliano Avito]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[161]]-[[163]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Sesto Cocceio Severiano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[163]]-[[164]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Servio Cornelio Scipione Salvidieno Orfito]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[164]]-[[165]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Antonio Zeno]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[176]]-[[177]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Aulo Giulio Pompilio Tito Vivio Levillo Pisone Bereniciano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[191]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Vettio Sabiniano Giulio Ospite]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[193]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Cornelio Anullino (console 199)|Publio Cornelio Anullino]]<ref>Mennen, Inge, ''Power e Stato in the Roman Empire, AD 193-284'' (2011), pg. 261</ref></div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[194]] e il [[197]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Cingio Severo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[194]] e il [[200]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Pollieno Augure (console sotto Marco Aurelio)|Pollieno Augure]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[194]] e il [[200]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Claudio Macrinio Vindice Ermogeniano]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[194]] e il [[200]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Sesto Cocceio Vibiano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[198]]-[[199]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cossonio Eggio Marullo]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[200]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Ulpio Arabiano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[200]] e il [[210]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Giulio Aspro]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[201]]-[[202]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Umbrio Primo]]</div>
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[203]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Minicio Opimiano]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[204]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Rufino (proconsole d'Africa)|Rufino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[206]]?</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Marco Valerio Bradua Maurico]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[209]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Flavio Decimo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[209]] e il [[211]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Valerio Pudente]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[212]]-[[213]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Publio Giulio Scapula Tertullo Prisco]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[212]] e il [[220]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Appio Claudio Giuliano]] </div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[213]] e il [[215]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Cesonio Macer Rufiniano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[213]] e il [[217]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Mario Massimo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[218]]/[[219]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Mario Perpetuo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[221]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Cassio Dione Cocceiano|Lucio Cassio Dione Cocceiano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[230]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Ottavio Appio Suetrio Sabino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[237]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gordiano I|Marco Antonio Gordiano Semproniano Romano Africano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[240]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Sabiniano (usurpatore)|Sabiniano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[240]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cesonio Lucillo Macer Rufiniano]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[257]]-[[258]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Aspasio Paterno]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[258]]-[[259]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Galerio Massimo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[259]] e il [[261]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">Lucio Messio [...]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[260]] e il [[268]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">? [[Vibio Passieno]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[260]] e il [[268]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Nevio Aquilino]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Tra il [[265]] e il [[268]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Sesto Cocceio Anicio Faoto]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[273]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">? [[Firmo (proconsole d'Africa)|Firmo]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">c. [[275]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Cesonio Ovinio Manlio Rufiniano Basso]]</div>
|-
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[283]]</div>
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Giulio Paulino]]</div>
|}
 
==== PremesseTardo storicheimpero ====
{{Vedi anche|Tardo Impero romano}}
[[File:Roman Italy.gif|thumb|Le regioni italiane dell'età augustea]]
Il Risorgimento italiano trae origine idealmente da diverse tradizioni storiche.<ref>Cfr. A. Desideri, ''Storia e storiografia'', Voll. I e II, Casa editrice D'Anna, Messina-Firenze, 1999</ref>
 
I governatori erano scelti direttamente dagli [[Imperatori romani]], senza l'approvazione del [[Senato romano|Senato]] di [[Roma antica|Roma]].
=== Impero romano e Medioevo ===
Durante l'[[Ottaviano Augusto|età augustea]] l'Italia fu organizzata in un [[Regioni dell'Italia augustea|sistema amministrativo]] distinto da quello tipico della [[provincia romana|province]]<ref>ad eccezione di [[Sicilia]] e [[Sardegna]]</ref> divenendo la parte privilegiata dell'impero: i suoi abitanti liberi erano [[Cittadinanza romana|cittadini romani]]<ref>solo nel [[212]] ([[Constitutio Antoniniana]]) la cittadinanza fu estesa a tutto l'impero</ref>, esentati dalla tassazione diretta, eccetto la nuova tassa sulle eredità creata per finanziare i bisogni militari. L'Italia fu dotata di una fitta rete stradale e di numerose strutture pubbliche ([[evergetismo]] augusteo).
I privilegi accordati da Roma all'Italia, tanto da farne una sorta di ''metropoli'' rispetto alle altre province dell'impero, affondavano le loro radici nella più antica politica d'espansione romana, che facendo leva sul comune substrato culturale e linguistico caratterizzante molti [[popoli italici]] ([[Latini]], [[Osci]], [[Falisci]] ecc.) ed i [[Veneti]], assimilava poi nella stessa [[koiné]] anche gli altri popoli della [[Italia (regione geografica)|regione italiana]] ([[Liguri]], [[Celti]], ecc.).
 
{| class="wikitable" style="width:99%;margin:auto;clear:both;"
Con la caduta dell'[[Impero romano d'Occidente]], l'unità territoriale della penisola non venne meno né col [[Regno ostrogoto|regno]] degli [[Ostrogoti]], il primo di tante occasioni mancate nel Medioevo per far nascere anche in Italia una coscienza nazionale come viceversa avvenne in altri paesi europei, né dopo l'intervento diretto dell'[[Impero romano d'Oriente|imperatore d'Oriente]] [[Giustiniano I]] e la successiva [[guerra gotica (535-553)]]; questa unità si ruppe con l'invasione longobarda e la conseguente spartizione della penisola.
! bgcolor="lightgrey" colspan=7 font-size=200%| Lista dei [[Governatore provinciale romano|Governatori romani]] dell'[[Africa proconsolare]]
 
|-
I [[Longobardi]] inizialmente tesero a rimanere separati dalle popolazioni soggette sia sotto il profilo politico che militare, ma col tempo finirono sempre più per fondersi con la componente latina e tentarono, sull'esempio romano e ostrogoto, di riunificare la penisola per dare una base nazionale al loro regno.<ref>«nè mai più fu ritentata per undici secoli la grande impresa (dicon essi) del costituire l'unità italiana.» (Giuseppe Brunengo, ''I primi Papi-Re e l'ultimo dei re longobardi'', Coi tipi della Civiltà Cattolica, 1864, p.260</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">'''Anno'''</div>
Tale tentativo fallì per l'intervento dei [[Franchi]] richiamati da [[papa Adriano I]], secondo un copione tipico destinato a ripetersi nei secoli a venire, che vede il papa cercare il più possibile di impedire la nascita di una potenza nemica sul suolo italico in grado di compromettere la sua autonomia.<ref>Cfr. Montanelli, ''Da Carlo Magno all'anno Mille. Storia d'Italia'', BUR, 1994.</ref>
| colspan=6 bgcolor="#FFDEAD" | <div align="center">'''[[Africa proconsolare]]'''</div>
 
|-
Prima della conquista franca infatti, il ''[[Regno longobardo|Regnum Langobardorum]]'' si identificava con la massima parte dell'Italia peninsulare e continentale e gli stessi re longobardi, dal [[VII secolo]], non si consideravano più solo re dei longobardi, ma dei due popoli (longobardi e italici di lingua latina) posti sotto la propria sovranità nei territori non bizantini e dell'Italia tutta (''Dei rex totius Italiae''). I vincitori si erano pertanto gradualmente romanizzati, abbracciando la cultura dei vinti grazie anche all'accettazione del latino come unica lingua scritta dello Stato e come strumento di comunicazione privilegiato a livello giuridico e amministrativo.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[290]]-[[294]]</div>
Durante il periodo longobardo, a seguito della [[Donazione di Sutri]] si formò il primo nucleo dello [[Stato Pontificio]]: il ''[[Patrimonio di San Pietro (provincia pontificia)|Patrimonium Sancti Petri]]'', primo nucleo territoriale su cui si estenderà il [[potere temporale]] della Chiesa, fino al 1870.
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Claudio Aurelio Aristobulo]]</div>
 
|-
I [[Franchi]], a partire dalla seconda metà dell'[[VIII secolo]], tentarono di ricostituire l'Impero con [[Carlo Magno]]: tale organismo prese corpo definitivamente un secolo e mezzo più tardi, con un sovrano germanico, [[Ottone I di Sassonia]].
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[294]]-[[295]]</div>
Il [[Regnum Italiae|Regno d'Italia]] era legato a questo grande organismo statuale da vincoli di vassallaggio, dai quali vanamente cercò di sottrarsi. I più celebri fra tali tentativi furono quello di [[Berengario del Friuli]] (850-924),<ref>«Alcuni storici e una certa retorica nazionalistica hanno fatto di lui un campione e un assertore dell'unità d'Italia», tratto da Montanelli & Gervaso, ''Storia d'Italia'', vol. 6, ''Da Carlomagno all'anno 1000'', pag. 139, Fabbri editori, 1994.</ref> e poi di [[Arduino d'Ivrea]] (955-1015), personaggi considerati dalla storiografia nazionalista come antesignani dei patrioti risorgimentali. Arduino, attorno all'anno [[1000]], sostenuto dalla nobiltà laica del nord Italia, condusse alcune campagne militari per liberare l'Italia dalla tutela germanica.<ref>Cfr. Umberto Eco, ''Il Medioevo. Barbari, cristiani, musulmani'', Encyclomedia Publishers, 2010</ref>
| colspan=6 | <div align="center">[[Cassio Dione (console 291)|Cassio Dione]]</div>
 
|-
Nei primi secoli dopo il Mille, lo stesso desiderio di autonomia e libertà portò a un notevole sviluppo delle [[Repubbliche marinare]] ([[Amalfi]], [[Genova]], [[Pisa]] e [[Venezia]]), e poi dei liberi [[Comune (storia)|Comuni]] di popolo, favorendo quella rinascita dell'economia e insieme delle arti che approderà al [[Rinascimento]], e che fu anticipata dal risveglio religioso che si ebbe nel [[Duecento]] con le figure di [[Gioacchino da Fiore]] e [[Francesco d'Assisi]].<ref>Konrad Burdach, ''Riforma, Rinascimento, Umanesimo'', trad. a cura di D. Cantimori, Sansoni, [[Firenze]] 1986.</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[295]]-[[296]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Tito Flavio Postumio Tiziano]]</div>
Se durante l'[[alto Medioevo]] il sentimento nazionale italiano si mantenne ancora piuttosto in ombra, partecipando alla contesa tra le due potenze di allora, il [[Papato]] e l'[[Impero]], con i quali si schierarono rispettivamente [[Guelfi e Ghibellini]], esso cominciò così lentamente a emergere, alimentandosi soprattutto del ricordo dell'antica grandezza di [[Roma antica|Roma]], e trovando nell'identità religiosa rappresentata dalla [[Chiesa cattolica|Chiesa]], idealmente erede delle istituzioni romane, un senso di comune appartenenza.<ref>AA.VV., ''Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna'', a cura di G. Chittolini, A. Molho e P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1994.</ref> La vittoria nella [[battaglia di Legnano]] ad opera della [[Lega Lombarda]] contro l'imperatore [[Federico Barbarossa]] ([[1176]]), e la rivolta dei [[Vespri Siciliani]] contro il tentativo del [[Carlo I d'Angiò|re di Francia]] di assoggettare la [[Sicilia]] ([[1282]]), saranno assunte in particolare dalla retorica [[Romanticismo|romantica]] ottocentesca come i simboli del primo risveglio di una coscienza di patria.<ref>{{cita|Le garzantine, Atlante storico..|pag. 150 e 151}}</ref>
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[296]]-[[300]]</div>
Mentre però da un lato la formazione dei [[Comune|comuni]] e delle [[Feudalesimo|signorie]] portò al fallimento di una composizione politica unitaria, per il prevalere di interessi locali in un'Italia suddivisa in piccoli stati, spesso in lotta fra di loro, d'altro lato, secondo taluni autori, fu proprio questo il periodo in cui si formò l'Italia come nazione, «...forse...la più precoce delle nazioni europee...<ref>La citazione è tratta da: [[Umberto Cerroni]], ''L'identità civile degli italiani'', Lecce, Piero Manni, 1996, pag. 24</ref>», e in cui, secondo alcuni storici, si produsse ad opera di [[Federico II del Sacro Romano Impero|Federico II]] il primo serio tentativo di unificazione peninsulare<ref>Cfr. Umberto Cerroni, ''op. cit'' p. 25</ref>.
| colspan=6 | <div align="center">[[Lucio Elio Dionisio]]</div>
Tale tentativo, secondo altre correnti storiografiche, fu invece espressione della volontà di una politica espansionistica di assoggettamento ad opera del [[Federico II del Sacro Romano Impero|sovrano svevo-italiano]], tesa a favorire l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche, sottraendo l'Italia dall'influenza papale e sottomettendola per intero all'impero germanico.<ref>Raffaele Morghen, ''L'unità monarchica nell'Italia meridionale'' in ''Nuove questioni di storia medioevale'', Marzorati. Milano, 1977 (riportato in Giampaolo Perugi, ''Pagine di storiografia'', Zanichelli editore, 2000, p.216)</ref>
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[301]]-[[302]]</div>
=== Rinascenze e Rinascimento ===
| colspan=6 | <div align="center">''Giuliano'', probabilmente [[Amnio Anicio Giuliano]]</div>
[[File:Portrait de Dante.jpg|thumb|left|120px|[[Dante Alighieri]]]]
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[[File:Santi di Tito - Niccolo Machiavelli's portrait headcrop.jpg|thumb|150px|[[Niccolò Machiavelli]]]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[302]]-[[305]]</div>
Durante le rinascenze culturali del XIII e XIV secolo, che avrebbero condotto al fiorire del [[Rinascimento]], si dimostrò ben vivo il ricordo della passata grandezza dell'Italia come centro del potere e della cultura dell'impero romano e come centro del mondo, e il Paese fu ispirazione ed oggetto di studio per poeti e letterati, cantando lodi all'Italia antica - già vista come continuum culturale se non nazionale - e deprecandone la contemporanea situazione.
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Annio Anullino]]</div>
Un sentimento di comune appartenenza nazionale sembrò maturare presso gli intellettuali del tempo mentre il volgare latino locale veniva elevato al rango di lingua letteraria, primo ideale elemento di una coscienza collettiva di popolo.<ref>«Già nella prima metà del Trecento essa aveva dato ciò che le altre nazioni non avevano dato ancora... una lingua raffinata, una grande poesia... una prosa letteraria...» da Umberto Cerroni, ''op. cit.'', p. 24</ref> Anche grazie a tali letterati e intellettuali, fra cui emersero le figure universali di [[Dante]], [[Petrarca]] e [[Boccaccio]], che ebbero scambi culturali senza tener conto dei confini regionali e locali, la lingua italiana dotta si sviluppò rapidamente, evolvendosi e diffondendosi nei secoli successivi anche nelle più difficili temperie politiche, pur rimanendo per molti secoli lingua veicolare solo per le classi più colte e dominanti, venendo progressivamente ed indistintamente adottata come lingua scritta in ogni regione italofona, prescindendo dalla nazionalità dei suoi principi. Dante e Petrarca inoltre introdussero la locuzione [[Bel paese]], come espressione poetica, per indicare l'Italia:
|-
{{Quote| del bel paese là dove 'l sì sona, <ref>Dante Alighieri, ''Inferno'', Canto XXXIII, verso 80. </ref>}}
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[305]]-[[306]]</div>
{{Quote|il bel paese/ Ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe <ref>Petrarca, ''Canzoniere'', CXLVI, versi 13-14</ref>}}
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Ceionio Rufio Voloiano]]</div>
Sul piano politico, invece, a causa della mancanza di uno [[stato unitario]] sul modello di quelli che stavano via via sorgendo nel resto d'Europa, i piccoli stati italiani furono costretta a supplire con l'intelligenza strategica dei suoi capi politici alla superiorità di forze degli stati nazionali europei, arrivando a concordare una alleanza la [[Lega Italica (1454)|Lega Italica]]. Esemplare fu in proposito il signore di [[Firenze]] [[Cosimo de' Medici]] (1389-1464), non a caso soprannominato ''Pater Patriae'', ovvero "Padre della Patria",<ref>«Capì che il destino dell'Italia era condizionato dall'equilibrio fra le quattro grandi potenze che vi si erano formate: Milano, Venezia, Firenze e Napoli. [...] Lo chiamarono "Padre della Patria", certamente alludendo a una patria fiorentina. Ma Cosimo lo fu di tutta l'Italia. Forse egli carezzò un sogno di unità nazionale. Ma capì ch'era irrealizzabile, e quindi si contentò dell'unico traguardo che un uomo di Stato italiano, a quei tempi, poteva proporsi: un Direttorio dei "quattro grandi", solidali nel proposito di mantenere la Penisola al riparo da intrusioni straniere» (Montanelli & Gervaso, ''Storia d'Italia'', vol. 12, ''La civiltà del Rinascimento'', pp. 11-12, Fabbri editori, 1994).</ref> e considerato uno dei principali artefici del [[Rinascimento fiorentino]]: la sua politica estera, infatti, mirante al mantenimento di un costante e sottile equilibrio fra i vari stati italiani, sarà profetica nell'individuare nella concordia italiana l'elemento chiave per impedire agli stati stranieri di intervenire nella penisola approfittando delle sue divisioni.<ref>{{cita|Le garzantine, Atlante storico..|pag. 223 e 225}}</ref>
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[315]]-[[317]]</div>
L'importanza della strategia di Cosimo, proseguita dal suo successore [[Lorenzo il Magnifico]] (1449-1492) nella sua continua ricerca di un accordo tra gli stati italiani in grado di sopperire alla loro mancanza di unità politica,<ref>«Questa fu la politica dei Medici sino alla fine del Quattrocento. Ad essa l'Italia è debitrice di quei decenni di relativa pace e di meravigliosa prosperità che consentirono il miracolo del Rinascimento» (Montanelli, ''op. cit.'', p. 12.).</ref> non venne tuttavia compresa dagli altri prìncipi della penisola, ed essa si concluse con la morte di Lorenzo nel [[1492]].
| colspan=6 | <div align="center">[[Petronio Probiano]]</div>
[[File:Ritratto di francesco guicciardini.jpg|thumb|left|150px|[[Francesco Guicciardini]]]]
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[317]]-[[318]]</div>
[[File:Cesare ripa italia turrita.jpg|thumb|150px|C. Ripa, L'Italia (1603)]]
| colspan=6 | <div align="center">[[Aconio Catullino]]</div>
 
|-
Da allora in Italia ebbe inizio un lungo periodo di dominazione straniera, la quale, secondo gli storici risorgimentali, fu quindi dovuta non a sterile arrendevolezza, bensì al ritardo del processo politico di unificazione. Nella propaganda risorgimentale, per via del [[s:Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta|romanzo omonimo]] di [[Massimo d'Azeglio]], è anzi rimasto celebre e ricordato come gesto di [[patriottismo]] l'episodio della [[disfida di Barletta]] ([[1503]]), quando tredici cavalieri italiani,<ref>Si trattava di «professionisti della guerra che non si facevano certo nessuno scrupolo a passare da una parte all'altra secondo le convenienze e circostanze, come farà uno dei tredici di Barletta», ma nei confronti dei quali il capitano spagnolo non perse l'occasione, offertagli dalla provocazione francese, di «far leva sull'amor proprio degli italiani» (Giuliano Procacci, ''La disfida di Barletta. Tra storia e romanzo'', Bruno Mondadori editore, 2001 pagg. 47-48).</ref> alleati degli spagnoli per la conquista del Regno di Napoli, capeggiati dal capitano di ventura [[Ettore Fieramosca]], sconfissero in duello altrettanti cavalieri francesi che li avevano insultati accusandoli di viltà e codardia.<ref>Il grande risalto che all'epoca venne dato all'episodio, secondo lo storico Giuliano Procacci (''op.cit.'', p.45), era dovuto al desiderio di perpetuare un'immagine epica della classe feudale della cavalleria ormai superata come strumento di guerra</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[333]]-[[336]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Cezeo Largo Materniano]]<ref name=Barnes85>Proviene dalla lista di T.D. Barnes, [https://www.jstor.org/stable/1088824 "Proconsoles of Africa, 337-392", ''Phoenix''], '''39''' (1985), pp. 144-153</ref></div>
L'interesse per l'unità si spostò intanto dall'ambito culturale a quello dell'analisi politica e, già nel [[XVI secolo]], [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] e [[Francesco Guicciardini|Guicciardini]]<ref>Cfr. F. Guicciardini, ''Storia d'Italia'', libro I, ed. Ricciardi, Milano-Napoli, 1953</ref> dibattevano il problema della perdita dell'indipendenza politica della penisola, divenuta nel frattempo un [[Guerre d'Italia del XVI secolo|campo di battaglia]] fra [[Francia]] e [[Spagna]] e infine caduta sotto la dominazione di quest'ultima.<ref>Cfr. G. Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna'', vol.I, Feltrinelli, Milano, 1956</ref>
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Pur con programmi diversi, Machiavelli e Guicciardini, fautori rispettivamente di uno [[Stato assoluto|Stato accentrato]] e di uno [[federalismo|federale]]<ref>«E se bene l'Italia divisa in molti domini abbia in vari tempi patito molte calamità che fose in un domino solo non avrebbe patito [...] nondimeno in tutti questi tempi ha avuto al riscontro tante città floride [...] che io reputo che una monarchia gli sarebbe stata più infelice che felice» (in F. Guicciardini, ''op.cit.'')</ref>, concordavano sul fatto che la perdita dell'individualità nazionale fosse avvenuta a causa dell'individualismo e della mancanza di senso dello Stato delle varie popolazioni italiane. Ecco quindi il compito del Principe al quale Machiavelli lanciava la sua nota {{Quote|esortazione a pigliare l'Italia e liberarla dalle mani dei barbari.<ref>N. Machiavelli, ''Opere scelte'', Volume 1969,Parte 1, Editori riuniti, 1969</ref>}}
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[336]]-[[337]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano]]<ref name=Barnes85/></div>
All'inizio del [[secolo XVII]] [[Cesare Ripa]] con la sua opera [[Iconologia]], nella voce "Italia con le sue provincie. Et parti de l'isole" rifacendosi ai testi classici diffonde l'immagine classica dell'[[Italia turrita]], con [[cornucopia]] e sovrastata da una stella, "come rappresentata nelle Medaglie di Commodo, Tito et Antonino" <ref>Cfr. Cesare Ripa, Iconologia, 1603</ref> e conclude la descrizione dell'Italia con la frase «''Siede sopra il Globo (come dicemmo) per dimostrare come l'Italia è Signora et Regina di tutto il Mondo, come hanno dimostrato chiaro gli antichi Romani, et hora più che mai il Sommo Pontefice maggiore et superiore a qual si voglia Personaggio.''»
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[337]]-[[338]]</div>
=== Età napoleonica ===
| colspan=6 | <div align="center">[[Antonio Marcellino]]<ref name=Barnes85/></div>
[[File:Censura borbonica 1798.jpg|thumb|300px|1798: censura borbonica anti-italiana, pagina originale della commedia "Il corsaro di Marsiglia" di [[Giovanni De Gamerra|Gamerra]] con le correzioni del regio censore [[Giovanni Battista Lorenzi|G. Lorenzi]] che eliminano ogni riferimento all'Italia, alla libertà e alla Francia <ref>La pagina proviene da un libro della libreria di [[Benedetto Croce]] che la commenta a pag. 653-654 del suo saggio ''I Teatri di Napoli secoli XV - XVIII'' (1891): Il titolo e' modificato da "Il corsaro di Marsiglia" a "Il corsaro" in quanto ricordava la Francia repubblicana e una delle sua città piu' repubblicane, Italia e' un'altra parola proibita sostituita con Napoli, "son d'Italia al servizio di Mr. Dumont" diventa "son Barlettano al servizio del signor Dumont", "la parola ''Liberta''' e' anche diligentemente allontanata" ... "figurarsi se lasciavano ''tiranno''! Corretto: ''crudele''" </ref>]]
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[338]]-[[339]]</div>
Non fu che alla fine del [[XVIII secolo]], con l'arrivo delle [[Grande Armata|truppe napoleoniche]] nella penisola, che cominciò a diffondersi presso strati sempre più ampi di popolazione un sentimento nazionale italiano<ref>Gilles Pécout, ''Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922)'', Pearson Paravia Bruno Mondadori, 1999, pp.7 e sgg.</ref>, fino ad allora percepito soltanto da una ristretta cerchia di intellettuali, aristocratici e borghesi già esposti alle idee dell'[[Illuminismo]], che aveva trovato in [[Napoli]] il suo maggior centro di studio accademico. Un'eredità ancora ben presente, a testimonianza dell'influsso "francese", è data dalla origine del [[Bandiera italiana|tricolore italiano]] inizialmente adottato nelle piccole ed effimere repubbliche create da Napoleone Bonaparte nell'Italia centro settentrionale e, quindi divenuto bandiera nazionale italiana; risale sempre a Napoleone la prima moneta con la parola "Italia": si tratta del [[Marengo (moneta)|marengo]] d'oro da 20 [[Franco (moneta)|franchi]] coniato nel [[1801]] dalla [[Repubblica Subalpina]] per celebrare la vittoria alla [[Battaglia di Marengo|vittoria]] contro gli austriaci recante la dicitura: ''L'Italie délivrée à Marengo'' (L'Italia liberata a Marengo)<ref>Vedi la p''remessa in Pierluigi Baima Bollone, Esoterismo e personaggi dell’Unità d’Italia. Da Napoleone a Vittorio Emanuele III'', ''Priuli e Verlucca editore''</ref>.
| colspan=6 | <div align="center">[[Aurelio Celsino]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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Questi nuovi sentimenti nazionalistici vennero anche diffusi dalle nazioni che si fronteggiavano militarmente sul suolo italiano per cercare l'appoggio delle popolazioni. Da [[Gradisca]] l'11 ottobre 1813 [[Eugenio di Beauharnais]] invitando gli italiani all'unione e al combattimento contro le forze austriache affermava: "... ITALIA! ITALIA! Questo sacro nome, che produsse nell'antichità cotanti prodigj, sia oggidì il nostro grido di unione! ... Il prode che combatte pei suoi focolari, per la sua famiglia, per la sua gloria e per l'indipendenza del suo paese è sempre invincibile ..."; a questo proclama rispondeva Il 10 dicembre 1813 [[Laval Nugent von Westmeath|Nugent]], comandante delle forze austro britanniche, da [[Ravenna]] rivolgendo a sua volta un proclama agli italiani, contenente l'affermazione "''... Avrete TUTTI a divenire una nazione indipendente ...''"<ref>Vedi: Lodovico Antonio Muratori, Giuseppe Catalano, ''Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750, compilati da Lodovico Antonio Muratori e continuati sino all'anno 1827, Tomo trigesimonono'' Volumi 39-40, Leonardo Marchini tip., Firenze, 1827.</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[338]]-[[339]] (''[[vicarius]]'')</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Fabio Aconio Catullino Filomazio]]</div>
[[William Bentinck|Lord Bentick]], comandante dell'esercito britannico in Italia, dopo essere sbarcato a [[Livorno]], il 14 marzo 1814, a sua volta lanciava un appello agli italiani, facendo un parallelo con la Spagna [[Guerra d'indipendenza spagnola|appena resasi indipendente]], che si concludeva: "''... Congiunte allora le forze nostre faran sì che l'Italia ciò divenga ch'ella già fu ne' suoi migliori tempi, e ciò che al presente è ancora la Spagna.''".<ref>Vedi: Filippo Antonio Gualterio, ''Gli ultimi rivolgimenti italiani: Documenti - memorie storiche con documenti inediti '', F. Le Monnier, 1851.</ref>
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[340]]-[[341]]</div>
Un più forte appello per una presa di coscienza politica nazionale diffusa in tale periodo, si trova nel [[Proclama di Rimini]], anche se rimase disatteso,<ref>[http://www.immaginidistoria.it/immagine2.php?id=12&id_img=254 Proclama di Rimini]</ref> in cui [[Gioacchino Murat]], il 30 marzo [[1815]], durante la [[guerra austro-napoletana]], rivolse un appello a tutti gli italiani "''...Italiani, non state più in forse, siate Italiani...''" affinché si unissero per salvare il regno posto sotto la sua sovranità, rappresentato come unico garante della loro indipendenza nazionale contro l'occupante straniero: " ... Italiani, la Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente; dall'Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo: Indipendenza d'Italia! ...".
| colspan=6 | <div align="center">[[Proculo]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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== Le idee e gli uomini ==
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[357]]-[[358]]</div>
[[File:Francesco Lomonaco.jpeg|right|thumb|140px|Francesco Lomonaco]]
| colspan=6 | <div align="center">-lio Flaviano </div>
Lo sviluppo di una coscienza politica nazionale coincise, soprattutto nella [[borghesia]], con la diffusione delle [[liberalismo|idee liberali]], e dell'[[Illuminismo]].
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[358]]-[[359]]</div>
Nel [[1765]] sul n.2 de [[Il Caffè]] esce ''La patria degli Italiani'', di [[Gian Rinaldo Carli]] che si chiude con la frase «Un italiano in Italia non è mai forestiero».
| colspan=6 | <div align="center">[[Sesto Claudio Petronio Probo]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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Nel [[1782]] quaranta scienziati italiani fondarono a [[Verona]] la [[Accademia Nazionale delle Scienze (Italia)|Società italiana]], ritenendo, come scrisse il suo primo presidente il matematico [[Antonio Maria Lorgna]], che "''lo svantaggio dell’Italia è l’avere ella le sue forze disunite''" per cui si doveva "''associare le cognizioni e l’opera di tanti illustri Italiani separati''" ricorrendo "''a un principio motore degli uomini sempre attivo, e talora operante con entusiasmo, l’amor della Patria''", Lorgna concludeva: "''Cari Signori oltremontani, aspettino un pochino e vedranno l’Italia sotto altro aspetto fra pochi anni. Basta che siamo uniti''".<ref>Estratto dal primo numero delle Memorie accademiche della Società [http://www.accademiaxl.it/storia_persapernepiu.php Le origini dell'Accademia]</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[359]]-[[361]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Procliano]]<ref name=Barnes85/></div>
Queste idee vennero quindi esaltate dalla [[Rivoluzione francese]], ed ebbero un'accelerazione improvvisa con la discesa in Italia di [[Napoleone Bonaparte]] nella sua [[Campagna d'Italia (1796-1797)|I campagna d'Italia]], nel [[1796]].
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Rovesciati i sovrani preesistenti, i francesi, deludendo le speranze dei [[Giacobinismo|patrioti giacobini]] italiani, si erano stabilmente insediati in buona parte dell'[[Italia settentrionale]], creando repubbliche su modello francese (le cosiddette [[repubbliche sorelle]]), rivoluzionando la vita del tempo e portando idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulle popolazioni locali, sino a generare episodi di rivolta come le cosiddette "[[Pasque veronesi]]".<ref>Cfr.F. M. Agnoli, ''Le Pasque veronesi: quando Verona insorse contro Napoleone'', Rimini, Il Cerchio, 1998.</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[361]]-[[362]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Clodio Ermogeniano Olibrio]]<ref name=Barnes85/></div>
Il sorgere della coscienza nazionale non fu un processo unitario, lineare o coerentemente definito; diversi programmi, aspettative ed ideali, a volte anche incompatibili tra loro, confluirono in un vero e proprio crogiuolo<ref>Cfr. F. Della Peruta, ''I democratici e la rivoluzione italiana'', Milano, 1974; idem, ''Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento'', Milano, 1989.</ref>: vi erano in campo quelli [[romantico]]-[[Nazionalismo|nazionalisti]], [[Repubblicanesimo|repubblicani]], [[Socialismo utopico|protosocialisti]], [[anticlericalismo|anticlericali]], [[liberalismo|liberali]], [[monarchia|monarchici filo Savoia]] o [[papa]]lini, [[laicismo|laici]] e [[clericalismo|clericali]], vi era l'ambizione espansionista di [[Casa Savoia]] verso la [[Lombardia]], vi era il bisogno di liberarsi dal [[Impero asburgico|dominio austriaco]] nel [[Regno del Lombardo-Veneto]], unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla [[rivoluzione industriale|rivoluzione tecnico-industriale]],<ref>«Fu questo senza dubbio un momento molto importante nello sviluppo economico della Lombardia, il momento in cui l'agricoltura [favorita nel suo sviluppo dall'Austria] cominciò a perdere terreno di fronte all'industria e al commercio...[I ceti produttori guardavano ormai al Piemonte] ove la libertà aveva consentito una rapida e notevole espansione dell'industria e del commercio» (in F. Catalano, ''Stato e società nei secoi'', III, ed. G. D'Anna, Messina-Firenze, 1966)</ref> superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano Stati, in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di [[patria]] più ampia e ad auspicare la nascita di uno [[nazionalità|Stato nazionale]] analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come [[Francia]], [[Spagna]] e [[Gran Bretagna]].
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[[File:Vincenzo Gioberti iii.jpg|thumb|150px|right|Vincenzo Gioberti]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[363]]-[[364]]</div>
[[Francesco Lomonaco]] fu uno dei primi patrioti, se non il primo,<ref>Pasquale Turiello, ''Governo e governati in Italia'', Zanichelli, 1889, p.133</ref> a preconizzare la formazione di un'Italia unita sotto un unico governo. Nel suo scritto ''Colpo d'occhio sull'Italia'', contenuto nel ''Rapporto al cittadino [[Lazare Carnot|Carnot]]'' ([[1800]]), egli recitò: «Perché vi sia in Europa bilancia politica è d'uopo che l'Italia sia fusa in un solo governo [...] Gli Italiani, avendo unico e proprio governo acquisteranno spirito di nazionalità, avendo patria godranno della libertà e di tutti i beni che ne derivano».<ref>Costanzo Rinaudo, ''Il risorgimento italiano'', S. Lapi, 1911, p.80</ref>
| colspan=6 | <div align="center">[[Clodio Octaviano]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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Dopo Lomonaco, le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui:
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[364]]-[[365]]</div>
[[Giuseppe Mazzini]], figura eminente del [[Partito repubblicano italiano|movimento liberale repubblicano]] italiano ed europeo;<ref>Tra le opere ''Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire'' Editore Mursia. ISBN 978-88-425-4172-1</ref> [[Giuseppe Garibaldi]], repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in [[Europa]] ed in [[Sud America]]; [[Camillo Benso conte di Cavour]], statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]; [[Vittorio Emanuele II di Savoia]], abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]].
| colspan=6 | <div align="center">P. Ampelio<ref name=Barnes85/></div>
 
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Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come [[Nicolò Tommaseo]] e [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]]; vi furono cattolici come [[Vincenzo Gioberti (Il pensiero politico)|Vincenzo Gioberti]], [[Antonio Rosmini]] e [[Vincenzo d'Errico]] che auspicavano una [[federalismo|confederazione]] di stati italiani sotto la presidenza del Papa ([[neoguelfismo]]) o della stessa dinastia sabauda; vi furono docenti ed economisti come [[Giacinto Albini]] e [[Pietro Lacava]], divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel Meridione<ref>Cfr.L. Salvatorelli, ''Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870'', Torino, 1959</ref>.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[365]]-[[366]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">?[[Claudio Ermogeniano Cesario]]<ref name=Barnes85/></div>
Trascorsa la fase delle società segrete, sviluppatasi soprattutto tra il [[1820]] ed il [[1831]], durante i due decenni successivi presero corpo le due correnti principali che promossero con piena consapevolezza ed incisività politica il processo risorgimentale, quella democratica e quella moderata.<ref>Lucy Riall, Pinella Di Gregorio, ''Il Risorgimento. Storia e interpretazioni'', Donzelli Editore, 1997 p.38 e sgg.</ref>
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[366]]-[[368]]</div>
== Gli anni della restaurazione ==
| colspan=6 | <div align="center">[[Giulio Festo Imezio]]<ref name=Barnes85a>T.D. Barnes, [https://www.jstor.org/stable/1088641 "Proconsoles of Africa: Corrigenda", ''Phoenix''], '''39''' (1985), pp. 273-274</ref></div>
{{vedi anche|Restaurazione|Moti del 1820-1821|Ciro Menotti}}
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[[File:Italy unification 1815 1870.jpg|thumb|left|La mappa d'Italia con i confini del 1815 e le date dell'unificazione]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[368]]-[[371]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Petronio Claudio]]<ref name=Barnes85a/></div>
[[File:Geminiano Vincenzi - Ciro Menotti al supplizio - litografia - 1875-1899.jpg|150px|thumb|''Ciro Menotti al supplizio'', litografia di Geminiano Vincenzi]]
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Dopo la sconfitta definitiva di Napoleone il [[Congresso di Vienna|Congresso delle potenze vincitrici]] riunitosi a Vienna decise di restaurare i sovrani detronizzati in nome del [[legittimismo|principio di legittimità]], talora sacrificato per l'assetto dell'[[politica dell'equilibrio|equilibrio di potere]] (''balance of power'') tra le potenze europee. Per assicurare il mantenimento dell'ordine, essendo la restaurazione avvenuta senza considerare le volontà popolari e talora imponendo un nuovo dominio diverso da quello pre-napoleonico, come nel caso dell'[[Caduta della Repubblica di Venezia#Il trattato di Campoformio e la fine dell'indipendenza|annessione del Veneto]] all'[[Impero austro-ungarico]], venne sviluppato il principio d'intervento e della sovranità limitata degli stati<ref>Cfr. Napoleone Colajanni, ''Dov'è la sinistra?: critica della "terza via"'', Ponte alle Grazie, 2000</ref>. Dove la situazione politica di uno stato mettesse in pericolo l'ordine negli altri stati, si previde la creazione di uno strumento repressione internazionale chiamato [[Santa Alleanza]] a cui avrebbero partecipato forze armate delle potenze vincitrici. Il patto fu stipulato tra l'[[Austria]], la [[Prussia]], la [[Russia]]; successivamente il [[20 novembre]] [[1815]] la [[Gran Bretagna]] aderì a quella che fu chiamata la [[Quadruplice Alleanza (1815)|Quadruplice Alleanza]], che l'entrata della [[Francia]] di [[Luigi XVIII di Francia|Luigi XVIII]] nel [[1818]] trasformò nella [[Quintuplice Alleanza]].
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[371]]-[[373]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Sestio Rotico Giuliano]]<ref name=Barnes85a/></div>
Il Congresso concordò inoltre incontri periodici (il cosiddetto ''Concerto d’Europa''), al fine di controllare lo stato dell'ordine internazionale, appianare i contrasti e assicurare la pace: uno strumento questo così efficace che fino alla [[guerra di Crimea]] vennero evitati conflitti tra le potenze europee.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[373]]-[[374]]</div>
Dopo il Congresso di Vienna, l'influenza francese e rivoluzionaria rimase nella vita politica italiana attraverso la circolazione delle idee e la diffusione di [[gazzetta|gazzette]] letterarie; fiorirono salotti borghesi che, sotto il pretesto letterario, crearono veri e propri [[club]] di tipo anglosassone o giacobino, spesso di modello iniziatico e [[massoneria|massonico]]. Tali circoli si prestarono talvolta a coprire alcune [[società segreta|società segrete]]<ref>Cfr.G. Berthier De Sauvigny, ''La Restauration'', Parigi, 1955</ref> che andavano formandosi, come i [[Filadelfi]] e gli [[Adelfi]], trasformatisi infine nei [[Sublimi Maestri Perfetti]] di [[Filippo Buonarroti]].
| colspan=6 | <div align="center">[[Quinto Aurelio Simmaco]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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=== I moti carbonari ===
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[374]]-[[375]]</div>
In questo panorama patriottico settario, la principale associazione politica segreta fu quella della [[Carboneria]], originariamente nata a [[Napoli]] nel [[1814]] per opporsi alla politica filonapoleonica di [[Gioacchino Murat]]; dopo la caduta di quest'ultimo e l'insediamento o il ritorno sui troni in alcuni stati della penisola italiana di sovrani illiberali tramite l'intervento delle truppe austriache, la Carboneria si diffuse nella penisola assumendo un carattere cospiratorio con lo scopo di trasformare questi stati in stati costituzionali provocandovi moti rivoluzionari.
| colspan=6 | <div align="center">[[Paolo Costanzo]]<ref name=Barnes85/></div>
==== 1817 ====
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Il primo moto carbonaro venne tentato a [[Macerata]], nello [[Stato pontificio]], nella notte tra il [[24 giugno|24]] e il [[25 giugno]] [[1817]], ma la polizia [[papalino|papalina]], informata dei preparativi, soffocò l'azione sul nascere. Tredici congiurati furono condannati a morte e poi graziati da papa [[Pio VII]].<ref>Cfr. Enrico Leo, ''Storia degli stati italiani dalla caduta dell'impero romano fino all'anno 1840. Volume 2'', Elibron classic series, 2006 (ristampa originale del 1842)</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[375]]-[[376]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Chilo<ref name=Barnes85/></div>
Nel luglio del medesimo anno le rimanenti truppe austriache, ancora presenti a Napoli dopo aver riportato i [[Borbone|Borboni]] sul trono, completarono il loro ritiro dal Regno delle Due Sicilie e il generale austriaco [[Laval Nugent von Westmeath]] divenne comandante supremo dell'esercito delle Due Sicilie e Ministro della guerra
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Aprile 376-Ottobre [[377]]</div>
==== 1820-1823 ====
| colspan=6 | <div align="center">[[Decimio Ilariano Esperio]]<ref name=Barnes85/></div>
[[File:Arresto pellico maroncelli.jpg|250px|thumb|L'arresto di [[Silvio Pellico]] e [[Pietro Maroncelli]] (1820)]]
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Nel porto spagnolo di [[Cadice]] il [[1 gennaio]] [[1820]] gli ufficiali delle forze militari che avrebbero dovuto reprimere la rivolta di [[Simón Bolívar]] nell'America del sud rifiutarono di imbarcarsi. Il loro ''[[pronunciamiento]]'' si estese a tutta la Spagna, obbligando il re [[Ferdinando VII di Spagna|Ferdinando VII]] a concedere nuovamente il 10 marzo dello stesso anno la [[Costituzione spagnola del 1812|Costituzione di Cadice del 1812]].
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">Ottobre 377-Aprile [[379]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Talassio (proconsole)|Talassio]]<ref name=Barnes85/></div>
Le notizie di questi avvenimenti accesero gli animi dei carbonari italiani provocando i [[Moti del 1820-1821|moti costituenti degli anni 1820-1821]] che, pur avendo tutti come finalità la progressiva liberalizzazione dei regimi assolutistici, assunsero tuttavia connotazioni diverse da Stato a Stato e da città a città.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[379]]-[[380]]</div>
In Sicilia una rivolta [[separatismo|separatista]] esplose [[Storia della Sicilia borbonica#Moti del 1820|il 15 luglio 1820]] con la formazione di un governo a [[Palermo]] che ripristinò la [[Costituzione siciliana del 1812]]. I separatisti del governo provvisorio inviarono una lettera al re dove dichiaravano che: «Dal 1816 in poi, la Sicilia ebbe la sventura di essere cancellata dal novero delle nazioni e di perdere ogni costituzione. Noi domandiamo l'indipendenza della Sicilia e i voti non sono solo di Palermo ma della Sicilia intera e la maggior parte del popolo siciliano ha pronunziato il suo voto per l'indipendenza».<ref>Niccolò Palmieri, ''Saggio storico e politico sulla costituzione del regno di Sicilia infino al 1816: con un' appendice sulla rivoluzione del 1820 : con una introduzione e annotazioni di anonimo'', editori S. Bonamici e Compagni, Losanna 1847, pag.381</ref> Il [[7 novembre]] 1820 il Borbone inviò un esercito agli ordini di [[Florestano Pepe]] (poi sostituito dal generale [[Pietro Colletta]]) che riconquistò la Sicilia attraverso lotte sanguinose e ristabilì la monarchia assoluta risottomettendo la Sicilia a Napoli.<ref>Nicolò Palmieri, Michele Amari, ''Storia della rivoluzione di Sicilia nel 1820'', 1848, p.9 e sgg.</ref>
| colspan=6 | <div align="center">[[Flavio Afranio Siagrio]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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A [[Napoli]] i moti iniziati il [[1 luglio]] del [[1820]] ad opera di due giovani ufficiali, [[Michele Morelli]] ([[1790]]-[[1822]]) e [[Giuseppe Silvati]] ([[1791]]-[[1822]]), culminarono con la presa della città: il generale [[Guglielmo Pepe]], comandante degli insorti, riuscì ad imporre al re [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]] la concessione della costituzione.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[380]]-[[381]] o più probabilmente [[382]]-[[383]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Elvio Vindiciano]]<ref name=Barnes85/></div>
Per riportare l'ordine negli stati che si erano sollevati le potenze europee della [[Quadruplice Alleanza (1815)|Quadruplice alleanza]] si riunirono nel dicembre del 1820 al [[Congresso di Troppau]]. Ferdinando I convocato nel successivo [[Congresso di Lubiana]] nel gennaio 1821 ebbe il permesso di recarvisi dal governo rivoluzionario. Di fronte ai rappresentanti delle potenze il re, sconfessando gli impegni presi alla partenza da Napoli col parlamento napoletano di difendere la costituzione, richiese l'intervento militare degli [[Austria]]ci, che sconfissero l'esercito napoletano, guidato da Pepe, nella [[battaglia di Antrodoco]] il [[7 marzo]] [[1821]] e conquistarono Napoli il 23 marzo. La costituzione venne annullata<ref>Cfr. Harold Acton, ''I Borboni di Napoli (1734-1825)'', Giunti Editore, 1997.</ref> e trenta rivoluzionari furono condannati a morte (tra cui Pepe, Morelli e Silvati).
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[381]]-[[382]]</div>
A [[Palermo]], nell'agosto [[1821]], vennero costituite venti "vendite" carbonare, con la finalità di abbattere il governo e avere la costituzione spagnola; il moto era guidato dal sacerdote [[Bonaventura Calabrò]], che organizzò una rivolta prevista il 12 gennaio 1822, creando un nuovo [[vespri siciliani|vespro]]. Tuttavia il susseguirsi delle riunioni insospettì la polizia borbonica, che convinse un congiurato al doppio gioco. Nella notte dell'11 gennaio iniziarono i primi arresti e confessioni, un timido tentativo di rivolta che avvenne l'indomani fu represso e i congiurati imprigionati. Il 31 gennaio, nove dei congiurati, tra cui due sacerdoti, furono condannati a morte e le loro teste, rinchiuse in gabbie di ferro, rimasero appese a [[Porta San Giorgio (Palermo)|Porta San Giorgio]] fino al 1846<ref>Cfr pag. 28 in Amelia Crisantino, ''Introduzione agli «Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820» di Michele Amari'', Quaderni - Mediterranea. Ricerche storiche, N. 14., Palermo. ISBN 978-88-902393-3-5</ref>.
| colspan=6 | <div align="center">Erasio<ref name=Barnes85/></div>
 
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In [[Basilicata]], tra i promotori dei moti carbonari vi furono il medico Domenico Corrado e i fratelli Francesco e [[Giuseppe Venita]], in passato militari borbonici, che invano tentarono di sollevare l'intera regione per la salvaguardia della Costituzione. Le loro attività sovversive incitarono il governo borbonico ad inviare un reggimento capeggiato dal generale austriaco Roth che, dopo averli scovati a [[Calvello]], li condannò a morte tramite fucilazione assieme ad altri rivoluzionari mentre Corrado fu condotto a [[Potenza (Italia)|Potenza]] dove venne passato per le armi; le condanne si consumarono tra il [[marzo]] e l'[[aprile]] del [[1822]].<ref>Giuseppe Galasso, Rosario Romeo, Atanasio Mozzillo, ''Storia del Mezzogiorno, Volume 15,Parte 2'', Editalia, 1994, p.428</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[382]]-[[383]], possibilmente [[381]]-[[382]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Virio Audenzio Emiliano]]<ref name=Barnes85/></div>
Mentre a Napoli i rivoltosi ebbero come unica finalità la promulgazione della costituzione, a Torino l'insurrezione scoppiata nel gennaio 1821 accolse tensioni e inquietudini anti-austriache, già manifestatesi in quella città con i moti studenteschi soffocati nel sangue dalla polizia sabauda. Questi ultimi moti videro come protagonista alcuni degli uomini simbolo del Risorgimento, tra i quali [[Santorre di Santarosa]].
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[[File:Silvio Pellico.jpg|150px|left|thumb|Silvio Pellico]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[383]]-[[384]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Flavio Eoignio]]<ref name=Barnes85/></div>
Anche a Milano una componente patriottica e anti-austriaca partecipò ai moti, fra i cui ispiratori va citato il [[Forlì|forlivese]] [[Piero Maroncelli]], che però venne arrestato dalla polizia austriaca. La scoperta di alcuni documenti compromettenti permise così alle autorità di stroncare l'insurrezione, alla quale avrebbe preso parte [[Federico Confalonieri]], rinchiuso, subito dopo il fallimento del moto, nella [[Fortezza dello Spielberg]], dove erano già custoditi da alcuni mesi il Maroncelli e [[Silvio Pellico]], a seguito del celebre [[processo Maroncelli Pellico]]<ref>Cfr. G. Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna'', vol. II, ''Dalla Restaurazione alla rivoluzione nazionale'', 1815-1846, Milano, 1962.</ref>. Le successive repressioni spinsero all'esilio molti patrioti italiani, come [[Antonio Panizzi]], che proseguirono all'estero la loro azione, impegnandosi propagandisticamente e stabilendo contatti con personalità delle potenze straniere interessate a risolvere il problema italiano.
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[[File:Giuseppe Mazzini.jpg|150px|thumb|Giuseppe Mazzini]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[385]]-[[386]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Messiano<ref name=Barnes85/></div>
Il periodo dei moti liberali si chiuse a fine settembre [[1823]], con la resa di Cadice, dopo la [[battaglia del Trocadero]], a cui partecipò anche [[Carlo Alberto di Savoia]], vinta dalle forze francesi di [[Luigi XVIII di Francia|Luigi XVIII]], incaricato dalle potenze della [[Santa Alleanza]] di ripristinare con la forza la monarchia assoluta in Spagna.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[388]]-[[389]]</div>
==== 1824-1847 ====
| colspan=6 | <div align="center">[[Felice Giuniorino Polemio]]<ref name=Barnes85/></div>
[[File:Italia 1843.svg|thumb|300px|Mappa preunitaria degli stati italiani]]
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In Romagna nel [[1824]], dopo l'uccisione del direttore di polizia di [[Ravenna]] Domenico Matteucci, ad opera di una cospirazione carbonara, il cardinale [[Agostino Rivarola]] venne inviato per reprimerla. Rivarola, nominato "cardinal legato a latere", fece condurre un'indagine che portò ad un processo e alla sentenza del [[31 agosto]] [[1825]], con la quale vennero condannate, a varie pene, 514 persone appartenenti a tutti gli strati sociali. Successivamente fu concessa la commutazione della pena ai sette condannati alla pena capitale e la grazia per molti altri.<ref>Primo Uccellini ed altri, ''Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano'', Società editrice Dante Alighieri, 1898 pag.175</ref>
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[389]]-[[390]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Latinio Pacato Drepanio]]<ref name=Barnes85/></div>
Nuove insurrezioni si ebbero [[Moti del Cilento (1828)|nel Cilento nel 1828]] per ottenere il ripristino della Costituzione che nel 1820 era stata concessa nel [[Regno delle Due Sicilie]]. Il tentativo dei rivoltosi si concluse tragicamente con trentatré condanne a morte e il paesino di [[Bosco (San Giovanni a Piro)|Bosco]] raso al suolo a cannonate dal [[Maresciallo#Il grado rivestito dagli ufficiali|maresciallo]] [[Francesco Saverio Del Carretto|Del Carretto]]<ref>Colonnello dell'esercito borbonico, aderì alla [[Carboneria]] ed ebbe parte attiva nella [[Moti del 1820-1821|rivoluzione del 1820-1821]] e fu [[capo di Stato Maggiore]] nell'[[esercito delle Due Sicilie|esercito]] costituzionale guidato da [[Guglielmo Pepe]] nella guerra contro gli Austriaci. Dopo il fallimento dei moti costituzionali Del Carretto abiurò la scelta carbonara, dichiarando di aver aderito alla setta solo per boicottarla</ref>, e in [[Emilia-Romagna]], tra [[Moti del 1830-31#I moti emiliani e romagnoli|il 1830 e il 1831]], con la nascita di un effimero [[Stato delle Province Unite Italiane]], represso con l'intervento delle truppe austriache.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[391]]-[[392]]</div>
Nel [[1832]] riprese la ribellione in Romagna, repressa dal cardinale Albani che intervenne con forze sanfediste. Dopo un primo scontro con le guardie civiche, il 20 e 21 gennaio, che si caratterizzò con le "stragi di Cesena e Forlì", altre battaglie vi furono il 24 gennaio a Faenza, il 25 a Forli. La riunione delle forze papaline con le truppe austriache e quindi il loro ingresso il 26 a Bologna concluse la rivolta.<ref>cfr pag 29,Francesco Protonotari, Cospiratori In Romagna Dai 1815 Al 1859, in ''Nuova antologia'', Terza serie, Vol XXIII, Roma, 1889</ref><ref>Achille Gennarelli, ''Il Governo Pontificio e lo Stato Romano: documenti preceduti da un'esposizione storica'', Tipografia F.Alborghetti, Prato, 1860</ref>. Per bilanciare l'intervento austriaco a Bologna, i francesi il 26 febbraio occuparono Ancona dove rimasero per sei anni.
| colspan=6 | <div align="center">[[Flavio Rodino Primo]]<ref name=Barnes85/></div>
 
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Nel [[1832]], fu pubblicata a Torino l'autobiografia di Silvio Pellico, ''[[Le mie prigioni]]'', con la descrizione delle dure condizioni di vita dei prigionieri politici in regime di carcere duro nella [[fortezza dello Spielberg|fortezza austriaca dello Spielberg]]: tra gli episodi più commoventi per i lettori dell'epoca, l'amputazione di una gamba del Maroncelli. Il libro ebbe una vasta risonanza, sia in Italia che nei salotti europei, accentuando nei patrioti italiani i sentimenti antiaustriaci. Nel 1849 [[Metternich]] commenterà che quel libro aveva danneggiato l'Austria più di una battaglia persa.<ref>Robert Justin Goldstein, ''The war for the public mind: political censorship in nineteenth-century Europe'', Greenwood Publishing Group, 2000</ref> Nell'anno successivo, 1833, venne pubblicato il romanzo storico [[Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta]] di [[Massimo D'Azeglio]], che riprende un evento storico medioevale allo scopo di risvegliare il patriottismo degli italiani.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[392]]-[[393]]</div>
Nel 1834 avvenne il fallimento dell'invasione della Savoia per suscitare una rivolta nel [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno sardo-piemontese]], organizzata da Mazzini e guidata sul campo da [[Gerolamo Ramorino|Ramorino]].
| colspan=6 | <div align="center">[[Emilio Floro Paterno]]<ref name=Barnes83>T.D. Barnes, [https://www.jstor.org/stable/1088953 "Late Roman Prosopography: Between Theodosius and Justinian", ''Phoenix''], '''37''' (1983), pp. 248-270</ref></div>
 
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Il 12 luglio 1837, in seguito a voci incontrollate sull'arrivo nel porto di una nave contagiata dal [[colera]] si ebbe l'insurrezione di [[Messina]], seguita nel volgere di pochi giorni dalla insurrezione di [[Catania]] e [[Siracusa]] richiedenti il ripristino della Costituzione del 1812, questi moti siciliani furono repressi da Del Carretto, e terminati con la fucilazione di numerosi patrioti. Il 23 del medesimo mese insorse [[Penne (Italia)|Penne]] in Abruzzo, sotto la guida di Domenico de Caesaris, la rivolta fu repressa dal colonnello Tanfano e si concluse con la fucilazione di otto rivoltosi. Tanfano sarà ucciso quattro anni dopo, durante l'insurrezione antiborbonica dell'Aquila dell 8 settembre 1841, terminata anch'essa con la fucilazione di tre insorti<ref>vedi Leopoldo Palatini, ''Le date piu' memorabili del nostro risorgimento'', Casa editrice Italiana, Roma, 1896</ref>.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[393]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Flacciano]]<ref name=Barnes83/></div>
=== Rivolte mazziniane ===
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A partire dai primi anni trenta dell'[[XIX secolo|Ottocento]] si impose come figura di primo piano [[Giuseppe Mazzini]] ([[1805]]-[[1872]]) divenuto membro della Carboneria nel [[1830]]. La sua attività di ideologo e organizzatore rivoluzionario lo costrinse a lasciare l'[[Italia]] nel [[1831]] per fuggire a [[Marsiglia]], dove fondò la [[Giovine Italia]], un movimento che raccoglieva le spinte patriottiche per la costituzione di uno Stato unitario e repubblicano, da inserire in una più ampia prospettiva federale europea.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[394]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Marciano (proconsole)|Marciano]]<ref name=Barnes83/></div>
Condividendo il programma mazziniano [[Giuseppe Garibaldi]] ([[1807]]-[[1882]]) prese parte ai [[Giuseppe Mazzini#Il tentativo d'invasione della Savoia e il moto di Genova (1834)|falliti sommovimenti rivoluzionari in Piemonte]] del [[1834]]. Condannato a morte dal governo sabaudo e costretto a fuggire in [[Sud America]], partecipò ai moti rivoluzionari in [[Brasile]] ed [[Uruguay]].
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[394]]-[[395]]</div>
Per la mancanza di coordinamento tra i congiurati, per l'assenza e l'indifferenza delle masse, tutte le rivolte mazziniane fallirono.
| colspan=6 | <div align="center">[[Flavio Erode]]<ref name=Barnes83/></div>
 
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=== I congressi scientifici prima del '48 ===
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[395]]-[[396]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Ennodio (Proconsole)|Ennodio]]<ref name=Barnes83/></div>
Il regime "liberale" del [[Granducato di Toscana]] permise nel 1839 la nascita della [[Società Italiana per il Progresso delle Scienze]] a [[Pisa]], dove verrà organizzato il "Primo congresso degli scienziati italiani" ([[1839]]), a cui parteciparono studiosi dai vari stati della penisola: la prima riunione pubblica di uomini di [[scienza]] riuniti sotto il comune attributo di "italiani"<ref>Gli unici impediti a parteciparvi furono gli scienziati residenti nello Stato pontificio la cui partecipazione venne permessa dopo l'arrivo al soglio pontificio di Pio IX, tuttavia non si riuscì ad organizzare un congresso negli stati pontefici, e il previsto congresso di Bologna venne spostato a Padova.</ref><ref>Cfr. Angelo Guerraggio, Pietro Nastasi ''L’Italia degli scienziati. 150 anni di storia nazionale'', Bruno Mondadori, 2010</ref>. I congressi proseguirono a cadenza annuale, nei diversi stati: Torino, Firenze, Padova, Lucca, Milano, Napoli (che fu il più numeroso, con circa 1600 partecipanti), Genova ed infine, nel [[1847]], Venezia; i moti insurrezionali dell'anno successivo ed i conseguenti irrigidimenti dei regimi impedirono successivi congressi fino al congresso di Firenze del [[1861]]. Oltre al loro contenuto scientifico, questi congressi permisero scambi di idee e confronti nella nuova classe intellettuale italiana che andava formandosi, ed erano anche visti come una possibilità di discutere delle vicende italiane come la liberalizzazione commerciale, la necessità di una lega doganale, la costruzione di ferrovie, mascherando sotto questi progetti di modernità economica e strutturale la fondamentale esigenza di un'unificazione politica.<ref>Cfr. Rodolphe Rey, ''Histoire de la Renaissance politique de l'Italie 1814 - 1861'', Parigi, 1864</ref>
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[396]]-[[397]]</div>
== Il biennio delle riforme ==
| colspan=6 | <div align="center">Teodoro<ref name=Barnes83/></div>
 
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[[File:Incubo neoguelfo 1848.jpg|200px|thumb|Allegoria neoguelfa patriottica: "Sogno spaventevole del maresciallo [[Josef Radetzky|Radetsky]]": l'alleanza di Pio IX (che innalza la croce) e Carlo Alberto (che impugna la spada) accompagnati dall'Italia rappresentata da una donna fasciata col [[tricolore]] e sventolante la bandiera]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[397]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Anicio Probino]]<ref>In 396 [[Quinto Aurelio Simmaco]] scrisse a lui una lettera (''Epistulae'', ix); il 17 marzo del 397 si conserva una legge nel ''[[Codex Theodosianus]]'' (XII, 5.3).</ref></div>
[[File:Francesco Hayez 048.jpg|150px|thumb|left|Massimo d'Azeglio]]
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[397]]-[[398]]</div>
Nel cosiddetto biennio delle riforme ([[1846]]-[[1848]]), a seguito del fallimento dei moti rivoluzionari [[mazzini]]ani, prendono vigore progetti politici di liberali moderati, tra cui spiccano [[Massimo d'Azeglio]], [[Vincenzo Gioberti (Il pensiero politico)|Vincenzo Gioberti]] e [[Cesare Balbo]] con "le speranze d'Italia" i quali, sentendo soprattutto la necessità di un mercato unitario come premessa essenziale per un competitivo sviluppo economico italiano, avanzano programmi riformisti per una futura unità italiana nella forma accentrata o federativa. Nasce così il movimento [[neoguelfismo|neoguelfo]] che riscuote un grande successo presso l'opinione pubblica in coincidenza con l'elezione nel 1846 di [[papa Pio IX]], ritenuto un [[liberalismo|"liberale"]].
| colspan=6 | <div align="center">Serano<ref name=Barnes83/></div>
 
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Sotto la spinta di questi movimenti molti stati italiani attuarono diverse riforme modernizzatrici: nel [[Granducato di Toscana]] fu ampliata la [[libertà di stampa]] e si ebbe la formazione di una guardia civica, nel [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] si ebbero riforme in senso liberale dell'ordinamento giudiziario.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[398]]-[[399]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Victorino<ref name=Barnes83/></div>
Altre riforme vennero concesse nello [[Stato della Chiesa]], dove il nuovo pontefice concesse una [[amnistia]] ai prigionieri, alimentando le speranze dei sostenitori neoguelfi,e di molti patrioti italiani, di un sostegno attivo del papa per l'ottenimento dell'indipendenza nazionale. Nel 1847 Pio IX prese la decisione di proporre al regno piemontese e al granducato di Toscana l'unione in una "[[Lega doganale]]" per favorire la circolazione delle merci; l'iniziativa si fermò dopo la firma di un accordo di intenti il 3 novembre 1847, nel tentativo di coinvolgere il [[ducato di Modena]]; l'inizio delle agitazioni del 1848 fece definitivamente tramontare il progetto.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[399]]-[[400]]</div>
Il 28 novembre 1847 [[Carlo Alberto di Savoia|re Carlo Alberto]] effettuò l'[[Fusione perfetta del 1847|unione politica e amministrativa]] di tutti i territori da lui governati, trasformando il [[Regno di Sardegna]] in un unico stato, con un unico parlamento e medesime leggi per tutti i sudditi dei diversi territori.
| colspan=6 | <div align="center">Apollodoro<ref name=Barnes83/></div>
 
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Sempre nel 1947 il musicista [[Michele Novaro]], sul testo del patriota e poeta [[Goffredo Mameli]], compose l'inno [[Il Canto degli italiani]], più noto come "Fratelli d'Italia" dalla prima strofa, che in breve divenne popolare e suonato come inno dai patrioti italiani, dopo un secolo diventerà l'[[inno nazionale]] della [[Repubblica Italiana]].
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[400]]-[[401]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Gabinio Barbaro Pompeiano]]<ref name=Barnes83/></div>
== La "primavera dei popoli" e la I guerra d'indipendenza ==
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{{Quote|Pochi sanno che la grande fiammata rivoluzionaria del 1848 che investì l'Italia e l'Europa, e dalla quale ha inizio il nostro Risorgimento nazionale, fu accesa proprio a Reggio il 2 settembre 1847.<ref>Lucio Villari: "La Repubblica" 8 dic. 1992</ref>}}
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[401]]-[[402]]?</div>
[[File:Episodio delle cinque giornate (Baldassare Verazzi).jpg|thumb|150px|left|Le cinque giornate di Milano - Dipinto di [[Baldassare Verazzi]]]]
| colspan=6 | <div align="center">Elpidio<ref name=Barnes83/></div>
 
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Gli anni [[1847]]-[[1848]], la cosiddetta "[[Primavera dei popoli]]", videro lo sviluppo di vari movimenti [[rivoluzione (politica)|rivoluzionari]] in tutta Europa; sommosse scoppiarono il 23 febbraio [[Rivoluzione francese del 1848|in Francia]], il 28 febbraio nello [[Baden (stato)|Stato di Baden]] che iniziò la rivolta che velocemente si estese a tutti gli stati tedeschi e il 13 marzo raggiunse l'[[Il 1848 in Austria|Austria]], il 15 marzo insorse l'[[Rivoluzione ungherese del 1848|Ungheria]], il 28 marzo la [[Sollevazione della Grande Polonia (1848)|Polonia]].
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[402]]-[[404]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Septimino<ref name=Barnes83/></div>
{{Vedi anche|Fratelli Bandiera|Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1848|Rivoluzione siciliana del 1848}}
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[[File:Trinacria sbranata.jpg|thumb|300px|Allegoria della repressione dell'insurrezione siciliana]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[404]]-[[405]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Rufio Antonio Agrpnio Voloiano]]<ref name=Barnes83/></div>
Una nuova rivolta mazziniana organizzata da [[Domenico Romeo]] il [[2 settembre]] [[1847]] scoppiò a [[Reggio Calabria]] dove s'insediò un governo provvisorio che nel distretto di [[Rivolta di Gerace|Gerace]] aveva il comando militare. Anche questa insurrezione, per la mancata partecipazione popolare e la frantumazione dei comandi militari, si concluse con la repressione armata dell'esercito borbonico e la fucilazione dei promotori.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[405]]-[[406]]</div>
Il 12 gennaio 1848 scoppiò una [[Rivoluzione indipendentista siciliana del 1848|rivolta indipendentista in Sicilia]] che, propagatasi a Napoli, costrinse il sovrano a promulgare l'[[11 febbraio]] del [[1848]] una costituzione simile a quella francese del [[1830]]. Gli altri sovrani italiani dovettero seguire rapidamente l'esempio di [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]]: [[Leopoldo II di Toscana]] concesse uno Statuto dopo pochi giorni, il [[4 marzo]] [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] promulgò lo [[Statuto albertino]] e il [[14 marzo]] fu la volta dello Stato Pontificio.
| colspan=6 | <div align="center">[[Flavio Pionio Diotimo]]<ref name=Barnes83/></div>
Il 1 aprile il parlamento siciliano, riunito a Palermo decretò: "Che il Potere Esecutivo dichiari a nome della Nazione agli altri Stati d'Italia, che la Sicilia già libera ed indipendente intende a far parte unione e federazione Italiana", e l'invio come dono di tre bandiere nazionali a Roma, Piemonte e Toscana col motto: ''A [nome dello Stato Italiano] Sicilia Indipendente ed Italiana''. Il 13 aprile il parlamento siciliano completo' l'indipendenza siciliana con una nuova delibera in cui decretava: "''1) Ferdinando Borbone e la sua dinastia sono per sempre decaduti dal Trono di Sicilia., 2. La Sicilia si reggerà a Governo Costituzionale, e chiamerà al Trono un principe Italiano dopochè avrà riformato il suo Statuto''" <ref>Decreti in ''Collezione di Leggi e Decreti Del General Parlamento di Sicilia nel 1848 Anno 1° della Rigenerazione'', Palermo, Stamperia Pagano-Via Macqueda laterale S. Orsola, n. 321-322, 1848 </ref>.
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[407]]-[[408]]</div>
Ferdinando II, pochi mesi dopo la concessione della costituzione a Napoli, sciolse le camere ripristinando l'assolutismo ([[15 maggio]]). Ciò provocò la ribellione dei liberali in diverse zone del regno e a Napoli, in Via Toledo. La sommossa napoletana fu repressa nel sangue, con le truppe mercenarie svizzere, con 500 morti tra i patrioti<ref>Salvatore Lupo, ''L'unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile'', Donzelli, 2011, p.34</ref> tra i quali lo scrittore lucano [[Luigi La Vista]] e il filosofo [[Angelo Santilli]], morti rispettivamente a soli 22 e 25 anni.
| colspan=6 | <div align="center">[[Gaio Elio Pompeio Porfirio Proculo]]<ref name=Barnes83/></div>
 
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{{Vedi anche|Prima guerra di indipendenza italiana}}
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[408]]-[[409]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Donato<ref name=Barnes83/></div>
In Italia il 1848 fu principalmente segnato dalla decisione da parte del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] di farsi promotore dell'unità italiana. Primo passo in tal senso fu la [[Prima guerra di indipendenza italiana|Prima Guerra d'Indipendenza]], anti austriaca, scoppiata a seguito della rivolta vittoriosa delle [[Cinque giornate di Milano]] ([[1848]]). La guerra si svolse in tre fasi: una prima campagna militare (dal 23 marzo al 9 agosto 1848) iniziata con l'appoggio dallo [[Stato Pontificio]] e dal [[Regno delle due Sicilie]]. Questi ultimi due stati si ritirarono ben presto dal conflitto, ma gran parte dei loro soldati scelsero di rimanere e continuare a combattere l'[[Impero austriaco|Austria]] con l'esercito piemontese assieme agli altri volontari italiani tra i quali [[Giuseppe Garibaldi]]. Vi fu poi un armistizio e una seconda campagna militare (dal 20 al 24 marzo 1849).
|-
 
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[409]]-[[410]]</div>
La guerra condotta e definitivamente persa da [[Carlo Alberto]] a seguito della sconfitta nella [[battaglia di Custoza (1848)|battaglia di Custoza]] e nella [[Battaglia di Novara (1849)|Battaglia di Novara]], si concluse con un sostanziale ritorno allo ''[[Status quo (locuzione latina)|statu quo ante]]'' e, a seguito dell'[[abdicazione]] del padre, con la salita al trono di [[Vittorio Emanuele II]] che, diversamente da quanto fecero gli altri governanti italiani, non ritirò lo [[Statuto Albertino]] concesso dal padre, così che il suo regno rimase l'unico stato costituzionale nella penisola italiana ed anche l'unico a conservare il [[tricolore]] come bandiera nazionale.
| colspan=6 | <div align="center">[[Macrobio Palladio]]<ref name=Barnes83/></div>
 
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[[File:Battaglia di Novara-La Bicocca.jpg|thumb|right|350px|Scontro tra [[Kaiserjäger|Cacciatori tirolesi]] e soldati piemontesi del 14º reggimento "Pinerolo" durante la [[battaglia di Novara]].]]
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[410]]-[[411]]</div>
In occasione di questo conflitto con l'Austria assunsero notevole importanza alcune esperienze repubblicane di durata temporanea e senza un loro esito finale positivo. Dal febbraio 1849 al luglio 1849 si svolse la vicenda della [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]], che vide Pio IX fuggire dalla città e rifugiarsi nella fortezza di Gaeta come ospite di [[Ferdinando II di Borbone]], mentre il governo a Roma veniva assunto dal triumvirato di [[Giuseppe Mazzini]], [[Aurelio Saffi]] e [[Carlo Armellini]]. La Repubblica Romana, che comprendeva tutte le terre già pontificie, fu sciolta con gli interventi militari degli austriaci che [[Repubblica Romana (1849)#La seconda invasione delle Legazioni e l'assedio di Ancona|assediarono Ancona]], entrandovi dopo un duro assedio navale e terrestre il 21 giugno 1849, e dei francesi che [[Repubblica Romana (1849)#La parallela invasione francese|attaccarono Roma]], cancellando la prospettiva di una soluzione neoguelfa per l'unità della nazione.
| colspan=6 | <div align="center">Apringio<ref name=Barnes83/></div>
 
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Anche il Veneto insorse: a Venezia, con un'insurrezione iniziata il 17 marzo 1848 nasceva la [[Repubblica di San Marco]] che ridava temporaneamente la libertà alla città, nel [[Cadore]] per circa due mesi una piccola armata di volontari, guidati da [[Pietro Fortunato Calvi]], sbarrò l'accesso alla regione alle armate austriache. Venezia resistette ad un lungo assedio fino alla sua capitolazione il [[27 agosto]] 1849, dopo una dura lotta, a seguito dell'intervento militare austriaco che ripristinava il dominio sul Veneto.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[411]]-[[412]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">Euchario<ref name=Barnes83/></div>
Nei territori lombardi sottoposti al dominio austriaco, scoppiarono anche piccole rivolte locali: dopo l'[[Armistizio di Salasco]] nell'ottobre 1848 si ebbero [[Insurrezione della Val d'Intelvi|moti mazziniani in Val d'Intelvi]], alla ripresa delle ostilità nel 1849 [[Comitato Provvisorio di Como|Como insorse]] e dopo la definitiva sconfitta piemontese nel 1849 ci fu l'episodio delle [[Dieci giornate di Brescia]], che vide la città resistere sino a fine marzo 1849, per dieci giorni, alle truppe austriache, che, dopo la loro vittoria alla [[Battaglia di Novara (1849)|battaglia di Novara]], rioccuparono le campagne lombarde; al termine dei combattimenti la città fu lasciata al [[saccheggio]] della truppa austriaca.
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| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[412]]-[[414]]</div>
Tutti i moti europei legati al 1848, furono repressi, nel volgere di due anni, secondo gli schemi della Restaurazione, tranne che in Francia, dove la [[Seconda Repubblica francese]] si sostituì alla monarchia di re [[Luigi Filippo di Francia|Luigi Filippo Borbone d'Orléans]] con Luigi Napoleone che, dopo quattro anni, diventerà [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] imperatore dei francesi. Gli eventi francesi provocarono la fine degli equilibri politici esistenti in Europa dal Congresso di Vienna, modificando le alleanze fra gli stati ed influiranno sulle vicende italiane, spingendo persino alcuni esuli napoletani a progettare l'[[murattismo|insediamento sul trono di Napoli]] di [[Napoleone Luciano Carlo Murat|Luciano Murat]] secondogenito di [[Gioacchino Murat]]. Il cambio di politica di Pio IX, il cui nome veniva invocato inizialmente dai patrioti italiani lo rese inviso divenendo uno dei loro maggiori bersagli polemici, e al contempo la difesa del papato permise alla Francia di Napoleone III di allargare la sua sfera d'influenza nella penisola in opposizione a quella austriaca.
| colspan=6 | <div align="center">Q.[[Senzio Fabricio Giuliano]]<ref name=Barnes83/></div>
 
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Molti patrioti finirono esiliati, una parte di questi trovo' asilo in Piemonte, Carlo Cattaneo si esilio' a Lugano, dove inizialmente si rifugio' anche Mazzini, per poi muoversi a Londra che divenne un centro dei fuoriusciti italiani, il toscano [[Giuseppe Montanelli]] si rifugio' a Parigi, il presidente del governo siciliano [[Ruggero Settimo]] andò in esilio a Maltae Garibaldi, dopo un breve peregrinare fini in America.
| bgcolor="lightgrey" | <div align="center">[[415]]</div>
 
| colspan=6 | <div align="center">[[Aurelio Anicio Simmaco]]<ref>Durante il suo mandato ricevette una citazione nel ''[[Codex Theodosianus]]'', XI, 30.65a.</ref></div>
== Il "decennio di preparazione" ==
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{{Vedi anche|Cronologia del Risorgimento}}
=== Le azioni mazziniane ===
[[File:Carlo pisacane.jpg|thumb|left|150px|Carlo Pisacane]]
Nei dieci anni successivi alla sconfitta (il cosiddetto "decennio di preparazione") riprese inizialmente vigore il movimento repubblicano mazziniano, favorito anche dal fallimento del programma federalista neoguelfo; i mazziniani promossero una serie di insurrezioni, tutte fallite.
 
Quelle che più impressionarono l'opinione pubblica italiana ed europea furono l'esecuzione capitale dei [[martiri di Belfiore]] ([[1852]]) a [[Mantova]], esito cruento della repressione austriaca contro le ribellioni avvenute negli anni precedenti nel [[Regno Lombardo Veneto]], e la disastrosa [[spedizione di Sapri]] ([[1857]]), nel [[Regno delle Due Sicilie]], condotta all'insegna del credo mazziniano per il quale ciò che contava era più che il successo il "dare l'esempio" e conclusasi con la morte di [[Carlo Pisacane (patriota)|Carlo Pisacane]] e dei suoi 23 compagni, massacrati dai contadini assieme ad altri patrioti liberati all'inizio della spedizione dal carcere di [[Ponza]]. Fortemente impressionò la borghesia italiana anche la [[Rivolta di Milano (1853)|rivolta milanese]] del [[6 febbraio]] [[1853]] che condotta con spirito mazziniano, ossia confidando in una spontanea partecipazione popolare e addirittura nell'[[ammutinamento]] dei soldati [[Ungheria|ungheresi]] dell'esercito austriaco, fallì miseramente nel sangue. Oltre che l'impreparazione e la superficiale organizzazione dei rivoltosi, operai d'ispirazione politica [[socialismo|socialista]], furono proprio i mazziniani, notoriamente in contrasto [[ideologia|ideologico]] col [[marxismo]], a contribuire al fallimento non facendo loro pervenire le armi promesse e mantenendosi passivi al momento dell'insorgere della rivolta. Un pugno di uomini armati di pugnali e coltelli andarono così consapevolmente incontro al disastro in nome dei loro ideali [[patriottismo|patriottici]] e socialisti.<ref>(cfr. L.Pollini, ''La rivolta di Milano del 6 febbraio 1853''. Ceschina, Milano 1953)</ref>
 
A Napoli nel 1856, dopo un fallito attentato al re Ferdinando II, veniva condannato a morte il calabrese [[Agesilao Milano]] mentre in Sicilia veniva repressa una sommossa organizzata da [[Francesco Crispi]] e [[Francesco Bentivegna]]<ref>([[Rosario Villari]],''Storia contemporanea'' Roma-Bari, Editori Laterza, 1990.</ref>.
 
La crisi del movimento mazziniano favorisce nel [[1857]] la creazione in Piemonte della [[Società nazionale italiana]], ad opera degli esuli [[Daniele Manin]] e [[Giuseppe La Farina]] e in probabile accordo con Cavour, a supporto del movimento unitario che si stava formando attorno al Piemonte, operando alla luce del sole nel regno sabaudo e clandestinamente negli altri stati italiani.
 
=== La ''realpolitik'' cavouriana ===
[[File:Francesco Hayez 041.jpg|thumb|150px|Camillo Benso conte di Cavour]]
Nel 1850 [[Camillo Benso conte di Cavour]] entra nel governo piemontese: inizialmente come ministro per il commercio e l'agricoltura, divenendo poi anche ministro delle finanze e della Marina; infine è primo ministro il 4 novembre 1852. Fin dall'inizio come ministro del commercio intraprende un'azione che punta a molteplici accordi con le nazioni europee, stringendo accordi commerciali con [[Regno di Grecia|Grecia]], le [[Città anseatica|città anseatiche]], l'[[Unione doganale tedesca]], la [[Svizzera]] e i [[Paesi Bassi]], ed approfondisce i contatti con le potenze europee viaggiando nell'estate del 1852 ed incontrando a Londra il Ministro degli Esteri inglese [[James Harris, III conte di Malmesbury|Malmesbury]], [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Palmerston]], [[George Villiers, IV conte di Clarendon|Clarendon]], [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], [[Richard Cobden|Cobden]], [[Henry Petty-Fitzmaurice, III marchese di Lansdowne|Lansdowne]] e [[William Ewart Gladstone|Gladstone]] e a Parigi il presidente [[Napoleone III di Francia|Luigi Napoleone]] ed il ministro degli esteri francese<ref>Romeo, ''Vita di Cavour'', Bari, 2004.</ref>. L'anno successivo [[Ludwig von Rochau]] introducendo il concetto di [[realpolitik]] col suo saggio ''Principles of Realpolitik''<ref>In tedesco: ''Grundsätze der Realpolitik: angewendet auf die staatlichen Zustände Deutschlands''</ref> ne porta come esempio l'azione di Cavour che prepara le basi "per una grande originale operazione nazionale"<ref>Citato da [[Paolo Mieli]] in ''Bismarck e Cavour, due volti del cesarismo'' [http://www.corriere.it/unita-italia-150/11_gennaio_25/mieli_bismarck-cavour_d0503166-2879-11e0-8de5-00144f02aabc.shtml Corriere della sera 26 Gennaio 2011]</ref>.
 
Sotto Cavour si accentuano i contrasti con i [[Conservatorismo|conservatori]] [[Clericalismo|clericali]] e il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], arrivando ad un punto di non ritorno con la scomunica papale comminata al Re Vittorio Emanuele II, a Cavour e a tutti membri del governo e del parlamento a seguito della [[Crisi Calabiana]] (1855) che si concluse con l'approvazione della legge sui conventi.
 
== La II guerra d'indipendenza ==
{{Vedi anche|Accordi di Plombieres|Seconda guerra d'indipendenza}}
[[File:Franz Xaver Winterhalter Napoleon III.jpg|left|150px|thumb|Napoleone III]]
Il biennio [[1859]]-[[1860]] costituì una nuova fase decisiva per il processo d'unificazione, caratterizzato dall'alleanza tra la Francia di [[Napoleone III]] e il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] siglata con gli [[accordi di Plombieres]] del 21 luglio 1858, che peraltro non prevedevano la completa unità italiana estesa a tutta la penisola.
 
Il [[10 gennaio]] [[1859]] Vittorio Emanuele II, inaugurando i lavori del Parlamento subalpino, pronunciò un famoso discorso della Corona con l'affermazione: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi»; frase che esprimeva un'accusa di malgoverno austriaco sugli italiani ai quali il re sabaudo si proponeva come loro soccorritore e una velata ricerca del "[[casus belli]]": elemento quest'ultimo necessario poiché, secondo gli accordi, Napoleone III sarebbe entrato in guerra solo in seguito ad un attacco austriaco al Piemonte.<ref>Giuseppe Vottari, ''Storia d'Italia'', Alpha Test, 2005, p.20</ref>
 
Nel frattempo Garibaldi veniva autorizzato a condurre apertamente una campagna di arruolamento di volontari nei [[Cacciatori delle Alpi]], una nuova formazione militare regolarmente incorporata nell'esercito sardo. L'Austria colse nelle parole del sovrano piemontese e nel riconoscimento ufficiale dei volontari agli ordini del noto rivoluzionario mazziniano Garibaldi, che veniva stanziato ai confini del Lombardo-Veneto, una provocazione e una sfida. La possibilità però di una guerra all'Austria con l'alleato francese sembrava ancora lontana dal realizzarsi per l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano in una guerra vittoriosa del Piemonte una probabile successiva annessione dello Stato pontificio, con la conseguente perdita del potere temporale del papa. Per allontanare il rischio di una guerra agiva anche la diplomazia inglese e prussiana che si adoperava per una conferenza di pace: si sapeva infatti che gli accordi di Plombieres prevedevano un insediamento della Francia nell'Italia centrale e meridionale che avrebbe alterato i rapporti di forza in Europa.<ref>A. Desideri, ''Storia e storiografia'', Vol.II, Ed. D'Anna, Messina-Firenze, 1999, p.749</ref>
 
[[File:Quinto Cenni - la battaglia di Varese Maggio 1859 - litografia - 1889.jpg|250px|thumb|La battaglia di Varese]]
[[File:Bossoli, Carlo - Battle of Solferino.jpg|250px|thumb|La Battaglia di Solferino]]
 
Dopo mesi, durante i quali sembrava si potesse giungere a una pacificazione, giunse l'[[ultimatum]] austriaco al Piemonte con l'ingiunzione di disarmare l'esercito e il corpo dei volontari. Cavour in risposta all'intimazione austriaca dichiarò di voler resistere all'«aggressione» e a fine aprile giunse la dichiarazione di guerra degli austriaci che attaccarono il Piemonte attraversando il confine sul fiume [[Ticino]] (26 aprile).
 
Il [[12 maggio]] 1859 l'alleato francese Napoleone III, sulle orme del "grande zio", secondo gli accordi convenuti, entrò in guerra al comando dell'Armée d'Italie. Seguirono nel periodo maggio-giugno una serie di vittorie franco-piemontesi, ma con un alto numero di perdite, mentre i Cacciatori delle Alpi al comando di Garibaldi dopo aver preso [[Varese]], [[Bergamo]], [[Brescia]] continuavano ad avanzare verso il Veneto.
 
Alle notizie della guerra all'Austria il [[27 aprile]] [[1859]] i ducati emiliani, le legazioni pontificie, e il Granducato di Toscana, dopo l'abbandono del granduca Leopoldo, chiedevano ed ottenevano l'invio di commissari sabaudi per l'annessione al Regno sardo.
 
Questi avvenimenti che sconvolgevano gli accordi di Plombieres sulla spartizione degli stati italiani, il malcontento dell'opinione pubblica francese per l'alto numero di morti nella guerra in Italia, l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano realizzarsi i loro timori per la perdita dell'autonomia papale, spinsero Napoleone III ad accettare di firmare un armistizio (11 luglio 1859) con l'imperatore [[Francesco Giuseppe d'Asburgo]] ("[[Armistizio di Villafranca|preliminari di pace di Villafranca]]") che concedeva ai Piemontesi la sola Lombardia (eccetto Mantova e Peschiera del "[[Fortezze del Quadrilatero|Quadrilatero]]") in cambio dell'abbandono delle terre già occupate nel Veneto e della rinuncia a soddisfare le richieste di annessioni.
 
Vittorio Emanuele accettò le condizioni di pace e ritirò i commissari regi dalle città di [[Firenze]], [[Parma]], [[Modena]], [[Bologna]] dove però i governi provvisori si opposero alla restaurazione ipotizzando anche una forza militare comune di difesa, mentre le truppe papaline [[Stragi di Perugia|riprendevano militarmente]] il controllo dell'Umbria ribellatasi.
 
Nel frattempo il quadro internazionale cambiava e l'Inghilterra si mostrava favorevole ad una situazione italiana dove la Francia non avrebbe avuto alcun peso mentre uno Stato unitario italiano poteva costituire un valido punto d'equilibrio in Europa sia nei confronti della Francia che dell'Austria.
 
Il ritiro unilaterale dei francesi rendeva nulli gli accordi di Plombières, ma il prezzo stabilito da Napoleone III per permettere l'annessione dell'Italia centrale fu il riportare in vita le clausole del [[Alleanza sardo-francese|trattato segreto del 1859]] - che prevedevano la cessione della [[Savoia (regione storica)|Savoia]] e il [[Contea di Nizza|Nizzardo]] alla Francia, in cambio del riconoscimento da parte di quest'ultima delle annessioni dell'Emilia e della Toscana che, tramite i plebisciti dell'11 e 12 marzo [[1860]], entrarono a far parte del Regno di Sardegna. Il [[12 marzo]] [[1860]] fu firmato con la [[Secondo Impero francese|Francia]] un altro trattato segreto in tal senso.<ref>Denis Mac Smith, Il Risorgimento Italiano, pag. 429, Ed La Terza, Roma, 1999.</ref>
 
== La Spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d'Italia ==
[[File:Garibaldi2.jpg|thumb|150px|left|Giuseppe Garibaldi]]
Ulteriore passo verso l'unità fu la [[spedizione dei Mille|spedizione "dei Mille" garibaldini in Sud Italia]].<ref>{{cita libro |cognome=Abba |nome=Giuseppe Cesare|wkautore=Giuseppe Cesare Abba |titolo=Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille |anno=1880 |editore=Nicola Zanichelli |città=Bologna}} {{NoISBN}}</ref>, preceduta sull'isola da [[Rivolta della Gancia|piccoli moti rivoluzionari]]. Questa era formata da poco più di un migliaio di volontari provenienti in massima parte dalle regioni settentrionali e centrali della [[Penisola italiana|penisola]], appartenenti sia ai ceti medi che a quelli artigiani e operai; fu l'unica impresa risorgimentale a godere, almeno nella sua fase iniziale, di un deciso appoggio delle masse contadine siciliane, all'epoca in rivolta contro il governo [[Borboni di Napoli|borbonico]] e fiduciose nelle promesse di riscatto fatte loro da Garibaldi. «Il profondo malcontento delle masse popolari delle campagne e delle città, sebbene avesse le sue radici nella miseria e quindi nella struttura di classe della società, si rivolgeva contro il governo prima ancora che contro le classi dominanti»<ref>Cfr.Giorgio Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna: Dalla rivoluzione nazionale all'Unità'', Feltrinelli, 1986</ref>.
 
Dopo la [[battaglia di Calatafimi]], dove fu determinante per la vittoria la partecipazione dei contadini siciliani, con la partecipazione di 200 ''[[Picciotto|picciotti]]'' siciliani e circa 2.000 contadini locali in aggiunta ai 1.089 [[I Mille|volontari garibaldini]]<ref>Ugo Del Col, ''Daniele Piccinini. Un garibaldino a Selvino'', Editrice UNI Service, 2007 p.35</ref>, e la [[Insurrezione di Palermo|conquista di Palermo]], mentre le truppe regie si ritirano verso Messina, secondo Del Carria "con la metà di giugno si spezza definitivamente l'alleanza tra borghesi e contadini per dar luogo all'alleanza tra borghesi isolani e borghesia continentale rappresentata dai garibaldini e dai moderati"<ref>Cfr. Renzo Del Carria, ''Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950'', 2 voll., Milano, 1970</ref>, significativa in tal senso è la repressione ordinata a [[Nino Bixio]], della [[fatti di Bronte|ribellione contadina]] avvenuta a [[Bronte (Italia)|Bronte]] e a rischio di estensione in tutta la regione del [[Catania|catanese]].
 
[[File:VictorEmmanuel2.jpg|150px|thumb|Vittorio Emanuele II re d'Italia]]
Mentre Garibaldi avanzava da sud, in agosto [[Insurrezione lucana|insorse la Basilicata]] (la prima provincia a dichiararsi parte d'[[Regno d’Italia|Italia]] nella zona continentale del [[Regno delle Due Sicilie]]),<ref>Tommaso Pedio, ''La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870)'', Potenza, 1962, p. 109</ref> arrivando ad avere un governo provvisorio che rimase in carica fino all'ingresso di Garibaldi a [[Napoli]]. Dopo Napoli, le truppe garibaldine si scontrarono un'ultima volta con quelle borboniche nella [[Battaglia del Volturno]] il 1º ottobre 1860. Con la vittoria di Garibaldi l'Italia meridionale veniva definitivamente sottratta ai Borbone, dinastia che in passato aveva dato a [[Napoli]] anche un grande sovrano<ref>Ci si riferisce a [[Carlo III di Spagna|Carlo III]], «il cui mito continuò ad essere coltivato nei 45 anni di vita del Regno delle Due Sicilie. cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''op. cit.'', p. 305»</ref>, ma che «…ormai rappresentava, nella vita dell'Italia Meridionale, la ''peior pars''…», cioè la parte peggiore, come scrisse Benedetto Croce<ref>Cit. da Benedetto Croce, ''Storia del Regno di Napoli'', Bari, Laterza, 1980 (I edizione 1925), p. 235</ref>. Anche lo storico e filosofo [[Ernest Renan]], in viaggio nel Mezzogiorno d'Italia attorno al 1850, al pari degli altri viaggiatori e osservatori stranieri constatava l'«…affreuse tyrannie intellectuelle qui règne sur cette partie de l'Italie…»<ref>[in it: l'orribile tirannia intellettuale che regna su questa parte d'Italia] Cit. AA. VV., ''Storia d'Italia'', Libro VI (la parte in questione è scritta da Franco Venturi), pag. 1381, Milano, Ed. speciale Il Sole 24 Ore, 2005 (I ed., Torino, Einaudi, 1974)</ref>
 
Le truppe di Vittorio Emanuele II intanto entravano nello [[Stato della Chiesa]] scontrandosi il 18 settembre con l'esercito pontificio nelle Marche, durante la [[Battaglia di Castelfidardo]], che sarebbe stato l'ultimo grande scontro armato prima dell'unità italiana. Dopo aver ottenuto la vittoria, le truppe piemontesi inseguirono quelle pontificie asserragliatesi ad Ancona, che venne subito [[Battaglia di Castelfidardo#Epilogo: la presa di Ancona|assediata]]. Quando i pontifici cedettero anche là, fu possibile per il Piemonte annettere la [[Legazione delle Marche]] e quella dell'[[Legazione dell'Umbria|Umbria]], a seguito di un plebiscito. Solo dopo esso si sarebbe potuto pensare alla proclamazione del [[Regno d'Italia]] in quanto, attraverso le Marche e l'Umbria, si sarebbero unite geograficamente le regioni del nord e del centro (confluite nel [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] in seguito alla [[Seconda guerra di indipendenza italiana|seconda guerra d'indipendenza]] e alle conseguenti annessioni), con le regioni meridionali (conquistate da [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]]).
 
Dopo alcuni tentennamenti e sotto la pressione di [[Cavour]] e dell'imminente annessione di Marche ed Umbria alla [[Regno di Sardegna|monarchia sabauda]], Garibaldi, pur di idee repubblicane, non pose ostacoli all'unione dell'ex [[Regno delle Due Sicilie]] al futuro Stato unificato italiano, che già si profilava all'epoca sotto l'egida di [[Casa Savoia]]. Tale unione fu formalizzata mediante il referendum del [[21 ottobre]] [[1860]].<ref>Lo stesso Garibaldi deluso e amareggiato per l'assetto del nuovo stato italiano nel [[1868]], in una lettera indirizzata ad [[Adelaide Cairoli]] scriveva: «Gli oltraggi subìti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato odio». (Cfr. Santi Correnti, ''Storia di Sicilia: come storia del popolo siciliano'', Longanesi, 1983 e Bruno Vespa, ''Il cuore e la spada: storia politica e romantica dell'Italia unita, 1861-2011'', Edizioni Mondadori, 2010 pag.97)</ref>
 
Il [[17 marzo]] [[1861]] il parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II non re degli italiani ma «re d'Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione». Non "primo", come re d'Italia, ma "secondo" come segno distintivo della continuità della dinastia di casa Savoia<ref>Alfredo Oriani, ''La lotta politica in Italia'' 1892 in Tommaso Detti, Giovanni Gozzini, ''Ottocento'', Pearson Paravia Bruno Mondadadori, 2000, p.184</ref>; tre mesi dopo moriva [[Cavour]] che, nel suo primo discorso al Parlamento dopo la proclamazione del [[Regno d'Italia]], aveva suggerito la linea politica di [[Libera Chiesa in libero Stato]] come soluzione al problema della persistenza del [[potere temporale]] in Italia, che impediva una soluzione pacifica affinché Roma, [[Questione romana|proclamata capitale del Regno]], ma di fatto ancora capitale dello Stato pontificio, potesse effettivamente diventare la capitale del nuovo Stato e che conseguentemente condizionava la partecipazione dei cattolici, sensibili alle indicazioni di Pio IX, alla vita politica nazionale.
 
Il nuovo regno mantenne lo [[Statuto albertino]], la costituzione concessa da [[Carlo Alberto]] nel [[1848]] e che rimarrà ininterrottamente in vigore sino al [[1946]].
 
== Terza guerra di indipendenza e Roma capitale ==
=== La terza guerra di indipendenza ===
{{vedi anche|Terza guerra di indipendenza italiana}}
Quando [[Vittorio Emanuele II]] divenne [[re d'Italia]], il [[17 marzo]] [[1861]], il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo poiché il [[Veneto]], il [[Trentino Alto Adige|Trentino]] e il [[Friuli]] appartenevano ancora all'Austria e [[Roma]], proclamata idealmente capitale del Regno era ancora sede papale.
 
La situazione delle terre [[Irredentismo italiano|irredente]] (come si sarebbe detto alcuni decenni più tardi) costituiva una fonte di tensione costante per la politica interna italiana e chiave di volta della sua politica estera. Le crescenti tensioni fra [[Austria]] e [[Prussia]] per la supremazia in [[Germania]] (sfociate infine nel 1866 nella [[guerra austro-prussiana]]) offrirono al neonato [[Regno d'Italia]] l'opportunità di effettuare un consistente guadagno territoriale e completare l'unificazione italiana.
 
L'[[8 aprile]] [[1866]] il Governo Italiano (guidato dal generale [[Alfonso La Marmora]]) concluse una [[Alleanza italo-prussiana|alleanza militare]] con la [[Prussia]] di [[Otto von Bismarck]], grazie anche alla mediazione della [[Francia]] di [[Napoleone III]]. Si era creata, infatti, un'oggettiva convergenza fra i due Stati che vedevano nell'[[Impero Austriaco]] l'ostacolo al rafforzamento dell'unità nazionale italiana in funzione antiaustriaca.
 
Secondo i piani prussiani, l'Italia avrebbe dovuto impegnare l'Austria sul fronte meridionale. Nel contempo, forte della superiorità navale, avrebbe portato una minaccia alle coste dalmate, distogliendo ulteriori forze dal teatro di guerra nell'[[Europa centrale]].
[[File:Third Italian War of Independence It.svg|thumb|350px|Piano della terza guerra di indipendenza]]
 
Il [[16 giugno]] 1866 la [[Prussia]] iniziò l'ostilità contro alcuni principati tedeschi alleati dell'[[Austria]]. All'inizio del conflitto, l'esercito italiano era diviso in due armate: la prima, al comando di [[Alfonso La Marmora]], stanziata in [[Lombardia]] ad [[ovest]] del [[Mincio]] verso le [[fortezze del Quadrilatero]]; la seconda, al comando del generale [[Enrico Cialdini]], in [[Romagna]], a [[sud]] del [[Po]], verso [[Mantova]] e [[Rovigo]]. Al comando della flotta fu designato il vecchio ammiraglio [[Carlo Pellion di Persano]].
 
Il [[capo di Stato Maggiore]] generale La Marmora mosse per primo, incuneandosi fra Mantova e [[Peschiera del Garda|Peschiera]], ove subì una sconfitta a [[Battaglia di Custoza (1866)|Custoza]] il [[24 giugno]]. Cialdini, al contrario, per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva e non assediò neppure la fortezza austriaca di [[Borgoforte]], a nord del Po. Custoza segnò un generale arresto delle operazioni, con gli Italiani che si riorganizzavano nel timore di un contrattacco austriaco. Gli Austriaci ne approfittarono per compiere due piccole offensive in [[Valtellina]] ([[Operazioni in Valtellina (1866)|operazioni in Valtellina]]) e in [[Val Camonica]] ([[battaglia di Vezza d'Oglio]]).
 
Tuttavia, a seguito di alcune importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di [[Battaglia di Sadowa|Sadowa]] del [[3 luglio]] [[1866]], gli Austriaci decisero di far rientrare a [[Vienna]] uno dei tre corpi d'armata schierati in Italia e diedero priorità alla difesa del [[Trentino]] e dell'[[Isonzo]]. Nelle settimane che seguirono, a [[Enrico Cialdini]] fu quindi affidato il grosso dell'esercito. Egli seppe guidare l'avanzata italiana da [[Ferrara]] a [[Udine]]: passò il Po e occupò [[Rovigo]] l'[[11 luglio]], [[Padova]] il [[12 luglio]], [[Treviso]] il [[14 luglio]], [[San Donà di Piave]] il [[18 luglio]], [[Valdobbiadene]] e [[Oderzo]] il [[20 luglio]], [[Vicenza]] il [[21 luglio]], Udine il [[26 luglio]].<ref>"Università degli Studi di Udine; [http://udine3d.uniud.it/it/storia.html].</ref>
 
Nel frattempo i volontari di [[Giuseppe Garibaldi]] si erano spinti dal [[Brescia]]no in direzione della città di [[Trento]] aprendosi la strada il [[21 luglio]] durante la [[battaglia di Bezzecca]], mentre una seconda colonna italiana guidata da [[Giacomo Medici]] arrivava, il [[25 luglio]], in vista delle mura di [[Trento]].
 
Queste ultime vittorie italiane vennero tuttavia oscurate, nella coscienza collettiva, dalla sconfitta della Marina a [[battaglia di Lissa (1866)|Lissa]] il 20 luglio. Il [[9 agosto]] Garibaldi rispose all'ordine di ritirarsi dal Trentino, con il celebre e celebrato «Obbedisco».
 
L'esito generale della guerra fu determinato dalle importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di [[Battaglia di Sadowa|Sadowa]] del [[3 luglio]] [[1866]], ad opera del generale [[Helmuth Karl Bernhard von Moltke|von Moltke]]. La cessazione delle ostilità venne sancita con l'[[Armistizio di Cormons]], il [[12 agosto]] 1866, seguito il [[3 ottobre]] 1866 dal [[Pace di Vienna (1866)|trattato di Vienna]].
 
Secondo i termini del trattato di pace, l'Italia guadagnò [[Mantova]] e l'intera antica terraferma veneta (che comprendeva l'attuale [[Veneto]] e il [[Friuli]] occidentale). Rimanevano in mano austriaca il [[Trentino]], il [[Friuli]] orientale, la [[Venezia Giulia]] e la [[Dalmazia]]. Le città di Trento e Trieste continuavano ad essere sotto il governo di Vienna.
 
In considerazione della pessima condotta italiana in guerra, gli austriaci ottennero di consegnare le province perdute alla [[Francia]], che ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia. Il [[4 novembre]] 1866 i Savoia ebbero consegnata dagli Asburgo la [[Corona Ferrea]] (simbolo della sovranità sull'Italia), già usata dai re [[longobardi]], dagli imperatori del [[Sacro Romano Impero Germanico]] e dallo stesso [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. La corona tornò così alla sua sede storica nel [[Duomo di Monza]]. L'annessione al Regno d'Italia venne sancita da un [[Plebisciti del Regno d'Italia|plebiscito]] (a suffragio universale maschile) svoltosi il [[21 ottobre|21]] e [[22 ottobre]], anche se già il [[19 ottobre]] in una stanza dell'hotel Europa sul [[Canal Grande]] il generale Leboeuf (plenipotenziario francese e "garante" dello svolgimento della consultazione) firmò la cessione del Veneto all'Italia. Prima ancora del plebiscito le terre venete erano già state cedute ufficialmente al Regno d'Italia; "la Gazzetta di Venezia" il giorno successivo ne aveva dato notizia, in pochissime righe: "Questa mattina in una camera dell'albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto".<ref>Ettore Beggiato, "1866: la grande truffa", Editoria Universitaria Venezia, 1999; [http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=230619&PRINT=S].</ref> Il [[7 novembre]] [[1866]], pochi giorni dopo la proclamazione ufficiale dell'esito del plebiscito, [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] compì una visita solenne a [[Venezia]]. Le salme dei [[fratelli Bandiera]] e di [[Domenico Moro]] rientrarono il [[18 giugno]] [[1867]], quella di [[Daniele Manin]] il [[22 marzo]] [[1868]].
 
=== Roma capitale ===
[[File:Allegoria italia post1861.jpg|thumb|350px|Stampa allegorica del periodo sulla situazione politica post-unitaria: l'[[Italia turrita]] indica a [[Enrico Cialdini|Cialdini]], (con la sciabola sguainata), i suoi nemici abbarbicati attorno a [[Napoleone III]] (trasformato in albero): [[brigantaggio postunitario|briganti]], nobili borbonici (raffigurati dal ''pazzariello'' napoletano), il [[anticlericalismo|clero]] e il [[Papa Pio IX]]; sullo sfondo [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]], a Caprera, ara un campo come [[Cincinnato]]]]
{{vedi anche|Questione romana|Clericalismo|Presa di Roma}}
[[File:Breccia di Porta Pia.jpg|thumb|250px|left|La breccia delle mura a Porta Pia]]
Seppure alla proclamazione del Regno d'Italia il [[17 marzo]] [[1861]] fosse stata indicata [[Roma]] come "capitale morale" del nuovo Stato, la città rimaneva la sede dello [[Stato Pontificio]]<ref>Cfr. A.Desideri, ''op.cit.'' Vol.II</ref>, per quanto ridotto di dimensioni. La [[Romagna]] era infatti già passata al Piemonte con i plebisciti seguiti alla [[Seconda guerra di indipendenza italiana|Seconda Guerra d'Indipendenza]]; similmente era accaduto per le [[Marche]] e l'[[Umbria]], in seguito alla [[Battaglia di Castelfidardo]] e al successivo plebiscito: lo [[Stato della Chiesa]] era ormai ridotto al solo [[Lazio]]<ref>Esclusa la Sabina (attuale provincia di Rieti), allora considerata parte dell'Umbria e quindi già inclusa nel Regno d'Italia</ref>. Il dominio temporale del papa rimaneva sotto la protezione delle truppe francesi dislocate a Roma; [[Garibaldi]] per due volte tentò di prendere Roma, venendo bloccato una volta sull'[[giornata dell'Aspromonte|Aspromonte]] dall'esercito italiano inviato da [[Urbano Rattazzi]] e, in un secondo tentativo, sconfitto dai francesi nella [[battaglia di Mentana]] senza che, questa volta, vi fosse un intervento diretto del governo [[Luigi Federico Menabrea|Menabrea]] che, in nome degli accordi con la Francia, fece arrestare Garibaldi a [[Figline]] e da lì tradotto a [[La Spezia]] da dove fu riportato a [[Caprera]].<ref>Antonella Grignola, Paolo Ceccoli, ''Garibaldi'', Giunti Editore, 2004, p.81</ref>
 
Solo dopo la sconfitta e cattura di [[Napoleone III]] a [[Battaglia di Sedan|Sedan]] nella [[guerra franco-prussiana]] avvenuta il 1º settembre 1870, venne ritirato da Roma il contingente di truppe francesi a protezione del pontefice; le truppe italiane con [[bersaglieri]] e [[carabinieri]] in testa, pochi giorni dopo, il [[20 settembre]], entrarono dalla [[breccia di Porta Pia]] nella capitale.
 
[[Papa Pio IX]], che si considerava prigioniero del nuovo Stato italiano, reagì [[scomunica]]ndo Vittorio Emanuele II, ritenendo inoltre non opportuno (''[[non expedit]]''), e poi esplicitamente proibendo che i cattolici partecipassero attivamente alla vita politica italiana, da cui si autoesclusero per circa mezzo secolo con gravi conseguenze per la futura storia d'Italia.
 
Dopo il [[plebiscito]] del [[2 ottobre]] [[1870]] che sancì l'annessione di [[Roma]] al [[Regno d'Italia]], nel giugno del [[1871]] la [[capitale (città)|capitale]] d'[[Italia]], già trasferita - in ottemperanza alla [[Convenzione di settembre]] ([[1864]]) - da Torino a [[Firenze]], divenne definitivamente Roma.<ref>In occasione della inaugurazione del palazzo di [[Montecitorio]], sede della nuova Camera dei deputati, il 27 novembre [[1871]] il re Vittorio Emanuele II pronunciò il seguente discorso:
«Con Roma capitale d'Italia fu sciolta la mia promessa e coronata l'impresa che 23 anni or sono veniva iniziata dal Magnanimo mio Genitore: l'Italia è libera ed una, ormai non dipende più che da voi il farla grande e felice... per la difesa e l'integrità del territorio nazionale, e per restituire ai romani l'arbitrio dei loro destini, i miei soldati, aspettati come fratelli, e festeggiati come liberatori, entrarono a Roma. Roma reclamata dall'amore e dalla venerazione degli italiani fu così resa a se stessa, all'Italia ed al mondo moderno. Noi entrammo a Roma in nome del diritto nazionale, in nome del patto che vincola tutti gli italiani ad unità di nazione. Vi rimarremo mantenendo la promessa che abbiamo fatta solennemente a noi stessi: Libertà della Chiesa, piena indipendenza della sede pontificia nell'esercito del suo ministero religioso, nelle sue relazioni colla cattolicità.» (in Luigi Torelli, ''L'Italia e casa Savoia '', 1885, pag.227)</ref>
 
Il [[20 settembre]] venne quindi fissato come festa nazionale, simbolo della conclusione, fino a quel momento, del periodo risorgimentale. La festività venne abolita nel [[1929]], con i [[Patti Lateranensi]].
 
L'anno successivo [[Nizza]] [[Vespri nizzardi|tento' invano]] di ritornare italiana.
 
== L'ideale conclusione e il completamento territoriale ==
Con Roma finalmente capitale inizio' anche un processo di unificazione culturale del paese, a cui contribuirono le pubblicazioni di alcuni libri destinati ad essere diffusi in tutta la nazione: nel 1870 esce la prima [[Storia della letteratura italiana (De Sanctis)|Storia della letteratura italiana]] scritta da [[Francesco de Sanctis]], nel 1876 il [[Il Bel Paese]] dell'abate e patriota [[Antonio Stoppani]] che descrive ai suoi lettori gli aspetti fisici e umani semisconosciuti della penisola, nel 1881 [[Carlo Collodi]] pubblica [[Pinocchio]] un [[romanzo di formazione]] per ragazzi, nel 1886 esce altro romanzo [[Cuore (romanzo)|Cuore]] di [[Edmondo De Amicis]] sempre rivolto ai giovani e scritto per inculcar loro le "virtù civili" e mantenere vivo il ricordo degli eventi risorgimentali, e nel 1891 [[Pellegrino Artusi]] pubblica [[La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene]], un testo che divenne popolare in poco tempo, ancor oggi ristampato e che secondo alcuni critici riusci' "a creare un codice di identificazione nazionale là dove fallirono gli stilemi e i fonemi manzoniani»<ref>(Pellegrino Artusi, ''La scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene'', Introduzione e note di [[Piero Camporesi]], Torino, Einaudi, 1970, p.&nbsp;XVI)</ref>.
{{vedi anche|Quarta guerra di indipendenza italiana|Fronte italiano (prima guerra mondiale)|Prima guerra mondiale}}
[[File:Bolgheri lapide caduti.jpg|thumb|left|400px|[[Bolgheri]]: Incipit della lapide commemorativa dei caduti della prima guerra mondiale, in cui questa viene indicata come la ''maggior guerra del Risorgimento'']]
[[File:Medaglia-guerra-1915-1918-dritto.jpg|thumb|150px|right|Dritto della [[medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918]]; l'iscrizione recita ''"Guerra per l'unità d'Italia 1915-1918"'']]
Dopo la fine della [[Grande Guerra]] una corrente storiografica iniziò ad individuare nel conflitto mondiale la conclusione del Risorgimento e dell'Unità d'Italia<ref name="ReferenceA">[http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1239896580.html La Grande Guerra nei manifesti italiani dell'epoca<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref><ref>[http://books.google.com/books?id=_LntMIUOXngC&pg=PA41&dq=%22quarta+guerra+d'indipendenza%22&hl=it&ei=-JIpTtaWKczOsgbkx5HwCw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=4&ved=0CD0Q6AEwAw#v=onepage&q=%22quarta%20guerra%20d'indipendenza%22&f=false Piergiovanni Genovesi - ''Il Manuale di Storia in Italia'']</ref>.
 
Tale visione fu condivisa da intellettuali nazionalisti e irredentisti dell'epoca , ma anche da alcuni storici liberali, fra cui [[Adolfo Omodeo]], che fu «uno dei più accesi sostenitori della visione della Grande guerra come continuazione e compimento delle guerre di indipendenza e del Risorgimento...»<ref>Cit. da: AA. VV. ''Storia d'Italia'', Einaudi 1974 ed. speciale il Sole 24 Ore, Milano 2005 vol. 10 ([[Alberto Asor Rosa]], ''Dall'unità ad oggi'') p. 1356»</ref>, per via del ricongiungimento con le ''terre irredente'' di [[Venezia Tridentina]], [[Venezia Giulia]], nonché la città di [[Zara]]. Essi attribuirono quindi il nome di [[quarta guerra di indipendenza]] alla Prima guerra mondiale<ref>[http://www.archiviodistatopiacenza.beniculturali.it/opencms/opencms/it/contenuti/manifestazioni/eventi/Articolo_552.html?pagename=137 archiviodistatopiacenza]</ref>.
 
Successivamente la città di [[Fiume (Croazia)|Fiume]] venne unita all'Italia nel [[1924]], dopo il [[Trattato di Rapallo (1920)|Trattato di Rapallo]], in seguito alle breve esperienza della [[Reggenza italiana del Carnaro]], mentre per la [[Dalmazia]], esclusa [[Zara]], le aspirazioni degli irredentisti non furono mai raggiunte, escluso il breve periodo di esistenza del [[Governatorato di Dalmazia]] durante la [[Seconda guerra mondiale]].
 
== I problemi dello stato unitario ==
 
Molti e gravi furono i problemi che il nuovo Stato dovette affrontare.
=== Nord e Sud ===
Discordando con l'affermazione di [[Massimo D'Azeglio]] «Il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani»<ref>Sarebbe quest'ultima frase all'origine dei motti "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani", "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani" e simili, genericamente attribuiti a Massimo d'Azeglio. Tuttavia, secondo gli storici [[Simonetta Soldani]] e [[Gabriele Turi]], nell'introduzione a ''Fare gli italiani. Scuola e cultura nell'Italia contemporanea'', il Mulino, il motto "Fatta l'Italia bisogna fare gli Italiani" non apparterrebbe a d'Azeglio, ma sarebbe stato coniato nel 1986 da [[Ferdinando Martini]] «nel tentativo di "tradurre" il senso politico» (Carlo Fomenti, ''Siamo una nazione, ma chi ha fatto l'Italia?'', ''Corriere della sera'', 17 luglio 1993) di tale frase nella prefazione a ''I miei ricordi''.</ref>, Cavour realisticamente scriveva che non solo gli italiani ma neppure l'Italia era "fatta": «Il mio compito è più complesso e faticoso che in passato. Fare l'Italia, fondere assieme gli elementi che la compongono, accordare Nord e Sud, tutto questo presenta le stesse difficoltà di una guerra con l'Austria e la lotta con Roma»<ref>Cavour, lettera del marzo 1861 in Giuseppe Vottari, ''Storia d'Italia (1861-2001)'', Alpha Test, 2004 p.31</ref>.
Cavour ben sapeva come si fosse giunti all'unificazione in soli due anni grazie all'aiuto di circostanze favorevoli interne ed internazionali. Ora, tuttavia, si trattava di sanare quella che alcuni avevano definito una ''forzatura storica'', un ''miracolo italiano''.<ref>Luciano Cafagna, ''Cavour, l'artefice del primo miracolo italiano'', Il mulino, 1999, p.29 e quarta di copertina, cit.: «Il primo miracolo italiano è stata l'Italia stessa»</ref>
 
La nuova Italia aveva messo assieme popolazioni eterogenee per storia, per lingue parlate, per tradizioni ed usanze religiose (la sensibilità e gli usi legati al cattolicesimo erano differenti nelle varie parti d'Italia). [[Luigi Carlo Farini]], inviato da Cavour, a Napoli in qualità di Luogotenente, il 27 ottobre 1860, gli descriveva la situazione in una lettera con queste frasi: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile [...] E la canaglia dà il sacco alle case de' signori e taglia le teste, le orecchie a' galantuomini, e se ne vanta, e scrive a Gaeta<ref>Ossia a Francesco II ivi asseragliato</ref>: i galantuomini ammazzati son tanti e tanti; a me il premio. Anche le donne caffone ammazzano; e peggio: legano i galantuomini [...] pe' testicoli, e li tirano così per le strade; poi ne fanno ziffe zaffe: orrori da non credersi»<ref>Da Lettera di Farini a Cavour, Teano, 27 ottobre 1860 in ''Carteggi di Camillo Cavour'', Zanichelli, 1949-54, Bologna , citato da S.Lupo (2011), </ref><ref>Ottorino Gurgo, ''Lazzari: una storia napoletana'', Guida Editori, 2005, p.364</ref>.
 
Secondo lo storico britannico [[Christopher Duggan]] (1957), docente di [[storia italiana]] nonché direttore del Centre for the ''Advanced Study of Italian Society'' all’[[Università di Reading]], numerose figure di primo piano dell’epoca, tra cui molti meridionali esiliati dai Borbone, contribuirono a costruire e ad aggravare l’immagine del Meridione come terra barbara e incolta, ripetendo un luogo comune estremamente falso, diffuso da parecchio tempo prima dell'unificazione: che a sud di Roma iniziasse l'Africa.<ref>Christopher Duggan (2011) ''La forza del destino - Storia d’Italia dal 1796 ad oggi'', pag. 257. Laterza editore, Roma-Bari. ISBN 978-88-420-9530-9</ref>. La cattiva fama dei meridionali risale a una frase, riportata dallo storico [[Giordano Bruno Guerri]], di [[Klemens von Metternich|Metternich]], espressa dopo la rivolta napoletana del 1820: «Un popolo mezzo barbaro, di una ignoranza assoluta, di una superstizione senza limiti, focoso e passionale come gli africani, un popolo che non sa né leggere né scrivere e che risolve le cose con il pugnale»<ref>Giordano Bruno Guerri, ''Il sangue del sud'', Mondadori, 2010</ref>.
 
=== Le condizioni del Regno ===
[[File:Quintino Sella 01.jpg|150px|thumb|Quintino Sella]]
Le condizioni di tutta l'Italia<ref>I dati riportati in questo paragrafo sulle condizioni dell'Italia post-unitaria sono ripresi da: Antonio Desideri, ''Storia e storiografia'', Vol.II, Casa editrice d'Anna, Messina Firenze, 1979, p.815</ref> si presentavano arretrate rispetto agli stati industrializzati dell'Europa occidentale. La rete ferroviaria nel [[1861]] consisteva in appena 2100 chilometri di binari che in più erano stati progettati in modo di avere uno [[scartamento]] tale da impedire, per ragioni militari, il passaggio dei confini di uno Stato all'altro.
 
Molto alta la mortalità infantile, l'igiene precaria causava ricorrenti epidemie di [[colera]], diffusa la [[malaria]] e la [[pellagra]].
 
L'[[analfabetismo]] raggiungeva una percentuale nazionale del 75%, con punte del 90% in alcune zone del paese.<ref>Nicola Tranfaglia, Pier Giorgio Zunino, ''Guida all'Italia contemporanea, 1861-1997'', Volume 4, Garzanti, 1998, p.389</ref>
 
L'isolamento diplomatico e le minacce austriache imponevano per la difesa il rafforzamento dell'esercito e della marina.
 
La soluzione di questi problemi comportò un grande impegno finanziario per il nuovo Stato che dovette introdurre nel [[1868]] la [[tassa sul macinato]], un'«imposta progressiva sulla miseria»,<ref>Giuseppe Vottari, ''Storia d'Italia'', Alpha Test, 2005, p.82</ref> una vera e propria tassa sul pane, fino ad allora sconosciuta nelle regioni del Centro e del Nord dove causò la ribellione dei contadini emiliani. [[Quintino Sella]], ministro delle finanze del Regno d'Italia, che l'aveva con altri ideata, divenne nell'opinione popolare «l'affamatore del popolo».<ref>Cfr. Ch. Seaton-Watson, ''L'Italia dal liberalismo al fascismo, 1870-1925'', Laterza, Bari, 1973</ref>
 
L'abolizione delle dogane tra i vari stati comportò il fallimento delle piccole attività artigianali impossibilitate a reggere la concorrenza con la produzione industriale del Nord.
 
=== Il brigantaggio ===
{{Quote| A [[Napoli]], noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne. Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani un'altra volta per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate, salvo si concedesse ora, per tagliare corto, che noi adottiamo il principio nel cui nome Bomba ([[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando]]) bombardava [[Palermo]], [[Messina]] ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo, ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che penso.|[[Massimo D'Azeglio]]<ref>([[2 agosto]] [[1861]]) Corrispondenza D’Azeglio-Matteucci, D’Azeglio, ''Scritti'', Firenze 1931 p.399</ref>}}
[[File:Carmine Crocco foto.jpg|left|thumb|180px|[[Carmine Crocco]], il più noto brigante postunitario<ref>[[Eric Hobsbawm]], ''Bandits'', Penguin, 1985, p.25</ref>]]
I dubbi espressi da D'Azeglio (''briganti o non briganti'') apparivano superati dalla storiografia risorgimentale che riprese la definizione di ''[[brigantaggio]]'' usata dallo stesso governo del [[Regno d'Italia]]<ref>L'ipotesi che il cosiddetto "brigantaggio" nasconda la volontà di una guerra civile del resto traspare nella stessa relazione Massari: «infame guerra, avvolgendo nel sangue, nel lutto, nelle espilazioni, nella guerra civile le provincie già obbedienti ... mentre non può negarsi che il brigantaggio alimentasi ben anco di altre fonti...» in ''Il brigantaggio nelle provincie napoletane: relazioni fatte a nome della Commissione d'inchiesta della Camera de'deputati da G. Massari e S. Castagnola. Con la giunta della legge proposta e dell'altra sanzionata'' p.211 e in Giuseppe Massari, Stefano Castagnola, ''Commissione d'inchiesta parlamentare sul brigantaggio'', in Stamp. dell'Iride, 1863, pp.162, 184,187</ref> per mascherare agli occhi degli stati europei le gravi difficoltà politiche della avvenuta unificazione come una manifestazione di semplice criminalità.
 
Ad esempio lo storico [[Francesco Saverio Sipari]] insisteva nel considerare l'origine sociale del fenomeno, quando nel [[1863]] scrisse: «il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata.».<ref>[[Benedetto Croce]], ''Storia del Regno di Napoli'', [[Adelphi]], Milano 1992, p.473 riporta per stralci la ''Lettera ai censuari del Tavoliere'' pubblicata dallo zio materno, [[Francesco Saverio Sipari]], riproposta integralmente da [[Lorenzo Arnone Sipari|L. Arnone Sipari]], ''Francesco Saverio Sipari e la «Lettera ai censuari del Tavoliere»'', in [[Raffaele Colapietra|R. Colapietra]] (a cura di), ''Benedetto Croce ed il brigantaggio meridionale: un difficile rapporto'', Colacchi, L'Aquila 2005, pp. 87-102, in cui, peraltro, anticipando anche le analoghe osservazioni di [[Giustino Fortunato]], riteneva che il brigantaggio potesse esaurirsi con la "rottura" dell'isolamento delle regioni meridionali, che era dato dall'assenza di una rete infrastrutturale adeguata, di strade e di ferrovie, e con l'affrancamento dai canoni del [[Tavoliere]].</ref>
 
Così anche [[Giustino Fortunato]] che non lo considerò «un tentativo di restaurazione borbonica e di autonomismo» ma «un movimento spontaneo, storicamente rinnovantesi ad ogni agitazione, ad ogni cambiamento politico, perché sostanzialmente di indole primitiva e selvaggia, frutto del secolare abbrutimento di miseria e di ignoranza delle nostre plebi rurali».<ref>Giustino Fortunato, Emilio Gentile, ''Carteggio: 1927-1932'', Laterza, 1981, p.14</ref>
 
Lo stesso [[Benedetto Croce]] vede nel brigantaggio l'ultimo sostegno di una monarchia, quella borbonica, che ancora una volta aveva chiamato in suo aiuto «...o piuttosto a far le sue vendette, le rozze plebi, e non trovando altri campioni che truci e osceni briganti...»<ref>Cit. da: Benedetto Croce, ''op. cit'', p. 235</ref>.
 
Accanto alla miseria, alcuni invece identificarono nel brigantaggio un fenomeno di [[resistenza (politica)|resistenza]] al nuovo stato italiano. Il deputato liberale [[Giuseppe Ferrari]] disse: «I reazionari delle Due Sicilie si battono sotto un vessillo nazionale, voi potete chiamarli briganti, ma i padri e gli Avoli di questi hanno per ben due volte ristabiliti i Borboni sul trono di Napoli.»<ref>Teodoro Salzillo, ''[http://books.google.it/books?id=dd0YAAAAYAAJ&dq=potete+chiamarli+briganti&source=gbs_navlinks_s Roma e le menzogne parlamentari]'', Malta, 1863, p.34.</ref>.
 
Alla fine gran parte degli storici hanno inquadrato tale fenomeno come espressione di un disagio autentico, manifestatosi con le forme di una vera e propria [[guerra civile]] ([[1861]]-[[1865]]).
 
In realtà il brigantaggio era nato e prosperava nel [[Mezzogiorno]] ben prima dell'annessione al Regno d'Italia<ref>«...La crisi economica del 1825-1826 prostrò il mondo delle campagne diede via alla ripresa della guerriglia rurale e a clamorosi episodi di brigantaggio.» Cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''Storia del Regno delle Due Sicilie'', Bologna, Il Mulino, 1997, p. 53. Lo stesso autore segnala, in età borbonica, un «...ribellismo endemico, spesso sfociato nel brigantaggio di estese zone delle Calabrie e del Principato di Citra...», cit. da Angelantonio Spagnoletti ''op. cit.'', p. 57. Anche nella Puglia settentrionale, in [[Capitanata]], il brigantaggio era particolarmente attivo (soprattutto nel distretto di [[Bovino (Italia)|Bovino]]) «...fino ad assumere connotati di massa. Ad esso si dedicavano alacremente migliaia di individui, padri e figli, che nell'assalto ai viaggiatori, alle diligenze e al procaccio trovavano la fonte primaria del proprio sostentamento». Cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''op. cit.'', p. 222</ref>, ma si era sviluppato ulteriormente negli anni sessanta dell'[[Secolo XIX|Ottocento]] in seguito all'invio di un gran numero di reparti dell'esercito (''Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni...'' in Massimo D'Azeglio, ''Op.cit.'')
 
Che si trattasse di un fenomeno ben radicato è dimostrato infine dal fatto che si ritenne necessario l'intervento dell'[[esercito]] regio e l'emanazione di leggi speciali (la [[legge Pica]] [[1863]]), che applicavano la [[legge marziale]] nei territori del Mezzogiorno italiano.
 
La ricerca storica più recente ha contribuito a mettere in luce gli aspetti politici che motivarono la resistenza delle popolazioni meridionali prima nei confronti dei Borbone<ref>Anche sotto i Borbone si dovettero impiegare le forze armate per reprimere il brigantaggio. Nel 1817 il marchese di Pietracatella, nominato intendente della terra d'Otranto «...nella sua relazione di viaggio osservava compiaciuto che la via consolare di Puglia e i territori che essa attraversava erano ormai tranquilli, addirittura percorribili di notte, anche perché erano presidiati, oltre che dalla gendarmeria, da teste di briganti chiuse in gabbie di ferro e collocate sul ponte di Bovino quale macabro ammonimento per i fuorilegge, i pastori e i contadini che frequentavano quella località.». Cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''op. cit.'', p. 223. Un anno più tardi fu inviato in Puglia il generale [[Guglielmo Pepe]] per organizzare le milizie provinciali da impiegare contro i briganti. Cfr. Angelantonio Spagnoletti, ''op. cit.'', p. 222</ref>, poi del Regno d'Italia (con le conseguenti repressioni), superando definitivamente il modello che ha tentato per decenni di liquidare l'insorgenza meridionale come fenomeno esclusivamente banditesco.
 
La complessa problematica legata a tale resistenza non fu estranea (insieme ad altre concause) alla nascita della [[Questione meridionale]].
{{Vedi anche|Brigantaggio|Brigantaggio postunitario}}
 
=== Decentramento e accentramento ===
Cavour secondo i principi del liberalismo inglese era favorevole al decentramento:
{{Quote|Il prof. E. Amari [autonomista siciliano], dottissimo giureconsulto come egli è, riconoscerà, io lo spero, che noi siamo non meno di lui amanti della discentralizzazione, che le nostre teorie sullo Stato non comportano la tirannia di una capitale sulle province.<ref>Cavour, lettera del 15 gennaio 1961 al marchese di Montezemolo, luogotenente in Sicilia in Massimo L. Salvadori, ''Il mito del buongoverno: La questione meridionale de Cavour a Gramsci'', G. Einaudi, 1963 p.27</ref>}}
In tal senso egli aveva presentato un progetto di legge con [[Luigi Carlo Farini|Farini]] e [[Marco Minghetti|Minghetti]] il [[13 marzo]] 1861 che «consisteva nel riunire insieme in consorzi obbligatori e permanenti quelle province che fossero più affine tra loro per natura di luogo, per comunanza d'interessi, di leggi, di abitudini.»<ref>In ''Marco Minghetti ai suoi elettori'', Monti, Bologna, 1863</ref> Il disegno di legge non poté essere sottoposto alla Camera per la morte improvvisa di Cavour e quando Minghetti presentò un analogo progetto di legge<ref>Il progetto di legge di Minghetti fu il primo ad essere stato redatto in italiano e non in francese. (Arrigo Petacco, ''O Roma o morte'', A. Mondadori, 2010, p.7)</ref> dopo un lungo dibattito fu bocciato. Il progetto federalista di Minghetti prevedeva: «...un ordinamento che consenta di conservare le tradizioni e i costumi delle popolazioni locali. Ad ogni Grande Provincia [Regione] dovrà spettare il potere legislativo e l'autonomia finanziaria per quanto riguarda i lavori pubblici, l'istruzione, la sanità, le opere pie e l'agricoltura. Le Grandi Province e i Comuni dovranno ampliare...le rispettive basi elettorali estendendo il diritto di voto a tutti...senza escludere gli analfabeti. I sindaci non saranno più di nomina regia ma dovranno essere nominati dal consiglio comunale regolarmente eletto. Allo Stato spetteranno soltanto la politica estera, la difesa, i grandi servizi di utilità nazionale (ferrovie, poste, telegrafi e porti), nonché un'azione di vigilanza e controllo sull'operato degli enti locali.»<ref>A.Petacco, ''Op.cit.'' p.8</ref>
 
La nuova classe politica successa alla morte di Cavour nutrendo grandi timori che la recente unità fosse messa in pericolo da sommovimenti interni preferì imboccare la strada dell'accentramento autoritario estendendo a tutto il paese il sistema comunale e provinciale del Regno di Sardegna. L'Italia venne divisa in province sotto il controllo dei prefetti e i consigli comunali elettivi furono soggetti a sindaci nominati dal sovrano.
 
Come scrive Candeloro: «Fare una sola regione del Mezzogiorno continentale sembrava pericoloso per l'unità, ed era d'altra parte difficile dividerlo in regioni che avessero una certa vitalità, poiché nel Mezzogiorno non erano esistiti Stati regionali e di conseguenza, non vi erano allora, oltre Napoli, delle città adatte ad essere centri regionali.»<ref>G. Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna'' in ''Diritto e società'', Sansoni, 1993, p.82</ref>
 
== Interpretazioni storiografiche ==
=== L'assenza delle masse contadine e il contrasto città-campagna ===
{{Vedi anche|Dibattito storiografico sulla Spedizione dei Mille}}
Un filone di critica [[storiografia|storiografica]], elaborando le analisi che fece [[Antonio Gramsci]] nei suoi [[quaderni del carcere]]<ref>La prima pubblicazione di queste tesi avvenne nel 1949 con la stampa del volume Antonio Gramsci ''Il Risorgimento'', Einaudi Editore (Torino), nell'ambito della prima pubblicazione, raccolti in ordine tematico, degli scritti gramsciani</ref>, che partì dalle considerazioni del [[meridionalismo|meridionalista]] [[Gaetano Salvemini]] sulla non soluzione della questione contadina legata alla non soluzione della questione meridionale<ref>Cfr. G. Cantarano p.38</ref>, ha sviluppato un'interpretazione che sostiene come nel Risorgimento italiano fosse stata assai limitata la partecipazione della [[massa (filosofia)|masse popolari]], soprattutto [[agricoltore|contadine]], agli eventi che hanno caratterizzato l'unità [[nazionalità|nazionale]] italiana e come il Risorgimento possa essere considerato come una rivoluzione mancata.
 
«Quanto alla partecipazione contadina delle masse subalterne alle vicende della unificazione essa continuò ad essere assai modesta».<ref>Desideri Antonio-Themelley Mario, ''Storia e storiografia'', "Il decennio di preparazione e il compimento dell'Unità d'Italia" - Editrice d'Anna, 1999</ref>
 
Lo storico [[Franco Della Peruta]]<ref>Franco della Peruta ''Democrazia e socialismo nel Risorgimento'', Editori Riuniti, Roma, 1973</ref> constata come il problema dell'assenza delle masse contadine al movimento risorgimentale si ponesse sin dall'indomani dei moti del [[1848|'48]] alla coscienza degli stessi contemporanei di quegli avvenimenti.
 
Fin dal [[1849]], contrariamente a quanto sosteneva Mazzini, che cioè la questione sociale dovesse essere risolta solo dopo aver affrontato il problema dell'unità nazionale, un mazziniano, rimasto anonimo, scriveva sulla mazziniana "Italia del popolo": «la politica di classe adottata dal governo provvisorio milanese [...] causò la sopravvenuta freddezza dei contadini di Lombardia verso la guerra nazionale».
 
[[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]], ricordando le Cinque giornate milanesi, scriveva: «Si può rimproverare agli amici della libertà [...] di non aver chiamato il popolo dei sobborghi e delle campagne alla pratica delle armi».<ref>Carlo Cattaneo, ''Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra: memorie'',Tip. della Svizzera Italiana, 1849 p.146</ref>
 
Lo stesso [[Carlo Pisacane (patriota)|Carlo Pisacane]], fra i primi, assieme a [[Giuseppe Ferrari]] a introdurre concetti [[socialismo|socialisti]] nelle ideologie risorgimentali, nel [[1851]] nell'Appendice alla "La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49" ribadiva l'idea della necessità di una vasta partecipazione contadina al progetto unitario e che si dovesse «far comprendere ai contadini che è loro interesse cambiare la vanga col fucile» ma questo non sarebbe mai avvenuto poiché, come scrisse [[Giuseppe Ferrari]] lo stesso anno, osservando i moti popolari europei, «non vale parlare di Repubblica se il popolo sovrano muore di fame».,<ref>Giuseppe Ferrari, "L'Italia dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851, Capolago tipografia elvetica, 1852 p.16</ref></br>
 
L'indifferenza dei contadini, se non l'ostilità nei confronti di tutto ciò che riguardava la città e i "signori", risaliva come sosteneva [[Antonio Gramsci]]<ref>Cfr. A. Gramsci, "Il Risorgimento", Torino 1966.</ref>, ed in epoca più recente gli storici [[Emilio Sereni]]<ref>Cfr. E. Sereni, "Il capitalismo nelle campagne (1860-1900)", Torino 1955.</ref> e [[Giorgio Candeloro]], al periodo della formazione dei [[Comune|Comuni italiani]] quando, dopo aver attirato i contadini in città ("''l'aria delle città rende liberi''"), affrancandoli ed usandoli come operai per le manifatture, sottoposero la campagna alla città con un regime vincolistico dei prezzi dei prodotti agricoli.<ref>" '' La conquista del contado da parte di ciascun comune fu un fenomeno generale che portò ad una subordinazione permanente delle campagne alle città e ad una diseguaglianza giuridica tra cittadini ed abitanti del contado...la subordinazione della campagna alla città non ebbe soltanto un carattere politico ed amministrativo, non fu cioè soltanto subordinazione del contado verso la città nel suo complesso e verso il governo cittadino, ma assunse anche il carattere di una dipendenza di tipo feudale o semifeudale dei contadini verso la classe dominante cittadina [...] La politica annonaria dei comuni, continuata anche dalle signorie e dai principati, fu dominata dalla preoccupazione di assicurare a prezzo relativamente basso e costante i rifornimenti alimentari agli artigiani e ai salariati delle città, le cui agitazioni erano assai temute dalla classe mercantile dominante.''" (in G.Candeloro, "Storia dell'Italia moderna, vol. I, Milano, 1959.)</ref>
 
Lo storico Girolamo Arnaldi osserva che nella seconda guerra d'indipendenza ([[1859]]) " '' i soldati dell'esercito sardo, quasi esclusivamente contadini e popolani... non erano ancora ben persuasi che il [[Piemonte]] fosse in Italia, tant'è vero che ai volontari provenienti dalle altre regioni d'Italia rivolgevano la domanda: "Vieni dall'Italia?"<ref>G.Arnaldi, "L'Italia e i suoi invasori", Bari, 2003 pag.179</ref>.
 
Lo stesso Cavour si scandalizzava che i volontari arruolati a Torino provenienti dal Regno delle Due Sicilie fossero appena poche decine<ref>G. Di Fiore, "I vinti del Risorgimento", Torino, 2004 pag.264</ref><ref>Da osservare che la percentuale di questi volontari fosse maggiore fra [[I Mille]] dove, diversamente all'esercito sabaudo, non venne operata alcuna selezione all'arruolamento. Nella prima meta' del 1859 furono arruolati 9692 giovani nell'esercito sabaudo, di questi il 44% dal regno Lombardo Veneto, il 27% dai ducati di Parma e Modena, il 16% dalla Toscana, poco meno del 12% dallo stato Pontificio, poco più del 1% da stati esteri e circa il 0.5% dal Regno delle due Sicilie (In Cipolla, Bertaiola, ''La battaglia di Solferino e San Martino, vissuta dagli italiani'', Franco Angeli, Milano, 2009)</ref>, mentre tra i 1089 garibaldini partiti da Quarto si contavano 86 volontari provenienti dal regno borbonico, pari all'8% del totale dei volontari e a poco meno del 10% degli 894 volontari affluiti da regioni non appartenenti al regno sabaudo preunitario.
 
Anzi, in buona parte, la classe contadina meridionale entrerà nella storia proprio battendosi contro l'unità ormai raggiunta: è il fenomeno del [[brigantaggio postunitario]] che, secondo Isnenghi, "''...può considerarsi pressoché l'unica manifestazione reale, per estensione geografica, partecipazione numerica e durata di presenza attiva delle masse subalterne negli anni del Risorgimento''"<ref>M.Isnenghi, op.cit.</ref>.
 
Più articolata l'analisi di Seton-Watson sulla contrapposizione fra campagna e città: "''Con l'eccezione della Sicilia, dove una vasta rivolta di contadini precedette lo sbarco di Garibaldi, poche furono le zone in cui i contadini svolsero un ruolo positivo nell'unificazione del paese: le campagne in generale rimasero passive o si mossero solo in difesa del vecchio ordine. I governi, agli occhi dei contadini, sono un male necessario, il nuovo governo italiano era particolarmente odioso perché era stato imposto dai 'signori' e dalle città, perché perseguitava la Chiesa, aumentava le imposte ma, soprattutto perché era efficiente''"<ref>(Ch. Seton-Watson, "L'Italia dal liberalismo al fascismo, 1870-1925", Bari, 1973)</ref>
 
=== Le cinque giornate di Milano (18 - 22 marzo [[1848]]) ===
{{vedi anche|Cinque giornate di Milano}}
[[File:Horace Vernet-Barricade rue Soufflot.jpg|300px|thumb|La rivoluzione europea del [[1848]]]]
 
Uno degli avvenimenti abitualmente indicati dalla storiografia classica come un esempio della partecipazione popolare al fenomeno risorgimentale è quello della [[Cinque giornate di Milano|rivolta milanese]] del [[1848]] quando i cittadini milanesi combatterono in massa gli austriaci innalzando il vessillo tricolore ed addirittura, dopo che [[Carlo Alberto]] aveva firmato la resa con gli austriaci e si disponeva ad abbandonare [[Milano]], incendiarono le loro case vicine alle mura per difendere meglio la città dal ritorno delle truppe di [[Radetzky]].<ref>Cfr. [[Cristina Trivulzio Belgiojoso|Cristina di Belgioioso]] "La rivoluzione lombarda del 1848" a cura di A. Bandini Buti, Milano 1950.</ref>
 
Alcuni storici osservano che si trattava dei patrioti ''cittadini'' milanesi e non del "popolo" dei contadini che viveva nella campagna milanese, al di fuori della città ove ci furono episodi di partecipazione contadina alla lotta antiaustriaca ma prevalentemente su costrizioni operate dai parroci e dai proprietari terrieri; e dopo il ritiro dei piemontesi al di là del [[Ticino (fiume)|Ticino]], si alzò nelle campagne il grido di "''Abbasso i signori, abbasso i cittadini, viva Radetzky''".<ref>cfr. F. Catalano, Stato e società nei secoli, Messina-Firenze, 1974.</ref>
 
Mettendo da parte le tematiche delle libertà civili e della condizione di sottomissione governativa verso [[Vienna]], il ceto contadino non aveva motivazioni per voler cacciare gli austriaci in quanto il governo di [[Vienna]] li aveva sempre favoriti con una buona amministrazione e con sgravi fiscali.<ref>«Il Lombardo-Veneto ebbe infatti dall'Austria una legislazione civile nel complesso non inferiore a quella napoleonica e un sistema amministrativo che funzionava con regolarità e che lasciava ai comuni un'autonomia maggiore che in altri Stati italiani» Il governo austriaco «tra il '15 e il '48 diede al Lombardo Veneto un'ottima rete stradale... e lo mise alla testa degli Stati italiani per l'organizzazione scolastica» (G.Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna'', II, 1815-1846, Feltrinelli editore, Milano 1958)</ref> Gli austriaci avevano compreso che i loro avversari erano i [[liberalismo|liberali]] italiani della classe borghese emergente che voleva svincolarsi della loro oppressiva tutela e formare quel [[mercato]] unitario italiano che sottintendeva i proclamati ideali patriottici.<ref>«Il sentimento di nazionalità, se si prescinde da qualche anticipazione giacobina, nasce e si sviluppa solo nell'Ottocento...allorché le classi economicamente più dinamiche premono per la formazione di grandi mercati unitari» (F.Catalano, ''Stato e società nei secoli'', III, G.d'Anna, Messina-Firenze 1966). L'incremento della produzione agricola e manifatturiera portò alla «necessità di superare in qualche modo il frazionamento territoriale, di costituire mercati più vasti se non un mercato unitario nazionale liberandosi dal dominio straniero che spezzava tra l'altro l'unità economica della valle padana. (Desideri, op.cit.)»</ref> Per conservare il dominio nei territori del suo impero il governo austriaco si accattivava i favori delle masse contadine, giungendo a minacciare contro i liberali latifondisti una riforma agraria a vantaggio dei contadini.<ref>«Perché il Partito d'Azione non pose in tutta la sua estensione la questione agraria?...La minaccia fatta dall'Austria di risolvere la questione agraria a favore dei contadini, minaccia che ebbe attuazione in [[Galizia (Europa centrale)|Galizia]],...non solo gettò lo scompiglio tra gli interessati in Italia ma paralizzò lo stesso Partito d'Azione che in questo terreno pensava come i moderati e riteneva "nazionali" l'aristocrazia e i proprietari e non i milioni di contadini.» (A. Gramsci, ''Il Risorgimento'', Einaudi, Torino 1966)</ref>
 
=== Da guerra federalista a guerra regio-sabauda ===
{{Vedi anche|Prima guerra di indipendenza italiana|Pensiero politico di Vincenzo Gioberti}}
L'iniziale partecipazione popolare cittadina nelle rivoluzioni del '48 italiano fu colta dalla classe politica piemontese come l'occasione intervenire a difesa dei "fratelli" lombardi e veneti. Scriveva [[Lorenzo Pareto]], il ministro degli esteri del Regno Sardo: «La resistenza ferma ed eroica che da più giorni fanno gli abitanti di Milano contro le truppe austriache ha commosso tutte le vicine popolazioni e altamente eccitato sino all'entusiasmo la loro simpatia.»<ref>''La diplomazia del regno di Sardegna durante la prima guerra d'indipendenza'', Volume 3, Sardinia (Kingdom). Ministero degli affari esteri, Museo nazionale del Risorgimento, 1952 pag.XXXII</ref>
 
Sembrava in quel momento potesse realizzarsi il programma neoguelfo di [[Vincenzo Gioberti]] che divenne presidente del consiglio del Regno di Sardegna nel dicembre 1848. Gioberti era convinto che l'Italia dovesse ritornare ad essere una nazione unita in una federazione di stati trovando il suo fattore di unificazione, non come predicava Mazzini nel popolo «che è un desiderio, non un fatto, un presupposto non una realtà, un nome non una cosa»<ref>Vincenzo Gioberti, ''Del primato morale e civile degli Italiani'', ed. Meline Cans, Bruxelles, 1843 p.80</ref> ma nella religione valore questo «sommamente nostro e nazionale, perché creò la nazione ed è radicato in essa da diciotto secoli.» Il papa quindi con il suo prestigio a capo di una lega tra i vari stati difesa militarmente dal Piemonte «la provincia guerriera d'Italia».
 
L'affluire in Lombardia di volontari per la guerra di liberazione nazionale, e tra questi Garibaldi, che respinto dal governo sardo si era messo a disposizione del governo provvisorio milanese, spinse il governo di [[Carlo Alberto]], prima che si costituisse una repubblica a Milano, a Venezia, a Genova e persino a Torino, a dichiarare la guerra all'Austria secondo le sollecitazioni dell'aristocrazia liberale lombarda rappresentata dal capo della municipalità [[Gabrio Casati]], timorosa che i democratici e i repubblicani, ispirati dal [[Carlo Cattaneo (patriota)|Cattaneo]], prendessero la guida del movimento rivoluzionario, anche se Mazzini aveva messo da parte il suo programma repubblicano, sciogliendo la ''Giovane Italia'' per non intralciare la guerra di liberazione.
 
La condotta della guerra ritardata dalla decisione di Carlo Alberto di non impegnarsi più a fondo se prima i lombardi non avessero votato con un [[plebiscito]] l'annessione al Piemonte, la dissociazione del pontefice [[Pio IX]] il [[29 aprile]] [[1848]] dalla guerra nazionale, poiché come capo della cristianità era obbligato a comportarsi nei confronti di «tutte le genti, popoli e nazioni con eguale studio di paternale amore»<ref>Iride Traversi, ''L'immagine femminile di Dio'', Armando Editore, 2005 p.34</ref>, causò lo spegnersi di quell'entusiasmo patriottico dell'opinione pubblica moderata, che inizialmente aveva portato i sovrani costituzionali di Firenze, Roma e Napoli a inviare truppe regolari in sostegno del Piemonte che ora venivano richiamate in patria. La guerra federalista diventava guerra regio-sabauda secondo le mai spente aspirazioni dei Savoia di espandersi oltre il Ticino. Ma le sconfitte militari dei piemontesi fecero crollare ogni progetto unitario.<ref>Significativo degli ormai esauriti entusiasmi patriottici gli episodi narrati da un ufficiale piemontese e da [[Francesco Faà di Bruno]] avvenuti dopo la sconfitta di [[Custoza]] quando Gioberti e [[Angelo Brofferio]], al tempo entrambi membri dell'opposizione parlamentare, si spinsero al fronte, dove incontrarono le truppe in ritirata (vedi pag. 132 in Pietro Palazzini, ''Francesco Faà di Bruno scienziato e prete: Dai campi di battaglia all'apostolato sociale'', Città nuova, 1980 p.132), l'ufficiale nelle sue memorie scrive: "''Ripassato il Ticino e giunto a Vigevano l'esercito, era talmente adirato contro i Milanesi per gli ultimi fatti accaduti in quella città, come anche per le tante privazioni sofferte, che ufficiali e soldati vinti dall'indignazione e dal fastidio dicevano altamente di non voler più combattere per quella causa''. ... ''Gioberti in un caffè ov'erano soldati ed essendosi volto con parole calde di guerra ad un caporale di Pinerolo, n'ebbe tal risposta da potersi agevolmente persuadere della reale disposizione degli spiriti''." Ne miglior fortuna ebbe Brofferio e tre suoi compagni, arrivati come oratori del circolo politico di Torino, che incontrarono "''una folla di ufficiali che rimproverando loro sdegnosamente la mala condotta dei giornalisti piemontesi, pinsero sì al vivo la giusta ira dell'esercito, che quegli oratori credettero miglior partito rifar la loro strada''" (Vedi pag 145-145 in Anonimo, ''Memorie ed osservazioni sulla guerra dell'indipendenza d'Italia nel 1848 raccolte da un ufficiale piemontese'', Giovanni Fantini E C Editori, Torino, 1850 [http://books.google.com/books?printsec=frontcover&pg=PR3&id=Le0_AAAAcAAJ#v=onepage&q&f=false online])</ref>.
 
Il fallimento nel '49 del programma moderato del neoguelfismo, come avrebbe dovuto realizzarsi nella Prima guerra d'indipendenza, e di quello democratico mazziniano con la caduta delle repubbliche mazziniane di Roma e Firenze fece perdere al nostro Risorgimento gran parte del suo sentimento romantico e popolare<ref>Cfr. Raffaele Giovagnoli, ''Il romanticismo nella storia del Risorgimento italiano'', ed. Roux & Viarengo, 1904 p.24 e sgg.</ref> diffusosi con l'elezione di [[Pio IX]], il papa "liberale".<ref>Cfr. Armando Balduino, ''Storia letteraria d'Italia'', Vol. 2, Ed. Vallardi, 1991, pag.1350 e sgg.</ref>
 
Gioberti, a seguito della salita al trono di [[Vittorio Emanuele II]] non fu più presidente del consiglio e l'iniziativa passò nelle mani della monarchia [[Casa Savoia|sabauda]] e del [[Cavour|conte di Cavour]]. L'Italia si sarebbe fatta non per virtù di popolo, poco più di un'astrazione nel [[Mazzini|pensiero mazziniano]], ma con la [[diplomazia]], con l'aiuto militare della [[Francia]] e le annessioni al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]].
 
La partecipazione effettiva delle [[Massa (sociologia)|masse]] popolari al processo unitario continuò ad essere assai modesta. I moderati che avevano visto sventolare le [[Bandiera rossa|bandiere rosse]] sulle [[Primavera dei popoli|barricate del '48]] in Francia e i democratici che ricordavano l'esito infausto della spedizione di [[Carlo Pisacane (patriota)|Pisacane]] si accomunavano: "''Da destra e da sinistra, mille sospetti e diverse ragioni di diffidenza si addensano contro le masse lontane ed estranee dei subalterni. Che cosa cela il loro silenzio? A che cosa può portare l'attivazione? Non val meglio lasciarle alla loro inerzia secolare?''".<ref>[[Mario Isnenghi|M.Isnenghi]], "L'unità italiana" in AA.VV., "Tesi, antitesi, romanticismo-futurismo", Messina-Firenze, 1974.</ref>
 
Apparentemente a giudizio di alcuni storici<ref>cfr. M. Isnenghi, "L'unità italiana" in AA.VV., "Tesi, antitesi, romanticismo-futurismo", Messina-Firenze, 1974.</ref> sembravano esserci possibilità di una partecipazione popolare al movimento risorgimentale unitario considerando che «intorno al '60 ci furono nel meridione italiano diverse rivolte plebee, ma esse non erano che insurrezioni di ''[[cafone|cafoni]]''<ref>La parola ''cafone'' un tempo nell'Italia meridionale non aveva alcun senso dispregiativo, e indicava una condizione di subordinazione sociale e culturale certamente difficile, ma non vergognosa. La parola assunse un valore offensivo nel Nord Italia quando, dopo l'unificazione nazionale cominciano le incomprensioni fra le varie parti del paese.</ref> analfabeti che sognavano la loro rivoluzione: la spartizione delle terre non l'unità d'Italia che per loro era un evento privo di senso...».
 
=== La spedizione dei Mille ===
{{vedi anche|spedizione dei Mille|Fatti di Bronte}}
{{quote|L'unità d'Italia è stata e sarà - ne ho fede invitta - la nostra redenzione morale. Ma è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, il 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali.|[[Giustino Fortunato]], [[2 settembre]] [[1899]], lettera a [[Pasquale Villari]]<ref>Giustino Fortunato, Emilio Gentile, ''Carteggio 1865-1911'', Laterza, 1978, p. 64-65</ref>}}
 
{{quote|...necessaria fu, nel 1860, la dissoluzione del Regno di Napoli, unico mezzo per conseguire una più larga e alacre vita nazionale e per dare migliore avviamento agli stessi problemi che travagliavano l'Italia del mezzogiorno|[[Benedetto Croce]]<ref>Cit. da Benedetto Croce, ''Storia del Regno di Napoli'', Bari, Laterza, 1980 (prima edizione 1925), p. 236</ref>}}
[[File:Giuseppe Garibaldi (1866).jpg|right|thumb|175px|[[Giuseppe Garibaldi]]]]
 
[[File:Bixio.jpg|150px|thumb|left|[[Nino Bixio]]]]
La [[spedizione dei Mille]] fu una grande occasione per l'Italia poiché trasformò il Risorgimento da un movimento d'[[Élite (sociologia)|élite]] a un grande movimento popolare<ref>cfr. A.Gramsci, "Il Risorgimento", Torino 1966</ref>; occasione in vero persa da quei giovani che pure con entusiasmo "''avevano lasciato i loro studi, i loro agi... per venire in questa lontana isola…a ritrovarvi i ricordi del passato greco e romano... ma niente comprendevano, né cercavano di capire, della realtà di questi, come subito li chiamarono "arabi.''"<ref>R. Del Carria, ''Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950'', 2 voll., Milano, 1970.</ref>
 
In effetti [[Garibaldi]] aveva promesso, dopo aver assunto la guida dell'isola in nome di [[Vittorio Emanuele II]], di abolire le tasse che gravavano sull'isola quali la tassa sul macinato<ref>Questa [[Tassa sul macinato]] non va confusa con quella successivamente promulgata per risanare le finanze pubbliche nel Regno d'Italia nel [[1868]] ed estesa anche alle regioni settentrionali che non la conoscevano. Ne conseguirono una serie di sommosse nell'area padana raccontate nel romanzo storico ''[[Il mulino del Po]]'' di [[Riccardo Bacchelli]].</ref> e del dazio d'entrata sui cereali, l'abolizione degli affitti e dei canoni per le terre [[demanio|demaniali]] e di voler procedere ad una riforma del [[latifondo]].
Queste promesse non attirarono, almeno inizialmente, un numero consistente di siciliani, ma il primo scontro, la [[battaglia di Calatafimi]], ebbe comunque esito positivo per i Mille contro le più numerose e meglio addestrate truppe borboniche.<ref>Antonella Grignola, Paolo Ceccoli, ''Garibaldi'', Giunti Editore Firenze, 2004, p. 51.</ref>
 
Da questo momento inizia la guerra separata dei contadini siciliani ancora condotta in nome di Garibaldi e della libertà. Invadono i demani comunali, i feudi dei baroni latifondisti, bruciano gli archivi dove sono custoditi i titoli del loro servaggio, vengono anche uccisi dei benestanti e persone collegate al sistema del latifondo.
Gramsci sosterrà che "''I movimenti di insurrezione dei contadini contro i baroni furono spietatamente schiacciati e fu creata la Guardia Nazionale anticontadina; è tipica la spedizione repressiva di [[Nino Bixio]], il braccio destro del Generale, nella regione del [[Catania|catanese]] dove le insurrezioni furono più violente''"<ref>A. Gramsci, "Il Risorgimento", Torino 1966</ref><ref>Non appena Bixio arrivò a [[Bronte (Italia)|Bronte]] emanò un decreto in cui affermava: "Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato d’assedio: consegna delle armi o morte: disciolti Municipio, Guardia Nazionale, tutto: imposta una tassa di guerra per ogni ora sin che l’ordine sia ristabilito". Cinque ribelli che erano innocenti, (i veri colpevoli degli eccidi commessi erano fuggiti prima dell'arrivo di Bixio), dopo un processo sommario furono fucilati e i loro cadaveri lasciati insepolti. " ''Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo videro, sentirono la stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro: Belva. Ma niuno osò più muoversi... se no ecco quello che ha scritto: 'Con noi poche parole o voi restate tranquilli, o noi, in nome della giustizia e della patria nostra vi struggiamo come nemici dell'umanità'"'' (G.C.Abba, ''Da Quarto al Volturno'', a cura di G. D'Ambrosio Angelillo, ed. Acquaviva, 2007, p.219</ref><ref>Nell'Italia meridionale continentale la delusione delle masse contadine nei confronti di Garibaldi "traditore" è osservabile nei racconti e nei canti di protesta ricollegati alla loro tradizione [[sanfedismo|sanfedista]], come il seguente:
"Garebbalde tradetore": ''Ca amm'a fa de Garebbalde'' / ''ca iè mbame e tradetòre?'' / ''Nu velìme u rè Berbòne'' / ''ca respètte la religgione'' / ''Sènghe na vosce abbasce'' / ''Frangische se ne va'' / ''Règne de Nàbbule statte secure'' / ''ca dope n'anne av'a ternà.''
(Che ne facciamo di Garibaldi / Che è infame e traditore / Noi vogliamo il re Borbone / che rispetta la religione / Sento una voce in basso / Francesco se ne va / Regno di Napoli stai sicuro / che dopo un anno deve tornare) (Giuseppe Vettori, ''Canti sociali italiani di [[Roberto Leydi]]. Il folk italiano: canti e ballate popolari'', Newton Compton, 1976 p.468)</ref>
 
Le attese del popolo siciliano in contrasto con gli obiettivi della spedizione garibaldina sono testimoniati nel diario del garibaldino [[Giuseppe Cesare Abba|Cesare Abba]] dalla trascrizione del suo dialogo con frate Carmelo, che egli vorrebbe convincere ad unirsi all'impresa a cui ribatte il religioso:</br>
«- Verrei, se sapessi che farete qualche cosa di grande davvero: ma ho parlato con molti dei vostri, e non mi hanno saputo dir altro che volete unire l’Italia.<br />
- Certo; per farne un grande e solo popolo.<br />
- Un solo territorio...! In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice.<br />
- Felice! Il popolo avrà libertà e scuole.<br />
- E nient’altro! - interruppe il frate: - perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi: per noi qui no.<br />
- Dunque che ci vorrebbe per voi?<br />
- Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa... allora verrei [con voi]. Se io fossi Garibaldi, non mi troverei a quest'ora quasi ancora con voi soli.»<br />
- Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre dovunque sono case e campagne!<br />
- Anche contro di noi; anzi prima che contro d'ogni altro! Ma col Vangelo in mano e colla croce. Allora verrei. Così è troppo poco. Se io fossi Garibaldi, non mi troverei a quest'ora, quasi ancora con voi soli. <br />
- Ma le squadre?<br />
- E chi vi dice che non aspettino qualche cosa di più? -»<ref>[[s:Da Quarto al Volturno/Da Calatafimi a Palermo|''22 maggio. Ancora a Parco.'' in Giuseppe Cesare Abba, ''Da Quarto al Volturno. Notarelle di uno dei Mille'', Bologna 1952.]]</ref>
 
=== Critiche al processo di unificazione ===
{{Vedi anche|Revisionismo del Risorgimento}}
{{quote|Chi l'ha costruita sono stati politicanti e studiosi del Nord e del Sud, in nome dell'unità, del progresso, della rivoluzione, del Re, del Duce. Non tutti insieme, si capisce, né tutti con la medesima voce, ma un po' per volta, in armonica disarmonia. Gente magari in buona fede, ma che ignorava i fatti, quelli veri: oppure gente che voleva nascondere qualcosa, per diversissime ragioni spesso contrastanti. La ragione, o meglio il pretesto più comune e più facile era, anzi è l'unità d'Italia, alibi necessario che ogni sozzura copre con le sue grandi santissime ali. Il risultato? Oggi più che mai l'Italia è divisa in due parti, una tutta bianca, l'altra tutta nera. Di questo mito il tempo ha fatto un baluardo così roccioso e inattaccabile che il conformismo liberale, anche se a volte dubitoso ed erudito, non osa neppure scalfirlo.|[[Carlo Alianello]]<ref>Carlo Alianello, ''La conquista del Sud'', Rusconi, 1972, p.113</ref>}}
[[File:Nicola Napolitano.jpg|thumb|150px|Settembre [[1863]], un [[bersaglieri|bersagliere]] mostra il cadavere del "brigante" [[Nicola Napolitano]] dopo la fucilazione.]]
 
La critica storiografica al processo di unificazione italiana ha avuto inizio nella seconda metà dell'Ottocento da parte di coloro che avevano vissuto tale fenomeno. Fra questi si segnalano, oltre alla posizione critica di [[Giuseppe Mazzini]], che fu sempre fautore di una soluzione repubblicana, lo storico e nobile borbonico [[Giacinto de' Sivo]], con il suo libro ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861''; e [[Giuseppe Buttà]] e [[Ludovico Quandel]] rispettivamente cappellano militare e capitano nell'esercito del Regno delle Due Sicilie. La tesi centrale di questi autori, è quella secondo cui gli avvenimenti del periodo 1860-61 non sarebbero riconducibili a tensioni di tipo ideale, o alla volontà di unire l'Italia. Piuttosto, sarebbero l'esito di un accordo tra le principali potenze europee (Inghilterra e Francia) ed il Piemonte. Secondo tali autori, il Regno di Sardegna avrebbe avuto finalità meramente economiche e di espansione territoriale, ed avrebbe realizzato il disegno unitario attraverso una complessa manovra diplomatico-militare, includente la corruzione di alcuni alti quadri dell'esercito borbonico ed accordi con mafia e camorra, di cui la spedizione dei Mille sarebbe solo l'episodio maggiormente visibile.
 
Alla generazione successiva appartenne invece [[Gaetano Salvemini]] che a sua volta influenzò i nuovi studiosi.<ref>Emilio Gentile, ''Italiani Senza Padri. Intervista sul Risorgimento'' (a cura di Simonetta Fiori), Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 120, ISBN 978-88-420-9499-9</ref> Fra questi ultimi vi fu, secondo [[Piero Gobetti]], anche [[Antonio Gramsci]].<ref>>[[Piero Gobetti]], ''La Rivoluzione Liberale'', Torino, Einaudi, 1995, p. 110, ISBN 88-06-13642-9</ref> Salvemini, di orientamento socialista-riformista ma aperto al liberalismo, vide nel Risorgimento un processo storico che ebbe il merito di riscattare l'Italia dalla dominazione straniera e dai vecchi regimi assolutistici. La riunificazione del Paese non era avvenuta tuttavia su basi federali, come sarebbe stato auspicabile bensì centraliste e fu opera di una minoranza borghese che subito escluse le masse popolari dalla partecipazione alla vita pubblica (mediante un sistema elettorale a suffragio ristretto), mettendo in atto una politica economica e sociale che ne causò l'impoverimento.<ref>Rosario Villari, ''Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale'', Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 398-402</ref> Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento si sviluppò anche una storiografia critica di matrice cattolica e un'altra di orientamento marxista. Quest'ultima ebbe il suo riferimento principale nei ''Quaderni dal Carcere'' di Antonio Gramsci, che, sebbene scritti negli anni trenta del secolo passato, furono pubblicati soltanto fra il [[1948]] e il [[1951]]. Il pensatore e politico sardo vide il Risorgimento come una rivoluzione agraria mancata<ref>Emilio Gentile, ''op. cit.'', p. 107</ref> e l'unificazione come consolidamento della supremazia delle classi dominanti italiane, di estrazione prevalentemente borghese, sulle masse popolari. Anche per il liberale Piero Gobetti il processo storico risorgimentale fu una rivoluzione mancata, in quanto l'unificazione d'Italia avvenne «...per opera del dispotismo...», anche se «...fu gran ventura per un popolo...che si trovasse a guidarlo Cavour, il Cattaneo della diplomazia che seppe evitare l'isterilirsi della rivoluzione in una tirannide.».<ref>Piero Gobetti, ''op. cit.'', p. 22</ref> Da tale rivoluzione rimasero esclusi gli starti sociali più bassi: le classi medie «...avevano infatti conquistato il governo senza instaurare rapporti di comunicazione con le altre classi...».<ref>[[Piero Gobetti]], ''op. cit''., p. 25</ref>.
 
Nel secondo dopoguerra alcuni esponenti del mondo accademico italiano e straniero, nonché un certo numero di saggisti, riprendendo alcune formulazioni di Gramsci e Salvemini (fra cui quelle relative al Mezzogiorno come mercato semicoloniale<ref>Ci fu consonanza fra Salvemini e Gramsci, nel ritenere il Mezzogiorno mercato semicoloniale. Cfr. quanto scrive a tale proposito [[Corrado Vivanti]] in: Antonio Gramsci, ''Quaderno 19. Risorgimento Italiano'' (con introduzione e note di Corrado Vivanti), Torino, Einaudi, 1977, p. 174 </ref>), interpretarono il processo di unificazione attuato nei confronti degli stati preunitari come un'operazione militare di colonizzazione,<ref>[[Carlo Alianello]] con ''La conquista del sud'' e [[Nicola Zitara]] con ''L'Unità d'Italia, nascita di una colonia''.</ref> in particolar modo nei confronti del [[Regno delle Due Sicilie]], Stato pienamente indipendente al pari del Regno di Sardegna<ref>Gilles Pécout, infatti, distingue gli stati preunitari in tre tipologie: stati indipendenti (Due Sicilie, Regno sardo-piemontese, Stato Pontificio, San Marino), possedimenti austriaci (Lombardo-Veneto) e stati solo apparentemente autonomi, ma indirettamente controllati dall'Austria (Toscana e ducati emiliani). Gilles Pécout, ''[http://books.google.it/books?id=S1Gf95fGYysC&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false Il lungo Risorgimento]'', Mondadori, 1999, p.73.</ref>. Tra gli esponenti di maggior rilievo del revisionismo risorgimentale è possibile citare, oltre a personalità del mondo accademico come [[Denis Mack Smith]], [[Christopher Duggan]], [[Martin Clark]], [[Eugenio Di Rienzo]] e [[Tommaso Pedio]] il romanziere e sceneggiatore televisivo [[Carlo Alianello]] e i saggisti [[Nicola Zitara]], [[Gigi Di Fiore]] e [[Lorenzo Del Boca]].
 
Secondo le tesi di questi revisionisti, il regno sardo, con l'appoggio di potenze straniere come [[Francia]] e [[Gran Bretagna]], invase i regni della penisola senza [[dichiarazione di guerra]];<ref>[[Gigi Di Fiore]], ''Controstoria dell'unità d'Italia'', BUR, 2007, p. 70</ref><ref>[[Giacinto De Sivo]], ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861'', Edizioni Trabant, 2009, p. 331.</ref> e i moti insurrezionali non furono animati spontaneamente dal popolo ma da agenti inviati dal regno sabaudo.<ref>Filippo Curletti, ''La verità sugli uomini e sulle cose del Regno d'Italia'', a cura di Elena Bianchini Braglia, Tabula Fati, Chieti, 2005, p.35</ref> Accuse sono state, inoltre, rivolte dai revisionisti alla conduzione dei plebisciti, che sono descritti come avvenuti in maniera illegale<ref>{{cita web |cognome= Pellicciari |nome= Angela |wkautore= Angela Pellicciari |url= http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=771 |opera= Libertà e persona |titolo=La farsa dei plebisciti |accesso= 19 gennaio 2011}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= [[Firenze]] |id= ISBN 88-383-1828-X |pagine= pag. 251 |cid= Roberto Martucci}}</ref> e sulla [[spedizione dei Mille]], che avrebbe raggiunto il suo obiettivo con ingenti finanziamenti dall'Inghilterra e dalle logge massoniche,<ref>{{cita news|url=http://www.ilportaledelsud.org/alianello.htm|pubblicazione= Brigantino - il Portale del Sud|titolo= La conquista del Sud|autore= [[Carlo Alianello]]|accesso=25 giugno 2010}}</ref> oltre al supporto delle mafie<ref>Gigi Di Fiore, ''Potere camorrista: quattro secoli di malanapoli'', Napoli, 1993, p. 63.</ref> e degli ufficiali borbonici corrotti.<ref>[[Lorenzo Del Boca]], ''Maledetti Savoia!'', Piemme, 1998, p. 61.</ref>
 
Alcuni sovrani dei regni preunitari, come [[Francesco V di Modena]]<ref>«Consci dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini di non aver mai fornito alcun legittimo pretesto al Governo sardo di ammettere per parte sua una così fatta considerazione, dopo averla considerata ingiusta, dobbiamo anche considerarla contraria ad ogni analoga consuetudine internazionale.» (Francesco V di Modena). Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.69.</ref> e [[Francesco II di Borbone]],<ref>«Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei Stati, nonostante ch'io fossi in pace con tutte le potenze europee.» (Francesco II di Borbone). Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.135.</ref> lamentarono l'assenza di un legittimo pretesto nelle annessioni condotte dal Regno di Sardegna. Nella nascita del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]], i revisionisti individuano l'origine di alcuni fenomeni delicati come il [[brigantaggio postunitario]], la [[questione meridionale]] e l'[[emigrazione]]. Il brigantaggio postunitario, rivalutato dai controstorici come un movimento di [[Resistenza (politica)|resistenza]],<ref>[[Massimo Viglione]], [[Francesco Mario Agnoli]], ''La rivoluzione italiana: storia critica del Risorgimento'', Il minotauro, 2001, p.164</ref> fu represso dal regio governo con metodi brutali, tanto da suscitare polemiche anche da parte di alcuni esponenti della classe liberale (come [[Giuseppe Ferrari]],<ref>«Si è introdotto il nuovo diritto, sul quale le dichiarazioni del ministero non hanno lasciato alcun dubbio; il diritto, dico, di fucilare un uomo preso con le armi in mano. Questa si chiama guerra di barbari, guerra senza quartiere. Ed all'interno, come si chiama? Dateci voi un nome, io non so darlo. E se il vostro senso morale non vi dice che camminate nel sangue, io non so come spiegarmi» (Giuseppe Ferrari). Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.226.</ref> [[Giovanni Nicotera]]<ref>«I Proclami di [[Enrico Cialdini|Cialdini]] e degli altri Capi sono degni di Tamerlano, di Gengiskhan, o piuttosto di Attila.» (Giovanni Nicotera). Citato in Teodoro Salzillo, ''[http://books.google.it/books?id=dd0YAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=Roma+e+le+menzogne+parlamentari&hl=it&ei=NAcSTYOWDIadOv7V7YAJ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCkQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false Roma e le menzogne parlamentari]'', Malta, 1863, p.34.</ref> e [[Nino Bixio]])<ref>«Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'italia un sistema di sangue. E il Governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministero Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema» (Nino Bixio). Citato in Giovanni De Matteo, ''Brigantaggio e Risorgimento'', Guida Editore, 2000, p. 263.</ref> e politici di diversi stati europei,<ref>Tra i politici europei che espressero critiche nei confronti dei provvedimenti contro il brigantaggio vi furono lo scozzese McGuire, il francese Gemeau e lo spagnolo Nocedal. Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.244-245.</ref> compreso [[Napoleone III]], il quale dichiarò che "''Les Bourbons n'ont jamais fait autant''" (i Borbone non hanno mai fatto tanto).<ref>Alfredo Capone, ''La crisi di fine secolo e l'età giolittiana, Volume 2'', UTET, 1981, p.53</ref>
 
Particolarmente duro fu poi il trattamento riservato ai militari al servizio del Regno delle Due Sicilie e dello [[Stato Pontificio]], che furono deportati in diverse roccaforti piemontesi, ad esempio nel [[forte di Fenestrelle]], dove la gran parte di loro morì per la fame, gli stenti e le malattie.<ref>{{cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/05/neoborbonici-all-assalto-di-fenestrelle-in-quel.html|titolo= Neoborbonici all'assalto di Fenestrelle 'In quel forte ventimila soldati morti'|accesso=29 luglio 2010}}</ref>
 
Gli aderenti a questa interpretazione lamentano le scarse attenzioni del governo italiano dell'epoca, soprattutto nei confronti del meridione, una protesta che iniziò già con la corrente [[meridionalismo|meridionalista]]. Essi ritengono che la politica poco attenta alle necessità delle masse sarebbe stata la causa di una forte ondata migratoria, che interessò, maggiormente, prima il settentrione (in particolare il [[Veneto]])<ref>{{cita news|url=http://www.speakers-corner.it/rizzoli/stella/numeri/emi1.spm|pubblicazione=www.speakers-corner.it|autore=[[Gian Antonio Stella]]|titolo=Espatri dalle regioni italiane 1876 - 1900|accesso=7 ottobre 2010}}</ref> e poi il meridione, in cui si sostiene il fenomeno fosse assente durante il governo borbonico.<ref>Massimo Viglione, Francesco Mario Agnoli, ''La rivoluzione italiana:storia critica del Risorgimento'', Roma, 2001, p. 98</ref> Come le tesi sostenute dai meridionalisti, la scuola revisionista vede nella fase postunitaria una crisi irreversibile del sud, che sarebbe stato penalizzato per favorire lo sviluppo economico e industriale del nord. Secondo tale corrente di pensiero, il meridione subì l'aumento e l'introduzione di nuove tasse,<ref>"La riunificazione del debito pubblico (quello più consistente del Piemonte assorbiva quello inferiore delle Due Sicilie) portò all'estensione delle tasse sarde nelle nuove provincie. Fu un trauma per il sud, abituato a sole cinque imposte applicate nel Regno Borbonico. C'erano anche le imposte sulle successioni e le donazioni, sull'assistenza sanitaria, le pensioni, i mutui, sconosciute al sud." Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.185</ref> licenziamenti di impiegati e operai,<ref>"Cominciò lo stillicidio dei licenziamenti di impiegati ed operai alla Stamperia Nazionale, alla Zecca, al Lotto, all'Arsenale, ai cantieri navali di Castellammare." Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.186</ref> e la progressiva chiusura di alcune industrie.<ref>"Nel [[1864]], [[Nino Bixio|Bixio]] presentò alla Camera il progetto di chiusura del [[Cantiere navale di Castellammare di Stabia|cantiere di Castellammare]] e dell’[[Arsenale di Napoli]], cui fecero seguito licenziamenti e accesi scontri d’opinione. In quegli anni, la stessa sorte toccò alle [[Pietrarsa|Officine Ferroviarie di Pietrarsa]], che furono declassate a «Officina Grandi Riparazioni», ed alla [[Fonderia Ferdinandea|Fonderia]] e [[Fabbrica d'armi di Mongiana]], che fu ceduta all’ex garibaldino Achille Fazzari, e poi chiusa definitivamente nel [[1872]]". [[Nicola Zitara]], ''L'unità truffaldina'', p.62.</ref>
 
=== Il "popolarismo" risorgimentale ===
{{vedi anche|Guerra regia e guerra di popolo}}
[[File:Donghi 5 giornate 1848.jpg|thumb|right|300px|Il popolo italiano nelle cinque giornate di Milano]]
Il popolo, che alcuni storici considerano assente dalla storia che si faceva, era ben presente nella storia che si scriveva. Giornali quotidiani, manifesti, volantini, non fanno che appellarsi al popolo e a chiamarlo ad attivarsi e a condividere gli ideali nazionali.
Il popolo nelle aree più depresse della penisola, ove il sistema scolastico non era sviluppato, nella maggioranza non sa leggere e quando trova incollati sui muri i proclami e gli appelli ha bisogno della mediazione degli intellettuali.<ref>«I giornali quotidiani e periodici sono numerosissimi in tutto l'arco delle vicende risorgimentali...Il giornalismo politico è una delle nuove e primarie articolazioni storiche del ruolo politico dell'intellettuale: dove per intellettuale intendiamo...anche il notaio, il prete, l'avvocato, il professore...Anche qui le classi subalterne abbisognano d'una ulteriore mediazione - qualche intellettuale locale, prete, maestro...: tutti "borghesi" - se vuole accedere al contenuto del messaggio» (M.Isnenghi, op.cit.)</ref>
 
Non si tratta poi semplicemente di ignoranza e [[analfabetismo]] che fanno sì che la classe dirigente alla fine parli a se stessa, ma anche il fatto che la circolazione delle idee è ancora difficile nell'Italia preunitaria priva quasi di strutture di comunicazione e dove le polizie sono state addestrate a impedire che tra le masse e gli intellettuali si realizzi il contagio politico.
 
Ed infine, ultimo grande ostacolo alla comunicazione tra intellettuali e popolo, è la [[linguaggio|non coincidenza di codice]] tra coloro che porgono il messaggio e quelli che lo ricevono:
{{Quote|"Libertà! Indipendenza!", reclamano entusiasti gli insorti e i volontari delle varie correnti risorgimentali. "Polenta! Polenta!" ribattono cocciuti e sordi i contadini descritti dal [[Ippolito Nievo|Nievo]] ne[l romanzo] ''[[Le confessioni d'un italiano]]''<ref>M. Isnenghi, ''op.cit.''</ref>}}
 
==== Il Risorgimento come moto nazional-popolare ====
{{MultiCol}}
{{quote|Dagli atri muscosi dai fori cadenti,<br />dai boschi, dall'arse fucine stridenti,<br />dai solchi bagnati di servo sudor,<br />un volgo disperso repente si desta;<br />intende l'orecchio, solleva la testa<br />percosso da novo crescente rumor.|[[Alessandro Manzoni]], ''[[Adelchi]]''}}
{{ColBreak}}
{{quote|Noi siamo da secoli<br />Calpesti, derisi<br />Perché non siam Popolo<br />Perché siam divisi|[[Goffredo Mameli]], ''[[Canto degli Italiani]]''}}
{{EndMultiCol}}
Una storiografia sviluppatasi già all'indomani della raggiunta unità d'Italia con gli storici N.Bianchi e C.Tivaroni<ref>Cesare Giardini, (a cura di) ''Il Risorgimento italiano 1796-1861. Dalle opere di V.Cuoco. P.Colletta. Stendhal. C.Balbo. G.Mazzini. G.Garibaldi. C.Tivaroni. H.Bolton King. G.Carducci. E.Di Treitschke. B.Croce. P.Silva. A.Omodeo. L.Salvatorelli. F.Quintavalle. A.Panzini.M.Paléologue.'' Verona, 1958, Mondadori</ref> presenta il movimento risorgimentale come il risultato realizzatosi quasi in modo [[provvidenza|provvidenziale]] tramite l'incontro tra i democratici, il popolo, i moderati e i politici liberali, avvenuto con la mediazione della monarchia sabauda.<ref>Desideri Antonio-Mario Themelly , ''Storia e storiografia'', Vol.2 - Editrice d'Anna, Roma-Firenze 1999 p.813</ref>
 
All'indomani dell'unità nazionale la classe dirigente presenta ciò che era accaduto come il risultato di una spinta popolare e questo si vuole che sia insegnato nelle scuole del Regno: cosicché varie generazioni di italiani hanno imparato il Risorgimento come avrebbe dovuto essere invece che com'è stato.
Secondo Isnenghi si trattò del tentativo, sentito come essenziale, di costruire a posteriori una base storica comune a un popolo sino allora in parte assente. Gli intellettuali cercavano un collegamento con le classi subalterne tentando di persuaderle che l'unità italiana era stata il frutto della volontà del popolo guidato dalle "elites" risorgimentali e creando il mito di una [[nazionalità|coscienza nazionale italiana]] esistita nei secoli passati e finalmente realizzatasi.<ref>«Il processo di unificazione politica della penisola come il frutto di una possente e unanimistica spinta di popolo è un mito postumo...un tentativo dei ceti colti di operare finalmente una sutura con i ceti subalterni, imponendo loro la propria egemonia politica»(da Mario Isnenghi, ''L'unità italiana, in AA.VV., Tesi, antitesi. romanticismo-futurismo'', G. D'Anna, Messina-Firenze, 1974 pag.810)</ref>
 
In contrasto con questa visione provvidenzialistica già [[Alfredo Oriani|Oriani]] nel [[1892]]<ref>''La lotta politica in Italia. Origini della lotta attuale (476-1887)'', Firenze, Libreria della Voce, 1913</ref> e [[Benedetto Croce|Croce]]<ref>Adolfo Omodeo, ''Storia del risorgimento italiano. Nona edizione riveduta con profilo di Benedetto Croce'', Napoli, ESI, 1965</ref> mettevano in rilievo come l'unità d'Italia si fosse raggiunta con una conquista regia risultato di un compromesso tra la monarchia sabauda, troppo debole per unificare il paese da sola, e un movimento democratico, altrettanto debole per poter fare una rivoluzione popolare, cosicché l'Italia postunitaria difettava nelle sue strutture democratiche e non avrebbe mai potuto assolvere al ruolo che pretendeva di grande potenza europea.
 
Gli storici del periodo [[fascismo|fascista]] come [[Gioacchino Volpe]] ([[1927]])<ref>Gioacchino Volpe, ''Italia moderna (1815 – 1915)'', I, Sansoni, Firenze 1943</ref> ripresero invece la teoria postrisorgimentale che giudicava positivamente la visione di un Risorgimento come risultato di una guerra dinastica poiché questa era stata la necessaria premessa dell'avvento del fascismo che, dopo la felice conclusione della "quarta guerra d'indipendenza", ossia la [[prima guerra mondiale]], aveva realizzato i già delineati destini del popolo italiano che il movimento fascista aveva fatto protagonista di quella rivoluzione popolare prima fallita.
 
[[Adolfo Omodeo|Omodeo]] ([[1926]]) riprese in parte la visione del Risorgimento come il risultato di una positiva e feconda azione messa in atto da una minoranza [[liberalismo|liberale]] che era stata però sopraffatta dall'avvento del fascismo.
Tesi condivisa in parte da Croce ([[1928]]) che giudicava positivamente il periodo della politica liberale che aveva portato all'unità nazionale e che aveva governato saggiamente nel periodo postunitario fino a quando non si era manifestata quella "malattia morale" del fascismo, destinata comunque ad essere sanata dal liberalismo.
 
== Il Risorgimento come tentativo di Riforma religiosa in Italia ==
{{vedi anche|Chiesa Libera Evangelica Italiana|Alessandro Gavazzi}}
La [[Chiesa libera evangelica italiana]] (o "Chiesa cristiana libera", o semplicemente "Chiesa libera"), fu un tentativo ottocentesco di creare una chiesa protestante interamente italiana sulla scia ideale del Risorgimento politico su istanze prevalentemente [[anticlericalismo|anticlericali]] e [[Giuseppe Garibaldi|garibaldine]]. Fra i suoi promotori principali vi fu l'ex sacerdote cattolico barnabita [[Alessandro Gavazzi]] ([[1809]]-[[1889]]). Viene costituita nel [[1850]] a [[Londra]] fra esuli italiani.<ref>Cfr. Giorgio Spini, ''Risorgimento e protestanti'', Il Saggiatore, Milano, 1989 - Claudiana, Torino 2008</ref>
 
== Le città benemerite del Risorgimento nazionale ==
{{Vedi anche|Città decorate di medaglia d'oro come "benemerite del Risorgimento nazionale"}}
Ventisette città italiane sono state insignite di questo titolo durante il [[Regno d'Italia]] per «''le azioni altamente patriottiche compiute dalle città italiane nel periodo del Risorgimento nazionale''».
 
== Mappe dell'unificazione italiana ==
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<gallery widths="150px" heights="200px" perrow="5">
File:Map of Italy (1494)-it.svg|Mappa dell'Italia nel [[1494]]
File:Italia 1796.png|Mappa dell'Italia nel [[1796]]
File:Italia 1810.jpg|Mappa dell'Italia nel [[1810]]
File:Italia 1843.svg|Mappa dell'Italia nel [[1843]]
File:Italien 1905.png|Mappa dell'Italia dopo la [[Terza guerra di indipendenza]]
File:Kingdom of Italy 1919 map.svg|Mappa dell'Italia dopo la [[Quarta guerra di indipendenza]]
</gallery>
</center>
 
== Note ==
{{<references|2}}/>
 
== Bibliografia ==
* [[Giuseppe Cesare Abba]], ''Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille'', Bologna, Zanichelli, 1880; 1891.
* [[Harold Acton]], ''Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)'', Milano, A. Martello, 1962.
* [[Pino Aprile]], [[Terroni (libro)|''Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero «meridionali»]], [[Edizioni Piemme]], 2010. ISBN 978-88-566-1273-8.
* [[Girolamo Arnaldi]], ''L'Italia e i suoi invasori'', Roma-Bari, Laterza, 2002. ISBN 88-420-6753-9
* [[Alberto Mario Banti]], ''La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita'', Torino, Einaudi, 2000. ISBN 88-06-15276-9
* Alberto Mario Banti, ''Il Risorgimento italiano'', Roma-Bari, Laterza, 2004. ISBN 88-420-7174-9
* [[Derek Beales]] e [[Eugenio Federico Biagini]], ''Il Risorgimento e l'unificazione d'Italia'', Bologna, Il Mulino, 2005. ISBN 88-15-09856-9 (ed. originale ''The Risorgimento and the Unification of Italy, II ed., Londra, Longman, Pearson Education Limited, 2002)
* [[Cristina Belgioioso]], ''La rivoluzione lombarda del 1848'', Milano, Universale economica, 1949.
* [[Fabio Bertini]], ''La democrazia europea e il laboratorio risorgimentale italiano'', Firenze, FUP, 2007.
* [[Giuseppe Brienza]], ''Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani'', Chieti, Solfanelli, 2009. ISBN 978-88-89756-86-7
* [[Giorgio Candeloro]], ''Storia dell'Italia moderna'', I, II, III, IV, Milano, Feltrinelli, 1956-1964.
* P. Cappellari, ''Una Patria, una Nazione, un Popolo. Il Risorgimento italiano dai moti per l'Unità alla Repubblica Sociale 1831-1945'', Herald Editore, Roma 2011
* [[Franco Catalano]], ''Stato e società nei secoli'', III, ''L'età contemporanea'', Messina-Firenze, D'Anna, 1966.
* [[Umberto Cerroni]], ''L'identità civile degli italiani'', Lecce, Piero Manni, 1996; 1997.
* [[Lorenzo Del Boca]], ''Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento'', Casale Monferrato, Piemme, 2003. ISBN 88-384-7040-5.
* [[Renzo Del Carria]], ''Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950'', I, ''Dalle insurrezioni in Sicilia alla crisi del partito operaio. 1860-1892'', Milano, Oriente, 1966.
* [[Franco Della Peruta]], ''Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento'', Milano, Angeli, 1989. ISBN 88-204-3562-4
* Franco Della Peruta, ''L'Italia del Risorgimento. Problemi, momenti e figure'', Milano, Angeli, 1997. ISBN 88-464-0349-5
* [[Hercule De Sauclières]], ''Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud. Intrighi, crimini e menzogne dei piemontesi'', Napoli, Controcorrente, 2003. ISBN 88-89015-03-9
* [[Gigi Di Fiore]], ''I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatte per i Borbone di Napoli'', Torino, UTET, 2004. ISBN 88-7750-861-2
* Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento '', Milano, Rizzoli, 2007 ISBN 978-88-17-01846-3.
* [[Carlo Ghisalberti]], ''Istituzioni e società civile nell'età del Risorgimento'', Roma-Bari, Laterza, 2005. ISBN 88-420-7704-6
* [[Antonio Gramsci]], ''Il Risorgimento'', Torino, Einuadi, 1949.
* [[Mario Isnenghi]], ''L'unità italiana'' in AA.VV., ''Tesi antitesi. Argomenti e testi di letteratura e storia per le scuole medie superiori'', ''Romanticismo-futurismo'', Messina-Firenze, D'Anna, 1976.
* [[Gerlando Lentini]], ''La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti'', Rimini, Il Cerchio, 1999. ISBN 88-86583-64-8
* [[Denis Mack Smith]], ''Il Risorgimento italiano. Storia e testi'', Roma-Bari, Laterza, 1968; 1999. ISBN 88-420-5853-X
* [[Antonio Nicoletta]], ''"E furon detti Briganti...". Mito e realtà della "Conquista del Sud"'', Rimini, Il Cerchio, 2001. ISBN 88-8474-000-2
* [[Angela Pellicciari]], ''Risorgimento anticattolico'', Milano, Piemme, 2004. ISBN 88-384-8419-8
* [[Lucy Riall]], ''Il Risorgimento. Storia e interpretazioni'', Roma, Donzelli, 1997. ISBN 88-7989-320-3; 2007. ISBN 978-88-6036-181-3
* [[Rosario Romeo]], ''Risorgimento e capitalismo'', Roma-Bari, Laterza, 1959.
* [[Alfonso Scirocco]], ''Storia d'Italia dall'unità alla Repubblica'', I, ''L'Italia del Risorgimento. 1800-1860'', Bologna, Il Mulino, 1990. ISBN 88-15-02769-6; poi ''L'Italia del Risorgimento. 1800-1871'', 1993. ISBN 88-15-04117-6
* Alfonso Scirocco, ''In difesa del Risorgimento'', Bologna, Il Mulino, 1998. ISBN 88-15-06717-5
* [[Emilio Sereni]], ''Il capitalismo nelle campagne (1860-1900)'', Torino, Einaudi, 1957.
* [[Aldo Servidio]], ''L'imbroglio nazionale. Unità e unificazione dell'Italia (1860-2000)'', Napoli, Guida, 2002. ISBN 88-7188-489-2.
* [[Christopher Seton-Watson]], ''L'Italia dal liberalismo al fascismo, 1870-1925'', Roma-Bari, Laterza, 1973.
* [[Marcello Sorce Keller]], ''L'Italia in musica. Ricostruzione ad ampi squarci (e un po' temeraria) di un'identità problematica'', in "Musica/Realtà", n. 89, Luglio 2009, pp. 115–130.
* [[Stuart J. Woolf]], ''Il risorgimento italiano'', 2 voll., Torino, Einaudi, 1981.
* Arnaldo Mauri, ''L'oltre Adriatico, un obiettivo mancato nel processo di unificazione nazionale: cause ed effetti economici e politici'', Università degli Studi di Milano, DEAS, Working Paper 2011/09, maggio 2011.
* Carlo Ghisalberti, ''Adriatico e confine orientale dal Risorgimento alla Repubblica'', Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2008.
* [[Antonello Battaglia]], ''Il Risorgimento sul mare. La campagna navale del 1860-1861'', Nuova Cultura, Roma, 2012. ISBN 978-88-6134-799-1 DOI 10.7348/battagliaanto01
* ''Il racconto del Risorgimento nell'Italia nuova: tra memorialismo, narrativa e drammaturgia'', a cura di Toni Iermano e Pasquale Sabbatino, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012.ISBN 978-88-495-2326-3.
 
== Filmografia ==
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* ''[[La presa di Roma]]'', regia di [[Filoteo Alberini]] ([[1905]])
* ''[[Anita Garibaldi (film)|Anita Garibaldi]]'', regia di [[Mario Caserini]] ([[1910]])
* ''[[Anita o il romanzo d'amore dell'eroe dei due mondi - Garibaldi o l'eroe dei due mondi]]'', regia di [[Aldo De Benedetti]] ([[1927]])
* ''[[1860 (film)|1860]]'', regia di [[Alessandro Blasetti]] ([[1934]])
* ''[[Piccolo mondo antico (film 1941)|Piccolo mondo antico]]'', regia di [[Mario Soldati]] ([[1941]])
* ''[[Un garibaldino al convento]]'', regia di [[Vittorio De Sica]] ([[1942]])
* ''[[Camicie rosse (film)|Camicie rosse]]'', regia di [[Goffredo Alessandrini]] - [[Francesco Rosi]] ([[1952]])
* ''[[Il tenente Giorgio]]'', regia di [[Raffaello Matarazzo]] ([[1952]])
* ''[[Il brigante di Tacca del Lupo]]'', regia di [[Pietro Germi]] ([[1952]])
* ''[[Eran trecento]]'', regia di [[Gian Paolo Callegari]] ([[1952]])
* ''[[Giuseppe Verdi (film 1953)|Giuseppe Verdi]]'', regia di [[Raffaello Matarazzo]] ([[1953]])
* ''[[Senso (film)|Senso]], regia di [[Luchino Visconti]]'' ([[1954]])
* ''[[Cento anni d'amore]]'' ''(episodio Garibaldina)'', regia di [[Lionello De Felice]] ([[1954]])
* ''[[La pattuglia sperduta (film 1954)|La pattuglia sperduta]]'', regia di [[Piero Nelli]] ([[1954]])
* ''[[Viva l'Italia!]]'', regia di [[Roberto Rossellini]] ([[1961]])
* ''[[Vanina Vanini]]'', regia di [[Roberto Rossellini]] ([[1961]])
* ''[[I briganti italiani]]'', regia di [[Mario Camerini]] ([[1961]])
* ''[[Il Gattopardo (film)|Il Gattopardo]]'', regia di [[Luchino Visconti]] ([[1963]])
* ''[[I figli del leopardo]]'', regia di [[Sergio Corbucci]] ([[1965]])
* ''[[Nell'anno del Signore]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1969]])
* ''[[Franco e Ciccio sul sentiero di guerra]]'', regia di [[Aldo Grimaldi]] ([[1969]])
* ''[[Correva l'anno di grazia 1870]]'', regia di [[Alfredo Giannetti]] ([[1972]])
* ''[[Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato]]'', regia di [[Florestano Vancini]] ([[1972]])
* ''[[San Michele aveva un gallo]]'', regia di [[Paolo e Vittorio Taviani]] ([[1972]])
* ''[[Le cinque giornate]]'', regia di [[Dario Argento]] ([[1973]])
* ''[[Allonsanfan]]'', regia di [[Paolo e Vittorio Taviani]] ([[1974]])
* ''[[Quanto è bello lu murire acciso]]'', regia di [[Ennio Lorenzini]] ([[1975]])
* ''[[In nome del Papa Re]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1977]])
* ''[[L'eredità della priora]]'', regia di [[Anton Giulio Majano]] ([[1980]])
* ''[[Arrivano i bersaglieri]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1980]])
* ''[[Il generale (sceneggiato)|Il generale]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1987]])
* ''[['o Re]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1989]])
* ''[[In nome del popolo sovrano]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[1990]])
* ''[[Briganti - Amore e libertà]]'', regia di [[Marco Modugno]] ([[1993]])
* ''[[L'eroe dei due mondi]]'', regia di [[Guido Manuli]] ([[1994]])
* ''[[L'ussaro sul tetto]]'', regia di [[Jean-Paul Rappeneau]] ([[1995]])
* ''[[Li chiamarono... briganti!]]'', regia di [[Pasquale Squitieri]] ([[1999]])
* ''[[La carbonara]]'', regia di [[Luigi Magni]] ([[2000]])
* ''[[Il resto di niente (film)|Il resto di niente]]'', regia di [[Antonietta De Lillo]] ([[2004]])
* '' [[I Vicerè (film)|I Vicerè]]'', regia di [[Roberto Faenza]] ([[2007]])
* ''[[Noi credevamo]]'', regia di [[Mario Martone]] ([[2010]])
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== Voci correlate ==
* [[Storia d'Italia]]
* [[Stati italiani preunitari]]
* [[Liberalismo]]
* [[Città libere di Mentone e Roccabruna]]
* [[Guerre di indipendenza italiane]]
* [[Spedizione dei Mille]]
* [[Vespri nizzardi]]
* [[Revisionismo del Risorgimento]]
* [[Cronologia del Risorgimento]]
* [[Irredentismo italiano]]
 
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* [http://www.risorgimento.it/php/index.php Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano]
* [http://www.italia150.rai.it Sito Rai per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia]
* [http://www.centrostudicivitanovesi.it/150dellUnitadItalia.htm Centro Studi Civitanovesi: 150º anniversario dell'Unità d'Italia.]
* [http://www.miol.it/stagniweb/foto6.asp?File=mappe_va&Tipo=index&Righe=50&Col=4 Mappe dell'Italia Risorgimentale]
* [http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/italia-150/unita-d-italia-e-unificazione-linguistica-nascita-e-diffusione-dell-italiano.html Unità d'Italia e Unificazione Linguistica]
* [http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/italia-150/unita-d-italia-camillo-benso-conte-di-cavour-e-la-sua-strategia-diplomatica.html Unità d'Italia: Camillo Benso Conte di Cavour e la sua strategia diplomatica]
* [http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/italia-150/unita-d-italia-giuseppe-garibaldi-eroe-dei-due-mondi.html Unità d'Italia: Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi]
* [[Dipartimento della Gioventù]]: [http://gioventuribelle.it Sito dedicato ai personaggi del Risorgimento.]
* [http://www.ariannascuola.eu/ilfilodiarianna/it/ilfilodiarianna/it/storia/i-fatti-della-storia/dal-1848-al-1870/in-italia/343-le-dinamiche-dell-unificazione-italiana-mappa-concettuale Mappa concettuale dell'unificazione italiana]
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