Reazioni all'attentato di via Rasella e all'eccidio delle Fosse Ardeatine e Parochialkirche: differenze tra le pagine

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{{Edificio religioso
{{torna a|Attentato di via Rasella|Eccidio delle Fosse Ardeatine}}
|Nome = Parochialkirche
|Immagine = Mitte Parochialkirche mit Turm.jpg
|SiglaStato = DEU
|Città = [[Berlino]]
|Religione = [[Chiesa evangelica in Germania|evangelica]]
|Diocesi = [[Chiesa regionale di Berlino, Brandeburgo, Slesia e Alta Lusazia]]
|AnnoConsacr = [[1702]]
|Architetto = [[Johann Arnold Nering]], [[Martin Grünberg]]
|InizioCostr = [[1695]]
|FineCostr = [[1703]]
|Sito =
}}
La '''Parochialkirche''' (letteralmente: "chiesa parrocchiale") è una [[Chiesa (architettura)|chiesa]] [[Luteranesimo|luterana]] di [[Berlino]], posta nell'antico [[centro storico]] della città, nel quartiere di [[Mitte]].
 
Importante esempio di [[architettura barocca]], è posta sotto tutela monumentale (''Denkmalschutz'').<ref>{{cita web |url = http://www.stadtentwicklung.berlin.de/denkmal/liste_karte_datenbank/de/denkmaldatenbank/daobj.php?obj_dok_nr=09011257 |titolo = Parochialkirche & Kirchplatz |lingua = de}}</ref>
La [[Santa Sede]] prese pubblicamente posizione sull'attentato di via Rasella e l'eccidio delle Fosse Ardeatine tramite un comunicato su ''[[L'Osservatore Romano]]'' del 26 marzo 1944, accomunando i due eventi in un unico giudizio di condanna. La posizione assunta dal Vaticano è stata oggetto di dibattito e di polemiche, anche con riferimento all'esistenza della possibilità che [[papa Pio XII]] intervenisse per scongiurare la rappresaglia.
 
== Storia ==
Secondo le memorie di [[Giorgio Amendola]], ideatore dell'attentato nonché rappresentante del [[Partito Comunista Italiano]] nella giunta militare del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]], quando tale organo si riunì il 26 marzo egli chiese che fosse emanato un comunicato che, oltre a condannare l'eccidio, rivendicasse l'azione partigiana. Tuttavia, quest'ultima proposta trovò l'opposizione del delegato della [[Democrazia Cristiana]], [[Giuseppe Spataro]], il quale contestò l'opportunità dell'attentato e al contrario chiese un comunicato di dissociazione, proponendo inoltre che ogni futura azione fosse preventivamente approvata dalla giunta. Poiché le deliberazioni venivano prese solo all'unanimità, nessuna delle due mozioni fu approvata, cosicché l'attentato fu autonomamente rivendicato dai comunisti su ''l'Unità'' del 30 marzo, mentre solo a metà aprile il CLN emise un comunicato di condanna verso la rappresaglia tedesca, retrodatato al 28 marzo per nascondere i contrasti.
[[File:Berlin Mitte Parochialkirche-Innenraum (1).JPG|thumb|L'interno]]
La costruzione della chiesa, a [[pianta centrale]] ispirata a [[Santa Maria della Consolazione (Todi)|Santa Maria della Consolazione]] di [[Todi]], iniziò nel [[1695]] su progetto di [[Johann Arnold Nering]], il quale però morì [[1696|l'anno successivo]]. La costruzione proseguì fino al [[1698]], quando in seguito a un crollo si decise di affidare il cantiere a [[Martin Grünberg]], allievo del Nering, che modificò il progetto d'origine semplificandolo. La chiesa fu [[Consacrazione|consacrata]] l'8 luglio [[1702]] e compiuta l'[[1703|anno successivo]].
 
Nel [[1713]]-[[1714|14]] sopra la [[facciata]] fu costruita una [[torre]], progettata da [[Jean de Bodt]] e realizzata da [[Philipp Gerlach]]; la torre fu resa necessaria per ospitare il [[Carillon (batteria di campane)|carillon di campane]] donato dal re [[Federico Guglielmo I di Prussia|Federico Guglielmo I]] e in origine destinato alla [[Münzturm|Torre della Zecca]], che venne installato nel [[1715]]. Tuttavia, a causa del suo suono sgradevole, esso venne sostituito già nel [[1717]] da un carillon completamente nuovo, formato di 37 [[Campana|campane]] fuse nei [[Paesi Bassi]] da [[Jan Albert de Grave]].
== Le reazioni tra la popolazione ==
=== Diari e memorie ===
Subito dopo l'esplosione, il gappista [[Franco Calamandrei]] scrisse nel suo diario: «La gente commenta, alcuni, soprattutto donne, sfavorevolmente: "Ora che se ne stavano andando...", "Sono i partigiani..."»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 37}}.</ref>. Dopo la rappresaglia, il 25 marzo, annotò: «Gli altri partiti, pare, disapprovano l'azione. L'opinione pubblica non le è troppo favorevole. Non si vede l'importanza politica internazionale, che può valere il sacrificio»<ref>''[http://www.liberalfondazione.it/archivio/tutti-i-numeri-di-liberal/1471-via-rasella-e-le-fosse-ardeatine-raccontate-in-tempo-reale Via Rasella e le Fosse Ardeatine raccontate in tempo reale]'', in ''Liberal Bimestrale'', anno III, nº 16, febbraio-marzo 2003.</ref>. Analoga è la voce popolare registrata nel diario del filosofo [[Enrico Castelli]], che l'ascoltò nel pomeriggio del 23 marzo mentre assisteva al trasporto dei feriti del "Bozen" all'ospedale di San Giacomo: «Proprio ora che se ne vanno, potevano risparmiarselo»<ref>Enrico Castelli, ''Pensieri e giornate. Diario intimo'', Roma, Edizioni del Leonardo, 1945, p. 210.</ref>.
 
La chiesa fu restaurata nel [[1884]]-[[1885|85]] da [[Gustav Knoblauch]] ed [[Eduard Wex]]; in tale occasione vennero rimossi i [[Matroneo|matronei]].
Nel 1973 Amendola scrisse nelle sue memorie: «mentre la popolazione romana era alle prese, in una città assediata, con la fame e con le razzie, l'azione dei GAP di via Rasella aveva dimostrato che il tedesco non era, malgrado la sua tracotanza, invincibile, e che lo si poteva colpire duramente. Il sangue delle vittime innocenti fucilate alle Fosse Ardeatine sarebbe ricaduto sui responsabili della strage, sui nazisti e sui loro servi repubblichini. La popolazione romana comprese questo nostro atteggiamento e non ci fece mancare la protezione della sua solidarietà»<ref>{{cita|Amendola 1973|p. 297}}.</ref>.
 
L'edificio subì gravi danni durante la [[seconda guerra mondiale]]; in particolare, il 24 maggio [[1944]] la torre crollò in seguito all'incendio delle strutture. La chiesa venne restaurata sommariamente nel [[1950]]-[[1951|51]], con la costruzione di un nuovo [[Copertura|tetto]]: tuttavia nei decenni successivi lo spazio ecclesiale venne usato come [[magazzino]], mentre le [[Messa|funzioni sacre]] si tenevano in una stanza adattata a [[cappella]], posta al primo piano della facciata.
=== Le intercettazioni telefoniche ===
Le uniche fonti dirette contenenti commenti sui fatti del 23 e 24 marzo sono quarantanove conversazioni telefoniche, avvenute a Roma in quei giorni e nei successivi, intercettate dal Servizio speciale riservato presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il cui ufficio era al [[Palazzo del Viminale|Viminale]], e riprodotte in un ''istant book'' su via Rasella pubblicato nel 1996 dallo storico [[Aurelio Lepre]]<ref>{{cita|Lepre 1996|pp. 55-78}}.</ref>. I giudizi sull'azione gappista sono tutti molto negativi: i partigiani (talvolta definiti con epiteti ingiuriosi) sono accusati di aver provocato la rappresaglia. Nella maggior parte delle conversazioni gli intercettati esprimono pietà per i prigionieri uccisi dai tedeschi, ritenendoli vittime dell'irresponsabilità degli attentatori («oggi per il mascalzone ci va di mezzo l'innocente»). Alle ore 10:50 del 25 marzo, la "marchesa F. di C.", attivatasi per salvare il giovane ufficiale Marcello Bucchi (rinchiuso a Regina Coeli) ignorando che la strage fosse già avvenuta, afferma: «Ogni volta che succede uno di quei fatti vanno là e ne prendono 10 per ogni tedesco». Si temette che i tedeschi per rappresaglia non avrebbero più lasciato la città, ma una preoccupazione ancora maggiore era l'aumento del prezzo del pane, ritenuto una punizione disposta dai tedeschi per l'attentato (era invece dovuto alla difficoltà di approvvigionare una città vicina al fronte e con i collegamenti interrotti dai bombardamenti)<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 40}}.</ref>. Un uomo commenta: «Certamente a quella gente non va giù che i romani lascino i tedeschi agire per il loro meglio. Con questi atti, sanno di provocare arresti e fucilazioni e una conseguente tensione dei rapporti fra i tedeschi e la popolazione di Roma». Una donna manifesta compassione per i morti del [[Polizeiregiment "Bozen"]]: «quei poveri ragazzi se ne andavano calmi, calmi, salutando la popolazione, e li vanno ad ammazzare così». Altri, trovandosi quel giorno nelle vicinanze di via Rasella, esprimono sgomento per lo scampato pericolo.
 
Il 1º agosto [[1968]] la [[parrocchia]] della Parochialkirche venne unita alla [[Chiesa di San Giorgio (Berlino)|parrocchia di San Giorgio]], formando la nuova ''St.-Georgen-Parochial-Kirchengemeinde''.
In merito alla rappresaglia, gli intercettati si esprimono generalmente con rassegnata comprensione («la legge di guerra è quella che è»), ma non mancano commenti di approvazione e uno persino di soddisfazione («320 che non torneranno più a dare fastidio»). Lepre scrive che, insieme ai tedeschi che materialmente eseguirono la strage, «gli italiani che contribuirono a trovare gli ostaggi da fucilare non possono non esserne considerati corresponsabili e lo furono anche, quanto meno sotto il profilo morale, quelli che approvarono la rappresaglia»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 43}}.</ref>.
 
Dopo la [[riunificazione tedesca]] l'interno della chiesa tornò alla sua originaria funzione ecclesiale. Negli [[Anni 2010|anni dieci]] del [[XXI secolo]], dopo una raccolta di fondi, venne ricostruita la torre distrutta nel [[1944]]; essa venne inaugurata il 1º luglio [[2016]],<ref>{{Cita news |lingua = de |autore = Uta Stiller |url = http://www.bz-berlin.de/berlin/mitte/die-berliner-parochialkirche-hat-wieder-einen-turm |titolo = Die Berliner Parochialkirche hat wieder einen Turm |pubblicazione = [[B.Z.]] |data = 1º luglio 2016 |p = }}</ref> mentre l'accensione del nuovo carillon seguì il successivo 23 ottobre.<ref>{{cita web |url = http://www.rbb24.de/kultur/beitrag/2016/10/neues-glockenspiel-fuer-berliner-parochialkirche.html |titolo = Neues Glockenspiel erklingt an Berliner Parochialkirche |lingua = de |urlmorto = sì |accesso = 7 settembre 2017 |urlarchivio = https://web.archive.org/web/20170907171956/http://www.rbb24.de/kultur/beitrag/2016/10/neues-glockenspiel-fuer-berliner-parochialkirche.html |dataarchivio = 7 settembre 2017 }}</ref>
=== Dibattito storiografico sulle intercettazioni ===
Anche sulla base delle intercettazioni, Aurelio Lepre ritiene che – contrariamente a quanto rappresentato dal celebre film ''[[Roma città aperta]]'' di [[Roberto Rossellini]] – la popolazione romana non fu favorevole alla resistenza armata. I critici dell'opera di Lepre giudicano le intercettazioni non indicative dell'opinione pubblica, in quanto all'epoca il telefono era un oggetto di lusso posseduto da poche persone benestanti, le quali sarebbero state consapevoli di essere intercettate, dunque ben attente a non esprimere giudizi contrari alle autorità<ref>{{cita|Portelli 2012|pp. 227 e 425 n}}.</ref>. Ammettendo in via del tutto ipotetica la fondatezza di tale critica, Elisa e [[Alberto Benzoni]] scrivono che, ad ogni modo, nessun autore favorevole all'azione gappista ha mai potuto affermare che essa godette del consenso popolare<ref>{{cita|Benzoni 1999|p. 87 n}}.</ref>.
 
== Caratteristiche ==
== Le reazioni tra i fascisti ==
La chiesa, posta sul lato orientale della Klosterstraße, all'angolo con la Parochialstraße, ha la [[facciata]] sul lato ovest e il [[presbiterio]] sul lato est.
[[Benito Mussolini]] fu informato dell'attentato da una telefonata del prefetto di Roma del 23 marzo, ore 20:10. Alla notizia, datagli dal prefetto, che Mälzer aveva ordinato «la distruzione della città», Mussolini commentò: «Sangue chiama sangue». Esiste l'intercettazione di un'altra telefonata fra il duce e il ministro degli Interni della RSI [[Guido Buffarini Guidi]], in cui il primo afferma l'urgente necessità, da parte del governo fascista, di assumere una posizione ufficiale sull'attentato. Secondo Aurelio Lepre, «Le frasi intercettate e trascritte non sono sufficienti a far ritenere che Mussolini abbia approvato la rappresaglia prima che avvenisse, ma appare molto improbabile che Buffarini Guidi non lo abbia informato»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 31}}.</ref>.
 
Si tratta di un edificio in [[Architettura barocca|stile barocco]] a [[pianta centrale]], con uno spazio interno quadrangolare contornato da quattro [[Abside|absidi]]; nell'abside occidentale si innesta l'[[avancorpo]] d'ingresso, sormontato esternamente da una [[torre]] che contiene il [[Carillon (batteria di campane)|carillon di campane]].
Qualche giorno dopo l'eccidio delle Fosse Ardeatine vi fu un'ulteriore conversazione telefonica fra Mussolini e Buffarini Guidi:
 
Nell'area retrostante è posto il [[cimitero]], anch'esso sotto tutela monumentale,<ref>{{cita web |url = http://www.stadtentwicklung.berlin.de/denkmal/liste_karte_datenbank/de/denkmaldatenbank/daobj.php?obj_dok_nr=09010225 |titolo = Parochialkirchhof mit Einfriedungsmauern, Gitter, Grabstätten, Grabdenkmalen und Mausoleen |lingua = de}}</ref> con molte [[Tomba|sepolture]] dei secoli [[XVIII secolo|XVIII]] e [[XIX secolo|XIX]].
{{citazione|A Roma - disse Buffarini Guidi - prevale la costernazione per l'attentato e per le sue conseguenze. La popolazione parla di "strage perpetrata dai tedeschi".<br>Ma alla domanda di Mussolini se avesse fatto qualcosa contro "questa propaganda psicologica", rispose:<br>- No, duce. A noi la maggioranza della popolazione romana non rimprovera nulla.<br>Mussolini allora affermò, molto decisamente:<br>- È falso, signor ministro. Anche ai tedeschi non si può rimproverare nulla. La rappresaglia è legale, è sanzionata dal diritto internazionale<ref>{{cita|Lepre 1996|pp. 42-3}}.</ref>.}}
 
== Le reazioni tra i combattenti e gli antifascisti ==
[[Bandiera Rossa (movimento)|Bandiera Rossa]] (che fu la formazione più colpita dalla strage delle Fosse Ardeatine, con un numero di propri militanti uccisi variabile a seconda delle fonti da cinquantadue a sessantotto) criticò l'attentato sul suo bollettino ''Direttive rivoluzionarie'' del 29 marzo: «L'atto terroristico non appartiene alla strategia marxista... la morale del proletariato, costretto dalla durissima via rivoluzionaria a non sciupare energie ma a spenderle nel modo più redditizio, afferma: che ogni atto rivoluzionario deve tener conto delle conseguenze immediate e future»; aggiungendo: «noi non possiamo sapere cosa fanno i comunisti del PCI pur di farsi riconoscere da [[Radio Londra]]»<ref>{{cita|Benzoni 1999|pp. 59-60 n}}.</ref>. Secondo quanto riferito da [[Felice Chilanti]], uno dei capi del movimento, Bandiera Rossa inviò inoltre un comunicato di dissociazione al comando tedesco<ref name="Fertilio">{{cita news|[[Dario Fertilio]]|http://archiviostorico.corriere.it/1998/marzo/17/Via_Rasella_perche_trotzkisti_dissero_co_0_98031713116.shtml|Via Rasella: perché i trotzkisti dissero no|Corriere della Sera|17 marzo 1998}}</ref>.
 
Nel suo diario [[Fulvia Ripa di Meana]], attiva con il figlio [[Carlo Ripa di Meana|Carlo]] nella Resistenza, definisce gli attentatori «elementi irresponsabili di cui tutti, compresi i patrioti, deplorano l'inaspettata iniziativa»<ref>{{cita|Benzoni 1999|p. 52 n}}.</ref>. Il 4 aprile il giornale della resistenza militare ''L'Italia nuova'', attribuendo l'attentato a elementi non italiani, ipotizzando che fosse stato compiuto da un gruppo di sabotatori stranieri nascosto a Roma, commentò:
 
{{citazione|Per Roma intera la deplorazione dell'attentato di Via Rasella è stata unanime; perché assolutamente irrilevante ai fini della guerra contro i tedeschi nella quale il nostro Paese è impegnato; perché insensato dato che il maggior danno ne sarebbe inevitabilmente derivato alla popolazione italiana; per quell'ampio senso di umanità che distingue noi latini e che non si estingue neppure durante gli orrori di una guerra e per il quale ogni inutile strage non può trovare la sua giustificazione nell'odio, ma solo nella necessità. Per la prima volta dall'8 settembre, i tedeschi avevano segnato un punto, ed avuto dalla loro l'opinione pubblica della Capitale<ref>Enzo Piscitelli, ''Storia della Resistenza romana'', Laterza, Bari 1965, p. 304 n. La citazione completa è tratta da {{cita news|[[Beppe Niccolai]]|http://www.beppeniccolai.org/RN81.htm#9_aprile_1981|Rosso e Nero|Secolo d'Italia|9 aprile 1981}}</ref>.}}
 
Il commento del ministro della Guerra del governo Badoglio [[Antonio Sorice]], operante clandestinamente a Roma, è riportato in libro del 1945 basato sul diario della sua collaboratrice Jo' Di Benigno<ref>Pseudonimo di Jolanda Carletti (1902-1983), moglie del generale Roberto Olmi, all'epoca comandante della 209ª Divisione ausiliaria dell'[[Esercito Cobelligerante Italiano]].</ref>: «La vita perduta del solo Montezemolo basta a condannare il gesto». Jo' Di Benigno scrive inoltre: «Era ormai cosa nota a tutti che per ogni tedesco ucciso, dieci italiani venivano sacrificati. L'attentato di via Rasella non ha nulla di glorioso, non portò nessun vantaggio, non diè il segno di una insurrezione, fu una mossa infelice»; secondo l'autrice «l'attentatore aveva il dovere di consegnarsi» per tentare di salvare la vita dei prigionieri, seguendo l'esempio del carabiniere [[Salvo D'Acquisto]]<ref>Jo' Di Benigno, ''Occasioni mancate. Roma in un diario segreto 1943-1944'', Roma, Edizioni S.E.I., 1945, pp. 234-5. In realtà Salvo D'Acquisto non "si consegnò" ai tedeschi: era già loro prigioniero, e stava per essere fucilato assieme ad altri ostaggi, quando decise di autoaccusarsi per scagionare questi ultimi.</ref>.
 
L'agente segreto americano [[Peter Tompkins]], attivo a Roma al momento dell'attentato, di cui venne a conoscenza soltanto dopo la sua esecuzione, pur essendo in contatto con vari capi della Resistenza romana (Amendola, [[Giuliano Vassalli]], [[Riccardo Bauer]]), nella sua autobiografia pubblicata nel 1962 scrisse: «La prima cosa che pensammo fu che non c'era nessuna utilità nell'uccisione di trenta poliziotti militari tedeschi. Perché piuttosto non avevano rischiato la pelle in un assalto a via Tasso? perché non avevano scelto come bersaglio Kappler e la sua banda di macellai? Chissà quale sarebbe stata adesso la reazione dei tedeschi: di certo non era un buon auspicio per il movimento clandestino della città. Quello che ci rattristò di più fu l'ottima esecuzione e la precisione dell'attacco, la cui organizzazione appariva vicina alla perfezione!»<ref>Peter Tompkins, ''Una spia a Roma'', Milano, Il Saggiatore [1962], 2002, p. 237.</ref>.
 
[[Edgardo Sogno]], partigiano monarchico di idee anticomuniste, approvò l'attacco: «la notizia di Via Rasella fu per noi [i [[partigiani autonomi]]] un momento di esultanza. E neanche la feroce repressione che seguì mi fece cambiare idea, anzi. Davo lo stesso giudizio dei comunisti: bisognava provocare i tedeschi, perché ogni loro reazione non farà che isolarli sempre più»<ref>Edgardo Sogno, [[Aldo Cazzullo]], ''Testamento di un anticomunista. Dalla Resistenza al golpe bianco'', Mondadori, Milano 2000, p. 177.</ref>.
 
Il giurista liberale [[Piero Calamandrei]], padre del gappista di via Rasella Franco, a metà del 1944 riportò nel proprio diario un'opinione da lui attribuita all'amico [[Pietro Pancrazi]] secondo cui il coraggio per compiere gli attentati contro tedeschi e fascisti sarebbe stato «molto simile a quello dei criminali, non dei soldati in campo», ossia un coraggio da deboli che avrebbe rivelato «il disprezzo per l'individuo, proprio dei partiti di massa». In seguito, quando con i processi del dopoguerra iniziarono le polemiche su via Rasella, Piero Calamandrei si schierò dalla parte dei gappisti<ref>{{cita news|Simonetta Fiori|http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/03/06/lite-in-casa.html|Lite in casa|la Repubblica|6 marzo 2008}} L'articolo di Simonetta Fiori è una recensione della raccolta di scritti di Piero e Franco Calamandrei, ''Una famiglia in guerra: lettere e scritti (1939-1956)'', a cura di Alessandro Casellato, Laterza, Roma-Bari 2008. La recensione si riferisce a un passo dell'introduzione in cui il curatore, Alessandro Casellato, afferma che Piero Calamandrei condivise tale opinione di Pietro Pancrazi.</ref>.
 
[[Pietro Ingrao]], all'epoca partigiano comunista, informato dell'azione gappista il giorno stesso da Carlo Salinari, nel suo libro di memorie scrive: «Non ebbi mai – né allora, né dopo – dubbi sulla legittimità di quell'attacco partigiano. Non pensai mai che quei gappisti dovessero consegnarsi al nemico. Ormai era forte in noi la convinzione sulla totalità dello scontro e sulla connotazione del nemico: tale era il livello della vicenda in cui eravamo chiamati ad operare. Né c'era alcuna speranza di eludere quella prova»<ref>Pietro Ingrao, ''Volevo la luna'', Einaudi, Torino 2006, pp. 139-40.</ref>.
 
== La posizione della Santa Sede ==
=== Il comunicato de ''L'Osservatore Romano'' ===
[[File:Papa Pio XII Eugenio Pacelli.jpg|thumb|upright|[[Papa Pio XII]]]]
 
Il 26 marzo ''[[L'Osservatore Romano]]'' pubblicò il comunicato tedesco che annunciava l'attentato e l'avvenuta rappresaglia, facendolo seguire dal seguente commento non firmato:
 
{{citazione|Di fronte a simili fatti ogni animo onesto rimane profondamente addolorato in nome dell'umanità, e dei sentimenti cristiani. Trentadue vittime da una parte: trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all'arresto, dall'altra. Ieri rivolgemmo un accorato appello alla serenità e alla calma; oggi ripetiamo lo stesso invito con più ardente affetto, con più commossa insistenza. Al di fuori, al di sopra delle contese, mossi soltanto da carità cristiana, da amor di patria, da equità verso tutti i "fatti a sembianza d'uomo" e "figli d'un solo riscatto"; dall'odio ovunque nutrito, dalla vendetta ovunque perpetrata, aborrendo dal sangue dovunque sparso, consci dello stato d'animo della cittadinanza, persuasi del fatto che non si può, non si deve spingere alla disperazione ch'è la più tremenda consigliera ma ancora la più tremenda delle forze, invochiamo dagli irresponsabili il rispetto per la vita umana che non hanno il diritto di sacrificare mai; il rispetto dell'innocenza che ne resta fatalmente vittima; dai responsabili la coscienza di questa loro responsabilità verso se stessi, verso le vite che vogliono salvaguardare, verso la storia e la civiltà.<ref>Citato in: {{cita|Bocca 1996|pp. 293-4}}.</ref>}}
 
Secondo quanto affermato nelle memorie del direttore dell'organo di stampa vaticano [[Giuseppe Dalla Torre (giornalista)|Giuseppe Dalla Torre]], autore della nota, il testo fu modificato per attenuarne il biasimo verso il massacro:
 
{{citazione|Avvenuta l'infamia delle Fosse Ardeatine, io, deplorando l'attentato di via Rasella, protestai vibratamente contro la sanguinosa vendetta. Ma la nota fu riveduta e ridotta alla sua parte di biasimo generale contro sì tragiche violenze, perché dopo la bomba gettata in via Rasella, non seguissero altre vendette atroci; si temeva di peggiorare una situazione gravissima<ref>Giuseppe Dalla Torre, ''Memorie'', Milano, Mondadori, 1965, p. 160.</ref>.}}
 
Alcuni autori hanno espresso forti critiche verso il comportamento tenuto dalla Santa Sede circa i fatti del 23 e 24 marzo. Osserva [[Giorgio Bocca]]: «L'appello, per quanto non firmato da [[Pio XII]], ne rispecchia il pensiero reazionario. Il foglio ufficiale della Santa Sede esprime la sua condanna della violenza separando – nella Roma dell'occupazione nazista! – le "vittime" (i tedeschi) dai "colpevoli" (i partigiani), gli "irresponsabili" (i capi della Resistenza) dai "responsabili" (i comandi tedeschi e fascisti); e fa sua, volendolo o meno, la tesi fascista e attesista della "strage degli innocenti": dimenticando che la legalità dei "responsabili" a cui si appella è la medesima che sta sterminando sei milioni di ebrei innocenti, fatto di cui il Santo padre, nel marzo 1944, è perfettamente al corrente. Senza dire che via Tasso e i suoi orrori sono a due passi dai sacri palazzi»<ref>{{cita|Bocca 1996|p. 294}}.</ref>.
 
Secondo [[Aurelio Lepre]] l'"Osservatore Romano", col formulare l'accusa agli attentatori di «non essersi presentati al comando tedesco per evitare la fucilazione degli ostaggi», compì una «scelta di campo»; tuttavia, commenta Lepre, tale accusa «era del tutto inconsistente (...), perché, se anche avessero voluto consegnarsi ai tedeschi, gli attentatori non ne avrebbero avuto il tempo»<ref>{{cita|Lepre 1996|pp. 46-7}}.</ref>.
 
[[Alessandro Portelli]] ritiene che l'editoriale costituisca un "testo esemplare e fondante" di un'interpretazione dell'attentato di via Rasella destinata ad avere grande fortuna nel dopoguerra. Scrive infatti Portelli: «Di chi sia la colpa che rende necessario il sacrificio non c'è dubbio: i "colpevoli sfuggiti all'arresto". L'"Osservatore Romano" dunque lascia intendere che i nazisti cercarono i "colpevoli" prima di decidersi al massacro; né sono a conoscenza di rettifiche, precisazioni o smentite successive. Nasce qui lo spostamento della colpa sui vili partigiani che sono andati a nascondersi lasciando ("irresponsabili") al loro destino le vittime della rappresaglia. Oltre alla destra politica, saranno proprio organi e fonti vicini alla Chiesa e al mondo cattolico, a partire dai [[Comitati civici]], a rilanciare nel corso degli anni questa versione, fino a farla penetrare nelle vene dell'immaginazione comune, contribuendo così ad avvelenare la memoria dell'evento, e con essa quella della resistenza, dell'identità e delle origini della repubblica. Che è poi il vero successo a lungo termine della rappresaglia nazista»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 11}}.</ref>.
 
Al contrario, secondo [[Enzo Forcella]], essendo la condanna della violenza all'interno del centro urbano un caposaldo della politica vaticana, «non può scandalizzare» che l'editoriale definisse "colpevoli" gli attentatori e si rammaricasse per la loro mancata cattura. Forcella scrive inoltre che «per quanto infelice, non c'era nulla in quel testo che autorizzasse a leggervi una deplorazione per il fatto che non si fossero presentati spontaneamente», come notò in quei giorni anche il segretario socialista [[Pietro Nenni]] (tra gli antifascisti a cui la Chiesa dava rifugio nel [[Pontificio Seminario Romano Maggiore|Seminario Maggiore]] presso la [[Basilica di San Giovanni in Laterano]]<ref>Sul riparo offerto dalla Santa Sede agli antifascisti, si veda {{cita web|url=http://www.gliscritti.it/blog/entry/2280|titolo=La scelta di accogliere. [Nenni, De Gasperi, Bonomi, Saragat, Calamandrei, Giangiacomo Feltrinelli, il generale Bencivenga, rifugiati nel Seminario Maggiore di Roma durante l'occupazione nazista negli anni 1943-1944], di Carlo Badalà|sito=gliscritti.it}}</ref>), il quale commentò in modo sostanzialmente positivo l'intervento evidenziandone l'ammonimento ai tedeschi («non si può, non si deve spingere alla disperazione ch'è la più tremenda consigliera ma ancora la più tremenda delle forze»)<ref>{{cita|Forcella 1999|p. 154}}.</ref>.
 
La posizione del Vaticano, secondo cui attentato e rappresaglia costituivano entrambi atti esecrabili, fu ribadita anche nel dopoguerra: in un volume dell'''[[Enciclopedia cattolica]]'' edito nel 1953 si parla di «duplice massacro di via Rasella e delle Fosse ardeatine»<ref>{{cita|Staron 2007|p. 58}}.</ref>.
 
=== La controversia sulla possibilità di un intervento papale ===
[[File:PancrazioPfeifferROMA1933.jpg|thumb|left|upright|Padre [[Pancrazio Pfeiffer]], spesso intervenuto con successo presso i tedeschi per salvare dei prigionieri]]
 
Nel 1967 il giornalista americano [[Robert Katz]] pubblicò il libro ''Death in Rome'' (pubblicato in Italia l'anno succesivo da [[Editori Riuniti]] come ''Morte a Roma''), nel quale si accusava Pio XII di essere a conoscenza dell'intenzione tedesca di compiere l'eccidio e di non essere intervenuto per impedirlo, pur avendo concrete possibilità di intercedere efficacemente. Il libro si inseriva nella [[Pio XII e l'Olocausto|più ampia controvesia]], sollevata cinque anni prima dall'opera teatrale ''[[Il Vicario]]'', sul generale atteggiamento del pontefice verso la Germania nazista e lo sterminio degli ebrei. Secondo Katz, dopo l'attentato di via Rasella il diplomatico e colonnello delle SS [[Eugen Dollmann]] si era recato dal padre [[Società del Divin Salvatore|salvatoriano]] bavarese [[Pancrazio Pfeiffer]] (intermediario tra il Vaticano e i tedeschi), affinché informasse papa Pacelli del suo piano per evitare la rappresaglia, che prevedeva la celebrazione di un grandioso funerale per i soldati uccisi. Il giornalista americano scrive dunque che il massacro fu l'esito dell'indifferenza del pontefice:
 
{{citazione|Nella Città Santa, fra quanti erano in grado di intervenire, la fonte del sentimento umanitario si era inaridita. Non era necessario un miracolo per salvare i 335 uomini condannati nelle Cave Ardeatine. C'era un uomo che avrebbe potuto, anzi che avrebbe dovuto agire almeno per ritardare il massacro. Quest'uomo è Pio XII: è difficile non arrivare alla conclusione che egli non fece nulla per tentare di impedirlo. In altre parole, bisogna concludere che papa Pio XII scelse di rimanere passivo, pur essendo pienamente consapevole che un suo intervento avrebbe forse scongiurato la rappresaglia<ref>Citato in: [[Antonio Spinosa]], ''Pio XII. Un papa nelle tenebre'', Milano, Mondadori, 2004, p. 379.</ref>.}}
 
In un altro passaggio del libro si afferma che il Vaticano aveva tenuto verso la strage un «silenzio grottesco»<ref>{{cita|Perra 2008|p. 170}}.</ref>. La fonte indicata da Katz era un'intervista da lui fatta a Dollmann nel 1965. Tuttavia, nel proprio libro di memorie ''Roma nazista'' pubblicato nel 1949, Dollmann aveva scritto di essere stato volutamente tenuto all'oscuro delle modalità della rappresaglia da parte dei comandi militari, i quali temevano che egli, per motivi «di carattere umanitario e politico», sarebbe intervenuto per evitare il massacro rivolgendosi al console generale [[Eitel Friedrich Moellhausen]] e all'ambasciatore presso il Vaticano [[Ernst von Weizsäcker]], e che Dollmann e Moellhausen avrebbero mobilitato allo scopo anche i rispettivi superiori [[Karl Wolff]] e [[Rudolf Rahn]]. Inoltre nel 1967 Dollmann dichiarò:
 
{{citazione|Il signor Katz, che io conosco molto bene, deve avermi capito male. Io dissi soltanto che non sapevo se il Papa lo sapesse in anticipo. Sono assolutamente sicuro che il Papa sarebbe intervenuto come egli fece per fatti assai meno importanti, se gli si fosse parlato a tempo del piano dei militari<ref>Citato in: {{cita|Graham 1973|p. 471}}.</ref>.}}
 
Di nuovo nel 1972, Dollmann affermò:
 
{{citazione|Ovviamente nel corso della notte tra il 23 e il 24 marzo e nella mattinata del 24 stesso voci sempre più insistenti di una rappresaglia tedesca avevano raggiunto il Vaticano; ma non è affatto accertato che Pio XII sia stato informato personalmente sulle Fosse Ardeatine; in ogni caso, certamente non da padre Pfeiffer, il quale dalla sera del 23 marzo non aveva più notizie da me, per il semplice fatto che nemmeno io ne avevo<ref>Citato in: {{cita|Graham 1973|pp. 471-472}}</ref>.}}
 
[[File:Rappresaglia 1973 - Pfeiffer e Dollmann.jpg|thumb|La controversa scena del colloquio tra padre Pancrazio ([[Robert H. Harris]]) e il colonnello delle SS [[Eugen Dollmann]] ([[John Steiner]]) nel film ''[[Rappresaglia (film 1973)|Rappresaglia]]'']]
 
Da ''Morte a Roma'' fu tratto il film del 1973 ''[[Rappresaglia (film 1973)|Rappresaglia]]'', diretto da [[George Pan Cosmatos]] e prodotto da [[Carlo Ponti]]. Il film, alla cui sceneggiatura contribuì anche Katz, riprendeva la ricostruzione storica del libro, fungente da sfondo all'azione del personaggio inventato di padre Antonelli (interpretato da [[Marcello Mastroianni]]) che tenta ostinatamente, ma invano, di sollecitare un intervento vaticano per impedire l'imminente strage. Compreso che il pontefice sarebbe rimasto inerte, Antonelli decide infine di condividere la sorte dei condannati a morte<ref>{{cita|Perra 2008|p. 170}}.</ref>. Seguendo ''Morte a Roma'', anche il film accredita la versione che vuole Pio XII informato delle intenzioni tedesche da padre Pancrazio, il quale è messo al corrente da Dollmann delle modalità della rappresaglia e di un piano per evitarla che prevede l'indispensabile coinvolgimento del papa.
 
La narrazione degli eventi offerta dal film suscitò dure reazioni da parte vaticana. Lo storico Robert A. Graham, padre gesuita, contestò diversi punti della tesi di Katz alla base della scenografia. La raffigurazione di padre Pfeiffer è ritenuta da Graham «molto indadeguata e falsificata», non essendo illustrata l'attività che il religioso salvatoriano (grazie alla libertà di movimento derivantegli dall'essere tedesco ed ex compagno di scuola del generale [[Kurt Mälzer]], comandante militare di Roma) svolgeva, per conto di Pio XII, in favore dei prigionieri di via Tasso e Regina Coeli; attività vanificata allorché l'attentato di via Rasella spinse i tedeschi a vuotare improvvisamente le prigioni per destinare i detenuti alla rappresaglia (dalle carte di padre Pfeiffer risultano interventi in favore di ventuno vittime dell'eccidio). In riferimento alla posizione elogiativa verso i partigiani di via Rasella del libro di Katz, Graham conclude: «è una strana forma di indignazione morale quella di addossare a papa Pio XII la responsabilità di non aver fermato il massacro delle Fosse Ardeatine, mentre si lodano coloro il cui discutibile atto portò alla tragedia»<ref>{{cita|Graham 1973|p. 474}}.</ref>.
 
Otto Vinatzer, all'epoca avvocato difensore dei prigionieri dinanzi al tribunale di guerra tedesco, in una lettera inviata nel 1973 alla redazione de ''[[l'Espresso]]'', scrisse che dopo l'attentato Pfeiffer gli aveva riferito «che aveva già avuto l'incarico di sondare gli umori dei comandi tedeschi e di invitarli alla calma ed alla comprensione, onde non cadere nel tranello teso loro dagli attentatori, ai quali non interessava l'uccisione di una trentina di vecchi piantoni, ma che volevano provocare l'inevitabile rappresaglia tedesca, onde costruire a Roma [...] un momento di odio antitedesco, perenne»<ref>Citato in: {{cita news|Giovanni Preziosi|http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/071q01.pdf|E padre Pancrazio allargò le braccia|L'Osservatore Romano|25-26 marzo 2013|p=4}}</ref>.
 
=== Il processo per diffamazione ===
Nel 1974 la nipote di papa Pacelli, Elena Rossignani, su iniziativa di un "Comitato Pio XII" presieduto dall'avvocato ed ex deputato democristiano [[Agostino Greggi]]<ref name=scottoni1976>{{cita news|Franco Scottoni|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1976_07/19760707_0007.pdf|Da rivedere il processo per «Morte a Roma» di Robert Katz|l'Unità|7 luglio 1976}}</ref>, querelò per diffamazione Katz, Cosmatos e Ponti, ritenendo sia il libro che il film gravemente lesivi della reputazione del pontefice. Chiamato a deporre, Katz ribadì di aver saputo da Dollmann che il papa era al corrente dell'intenzione dei comandi tedeschi di compiere il massacro. Dollmann negò ancora una volta di aver reso tali dichiarazioni a Katz<ref>{{cita news|Guido Guidi|http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,10/articleid,1112_01_1974_0089_0010_16391893/|L'imputato spiega l'accusa a Pio XII|La Stampa|24 aprile 1974}}</ref> e in seguito, interrogato per [[rogatoria]] a [[Monaco di Baviera]], confermò di essere sicuro che Pio XII «non sapeva nulla» altrimenti «sarebbe certamente intervenuto», definendo inoltre «falso e assurdo» quanto rappresentato dal film circa il suo colloquio con padre Pancrazio<ref>{{cita news|Tino Sansa|http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/Itemid,3/action,viewer/page,16/articleid,1109_01_1975_0249_0016_21439256/|Dollmann testimonia su Pio XII e Ardeatine|La Stampa|28 ottobre 1975}}</ref>. Anche a [[Herbert Kappler]], interrogato nel carcere militare di [[Gaeta]] in cui stava scontando l'ergastolo, fu chiesto se il papa fosse informato dei propositi tedeschi, ma l'ex comandante delle SS a Roma non confermò né smentì, limitandosi a ribadire quanto già dichiarato nel processo a suo carico, ossia che non c'era stato alcun intervento di padre Pfeiffer presso di lui e che ad ogni modo non avrebbe sortito alcun effetto: «avrebbe dovuto rivolgersi molto più in alto di me»<ref>{{cita news|Guido Guidi|http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,1114_01_1974_0236_0011_16276915/|L'ex SS Kappler tace ancora|La Stampa|20 ottobre 1974}}</ref>.
 
Il giudizio di primo grado innanzi al tribunale di Roma si concluse con una condanna a un anno e due mesi di reclusione, oltre a una multa di 500 mila lire, per Katz e a sei mesi per Cosmatos e Ponti<ref>{{cita news|Franco Scottoni|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1975_11/19751128_0006.pdf|Grave condanna contro lo scrittore Robert Katz|l'Unità|28 novembre 1975}}</ref>. Secondo il tribunale, dalle testimonianze e dai documenti esaminati «prorompe e s'impone un'unica verità: che, cioè, il Pontefice nulla sapeva nelle ore che precedevano il Calvario delle Ardeatine dell'ordine di rappresaglia e delle sue modalità di esecuzione»<ref>Tribunale di Roma, sent. 27 novembre 1975, n. 127, pubblicata in ''Giurisprudenza di merito'', Giuffré Editore, 1976, p. 175.</ref>. La sentenza suscitò le critiche di diverse personalità di sinistra, secondo cui i giudici, di per sé stessi incompetenti a esprimere valutazioni storiografiche, avevano leso il diritto di critica storica applicando in senso anticostituzionale il «codice fascista» ancora in vigore<ref>[[Alessandro Galante Garrone]] scrisse che, pur essendo la tesi di Katz «discutibile», non fosse compito di un tribunale valutare le ricostruzioni storiografiche: «Non è mai a colpi di sentenze che può stabilirsi la "verità" della storia; ma solo sul terreno della discussione libera e aperta». Cfr. {{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1632_04_1975_0007_0003_25865456/|Pio XII e i giudici|Tutto libri|13 dicembre 1975}} Nella stessa pagina un breve intervento di [[Giulio Andreotti]] in favore di Pio XII (''fu il difensore della libertà'') e un più lungo articolo di [[Umberto Terracini]] (''sentenza temeraria che offende la Costituzione'') anch'esso critico verso la decisione dei giudici, ritenuta conseguenza di un'applicazione anticostituzionale dei «codici fascisti», dei quali si auspica la riforma o comunque un'interpretazione costituzionalmente orientata da parte dei magistrati.</ref>. Inoltre, essendosi fatto riferimento nel corso delle udienze a «responsabilità morali» dei gappisti, ''l'Unità'' vide nel processo «una campagna contro la Resistenza e le conquiste democratiche»<ref>{{cita news|Franco Scottoni|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1975_11/19751129_0005.pdf|Quando un magistrato giudica di storia|l'Unità|29 novembre 1975}}</ref><ref name=scottoni1976/>.
 
In seguito al ricorso in appello, nel 1978 gli imputati ottennero l'assoluzione. La sentenza della corte d'appello di Roma recita: «Uno storico, dopo aver esposto senza faziosità e con argomenti non inattendibili le ragioni del suo convincimento, ha il diritto di osservare che Papa Pacelli, non intervenendo per impedire o evitare la rappresaglia nazista, attuò una scelta politica da condannare». D'altronde «il mancato intervento di Pio XII (per evitare la strage delle Fosse Ardeatine) è un fatto indiscusso»<ref>Citato in: {{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1978_10/19781004_0011.pdf|Perché criticare un Papa non può essere un reato|l'Unità|4 ottobre 1978}}</ref>. Contro tale pronuncia la procura generale ricorse alla corte di cassazione, la quale annullò la sentenza con rinvio alla corte d'appello relativamente a ''Morte a Roma'' di Katz, mentre per ''Rappresaglia'' di Cosmatos e Ponti dispose l'annullamento senza rinvio, confermando quindi la condanna in primo grado<ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1979_10/19791020_0005.pdf|Nuovo processo a Katz per «Morte a Roma»|l'Unità|20 ottobre 1979}}</ref>. Il nuovo giudizio di Katz in corte d'appello si concluse con una condanna a un anno e un mese di reclusione e a 400 mila lire di multa<ref>{{cita news||http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,2/articleid,1052_01_1981_0156_0002_15167459/|Condannato Robert Katz. Diffamò Papa Pacelli nel libro «Morte a Roma»|La Stampa|3 luglio 1981}}</ref><ref>Per un'analisi giuridica del caso, si veda ''[http://www.difesadellinformazione.com/84/morte-a-roma/ Morte a Roma]'', su ''difesadell'informazione.com''.</ref>.
 
Secondo quanto riportato dallo stesso Katz nel suo libro ''Roma città aperta'', il caso si concluse con un'ulteriore pronuncia della suprema corte, la quale su suo ricorso annullò la sentenza di condanna e archiviò il caso, applicando un'[[amnistia]] risalente al 1970 che aveva estinto il reato. La corte lasciò comunque aperta ai familiari di Pio XII la possibilità di un'azione civile per danni, che tuttavia gli interessati decisero di non intraprendere<ref>{{cita|Katz 2009|p. 397}}.</ref>.
 
=== Il documento 115 degli ADSS ===
Nel 1980 furono pubblicati, per i tipi della casa editrice ufficiale vaticana, gli "Atti e documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale" (ADSS). Da uno dei documenti d'archivio vaticani raccolti, il numero 115, risulta che un non meglio identificato «Ing. Ferrero, del Governatorato di Roma», informò dell'attentato la [[Segreteria di Stato della Santa Sede]] il 24 marzo alle ore 10:15 (circa cinque ore prima dell'inizio del massacro delle Fosse Ardeatine), comunicando: «finora sono sconosciute le contromisure: si prevede però che per ogni tedesco ucciso saranno passati per le armi 10 italiani»<ref>{{cita|ADSS|doc. 115, Notes de la Secrétairerie d'Etat, ''Récit de l'attentat de la Via Rasella. Contremesures encore incertaines'', pp. 189-190}}.</ref>.
 
Nell'introduzione al decimo volume degli ADSS, i curatori dell'opera (tra cui padre Graham) ribadiscono la disapprovazione verso l'attentato espressa a suo tempo da "L'Osservatore Romano": i caduti del "Bozen" sono definiti «membri non di un'unità combattente, ma riservisti di un battaglione di polizia, reclutato in Tirolo e in Alto Adige per sorvegliare gli edifici pubblici», mentre l'attentato è ritenuto «una provocazione deliberata» e «un'azione isolata, intrapresa all'insaputa del Comitato di Liberazione Nazionale», convinto nel suo insieme come Pio XII «che non serviva a nulla gettare Roma nella mischia». In conclusione, per i curatori degli ADSS: «È sicuro che l'attentato di via Rasella era un duro colpo alla strategia diplomatica intrapresa da Pio XII per preservare Roma dalla rovina e dal caos. Nel corso dei mesi, egli aveva fatto pressioni sulle autorità tedesche affinché usassero moderazione e aveva ottenuto di calmare l'impazienza dei romani. Cosa potrebbe [fare] un emissario del Papa presso i tedeschi dopo il sangue versato in via Rasella? L'attentato di via Rasella comprometteva dunque tanto la politica del Papa quanto il prestigio delle autorità tedesche»<ref>{{cita|ADSS|pp. 11-12}}.</ref>.
 
== La posizione del CLN ==
=== I contrasti nella giunta militare ===
{{Doppia immagine|right|Giorgio Amendola 1948.jpg|145|Giuseppe Spataro 1948.jpg|150|[[Giorgio Amendola]] e [[Giuseppe Spataro]], rappresentanti rispettivamente di PCI e DC nella giunta militare, protagonisti di un'«aspra discussione» sull'opportunità che il CLN rivendicasse l'attentato o al contrario se ne dissociasse}}
 
I membri della giunta militare del CLN centrale erano:
 
* [[Giorgio Amendola]] (Partito Comunista Italiano)
* [[Riccardo Bauer]] (Partito d'Azione)
* [[Manlio Brosio]] (Partito Liberale Italiano)
* [[Mario Cevolotto]] (Democrazia del Lavoro)
* [[Sandro Pertini]] (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria)
* [[Giuseppe Spataro]] (Democrazia Cristiana)
 
La giunta si riunì nel pomeriggio del 26 marzo, nel bel mezzo della crisi che il CLN attraversava da febbraio e che, proprio la mattina del 24 marzo, aveva spinto il suo presidente [[Ivanoe Bonomi]] a rassegnare le dimissioni, a causa delle liti intestine tra le correnti di destra e di sinistra e del sospetto che quest'ultime stessero preparando un governo rivoluzionario<ref>[[Luigi Cortesi]], ''[http://www.treccani.it/enciclopedia/ivanoe-bonomi_%28Dizionario-Biografico%29/ Bonomi, Ivanoe]'', [[Dizionario Biografico degli Italiani]], vol. 12, 1971.</ref><ref>{{cita|Katz 2009|p. 300}}.</ref>. Amendola ricostruì l'andamento della riunione in due occasioni: in un'intervista del 1965 per il libro di Robert Katz ''Morte a Roma'' (1967) e nel proprio libro di memorie ''Lettere a Milano'' (1973)<ref name=amendola1973>{{cita|Amendola 1973|pp. 295-6}}.</ref>. Inoltre, Amendola aveva scritto della vicenda anche nel 1964 in una lettera privata al politico radicale [[Leone Cattani]], per rettificare un'intervista<ref>Pubblicata sul numero speciale della rivista ''[[Capitolium (rivista)|Capitolium]]'' dedicato a "Roma città aperta", anno 39, n. 6, giugno 1964.</ref> in cui quest'ultimo aveva sostenuto di aver saputo da Brosio che, durante la riunione della giunta, l'attentato era stato deprecato dallo stesso rappresentante comunista. La lettera fu rinvenuta dallo storico [[Renzo De Felice]] e pubblicata solo nel 1997<ref name=amendola-cattani>[http://www.larchivio.org/xoom/rasellaamendola.htm ''Lettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella''], 12 ottobre 1964, pubblicata per la prima volta in {{cita|De Felice 1997|Appendice, pp. 562-566}}, consultabile sul sito dell'Associazione Italiana Autori Scrittori Artisti "L'Archivio".</ref>.
 
La versione più dettagliata è quella del 1973:
 
{{citazione|io chiesi che il CLN approvasse l'azione di via Rasella e proclamasse il suo sdegno per la vigliacca rappresaglia, invitando i patrioti a continuare con maggiore decisione la lotta. Spataro si oppose all'accoglimento di questa richiesta, e anzi propose che si votasse un ordine del giorno che separasse le responsabilità del CLN, affermando che l'azione si era svolta a sua insaputa. Nacque un'aspra discussione. Io contestai le affermazioni di Spataro. La direttiva di colpire il nemico con ogni mezzo e dovunque era stata data più volte dal CLN. Noi non avevamo fatto altro che eseguire queste direttive. Spettava poi ad ogni formazione scegliere gli obiettivi e preparare il piano delle operazioni, e queste dovevano essere circondate, per necessità cospirativa, dal massimo silenzio. Pretendere la comunicazione preventiva dei piani operativi voleva dire stroncare ogni possibilità di azione. In questo caso noi comunisti – dichiarai fermamente – saremmo costretti a prendere la nostra libertà d'azione, anche a costo di uscire dal CLN. Nessuno aveva mai richiesto che fossero comunicate alla giunta le date e le modalità delle azioni. Quello che dovevamo fare era constatare se l'azione rientrava o no nelle linee indicate dalla giunta e nessuno poteva affermare che l'azione di via Rasella fosse fuori dalla linea del CLN. Pertini, pur borbottando perché ancora furioso per non essere stato messo al corrente del progetto dell'azione di riserva, concordava sulla impossibilità di informare la giunta dei piani operativi delle singole formazioni. Bauer sostenne senz'altro le mie posizioni. Ma l'aiuto più efficace e meno atteso mi venne, in quella occasione, dal rappresentante del partito liberale, Manlio Brosio, che disse di comprendere il travaglio di chi aveva assunto la responsabilità di quell'azione per le conseguenze che aveva determinato, e di volere rispettare questo travaglio e non aggravarlo con critiche inopportune. Perciò respingeva la proposta di Spataro di votare un ordine del giorno di separazione delle responsabilità. Respinta, quindi, quella proposta, io non insistetti per ottenere l'approvazione di un ordine del giorno di assunzione di responsabilità nell'azione di via Rasella da parte del CLN. Dichiarai, con una certa indignazione: "Se non volete prendere questa responsabilità, ce la prenderemo noi comunisti con fierezza, come del resto ci spetta"<ref name=amendola1973/>.}}
 
La versione resa precedentemente a Robert Katz è sensibilmente diversa: la richiesta di una sconfessione da parte del CLN è attribuita a «un elemento dell'ala destra», mentre Spataro si sarebbe limitato a proporre che ogni futura azione avrebbe dovuto essere approvata dalla giunta. Brosio, intervistato anch'esso da Katz, che gli chiese di confermare la versione di Amendola, rispose: «Ricordo che questi argomenti furono discussi nella nostra riunione della Giunta militare del Cln. Ma non posso ricordare quale fu la mia posizione su questo punto. Con Giorgio Amendola talvolta eravamo d'accordo e talvolta no»<ref>{{cita|Forcella 1999|pp. 167-8}}. Secondo l'autore, Brosio «fece chiaramente capire di non voler rispondere».</ref>. Nella sua autobiografia pubblicata postuma nel 1987, il rappresentante del Partito d'Azione Riccardo Bauer scrisse: «Nella giunta altissime furono da parte dei democristiani e dei liberali le voci di riprovazione per un'azione che aveva avuto come conseguenza le Fosse Ardeatine [...] Con difficoltà io, coi rappresentanti socialisti, riuscii a impedire che uscisse una sconfessione di quell'azione e anzi a strappare il riconoscimento della legittimità dell'azione stessa quale episodio di guerra»<ref>{{cita news|[[Arturo Colombo]]|http://archiviostorico.corriere.it/1996/settembre/18/Bauer_dimenticato_co_0_96091812784.shtml|Bauer dimenticato|Corriere della Sera|18 settembre 1996}}</ref>. Non si conosce la versione dei fatti di Spataro, il quale nel suo libro sull'attività della DC nella Resistenza<ref>''I democratici cristiani dalla dittatura alla Repubblica'', Mondadori, Milano 1968.</ref> omise ogni accenno al suo ruolo nei fatti di via Rasella e, pur interrogato in proposito, mantenne sempre il più stretto riserbo sulla vicenda<ref>{{cita news|Paolo Di Vincenzo|http://ricerca.gelocal.it/ilcentro/archivio/ilcentro/2003/09/24/CP1PO_CP101.html|Spataro contrario all'attentato di via Rasella|[[il Centro]]|24 settembre 2003}} Nella testimonianza raccolta nell'articolo si sostiene erroneamente che l'attentato fu discusso e messo ai voti prima della sua attuazione.</ref><ref>{{cita|Forcella 1999|p. 168}}. L'autore commenta: «L'"operazione occultamento" non poteva essere più radicale».</ref>.
 
Nelle sue memorie edite nel 1983 Bentivegna accenna rapidamente allo scontro nella giunta militare, scrivendo che a mettere in discussione l'azione gappista furono «alcuni settori» del CLN «che si erano lasciati intimidire dalla ritorsione nazista e che avevano colto in essa l'occasione per resipiscenze attendiste». In particolare «Spataro, per conto della DC, allora prona ai diktat antidemocratici di Pio XII, cercò di delegittimare i GAP e quell'attacco, ma fu battuto dai suoi colleghi, e il CLN, invece, il 28 marzo emise una dura condanna della strage perpetrata dai nazisti»<ref>{{cita|Bentivegna 2004|p. 208}}.</ref>.
 
=== La rivendicazione del PCI ===
Non ottenuta l'assunzione di responsabilità da parte del CLN, il PCI rivendicò autonomamente l'attentato tramite ''[[l'Unità]]'' clandestina del 30 marzo, con in prima pagina un articolo dal titolo ''Colonna di carnefici tedeschi attaccata in via Rasella'' e all'interno un comunicato dei GAP scritto da [[Mario Alicata]]:
 
[[File:L'Unità 30 marzo 1944.jpg|thumb|left|''[[L'Unità]]'' clandestina del 30 marzo 1944 con l'annuncio dell'eccidio delle Fosse Ardeatine e la rivendicazione dell'attentato di via Rasella da parte dei GAP]]
 
{{citazione|# Contro il nemico che occupa il nostro suolo, saccheggia i nostri beni, provoca la distruzione delle nostre città e delle nostre contrade, affama i nostri bambini, razzia i nostri lavoratori, tortura, uccide, massacra, uno solo è il dovere di tutti gli italiani: colpirlo, senza esitazione, in ogni momento, dove si trovi, negli uomini e nelle cose. A questo dovere si sono consacrati i Gruppi di azione patriottica.
# Tutte le azioni dei GAP sono dei veri e propri atti di guerra, che colpiscono esclusivamente obiettivi militari tedeschi e fascisti, contribuendo a risparmiare così altri bombardamenti aerei sulla capitale, distruzioni e vittime.
# L'attacco del 23 marzo contro la colonna della polizia tedesca, che sfilava in pieno assetto di guerra per le strade di Roma, è stato compiuto da due gruppi di GAP, usando la tattica della guerriglia partigiana: sorpresa, rapidità, audacia.
# I tedeschi, sconfitti nel combattimento di via Rasella hanno sfogato il loro odio per gli italiani e la loro ira impotente uccidendo donne e bambini e fucilando 320 innocenti. Nessun componente dei GAP è caduto nelle loro mani, né in quelle della polizia italiana. I 320 italiani, massacrati dalle mitragliatrici tedesche, sfigurati e gettati nella fossa comune, gridano vendetta. E sarà spietata e terribile! Lo giuriamo!
# In risposta all'odierno comunicato bugiardo ed intimidatorio del comando tedesco, il comando dei GAP dichiara che le azioni di guerra partigiana e patriottica in Roma non cesseranno fino alla totale evacuazione della capitale da parte dei tedeschi.
# Le azioni dei GAP saranno sviluppate sino all'insurrezione armata nazionale per la cacciata dei tedeschi dall'Italia, la distruzione del fascismo, la conquista dell'indipendenza e della libertà<ref>{{cita|Amendola 1973|pp. 296-297}}.</ref>.}}
 
=== Il comunicato del CLN ===
[[File:Ivanoe Bonomi.jpg|thumb|upright|[[Ivanoe Bonomi]], presidente del CLN centrale]]
 
Nel suo diario, alla data del 31 marzo, il presidente dimissionario del CLN centrale [[Ivanoe Bonomi]], tra gli antifascisti rifugiati al Laterano, commentò la notizia di «una atrocità tedesca senza precedenti», datandola per errore «un paio di giorni dopo lo scoppio di una bomba in Via Rasella». Riferendo di aver appreso i particolari dell'attentato da Pietro Nenni, lo attribuì ad «alcuni elementi estremisti». Poi scrisse di aver acconsentito, su richiesta di Nenni, a scrivere «una nota di indignazione e di protesta» verso la strage delle Fosse Ardeatine, da diffondere tramite la stampa clandestina<ref>Ivanoe Bonomi, ''[https://books.google.it/books?id=m0RvBQAAQBAJ&pg=PT140 Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1944)]'', Milano, Garzanti, 1947, ristampa Lit Edizioni 2014.</ref>. Secondo la testimonianza del cardinale [[Pietro Palazzini]], allora giovane monsignore che assisteva i rifugiati politici al Laterano, appena ricevuta la notizia dell'eccidio i componenti del CLN discussero sul tipo di operazioni antitedesche da organizzare in futuro. La maggioranza decise per le sole azioni di sabotaggio, escludendo gli attacchi alle truppe «che costavano poi, per reazione, tanto sangue italiano»<ref>Secondo le memorie di Palazzini, Nenni reagì contrariato alla decisione di cessare gli attacchi, esclamando «Se nessuno lancerà più bombe contro i tedeschi, le lancerò io», venendo calmato da De Gasperi: «Sta' buono, Pietro, non fare il [[Jean-Paul Marat|Marat]]». Cfr. {{cita|Forcella 1999|p. 164}}. Tuttavia, dal suo stesso diario emerge l'immagine di un Nenni molto più cauto. Il 23 marzo, prima di sapere dell'attentato di via Rasella e prendendo spunto dall'annientamento di una banda partigiana nel Modenese, il segretario socialista scrisse che, poiché «i contadini tremano davanti alla minaccia tedesca di incendiare i villaggi, di razziare il bestiame, di decimare le popolazioni come cioè è avvenuto in diversi luoghi», esclusi anche gli scioperi, «Restano due armi di lotta: contro i tedeschi il sabotaggio; contro i fascisti le rappresaglie, la legge del taglione». Cfr. {{cita|Forcella 1999|pp. 170-171}}.</ref>. Osservando che Nenni aveva riportato sul suo diario i particolari dell'attentato già il 26 marzo, lo storico [[Enzo Forcella]] ritiene incredibile che, ancora il 31 marzo (data dell'annotazione di Bonomi), al Laterano non si sapesse che a compiere l'attentato non erano stati «alcuni elementi estremisti», bensì una formazione del PCI che l'aveva già rivendicato; ipotizza quindi che il presidente del CLN avesse ostentatamente mentito «a futura memoria storica, per prendere le distanze dall'attentato e, allo stesso tempo, per rendere più problematica la ricostruzione di un contrasto che tutti i protagonisti, per ragioni diverse e contrapposte, hanno interesse a far dimenticare»<ref>{{cita|Forcella 1999|pp. 164-165}}.</ref>.
 
Il testo del comunicato era il risultato di un compromesso trovato dopo una serie di riunioni, discussioni e proposte di mediazioni, delle quali in mancanza di documentazione non è mai stato possibile ricostruire l'andamento. Sebbene comparve sulla stampa clandestina a metà aprile (''l'Unità'' lo pubblicò il 13 aprile<ref>{{cita|Staron 2007|p. 57}}.</ref>), per nascondere l'esitazione e il dissenso interni<ref name=katz312>{{cita|Katz 2009|p. 312}}.</ref> e farlo risultare anteriore al comunicato del PCI, era retrodatato al 28 marzo<ref name=forcella>{{cita news|[[Enzo Forcella]]|http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/03/25/leggi-di-guerra.html|Leggi di guerra|La Repubblica|25 marzo 1994}} Dello stesso autore, {{cita news||http://archiviostorico.corriere.it/1996/ottobre/26/Togliatti_non_smenti_via_Rasella_co_0_9610261616.shtml|Togliatti non smentì via Rasella: c'era Amendola|Corriere della Sera|26 ottobre 1996}} {{cita news||http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/06/29/si-discute-di-un-falso-mistero.html|"Si discute di un falso mistero"|La Repubblica|29 giugno 1997}} {{cita news||http://archiviostorico.corriere.it/1998/marzo/10/storia_via_Rasella_Partigiani_penne_co_0_9803109215.shtml|La storia di via Rasella. Partigiani e penne rosse|Corriere della Sera|10 marzo 1998}}</ref>. Il testo era il seguente:
 
{{citazione|Italiani e italiane, un delitto senza nome è stato commesso nella vostra capitale. Sotto il pretesto di una rappresaglia per un atto di guerra di patrioti italiani, in cui esso aveva perso trentadue dei suoi SS, il nemico ha massacrato trecentoventi innocenti, strappandoli dal carcere dove languivano da mesi. Uomini di non altro colpevoli che di amare la patria – ma nessuno dei quali aveva parte alcuna né diretta né indiretta in quell'atto – sono stati uccisi il 24 marzo 1944 senza forma alcuna di processo, senza assistenza religiosa né conforto di familiari: non giustiziati ma assassinati.
 
Roma è inorridita per questa strage senza esempio. Essa insorge in nome dell'umanità e condanna all'esecrazione gli assassini come i loro complici e alleati. Ma Roma sarà vendicata. L'eccidio che si è consumato nelle sue mura è l'estrema reazione della belva ferita che si sente vicina a cadere. Le forze armate di tutti i popoli liberi sono in marcia da tutti i continenti per darle l'ultimo colpo. Quando il mostro sarà abbattuto e Roma sarà al sicuro da ogni ritorno barbarico essa celebrerà sulle tombe dei suoi martiri la sua liberazione.
 
Italiani e italiane, il sangue dei martiri non può scorrere invano. Dalla fossa ove i corpi di trecentoventi – di ogni classe sociale, di ogni credo politico – giacciono affratellati per sempre nel sacrificio si leva un incitamento solenne a ciascuno di voi.
 
Tutto per la liberazione della patria dall'invasione nazista!
 
Tutto per la ricostruzione di un'Italia degna dei suoi figli caduti!<ref name=katz312/>}}
 
Robert Katz ritiene il proclama del CLN «una risposta tattica» dell'ala destra come contropartita per la posizione conciliante sulla questione istituzionale tenuta dal PCI, che in aprile sarebbe entrato nel [[governo Badoglio II]] in seguito alla [[svolta di Salerno]]<ref>{{cita|Staron 2007|p. 57}}. Nella pagina si parla erroneamente di governo Bonomi.</ref>.
 
Mentre il comunicato del PCI annunciava che le azioni partigiane non sarebbero cessate «fino alla totale evacuazione della capitale da parte dei tedeschi», quello del CLN proclamava che a Roma l'«ultimo colpo» alla «belva ferita» sarebbe stato assestato dalle «forze armate di tutti i popoli liberi», ossia dagli eserciti alleati avanzanti, senza riferimenti alla prosecuzione della lotta partigiana. Secondo Enzo Forcella, il CLN avallò a posteriori l'attentato «per un senso di responsabilità politica» e per non «rendere insanabile una crisi che avrebbe avuto incalcolabili conseguenze su tutti gli sviluppi della lotta di liberazione», ma non confermando il proclama del PCI sulla guerriglia a oltranza avrebbe fatto capire che azioni analoghe all'interno della città non sarebbero più state sottoscritte. La mancata insurrezione della popolazione romana all'arrivo degli Alleati, cercata dalle forze di sinistra, avrebbe poi segnato il successo della linea dell'ala moderata del CLN e dell'azione diplomatica del Vaticano<ref name=forcella/>.
 
=== Dichiarazioni del dopoguerra sulla decisione dell'attentato ===
Al processo Kappler del 1948 Amendola, Pertini e Bauer, sentiti come testimoni, dichiararono che l'attentato era stato «effettuato da una organizzazione militare a seguito di direttive di carattere generale date ad essa da uno dei componenti della Giunta Militare, direttive che traducevano l'indirizzo della Giunta medesima»<ref>{{cita web|url=http://www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/Kappler_Herbert/Pagine/02sentenza631.aspx|titolo=Sentenza n. 631, del Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948|sito=difesa.it|accesso=19 giugno 2014}}</ref><ref>{{cita|Katz 2009|p. 283}}.</ref>. Nei giorni del processo ''l'Unità'' attribuì alla giunta la decisione dell'attentato in un articolo di Pasquale Balsamo (la cui partecipazione all'azione all'epoca non era nota), recante come sottotitolo «Per ordine del Comando [[Corpo Volontari della Libertà|CVL]]<ref name=CVL>In realtà il CVL (Corpo Volontari della Libertà) fu costituito solo il 9 giugno 1944.</ref> i distaccamenti GAP "Pisacane" e "Garibaldi" condussero a termine la loro missione di guerra», nel quale si legge che il 19 marzo 1944 «la Giunta militare del CLN romano ordinò al Comando dei GAP [...] di studiare un attacco a fondo contro una colonna di S.S. della Divisione "Bozen"», specificando che avrebbero dovuto parteciparvi solo due dei quattro GAP disponibili<ref>{{cita news|Pasquale Balsamo|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1948_06/19480605_0003.pdf|Il 23 marzo in Via Rasella i GAP dettero battaglia|l'Unità|5 giugno 1948}} Nell'articolo è scritto che dopo l'esplosione «alcuni cittadini ed agenti di P.S. [Pubblica Sicurezza] entravano nella battaglia a dar spontaneamente man forte ai Volontari della Libertà». Tale affermazione non trova riscontro in nessun'altra ricostruzione della dinamica dei fatti.</ref>. La stessa versione fu fornita anche da Bentivegna durante il suo interrogatorio:
 
{{citazione|Dal lato operativo, posso dire che la nostra organizzazione militare [...] ricevette l'ordine dalla Giunta di attaccare una colonna di S.S. che ogni giorno transitava per il centro di Roma. [...] Noi, ripeto, dipendevamo dal C.L.N. e quindi, militarmente, dal Comando del Corpo Volontari della Libertà<ref name=CVL/>, i cui massimi esponenti erano [[Raffaele Cadorna (1889-1973)|Cadorna]], [[Ferruccio Parri|Parri]] e [[Luigi Longo|Longo]]<ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1948_06/19480613_0001.pdf|Depone contro il boia Kappler il partigiano Rosario Bentivegna|l'Unità|13 giugno 1948}}</ref>.}}
 
La difesa di Kappler chiese ai giudici di accertare in via incidentale se la decisione dell'attentato era stata presa collegialmente dalla giunta militare del CLN. Dopo essersi riuniti in camera di consiglio, i giudici deliberarono che tale accertamento non era necessario ai fini del processo<ref>{{cita news|||La deposizione dell'on. Amendola|La Stampa|19 giugno 1948}}</ref>.
 
Nel 1949, mentre era in corso un processo civile per danni intentato dai parenti di alcune vittime delle Fosse Ardeatine contro i membri della giunta e i gappisti<ref>{{cita news|||Eredi di vittime delle Ardeatine chiedono danni al C.L.N.|La Stampa|7 giugno 1949}}</ref> (conclusosi nel 1957 con l'esclusione della responsabilità civile dei partigiani verso i congiunti delle vittime della rappresaglia, essendo l'attentato riconosciuto come atto di guerra<ref>{{cita news|g. g.||Roma non è stata una "città aperta"|La Stampa|10 maggio 1957}}</ref>), Bauer scrisse un "promemoria" su via Rasella – poi reso pubblico molti anni dopo da uno degli avvocati difensori, [[Carlo Galante Garrone]] – in cui si afferma che la «linea di condotta» stabilita dalla giunta era quella di «rendere impossibile la vita ai tedeschi e fascisti dentro e fuori la città di Roma», cosicché in tale quadro «il fatto di via Rasella appare come episodio organico», ma fu «preparato e attuato dai comunisti senza specifico accordo con la Giunta Militare» e una volta eseguito tutti i rappresentanti del CLN furono concordi nel considerarlo «legittima azione di guerra»<ref>{{cita news|Arturo Colombo|http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/31/via_Rasella_co_0_9707316940.shtml|Su via Rasella|Corriere della Sera|31 luglio 1997}}</ref>.
 
Durante una celebrazione della Resistenza romana, Giorgio Amendola denunciò «la campagna indegna che ora viene condotta per quella azione», menzionando un «ignobile manifesto firmato anche da un partito che fece parte del CLN e non ardì allora pronunciarsi contro quell'azione, decisa dal CLN»<ref name=amendola1954>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1954_04/19540425_0004.pdf|Amendola e Bentivegna insigniti ieri della medaglia d'oro dai patrioti romani|l'Unità|25 aprile 1954}}</ref>. Bentivegna nel 1965 dichiarò che l'azione era stata proposta dai GAP e «approvata dalla giunta militare del Comitato di liberazione nazionale, composta da Giorgio Amendola, Riccardo Bauer e Sandro Pertini»<ref>AA.VV., ''Italia drammatica. Storia della guerra civile'', Milano-Roma, Della Volpe, 1965, vol II., ''Il Regno del Sud'', p. 281.</ref>. Tale versione fu ribadita nell'''Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza'' (edita nel 1968 a cura del dirigente del PCI [[Pietro Secchia]]<ref name=secchia>Pietro Secchia (a cura di), ''Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza'', La Pietra, 1968, vol. I, p. 117.</ref>) e ripresa da Bentivegna ancora nel 1993<ref>Intervista a Rosario Bentivegna a cura di {{cita news|[[Giancarlo Bosetti]]|http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1993_01/19930124_0004.pdf|«Così ho vissuto dopo via Rasella»|l'Unità|24 gennaio 1993}}</ref>.
 
=== La posizione di Sandro Pertini ===
[[File:Sandro Pertini 1948.jpg|thumb|upright|[[Sandro Pertini]], rappresentante socialista nella giunta militare]]
 
Nel 1983, mentre ricopriva la carica di presidente della Repubblica, Pertini dichiarò: «Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola»<ref>[[Gianni Bisiach]], ''Pertini racconta. Gli anni 1915-1945'', Milano, Mondadori, 1983, p. 130.</ref>.
 
Tuttavia, vari ex partigiani socialisti, tra cui [[Matteo Matteotti]] e [[Leo Solari]], negli anni novanta hanno sostenuto che all'epoca Pertini, in due riunioni con altri dirigenti del suo partito alla fine di marzo e alla fine di aprile (poco prima della sua partenza per il nord), avrebbe duramente criticato l'azione come espressione di avventurismo irresponsabile. In particolare, Matteotti ha dichiarato che Pertini, contrario ad attaccare un reparto militare temendo «che ci fossero delle rappresaglie sproporzionate rispetto all'efficacia dell'azione», aveva proposto una manifestazione di protesta davanti alla sede de ''[[Il Messaggero]]'' per il rispetto della città aperta<ref name=matteotti>''[http://www.larchivio.com/matteotti.htm Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Matteo Matteotti]'' realizzata nel 1994 dal regista Enzo Cicchino e andata in onda durante una puntata di ''[[Mixer (programma televisivo)|Mixer]]''.</ref><ref>Intervista a Matteo Matteotti per ''Storia Illustrata'', gennaio 1997, cit. in {{cita|Benzoni 1999|p. 25}}.</ref>. Tali testimonianze sembrano trovare riscontro in una lettera di un anonimo comunista, datata 30 marzo 1944 e riprodotta in un volume del dirigente del PCI [[Luigi Longo]]<ref>''I centri dirigenti del PCI nella Resistenza'', Editori Riuniti, Roma 1974, p. 389.</ref>, in cui si legge: «Chi ha assunto un atteggiamento inqualificabile di protesta e di disapprovazione è stato il delegato socialista». Sulla base di queste fonti, i Benzoni ritengono che la condotta successiva di Pertini, non diversamente da quella degli altri membri della giunta militare, «derivasse dall'esigenza di difendere l'unità antifascista in una vicenda marcata dall'ombra terribile delle Ardeatine»<ref>{{cita|Benzoni 1999|p. 25}}.</ref>.
 
L'infondata attribuzione a Pertini di un coinvolgimento nella decisione dell'azione gappista è stata ricorrente nel corso delle polemiche politiche sull'argomento: nel 1982, in seguito alla consegna di una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare a Bentivegna (conferitegli nel 1950), la stampa di destra accusò Pertini di aver ordinato l'attentato<ref>{{cita news|[[Beppe Niccolai]]|http://www.beppeniccolai.org/RNgennaio82.htm#20_gennaio_1982|Rosso e Nero|Secolo d'Italia|20 gennaio 1982}}</ref> (riprendendo tale versione da un libro di [[Attilio Tamaro]] del 1950); durante un dibattito parlamentare sul processo penale contro gli ex gappisti nel 1997, il ministro della Giustizia [[Giovanni Maria Flick]] dichiarò: «L'azione di via Rasella fu decisa dal Comando dei gruppi di azione patriottica di Roma, che aveva come dirigenti persone della statura di Sandro Pertini e di Giorgio Amendola, tra i padri della patria»<ref>Camera dei Deputati, XIII legislatura, [http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed222/s030.htm resoconto stenografico della seduta n. 222 del 2 luglio 1997], p. 19230.</ref>.
 
=== La posizione di Alcide De Gasperi ===
[[File:Alcide de Gasperi 2.jpg|thumb|left|upright|[[Alcide De Gasperi]], membro del CLN centrale per la DC]]
 
Esistono diverse versioni anche sulla posizione tenuta verso l'attentato dal futuro presidente del Consiglio [[Alcide De Gasperi]], capo degli esecutivi che negli anni 1950-51 concessero diverse ricompense al valor militare ad alcuni dei gappisti di via Rasella.
 
Giorgio Amendola ha riferito, con marginali differenze nelle diverse ricostruzioni, di un suo incontro con De Gasperi e l'azionista [[Sergio Fenoaltea]] avvenuto nel pomeriggio del 23 marzo subito dopo l'esplosione, per discutere della crisi del CLN. I tre si riunirono presso il [[Palazzo di Propaganda Fide]] dov'era rifugiato De Gasperi, il quale una volta ricevuto Amendola gli chiese spiegazioni circa la causa del fragore udito. Appreso dal dirigente comunista che si trattava di un'azione gappista, il futuro capo del governo – con un tono di ammirazione – avrebbe affermato: «Voi [comunisti] una ne pensate e mille ne fate»<ref>{{cita|Amendola 1973|pp. 291-2}}.</ref>. Enzo Forcella scrive che «non c'è motivo di dubitare» della versione di Amendola, ma la considera «maliziosa e fuorviante», inducendo a pensare che De Gasperi approvò l'attentato ed espresse la sua ammirazione agli organizzatori, mentre va considerata solo come una reazione avuta senza conoscere cos'era effettivamente accaduto, dal momento che, una volta note le dimensioni dell'attentato e della rappresaglia, la posizione della Democrazia Cristiana fu quella assunta da Spataro<ref>{{cita|Forcella 1999|p. 161}}.</ref>.
 
Nell'''Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza'', edita nel 1968 a cura di Pietro Secchia, in contrasto con la versione di Amendola, si afferma che quest'ultimo informò personalmente De Gasperi dell'attentato prima della sua esecuzione<ref name=secchia/>. Sulla base di questa versione [[Friedl Volgger]], fondatore della [[Südtiroler Volkspartei]] (partito che negli anni aveva più volte preso posizione contro l'azione gappista e commemorato i militari sudtirolesi uccisi), nel 1992 contestò la beatificazione dello statista democristiano in quanto, pur informato dei piani per l'attacco, non vi si sarebbe opposto<ref>{{cita news|[[Gian Antonio Stella]]|http://archiviostorico.corriere.it/1992/aprile/15/Gasperi_via_alla_beatificazione_co_0_9204152707.shtml|De Gasperi, via alla beatificazione|Corriere della Sera|15 aprile 1992}}</ref>. Viceversa secondo [[Giulio Andreotti]], allora collaboratore di De Gasperi, il giudizio del politico trentino sull'attentato fu negativo<ref>[[Bruno Vespa]], ''Vincitori e vinti. Le stagioni dell'odio. Dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi'', Milano, Mondadori [2005], 2008, p. 244.</ref>.
 
=== Valutazioni storiografiche ===
Enzo Forcella spiega le incongruenze tra le ricostruzioni rese dai protagonisti nell'immediato dopoguerra (che attribuiscono al CLN un ruolo attivo nella decisione dell'attacco e tacciono il disaccordo interno sorto in seguito alla sua esecuzione) e quelle contenute negli scritti di Amendola e Bauer pubblicati successivamente (in cui invece emerge che l'iniziativa era stata dei soli comunisti e vengono ammessi i contrasti) con l'esigenza di difendere il «paradigma antifascista»: «Gli uomini e i partiti interessati, a varie riprese e in vari modi, hanno sempre cercato di stendere una coltre di silenzio sul profondo dissenso che i fatti di via Rasella e delle Fosse Ardeatine avevano provocato tra i partiti del Cln. Alcuni di loro, anche di fronte alla magistratura, non hanno esitato a giurare il falso per nascondere che contrasto vi fosse stato»<ref name=forcella/>. Commentando tali parole di Forcella, Portelli ha osservato: «a parte la diversa rappresentatività dei due schieramenti nella resistenza, è significativo che sebbene questa non fosse la prima azione partigiana in città, il contrasto si apra solo dopo la rappresaglia, e non prima. Sono le Fosse Ardeatine, cioè, che fanno ''diventare retroattivamente condannabile'' via Rasella agli occhi dei moderati. Non sopravvaluterei comunque l'importanza di queste incertezze romane: nonostante i massacri, il Cln non diede certo la direttiva di cessare gli attacchi contro i tedeschi in tutta l'Italia occupata»<ref>{{cita|Portelli 2012|pp. 230-1}}; il corsivo è nel testo.</ref>.
 
I Benzoni scrivono che i successivi contrasti interni al CLN (sui quali secondo loro è stata applicata «la cosmesi del "politically correct"»), confermerebbero la contrarietà degli altri partiti antifascisti alla radicalizzazione della lotta voluta dal PCI, della quale sarebbe indice la stessa mancata comunicazione del progetto dell'attentato ai loro massimi rappresentanti militari (laddove Pertini era stato informato e invitato a collaborare all'attacco contro la manifestazione fascista). L'attentato di via Rasella avrebbe rappresentato un innalzamento del livello dello scontro «che non poteva assolutamente essere comunicato agli altri perché non poteva in alcun modo essere da loro condiviso». Considerata la successiva linea "attendista" adottata dal CLN e la drastica diminuzione delle azioni dei GAP a Roma, gli autori ipotizzano inoltre che, contrariamente a quanto affermato da Amendola, nella riunione della giunta militare fu quest'ultimo (il quale avrebbe voluto «continuare con maggiore decisione la lotta») e non Spataro a essere in minoranza relativamente alla condotta da adottare in futuro<ref>{{cita|Benzoni 1999|pp. 22-26}}.</ref>.
 
Secondo [[Giovanni Sabbatucci]], pur avendo all'epoca contestato l'attentato nel CLN, nel dopoguerra le forze moderate (la cui partecipazione alla Resistenza era svalutata dai comunisti tramite l'accusa di "attendismo" o "attesismo", concetto connotato negativamente) non avviarono un dibattito sull'argomento in quanto, impegnate nel governo del Paese, si disinteressarono alla costruzione della memoria resistenziale, lasciata ai comunisti in una sorta di «tacita divisione dei compiti»<ref>[http://www.radioradicale.it/scheda/111306/111853-attentato-e-rappresaglia-il-pci-e-via-rasella-presentazione-del-libro-di-alberto-benzoni-e-elisa-be Intervento di Giovanni Sabbatucci alla presentazione del saggio dei Benzoni], 30 aprile 1999, min. 24:10 e ss.</ref>.
 
== Note ==
{{<references|2}}/>
 
== Bibliografia ==
* {{Cita libro |titolo = Evangelische Kirchen in Berlin |autore = Günther Kühne ed Elisabeth Stephani |editore = C•Z•V•Verlag |città = Berlino (Ovest) |anno = 1978 |lingua = de |p = 369-370 |ISBN = 3-7674-0158-4}}
* {{cita libro|||Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (ADSS)|altri=a cura di [[Pierre Blet]], Robert A. Graham, Angelo Martini, Burkhart Schneider|1980|Libreria Editrice Vaticana|Città del Vaticano|lingua=fr|volume=[http://www.vatican.va/archive/actes/documents/Volume-10.pdf vol. 10: ''Le Saint Siege et les victimes de la guerre. Janvier 1944 - Juillet 1945''] {{pdf}}|cid=ADSS}}
* {{Cita libro |titolo = Architekturführer DDR. Berlin Hauptstadt der Deutschen Demokratischen Republik |autore = Joachim Schulz, Werner Gräbner |editore = VEB Verlag für Bauwesen |città = Berlino (Est) |anno = 1981 |lingua = de |edizione = 3 |p = 84 |posizione = scheda 117 |ISBN = {{NoISBN}} }}
* {{cita libro|Giorgio|Amendola|wkautore=Giorgio Amendola|Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945|1973|Editori Riuniti|Roma|cid=Amendola 1973}}
* {{Cita libro |titolo = Die Bau- und Kunstdenkmale in der DDR. Hauptstadt Berlin • I | curatore = Institut für Denkmalpflege |editore = Henschelverlag Kunst und Gesellschaft |città = Berlino (Est) |anno = 1984 |lingua = de |edizione = 2 |pp = 66-68 |ISBN = {{NoISBN}} }}
* {{cita pubblicazione|autore=Giorgio Angelozzi Gariboldi|data=novembre-dicembre 2001|titolo=Pio XII e le Fosse Ardeatine|rivista=[[Nuova Storia Contemporanea]]|editore=Luni Editrice|volume=V|numero=6|pagine=135-142|issn=1126-098X|cid=Angelozzi Gariboldi 2001}}
* {{Cita libro |titolo = Berlin. Architektur von Pankow bis Köpenick |autore = Joachim Schulz, Werner Gräbner |editore = VEB Verlag für Bauwesen |città = Berlino (Est) |anno = 1987 |lingua = de |p = 95 |posizione = scheda 137 |ISBN = 3-345-00145-4 }}
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|wkautore=Rosario Bentivegna|Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella|2004|annooriginale=1983|Mursia|Milano|isbn=88-425-3218-5|cid=Bentivegna 2004}}
* {{Cita libro |titolo = Architekturführer Berlin |autore = Martin Wörner, Doris Mollenschott, Karl-Heinz Hüter e Paul Sigel |editore = Dietrich Reimer Verlag |città = Berlino |anno = 2001 |lingua = de |edizione = 6 |p = 11 |ISBN = 3-496-01211-0}}
* {{cita libro|Alberto|Benzoni|wkautore=Alberto Benzoni|coautori=Elisa Benzoni|Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella|1999|Marsilio|Venezia|isbn=88-317-7169-8|cid=Benzoni 1999}}
* {{Cita libro |titolo = Kirchen Berlin Potsdam |autore = Christine Goetz e Matthias Hoffmann-Tauschwitz |editore = Morus Verlag e Wichern-Verlag |città = Berlino |anno = 2003 |lingua = de |pp = 130-131 |ISBN = 3-87554-368-8 e 3-88981-140-X }}<!-- Il libro ha due codici ISBN perché è stato pubblicato in collaborazione fra due case editrici; in particolare, il codice 3-87554-368-8 si riferisce alla Morus, il codice 3-88981-140-X alla Wichern -->
* {{cita libro|Giorgio|Bocca|wkautore=Giorgio Bocca|Storia dell'Italia partigiana. Settembre 1943–maggio 1945|1996|annooriginale=1966|Mondadori|Milano|isbn=88-04-43056-7|cid=Bocca 1996}}
* {{cita libro|Giorgio|Candeloro|wkautore=Giorgio Candeloro|Storia dell'Italia moderna|url=http://books.google.com/books?id=ibveavC2lE0C|accesso=2 settembre 2009|2002|annooriginale=1984|Feltrinelli|Milano|volume=vol. X, ''La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza''|isbn=88-07-80805-6|cid=Candeloro 1984}}
* {{cita libro|Renzo|De Felice|wkautore=Renzo De Felice|Mussolini l'alleato. II. La guerra civile 1943-1945|1997|Einaudi|Torino||isbn=88-06-11806-4|cid=De Felice 1997}}
* {{cita libro|Enzo|Forcella|wkautore=Enzo Forcella|La Resistenza in convento|1999|Einaudi|Torino|isbn=88-06-14880-X|cid=Forcella 1999}}
* {{cita pubblicazione|autore=Robert A. Graham|data=1º dicembre 1973|titolo=La rappresaglia nazista alle Fosse Ardeatine. P. Pfeiffer, messaggero della carità di Pio XII|rivista=[[La Civiltà Cattolica]]|volume=IV|numero=2963|pp=467-474|url=https://books.google.it/books?id=6Ac5AQAAMAAJ&pg=PA467|cid=Graham 1973}}
* {{cita libro|Robert|Katz|wkautore=Robert Katz|Roma città aperta. Settembre 1943 - Giugno 1944|2009|annooriginale=2003|Il Saggiatore|Milano|isbn=88-565-0047-7|cid=Katz 2009}}
* {{cita libro|Aurelio|Lepre|wkautore=Aurelio Lepre|Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza a Roma|1996|Laterza|Roma-Bari|isbn=88-420-5026-1|cid=Lepre 1996}}
* {{cita libro|Giovanni|Miccoli|wkautore=Giovanni Miccoli|I dilemmi e i silenzi di Pio XII|2000|Rizzoli|Milano|isbn=88-17-86364-5|cid=Miccoli 2000}}
* {{cita libro|Amedeo|Osti Guerrazzi|"La repubblica necessaria". Il fascismo repubblicano a Roma, 1943-1944|2004|FrancoAngeli|Milano|ISBN=88-464-5650-5|cid=Osti Guerrazzi 2004}}
* {{cita pubblicazione|autore=Emiliano Perra|data=2008|titolo=Il dibattito pubblico italiano sul comportamento del Vaticano durante la Shoah: la ricezione presso la stampa de "Il Vicario", "Rappresaglia" e "Amen."|rivista=Italianistica Ultraiectina|volume=3|editore=Igitur - Utrecht Publishing & Archiving Services|pp=165-180|url=http://www.italianisticaultraiectina.org/publish/articles/000096/article.pdf|formato=pdf|ISSN=1874-9577|cid=Perra 2008}}
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|url=http://books.google.it/books?id=-8Lk8E3QsggC|accesso=21 marzo 2009|1999|Donzelli Editore|Roma|isbn=88-7989-457-9|cid=Portelli 2012}} Riedizione: Milano, Feltrinelli Editore, 2012, ISBN 978-88-07-723421.
* {{cita libro|Joachim|Staron|Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche|2007|annooriginale=2002|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11518-8|cid=Staron 2007}}
 
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