Ferdinando II delle Due Sicilie e Wikipedia:Pagine da cancellare/Conta/2019 maggio 2: differenze tra le pagine

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|nome completo = Ferdinando Carlo Maria
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|data di nascita = [[12 gennaio]] [[1810]]
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|luogo di nascita = [[Palermo]]
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|data di morte = [[22 maggio]] [[1859]]
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|luogo di morte = [[Caserta]]
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|luogo di sepoltura = [[Napoli]]
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|data di sepoltura =
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|sepoltura = [[Basilica di Santa Chiara (Napoli)]]
|predecessore = [[Francesco I delle Due Sicilie]]
|successore = [[Francesco II delle Due Sicilie]]
|coniuge 1 = [[Maria Cristina di Savoia]]
|coniuge 2 = [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa d'Asburgo-Teschen]]
|figli =
|casa reale = [[Borbone-Due Sicilie]]
|padre = [[Francesco I delle Due Sicilie]]
|madre = [[Maria Isabella di Borbone-Spagna]]
}}
{{Bio
|Nome = Ferdinando Carlo Maria di Borbone
|Cognome =
|ForzaOrdinamento = Ferdinando 02 delle Due Sicilie
|Sesso = M
|LuogoNascita = Palermo
|GiornoMeseNascita = 12 gennaio
|AnnoNascita = 1810
|LuogoMorte = Caserta
|GiornoMeseMorte = 22 maggio
|AnnoMorte = 1859
|Categorie = no
|FineIncipit = fu re del [[Regno delle Due Sicilie]] dall'[[8 novembre]] [[1830]] al [[22 maggio]] [[1859]].
 
Fu l'ultimo celebre sovrano del Regno e dopo il suo governo quasi trentennale dello stato meridionale, toccò a suo figlio [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco]] affrontare la crisi portata dalla [[Spedizione dei Mille|spedizione garibaldina]] che la scarsa esperienza e preparazione di quest'ultimo portarono a gestire con scarsa lucidità e capacità, causando - insieme ad altre questioni compresa la più difficile sui sospetti di corruzione cui avrebbero ceduto i militari borbonici - la dissoluzione del [[Regno delle Due Sicilie]]
}}
 
== Biografia ==
=== Primi anni ===
[[File:Famiglia di Francesco I.jpg|thumb|left|La famiglia di Francesco I delle Due Sicilie. Da sinistra a destra: Maria Isabella di Borbone-Spagna (seconda moglie di Francesco I), Maria Carolina Ferdinanda, Maria Antonietta granduchessa di Toscana, Luisa Carlotta, Maria Cristina regina di Spagna, Ferdinando II, Maria Amalia, Francesco I, Carlo principe di Capua e Leopoldo conte di Siracusa.]]
Ferdinando di Borbone nacque a [[Palermo]] il [[12 gennaio]] [[1810]], primogenito di [[Francesco I delle Due Sicilie]] e della sua seconda moglie, [[Maria Isabella di Borbone-Spagna]]. I suoi nonni paterni erano [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]], figlio di [[Carlo III di Spagna]] e di [[Maria Amalia di Sassonia]], e l'arciduchessa [[Maria Carolina d'Asburgo-Lorena]], figlia degli imperatori [[Francesco I del Sacro Romano Impero]] e [[Maria Teresa d'Austria]], nonché sorella della regina di Francia [[Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena|Maria Antonietta]]. I suoi nonni materni, invece, erano [[Carlo IV di Spagna]], anch'egli figlio di Carlo III e di Maria Amalia, e [[Maria Luisa di Borbone-Parma]], figlia di [[Filippo I di Parma]] e di [[Elisabetta di Borbone-Francia]]. Nelle vene di Ferdinando, pertanto, scorreva il sangue delle più importanti dinastie europee, i Borboni di Francia, Spagna e Napoli, e gli Asburgo-Lorena. La sue effigie disegnata da [[Tommaso Aloisio Juvara]], che compare sulla serie filatelica dei [[Francobolli di Sicilia]], è considerata una delle più belle incisioni artistiche di tutti i tempi.
 
Ricevette un'educazione umanistica in ambienti ecclesiastici ed una solida preparazione politica e militare nelle accademie dove trascorse gran parte della giovinezza. Salito al trono del [[Regno delle Due Sicilie]] l'[[8 novembre]] [[1830]], ad appena vent'anni, diede immediata prova di decisione e di un chiaro disegno di governo mirato alla riorganizzazione dello Stato, alla riduzione del debito pubblico e alla pacificazione delle parti sociali ancora in tumulto dopo il periodo napoleonico.
 
Il reintegro in servizio di molti ufficiali, che avevano militato sotto [[Gioacchino Murat]] e che erano stati sospesi durante i [[Moti rivoluzionari|moti del 1820]], testimonia la sua volontà di contemperare il vecchio ed il nuovo in un regno che era stato spazzato furiosamente dai venti napoleonici.
 
=== Il 1848 ===
L'[[Primavera dei popoli|ondata rivoluzionaria]] che scosse l'[[Europa]] nel [[1848]] toccò anche il Regno di Ferdinando II. All'inizio dell'anno scoppiarono sommosse in tutto il regno e in modo particolare in Sicilia, dove le insurrezioni popolari assunsero quasi subito le caratteristiche di ribellione indipendentista [[Rivolta indipendentista siciliana del 1848]], Ferdinando II, primo fra i Sovrani italiani in quel 1848, il [[29 gennaio]] concesse la [[Costituzione del Regno delle due Sicilie]], redatta dal liberale moderato [[Francesco Paolo Bozzelli]] e promulgata il successivo[[11 febbraio]].
 
Il Governo, affidato al Duca di Serracapriola, che avrebbe dovuto provvedere alla promulgazione delle leggi per l’applicazione dello Statuto, si mosse, però, con molto ritardo. L’art. 89 della Costituzione prevedeva, infatti, l’abrogazione di tutte le disposizioni e i decreti che fossero stati in contrasto con i principi costituzionali. Era quindi necessario preparare immediatamente norme adatte al nuovo assetto istituzionale, altrimenti,il paese sarebbe precipitato nell’anarchia.
Sia per negligenza dovuta ad errori di calcolo politico sulla situazione interna del Regno, sia per inesperienza, si promulgarono soltanto due leggi. La legge elettorale il 29 febbraio «''pessima e malissimamente concepita, non piccola cagione dei disordini che poscia contristarono il regno''<ref>Cfr. Giuseppe Massari, ''I Casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi''</ref>» e quella sulla guardia nazionale il 13 marzo, mentre la legge per regolare la [[libertà di stampa]] non fu mai fatta.
Il governo non riusciva materialmente a mantenere l’ordine.
 
Lo scenario politico, inoltre, sia all’interno che lontano del Regno, si era modificato, poiché, il 27 marzo in [[Sicilia]] il legittimo sovrano fu dichiarato decaduto, benché Ferdinando II avesse concesso, tramite la Costituzione (art. 87) e i decreti d’applicazione dello Statuto, totale autonomia all’Isola<ref>I decreti per l’attuazione della Costituzione furono promulgati solamente il 5 marzo 1848, cioè più di un mese e mezzo dopo la concessione dello Statuto</ref>.
 
Il 24 febbraio fu proclamata la repubblica in [[Francia]], mentre nel marzo erano insorte [[Milano]] e [[Venezia]] e il Piemonte aveva dichiarato guerra all’Austria.
 
===Governo Saliceti===
L’opinione pubblica liberale, convinta che i ministri fossero completamente incapaci di gestire la situazione fece pressioni sul re affinché li licenziasse e così si giunse ad un rimpasto di governo.
Fu chiamato a ricoprire la carica di ministro della giustizia, uno degli esponenti radicali più famosi del periodo, [[Aurelio Saliceti]]<ref>Aurelio Saliceti fu protagonista della rivoluzione napoletana nel ’48 e della repubblica romana l’anno successivo, coprendo la carica di console. Cfr. E. DI CIOMMO, La nazione possibile. Mezzoggiorno e questione nazionale nel 1848, Milano 1993, pp. 188-190. </ref>, che propose un programma di governo in quattro punti: abolizione della camera dei Pari i cui membri erano nominati a vita dal re e giudicata dai liberali troppo legata agli interessi del Sovrano, pieni poteri alla camera dei Deputati per provvedere a una modifica della Costituzione, modifica radicale della legge elettorale ed invio di truppe sulla linea del [[Po]] in aiuto al [[Piemonte]].
Le proposte del Saliceti furono accolte in modo benevolo da gran parte dei liberali; infatti il dibattito sulla partecipazione alla guerra d’indipendenza nazionale e la modifica della Costituzione erano diventati i nodi centrali della politica napoletana. I liberali erano fermamente convinti che solo con la concessione di maggiori diritti alla rappresentanza nazionale si sarebbe potuto compensare l’enorme potere che lo Statuto garantiva al re.
 
Ferdinando II, tuttavia, che aveva concesso la Costituzione soprattutto per pacificare e stabilizzare la situazione politica interna, si rifiutò di sottoscrivere il programma del suo ministro ritenuto troppo radicale e foriero di nuovi disordini politici, licenziò il Saliceti e tutto il governo.
===Governo Troja===
Il 3 aprile venne formato un nuovo ministero guidato dal [[Neoguelfismo|neoguelfo]] [[Carlo Troja]], composto principalmente da liberali moderati che, d’accordo con il re, stilarono un programma in dieci articoli, meno radicale di quello del Saliceti, per dare applicazione allo Statuto<ref>SFORZA G., La Costituzione napoletana del 1848 e la giornata del 15 maggio, in Regia deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche province e la Lombardia, 12 voll., Torino 1921, IX pp. 529-530</ref>. Si stabilì che la camera dei Pari sarebbe stata composta da 50 membri (art. 4), si fissò a 240 ducati il censo di eleggibilità, fissato il giorno per l’elezione della camera dei Deputati e stabilito in 164 il numero di membri da eleggere. All’apertura del Parlamento si decise che le due camere, d’accordo con il re, avrebbero avuto facoltà di svolgere lo Statuto, cioè la possibilità di modificarlo, in riferimento alle disposizioni che riguardavano la camera dei Pari (art. 5)<ref>L’art. 5 del programma costituzionale del 3 aprile prescriveva: «Aperto che sarà il Parlamento, le due Camere, d’accordo col Re, avranno facoltà di svolgere lo Statuto, massimamente per ciò che riguarda la Camera dei Pari.» Ibidem</ref>. Tuttavia c’è da rilevare come Ferdinando II desse dell’art. 5 una lettura restrittiva poiché, nelle sue intenzioni, una modifica costituzionale non avrebbe dovuto portare alla soppressione della camera alta, come invece desideravano i deputati, ma solo ad una limitazione delle sue competenze<ref>Sulle diverse interpretazioni, date dal re e dai liberali, della locuzione “svolgere lo Statuto”, si veda G. PALADINO, Il quindici maggio 1848 a Napoli, Milano-Roma-Napoli 1920, pp. 83-85</ref>.
Il programma costituzionale stabilì, infine, la partecipazione delle Due Sicilie alla guerra d’indipendenza (artt. 7-10). Il 7 aprile fu dichiarata guerra all’Austria e per l’occasione si modificò la bandiera del Regno aggiungendovi il tricolore italiano.
Il 18 aprile si tennero le elezioni, ma l’affluenza alle urne fu scarsa. La maggioranza dei seggi fu conquistata dai liberali moderati.
La cerimonia d’apertura del Parlamento, fissata per il primo maggio, fu posticipata al 15, per consentire ai deputati che venivano dalle province più lontane di raggiungere comodamente Napoli. La vigilia della cerimonia, nella sala comunale del palazzo di Monte Oliveto, si raccolsero in seduta preparatoria, sotto la presidenza del Cagnazzi, i deputati già presenti nella capitale. La formula di giuramento alla Costituzione, che il giorno successivo doveva essere prestata dal re e dai deputati, fu il primo argomento di discussione posto all'ordine del giorno. Ci furono accesi dibattiti e la camera, ritenendo insufficiente il testo scritto da Ferdinando II per i deputati, decise di modificarlo, compilandone un altro in cui si decise che si sarebbe giurato di «''Osservare e mantenere lo Statuto politico della nazione con tutte le riforme e le modifiche stabilite dalla rappresentanza nazionale, massimamente per ciò che riguardava la Camera dei Pari''».<ref>La formula di giuramento proposta dalla camera fu ribattezzata formula Pica, dal nome del deputato che l’aveva redatta. Ivi, pp. 206-207.</ref> Il nuovo giuramento, accettato dal ministero, fu sottoposto all’approvazione del re, che lo rifiutò, infatti, egli sosteneva che i deputati non avrebbero dovuto giurare su una formula in cui era prevista un’eventuale modifica del testo costituzionale esclusivamente da parte della camera, poiché si sarebbero violati sia la Costituzione che l’art. 5 del programma di attuazione.
Il re, di fronte alla risolutezza dei deputati, nella notte tra il 14 e il 15 maggio, trasmise alla camera un'altra formula di giuramento: «''Prometto e giuro innanzi a Dio fedeltà al re costituzionale Ferdinando II. Prometto e giuro di compiere con il massimo zelo e con la massima probità ed onoratezza le funzioni del mio mandato. Prometto e giuro d’essere fedele alla Costituzione quale sarà svolta e modificata dalle due Camere d'accordo con il re, massimamente intorno alla Camera dei Pari, com’era stabilito dall'art. 5 del programma del 3 aprile''<ref>Ibidem</ref>». Il testo fu approvato dalla maggioranza dell’assemblea. Non di meno, si erano diffuse voci, tra i membri della fazione più radicale della camera, circa la presenza di truppe regie nei pressi del Parlamento. La notizia era completamente falsa e gli stessi emissari del Sovrano, giunti nel Palazzo di Monte Oliveto per consegnare ai deputati il nuovo giuramento, dichiararono di essere disposti a condurre una delegazione di parlamentari a verificare l’inconsistenza di quelle accuse<ref>Ivi, pp. 270 ss.</ref>. Infatti, per evitare di alimentare maggiormente la già elevatissima tensione politica con la presenza di truppe per le strade della città, il re aveva dato ordine di consegnarle nelle caserme. I deputati radicali si rifiutarono di credere agli inviati di Ferdinando II ed iniziarono, con l’aiuto di una vasto numero di popolani, giunti in larga maggioranza da fuori Napoli a loro seguito, e di alcuni reparti della guardia nazionale, la costruzione di barricate a protezione del Parlamento. A questa notizia il re mobilitò le truppe che occuparono i punti nevralgici della città<ref>Cfr. G. CAMPOLIETI, ''Il Re Bomba'', Milano 2001, pp. 313 ss.</ref>.
La mattina del 15 maggio i parlamentari dell'ala moderata, la maggioranza, fecero pubblicare un proclama in cui esortavano i cittadini armati a tornare alle loro case. Tuttavia, i deputati anti realisti e rivoluzionari, come [[Giovanni La Cecilia]] e [[Pietro Mileti]]<ref>Per maggiori notizie sulla attività politica dei radicali Giovanni La Cecilia e Pietro Mileti nella primavera 1848, cfr. G. CAMPOLIETI, op. cit., p. 312.</ref>, continuarono a sostenere che il re non fosse realmente intenzionato a modificare la Costituzione, poiché non avrebbe permesso alla rappresentanza nazionale di abolire la camera dei Pari e ritenevano che non ci sarebbe stata nessun tipo di riforma, finché la camera dei Deputati non avesse avuto il totale controllo del potere legislativo<ref>L’ art.4 della Costituzione stabiliva che il potere legislativo apparteneva congiuntamente al re e alle due Camere, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Cfr. P. CASANA, Le Costituzioni italiane del 1848, Torino 2001, p. 82</ref>. Il solo mezzo per dimostrare la piena autonomia dei deputati sarebbe stato l’approvazione da parte del re del giuramento redatto dalla camera.
Un'ordinanza regia fissò per le due pomeridiane del 15 maggio l'apertura del parlamento e si confermò la formula di giuramento concordata con la maggioranza dei deputati. Le frange più estremiste dei rivoluzionari, riunitesi a [[Palazzo Gravina]], fecero sapere al ministero che avrebbero tolto le barricate, consentendo al Parlamento di riunirsi, purché Ferdinando II avesse allontanato le truppe a trenta miglia dalla capitale, consegnato le fortezze cittadine alla guardia nazionale e accettato, senza riserve, la prima formula di giuramento. Il governo, pur di evitare lo scontro, accolse le richieste, mentre il re le respinse, appellandosi alle prerogative che gli affidava la Costituzione: era il garante dell’ordine pubblico e capo supremo delle forze armate, non avrebbe mai ceduto alle pressioni e ai ricatti dei deputati più rivoluzionari che sobillavano la piazza<ref>Le prerogative del re erano disciplinate dall’art. 63 della Costituzione: "Il re è il capo supremo dello stato: la sua persona è sacra e inviolabile, e non soggetta ad alcuna specie di risponsabilità. Egli comanda le forze di terra e di mare, e ne dispone. Provvede a sostenere la integrità del reame". Ivi, p. 89.</ref>.
 
===I moti del 15 maggio e lo scioglimento del parlamento===
I ministri, fallita la trattativa, diedero in blocco le dimissioni, mentre i deputati dell’ala moderata tentarono ancora una volta, senza successo, di far demolire le barricate. Verso le undici del mattino, infatti, una fucilata presso la chiesa di S. Ferdinando<ref>Gli storici non hanno mai appurato con chiarezza chi sparò per prima, se i rivoluzionari o le truppe regie. Cfr. G. CAMPOLIETI, op. cit., pp. 318- 319.</ref>, fu il segnale di inizio della lotta. Sulla reggia fu issata la bandiera rossa<ref>La bandiera rossa era issata sui forti della città quando scoppiavano disordini. Cfr. M. DE SANGRO, I Borboni nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 2001, p. 189.</ref> e le artiglierie cominciarono a bombardare dalle fortezze. Le cannonate distrussero diciassette barricate innalzate nella sola via Toledo<ref>Via Toledo era, ed è tutt’ora, la strada principale di Napoli</ref> e altre nelle strade limitrofe. Alcuni palazzi furono distrutti. Le truppe mercenarie svizzere e quelle regolari napoletane, protette dai cannoni dei forti e affiancate da alcune batterie da campagna, diedero l'assalto alle barricate<ref>Cfr. G. CAMPOLIETI, op. cit., p. 322.</ref>, espugnandole una dopo l'altra; quindi assalirono le case sospette che più tardi furono saccheggiate dai lazzari<ref>I lazzari erano i popolani napoletani da sempre fedeli alla famiglia reale. </ref> che percorsero le vie della città al grido di << ''Viva il re ! Morte alla Nazione !''<ref>Ibidem</ref> >>. All'inizio della rivolta i deputati radicali costituirono un comitato di salute pubblica, presieduto dal Cagnazzi e formato dal Zuffetta, Giardini, Bellalli, Lanza e Petruccelli, non riuscendo tuttavia a far nulla: la battaglia ebbe il suo corso. L'ammiraglio francese Baudin, presente a Napoli con la sua flotta, avrebbe potuto farla cessare, ma si rifiutò<ref>Ibidem</ref>. Lo scontro durò fino alla tarda serata del 15 e la resistenza dei liberali fu vinta. Furono distrutte le barricate e sciolto il comitato di salute pubblica. Non si seppe mai il numero dei morti di quella giornata, le cifre date nel corso degli anni dagli storici oscillano da un minimo di duecento ad un massimo di duemila vittime.
Terminata la battaglia, un capitano degli svizzeri si presentò dai deputati con il decreto di scioglimento dell’assemblea firmato dal re<ref> Ferdinando II, per sciogliere la camera, si avvalse del diritto concessogli dall’art. 64 della Costituzione:"''Il re può anche sciogliere la camera dei deputati, ma convocandone un’altra per nuove elezioni fra lo spazio improrogabile di 3 mesi''". Cfr. P. CASANA, op. cit., p. 89.</ref>.
Il giorno successivo il Sovrano licenziò il ministero, formandone uno nuovo, e ordinò lo scioglimento della guardia nazionale della capitale. Fu decretato a Napoli lo stato d'assedio ed istituita una commissione d’inchiesta sui reati commessi contro la sicurezza dello Stato dal 10 maggio in poi. Il 17 maggio venne notificato lo scioglimento della camera dei Deputati, benché questa non si fosse ancora costituita , perché, sostenne Ferdinando II: <<'' si era assunta un potere arbitrario e illegittimo, sovversivo d'ogni principio d'ordine civile''<ref>Cfr. G. CAMPOLIETI, op. cit., p. 326.</ref> >>.
La Costituzione, nonostante i gravissimi fatti del 15 maggio, fu mantenuta. Furono indetti i comizi elettorali per il 24 maggio e si fissarono nuove elezioni per la camera il 15 giugno.
Il nuovo ministero, guidato dal principe di Cariati, modificò nuovamente la legge elettorale, prevedendo una soglia censitaria più bassa: 120 ducati per gli eleggibili e 12 per gli elettori, sperando così di accontentare, con una legge più “''democratica'' ” i liberali più radicali<ref>SCIROCCO A., L’Italia del Risorgimento, 1800-1860, Bologna 1990,pp. 270-271</ref>.
 
===Nuovo parlamento ===
Il primo luglio fu convocato il Parlamento: la sua composizione non cambiò di molto rispetto al precedente. Le Camere aprirono regolarmente i lavori: la prima discussione affrontata dal nuovo Parlamento riguardò una relazione programmatica del re, che fu approvata il primo agosto dalla camera dei Deputati ed il 5 da quella dei Pari. Un gruppo di deputati, tuttavia, ricominciò un duro ostruzionismo verso Ferdinando II rimproverandogli lo scioglimento della precedente camera e riaffermò, contro l’opinione del re, la sua volontà di continuare la guerra all’Austria<ref>Cfr. G. PEPE,Delle Rivoluzioni e delle guerre d’Italia nel 1847, 1848, 1849, a cura dell’Istituto Nazionale per gli studi Filosofici. Associazione nazionale Nunziatella, Napoli 1991, pp. 79 ss.</ref>. Conseguenza dei fatti di maggio, infatti, fu il richiamo delle truppe inviate sul Po agli ordini del generale Pepe e della flotta da guerra nell'alto Adriatico. Questo ebbe effetti non trascurabili sull’esito del conflitto, perché anche la Toscana e lo [[Stato Pontificio]] iniziarono a ritirare le loro truppe, lasciando il Piemonte solo contro l’Austria. Inoltre, la rappresentanza diplomatica, inviata a Roma per discutere sulla formazione di una Costituente e di una lega degli Stati italiani, fu ritirata.
===Repressione secessione siciliana===
Alla fine di marzo del 1849 si offrì alla Sicilia, per porre termine alla [[secessione]], una Costituzione diversa rispetto a quella napoletana, con un parlamento separato e l’abolizione della promiscuità d’impiego, nella pubblica amministrazione, tra siciliani e napoletani. Il nuovo Statuto stabilì, anche, l’[[amnistia]] per i reati politici. Ciò non bastò ai siciliani che, per bocca del loro capo [[Ruggiero Settimo]], respinsero le proposte del re. Il 15 maggio 1849 le truppe napoletane, dopo numerosi successi, entrarono a Palermo, ponendo fine alla secessione dell’Isola .
Nel periodo successivo ai moti del 15 maggio nuove camere svolsero una modesta attività, riuscendo, tuttavia, a formulare alcune leggi, fra cui ricordiamo il riassetto dell’ordinamento comunale e provinciale, l’affrancazione dei canoni del Tavoliere di Puglia, l’organizzazione della Guardia Nazionale, l’inamovibilità della magistrati e il miglioramento delle prigioni<ref>Cfr. G. MASSARI, op. cit., p. 263.</ref>. I deputati desideravano una modifica della Costituzione in senso più liberale, in conformità a quanto era stato previsto dal programma per l’attuazione dello Statuto.
===Fine esperimento costituzionale===
Il 6 febbraio 1849 ci fu la definitiva crisi istituzionale. Il ministro delle finanze fece un discorso sul bilancio dello Stato con la presentazione della relativa legge tributaria formulata dal ministero<ref>Ibidem</ref>. I deputati si opposero affermando che per redigere norme in materia fiscale sarebbe occorso un voto della camera sul progetto di legge del governo, così com’era previsto dall’art. 38 della Costituzione<ref>L’art. 38, infatti, recitava: << ''I progetti di legge, che intendono a stabilire contribuzioni d’ogni specie debbono prima essere, necessariamente, presentati alla Camera dei Deputati'' >>. Cfr. P. CASANA, op. cit., p. 85.</ref>. I deputati sostennero che per quel particolare provvedimento il ministero non godeva della fiducia della camera e quindi dell’intera nazione di cui i deputati erano i rappresentanti stabilendo che la legge dovesse essere sottoposta al voto di fiducia<ref>Cfr G. MASSARI, op. cit., pp. 264- 270.</ref>. La Costituzione non prevedeva una simile eventualità. Le disposizioni costituzionali relative ai ministri, però, erano molto generiche. Stabiliva l’art. 71: "''I ministri sono responsabili''"<ref> Cfr. P. CASANA, op. cit., p. 90.</ref>, senza per altro specificare con chiarezza nei confronti di chi, aprendo, quindi, ad ''interpretazioni elastiche'' del testo, per cui la possibilità del voto di fiducia avrebbe potuto trovare spazio. Da una parte il governo volle attenersi ad un’interpretazione stretta della Carta, perciò il re poteva nominare e revocare i ministri di sua scelta senza bisogno del consenso del Parlamento dovendoli rinviare alle camere nel solo caso di tradimento( art. 74)<ref>Art. 74 " La sola camera de’Deputati ha il diritto di mettere in istato di accusa i ministri per gli atti, di cui questi sono responsabili. La camera de’Pari ha esclusivamente la giurisdizione di giudicarli". </ref>. I liberali, invece, avrebbero voluto far evolvere il regime verso un parlamentarismo che la Costituzione non aveva esplicitamente previsto, essi ritennero che il ministero dovesse necessariamente avere la fiducia della maggioranza della camera dei Deputati. Il re dichiarò che i deputati avevano violato in modo palese la Costituzione. I contrasti non si appianarono e il conflitto tra governo e deputati fu risolto il 12 marzo da Ferdinando II che sciolse la camera e indisse nuove elezioni che non ebbero mai luogo.
 
Il re licenziò il ministero e nominò presidente del consiglio e ministro delle finanze il lucano [[Giustino Fortunato]], ex aderente alla [[Repubblica Napoletana]] e al governo di Murat, il quale inaugurò una politica fortemente anti-liberale. Più di mille municipi mandarono delle petizioni per invitare il re a sospendere la Costituzione, ritenuta ormai, da gran parte del popolo, come fonte di disordini. Iniziarono i processi contro i responsabili dei moti del 15 maggio, furono abrogate le poche leggi elaborate dal parlamento e tornò in uso la tradizionale bandiera nazionale bianca con lo stemma dei Borbone .
La Costituzione fu sospesa ma non abrogata: così fallì il primo esperimento costituzionale italiano del 1848.
 
=== Il decennio di preparazione ===
[[File:SM ferdinando II.png|thumb|left|200px|Ferdinando II, stampa del 1855]]
Tra il [[1849]] e il [[1851]], a causa della dura repressione portata avanti da Ferdinando II, molti andarono in esilio; tra rivoluzionari e dissidenti, circa duemila persone furono incarcerate nei penitenziari del regno borbonico. Va ricordardata la dura repressione effettuata in Sicilia con il bombardamento di Messina con centinaia di morti, che valsero a Ferdinando II il soprannome di "'''Re Bomba'''" .
 
Il politico inglese [[William Ewart Gladstone]], dopo aver visitato il regno tra il [[1850]] e il [[1851]], iniziò a sostenere gli oppositori di Ferdinando II: scrisse due lettere che inviò al Parlamento inglese, in cui descriveva la «terribile condizione» del Regno delle Due Sicilie, definito la «negazione di Dio». Invero, Gladstone non aveva affatto visitato l'intero paese e molte delle sue accuse non erano affidabili, ma nonostante ciò, le sue descrizioni sul malgoverno dei Borboni si diffusero nell'intera Europa. Queste voci che vennero accreditate come vere, ma sulle quali non v'era alcuna certezza documentabile, e che andarono ad alimentare la leggenda nera di un regno oppressore in decadenza, sarebbero state orchestrate con fini machiavellici da parte di piemontesi e inglesi. Lo stesso Gladstone ritrattò le sue affermazioni, affermando che le sue lettere erano false e calunniose, che era stato raggirato e che "''aveva scritto senza vedere''".<ref>Vittorio MESSORI, ''Le cose della vita'', Paoline, Milano 1995, p. 304 s.</ref>
 
La diretta conseguenza delle lettere di Gladstone fu una "sensibilizzazione" dell'Europa di fronte alla questione italiana nel Regno delle Due Sicilie a favore dell'espansionismo sabaudo di [[Vittorio Emanuele II]]. Il Governo inglese, che aveva aiutato i Borboni sia durante le guerre napoleoniche sia durante il 1848, aveva infatti le sue motivazioni nel limitare l'indipendenza del Regno delle Due Sicilie: l'Inghilterra possedeva interessi economici in Sicilia (in particolare sull'esportazione dello [[zolfo]]) e Ferdinando II aveva cercato di limitare l'influenza britannica in tale ambito. Di fronte all'ostinazione del Re nel rifiutare i consigli di [[Francia]] e [[Inghilterra]], i due paesi richiamarono i loro ambasciatori nel [[1856]].
Vero è che Tra il 1849 e il 1851, tra rivoluzionari e dissidenti, circa duemila persone furono incarcerate nei penitenziari del regno borbonico con l'accusa di essere dei cospiratori, praticamente quasi tutta l'''[[intellighenzia]]'' del Regno. Tra costoro ricordiamo [[Luigi Settembrini]]. Dopo il 1848 tutte le scuole private di Napoli furono chiuse, compresa quella di [[Francesco de Sanctis|De Sanctis]], e l'istruzione fu affidata alla Chiesa. Nella politica estera il Regno delle Due Sicilie attuò una politica isolazionista soprattutto per evitare ingerenze nella politica di repressione del movimento liberale.
In campo economico si ispirò al [[mercantilismo]] seicentesco di [[Jean-Baptiste Colbert|Colbert]] in un mondo radicalmente mutato. La Rivoluzione industriale inglese di fine Settecento aveva ormai contagiato l'intera Europa e il [[libero scambio]] era la regola alla base dell'economia vincente. Ferdinando II si ostinò nel perseguire il [[protezionismo]], soprattutto nel settore dell'industria siderurgica (dazi fino al 25% sulle merci di importazione) provocando la ritorsione di Francia e Inghilterra sui prodotti agricoli del Regno, settore trainante della debole economia delle Due Sicilie. Soprattutto l'olio di oliva, che veniva usato anche come lubrificante per le macchine industriali e per fabbricare il sapone, e il vino subirono forti contraccolpi.
[[File:Fernando II de las Dos Sicilias 2.jpg|thumb|Ferdinando II delle Due Sicilie, metà del [[XIX secolo|XIX sec.]]]]
L'[[8 dicembre]] [[1856]], giorno dell'[[Immacolata Concezione]], Ferdinando II assistette a [[Napoli]] alla Santa Messa con tutta la famiglia, gli alti funzionari governativi e moltissimi nobili del suo seguito. Dopo la celebrazione, il sovrano passò in rassegna a cavallo le truppe sul Campo di Marte. In quel momento, il soldato calabrese [[Agesilao Milano]], rotte le righe, si lanciò sul Re e riuscì a ferirlo con un colpo di baionetta. Ferdinando II rimase scosso dal fallito attentato, preoccupato che la baionetta dell'attentatore fosse avvelenata. Durante la degenza che lo condusse alla morte, il Re chiese al chirurgo dott. Capone di controllare se la ferita al petto infertagli dal Milano si fosse infiammata. Il chirurgo lo rassicurò che la cicatrice era intatta e senza segni di infiammazione e suppurazione, comunicando ciò, qualificò infame Agesilao Milano; il Re rimproverò il chirurgo: «non si deve dir male del prossimo; io ti ho chiamato per osservare la ferita e non per giudicare il misfatto; Iddio lo ha giudicato, io l'ho perdonato. E basta così».<ref>M.Topa - Così finirono i Borbone di Napoli - Fratelli Fiorentino</ref>
 
Secondo alcuni Ferdinando non guarì mai completamente dalla ferita e la sua morte, avvenuta poco meno di tre anni dopo (il [[22 maggio]] [[1859]] morì a [[Caserta]]), sarebbe dovuta a [[setticemia]].
 
Secondo altre fonti, la malattia di Ferdinando II dipendeva dall'obesità. Secondo i referti medici a stento riusciva a stare in piedi, ma nonostante i medici lo sconsigliassero compì un viaggio nella [[Puglia]] iniziato da [[Caserta]] l'8 gennaio [[1859]] e terminato il 7 marzo [[1859]] a [[Bari]] per il matrimonio del figlio. In Bari si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio religioso del figlio primogenito erede al trono [[Francesco II delle Due Sicilie]] Duca di Calabria con [[Maria Sofia di Baviera]], sorella della Imperatrice [[Elisabetta di Baviera|Elisabetta]], detta "''Sissi''", matrimonio già avvenuto per procura, senza che gli sposi si fossero mai conosciuti. Ma il matrimonio religioso fu turbato proprio dall'aggravarsi della malattia del Re iniziata già durante il viaggio, e peggiorata in [[Bari]], tanto che Ferdinando non assistette al matrimonio. Il medico di corte Cav. Ramaglia aveva capito ben poco della gravità del male, e le condizioni di Ferdinando II peggioravano continuamente. Pertanto fu invitato dall'Intendente di Bari Cav. Mandarini il miglior medico della Provincia, [[Nicola Longo]] di [[Modugno]] (Ba), allievo prediletto del Prof. [[Domenico Cotugno]], l'Ippocrate napoletano. Questi, dopo aver visitato minuziosamente Ferdinando II, diagnosticò un ascesso femorale inguinale, pieno di materia grigia purulenta, e propose, dopo aver tentato inefficacemente una cura con l'uso di risolventi a base di mercurio, una operazione chirurgica per asportare manualmente la materia. Tutti gli astanti, la Regina [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa d'Asburgo-Teschen]], il Duca di Calabria, l'Intendente Cav. Mandarini, il medico Ramaglia, inorridirono al solo pensiero che fosse eseguita una operazione a un Re, oltretutto da un medico che aveva grande fama di liberale, essendo iscritto alla [[Carboneria]] dal [[1817]]. [[Nicola Longo]] avvertì Ferdinando e i presenti che, se non fosse stata fatta l'incisione all'inguine a breve, ci sarebbe stata una funesta conclusione della malattia. "''Maestà''" disse il Longo "''la sventura vostra in questa contingenza è l'essere Re; se foste stato un povero infelice gettato in un letto d'ospedale, a quest'ora sareste guarito''". Rispose Ferdinando in [[napoletano]]: "''Don Nicola, adesso mi trovo sotto, fate ciò che volete, ma salvatemi la vita!''". Dopo aver titubato e rinviato l'operazione per quasi un mese, Ferdinando II e i reali decisero all'improvviso di ripartire da [[Bari]] alla volta di [[Caserta]] il 7 marzo [[1859]], nonostante il Longo fosse contrario a tale scelta.
Giunto Ferdinando II in condizioni ormai gravissime a [[Caserta]], tutti i medici di corte, Trinchera, Capone, De Renzis, Lanza, Palasciano, dopo aver riconosciuto la giusta diagnosi e cura del medico [[Nicola Longo]], e soprattutto che l'operazione era necessaria dal primo momento, tentarono inutilmente la stessa operazione proposta dal Longo due mesi prima, ma ormai era troppo tardi. Ferdinando II spirò il 22 maggio [[1859]].
Poco prima della sua morte era iniziata la [[Seconda guerra di indipendenza italiana|seconda guerra di indipendenza]] che vedeva schierati [[Vittorio Emanuele II di Savoia]] e [[Napoleone III]] contro [[Francesco Giuseppe d'Austria]]. Tra il [[1860]] e il [[1861]], la [[spedizione dei Mille]] guidata da [[Giuseppe Garibaldi]] portò alla caduta del Regno delle Due Sicilie che fu annesso al neonato Regno d'Italia.
 
=== Economia e politica ===
[[File:Ferdinando II delle Due Sicilie.jpg|200px|left|thumb|Foto di Ferdinando II di Borbone]]
Grazie all'impulso esercitato dal sovrano napoletano si riscontrarono risultati positivi nel settore economico: la marina commerciale napoletana arriva ad essere la terza d’[[Europa]], dopo quella di [[Francia]] ed [[Inghilterra]], per numero di navi e tonnellaggio complessivo. Nascono, sotto la protezione e con l'intervento diretto dello Stato, le prime industrie italiane, soprattutto del settore tessile e metallurgico. Anche l'agricoltura e l'allevamento vengono sviluppate attraverso la creazione di appositi centri studi statali e un sistema di finanziamento alla piccola proprietà rappresentata dai Monti Frumentari.
 
Secondo alcune statistiche <ref>Correnti e Maestri, Annuario Statistico Italiano, [[1860]]</ref>, il Regno produceva, rappresentando circa un terzo della popolazione, più del 50% dell’intera produzione agricola italiana e per quel che riguarda l'allevamento, il numero dei capi, fatta eccezione per l’allevamento bovino, era ben superiore a quello del resto d'Italia sia in valore assoluto che in rapporto alla popolazione.
 
Ferdinando II adottò un modello politico-economico di tipo protezionistico, ispirandosi in gran parte al modello francese di [[Jean-Baptiste Colbert]], che aveva consentito la nascita dell'industria transalpina, propendendo decisamente per un intervento diretto dello Stato nella vita economica del paese, ma limitando gli investimenti ai surplus di cassa provenienti dalle esportazioni agricole ed evitando l’indebitamento pubblico e l’aggravio della pressione fiscale mantenuta fra le più basse d’Europa.
 
Un modello di sviluppo lento, in quanto gli investimenti si limitavano alle somme presenti in cassa senza ricorrere all'indebitamento bancario, ma che tendenzialmente metteva al riparo da rischi e sovraccarichi fiscali per la popolazione. Ferdinando fu vicino alle istanze contadine e alle classi produttive legate al commercio marittimo e insensibile, invece, alle aspettative borghesi che spregiativamente definiva “''pennaruli e pagliette''”, riferendosi ovviamente alla borghesia delle professioni, ritenuta nel suo modo di intendere l’economia e la politica un corpo parassitario all’interno dello Stato. Ferdinando II rappresenta forse l’ultimo esponente di quell’assolutismo illuminato che aveva caratterizzato il ‘[[XVIII secolo|700]] europeo e napoletano.
 
== Matrimoni e discendenza ==
{{Casa dei Borboni (Napoli)}}
Si sposò per la prima volta il [[21 novembre]] [[1832]] con la principessa [[Maria Cristina di Savoia]], quarta figlia del re [[Vittorio Emanuele I di Savoia]]. Dal matrimonio nacque:
 
* [[Francesco II di Borbone|Francesco, II delle Due Sicilie]] (1836-1894). Sposò la [[Maria Sofia di Baviera|Duchessa Maria Sofia in Baviera]]
 
Ferdinando II e Maria Cristina erano cugini di secondo grado poiché entrambi bisnipoti di [[Francesco Stefano di Lorena]] e di [[Maria Teresa d'Austria]]. Donna di eccezionale carità e spirito religioso, tanto da essere annoverata tra le [[Venerabile|Venerabili]] dalla Chiesa cattolica, Maria Cristina morì agli inizi del [[1836]], quindici giorni dopo la nascita del loro unico figlio Francesco, che successe al padre sul trono.
 
Si sposò per la seconda volta il [[9 gennaio]] [[1837]] con l'arciduchessa [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa d'Austria]] ([[1816]]–[[1867]]), figlia dell'arciduca [[Carlo d'Asburgo-Teschen|Carlo, Duca di Teschen]], a sua volta figlio di [[Leopoldo II del Sacro Romano Impero|Leopoldo II]], e sorella dell'[[Alberto Federico Rodolfo d'Austria-Teschen|Arciduca Alberto]]. Ferdinando II e Maria Teresa erano doppi cugini di secondo grado in quanto bisnipoti di di [[Francesco Stefano di Lorena]] e di [[Maria Teresa d'Austria]] e di [[Carlo III di Spagna]] e di [[Maria Amalia di Sassonia]]. La coppia ebbe dodici figli, di cui otto raggiunsero l'età adulta:
 
* [[Luigi di Borbone-Due Sicilie|Luigi, Conte di Trani]] (1838&nbsp;– 1886). Sposò [[Matilde di Baviera]], sorella di [[Elisabetta di Baviera|Elisabetta, imperatrice d'Austria]]. La loro unica figlia, la principessa [[Maria Teresa di Borbone-Due Sicilie|Maria Teresa]], sposò il principe [[Guglielmo di Hohenzollern-Sigmaringen]].
* Alberto, conte di Castrogiovanni (1839-1844).
* [[Alfonso di Borbone-Due Sicilie|Alfonso, Conte di Caserta]], (1841-1934). Sposò la sua prima cugina [[Maria Antonietta di Borbone-Due Sicilie|Maria Antonietta]], principessa delle Due Sicilie. La linea oggi esistente dei Borbone-Due Sicilie discende da loro.
* [[Maria Annunziata di Borbone-Due Sicilie|Maria Annunziata]] (1843-1871). Sposò l'arciduca [[Carlo Ludovico d'Asburgo-Lorena|Carlo Ludovico d'Austria]].
* [[Maria Immacolata Clementina di Borbone-Due Sicilie|Maria Immacolata]] (1844-1899). Sposò l'arciduca [[Carlo Salvatore d'Asburgo-Toscana|Carlo Salvatore di Toscana]], figlio del granduca [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo II]] e di [[Maria Antonia di Borbone-Due Sicilie|Maria Antonietta]], sorella minore di Ferdinando II.
* [[Gaetano di Borbone-Due Sicilie|Gaetano, Conte di Girgenti]] (1846-1871). Sposò l'Infanta [[Isabella di Borbone-Spagna]] (prima figlia della Regina [[Isabella II di Spagna]]) e divenne dunque Infante di Spagna.
* Giuseppe, Conte di Lucera (1849-1851).
* [[Maria Pia di Borbone-Due Sicilie|Maria Pia]] (1849-1882). Sposò [[Roberto I di Parma]].
* Vincenzo, conte di Melazzo (1851-1854)
* [[Pasquale di Borbone-Due Sicilie|Pasquale, conte di Bari]] (1852-1904). Sposò [[Matrimonio morganatico|morganaticamente]] Blanche Marconnay.
* [[Maria Luisa Immacolata di Borbone-Due Sicilie|Maria Luisa]] (1855-1874). Sposò [[Enrico di Borbone-Parma|Enrico, Conte di Bardi.]]
* [[Gennaro di Borbone-Due Sicilie|Gennaro, conte di Caltagirone]] (1857-1867).
 
== Ascendenza ==
<center>
{| class="wikitable"
|-
|-
| rowspan="16" align="center"| '''Ferdinando II'''
| rowspan="8" align="center"| '''Padre:'''<br />[[Francesco I delle Due Sicilie]]
| rowspan="4" align="center"| '''Nonno paterno:'''<br />[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno paterno:'''<br />[[Carlo III di Spagna]]
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Filippo V di Spagna]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Elisabetta Farnese]]
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna paterna:'''<br />[[Maria Amalia di Sassonia (1724-1760)]]
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Augusto III di Polonia]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Maria Giuseppa d'Austria]]
|-
| rowspan="4" align="center"| '''Nonna paterna:'''<br />[[Maria Carolina d'Asburgo-Lorena]]
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno paterno:'''<br />[[Francesco Stefano di Lorena]]
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Leopoldo di Lorena]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Elisabetta Carlotta di Borbone-Orléans]]
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna paterna: '''<br />[[Maria Teresa d'Asburgo]]
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Carlo VI del Sacro Romano Impero]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel]]
|-
| rowspan="8" align="center"| '''Madre:'''<br />[[Maria Isabella di Borbone-Spagna]]
| rowspan="4" align="center"| '''Nonno materno:'''<br />[[Carlo IV di Spagna]]
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno materno:'''<br />[[Carlo III di Spagna]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Filippo V di Spagna]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Elisabetta Farnese]]
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna materna:'''<br/ >[[Maria Amalia di Sassonia (1724-1760)]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Augusto III di Polonia]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Maria Giuseppa d'Austria]]
|-
| rowspan="4" align="center"| '''Nonna materna:'''<br />[[Maria Luisa di Borbone-Parma]]
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno materno:'''<br />[[Filippo I di Parma]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Filippo V di Spagna]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Elisabetta Farnese]]
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna materna:'''<br />[[Elisabetta di Borbone-Francia]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Luigi XV di Francia]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Maria Leszczyńska]]
|}
</center>
 
== Onorificenze ==
===Onorificenze delle Due Sicilie===
{{Onorificenze
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|nome_onorificenza=Gran Maestro e Cavaliere dell'Insigne e Reale Ordine di San Gennaro
|collegamento_onorificenza=Insigne e Reale Ordine di San Gennaro
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}}
{{Onorificenze
|immagine=Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.png
|nome_onorificenza=Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio
|collegamento_onorificenza=Ordine Costantiniano di San Giorgio (Napoli)
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}}
{{Onorificenze
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|nome_onorificenza=Gran Maestro del Reale Ordine di San Ferdinando e del Merito
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}}
{{Onorificenze
|immagine=Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione.png
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{{Onorificenze
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|nome_onorificenza=Gran Maestro del Reale Ordine di Francesco I
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}}
 
===Onorificenze straniere===
{{Onorificenze
|immagine=CrocieraDecennale.png
|nome_onorificenza=Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro
|collegamento_onorificenza=Toson d'Oro
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}}
{{Onorificenze
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|luogo=
}}
 
== Note ==
{{references|2|no}}
 
== Bibliografia ==
* Nisco, Niccola, ''Ferdinando II. e il suo regno'', Napoli, Morano, 1884
* De Crescenzo Gennaro, ''Industrie del Regno di Napoli'', Grimaldi editore, Napoli 2003
* De Bernard Mathieu et D'André Devècge, ''Tableau généalogique de la Maison de Bourbon'' Edit. de La Tournelle, 1984
* Forte Nicola, ''Viaggio nella memoria persa del Regno delle due Sicilie'', Imagaenaria, 2007
* AA.VV., ''La storia proibita'', Edizioni Controcorrente, Napoli 2001 - ISBN 88-89015-57-8
*Raffaele de Cesare-La fine di un Regno-Longanesi & C.Terza edizione-1969 Milano
*Carlo Longo de Bellis-Archivio privato famiglia Longo
 
== Altri progetti ==
{{Interprogetto|q|commons=Category:Ferdinand II of the Two Sicilies}}
 
{{Box successione
|tipologia=regnante
|carica = [[Elenco dei monarchi di Napoli e Sicilia|Re delle Due Sicilie]]
|immagine= Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg
|periodo = [[1830]] - [[1859]]
|precedente = [[Francesco I delle Due Sicilie]]
|successivo = [[Francesco II delle Due Sicilie]]
}}
{{Box successione
|tipologia = precedenza titoli nobiliari
|carica = [[Elenco dei monarchi di Napoli e Sicilia|Erede al trono delle Due Sicilie]]
|immagine = Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg
|periodo= ''Principe ereditario''<br>[[1825]] - [[1830]]
|precedente = [[Francesco I delle Due Sicilie|Francesco, principe ereditario]]<br>Poi sovrano col nome di Francesco I
|successivo = [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco d'Assisi, principe ereditario]]<br>Poi sovrano col nome di Francesco II
}}
 
{{Portale|biografie|Due Sicilie|Napoli|storia}}
 
[[Categoria:Borbone-Napoli]]
[[Categoria:Re delle Due Sicilie]]
[[Categoria:Sovrani del Risorgimento]]
[[Categoria:Sepolture nella Basilica di Basilica di Santa Chiara (Napoli)]]
 
[[ar:فرديناندو الثاني ملك الصقليتين]]
[[ca:Ferran II de les Dues Sicílies]]
[[da:Ferdinand 2. af Begge Sicilier]]
[[de:Ferdinand II. (Sizilien)]]
[[el:Φερδινάνδος Β' των δύο Σικελιών]]
[[en:Ferdinand II of the Two Sicilies]]
[[es:Fernando II de las Dos Sicilias]]
[[fr:Ferdinand II des Deux-Siciles]]
[[hu:II. Ferdinánd nápoly–szicíliai király]]
[[ja:フェルディナンド2世 (両シチリア王)]]
[[la:Ferdinandus II (rex Utriusque Siciliae)]]
[[nl:Ferdinand II der Beide Siciliën]]
[[no:Ferdinand II av De to Sicilier]]
[[pl:Ferdynand II Burbon]]
[[pt:Fernando II das Duas Sicílias]]
[[ro:Ferdinand al II-lea al Celor Două Sicilii]]
[[ru:Фердинанд II (король Обеих Сицилий)]]
[[scn:Firdinannu II dî Dui Sicili]]
[[sk:Ferdinand II. (Kráľovstvo oboch Sicílií)]]
[[sv:Ferdinand II av Bägge Sicilierna]]
[[zh:费迪南多二世 (两西西里)]]