Storiografia sull'attentato di via Rasella e Anthony Bardaro: differenze tra le pagine

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{{Sportivo
{{torna a|Attentato di via Rasella|Controversie sull'attentato di via Rasella}}
|Nome = Anthony Bardaro
|Immagine =
|Didascalia =
|Sesso = M
|CodiceNazione = {{CAN}}<br />{{ITA}} (dal 2018)
|Altezza = 178
|Peso = 82
|Disciplina = Hockey su ghiaccio
|Ruolo = [[Attaccante (hockey su ghiaccio)|Centro]]
{{Dati agonistici Hockeisti
|Tira = Destro
}}
|Squadra = {{Hockey su ghiaccio Bolzano}}
|TermineCarriera =
|RigaVuota =
{{Carriera hockeista su ghiaccio
|Giovanili_anni_1 = 2007-2008
|Giovanili_selezione_1 = Greater Vancouver Canadians
|Giovanili_giocate_1 = 42
|Giovanili_gol_1 = 23
|Giovanili_assist_1 = 21
|Giovanili_punti_1 = 44
|Giovanili_anni_2 = 2008-2011
|Giovanili_selezione_2 = {{Hockey su ghiaccio Spokane|G}}
|Giovanili_giocate_2 = 192
|Giovanili_gol_2 = 49
|Giovanili_assist_2 = 54
|Giovanili_punti_2 = 103
|Giovanili_anni_3 = 2008-2009
|Giovanili_selezione_3 = → {{Hockey su ghiaccio Surrey|G}}
|Giovanili_giocate_3 = 35
|Giovanili_gol_3 = 5
|Giovanili_assist_3 = 17
|Giovanili_punti_3 = 22
|Giovanili_anni_4 = 2011-2013
|Giovanili_selezione_4 = {{Hockey su ghiaccio Prince Albert|G}}
|Giovanili_giocate_4 = 108
|Giovanili_gol_4 = 43
|Giovanili_assist_4 = 51
|Giovanili_punti_4 = 94
|Giovanili_anni_5 = 2013-2017
|Giovanili_selezione_5 = UBC Thunderbirds
|Giovanili_giocate_5 = 117
|Giovanili_gol_5 = 39
|Giovanili_assist_5 = 69
|Giovanili_punti_5 = 108
|2017-2019|{{Hockey su ghiaccio Asiago|G}}|99|71|82
|2019-|{{Hockey su ghiaccio Bolzano|G}}|0|0|0
|Nazionale_anni_1 = 2018-
|Nazionale_selezione_1 = {{Naz|HG|ITA|M}}
|Nazionale_giocate_1 = 17
|Nazionale_gol_1 = 6
|Nazionale_assist_1 = 2
}}
|Aggiornato = 20 maggio 2019
}}
{{Bio
|Nome = Anthony Robert
|Cognome = Bardaro
|Sesso = M
|LuogoNascita = Delta
|LuogoNascitaLink = Delta (Columbia Britannica)
|GiornoMeseNascita = 18 settembre
|AnnoNascita = 1992
|LuogoMorte =
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte =
|Attività = hockeista su ghiaccio
|Nazionalità = canadese
|NazionalitàNaturalizzato = italiano
|PostNazionalità = , milita come attaccante nell'[[HC Bolzano]], squadra della [[EBEL]], e nella [[Nazionale di hockey su ghiaccio maschile dell'Italia|Nazionale italiana]]
}}
 
==Carriera==
== Anni cinquanta e sessanta ==
=== Club ===
=== Roberto Battaglia, ''Storia della Resistenza italiana'' (1953) ===
{{...}}
Lo storico [[Roberto Battaglia]], nella Resistenza partigiano del [[Partito d'Azione]] e poi passato al PCI nel dopoguerra, scrisse di via Rasella e delle Fosse Ardeatine nella sua pionieristica ''Storia della Resistenza italiana'', edita per la prima volta nel 1953 e poi ripubblicata in edizione riveduta e integrata nel 1964:
 
===L'approdo in Europa===
{{citazione|l'attentato di via Rasella non è un episodio isolato, ma il coronamento d'una lunga serie d'azioni condotte dai gappisti romani in piena città: tutte azioni che non avevano dato fino a quel momento luogo a rappresaglia, ma soltanto fatto aumentare le misure di sicurezza prese dai tedeschi nella città aperta (prolungamento del coprifuoco, divieto dell'uso della bicicletta nelle vie centrali, ecc.). Se c'è qualche elemento che lo distingue, che gli dà un posto particolare nell'attività dei GAP è il carattere di estrema precisione e di estrema audacia con cui viene eseguito: non più la bomba a tempo depositata nella sede dei comandi tedeschi o scagliata all'improvviso da un veloce ciclista o la sventagliata di mitra che fa giustizia, ma una vera operazione di guerra studiata e preordinata in ogni minimo particolare».}}
Arrivato in Italia nel 2017 chiamato dall'[[Asiago Hockey]], si mise immediatamente in luce con gli stellati, con i quali, nella [[Alps Hockey League 2017-2018|stagione AHL 2017-18]], vinse la classifica di top scorer durante i playoff oltre che aggiudicarsi il titolo di AHL con i vicentini. Le ottime prestazioni del giocatore gli valsero anche la convocazione con la Nazionale italiana.
 
Nonostante un contratto che lo legava coi giallorossi sino al 2020<ref>http://www.asiagohockey.it/news.aspx?idNews=2830</ref> nella primavera del 2019 siglò un accordo con l'[[HC Bolzano]], militante in [[EBEL]], che già manifestò l'interesse nell'acquisire le sue prestazioni l'anno precedente<ref>Dichiarazioni del ds Renato Tessari al [[Giornale di Vicenza]], articolo del 14/04/2019</ref>.
Descritta la dinamica dell'azione, Battaglia afferma che «tutto si svolge nel modo previsto», mentre «[c]iò che non è previsto è la reazione tedesca nella forma atroce che essa assume»<ref>{{cita|Battaglia 1964|p. 224}}</ref>. Dunque continua: «L'"errore" della Resistenza romana considerata nel suo complesso, fu, caso mai, un altro, anzi l'opposto: fu quello di non essere riuscita, dopo le Fosse Ardeatine, a portare più avanti l'offesa al tedesco, a rendere più continua e intensa l'attività armata: che era oltre tutto, come dimostrò l'esperienza della guerra di liberazione, l'unico modo concreto per porre un limite al metodo della rappresaglia, per costringere il nazista a rinunciare a questo strumento efferato del proprio dominio»<ref>{{cita|Battaglia 1964|p. 228}}. I passaggi citati risultano immutati dall'edizione originale 1953, dove sono alle pp. 252-3 e 257.</ref>.
 
=== Nazionale ===
=== Enzo Piscitelli, ''Storia della Resistenza romana'' (1965) ===
{{...|sport|arg2=biografie}}
Nella sua opera sulla Resistenza romana pubblicata nel 1965 con il patrocinio dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza (IRSIFAR), Enzo Piscitelli scrive che nel marzo 1944
 
== Palmarès ==
{{citazione|i GAP erano in piena attività e già studiavano un nuovo attentato di proporzioni più vaste dei precedenti, un attentato terroristico che, in coincidenza con quella data [l'anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento, ndr], scuotesse la città dal profondo dimostrando che fascisti e nazisti non ne erano assoluti padroni, che i romani non li temevano e li odiavano fino alla morte. Nasce, così, "via Rasella", l'episodio che è al culmine della lotta armata cittadina, l'evento più tragico e, insieme, più glorioso di tutta la Resistenza romana, fatto di importanza nazionale, anzi internazionale poiché, con le sue conseguenze, accomuna Roma alle città e ai villaggi più martoriati di tutta Europa, durante la seconda guerra mondiale»<ref>{{cita|Piscitelli 1965|p. 295}}.</ref>.}}
{{Colonne}}
=== Club ===
*{{hockeyghiacciopalm|Alps Hockey League|1}}
: Asiago: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]]
 
===Individuale===
Secondo Piscitelli, «inutile e vile fu l'acre polemica, iniziatasi l'indomani delle Fosse Ardeatine e protrattasi a lungo, dopo la liberazione, sull'inutilità dell'attentato e sulla mendace possibilità offerta agli audaci esecutori di salvare la vita dei 335 martiri (nessun documento esiste su questo punto e tra l'esecuzione dell'attentato e l'inizio del massacro, compiuto di nascosto, passarono appena 24 ore!). La polemica fu un volgare espediente tirato in ballo dagli assenti, dai reazionari e dai residui fascisti per dividere e indebolire, allora, le forze attive della Resistenza ostacolando, in seguito, un fecondo rinnovo delle istituzioni». Tuttavia, a vent'anni dai fatti la polemica sarebbe stata «fugata», grazie alla «sintesi che opera la storia»<ref>{{cita|Piscitelli 1965|p. 304}}.</ref>.
* [[Canadian Interuniversity Sport|CIS (West)]] Second All-Star Team: 1
: 2016-2017
 
* Maggior numero di reti della [[Alps Hockey League]]: 1
=== Giorgio Bocca, ''Storia dell'Italia partigiana'' (1966) ===
: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]] <small>(31 reti)</small>
In una sua opera sulla Resistenza del 1966, [[Giorgio Bocca]] fu tra i primi ad affermare che il terrorismo dei GAP fosse finalizzato a provocare i tedeschi e i fascisti per spingerli a inasprire le violenze verso la popolazione, valutando positivamente tale condotta come espressione di una «moralità rivoluzionaria», la quale «non può tollerare isole di privilegio e di ingiusto rispetto, che si uccida, si torturi, si incendi nei villaggi di montagna e nei quartieri operai mentre le enclaves della borghesia cittadina restano tranquille e, dentro, tranquilli gli oppressori»<ref>{{cita|Bocca 1996|p. 165}}.</ref>. Circa la strategia dei gappisti in generale e senza fare specifico riferimento all'attentato di via Rasella (definito più avanti «il maggiore atto del terrorismo partigiano»<ref>{{cita|Bocca 1996|p. 329}}.</ref>), Bocca continua scrivendo che, in contrasto con gli altri partiti e al di là delle loro stesse intenzioni dichiarate,
* Maggior numero di assist nei playoff della [[Alps Hockey League]]: 1
: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]] <small>(17 assist)</small>
{{Colonne spezza}}
* Capocannoniere nei playoff della [[Alps Hockey League]]: 1
: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]] <small>(23 punti)</small>
 
* Miglior Plus/Minus nei playoff della [[Alps Hockey League]]: 1
{{citazione|i comunisti lo sanno bene, il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie, per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell'odio. È una pedagogia impietosa, una lezione feroce. I comunisti la ritengono giustamente necessaria e sono gli unici in grado di impartirla, subito<ref>{{cita|Bocca 1996|pp. 165-6}}.</ref>.}}
: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]] <small>(+14)</small>
 
* MVP della [[Alps Hockey League]]: 1
Bocca chiarì il suo punto di vista in un'intervista del 1981, nella quale dichiarò che l'attentato era stato un atto «necessario perché Roma, in quel periodo, era una città "aperta"; per ragioni di politica del Pontefice; del Vaticano; degli Alleati, veniva esclusa dalla guerra partigiana; [...] Allora, in una situazione come questa, mi pareva fosse giusto che dei gruppi, delle avanguardie partigiane in lotta cercassero di coinvolgere la città capitale del paese in una lotta che era la lotta di tutto il Paese. Questo privilegio di Roma di rimanere fuori dalla guerra, mi sembrava un privilegio un po' immorale. [...] con quell'atto, chiamiamolo pure "terroristico", si era cercato di far capire all'intero paese, e al mondo, che anche a Roma si combatteva contro i tedeschi»<ref>Intervista a Giorgio Bocca, in {{cita|Bandinelli e Vecellio 1982|p. 152}}.</ref>.
: [[Alps Hockey League 2017-2018|2017-2018]]
 
* Capocannoniere della [[Campionato italiano di hockey su ghiaccio|Serie A]]: 1
Nel 1999 Bocca tornò sull'argomento, contestando la descrizione degli uomini del "Bozen" come «pacifici altoatesini, entrati quasi per obiezione di coscienza in un reparto della polizia ausiliaria, che, forse per tenersi in esercizio, aveva dato la caccia ai partigiani nell'Alto Adige eliminandone ogni presenza»<ref>Giorgio Bocca, ''Il secolo sbagliato'', Milano, Mondadori, 1999, p. 62.</ref>.
: [[Italian Hockey League - Serie A 2018-2019|2018-2019]] <small>(5 punti)</small>
 
* Maggior numero di reti della [[Campionato italiano di hockey su ghiaccio|Serie A]]: 1
=== Robert Katz, ''Morte a Roma'' (1967) ===
: [[Italian Hockey League - Serie A 2018-2019|2018-2019]] <small>(3 reti)</small>
Il giornalista [[Stati Uniti d'America|statunitense]] [[Robert Katz]], autore nel 1967 della prima monografia sull'argomento, si schiera anch'egli apertamente in difesa della legittimità morale dell'attentato. Tuttavia, diversamente da Bocca, Katz non ritiene che i gappisti – descritti come giovani inconsapevoli del grado di ferocia del nemico<ref>{{cita|Katz 1968|pp. 187-8}}.</ref> – cercassero una violenta reazione tedesca per impartire una lezione alla popolazione. Allo stesso tempo, respinge l'accusa secondo cui i partigiani «avrebbero dovuto sapere che i tedeschi avrebbero commesso delle atrocità in una forma o nell'altra», e quindi astenersi dal compiere l'attentato, liquidandola come il prodotto di «ragionamenti che tendono ad incitare alla sottomissione» verso ogni forma di oppressione e minaccia. Lo scrittore statunitense giudica la lotta armata l'unica valida alternativa alla sottomissione, dato che anche la resistenza passiva e la non collaborazione potrebbero provocare reazioni violente dell'occupante. Proprio l'estrema violenza della strage delle Fosse Ardeatine, un massacro senza precedenti in Italia, avrebbe dimostrato che i partigiani agirono giustamente: non erano essi a dover prevedere le atrocità tedesche, bensì i non resistenti, i quali avrebbero dovuto quindi «lottare uniti contro l'occupante».
 
{{Colonne fine}}
Giudicando «assurdo isolare una singola azione in un movimento genuino di resistenza», negare l'opportunità dell'attacco di via Rasella equivarrebbe, secondo Katz, a rifiutare la resistenza nel suo complesso, dato che sarebbe «facile concludere che qualsiasi azione partigiana, fra le cento compiute a Roma, avrebbe potuto avere per conseguenza l'eccidio delle Ardeatine». Contestare l'azione gappista del 23 marzo (la cui unica criticità sarebbe il non aver dato i risultati sperati dai partigiani) equivarrebbe inoltre a screditare tutti i combattenti di ogni movimento di liberazione europeo e ciò a sua volta significherebbe «disarmare i combattenti per la libertà di domani»<ref>{{cita|Katz 1968|pp. 236-7}}.</ref>.
 
== Anni novanta ==
=== Lutz Klinkhammer, ''L'occupazione tedesca in Italia'' (1993) e ''Stragi naziste in Italia'' (1997) ===
In un saggio del 1993 sull'occupazione tedesca in Italia, lo storico tedesco [[Lutz Klinkhammer]] cita la lettera di Luigi Longo al PCI romano dell'8 gennaio 1944, giudicandola «una fonte di fondamentale importanza per spiegare la crescita della Resistenza in Italia e della repressione contro di essa». Riconoscendo che Longo avesse ragione nell'affermare che le rappresaglie procurassero agli occupanti l'ostilità della popolazione, Klinkhammer ritiene che «i dirigenti comunisti mettevano consapevolmente in conto le rappresaglie contro la popolazione civile, anzi in questo conto individuavano quasi un effetto auspicabile, in quanto esso aizzava la popolazione contro la potenza armata e apportava un maggior potenziale di sostegno ai partigiani»<ref>{{cita|Klinkhammer 2007|pp. 213-4}}. In nota (p. 531, n. 130) si aggiunge che questa «fu anche la logica degli autori dell'attentato di via Rasella».</ref>{{#tag:ref|Riconoscendo anch'egli nella lettera di Longo i fondamenti della linea d'azione messa in pratica a via Rasella dai gappisti, in un articolo del 2015 Angelo Ventrone giunge alla stessa conclusione di Klinkhammer: «la strategia comunista metteva consapevolmente nel conto le rappresaglie naziste contro la popolazione civile, anzi, individuava proprio in esse un efficace strumento per accrescere l'ostilità degli italiani nei confronti dell'occupante». Cfr. {{cita pubblicazione|autore=Angelo Ventrone|url=https://amnis.revues.org/2453|titolo=Italia 1943-1945 : le ragioni della violenza|rivista=Amnis|data=30 gennaio 2015|DOI=10.4000/amnis.2453}}|group=N}}.
 
Tuttavia, se le rappresaglie in generale erano messe in conto dai partigiani, secondo Klinkhammer, tornato sull'argomento nel 1997, l'entità numerica della strage delle Fosse Ardeatine «era difficilmente prevedibile», dato che in precedenza «non c'era mai stato in Italia un atto di vendetta di tali dimensioni. Solo a seguito di questo diventò possibile presagire a quali repressioni fosse pronta la forza d'occupazione»<ref>{{cita|Klinkhammer 1997|pp. 11-2}}.</ref>.
 
=== Friedrich Andrae, ''La Wehrmacht in Italia'' (1995) ===
Un altro storico tedesco, Friedrich Andrae, affrontando la questione in uno studio del 1995 sui crimini di guerra tedeschi in Italia, indica tre possibili motivazioni dell'attentato: oltre a denunciare la violazione dello status di città aperta da parte dei tedeschi e a demoralizzare i fascisti in un giorno per loro solenne, Andrae assegna «particolare rilevanza» alla terza possibile causa, individuata nell'«intenzione dei Gap di sfidare i tedeschi, di spingerli alla rappresaglia, che a sua volta avrebbe accresciuto l'odio della popolazione nei confronti della potenza occupante, come pure di dare nuovo impulso al movimento resistenziale romano, fortemente disunito al proprio interno, per mezzo di un'azione spettacolare, con l'obiettivo di provocare una sollevazione popolare dei romani o incitare uno stato d'animo rivoluzionario, anche tenuto conto della vicinanza delle forze armate alleate e di una loro auspicata rapida avanzata su Roma»<ref>{{cita|Andrae 1997|p. 120}}.</ref>.
 
=== Renzo De Felice, ''Mussolini l'alleato 1940-1945, II. La guerra civile'' (1997) ===
[[Renzo De Felice]], nell'ultimo volume, pubblicato postumo, della sua monumentale biografia di Mussolini, dedica una nota a piè di pagina all'attentato di via Rasella, che egli considera un esempio tipico della «sostanziale autonomia» militare dei partiti di sinistra rispetto al CLN centrale<ref>{{cita|De Felice 1997|p. 150.}}</ref>. A proposito dell'attentato, De Felice rileva che, nonostante «la sua importanza e le polemiche che ha suscitato, su di esso manca un vero studio a carattere storico»; egli reputa tutte «generiche e ripetitive»<ref>{{cita|De Felice 1997|p. 150 n.}}</ref>, sull'argomento, le storie della Resistenza romana di R. Perrone Capano<ref>R. Perrone Capano, ''La Resistenza a Roma'', Napoli 1963, II, pp. 229 sgg.</ref>, E. Piscitelli<ref>{{cita|Piscitelli 1965|pp. 295 sgg.}}</ref>, V. Tedesco<ref>V. Tedesco, ''Il contributo di Roma e della provincia nella lotta di liberazione'', Roma, Amministrazione provinciale, 1967, pp. 437 sgg.</ref>, mentre a suo giudizio offrono qualche «elemento in più» il volume collettaneo ''Una «inutile strage»? Da via Rasella alle Fosse Ardeatine''<ref>{{cita|Bandinelli e Vecellio 1982}}.</ref> e le memorie di Bentivegna<ref>{{cita|Bentivegna 2004}}.</ref>, Franco Calamandrei<ref>{{cita|Calamandrei 1984}}.</ref> e Giorgio Amendola<ref>{{cita|Amendola 1973}}.</ref>.
 
=== Aurelio Lepre, ''Via Rasella'' (1996) ===
[[Aurelio Lepre]], autore nel 1996 di un ''instant book'' su via Rasella, scrive che i romani erano impegnati nella difficile lotta per la sopravvivenza ed erano restii a farsi coinvolgere nella guerra, cosicché il fine dei gappisti era «tentare di costringerli a schierarsi, attraverso un gesto di estrema violenza»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 51}}.</ref>. Sulla scelta dei GAP di attaccare i tedeschi avrebbe influito anche il fatto che «la facilità dell'esecuzione dell'attentato in via Tomacelli e la mancanza di reazioni diedero la falsa impressione di una guerriglia che poteva portare i suoi colpi senza coinvolgere la popolazione civile nelle rappresaglie»; si trattava però di un «calcolo errato», giacché i gappisti praticavano, oltre a un terrorismo scientifico, anche uno «fondato sull'improvvisazione, sull'intuito, che guardava al gesto da compiere più che alle sue possibili conseguenze»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 22}}.</ref>.
 
In base a una ricostruzione che Lepre riprende dagli scritti di Amendola, i gappisti sarebbero stati intenzionati a colpire ancora una volta i fascisti durante le celebrazioni per il 23 marzo, giorno per loro solenne, ripiegando sull'attentato contro i tedeschi in via Rasella – «preparato solo in alternativa» – una volta saltato il piano originario{{#tag:ref|È da rilevare che l'affermazione di Lepre secondo cui l'attentato di via Rasella fu «preparato solo in alternativa» all'attacco al corteo fascista – presumibilmente ripresa da {{cita|Amendola 1973|p. 290}}, o da altre testimonianze dei protagonisti – risulta erronea. Infatti, dal diario di Calamandrei emerge che in realtà l'attacco al "Bozen" fu pianificato in via completamente autonoma, risultando eseguito nell'anniversario dei Fasci del tutto casualmente, dopo essere stato rinviato più volte. Cfr. {{cita|Calamandrei 1984|p. 152-5}}. Lo stesso risulta dall'intervista a Mario Fiorentini utilizzata come fonte in {{cita|Katz 1968|p. 40}}, secondo la quale tre gappisti si erano appostati a via Rasella per colpire il "Bozen" già in «un pomeriggio della seconda settimana di marzo», ma avevano dovuto rinunciare all'attacco a causa della mancata apparizione della colonna in quel giorno e nei successivi.|group=N}}; tuttavia attaccare dei soldati tedeschi «non era la stessa cosa, e l'esempio di via Tomacelli non valeva più»{{#tag:ref|{{cita|Bentivegna 2004|p. 118}}, afferma tuttavia che già nel dicembre 1943, allorché fu dato loro l'ordine di attaccare i tedeschi, i gappisti erano perfettamente consapevoli che l'assenza di reazioni a precedenti attacchi contro i fascisti non era significativa, e che «certamente diversa» sarebbe stata la reazione dei tedeschi se avessero «cominciato a colpire anche loro».|group=N}}. Cosicché Lepre afferma: «Se i gappisti avessero esaminato le possibili conseguenze dell'attentato, avrebbero dovuto prevedere una dura rappresaglia»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 29}}.</ref>. Dunque, Lepre continua: «L'attentato di via Rasella non fu dovuto alle necessità della guerra, ma a una serie di scelte e anche di errori di cui nessuno, nel compierli, si rese pienamente conto»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 45}}.</ref>. Più avanti, lo storico critica comunque la condotta dei gappisti, perché, «se prima di via Rasella non immaginavano che vi sarebbero potute essere rappresaglie così spietate e che all'uccisione dei soldati tedeschi si sarebbe risposto con una strage, continuarono anche in seguito a progettare attentati di eguale portata e che avrebbero potuto avere conseguenze analoghe»<ref>{{cita|Lepre 1996|p. 49}}.</ref>.
 
Secondo Lepre, la posizione delle componenti moderate del CLN, contrarie a inasprire la situazione con gli attentati, rifletteva l'atteggiamento della maggior parte della popolazione di Roma, mentre il «tentativo degli attentatori di spingere a ogni costo i romani alla lotta era una forzatura degli avvenimenti, perché a Roma la resistenza era ancora molto debole e tale rimase». Lepre conclude che i «gappisti non raggiunsero gli obiettivi che si erano prefissi: l'attentato [di via Rasella] servì soltanto a mostrare la ferocia del nemico. Un risultato pagato a prezzo troppo elevato di morti, quelli italiani delle Fosse Ardeatine, ma anche quelli tedeschi»<ref>{{cita|Lepre 1996|pp. 51-2}}.</ref>.
 
=== Paolo Pezzino, ''Anatomia di un massacro'' (1997) ===
In un saggio del 1997 dedicato a un analogo caso di "memoria divisa", quello dell'[[eccidio di Guardistallo]], [[Paolo Pezzino]] dedica alcune riflessioni anche a via Rasella. Richiamandosi a Lepre, Pezzino ritiene che lo scopo dei partigiani fosse quello di costringere la popolazione a schierarsi. Facendo riferimento alla tesi della "pedagogia impietosa" di Bocca, Pezzino individua proprio nella rappresaglia lo strumento mediante il quale coinvolgere la popolazione nella lotta contro gli occupanti, come fu intuito anche da quegli ufficiali tedeschi che si opposero senza successo alla strage «per motivazioni appunto "politiche" e non certo umanitarie»<ref>{{cita|Pezzino 2007|p. 168}}.</ref>. Pezzino sostiene che i partigiani agissero mossi da un'"etica del sacrificio" (una forma di "etica della convinzione", concetto elaborato da [[Max Weber]] in contrapposizione all'"etica della [[responsabilità (filosofia)|responsabilità]]"), la quale li «spinge[va] spesso a valutare come secondarie le considerazioni di salvaguardia della vita umana (in primo luogo la propria)»<ref>{{cita|Pezzino 2007|p. 170}}. Pezzino riprende l'applicazione delle categorie etiche di Weber alla guerra partigiana da un saggio del filosofo [[Tzvetan Todorov]] sulla strage di [[Saint-Amand-Montrond]]: ''Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile'', Milano, Garzanti, 1995.</ref>{{#tag:ref|Tornato sulla questione, Pezzino afferma: «a me sembra evidente che l'attentato a via Rasella avesse come fine politico scuotere una popolazione romana fatta da borghesia o piccola borghesia che era estranea se non ostile alla resistenza; da questo punto di vista io reputo probabile che una rappresaglia – certamente non nelle modalità in cui è avvenuta, che nessuno poteva prevedere – fosse stata prevista dai gappisti, ed anzi era proprio quella che avrebbe dovuto far sì che effettivamente i romani passassero ad un sostegno più attivo alla resistenza». Cfr. {{cita pubblicazione|autore=Giovanni Contini, Gabriella Gribaudi, Paolo Pezzino|titolo=Forum. Revisionismo e ortodossia. Resistenza e guerra in Italia 1943-'45 (Roma, 16 marzo 2002)|rivista=Quaderni storici|data=dicembre 2002|vol=XXXVII|numero=3|editore=Il Mulino|città=Bologna|pp=785-816: 799}}|group=N}}.
 
=== Alberto Benzoni, Elisa Benzoni, ''Attentato e rappresaglia'' (1999) ===
Nel 1999 uscì il libro ''Attentato e rappresaglia'', scritto a quattro mani da [[Alberto Benzoni]] (saggista, esponente del PSI, già vicesindaco di Roma) e da sua figlia Elisa (storica)<ref>{{cita|Benzoni 1999}}.</ref>. Il volume – che non si avvale di documenti o testimonianze inediti, bensì offre un'attenta rilettura della letteratura storiografica e memorialistica già disponibile – interpreta l'attentato come parte di un piano strategico del PCI romano, finalizzato a suscitare un'insurrezione popolare, della quale i comunisti avrebbero voluto porsi alla guida e che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto fortemente ridimensionare l'influenza degli altri partiti in seno al movimento resistenziale.
 
Gli autori respingono la tesi, già proposta da Amendola e Bentivegna, secondo cui una rappresaglia per l'attentato di via Rasella, data la presunta mancanza di significative reazioni alle tante azioni a fuoco precedenti, sarebbe stata imprevedibile: «Al contrario, come in una specie di [[roulette russa]], ogni attentato senza risposta accresceva la possibilità che essa scattasse e con maggiore violenza dopo l'azione seguente. In altre parole, la rappresaglia tedesca era da ritenere pressoché certa, proprio perché si riferiva a un'azione non solo clamorosa ma successiva a molte altre»<ref>{{cita|Benzoni 1999|pp. 77-8}}.</ref>. Individuato comunque un precedente significativo nella rappresaglia del 7 marzo conseguente a un attentato gappista in piazza dei Mirti, resa nota dai tedeschi con un comunicato che i due autori giudicano «ampiamente noto a tutti» (e ricordato da Bentivegna stesso<ref>Intervista a Rosario Bentivegna in Cesare De Simone, ''Roma città prigioniera'', Milano, Mursia, 1994, p. 238:
 
{{citazione|Rappresaglie vere e proprie fino a via Rasella non ne fecero, tranne una volta che a piazza dei Mirti un compagno dei Gap di Centocelle aveva ammazzato un tedesco e Kappler fece fucilare dieci compagni fra cui Giorgio Labò, dicendo nel comunicato che era una rappresaglia per il soldato ucciso a piazza dei Mirti.}}</ref>), i Benzoni ritengono «indiscutibile che, nell'orizzonte della dirigenza gappista, una reazione violenta e sproporzionata dei tedeschi, rispetto alla provocazione gravissima che avrebbero subito, dovesse essere considerata quasi una certezza. Essa era un elemento fondamentale dell'equazione politico-militare che il PCI aveva di fronte»<ref>{{cita|Benzoni 1999|pp. 78-9}}.</ref>.
 
In quest'ottica, secondo gli autori, l'attentato ebbe come bersaglio principale i tedeschi, e come bersaglio secondario le posizioni – dal PCI considerate attesiste – di chi, nella popolazione e nello stesso fronte resistenziale, era contrario ad alzare il livello di violenza dello scontro con gli occupanti. La rappresaglia tedesca sarebbe stata considerata in anticipo dagli attentatori come un elemento utile a diffondere nella popolazione l'odio contro l'occupante, in modo da metterla – sulla base di un calcolo poi rivelatosi errato – sulla strada dell'insurrezione<ref>{{cita|Benzoni 1999|pp. 82-6}}.</ref>. Precedenti come la rappresaglia per l'attentato in piazza dei Mirti avrebbero dovuto far dubitare che i tedeschi avrebbero reagito con una violenza indiscriminata contro la popolazione, essendo «assai più probabile che reagissero seguendo quella prassi di rappresaglia feroce, ma mirata, che avevano già avuto occasione di applicare»<ref>{{cita|Benzoni 1999|p. 87}}.</ref>.
 
Il libro pone l'accento sui forti dissensi contro l'attentato sia nell'ambito del CLN romano, sia da parte delle altre forze resistenti, come i monarchici e il gruppo di Bandiera Rossa. I Benzoni definiscono estremistica e avventurista, oltre che fallimentare, la sopra descritta strategia del PCI romano; sostengono che tale linea politica non sia stata condivisa nemmeno dall'intero PCI, e che la medesima sarebbe stata di lì a poco definitivamente accantonata per effetto della [[svolta di Salerno]]. Secondo i Benzoni, la storiografia di sinistra avrebbe nel dopoguerra passato sotto silenzio tali contrasti interni alla Resistenza, mossa dall'esigenza di creare un'immagine della lotta di liberazione come lotta unitaria<ref>[http://www.sissco.it/recensione-annale/alberto-ed-elisa-benzoni-attentato-e-rappresaglia-il-pci-e-via-rasella-1999/ Recensione di Giovanni Scirocco, Società italiana per lo studio della storia contemporanea].</ref><ref>Gabriella Mecucci, ''La ferita di via Rasella. Quell'attentato fu un fallimento?'', "l'Unità", 24 maggio 1999. L'articolo è una recensione del libro dei Benzoni.</ref>. Il libro si chiude con la richiesta di un «gesto di pietà» non solo per i morti delle Ardeatine, ma anche per gli altoatesini del Polizeiregiment "Bozen":
 
{{citazione|chiediamo anche un fiore per i riservisti del Bozen. Per la sorte che hanno subito, del tutto inconsapevoli; e per la condanna persecutoria, del tutto strumentale, di cui sono stati oggetto dopo morti. Strano destino il loro: si aprono le porte della comprensione collettiva ai giovani di Salò, e perfino agli esponenti della [[Xª Flottiglia MAS (Repubblica Sociale Italiana)|X MAS]]; mentre l'Italia rifiuta anche un segno di ricordo ai contadini sudtirolesi che non erano mai stati volontari in nessun tipo di esercito e in nessun tipo di guerra. Nel loro caso non occorre scomodare grandi e impegnativi disegni di pacificazione nazionale e di rispetto per i valori delle opposte fazioni. Niente fascismo e antifascismo, né questioni ideologiche; non c'è niente da riconoscere. Basta un semplice gesto di pietà<ref>{{cita|Benzoni 1999|p. 123}}.</ref>.}}
 
Paolo Pezzino ha criticato il libro dei Benzoni considerandolo un esempio di «uso (e abuso) pubblico della storia», aggiungendo che la «tesi del libro, essere stata via Rasella frutto di una strategia insurrezionale e avventurista del PCI, o meglio di una parte dei suoi componenti, merita di essere discussa, anche se non è certo nuova, ma è accompagnata da una pericolosa tendenza a sostituire la carenza, o la scarsa conoscenza, delle fonti storiche con congetture e ipotesi non verificabili»<ref>{{cita|Pezzino 2000|pp. 234 e 249 n.}}</ref>.
 
Dopo la morte di [[Erich Priebke]] nel 2013 è stato diffuso un suo video-testamento, nel quale l'ex capitano delle SS afferma che a via Rasella i gappisti agirono allo scopo di provocare la rappresaglia. In tale occasione Alberto Benzoni ha riproposto la sua tesi: «può succedere che anche il peggiore dei criminali [...] possa enunciare una qualche verità. E, nel caso specifico, l'ex ufficiale delle SS, quando sostiene che l'attentato del 23 marzo aveva per scopo di scatenare reazioni e controreazioni incontrollabili che dovevano sfociare nell'insurrezione, ha perfettamente ragione»<ref>{{cita news|Alberto Benzoni|http://www.avantionline.it/2013/10/1944-via-rasella-una-scomoda-verita/|1944, via Rasella. Una scomoda verità|Avanti!|17 ottobre 2013}}</ref>.
 
=== Alessandro Portelli, ''L'ordine è già stato eseguito'' (1999) ===
In un saggio di [[storia orale]] sulla memoria di via Rasella e delle Fosse Ardeatine del 1999, [[Alessandro Portelli]] si propone di contestare l'interpretazione presente «nella maggior parte della storiografia e nei libri di scuola, oltre che nelle polemiche politiche e giornalistiche», in cui le due vicende sono «trattate come un evento unico e autoconcluso», sostenendo che invece rappresentano «''due eventi distinti'', connessi tra loro da una relazione evidente ma tutt'altro che automatica, anzi altamente problematica»<ref name="Portelli19">{{cita|Portelli 2012|p. 19}} (corsivo nel testo).</ref>.
 
Secondo Portelli, la «credenza nell'automaticità e inevitabilità della rappresaglia» si fonderebbe sulla convinzione che via Rasella fosse la prima azione dei partigiani romani, mentre «al centro di Roma erano già avvenuti attentati in cui erano stati uccisi parecchi tedeschi, senza che ne seguisse una rappresaglia sulla popolazione»<ref>{{cita|Portelli 2012|pp. 150-1}}.</ref>. Più in generale, dopo aver sottolineato come l'occupazione tedesca di Roma fosse caratterizzata da numerose e gravi violenze contro i civili spesso non determinate da alcun precedente attentato partigiano<ref name="Portelli19"/>, Portelli sostiene non esservi mai stato un rapporto di [[Implicazione logica#Coimplicazione|coimplicazione]] fra le stragi perpetrate dai nazisti e i precedenti attacchi effettuati dalla Resistenza, in quanto, da una parte, non ogni attacco partigiano era seguito da una corrispondente rappresaglia tedesca; dall'altra, «non è vero [...] che ''ogni'' massacro tedesco fu una ''risposta'' a un'azione partigiana»<ref name="Portelli207">{{cita|Portelli 2012|p. 207}} (corsivo nel testo).</ref>.
 
In specifico, Portelli reputa che una rappresaglia come quella delle Fosse Ardeatine (che egli definisce «un massacro senza precedenti in Italia»<ref name="Portelli207"/>) non si potesse prevedere sulla base delle fucilazioni avvenute a Forte Bravetta prima del 23 marzo, poiché, pur seguendo talvolta ad azioni partigiane, in quei casi «non si trattò di stragi indiscriminate, ma dell'esecuzione di condanne a morte già pronunciate dopo almeno una parvenza di processi, su persone accusate di azioni specifiche. La notizia fu data, con manifesti e sui giornali, solo dopo il fatto; la relazione con gli attentati venne suggerita per contiguità ma non formalmente proclamata»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 208}}.</ref>. Quest'ultima affermazione è tuttavia contraddetta da quanto precedentemente riportato dallo stesso Portelli: la fucilazione, eseguita il 2 febbraio a Forte Bravetta, di undici partigiani di Bandiera Rossa condannati a morte dal Tribunale militare pochi giorni prima, fu «annunciata come risposta all'attacco di via Crispi»<ref>{{cita|Portelli 1999|p. 177}}.</ref> (compiuto il 24 gennaio contro un autocarro tedesco). Data la propensione dei tedeschi a non dare notizia degli attentati subiti in modo da non dare pubblico rilievo alla Resistenza, la particolarità di via Rasella consiste, per Portelli, nell'essere il primo attentato «''che non si può pubblicamente fingere di ignorare''», a causa della sua «combinazione di gravità e visibilità»<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 208}} (corsivo nel testo).</ref>.
 
Circa i soldati del "Bozen", Portelli critica la posizione di Bobbio, affermando che la guerra consiste «proprio nello spararsi addosso fra sconosciuti» e non sono solo i volontari a morire in battaglia. Inoltre, pur mostrandosi scettico riguardo alla versione che attribuisce ai militari di truppa il rifiuto di partecipare alla rappresaglia, ritenendola «funzionale da un lato all'esaltazione del cattolicesimo, e dall'altro alla dimostrazione che agli ordini era possibile sottrarsi», afferma che «l'inadeguatezza militare attribuita a questi uomini è anch'essa segno di un'alterità culturale, se non di una resistenza implicita, rispetto al modello delle SS. In un contesto del genere, è un merito non essere guerrieri, e gli va riconosciuto»<ref>{{cita|Portelli 2012|pp. 205-6}}.</ref>.
 
Recensendo il saggio di Portelli, Paolo Pezzino scrive che «la valutazione della ricaduta dell'azione sulla popolazione non poteva non essere stata presa in considerazione dai gappisti, e appare poco convincente Portelli quando sostiene che non era affatto scontata la reazione tedesca, dato che in passato l'automatismo fra azione partigiana e rappresaglia tedesca non era scattato, e "al centro di Roma erano già avvenuti attentati in cui erano stati uccisi parecchi tedeschi, senza che ne seguisse una rappresaglia sulla popolazione". Egli stesso deve ammettere che via Rasella non era "il primo attentato partigiano – ma il primo ''che non si può pubblicamente fingere di ignorare''", e quindi, proprio per la sua "combinazione di gravità e visibilità", una rappresaglia era da considerare più che probabile, anche se non se ne potevano prevedere le esatte dimensioni»<ref name=pezzino243>{{cita|Pezzino 2000|p. 243}}.</ref>.
 
Pezzino ribadisce la propria tesi secondo cui la rappresaglia fu «una delle conseguenze volute dai gappisti» per costringere la popolazione a schierarsi, come spiegato da Giorgio Bocca «in un libro che per essere stato scritto in tempi più tolleranti verso le ideologie rivoluzionarie è senz'altro meno reticente su questo punto»<ref>{{cita|Pezzino 2000|p. 244}}.</ref>. Tale mutamento interpretativo nella storiografia più favorevole ai gappisti va inquadrato, secondo Pezzino, in una generale «autocensura partigiana» sulla propria «identità rivoluzionaria», dovuta a «un imbarazzo, precisamente quello di riportare la giustificazione delle proprie azioni a motivazioni di un'ideologia rivoluzionaria oggi non solo sconfitta sul terreno politico, ma anche accompagnata da un generale e progressivamente incontrastato disdoro sul piano etico. Eppure è da presumere, considerando i caratteri di quell'ideologia, nella specifica declinazione [[stalinismo|stalinista]] che era propria di quegli anni, che proprio l'intento rivoluzionario fosse prevalente in molti di quei giovani che con cosciente scelta politica parteciparono alla resistenza, e tanto più in gappisti come quelli romani, per lo più intellettuali di giovane età, e perciò propensi ad una valutazione positiva di gesti estremi»<ref name=pezzino243/>.
 
=== Rab Bennett, ''Under the Shadow of the Swastika'' (1999) ===
In uno studio sui "dilemmi morali" della Resistenza, lo storico britannico Rab Bennett sostiene che i dilemmi più angosciosi concernono la questione del costo umano che la resistenza armata imponeva alla popolazione civile esponendola alle ritorsioni tedesche. Le varie risposte a tale questione determinarono profonde divisioni filosofiche, morali e pratiche soprattutto tra i resistenti comunisti e gli altri, in quanto per Bennett
 
{{citazione|l'intento principale della linea d'azione comunista era una calcolata, e i critici direbbero cinica, strategia di provocare deliberatamente le autorità tedesche affinché eseguissero dure rappresaglie contro la popolazione civile. [...] Sapendo che i tedeschi non avrebbero esitato a fucilare ostaggi, la linea d'azione comunista era basata sull'assunto che la popolazione civile sarebbe stata scossa dalla sua apatia e acquiescenza dall'eccessiva reazione tedesca. L'opinione pubblica si sarebbe rivolta contro i tedeschi per un senso di repulsione verso la loro sproporzionata e barbarica vendetta. L'esecuzione di ostaggi innocenti avrebbe sollevato il popolo e favorito la causa comunista»<ref>{{cita|Bennett 1999|pp. 130-1}}.</ref>.}}
 
Bennett controbatte alle argomentazioni di Robert Katz secondo cui criticare l'attentato di via Rasella equivarrebbe a incitare alla sottomissione e a rifiutare ogni forma di lotta di liberazione. Secondo Bennett, sebbene tale argomento non sia privo di qualche validità sul piano generale, risulterebbe inadeguato nel rispondere agli interrogativi concernenti le specifiche circostanze e il momento dell'attentato, le motivazioni politiche di parte che muovevano gli attentatori, e il giudizio negativo dei gruppi di resistenza non comunisti, i quali non potevano essere accusati di passività e vile arrendevolezza. Bennett afferma che l'avanzata attraverso l'Italia meridionale degli eserciti alleati, prossimi a liberare Roma il 4 giugno 1944, suscita dei dubbi circa la necessità e l'opportunità militari dell'attentato, data l'imminenza di una ritirata tedesca; dunque conclude: «L'azione non può essere considerata un'ultima disperata possibilità. Ponendo i propri obiettivi politici al di sopra di considerazioni umanitarie, i partigiani comunisti dimostrarono ben poco riguardo e sensibilità verso il grado di sofferenza umana [provocato dalla rappresaglia], che era prevedibile e seguì la consolidata prassi tedesca»<ref>{{cita|Bennett 1999|p. 138}}. La ricostruzione dei fatti a p. 137, presumibilmente ripresa dalle notizie diffuse all'epoca dalla stampa fascista, attribuisce erronemente all'esplosione l'uccisione di «dieci civili italiani, inclusi sei bambini».</ref>.
 
Lo storico britannico – rifacendosi anche ad alcuni scritti del capo partigiano comunista jugoslavo [[Milovan Gilas]] – ritiene che le strategie e le tattiche di guerriglia impiegate dai partiti comunisti durante la seconda guerra mondiale fossero diretta emanazione della loro ideologia, in particolare di una visione [[teleologia|teleologica]] della storia secondo cui il corso degli eventi procederebbe inesorabilmente verso l'edificazione della società futura. Secondo Bennett i partiti comunisti, considerandosi gli unici a possedere una «visione scientifica» della realtà e una corretta mappa dello scorrere della storia (in cui il nazismo era ritenuto il rantolo mortale del capitalismo), in nome delle generazioni future non avrebbero esitato a utilizzare ogni mezzo pur di raggiungere i propri obiettivi politici. Dunque, avrebbero agito senza riguardi verso le sofferenze dei propri popoli nella generazione attuale, sentendosi liberi da ogni normale vincolo etico o responsabilità morale per gli effetti delle proprie azioni. In quest'ottica, la resistenza e la liberazione dall'occupazione tedesca non avrebbero rappresentato un fine, ma un mezzo sulla strada della rivoluzione<ref>{{cita|Bennett 1999|pp. 138-9}}.</ref>.
 
== Anni duemila ==
=== Gabriele Ranzato, voce ''Roma'' del ''Dizionario della Resistenza'' (2000) ===
Nel 2000 la [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]] pubblico un ''Dizionario della Resistenza''. Nella voce sulla Resistenza romana, [[Gabriele Ranzato]] scrive che l'attentato di via Rasella
 
{{citazione|ha conseguito per le finalità della Resistenza un grande risultato di portata simbolica e pratica: ha potuto rappresentare, con tutta la risonanza internazionale che il fatto di essere avvenuto nella capitale implicava, la decisa volontà degli italiani di lottare contro il fascismo e i tedeschi; ha mostrato la vulnerabilità di questi ultimi, incoraggiando a imprese più audaci coloro che già si battevano contro di essi; con la sua esaltante esemplarità ha spinto molti uomini in tutta Italia a combattere gli occupanti e i loro collaboratori. La responsabilità della rappresaglia, imprevedibile nella criminalità della sua portata [...], appartiene solo a chi l'ha compiuta; soggiacere al ricatto delle rappresaglie implicava la fine di ogni resistenza armata. La legittimità dell'atto di guerra compiuto non fu tanto di natura giuridica quanto di natura morale, come lo è quella di qualsiasi azione violenta diretta ad abbattere una tirannide che abbia il monopolio della legittimità giuridica. Il fatto che la decisione di compiere l'attentato fu del solo Pci non ne limita la legittimità poiché quell'atto non contraddiceva alcuna disposizione, né del Cln né del governo Badoglio, ed era anzi assolutamente coerente con le esortazioni dell'uno e dell'altro a colpire il nemico comunque e dovunque si presentasse l'occasione<ref>{{cita|Ranzato 2000|p. 421}}.</ref>.}}
 
Tuttavia, sempre secondo Ranzato, nell'ambito locale romano la rappresaglia delle Ardeatine riuscì nell'intento di intimidire la popolazione, privò le organizzazioni della Resistenza di numerosi esponenti anche importanti, e complessivamente segnò una battuta d'arresto per la Resistenza romana, compresa quella comunista, che dopo via Rasella non riuscì più a portare a segno operazioni di tale portata. Lo sciopero generale indetto dal CLN per il 3 maggio 1944 fu un sostanziale fallimento, e, diversamente da molte altre città italiane, la liberazione da parte degli Alleati non fu preceduta da alcuna insurrezione<ref>{{cita|Ranzato 2000|pp. 421-3}}.</ref>.
 
La voce suscitò delle polemiche tra storici. [[Giovanni Belardelli]] contestò l'esclusione dalla bibliografia della voce di tre libri critici verso «l'interpretazione tradizionale» dell'attentato: ''Via Rasella'' di [[Aurelio Lepre]] (Laterza, 1996), ''Attentato e rappresaglia'' di Alberto ed Elisa Benzoni (Marsilio, 1999) e ''La Resistenza in convento'' di Enzo Forcella (Einaudi, 1999)<ref>{{cita news|Giovanni Belardelli|http://archiviostorico.corriere.it/2000/dicembre/07/dizionario_delle_idee_senso_unico_co_0_0012075898.shtml|Il dizionario delle idee a senso unico|Corriere della Sera|7 dicembre 2000}}</ref>. Ranzato replicò di non aver citato i tre testi non ritenendoli essenziali, criticando in particolare il libro dei Benzoni, definito «così modesto e tendenzioso da non poter trovare estimatori che in coloro i quali usano la materia storiografica solo per le rese di conti personali e la lotta politica», e denunciando l'esistenza di «una sorta di [[Organizzazione Gladio|Gladio]] storiografica» anticomunista<ref>{{cita news|Gabriele Ranzato|http://archiviostorico.corriere.it/2000/dicembre/11/regole_del_gioco_co_0_0012115998.shtml|Le regole del gioco|Corriere della Sera|11 dicembre 2000}}</ref>. I Benzoni risposero di essere preoccupati «per il mondo, quello della sinistra, cui ci onoriamo di appartenere. Quella di Ranzato è la sinistra della Linea e dei suoi sacerdoti», rilevando come il loro libro non avesse suscitato l'auspicata discussione su via Rasella: «Da quella parte abbiamo avuto soltanto silenzio»<ref>{{cita news|Alberto ed Elisa Benzoni|http://archiviostorico.corriere.it/2000/dicembre/16/fatti_via_Rasella_co_0_0012169974.shtml|I fatti di via Rasella|Corriere della Sera|16 dicembre 2000}}</ref>.
 
Circa le affermazioni di Ranzato sul «ricatto delle rappresaglie» e la legittimità morale ancor più che giuridica dell'attentato, [[Paolo Pezzino]] scrive:
 
{{citazione|Si tratta, a mio avviso, di giudizi prodotti da una contaminazione fra il livello della ricerca storiografica e il livello etico-politico, che non condivido. Sul piano analitico non si può considerare la resistenza armata una guerra come tutte le altre: la continua rivendicazione da parte partigiana del proprio carattere combattente può nascondere la stessa pretesa di irresponsabilità dei soldati regolari nelle azioni di guerra, con la medesima semplificazione di chi, riducendo gli individui ad automi irresponsabili delle proprie azioni, sostiene che gli ufficiali e i soldati tedeschi che si macchiavano di azioni inumane non avevano alternativa al loro comportamento a causa degli ordini draconiani che ricevevano<ref>{{cita|Pezzino 2004|pp. 43-44}}.</ref>.}}
 
=== Richard Raiber, ''Anatomy of Perjury'' (2001) ===
Lo storico statunitense Richard Raiber afferma che, «come molte azioni partigiane, via Rasella non ottenne alcun risultato tangibile», poiché il reparto colpito non era delle SS, provocò non un'insurrezione ma un'atroce rappresaglia e spinse i tedeschi, timorosi che l'azione fosse collegata a un'offensiva alleata dalla testa di ponte di Anzio e Nettuno, a inasprire ulteriormente le misure repressive contro la già sofferente popolazione romana<ref>{{cita|Raiber 2008|p. 43}}.</ref>{{#tag:ref|Recensendo il volume di Raiber, Waitman W. Beorn lo ha criticato per il suo atteggiamento alquanto giustificatorio nei confronti dei crimini di guerra della Wehrmacht, e per avere a volte attribuito la responsabilità delle rappresaglie naziste, più che ai nazisti stessi, alle popolazioni che ne furono vittima. Cfr. Waitman W. Beorn, ''[http://www.h-net.org/reviews/showrev.php?id=25815 An Edifice of Lies: Kesselring and German War Crimes in Italy'', Review of: ''Raiber Richard, Anatomy of Perjury: Field Marshal Albert Kesselring, Via Rasella, and the Ginny Mission]'', H-German, H-Net Reviews, November 2009.|group=N}}.
 
=== Joachim Staron, ''Fosse Ardeatine e Marzabotto'' (2004) ===
Joachim Staron, storico tedesco autore di un ampio studio sugli eccidi delle Fosse Ardeatine e di [[strage di Marzabotto|Marzabotto]] nel mito nazionale dell'Italia repubblicana, scrive che ai vari miti sugli eventi romani del marzo 1944 diffusi a destra corrispondono «altre leggende, diffuse soprattutto a sinistra, come quella riassumibile nell'affermazione, più volte ripetuta dagli attentatori di via Rasella nel corso dei vari processi, secondo cui essi non avrebbero assolutamente potuto prevedere l'eventualità di una rappresaglia»<ref>{{cita|Staron 2007|p. 9}}.</ref>.
 
L'autore cita diversi testimoni del processo Kappler del 1948 a sostegno del fatto che, prima dell'attentato di via Rasella, i tedeschi avessero già eseguito rappresaglie per azioni partigiane mediante fucilazioni di dieci prigionieri per ogni loro caduto{{#tag:ref|Tra i testimoni citati, due ex difensori dei partigiani innanzi al tribunale di guerra tedesco: Ottone (Otto) Vinatzer, che – giudicato da Staron «non sospettabile di nutrire simpatia per i tedeschi» – si disse peraltro convinto che i gappisti avessero agito per creare un «monumento» di odio antitedesco; e Arturo Gottardi, il quale riferì che in precedenza uno dei suoi assistiti era stato inserito in una lista di dieci persone da fucilare per rappresaglia. Negli anni settanta Vinatzer ribadì la sua convinzione: dopo via Rasella, presagendo insieme al collega [[Bruno Cassinelli]], difensore di Montezemolo, una rappresaglia contro prigionieri (essendocene già state in precedenza «tre o quattro»), Vinatzer aveva contattato padre [[Pancrazio Pfeiffer]], portavoce vaticano presso il comando tedesco, il quale gli aveva risposto di essersi già attivato per dissuadere i tedeschi dal compiere la strage, «onde non cadere nel tranello teso loro dagli attentatori, ai quali non interessava l'uccisione di una trentina di vecchi piantoni, ma che volevano provocare l'inevitabile rappresaglia tedesca, onde costruire a Roma [...] un momento di odio antitedesco, perenne». Cfr. {{cita news|Giovanni Preziosi|http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/071q01.pdf#page{{=}}4|E padre Pancrazio allargò le braccia|L'Osservatore Romano|25-26 marzo 2013|p=4}}|group=N}}. Inoltre rileva, sulla base delle testimonianze rese da [[Ivanoe Bonomi|Bonomi]] e dai generali [[Roberto Bencivenga|Bencivenga]] e [[Quirino Armellini|Armellini]] al processo Kappler, che la Resistenza romana era spaccata in merito all'opportunità di compiere attentati, con i favorevoli in posizione di minoranza, nonché, sulla base delle memorie di Bentivegna, che la questione era discussa all'interno dello stesso PCI<ref>{{cita|Staron 2007|p. 39}}.</ref>. Staron quindi scrive:
 
{{citazione|Se si considerano le rappresaglie compiute nelle settimane precedenti l'attentato di via Rasella e il gran numero di segnali che dovevano aver messo in qualche modo sull'avviso gli attentatori (occorre ricordare, al riguardo, che già prima dell'attentato anche in seno al Partito comunista si era discusso in merito alle possibili rappresaglie), l'affermazione più volte ripetuta dopo la guerra dagli attentatori, secondo cui non si era messa in conto una rappresaglia come quella delle Fosse Ardeatine (di più: si sarebbero costituiti se avessero immaginato che altrimenti ne avrebbero fatto le spese degli innocenti), non appare molto convincente. Certo, non si può che concordare con Klinkhammer quando afferma che fino a quel momento non era mai stata eseguita una rappresaglia di tali proporzioni, ma occorre anche tener conto del fatto che gli attentati precedenti avevano causato un numero di gran lunga inferiore di vittime, e quindi non si può ragionevolmente sostenere, come invece fa Katz, che "qualsiasi azione partigiana, fra le cento compiute a Roma, avrebbe potuto avere per conseguenza l'eccidio delle Ardeatine"»<ref>{{cita|Staron 2007|p. 42}}.</ref>.}}
 
Secondo lo studioso, se è plausibile che i gappisti, allora appena ventenni, non avessero piena consapevolezza delle conseguenze della loro azione, lo stesso non si può affermare per i dirigenti che impartirono loro l'ordine. Dunque – rifacendosi anch'egli alla tesi del terrorismo "pedagogico" di Bocca&nbsp;– Staron, pur sottolineando la «fondamentale differenza» tra il regime di terrore dei nazisti e la resistenza, conclude che, «per lo meno ai livelli più alti del movimento resistenziale, si aveva piena consapevolezza delle dimensioni che avrebbe potuto assumere un'eventuale rappresaglia. Dunque, non era tanto l'attentato in sé quanto piuttosto la probabile rappresaglia che ne sarebbe conseguita che doveva risvegliare la popolazione romana dal suo letargo e convincerla della vera natura del regime di occupazione»<ref>{{cita|Staron 2007|p. 43}}.</ref>.
 
Sul ''Corriere della Sera'' del 6 febbraio 2007 apparve una breve nota di [[Ernesto Galli della Loggia]], nella quale quest'ultimo, polemizzando contro la «ortodossia resistenzial-antifascista», approvava la tesi di Staron secondo cui il vero scopo dell'attentato di via Rasella era stato quello di provocare una rappresaglia. In risposta a Galli della Loggia, Alessandro Portelli scrisse una lettera al quotidiano milanese contestando tale tesi di Staron. Secondo Portelli lo storico tedesco, dall'affermazione della prevedibilità di una rappresaglia da parte dei partigiani (prevedibilità che Portelli ritiene indimostrata), «salta, senza argomentarlo e con un notevole balzo logico, ad affermare che quindi hanno agito con l'intenzione di provocarla». Portelli confuta inoltre l'asserzione di Staron secondo cui, al momento dell'attentato, non ci sarebbero stati comunisti fra i prigionieri dei tedeschi<ref>Alessandro Portelli, ''L'uso mitico della storia: varianti delle Fosse Ardeatine'', in {{Cita|Caffiero e Procaccia 2008|p. 176|Caffiero e Procaccia 2008}}, ove è riportato il testo integrale della lettera inviata da Portelli al "Corriere della Sera", mai pubblicata dal quotidiano milanese. La lettera di Portelli, in cui è citato il testo del corsivo di Galli della Loggia, è pubblicata anche nel blog dello stesso Portelli: [http://alessandroportelli.blogspot.it/2007/02/luoghi-comuni-ed-errori-sulle-fosse.html ''Luoghi comuni ed errori sulle Fosse Ardeatine: una lettera al Corriere della Sera'', 13 febbraio 2007].</ref>.
 
=== Lorenzo Baratter, ''Le Dolomiti del Terzo Reich'' (2005) ===
Negli anni duemila lo storico Lorenzo Baratter in diverse pubblicazioni ha divulgato in italiano lo stato della storiografia in lingua tedesca sul "Bozen" e gli altri reggimenti di polizia sudtirolesi. Nel 2005 Baratter, in un saggio sulla storia dell'[[Zona d'operazioni delle Prealpi|Alpenvorland]], ha scritto che i caduti di via Rasella, in quanto sudtirolesi, «erano stati tra le vittime predilette dalla repressione nazista e fascista», e alla luce delle nuove acquisizioni storiografiche ha definito «disarmante che ancora oggi si continui a sostenere, in malafede, che il "Bozen" fosse formato da volontari appartenenti alle famigerate SS, già responsabili di efferate azioni contro cittadini inermi ed ebrei, o addirittura corresponsabili della strage delle Fosse Ardeatine»<ref>{{cita|Baratter 2005|pp. 208-210}}.</ref>.
 
== Anni duemiladieci ==
=== Rapporto della Commissione storica italo-tedesca (2012) ===
La Commissione storica italo-tedesca definisce quella di via Rasella la più nota e «la più gravida di conseguenze» delle azioni dei GAP, consistenti in «attentati politici» che «avevano anche lo scopo di scuotere la maggioranza della popolazione civile dallo stato di attesa passiva in cui versava», ossia «di dimostrare la forza della Resistenza e di mobilitare strati sempre più ampi della popolazione contro il regime d'occupazione»; obiettivo generalmente non conseguito:
 
{{citazione|Le reazioni in cui i gruppi di resistenza avevano sperato tuttavia non arrivarono. Al contrario, da lettere e petizioni emerge addirittura che a volte il risentimento della popolazione si dirigeva piuttosto contro coloro che con i loro attentati provocavano le rappresaglie tedesche, anziché contro gli autori delle rappresaglie stesse. Anche a Roma, in alcuni settori della popolazione la deprecazione nei confronti dell'attentato sopravanzò l'avversione prodotta dalle esecuzioni.}}
 
Sebbene sia storicamente accertato che questo genere di attentati abbia suscitato critiche in parte della popolazione italiana, la gran parte di essa (fatta eccezione per una minoranza di fascisti che collaboravano attivamente all'occupazione) condivise comunque un atteggiamento di avversione nei confronti dei tedeschi occupanti, considerando questi ultimi responsabili del persistere della guerra<ref name=commissione>''[http://www.villavigoni.it/contents/files/Relazione_finale_in_italiano.pdf Rapporto della Commissione storica italo-tedesca insediata dai Ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale di Germania il 28 marzo 2009]'' {{pdf}}, luglio 2012, pp. 29-30 e 110-2.</ref>.
 
=== Santo Peli, ''Storie di Gap'' (2014) ===
Secondo Santo Peli, nella strategia del PCI i GAP avevano una duplice funzione: prima di tutto quella di offrire alle masse, in particolare alla classe operaia, «esempi concreti di lotta» tali da vincere la loro passività e indurle all'azione<ref>{{cita|Peli 2014|pp. 16-7}}.</ref>; inoltre quella di creare nelle città un'atmosfera di guerra, al fine di impedire che vi si consolidasse «un ''modus vivendi''» fra i nazifascisti e la popolazione civile, il quale avrebbe garantito «ai tedeschi un comodo sfruttamento delle risorse e ai fascisti di accreditarsi come governo legittimo»<ref>{{cita|Peli 2014|p. 22}}.</ref>.
 
Sulla scorta di tale ricostruzione, Peli offre una valutazione articolata della tesi di Bocca sulla "pedagogia impietosa". Egli scrive infatti che, se «applicata all'intera vicenda dei Gap, questa interpretazione si rivela assai schematica e riduttiva, oltre che tendenziosa». Peli riconosce invece alla tesi di Bocca una «verità parziale» se riferita alle prime azioni messe in atto dai GAP nel 1943: «per ''creare un clima di guerra'', per costringerli a mostrare anche nelle città del Centronord il vero volto dell'occupazione, i tedeschi vanno attaccati, subito e duramente, e la rappresaglia è un elemento dolorosamente utile, che serve a bruciare gli spazi di mediazione, i tentennamenti»<ref>{{cita|Peli 2014|p. 23}} (corsivo nel testo).</ref>.
 
Passando poi a trattare l'attentato di via Rasella, Peli annovera tra quelle che definisce «pseudo-verità» l'asserzione secondo cui «il rapporto di 10 a 1 tra prigionieri da trucidare e tedeschi uccisi [...] fosse del tutto prevedibile, in quanto derivante da una presunta "legge di guerra", o da una prassi consolidata al punto da essere da tutti conosciuta. In realtà, in Italia come nel resto d'Europa, il rapporto 10:1 viene utilizzato in modo sporadico, a seconda di un insieme di mutevoli circostanze, e gli esempi di mancate rappresaglie, o di rappresaglie dove la proporzione è di 50, o di 100 a 1, sono abbondanti»<ref>{{cita|Peli 2014|p. 258}}.</ref>.
 
Continua Peli:
 
{{citazione|Fino al 23 marzo 1944, una risposta di quell'entità non è prevedibile: si tratta di un dato di fatto ampiamente documentato e non è necessario insistervi ulteriormente. Ciò che colpisce è l'inossidabile pervasività dell'opinione contraria, che non può essere liquidata come semplice frutto d'ignoranza. Come nel caso dell'invenzione dei manifesti invitanti i "colpevoli" a presentarsi, anche la pretesa esistenza di una legge del 10 a 1 ha una sua precisa funzionalità in un discorso antiresistenziale, perché permette di contrapporre a un "ordine" implacabile, duro, però garantito da un esercito regolare, la "irresponsabilità" di chi, conoscendo perfettamente quest'"ordine", lo sfida, costringendo le "autorità", che pure avevano preavvertito delle conseguenze, a compiere una rappresaglia. Da una parte "l'ordine costituito", dall'altra dei "fuorilegge". "Banditen", appunto, come li chiamano i tedeschi<ref>{{cita|Peli 2014|pp. 259-60}}.</ref>{{#tag:ref|Recensendo il volume di Peli, Antonio Carioti scrive che la tesi dell'autore circa l'imprevedibilità della strage delle Fosse Ardeatine «convince solo in parte»: «Data la gravità delle perdite tedesche in via Rasella, era evidente che sarebbe scattata una risposta brutale, a meno di non farsi illusioni sui nazisti». Cfr. {{cita news||http://lettura.corriere.it/gap-i-partigiani-piu-discussi/|Gap, i partigiani più discussi|[[La Lettura]]|20 gennaio 2015}}|group=N}}.}}
 
==Note==
<references />
=== Note esplicative e di approfondimento ===
<references group=N/>
 
=== Note bibliografiche ===
<references/>
 
== Bibliografia ==
;Saggi e articoli storici
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* {{cita libro|Friedrich|Andrae|La Wehrmacht in Italia. La guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile 1943-1945|1997|annooriginale=1995|Editori Riuniti|Roma|isbn=88-359-4233-0|cid=Andrae 1997}}
* {{cita libro|Lorenzo|Baratter|wkautore=Lorenzo Baratter|Le Dolomiti del Terzo Reich|2005|Mursia|Milano|isbn=88-425-3463-3|cid=Baratter 2005}}
* {{cita libro|Roberto|Battaglia|wkautore=Roberto Battaglia|Storia della Resistenza italiana|1964|annooriginale=1953|Einaudi|Torino|cid=Battaglia 1964}}
* {{cita libro|Rab|Bennett|Under the Shadow of the Swastika. The Moral Dilemmas of Resistance and Collaboration in Hitler's Europe|1999|Macmillan|Basingstoke|isbn=978-1-349-39724-2|cid=Bennett 1999|lingua=en}}
* {{cita libro|Alberto|Benzoni|wkautore=Alberto Benzoni|coautori=Elisa Benzoni|Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella|1999|Marsilio|Venezia|isbn=88-317-7169-8|cid=Benzoni 1999}}
* {{cita libro|Giorgio|Bocca|wkautore=Giorgio Bocca|Storia dell'Italia partigiana. Settembre 1943–maggio 1945|1996|annooriginale=1966|Mondadori|Milano|isbn=88-04-43056-7|cid=Bocca 1996}}
* {{cita pubblicazione|autore=Giovanni Contini|titolo=L'ordine è già stato eseguito|rivista=[[Quaderni storici]]|data=gennaio 2000|vol=XXXV|numero=1|editore=Il Mulino|città=Bologna|pp=223-231|ISSN=0301-6307|cid=Contini 2000}}
* {{cita libro|Renzo|De Felice|wkautore=Renzo De Felice|Mussolini l'alleato 1940-1945. II. La guerra civile 1943-1945|1997|Einaudi|Torino|isbn=88-06-11806-4|cid=De Felice 1997}}
* {{cita libro|Enzo|Forcella|wkautore=Enzo Forcella|La Resistenza in convento|1999|Einaudi|Torino|isbn=88-06-14880-X|cid=Forcella 1999}}
* {{cita libro|Robert|Katz|wkautore=Robert Katz|Morte a Roma. La storia ancora sconosciuta del massacro delle Fosse ardeatine|1968|annooriginale=1967|Editori Riuniti|Roma|cid=Katz 1968}}
* {{cita libro|Lutz|Klinkhammer|wkautore=Lutz Klinkhammer|L'occupazione tedesca in Italia 1943-1945|2007|annooriginale=1993|Bollati Boringhieri|Torino|ISBN=88-339-1782-7|cid=Klinkhammer 2007}}
* {{cita libro|Lutz|Klinkhammer|Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44)|1997|Donzelli Editore|Roma|isbn=88-7989-339-4|cid=Klinkhammer 1997}}
* {{cita libro|Aurelio|Lepre|wkautore=Aurelio Lepre|Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza a Roma|1996|Laterza|Roma-Bari|isbn=88-420-5026-1|cid=Lepre 1996}}
* {{cita libro|Santo|Peli|Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza|2014|Einaudi|Torino|isbn=88-06-22285-6|cid=Peli 2014}}
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|url=http://books.google.it/books?id=-8Lk8E3QsggC|accesso=21 marzo 2009|1999|Donzelli Editore|Roma|isbn=88-7989-457-9|cid=Portelli 2012}} Riedizione: Milano, Feltrinelli Editore, 2012, ISBN 978-88-07-723421.
* {{cita libro|Paolo|Pezzino|wkautore=Paolo Pezzino|Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca|2007|annooriginale=1997|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11877-2|cid=Pezzino 2007}}
* {{cita pubblicazione|autore=Paolo Pezzino|titolo=Le Fosse Ardeatine: un luogo della memoria?|rivista=Quaderni storici|data=gennaio 2000|vol=XXXV|numero=1|editore=Il Mulino|città=Bologna|pp=232-250|ISSN=0301-6307|cid=Pezzino 2000}}
{{colonne spezza}}
* {{cita libro|Paolo|Pezzino|capitolo=Guerra ai civili. Le stragi tra storia e memoria|url_capitolo=http://www.sissco.it/download/biblio_digitale/Pezzino_guerracivili.pdf|curatore=Luca Baldissara e Paolo Pezzino|Crimini e memorie di guerra|2004|L'ancora del mediterraneo|Napoli|isbn=88-8325-135-0|cid=Pezzino 2004}}
* {{cita libro|Enzo|Piscitelli|Storia della Resistenza romana|1965|Laterza|Bari|cid=Piscitelli 1965}}
* {{cita libro|Richard|Raiber|Anatomy of Perjury. Field Marshal Albert Kesselring, Via Rasella, and the GINNY Mission|altri=prefazione di Dennis Showalter|2008|annooriginale=2001|University of Delaware Press|Newark|isbn=978-0-87413-994-5|cid=Raiber 2008|lingua=en}}
* {{cita libro|Gabriele|Ranzato|capitolo=Roma|curatore=[[Enzo Collotti]], [[Renato Sandri]] e [[Frediano Sessi]]|Dizionario della Resistenza|volume=vol. I: ''Storia e geografia della Liberazione''|2000|Einaudi|Torino|pp=412-23|isbn=88-06-14689-0|cid=Ranzato 2000}}
* {{cita libro|Joachim|Staron|Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche|2007|annooriginale=2002|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-11518-8|cid=Staron 2007}}
 
;Memorie
* {{cita libro|Giorgio|Amendola|wkautore=Giorgio Amendola|Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945|1973|Editori Riuniti|Roma|cid=Amendola 1973}}
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|wkautore=Rosario Bentivegna|Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella|2004|annooriginale=1983|Mursia|Milano|isbn=88-425-3218-5|cid=Bentivegna 2004}}
** Appendice terza: Lorenzo Baratter, ''La storia del Polizeiregiment «Bozen»: dall'Alpenvorland a via Rasella'', pp.&nbsp;353–368.
 
;Diari
* {{cita libro|Franco|Calamandrei|wkautore=Franco Calamandrei|La vita indivisibile. Diario 1941-1947|1984|Editori Riuniti|Roma|cid=Calamandrei 1984}}
 
;Raccolte di articoli
* {{cita libro|||Una «inutile strage»? Da via Rasella alle Fosse Ardeatine|altri=a cura di [[Angiolo Bandinelli]] e [[Valter Vecellio]]|1982|Pironti|Napoli|cid=Bandinelli e Vecellio 1982}}
* {{Cita libro|titolo = Vero e falso. L'uso politico della storia|autore1 = D. Bidussa|autore2 = M. Caffiero|autore3 = C. S. Capogreco|autore4 = A. Del Col|autore5 = C. G. De Michelis|autore6 = E. Gentile|autore7 = D. Menozzi|autore8 = M. G. Pastura|autore9 = A. Portelli|autore10 = M. Procaccia|autore11 = D. Quaglioni|autore12 = C. Vivanti|curatore = Marina Caffiero e Micaela Procaccia|editore = Donzelli|città = Roma|anno = 2008|ISBN = 978-88-6036-238-4|cid = Caffiero e Procaccia 2008}}
 
;Opere di divulgazione
* {{cita libro|Rosario|Bentivegna|coautori=Cesare De Simone|Operazione via Rasella. Verità e menzogne|1996|Editori Riuniti|Roma|isbn=88-359-4171-7|cid=Bentivegna-De Simone 1996}}
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==Collegamenti esterni==
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{{Hockey su ghiaccio Asiago rosa}}
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