Storia della Corsica e Serbske Nowiny: differenze tra le pagine

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{{S|quotidiani tedeschi}}
{{Avvisounicode}}
{{Testata giornalistica
[[File:Flag of Corsica.svg|thumb|upright=1.4|La [[Bandiera Testa Mora|bandiera]] tradizionale della Corsica]]
|nome = Serbske Nowiny
|logo = SerbskeNowiny-title.jpg
{{torna a|Corsica}}
|larghezza logo =
La '''[[storia]] della [[Corsica]]''', in cui l'insediamento umano è testimoniato almeno dal [[X millennio a.C.]], si collega per alcuni tratti a [[Storia della Sardegna|quella della Sardegna]], con la quale ebbe in più epoche punti di contatto, e dopo aver subito numerose dominazioni (come quella [[Repubblica di Genova|genovese]]) fa parte, dal [[XVIII secolo]] in avanti, di [[Storia della Francia|quella della Francia]].<ref>[http://www.laboo.biz/corsica/storia.php Sommario di "Storia della Corsica"]</ref>
|abbreviazione =
 
|stato = DEU
{{Approfondimento|titolo=Il fattore geografico|contenuto=
|stato2 =
<div style="font-size: 90%">
|stato3 =
Nella '''storia della [[Corsica]]''' [[geografia]] ed [[orografia]] hanno avuto conseguenze più spiccate che altrove. La grande isola [[mar Mediterraneo|mediterranea]] è una sorta di "montagna in mezzo al mare", attraversata com'è, da nord-ovest a sud-est, da un notevole sistema di [[catena montuosa|catene montuose]] le cui cime superano spesso i 2500 metri. Tali cime culminano nei 2706 metri del [[Monte Cinto (Corsica)|Monte Cinto]], la cui vetta - spesso innevata anche d'estate - dista solo 28 km dal mare, a ponente, illustrando così assai bene lo sviluppo ''verticale'' più che ''orizzontale'' di questa terra.
|paese =
 
|codlingua =
Questo sistema montuoso ha da sempre diviso la Corsica in due parti: quella a Nord-Est (oggi ''[[Corsica settentrionale|Haute-Corse]]''), detta storicamente ''Banda di dentro'', ''Di qua dai monti'' o ''Cismonte'' (avendo come riferimento l'[[Italia]]), e quella a Sud-Ovest (oggi ''[[Corsica del Sud|Corse-du-Sud]]''), detta ''Banda di fuori'', ''Di là dai monti'' o ''Pumonte''.
|codlingua2 =
 
|codlingua3 =
I passi che attraversano le montagne - molti dei quali sono situati oltre i 1000 metri - erano bloccati anche per settimane dalle nevicate, venendo così a costituire, assieme ai monti, più una barriera che un vero collegamento tra le due sub-regioni. Ancora, le ripide vallate, spesso prive di collegamenti tra loro anche nell'ambito della stessa ''Banda'', tracciano una ragnatela a compartimenti stagni nell'entroterra còrso.
|lingua = [[Lingua lusaziana superiore]]
 
|periodicità = [[quotidiano]]
Se da un lato queste caratteristiche del terreno hanno reso lungo e difficile il compito agli invasori, rendendone lenta la penetrazione ed abituando i còrsi a fare di guerra e [[guerriglia]] il proprio pane quotidiano per secoli, dall'altro hanno contribuito decisivamente a tenere sempre relativamente bassa la densità della popolazione ed a separare i còrsi tra loro.
|genere =
 
|formato =
Il versante rivolto all'[[Italia]] ha subìto una maggiore influenza dalla Penisola, sia sul piano politico-sociale, sia su quello linguistico, mentre la parte sud-occidentale ha mantenuto un'originalità più spiccata (ma goduto di un minore progresso politico, almeno sino all'attuale periodo [[Francia|francese]]), mentre il radicamento della popolazione nelle vallate montane - tutte le maggiori città sul mare sono state fondate o sviluppate dagli invasori - ha generato e diffuso ovunque una tendenza al particolarismo, a volte spinta sino a sfociare in una sorta di [[anarchismo]] la cui conseguenza forse più drammatica fu il diffondersi e l'affermarsi, per secoli, della piaga della ''vendetta'' (simile alla ''disamistade'' diffusa nella vicina Sardegna ed alla ''[[faida]]'' nell'Italia meridionale e in Sicilia) quale sistema sommario di giustizia, e del diffuso fenomeno del [[banditismo]].
|tiratura =
 
|data-tiratura =
[[File:Corsica prospettiva nasa.jpg|thumb|center|upright=1.4|Vista satellitare sintetica della Corsica che ne evidenzia il rilievo montuoso. Sullo sfondo l'[[Arcipelago Toscano]] e l'[[Promontorio dell'Argentario|Argentario]]]]
|diffusione = 2.000 ca.
La grande divisione orografica longitudinale e quelle (minori, ma a volte non meno importanti) trasversali, più marcate nella zona sud-occidentale, hanno dunque finito per creare nell'isola confini ideali, sociali, linguistici e politici. Tali confini, filtrati dalla storia, si sono tradotti nelle suddivisioni amministrative che, con poche variazioni, sono rimaste immutate sino ai giorni nostri. I due dipartimenti (Départements 2A/2B), reintrodotti dalla Francia nel 1975 (dopo un'analoga parentesi tra 1793 e 1811), ricalcano i confini storici di Pumonte e Cismonte, mentre gli attuali Cantoni (Cantons) corrispondono in buona parte all'antico sistema delle Pievi (suddivisione amministrativa del territorio delle parrocchie), sviluppato durante i secoli del dominio genovese (1284-1768).
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|resa =
Situata in posizione strategica nel Mar Mediterraneo occidentale, la Corsica suscitò l'interesse dei popoli e degli Stati che, via via, si sono affacciati su quel mare come commercianti o come conquistatori.
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[[Liguri]], [[Fenici]], [[Greci]], [[Etruschi]], [[Civiltà romana|Romani]], [[Vandali]], [[Bizantini]], [[Repubblica di Pisa|Pisani]], [[Regno d'Aragona|Aragonesi]], [[Repubblica di Genova|Genovesi]] e, per ultimo, i Francesi (che, con il Trattato di Versailles del 1768 di fatto costrinsero la Repubblica di Genova a cedere l'isola, e subito dopo l'annessero), si sono fatti signori di Corsica durante il trascorrere di oltre due millenni.
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|proprietà = [[Domowina]]
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|direttore = Janek Wowčer
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[[File:Serbske Nowiny 7.01.1899.png|thumb|right]]
'''''Serbske Nowiny''''' è un [[quotidiano]] [[Germania|tedesco]] in [[lingua lusaziana superiore]] (o sorabo superiore), edito a [[Bautzen]] dalla casa editrice della ''[[Domowina]]'', associazione che riunisce le associazioni culturali [[sorabo|sorabe]]. È l'unico quotidiano in questa lingua.
 
== Antichità Storia==
Fu fondato come settimanale nel [[1842]], col nome ''Tydźenska nowina - Serbske powěsće za hornich Łužičanow''. Dodici anni dopo prese l'attuale nome, e dal [[1921]] fu trasformato in quotidiano. Durante il [[Terzo Reich]] fu dapprima limitato, poi chiuso (nel [[1937]]).
=== I primi abitanti ===
{{vedi anche|Preistoria della Corsica}}
'''Durante''' le [[glaciazione|glaciazioni]], il livello medio del mare [[Mediterraneo]] si abbassò e si crearono diversi ponti naturali che consentirono il passaggio della fauna dal continente italiano all'arcipelago sardo-corso, passando per le isole di quello toscano ed attraversando al più uno stretto tratto di mare. Attorno a 12-14&nbsp;000 anni fa, il clima iniziò l'evoluzione che lo ha portato verso la sua forma attuale, e la [[Corsica]], distaccatasi dalla [[Tirrenide]], assunse l'odierna configurazione [[isola|insulare]]. Nel [[XIX secolo]] fu sviluppata l'ipotesi che anche l'uomo potesse aver popolato queste lande raggiungendole a piedi quando ancora non era completamente un'isola; questa tesi del ''[[Nicolas Mattei|docteur Mattei]]'' fu ripresa dal conte [[Pierre Paul Raoul Colonna de Cesari Rocca|Colonna de Cesari Rocca]], che notò come, al tempo in cui scriveva, gli antropologi<ref>Obedenare su ''Bulletin de la Société d'Anthropologie de Paris''</ref> si stessero interessando di curiose somiglianze comportamentali fra i caratteri di alcune tipologie di corsi e di albanesi (anch'essi di origine pelagica) che con molta analogia - riferisce lo studioso - avevano spirito di [[clan]] e l'abitudine di assoggettare per poi dominare le popolazioni presso le quali si erano introdotti.<ref name=colonna>Pierre Paul Raoul Colonna de Cesari-Rocca, ''[http://www.archive.org/download/histoiredelacors00colouoft/histoiredelacors00colouoft.pdf Histoire de la Corse]'', Boyle, 1890</ref>
 
Risalgono a circa il [[9000 a.C.]] ([[Valorguiano|Romanelliano]]) i primi giacimenti di pietre scheggiate e gli abbozzi scultorei finora ritrovati in Corsica, nella regione di [[Porto-Vecchio]].
Uno [[scheletro (anatomia umana)|scheletro]] femminile (la ''[[dame de Bonifacio]]'') datato al [[VII millennio a.C.]] è stato trovato presso la città omonima.
Il [[Neolitico]] antico è rappresentato in Corsica da reperti di ceramiche [[Cultura della ceramica cardiale|cardiali]] e da [[ossidiana]] importata. I maggiori influssi sembrano provenire sia dalla [[Toscana]] che dalla [[Sardegna]]. [[File:Corsica Prehistory Palaghju megaliths.jpg|thumb|left|Menhir (''stantare'') allineati nel sito megalitico di Palaghju nei pressi di [[Sartena]]]]Nelle fasi successive si sviluppò in Corsica una civiltà [[Megalito|megalitica]] di rilievo, che lascia sull'isola [[dolmen]] (''stazzòne'', trovati presso [[Cauria]] e [[Pagliagio]]), [[menhir]] (''stantare'') e le originali ''statue-[[menhir]]'', concentrate soprattutto a Sud, nel sito di [[Filitosa]] ed in quello di [[Funtanaccia]], nei pressi di [[Sartena]], ma presenti anche al Nord, presso [[San Fiorenzo (Francia)|San Fiorenzo]]. Il sito di Filitosa - riconosciuto patrimonio mondiale dall'[[UNESCO]] - si trova nei pressi di [[Sollacaro]], verso lo sbocco sul mare della valle del [[Taravo (fiume)|Taravo]]).
 
Secondo l'archeologo [[Giovanni Lilliu]], nella seconda metà del [[IV millennio a.C.]], la Corsica fu investita da una corrente culturale chiamata [[Cultura di Arzachena]], nota anche come ''aspetto culturale corso-gallurese'', secondario al complesso culturale conosciuto come [[Cultura di Ozieri]] ed esteso su tutta la Sardegna. La ''facies'' corso-gallurese interessava prevalentemente l'intera [[Gallura]] con espansione oltre le [[Bocche di Bonifacio]], nella Corsica del Sud. Sempre secondo G. Lilliu, tale ''facies'' evidenziava una società a sfondo aristocratico ed individualistico, e si distingueva chiaramente da quella predominante di Ozieri, tendenzialmente democratica e con chiari influssi dal Mediterraneo orientale. La ''facies'' pastorale aristocratica di Arzachena e la cultura agricola democratica di Ozieri, costituiranno la più importante componente sociologica delle popolazioni sarde prenuragiche<ref>{{cita libro|cognome= Lilliu|nome= Giovanni|coautori=AA.VV|titolo= Prima dei Nuraghi - La società in Sardegna nei secoli - pp.14 e 15| editore= Eri - Edizioni RAI| città= Torino| anno= 1977}}</ref>
 
L'[[eneolitico]] corso è caratterizzato dal ''terriniano'', che prende il nome dal sito di Terrina, sulla costa centro-orientale, dove ebbero una preoce diffusione le tecniche legate alla metallurgia del [[rame]]. Nella prima [[età del bronzo]] si registrano sull'isola, così come in Sardegna, influssi settentrionali provenienti dall'area ''[[Cultura di Polada|poladiana]]''<ref>Kewin Peche-Quilichini, Périodisation des vaisselles de l'âge du Bronze de Corse : évolution morphologique et culturelle</ref>.
[[File:Araghju vue mer.jpg|thumb|Araghju, [[San Gavino di Carbini]]]]
In questa fase si sviluppa, nel Sud, la [[civiltà torreana]]. Di questa cultura restano oggi numerose torri megalitiche con struttura simile a quella dei [[Nuraghe|nuraghi]] sardi. Per la natura dei reperti, la loro epoca e la loro localizzazione, gli studiosi hanno accertato che tale civiltà fosse un'estensione di quella coeva sviluppatasi in Sardegna.
Secondo una teoria invasionistica, sviluppata principalmente dal Grosjean negli [[anni 1970|anni settanta]], i ''Torreani'' (che l'autore fa coincidere con l'antico ''popolo del mare'' degli [[Shardana]])<ref>{{cita libro | cognome= Schütz| nome= Lutta| titolo= Corsica p. 34| editore= APA Publications| città= | anno= 1993| isbn= 978-0-395-65777-5}}</ref> ebbero la meglio sui megalitici e li scacciarono verso il centro e il nord dell'isola. Lo stesso sito di Filitosa recherebbe le tracce della distruzione cruenta dell'insediamento precedente e la sovrapposizione ad esso di uno torreano. Oggi questo modello non è più accettato dalla maggior parte degli studiosi che vedono nei Torreani l'evoluzione delle locali comunità neoeneolitiche<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/corsica_(Enciclopedia-dell'-Arte-Antica)/ Ph.Pergola-Corsica "Enciclopedia dell'arte antica", 1994 ]</ref>. In questo periodo prese forma il popolo che i [[Greci]] chiameranno ''Κὁρυιοι'', [[Corsi (popolo antico)|Còrsi]], attestati anche nella [[Gallura]] e forse di ascendenza [[Liguri|ligure]], come sembrerebbero suggerire toponimi come Asco e Venzolasca, con il tipico suffisso in "-asco".
 
=== Età del ferro e storia antica ===
[[File:Etruscan civilization map.png|miniatura|left|Estensione della [[Etruschi|civiltà etrusca]]]]
[[File:Aleria, Rhyton, tête de chien.jpg|thumb|[[Aleria]], [[Rhyton]] a forma di testa canina]]
{{vedi anche|Popoli dell'Italia antica}}
Iniziata sull'isola attorno all'[[VIII secolo a.C.]], l'[[Età del ferro]] termina con l'ingresso della Corsica nella Storia quando viene fondata da coloni [[Greci]] [[Ioni]], i [[Focea|Focei]] di [[Marsiglia]]<ref>[[Massalioti]]</ref>, la [[Colonia (insediamento)|colonia]] di Alalia, nel [[565 a.C.|565]] o nel [[562 a.C.]]<ref name=colonna />, presso il sito dell'attuale città di [[Aleria]]. I Greci chiamarono l'isola dapprima ''Kalliste'' e in seguito ''Cyrnos'',<ref name="StraboneItaliaV2.7">[[Strabone]], ''[[Geografia (Strabone)|Geografia]]'', V, 2,7.</ref> ''Cernealis'', ''Corsis'' e ''Cirné''<ref name=colonna />. Dei Focei parlò [[Erodoto]], lasciando così la prima<ref name=colonna /> traccia documentale dell'isola, e ne narrò che dopo la fondazione di Alalia altri Focei raggiunsero l'isola per sottrarsi al rischio di cadere in schiavitù dei [[Persiani]].
 
Anche i Greci resistettero poco: nel [[535 a.C.]], a seguito della [[Battaglia di Alalia|battaglia del mare sardo]], furono a loro volta scacciati da una coalizione Etrusco-Cartaginese formata su un [[patto]] appositamente stipulato e che, dopo il conflitto, prevedeva in caso di vittoria la spartizione delle due isole su cui era stata conquistata l'influenza: la Sardegna ai Cartaginesi, la Corsica agli [[Civiltà etrusca|Etruschi]]<ref name="denegri">Teofilo De Negri, ''Storia di Genova'', Giunti, 2003, ISBN 88-09-02932-1</ref>. In realtà secondo Erodoto i Focei avevano vinto, ma si sarebbe trattato di una ''[[vittoria cadmea]]'', dato che delle 60 navi impiegate (la metà del complessivo armo delle flotte avversarie) 40 furono affondate e le restanti rese inservibili. I Focei lasciarono allora la Corsica e Cartaginesi ed Etruschi poterono così dar corpo ugualmente al patto di spartizione. Gli Etruschi ripresero pertanto quel controllo sulle sponde orientali dell'isola che già in precedenza avevano consolidato con l'attività delle marine da guerra di [[Pisa]], [[Volterra]], [[Populonia]], [[Tarquinia]] e [[Cerveteri|Cere]]<ref>Diod. V 13, 4</ref>. Alla loro presenza è attribuito il toponimo di Tarco nella costa sud orientale, che richiama la città di [[Tarquinia]].
 
{{vedi anche|Battaglia di Alalia}}
 
Seguirono le incursioni dei [[Storia di Siracusa|Siracusani]] che, nel [[V secolo a.C.]], fondarono un leggendario ''Portus Syracusanus'' e, di nuovo, quelle dei [[Cartagine]]si ([[IV secolo a.C.]]). I siracusani mossero una prima volta verso l'isola al comando di [[Apello]] nel [[453 a.C.]]<ref>Diod. XI 88, 5</ref>, ma fu nel [[384 a.C.]], con [[Dionisio I di Siracusa|Dionisio I]], che sferrarono l'attacco più importante poiché rivolto non solo alla Corsica ma anche all'[[isola d'Elba]] ed alle coste toscane. Il ''Portus Syracusanus'' è stato classicamente individuato nel sito dell'attuale [[Porto Vecchio]], tuttavia vi sono diversi studiosi di epoche diverse che confutano questa tesi, sostenendo che possa essere stato nel golfo di [[Santa Amanza]]<ref>Così per [[Filippo Cluverio|Philipp Clüver]] (''Sardinia et Corsica Antiqua'', 1619) e per [[Xavier Poli]] (''La Corse dans l'antiquité'', Parigi, 1907)</ref>, oppure a Bonifacio<ref>Così, fra gli altri, per lo storico corso [[Antonio Filippini]] (''Istoria di Corsica'', 1827)</ref>.
 
=== Sette secoli di Corsica romana ===
[[File:Roman conquest of Italy.PNG|miniatura|Conquista romana dell'Italia (mappa cronologica)]]
{{Vedi anche|Sardegna e Corsica|Impero romano}}
[[File:Francesco Berlinghieri, Geographia, incunabolo per niccolò di lorenzo, firenze 1482, 15 italia 06 corsica.jpg|thumb|left|upright=1.4|Mappa della Corsica romana nella ''Geographia'' di [[Francesco Berlinghieri]] del 1482]]
Il dato sul primo serio interessamento di Roma all'isola lo si ricava da un testo di argomento insospettabile: è infatti in [[Teofrasto]], il [[botanico]] greco, che si legge di una spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città. Le 25 navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la [[zattera]] che caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il carico<ref>[[Teofrasto]], ''Hist. plant.'', V 8, 2.</ref>. La spedizione sarebbe avvenuta intorno al [[IV secolo a.C.]], a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i quali il [[Ettore Pais|Pais]]<ref name=pais>[[Ettore Pais]], ''Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano'', Nardecchia editore, 1923</ref>, riferiscono il brano del botanico.
 
Fallita la spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e per questo interesse giunse anche, all'incirca nel [[348 a.C.]]<ref>Datazione approssimata secondo le cronologie di [[Tito Livio]] e [[Diodoro Siculo]]</ref>, a stipulare due trattati con Cartagine, entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i passaggi dei trattati sono ben chiari<ref>Ad esempio sull'espresso divieto imposto ai Romani di fondare città in Sardegna ed in Africa</ref>, i patti sulla seconda sono tutt'altro che nitidi, al punto che [[Servio Mario Onorato|Servio]] osserva che ''in foederibus cautum est ut Corsica esset medio inter Romanos et Carthaginienses''<ref>[[Servio Mario Onorato|Servio]], ''Ad Aen.'', IV 628</ref>. Anche [[Polibio]], narrando dei trattati<ref>[[Polibio]], I 24, 7</ref>, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo cartaginese, il Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi trasmessa a Roma<ref name=pais />. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella Corsica un interesse specifico, giacché a partire dal [[480 a.C.]] ne assoldava periodicamente fidati [[mercenario|mercenari]]; questa circostanza, unita ad una facile riflessione sull'importanza strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei trattati<ref name=pais />.
 
I trattati imperituri non durano mai quanto promettono e Roma era infatti impegnata nella [[prima guerra punica]], già dal [[264 a.C.]], quando il [[Console (storia romana)|console]] [[roma]]no [[Lucio Cornelio Scipione (console 259 a.C.)|Lucio Cornelio Scipione]] nel [[259 a.C.|259]] sbarcò presso l'[[Étang de Diane]]<ref>"Stagno di [[Diana]]"; questo era l'antico [[porto]] della cittadina, registrato in [[Claudio Tolomeo|Tolomeo]]</ref>, a circa 3&nbsp;km da Aleria, ed assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'[[effetto sorpresa]], Aleria resistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la saccheggiò con accanimento, ciò che secondo [[Floro]] avrebbe diffuso lo sgomento nelle popolazioni corse<ref>Florus, Epist. Liv., 89</ref>. Prima di potersi dedicare a terminare l'occupazione della Corsica, Scipione si allungò in Sardegna dove i locali erano in rivolta contro Roma, secondo lo [[Giovanni Zonara|Zonara]] poiché sobillati dal generale cartaginese [[Annone (generale)|Annone]]<ref name=zonara>[[Giovanni Zonara]], ''Epitome'', libro VIII</ref>; sulla rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il [[Stephen L. Dyson|Dyson]] definì l'asserzione di Zonara ''a cryptic passage''.<ref>S.L. Dyson, ''Comparative Studies in the Archaeology of Colonialism'', 1985; anche, dello stesso autore, ''The Creation of the Roman Frontier'', 1985</ref>. Ad ogni buon conto, Scipione uccise Annone<ref>Oros. IV 1: ''hostibus se immiscuit ibique interfectus est''.</ref> e ne organizzò il funerale<ref>Valerio Massimo, V 1, 2 - Sil. Ital., VI 669</ref>.
 
Nonostante al rientro del console a Roma si celebrasse il suo [[trionfo]]<ref>11 marzo 259 - Scipione eresse inoltre un tempio di ringraziamento alla dea ''[[Tempestas]]'', che [[Ovidio]] (''Fasti'', VI 193) celebra così: ''Te quoque, Tempestas merita delubra fatemur / Cum paene est Corsis obruta classis aquis''</ref> per la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi, nondimeno si rese necessario 23 anni dopo, nel [[236 a.C.]], che il [[senato]] capitolino dichiarasse guerra ai Corsi<ref>Fra le numerose fonti, [[Valerio Massimo]], [[Tito Livio]], [[Ammiano Marcellino]] e poi lo Zonara.</ref> ed inviasse una spedizione di conquista guidata da [[Licinio Varo]], non coerente con il relato di già avvenuta occupazione dell'isola pervenuto da alcuni storici romani<ref>Nei ''[[Fasti trionfali]]'' si registra il trionfo di Scipione come ''L. CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA], CORSICA V ID. MART. AN. CDXCIV''</ref>. Il comandante Varo, comunque, conscio delle proporzioni non schiaccianti della flotta assegnatagli, studiò di far precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata meno impegnativa, onde affievolire le difese corse, e fece sbarcare sull'isola un corpo separato di spedizione al comando dell'ex console [[Marco Claudio Clinea]]. Prima di questa operazione, Clinea aveva già reso pericolante la sua reputazione presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli [[augure|àuguri]]<ref>Il risultato della battaglia non è noto</ref> ed avendo pure commesso un [[sacrilegio]] consistente nell'avere (o aver fatto) strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, mosse da solo contro il nemico e ne fu sconfitto<ref name=colonna />. I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante [[trattato internazionale|trattato]] presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di osservazione, ed attaccò quando gli avversari, paghi del trattato e non più allertati, proprio non se lo attendevano<ref name=colonna />. Varo vinse facilmente e conquistò territori della parte meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione di un trionfo, che gli fu però negato. Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono ed anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato non si perse d'animo e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo [[Valerio Massimo]] a chiosare che ''hic quidem Senatus animadversionem meruerat''<ref name=colonna />.
 
Nel [[233 a.C.]] i consoli [[Marco Emilio Lepido (console 232 a.C.)|Marco Emilio Lepido]] e [[Publicio Malleolo]], di ritorno da una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi, furono costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo<ref name=zonara />. Il Senato di Roma inviò allora nell'isola il console [[Caio Papirio Maso]], il quale dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede ad inseguire i corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i padroni di casa ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari, anche per la denutrizione delle sue truppe<ref>[[Valerio Massimo]], III, 65</ref>. Papirio fu costretto ad una resa e sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un buon periodo di pace.<ref name=zonara /><ref>Anche in [[Gaio Plinio Secondo|Plinio]], ''Nat.Hist., libro XIV</ref>
 
In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica durante la [[prima guerra punica]], dando l'avvio ad una fase di dominazione che durò ininterrotta per circa sette secoli.
 
Dopo una serie di alterne vicende, che videro i [[Civiltà romana|Romani]] tentare l'occupazione della [[Sardegna]] a partire dalla Corsica e poi scontrarsi con i còrsi, la definitiva espulsione delle ultime forze puniche si concluse nel [[227 a.C.]] Inizialmente i Romani si limitarono a controllare l'isola senza avviare una vera e propria [[colonizzazione]].
 
Il [[II secolo a.C.]] fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo di importanti fermenti insurrezionali. Nel [[181 a.C.]] ci fu una rivolta dei corsi, sedata nel sangue dal pretore [[Marco Pinario Posca]], che ne uccise circa 2000 e fece un certo numero di schiavi<ref>Tito Livio, XL 43</ref>. Nel [[173 a.C.]] una nuova rivolta fece intervenire [[Attilio Servato]], pretore in Sardegna, che fu battuto e costretto a ripararsi sull'altra isola<ref>Tito Livio, XLI 21</ref>; Attilio chiese rinforzi a Roma, questa inviò [[Caio Cicerio]] che, dopo aver fatto voto a [[Giunone]] Moneta di erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un nuovo sanguinoso successo, con 7000 corsi uccisi e 1700 fatti schiavi<ref>Tito Livio, XLII 7</ref>. Nel [[163 a.C.]] a domare una nuova rivolta fu invece [[Marcus Juventhius Thalna]], delle cui gesta non è stato tramandato. Oltre al silenzio letterario sulla spedizione, colpiscono due aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato: il primo è che dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse delle preghiere pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto importante fosse stato considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura morirne<ref>Vaerio Massimo, IX 12 - Plinio, ''Nat.Hist.'', libro VII</ref>. Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere immediatamente, sostiene il Colonna<ref name=colonna />, poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di altre rivolte, segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa anche [[Scipione Nasica]] a completare la pacificazione; circa la complessiva azione romana di repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che in nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo<ref name=colonna />.
 
[[Gaio Mario|Mario]] fondò la città di [[Mariana (Francia)|Mariana]] (''Colonia Mariana a Caio Mario deducta'', sita presso l'attuale comune di [[Lucciana]]) verso la foce del [[Golo]] nel [[105 a.C.]] Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo, incluse le terme di [[Orezza]] e [[Guagno]].
 
Nell'[[81 a.C.]] furono i legionari di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]] a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso Aleria, seguiti dai veterani di [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]].
 
Analogamente a quanto avveniva in altre province (la Corsica era amministrativamente associata alla Sardegna con la riforma di [[Ottaviano Augusto]] del [[4 a.C.]]), i [[Civiltà romana|Romani]] si guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare dai [[Venacini]], tribù del [[Capo Còrso]]), riconoscendo loro funzioni di governo locale ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in collina e lungo le coste.
 
Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie della flotta imperiale di [[Miseno (Bacoli)|Miseno]]. I marinai còrsi arruolati presso i porti dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto [[Vespasiano]], nel [[75]]).
 
Nel [[44 a.C.]] [[Diodoro Siculo]] visitò la Corsica e notò che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e di umanità che valutò più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò il numero in circa 30.000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che marchiavano le greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà comune delle terre ''comunali'' non fu eradicata del tutto se non nella seconda metà del [[XIX secolo]].
 
[[Seneca]] passò dieci anni in [[esilio]] in Corsica a partire dal [[41]]. Malgrado i continui collegamenti con l'Italia e forse per la sua natura selvaggia, l'isola divenne regolare mèta d'esilio e rifugio di cristiani, che probabilmente vi diffusero la [[cristianesimo|nuova fede]].
 
In epoca [[Marco Antonio|Antonina]] si perfezionarono le vie di comunicazione interna (strada Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente latinizzata, salvo qualche ''[[enclave]]'' montana.
 
Sembra accertato che l'isola sia stata colonizzata dai [[Civiltà romana|Romani]] soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità linguistiche riscontrabili ancor oggi tra [[lingua corsa|còrso]] meridionale e dialetti siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di profughi dall'[[Africa]] tra il [[IV secolo|VII]] e l'[[VIII secolo]]. La stessa ondata migratoria sarebbe approdata anche in [[Sicilia]] e in [[Calabria]].
 
Intorno al [[150]] il [[geografo]] [[Claudio Tolomeo]], nella sua opera [[cartografia|cartografica]], offrì una descrizione piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando 8 fiumi principali (tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano), 32 centri abitati e porti - tra i quali Centurinon ([[Centuri (Francia)|Centuri]]), Canelate (Punta di Cannelle), Clunion ([[Meria]]), Marianon ([[Bonifacio (Francia)|Bonifacio]]), Portus Syracusanus ([[Porto Vecchio]]), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios ([[Favone]]), Mariana, Aleria - e 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione):
[[File:Corsica-Romana.jpg|thumb|Le antiche tribù còrse e le principali città e strade in epoca romana.]]
* Kerouinoi (Cervini, [[Balagna]]);
* Tarabenoi (Tarabeni, [[Cinarca]]);
* Titianoi (Titiani, [[Valinco]]);
* Belatonoi (Belatoni, [[Sartenese]]);
* Ouanakinoi (Venacini, [[Capo Còrso]]);
* Kilebensioi (Cilebensi, [[Nebbio]]);
* Likninoi (Licinini, [[Niolo (regione)|Niolo]]);
* Opinoi (Opini, [[Castagniccia]], [[Bozio]]);
* Simbroi (Sumbri, [[Venaco]]);
* Koumanesoi (Cumanesi, [[Fiumorbo]]);
* Soubasanoi (Subasani, [[Carbini]] e [[Livia (Francia)|Livia]]);
* Makrinoi ([[Macrini]], [[Casinca]]).
 
[[Santa Devota]] (martire attorno al [[202]], persecuzione di [[Settimio Severo]], o al [[304]], persecuzione di [[Diocleziano]]) è, assieme a [[santa Giulia]], una delle prime sante còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale monegasco. Per questo sarebbe divenuta la patrona del [[Principato di Monaco]] e della famiglia [[Grimaldi (famiglia)|Grimaldi]].
 
[[Santa Giulia]] (martire durante la persecuzione di [[Decio]] del [[250]], o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e di [[Brescia]], città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da [[Ansa (regina)|Ansa]], moglie del re longobardo [[Desiderio (re)|Desiderio]] nel [[762]]. Santa Giulia è patrona anche di [[Livorno]], dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica.
 
A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali [[san Parteo]], che fu forse il primo [[vescovo]] di Corsica. Dopo l'[[editto di Milano]] di [[Costantino I il Grande]] e l'instaurazione della libertà religiosa, la Corsica, già ampiamente romanizzata e cristianizzata, fu associata alla [[diocesi]] di [[Roma]]. Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia certa è [[Catonus Corsicanus]], che partecipò al [[Concilio di Arles (314)|primo concilio di Arles]] convocato da [[Costantino I]].
 
Come altrove in [[Europa occidentale|Occidente]], l'organizzazione romana in Corsica cadde con l'invasione dei [[Vandali]]; questi nel [[V secolo]], muovendo dall'Africa, investirono la stessa città di Roma. Aleria fu saccheggiata e, abbandonata, finì in rovina. [[Mariana (Francia)|Mariana]] fu invece a lungo sede [[vescovo|vescovile]] anche nel [[Medioevo]].
 
== Medioevo ==
=== L'Alto Medioevo ===
Durante le convulsioni che accompagnarono la fine dell'[[Impero romano d'occidente]], la Corsica fu disputata tra tribù di [[Vandali]] e di [[Goti]] alleate degli ultimi imperatori, sino a che [[Genserico]] se ne assicurò il pieno controllo nel [[469]]. Durante i 65 anni della loro dominazione, i Vandali sfruttano il patrimonio forestale dell'isola per la [[cantieristica]] [[nave|navale]], attraverso la quale si dotarono di una flotta che terrorizzò il Mediterraneo occidentale.
 
La potenza vandala in [[Africa]] fu quindi distrutta da [[Belisario]], mentre il suo generale Cirillo conquistò la Corsica nel [[534]], unita così alla [[Prefettura del pretorio d'Africa]]<ref>Treadgold, ''History of the Byzantine state and society'', pag. 185</ref> e, come tale, all'[[Impero bizantino|Impero romano d'Oriente]]. Secondo [[Procopio di Cesarea|Procopio]], storico dell'imperatore d'oriente [[Giustiniano I]], in Corsica restarono meno di 30.000 abitanti. Nel 584, con la riforma [[Maurizio (imperatore)|mauriziana]] degli esarcati, la Corsica entrò a far parte dell'[[esarcato d'Africa]].
 
A cavallo fra il [[VI secolo|VI]] ed il [[VII secolo]], con lo sviluppo del [[monachesimo]], in Corsica come in Sardegna si svilupparono esperienze monastiche e secondo la [[leggenda]] [[Venerio eremita|San Venerio]] lasciò il [[cenobita|cenobio]] sull'isola di [[Tino (geografia)|Tino]] per praticare l'[[eremitaggio]] in Corsica<ref name=denegri />.
 
[[File:Justinian555AD.png|miniatura|L'[[Impero bizantino|impero romano d'oriente]]]]
[[File:Aistulf's Italy-it.svg|miniatura|L'Italia in epoca [[Longobardi|longobarda]] e [[bizantina]]]]
Nel periodo successivo, [[Goti]] e [[Longobardi]] presero successivamente d'assalto e saccheggiarono l'isola, lasciata indifesa dai Bizantini, i quali - a dispetto delle preghiere di papa san [[Papa Gregorio I|Gregorio magno]] e dopo averla a loro volta impoverita con un eccessivo carico fiscale<ref>Muratori, ''Annali d'Italia'', II, p. 517. «''Nella Corsica poi tante erano le gravezze, che gli abitanti per pagarle erano costretti fino a vendere i propri figliuoli [...] moltissimi [...] erano forzati a ricoversarsi nella nefandissima nazion de' longobardi, la quale dovea trattar meglio i sudditi suoi, e superava nel buon governo i Greci''»</ref> - non la protessero adeguatamente. D'altra parte, i Bizantini stessi furono travolti in Africa dall'invasione araba e, nel [[713]], gli [[Arabi]] realizzarono le loro prime scorrerie contro la Corsica, muovendo dalle loro nuove basi nordafricane.
 
A quest'epoca si può far risalire l'avvio di un notevole processo di spopolamento dell'isola e la formazione, presso [[Roma]], di una colonia còrsa a Porto ([[Ostia (Roma)|Ostia]]).
 
La Corsica restava nominalmente legata all'Impero romano d'Oriente sino a quando, nel [[774]], [[Carlo Magno]] travolse i Longobardi in Italia e conquistò l'isola, che passò così sotto la giurisdizione dei [[Franchi]].
 
Dall'[[806]] si segnalò una nuova recrudescenza di incursioni dei [[Mori (storia)|Mori]], stavolta provenienti dalla [[Penisola iberica]]; furono più volte sconfitti dai luogotenenti dell'imperatore Carlo Magno (che vi inviò truppe tramite [[Pipino d'Italia|Pipino]], [[re d'Italia]], ed il giovane [[Carlo Burcardo|Burcardo]], [[connestabile]] dell'imperatore<ref name=martini>Pietro Martini, ''Storia delle invasioni degli Arabi e delle piraterie dei barbeschi in Sardegna'', Tip. A. Timon, 1861</ref>). Nella battaglia dell'[[807]], provenienti da una fresca sconfitta in Sardegna, racconta il [[Lodovico Antonio Muratori|Muratori]] che ''con loro venne alle mani il Burcardo'' e persero altre 13 navi<ref name=muratori>[[Lodovico Antonio Muratori]], ''Annali d'Italia, dal principio dell'era volgare sino all'anno 1500'', G. Pasquali, 1744</ref>.
I Mori riuscirono tuttavia a prendere brevemente il controllo dell'isola nell'[[810]], quasi interamente assoggettata perché priva di difesa<ref>Annali Francesi, pag. 508, secondo il relato di Pietro Martini, ''Storia delle invasioni degli Arabi e delle piraterie dei barbeschi in Sardegna'', Tip. A. Timon, 1861</ref>, ma ne furono infine spazzati via da una spedizione guidata dal figlio dell'imperatore Carlo; i Mori non si diedero per vinti e continuarono ad investire la Corsica con le loro incursioni. Quella del giugno [[813]], partita con circa 100 navi dalle rive spagnole, non giunse però nemmeno a destinazione, inghiottita quasi completamente da un [[fortunale]] mentre si approssimava alle coste corse<ref name=martini />. Con la successiva invece i Mori riuscirono a depredare l'isola ed a trarne schiavi, ma furono intercettati sulla via del ritorno da [[Ermengardo d'Ampuria]], che ne catturò 8 navi e liberò circa 500 corsi<ref name=martini />.
 
A proposito della situazione dell'isola, in passato sono stati sollevati dubbi su un eventuale donativo a [[papa Leone III]] da parte di Carlo Magno; il [[Lodovico Antonio Muratori|Muratori]] riferisce infatti<ref name=muratori /> di una lettera<ref>''[[Philippe Labbe|Labbe]] concilior'', Tomo VII</ref> con la quale il papa avrebbe chiamato l'imperatore a difesa della Corsica<ref>Il brano è così riportato in [[Lodovico Antonio Muratori]], ''[[Annali d'Italia]], dal principio dell'era volgare sino all'anno 1500'', G. Pasquali, 1744: ''De autem Insula Corsica, unde in scriptis per Missos vostros emisistis, in Vestrum arbitrium dispositum committimus, atque in ore posuimus Helmengaudi Comitis, ut vestra donatio semper firma stabilis permaneat, ab infidiis inimicorum tuta persistat.''</ref>.
 
Al fine di tentare di porre fine a tale stato di cose, nell'[[828]] la difesa dell'isola fu affidata a [[Bonifacio II di Toscana|Bonifacio II]], [[Marca di Tuscia|conte di Lucca]], che condusse insieme con il fratello Beretario ed altri nobili toscani una vittoriosa spedizione punitiva direttamente contro i porti nordafricani (sbarcò fra [[Utica (Tunisia)|Utica]] e [[Cartagine]]) dai quali partivano gli assalti arabi contro i litorali tirrenici<ref name=martini />; sulla via del ritorno Bonifacio costruì una fortezza presso la punta Sud della Corsica, fondando così il nucleo fortificato della città di ([[Bonifacio (Francia)|Bonifacio]]), affacciata sullo stretto ([[Bocche di Bonifacio]]) che separa l'isola dalla Sardegna, e lasciando così il proprio nome nei corrispondenti toponimi.
[[File:Otto I Manuscriptum Mediolanense c 1200.jpg|thumb|left|Berengario si sottomette ad Ottone il Grande]]
La guerra contro i [[Saraceni]], che avevano ben presto ripreso i loro attacchi, fu proseguita dal figlio di Bonifacio, il [[marchese di Toscana]] [[Adalberto I di Toscana|Adalberto I ''Tutor'']], che ne ereditò l'incarico nell'[[846]] e dovette presto ([[859]]) assistere ad un nuovo riuscito attacco dei Mori<ref name=martini />. Tuttavia i Saraceni rimasero padroni di alcune basi sull'isola almeno sino al [[930]].
 
La Corsica, che nel frattempo era stata unita al regno di [[Berengario II d'Ivrea|Berengario II]], re d'Italia, divenne rifugio di suo figlio [[Adalberto II d'Ivrea|Adalberto II]] nel [[962]], dopo che Berengario venne detronizzato da [[Ottone I il Grande]]. Adalberto, venne definitivamente sconfitto in Italia dalle forze di [[Ottone II]] e pertanto si determinò il passaggio dell'isola alla [[Marca di Tuscia]].
 
=== ''Terra di Comune'' e ''Terra dei Signori'' ===
Attorno all'epoca tra la fine del regno di [[Berengario II d'Ivrea|Berengario II]] e l'inizio di quella di [[Ottone I del Sacro Romano Impero|Ottone I]] sull'Italia, si fa risalire il sorgere dell'anarchia feudale che vide esplodere la lotta tra piccoli signori locali, ansiosi di espandere i loro piccoli domini.
 
Tra costoro spiccavano i discendenti di Adalberto (cosiddetti "[[Adalbertini]]", ramo primogenito degli [[Obertenghi]]) che miravano ad espandere il loro dominio sull'intera isola. Gli Adalbertini già avevano acquisito il titolo di "Marchesi di Massa e Parodi", per il territorio di loro competenza (che andava da [[Gavi]] alla [[Versilia]]) e, rivendicando alcuni privilegi che già i Marchesi di [[Tuscia]] vantavano sulla Corsica, si mutarono il titolo in "Massa-Corsica", componendo una [[giurisdizione]] formale che andava dalla marca ligure a quella della Tuscia, lungo la "marittima" toscana<ref name=denegri />. Precisamente fu un altro Adalberto, [[Adalberto VI]] signore di [[Busseto]] (nipote dell'altro e poi capostipite della famiglia [[Pallavicino]]), ad assommarsi il titolo corso dopo aver guadagnato meriti politici, militari e diplomatici grazie al suo comando della spedizione del [[1016]] contro [[Mujāhid al-Āmirī]], il [[pirata]] che teneva in scacco tutte le marinerie cristiane dell'epoca. Adalberto VI insediò nell'isola suoi visconti (''vicecomites''), come già ne aveva a Genova<ref>[http://www.immac.it/SezBusseto/FilePDF/PersonaggiFamosi/Adalberto%20VI.pdf Studi su Adalberto VI] da "Enciclopedia Diocesana Fidentina" di Dario Soresina</ref>.
 
L'autoinvestitura sollevò una notevole opposizione e diede origine a scontri che si protrassero per secoli: per contrastare le perduranti ambizioni dei feudatari, ancora nel [[XIV secolo]] [[Sambucuccio d'Alando]] si mise alla testa di una sorta di [[Dieta (storia)|Dieta]] che si opponeva alle loro pretese, confinando i signori nella porzione Sud-Ovest dell'isola. Questa prenderà il nome di ''Terra dei Signori'' (Pomonte), mentre nella restante parte dell'isola si afferma definitivamente un regime che lega tra loro comuni autonomi (sull'esempio del modello analogo in sviluppo in Italia sin dall'[[XI secolo]]). Tale territorio prenderà il nome di ''Terra di Comune'' (Cismonte).
 
La divisione è destinata a durare molto a lungo (sino al [[XVIII secolo]]) ed a segnare significative differenze nello sviluppo sociale, economico e persino linguistico tra le due parti dell'isola, con il nord più legato all'Italia e con un idioma sempre più toscanizzato.
 
Dal punto di vista organizzativo, nella ''Terra di Comune'', ciascuno dei comuni più importanti facenti capo a una Pieve (la parrocchia principale del circondario) nominava (tramite suffragio universale, ivi comprese le donne) un numero variabile di rappresentanti detti ''Padri del comune'', responsabili dell'amministrazione della giustizia e dell'elezione del loro presidente, detto [[podestà (medioevo)|podestà]], che ne coordinava l'operato.
 
I podestà delle varie Pievi, a loro volta, sceglievano i membri di un consiglio superiore, detto ''Consiglio dei Dodici'', responsabile delle leggi e regolamenti che reggevano la Terra di Comune.
 
I ''Padri del comune'', inoltre, eleggevano per ogni Pieve un ''caporale'', un magistrato responsabile della protezione e della salvaguardia degli strati poveri della popolazione, incaricato di garantire che i più svantaggiati non subissero soprusi e che fosse loro assicurata giustizia.
 
Gran parte delle terre di questa regione erano considerate di proprietà comune delle collettività comunali. La totale abolizione delle proprietà comuni, promossa nella seconda metà del [[XIX secolo]] dalla Francia, ebbe conseguenze molto gravi per l'economia della Corsica.
 
In Cinarca (''Terra dei Signori'') i baroni feudali mantenevano le loro prerogative, come anche quelli che controllavano il Capo còrso, e assieme costituivano una minaccia al sistema in vigore in ''Terra di Comune''.
 
Per farvi fronte, nel [[1020]] i magistrati di quest'ultima chiesero l'intervento di Guglielmo, marchese di [[Massa (Italia)|Massa]] (della famiglia poi nota come [[Malaspina]]), il quale, arrivato sull'isola, ridusse all'ordine i baroni del Conte di Cinarca e stabilì sulla Corsica un proprio protettorato, da trasmettere poi al proprio figlio.
 
Verso la fine dell'[[XI secolo]], tuttavia, il Papato sollevò, sulla base di documenti falsificati (una donazione ad opera di [[Carlo Magno]], il quale aveva al più stabilito una reversibilità del proprio dominio a favore della [[Santa Sede]]), la questione della propria sovranità sulla Corsica. Tale rivendicazione trovò largo consenso nel seno della stessa isola, a cominciare dal suo clero, e nel [[1077]] i còrsi si dichiararono soggetti a Roma.
 
=== Il dominio pisano ===
{{vedi anche|Repubblica di Pisa}}
[[File:Corsica Bonifacio Torre campanaria Pisana Santa Maria Maggiore XII sec..jpg|thumb|Torre campanaria in stile [[romanico pisano]] della più antica chiesa di [[Bonifacio (Francia)|Bonifacio]], [[Chiesa di Santa Maria Maggiore (Bonifacio)|Santa Maria Maggiore]] (XII sec.)]]
 
[[File:Corse-04696-Murato-eglise San Michele.jpg|thumb|Chiesa di San Michele di Murato in stile romanico-pisano (XII sec)]]
 
[[Papa Gregorio VII]] ([[1073]]-[[1085]]), nel pieno della [[lotta per le investiture]] con l'imperatore [[Enrico IV del Sacro Romano Impero|Enrico IV]], non prese direttamente il controllo dell'isola, ma ne affidò l'amministrazione al [[vescovo di Pisa]], Landolfo, investito della carica di ''legato pontificio'' per la Corsica.
 
A seguito di tale evento, il titolare della [[Arcidiocesi di Pisa|cattedra arcivescovile pisana]] divenne anche [[primate (ecclesiastico)|primate]] di Corsica (e di Sardegna), carica conservata a livello onorifico sino ai giorni nostri<ref>[http://anapisa.interfree.it/citta/storia.htm Storia della Città di Pisa]</ref><ref>[http://foreignaffairs.tripod.com/armillotta/pisa94_corsica.html Giovanni Armillotta - I vincoli ultramillenari tra Pisa e la Corsica] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20080719062550/http://foreignaffairs.tripod.com/armillotta/pisa94_corsica.html |data=19 luglio 2008 }}</ref>.
 
Quattordici anni dopo, [[papa Urbano II]] ([[1088]]-[[1099]]), su istanza della contessa [[Matilde di Canossa]], confermò le concessioni del suo predecessore tramite la [[bolla pontificia|bolla]] ''Nos igitur''. Il titolo di legato pontificio passò quindi a [[Dagoberto da Pisa|Daiberto]], installato sulla cattedra di Landolfo. L'assegnazione come suffraganei dei vescovati còrsi fece sì che il vescovo di Pisa assumesse il titolo di arcivescovo.
 
Pisa, con il suo porto, intratteneva da secoli (sin dall'epoca romana) stretti rapporti con l'isola, espandendovi - via via che la propria potenza come [[Repubblica marinara]] cresceva - la propria influenza politica, culturale ed economica.
 
All'amministrazione vescovile seguì inevitabilmente l'autorità politica dei ''giudici'' (magistrati amministrativi) della Repubblica toscana, destinata in breve tempo a far rifiorire la Corsica e segnarla profondamente, anche dopo la sostanziale perdita di controllo dell'isola seguita alla disastrosa disfatta subita dai pisani ad opera dei [[Repubblica di Genova|genovesi]], nella [[battaglia della Meloria]] ([[1284]]).
 
Malgrado quello che ancor oggi viene giudicato generalmente il ''buon governo'' della Repubblica di Pisa, non mancarono in Corsica i motivi di dissidio. Parte del clero e dei vescovi dell'isola mal sopportavano la soggezione all'arcivescovo pisano, mentre la crescente potenza della [[Repubblica di Genova]], arcirivale di quella di Pisa e cosciente del valore strategico della Corsica, affiancava alle lamentele dei còrsi presso la corte papale di Roma i propri intrighi per ottenere una modifica dell'assetto dell'isola in proprio favore.
 
Fu così che, dopo un periodo durante il quale il papato non prese una posizione chiara e coerente, nel [[1138]] [[papa Innocenzo II]] ([[1130]]-[[1143]]) delineò una soluzione di compromesso, dividendo la giurisdizione ecclesiastica dell'isola tra gli arcivescovi di Pisa e di Genova, segnando così l'inizio dell'influenza ligure sulla Corsica, resa ancor più concreta, nel [[1195]], dall'occupazione genovese dell'importante porto e fortezza di Bonifacio.
 
I pisani tentarono per vent'anni, senza successo, di riprendere la città, sino a quando, nel [[1217]] [[papa Onorio III]] ([[1216]]-[[1227]]), chiamato a mediare, prese formalmente controllo della piazzaforte.
 
La mediazione papale, tuttavia, non bastò a spegnere la lotta tra Pisa e Genova che, con la loro influenza, fecero riverberare durante tutto il [[XIII secolo]] anche sull'isola la lotta tra [[Guelfi e Ghibellini]] che sconvolgeva la penisola.
 
Nell'ambito di tale lotta (e seguendo uno schema che si era già, e si sarebbe poi, ripetuto più volte nell'isola, favorendone la dominazione), i maggiorenti della Terra di Comune si risolsero a invocare l'intervento del marchese [[Isnardo Malaspina]].
 
I pisani reagirono instaurando un nuovo conte di Cinarca, e la guerra sconvolse l'isola senza che né il partito genovese né quello pisano riuscissero a prevalere in modo decisivo. La sconfitta della Meloria [[1284]], tuttavia, fece basculare decisamente il piatto della bilancia in favore di Genova che, da allora, estese con sempre maggiore intensità la propria influenza in Corsica.
 
==== L'eredità di Pisa ====
[[File:Corse-04812-église de Aregno.jpg|thumb|left|Chiesa di Aregno in romanico pisano, testimonianza del dominio pisano]]
[[File:Espansione di Pisa.png|miniatura|Estensione ed influenze della [[Repubblica di Pisa]]]]
 
La memoria dell'influenza pisana è perpetuata dalla toponomastica, che si sviluppa a partire da questo periodo, dall'onomastica (sono tuttora diffusi in Corsica molti cognomi d'origine toscana), dalla lingua locale (toscaneggiante soprattutto nella regione di Bastia e del Capo còrso) e da alcuni dei più pregevoli esempi d'architettura romanica rimasti nell'isola, testimonianza dell'impegno anche edilizio (chiese ed edifici pubblici: su tutte le cattedrali di [[Nebbio]], [[Mariana (Francia)|Mariana]], S. Michele di [[Murato]], S. Giovanni di [[Carbini]], S. Maria Maggiore di [[Bonifacio (Corsica)|Bonifacio]], S. Nicola di Pieve) e infrastrutturale (strade, ponti, fortezze e torri).
 
Anche dopo l'inizio del dominio genovese, Pisa mantenne sempre stretti rapporti con la Corsica, come testimoniato anche dal ricco ''corpus'' documentario relativo alla Corsica presente ancor oggi presso la Curia della città toscana, cui fu a lungo annesso un collegio per seminaristi còrsi.
 
Poco noto, ma significativo, il fatto che il ''Nielluccio'', uno dei vitigni più diffusi sull'isola (affine al [[Sangiovese]] di Toscana) e base del vino còrso ''Patrimonio'', è stato importato in Corsica dai Pisani nel [[XII secolo]].
 
A partire dal dominio pisano, e nei secoli a seguire, sino al [[XX secolo]], non vengono mai del tutto meno i rapporti culturali dell'isola con Pisa e la Toscana, testimoniati anche dalla penetrazione di elementi schiettamente toscani e, persino, di interi brani della [[Divina Commedia]] di [[Dante Alighieri|Dante]] nel ricchissimo repertorio di proverbi e canti tradizionali polifonici (''[[paghjelle]]'') dell'isola.
 
Nel frattempo prende prestigio in Corsica anche il volgare toscano, che ne diviene la lingua ufficiale.
 
Pisa sarà anche la prima delle sedi universitarie (seguita da Roma e Napoli) frequentate dai còrsi: diverrà così proverbiale anche nell'isola dire ''parla in crusca'' di coloro che facevano sfoggio di un perfetto italiano: tale abitudine resterà popolare sino a gran parte del [[XIX secolo]]. Hanno studiato a Pisa [[Carlo Maria Buonaparte|Carlo]] e [[Giuseppe Bonaparte]], [[Francesco Antonmarchi]] - medico a [[Sant'Elena (isola)|Sant'Elena]] di Napoleone -, il poeta [[Salvatore Viale]], l'igienista Pietrasanta, medico di [[Napoleone III]] venendo, nel caso degli Angeli, Farinola, Pozzo di Borgo ed altri a far parte del collegio docente e rettorale dell'Università toscana.
 
=== La parentesi aragonese e la penetrazione genovese ===
{{vedi anche|Repubblica di Genova}}
[[File:Corse-04599-Erbalunga-tour gnoise.jpg|thumb|I resti di un torre genovese a Erbalunga, Corsica del nord]]
 
Il 12 giugno [[1295]], a complicare il quadro della Corsica, che - dopo la sconfitta di Pisa alla [[Battaglia della Meloria]] - sfuggiva al controllo pisano, intervenne [[papa Bonifacio VIII]] ([[1294]]-[[1303]]), con la sua investitura in favore di re [[Giacomo II di Aragona]] (impegnato nella lotta per la ''[[Reconquista]]'') a sovrano del nascente [[Regno di Sardegna|regno di Sardegna e Corsica]] ([[Trattato di Anagni]]).
 
Gli Aragonesi, tuttavia, si risolsero ad attaccare la Sardegna solo nel [[1324]], mettendo così termine a qualsiasi velleità residua, da parte dei Pisani, di controllo del nord sardo e della Corsica.
 
La Corsica resta frattanto vittima di una sostanziale anarchia sino al [[1347]], quando viene convocata una grande assemblea di caporali e dei baroni che, sotto la guida di [[Sambucuccio d'Alando]], decidono di porsi sotto la protezione di Genova e di offrire alla Repubblica ligure la sovranità totale sull'isola, da esercitarsi a mezzo di un governatore.
 
Secondo l'offerta, la Corsica avrebbe pagato regolari tributi a Genova, che a sua volta avrebbe offerto protezione dalla mai sopita piaga che erano le scorrerie dei [[saraceni]] (poi [[corsari barbareschi]] che proseguiranno con fasi alterne sino al [[XVIII secolo]]), e garantito il mantenimento delle leggi còrse e delle sue strutture e consuetudini di autogoverno locale, regolati dal ''Consiglio dei Dodici'' per il Cismonte, e dal ''Consiglio dei Sei'' per il Pumonte. Gli interessi isolani sarebbero stati rappresentati presso Genova da un «oratore».
 
Intanto l'intera [[Europa]] era afflitta dal flagello della [[peste nera]], che giunse anche in Corsica mietendovi numerosissime vittime proprio mentre si affermava la supremazia genovese.
L'accordo tra caporali e baroni venne presto violato e sia gli uni, sia gli altri, si opposero l'un l'altro mentre insieme contrastavano l'instaurarsi concreto della signoria genovese in Corsica. Di tale situazione approfittò re [[Pietro IV di Aragona]] per ribadire la propria sovranità sull'isola.
 
In questo quadro prese le mosse il barone [[Arrigo della Rocca]], conte di Cinarca, il quale con l'appoggio delle truppe aragonesi nel [[1372]] prese il controllo quasi totale dell'isola, lasciando solo il nord estremo e poche piazzeforti marine al controllo Genovese. Il suo successo spinse i baroni del Capo còrso ad appellarsi a Genova, che pensò di risolvere il problema investendo del governatorato dell'isola una sorta di compagnia commerciale detta «[[Maona (storia)|Maona]]», formata da cinque persone, e tentando di coinvolgervi Arrigo, ma senza risultati.
 
La ''[[Maona (storia)|Maona]]'' era un consorzio di commercianti - a volte a carattere familiare - che fu impiegato spesso da Genova, soprattutto a cavallo tra [[XIII secolo|XIII]] e [[XV secolo]], con funzioni di governo anche nelle colonie orientali. Tra le prime maone quella dell'isola di Chios, nell'Egeo, istituita nel [[1347]], dai cui aderenti ebbe origine la celebre famiglia patrizia genovese dei [[Giustiniani (famiglia genovese)|Giustiniani]].
 
Nel [[1380]], perdurando le tensioni, quattro dei cinque membri della Maona rassegnarono a Genova i loro incarichi, lasciando il solo [[Leonello Lomellini]] ad esercitare le funzioni di governatore. In tale veste Lomellino fondò, nel [[1383]], la città di [[Bastia]], destinata a divenire il nucleo più importante della dominazione genovese e la capitale dell'isola (sino allo spostamento ad [[Ajaccio]] di tale funzione, sull'iniziativa di [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] al [[XIX secolo]]).
 
Fu solo nel [[1401]], a seguito della morte di Arrigo, che l'autorità genovese fu formalmente ristabilita su tutta l'isola, anche se Genova stessa, nel frattempo, cadeva nelle mani dei francesi: dal [[1396]] al [[1409]], infatti, [[Carlo VI di Francia]] fu signore della [[Repubblica di Genova]], che gestì attraverso il governatore [[Jean II Le Meingre]] detto ''Boucicault''. Sotto il governo di questi, nel [[1407]], fu fondato il [[Banco di San Giorgio]], un potente consorzio di creditori privati cui verrà affidata nel tempo l'amministrazione delle entrate dello Stato e il governo di numerose terre e colonie, inclusa la Corsica.
 
Lomellino fu dunque reinviato in Corsica nel [[1407]] come governatore per conto di [[Carlo VI di Francia]] e vi dovette affrontare [[Vincentello d'Istria]] il quale, avendo ottenuto privilegi dalla Casa d'Aragona, s'era fatto frattanto signore di Cinarca e, raccolta attorno a sé tutta la ''Terra di Comune'', inclusa Bastia, s'era proclamato ''Conte di Corsica'' già nel [[1405]]. Gli sforzi di Lomellino non ebbero alcun successo e nel [[1410]] Genova (intanto tornata indipendente) controllava sull'isola esclusivamente le piazzeforti di Bonifacio e di Calvi.
 
Ancora una volta una ribellione intestina avrebbe minato la virtuale indipendenza della Corsica: la ribellione di un feudatario e del vescovo di Mariana portò alla perdita di controllo da parte di Vincentello sulla ''Terra di Comune'' e, mentre egli si recava a richiedere aiuto in Spagna, i genovesi ebbero buon gioco a completare rapidamente la riconquista dell'intera isola.
 
Ma il complesso gioco delle alleanze e delle rivalità locali non consentì a tale riconquista di essere duratura. A rimettere la situazione in movimento fu lo [[scisma d'Occidente]] e la lotta per l'investitura papale accesa attorno all'ultimo [[antipapa]] ''[[avignone]]se'', [[Antipapa Benedetto XIII|Benedetto XIII]], sostenuto dai vescovi còrsi favorevoli a Genova da un lato, e quella dell'[[antipapa Giovanni XXIII]], sostenuto da quelli favorevoli a Pisa.
 
[[File:Corte citadelle.jpg|thumb|left|La Cittadella di Corte.]]
Vincentello, riuscito a sbarcare sull'isola con una forza militare aragonese, approfittò così delle rivalità incrociate e prese facilmente controllo della Cinarca e di Ajaccio. Accordatosi con i vescovi pro-pisani, estese la sua influenza alla ''Terra di Comune'' e costruì il castello di [[Corte (Francia)|Corte]]: nel [[1419]] l'influenza genovese sull'isola era nuovamente ridotta ai soli centri di Calvi e Bonifacio, mentre Vincentello, con il titolo di viceré di Corsica, stabiliva dal [[1420]] la sede del proprio governo a [[Biguglia]].
 
Fu in questa situazione che [[Alfonso V di Aragona]] si presentò con una grande flotta nel mare di Corsica, con l'intento di prendere possesso personalmente dell'isola formalmente parte del [[Regno di Sardegna|Regno di Sardegna e Corsica]]. Caduta Calvi, Bonifacio continuò a resistere, assumendo nel frattempo il singolare ruolo di elemento di speranza per i còrsi, che, sperimentato il violento dominio aragonese e oppressi da livelli di tassazione insopportabili, preparavano la rivolta al loro nuovo signore e, in buona parte, si riavvicinavano a Genova.
 
Nel frattempo la lunga resistenza di Bonifacio convinse gli assedianti a togliere il blocco alla città che, ottenuta la conferma dei propri privilegi, divenne di fatto una sorta di microrepubblica indipendente posta sotto protezione genovese.
 
Poco dopo, anche a causa dell'eccessiva tassazione, scoppiò una rivolta generale contro Vincentello, il quale, durante un tentativo di riparare in Sicilia, fu catturato con un colpo di mano nel porto di Bastia e, condotto a Genova come ribelle e traditore, vi fu decapitato il 27 aprile del [[1434]].
 
La lotta tra fazioni pro-genovesi e pro-aragonesi proseguì sull'isola, e il [[dogi della Repubblica di Genova|doge genovese]] [[Giano di Campofregoso]] riprese il controllo della Corsica, strappata dalla superiore artiglieria della Repubblica a [[Paolo della Rocca]] ([[1441]]). In occasione di tale riconquista fu fondata e fortificata la città di [[San Fiorenzo (Francia)|San Fiorenzo]] ([[1440]]).
 
La reazione aragonese portò al culmine la lotta. Nel [[1444]] sbarcò sull'isola, inviata da [[papa Eugenio IV]], un'armata pontificia forte di 14&nbsp;000 uomini, che fu però sbaragliata dalle milizie còrse controllate da [[Rinuccio da Leca]], a capo di una lega che raccoglieva quasi tutti i caporali e i baroni locali. Una seconda spedizione fu invece vittoriosa e Rinuccio stesso cadde ucciso in battaglia di fronte a Biguglia.
 
== La signoria del Banco di San Giorgio e di Genova ==
{{vedi anche|Banco di San Giorgio|Dominazione milanese in Corsica}}
Il [[1447]] può essere considerato un anno di svolta nella storia del controllo genovese sulla Corsica. Energico e colto (introdusse a Roma lo spirito del [[Rinascimento]]), sale su trono papale [[papa Niccolò V|Tommaso Parentucelli]] (Niccolò V), [[Sarzana|sarzanese]] e dunque legato alla Repubblica di Genova. Senza indugio egli riasserisce i diritti papali sull'isola (le cui piazzeforti erano sotto il controllo delle truppe pontificie) e contestualmente li trasferisce a Genova.
 
La Corsica viene così ad essere largamente controllata dalla Repubblica ligure con l'eccezione della Cinarca, sotto nominale controllo aragonese attraverso il più concreto dominio dei Signori locali, e della ''Terra di Comune'', la quale, attraverso un'assemblea dei suoi capi, nel [[1453]] decide di offrire il governo dell'intera isola al [[Banco di San Giorgio]], la potente compagnia commerciale e finanziaria istituita a Genova nel [[1407]], che l'accetta.
 
Cacciati gli Aragonesi dall'isola (del loro passaggio rimarrà in Corsica solo l'emblema della ''Testa Mora'', sviluppato a seguito della [[Reconquista]]), il Banco di San Giorgio iniziò una vera e propria guerra di sterminio contro i baroni isolani, la cui resistenza organizzata venne meno nel [[1460]], quando i superstiti furono costretti all'esilio verso la Toscana. Occorsero ancora due anni di lotte per pacificare l'isola, arrivando così al [[1462]], quando il capitano Genovese Tommasino da Campofregoso, la cui madre era còrsa, fece leva con successo sui diritti della propria famiglia per riaffermare il pieno controllo della Repubblica anche nell'interno dell'isola.
 
Solo due anni dopo, nel [[1464]], Genova - e con essa la Corsica - cadde sotto l'influenza di [[Francesco I Sforza]], duca di Milano.
Alla sua morte, nel [[1466]], l'autorità milanese nell'isola svanì sotto le consuete spinte anarchiche nell'interno e, ancora una volta, solo le città costiere rimasero effettivamente sotto la tutela delle potenze continentali.
 
Nel [[1484]] [[Tommasino da Campofregoso]] persuase gli [[Sforza]] ad affidargli il governo dell'isola, facendosi consegnare le fortezze. Nel frattempo consolidò il proprio potere interno, stringendo relazioni con [[Gian Paolo da Leca]], il più potente dei baroni isolani.
[[File:Italia 1494-it.svg|miniatura|Gli stati italiani nel 1494]]
 
Entro tre anni la situazione cambiò nuovamente. Un discendente dei [[Malaspina]], che già avevano incrociato i loro destini con quelli della Corsica nell'[[XI secolo]], [[Jacopo IV d'Appiano]] principe di [[Piombino]], fu invitato ad intervenire da quanti erano avversi a Tommasino, e così il fratello del principe, Gherardo conte di Montagnano, si proclamò conte di Corsica e, sbarcato sull'isola, si impadronì di Biguglia e di San Fiorenzo.
 
Piuttosto che opporsi a Gherardo, Tommasino restituì discretamente le proprie prerogative in favore del Banco di San Giorgio, che nel frattempo rifondò e fortificò Ajaccio ([[1492]]) presso il sito dell'antica ''Aiacium'' romana. La decisione di Tommasino fu contestata da altri componenti della sua famiglia e dal Leca non appena il Banco ebbe ragione di Gherardo. Il Banco rivolse allora le proprie armi contro i turbolenti baroni còrsi, che costrinse alla ragione dopo una lunga e sanguinosa lotta protrattasi sino al [[1511]].
 
Durante il proprio governo, il Banco di San Giorgio diede complessivamente prova di scarsa lungimiranza e acume politico, preferendo cinici tatticismi e la ricerca del profitto più immediato alla elaborazione di una strategia di integrazione, instaurando così una sorta di regime coloniale sull'isola.
 
Le colture, in particolare quella boschiva, vennero promosse, ma i proventi erano in larga parte incamerati dal Banco, che affliggeva l'isola con una tassazione in grado di soffocare in partenza qualsiasi reale possibilità di sviluppo locale. Lungo tutte le coste dell'isola vennero riadattate e in gran parte costruite ''ex novo'' dozzine di torri d'avvistamento e difesa (molte delle quali visibili tuttora) a realizzare un sistema di allerta contro le incursioni dei [[corsari barbareschi]], integrato dal pattugliamento navale. Seppure non del tutto eliminato (sussisterà sino al XVIII secolo), il flagello fu posto sotto controllo, ma più allo scopo di proteggere i cespiti coloniali che a quello di offrire pace e protezione alla popolazione còrsa, che continuerà a subire le sanguinose incursioni dei corsari virtualmente lasciati liberi di agire nelle zone costiere reputate dal Banco prive di interesse economico e strategico.
 
Le istituzioni locali - tra le quali si distingueva per la sua concezione politica l'organizzazione della ''Terra del Comune''<ref>{{cita libro | cognome= Marchetti| nome= Pascal| titolo= Une mémoire pour la Corse pp. 12 e 17| editore= Flammarion| città= | anno= 1980| isbn= 978-2-08-064294-3}}</ref>- furono in gran parte abolite o svuotate di ogni significato concreto. I notabili locali ebbero precluso l'accesso a un pieno godimento della cittadinanza, per non parlare dell'accesso all'oligarchia repubblicana genovese, del tutto negato per definizione.
 
Gli accenni di ribellione vennero generalmente repressi con grande durezza, facendo più volte ricorso alla pena capitale; in alternativa, applicando ciecamente il principio del ''divide et impera'',<ref>Dalla rivista The Quarterly Review del [[1961]], pag 443, editore John Murray</ref> {{Citazione necessaria|furono lasciate scoppiare scientemente - o vennero subdolamente incoraggiate - faide locali o focolai di guerra civile, reputandosi tali scontri utili a fiaccare le forze ed il morale dei signori dell'isola e dunque a prevenire alleanze che potessero dar luogo ad una sollevazione generale. In tal modo venne incoraggiato lo sviluppo delle piaghe della ''vendetta'' e del banditismo, che si radicarono, anziché essere estirpate.}} Tutto questo mentre in [[Europa]] - e soprattutto nella vicina [[Italia]] peninsulare - fioriva il [[Rinascimento]].
 
Alle sfortune politiche si aggiunsero pestilenze e carestie, che non fecero che contribuire al processo d'impoverimento e imbarbarimento dell'isola, oltre che ad inasprire un'avversione verso il dominio genovese.
 
=== La prima conquista francese e Sampiero Còrso ===
A cavallo della prima metà del [[XVI secolo]] la Francia - già da tempo in espansione come stato nazionale e potenza europea - inizia a rivolgere il suo interesse al Mediterraneo e, dunque, alla Corsica e alla penisola italiana. In questo quadro, [[Enrico II di Francia]] concepisce il progetto di impossessarsi dell'isola, anche in considerazione della politica genovese, sfruttando il risentimento di quei còrsi che prestano servizio nelle armate francesi come soldati di ventura.
 
Concluso nel [[1553]] un trattato di alleanza con il [[sultano]] [[Impero ottomano|ottomano]] [[Solimano il Magnifico]], il re di Francia si assicurò non solo la neutralità, ma la collaborazione della flotta turca nel Mediterraneo. Vale la pena di ricordare brevemente che solo 18 anni dopo, nel [[1571]], l'avanzata ottomana verso l'Europa sarà fermata a [[Battaglia di Lepanto|Lepanto]] da una flotta multinazionale nella quale spicca l'assenza della Francia.
 
Poco dopo, la flotta franco-ottomana<ref>Secondo il Martini, op.cit., ed altri, sarebbe stata guidata dal corsaro [[Dragut]], ma la data ufficiale di morte di questo è il [[1565]].</ref> si presentò davanti alle coste dell'isola e l'attaccò, ponendo l'assedio contemporaneamente a tutte le piazzeforti costiere. Bastia cedette quasi senza combattere, mentre Bonifacio resistette molto a lungo e s'arrese solo dietro la promessa alla guarnigione di ottenere salva la vita, promessa poi disattesa dagli ottomani che, una volta penetrati nella cittadella, massacrarono tutti i difensori e si abbandonarono al saccheggio. Presto cadde l'intera isola, con l'eccezione della sola Calvi che continuò la propria resistenza. E dopo la Corsica, l'armata turca attaccò e saccheggiò la Sardegna.
 
Preoccupato dall'azione francese (che apriva le porte alla potenza turca nel cuore del Mediterraneo occidentale), intervenne l'imperatore [[Carlo V del Sacro Romano Impero|Carlo V d'Asburgo]], il quale invase a sua volta l'isola alla testa delle sue truppe e di quelle di Genova. Negli anni successivi, tedeschi, spagnoli, genovesi, francesi e còrsi si combatterono con ferocia, massacrandosi attorno ai castelli e alle piazzeforti dell'isola.
 
Nel frattempo andava completandosi l'insediamento dei [[Gesuiti]] nell'isola, principalmente ad opera di fra' [[Silvestro Landini]], inviatovi direttamente da [[Sant'Ignazio di Loyola]]; il frate fondò due Case, ad Ajaccio ed a Bastia, e tranne una piccola parentesi in Lunigiana, intorno al [[1548]], visse per la maggior parte del suo tempo nell'isola, ove morì, a Bastia, nel [[1554]]<ref>[[Emanuelle Gerini]] di Fivizzano, ''Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana'', Tip. Luigi Frediani, Massa, 1829</ref>.
 
Si giunse così al [[1556]], allorché venne conclusa una tregua che momentaneamente lasciava alla Francia il controllo di tutta l'isola con l'esclusione di Bastia, frattanto riconquistata dai genovesi e dagli imperiali. Il governo francese, più moderato di quello genovese, si guadagnò le simpatie locali, anche grazie all'azione dei còrsi in armi al servizio di Parigi, tra i quali spiccava, con il grado di colonnello, la figura del [[soldato di ventura]] [[Sampiero di Bastelica]].
 
Nel [[1559]], tuttavia, la conclusione della [[pace di Cateau-Cambrésis]] dispose la restituzione della Corsica al Banco di San Giorgio.
 
Gli esattori del Banco procedettero immediatamente ad imporre pesanti tasse, tese a recuperare le spese di guerra (tasse che gran parte dei còrsi si rifiutarono o non furono in grado di pagare) e, in violazione del trattato, che prevedeva un'[[amnistia]] generale, procedettero alla confisca di tutti i beni di Sampiero, di sua moglie Vannina d'Ornano, e di altri còrsi che avevano servito a fianco della Francia.
 
Sampiero, riparato in Provenza, non si diede per vinto e si mise ad operare per raccogliere attorno a sé una parte significativa dei notabili dell'isola avversi a Genova, mentre parallelamente cercava appoggi per il suo progetto di strappare l'isola alla Repubblica ligure.
 
Si rivolse pertanto a [[Caterina de' Medici]], che regnava in Francia a seguito della morte del marito durante i festeggiamenti in celebrazione della pace di Cateau-Cambrésis, la quale però rifiutò di coinvolgere la Francia in un'operazione che avrebbe riaperto la lunga guerra appena conclusa.
 
Non ebbe miglior sorte un analogo tentativo operato verso [[Cosimo I de' Medici|Cosimo de' Medici]], che pure mirava a farsi signore di Corsica, ma s'era prefissato di ottenerla solo attraverso trattative con le potenze europee (senza nulla ottenere), convinto com'era che la Toscana non fosse in condizione di sfidarle apertamente.
 
Fallito un ulteriore tentativo di farsi appoggiare dai [[Farnese|Farnese di Parma]], Sampiero - riuscito a munirsi di credenziali diplomatiche francesi - giunse a recarsi di persona in [[Nordafrica]] e a [[Costantinopoli]] a supplicare il Sultano di intervenire e di fare della Corsica una provincia ottomana, ciò che sembrerebbe rendere chiaro, meglio di ogni altro esempio, a quale punto fosse giunta Genova nel farsi detestare dai còrsi, raccolti attorno all'ormai ex colonnello del re di Francia.
 
La missione di Sampiero in oriente si concluse in un nulla di fatto anche perché nel frattempo Cosimo I, venuto a sapere del disegno del Còrso di installare la potenza ottomana proprio di fronte alle coste toscane, aveva avvertito dell'iniziativa i Genovesi, i cui ambasciatori avevano preceduto Sampiero e convinto i ministri ottomani a respingerne le richieste.
 
{{citazione necessaria|Mentre Sampiero era in missione in oriente, la moglie Vannina d'Ornano, titolare di feudi confiscati da Genova, aveva tentato di recuperarli cercando personalmente un'intesa con la [[Repubblica di Venezia|Serenissima Repubblica]]}}. Sampiero, venuto a conoscenza della faccenda al suo ritorno in Francia, non esitò a reagire a quello che considerava un tradimento sanguinoso, uccidendo un amico còrso lasciato a vegliare sulla sua sposa e strangolando personalmente la moglie e le due dame di compagnia cui l'aveva affidata durante la sua assenza. Sampiero rivendicò gli omicidi come ''delitto d'onore'' e sfuggì così alla giustizia francese. Guidato da una singolare pervicacia e - con ogni probabilità - da una buona dose di disperazione legata anche alle sue vicende personali, sbarcò nel luglio [[1563]] con un pugno di seguaci a [[Propriano]], nel [[golfo di Valinco]], con l'intenzione di cacciare i genovesi dall'isola.
 
Questi, nel frattempo, riconosciuto seppur tardivamente il ruolo politicamente negativo giocato dal Banco di San Giorgio nell'amministrazione della Corsica, ne avevano assunto direttamente il controllo a partire dal [[1562]], installando un governatore nell'isola.
 
In breve tempo Sampiero raccolse e consolidò le alleanze locali preparate da tempo, mettendo assieme 8000 uomini con i quali condusse una sanguinosa serie di colpi di mano, cui il governo genovese s'oppose tanto in armi, quanto facendo leva sulle rivalità tra i maggiorenti isolani.
[[File:Battle of of the Corsicans with the Genoese.jpg|miniatura|Battaglia fra Corsi e Genovesi.]]
 
Dopo anni di guerra caratterizzati da una ferocia senza pari e segnati da massacri, saccheggi, incendi di messi e di interi villaggi, i genovesi, facendo leva sull'odio mai sopito dei parenti di Vannina, riuscirono ad assoldare tra essi dei sicari che, nel [[1567]], uccisero a tradimento Sampiero e ne recarono la testa mozzata al governatore ligure. Il nome presunto dell'uccisore di Sampiero, ''Vittolo'', passò così a rappresentare per antonomasia un sinonimo di ''traditore'' nella fantasia popolare isolana ed è ancora oggi impiegato con tale significato.
{{citazione necessaria|
La lotta proseguì per qualche tempo guidata dal figlio giovanissimo di Sampiero, Alfonso, ma i còrsi insorti, perduta la guida esperta di Sampiero e a corto di risorse militari, si sfaldarono e cercarono la pace, cui si giunse nel [[1569]] con l'intesa tra Alfonso e il genovese [[Giorgio Doria]]}}.
 
=== Un secolo e mezzo di ''pax genovese'' ===
[[File:Corsica ponte genovese tavignano Altiani.jpg|thumb|Ponte genovese a tre arcate sul fiume Tavignano, presso [[Altiani]], tuttora utilizzato.]]
Alla fine della guerra si giunse anche grazie al fatto che, già negli ultimi tempi della lotta, Genova sembrava aver compreso che l'eccessiva durezza mostrata nell'amministrazione e nello sfruttamento della Corsica erano il miglior sistema per incitare i suoi abitanti a trovare nella rivolta l'unica risposta alla miseria loro inflitta, ed aveva pertanto avviato una politica più moderata ed equilibrata per garantirsi l'appoggio della popolazione.
 
Il dispositivo di pace prevedeva un'amnistia e la liberazione di ostaggi e prigionieri, la concessione ai còrsi delle libertà - prima negate - di movimento da e verso l'Italia e di disporre direttamente dei propri beni, un condono ed una proroga fiscale di cinque anni. Ad Alfonso fu offerta la restituzione dei feudi d'Ornano che, confiscati, erano stati all'origine della tragedia di sapore ''shakespeariano'' che aveva coinvolto il padre e la madre, inteso che egli, con i suoi più stretti seguaci, s'esiliasse comunque, come poi fece passando in Francia.
 
Nell'ottica di pacificare l'isola in modo duraturo e di riconoscere significativi elementi di autogoverno locale, nel [[1571]] Genova - tornata ad occuparsi direttamente della Corsica sin dalla fine dell'amministrazione del Banco di San Giorgio nel [[1562]] - istituisce gli ''Statuti civili e militari'' che, da allora in poi, regoleranno - almeno sulla carta - il diritto e l'amministrazione nell'isola.
 
Successivamente emendati ed estesi, gli ''Statuti'' furono nel complesso un buono strumento istituzionale e - nelle parti recepite nella [[Costituzione della Corsica del 1755|Costituzione paolina del 1755]] - e resteranno parzialmente in vigore sino alla conquista francese ([[1769]]).
 
Dal punto di vista amministrativo la Corsica dipese, da allora in poi, da una sorta di ministero dedicato, con sede a Genova: il ''Magistrato di Corsica'', che rendeva conto del proprio operato di fronte ai massimi organi della Repubblica, il ''Maggior Consiglio'' ed il ''Minor Consiglio''.
 
Sull'isola risiedeva un governatore genovese, coadiuvato da un vicario e dal consiglio dei ''nobili dodici'', mediato dalla simile istituzione della ''Terra di Comune''.
 
Il territorio fu suddiviso in province, ognuna delle quali aveva alla propria testa o un commissario (con sede a Bonifacio, Ajaccio e Calvi), o un luogotenente (con sede a Corte o Aleria, Rogliano, Algaiola, Sartena e Vico). Le fortificazioni furono riparate o consolidate ed ingrandite e vennero munite di presidi più solidi che nel passato. Le corti di giustizia furono riorganizzate e dotate di un complesso apparato burocratico.
 
La vita pubblica fu organizzata attorno ad una ridefinizione accurata delle comunità rurali che divennero il nucleo base del territorio dal punto di vista istituzionale, fiscale e religioso, integrando l'antica rete delle pievi. I villaggi, riuniti in ''parlamenti'', eleggevano periodicamente i loro podestà o ''padri del comune'', responsabili delle funzioni di amministrazione e di polizia locali, attraverso la carica, pure elettiva, di ''capitano della milizia''. Le comunità si governavano quindi in maniera largamente autonoma, senza ingerenze da parte della Repubblica, se non in casi eccezionali.
 
Nei paesi dell'entroterra fu così libera di svilupparsi una classe di notabili indicati come i ''principali''. Gli atti, sia privati che pubblici (elezioni locali e ''grida'' governatorali), erano trascritti presso i registri notarili. Tali registri venivano regolarmente sottoposti al cancelliere della sede provinciale competente e, per un certo periodo, le autorità locali furono autorizzate ad inviare propri rappresentanti presso il governatore o, addirittura, presso l'autorità centrale a Genova, per esprimere particolari esigenze, denunce di gravi abusi o richieste di aiuto in caso di calamità quali la siccità.
 
Il territorio fu suddiviso, dal punto di vista fiscale e produttivo, in ''circoli'' destinati a frutteti e vigne, ''prese'', destinate alle semine, e ''terre comuni'', patrimonio collettivo delle comunità, destinate al pascolo, alle colture temporanee ed orticole, alla raccolta di frutti di bosco e legname. Guardie campestri e giudici specializzati si occupavano di vigilare sul rispetto degli Statuti nella conduzione delle terre.
 
Legislazione civile e criminale furono definite come mai prima, come pure la tassazione, resa più efficiente pur restando basata sulla ''taglia'' (l'imposizione diretta) e sulle ''gabelle'' come lo «scudo a botte» per il vino, le ''tratte'' per altri prodotti, il ''boatico'' (vendita forzosa a prezzo ridotto di orzo e grano alle guarnigioni di stanza sull'isola) e diversi monopoli (primo tra tutti quello sul sale) per quanto riguarda l'imposizione indiretta.
 
Le città costiere, alcune delle quali popolate in grande maggioranza da genti liguri (in particolare Calvi, Bastia e Bonifacio), godevano di diversi privilegi rispetto ai centri dell'interno (esenzioni fiscali, immunità particolari), venendo così a costituire un mondo a parte. Sede dei governi provinciali, queste piccole ''capitali'' svilupparono un patriziato più affine a quello che cresceva nel frattempo in Italia, arricchendosi tanto con i traffici marittimi e con i compensi derivanti dall'esercizio di incarichi amministrativi legati al governo, quanto attraverso l'imprenditoria agricola sviluppata nell'immediato entroterra.
 
La classe del patriziato, detta dei ''nobili'' - ma in effetti si trattava una borghesia urbana - avevano in mano il mercato dei cereali, quello della pesca, quello dei prestiti e quello dell'artigianato e della produzione manifatturiera locali. Saranno proprio gli esponenti di questa classe che, aspirando a sempre maggiori prestigio e ricchezze, si porranno nel [[XVIII secolo]] alla guida della rivolta popolare e costituiranno prima il nerbo della Corsica indipendente di Pasquale Paoli, e poi il primo elemento di legittimazione locale dei governi francesi.
 
La Repubblica, sia durante il [[XVII secolo|XVII]] che il [[XVIII secolo]], riprese la parte migliore del lavoro già avviato dal Banco di San Giorgio nel mettere a frutto la coltivazione cerealicola nelle regioni litoranee, la coltura dell'ulivo (soprattutto in Balagna) e lo sfruttamento forestale (soprattutto i castagneti di Castagniccia). La rete stradale dell'isola fu incrementata e migliorata (alcuni ponti genovesi sono ancor oggi in uso), mentre specialmente nel Cismonte e in tutte le città costiere ebbe luogo un'intensa attività di edificazione e di ristrutturazione edilizia che caratterizzò molti centri storici il cui aspetto è, ancor oggi, marcato dalla forte impronta stilistica ligure e barocca dovute a questo periodo.
 
Sulle coste fu rafforzato il dispositivo delle torri d'avvistamento e difesa, a causa della recrudescenza degli assalti barbareschi, che divennero particolarmente frequenti e distruttivi soprattutto nei due decenni successivi alla sconfitta subita dagli ottomani a [[Lepanto]] nel 1571. Ciò che non deve stupire in quanto la pirateria venne a riempire lo spazio lasciato libero dall'impossibilità per gli ottomani di accedere altrimenti alle ricchezze prima disponibili attraverso i normali traffici loro negati a seguito del grave rovescio della loro flotta.
 
Le conseguenze di questo ventennio di attacchi, piuttosto ben documentati e distribuiti in un po' tutta l'isola, furono disastrose e comportarono l'abbandono di dozzine e dozzine di centri abitati di pianura come non avveniva da secoli.
È esemplare a questo proposito il caso di Sartena. Nel [[1540]] la sua regione contava undici centri maggiori che alla fine del secolo risultano tutti abbandonati tranne Sartena stessa, che fu fortificata e che costituì rifugio di tutta la popolazione del suo circondario sino al XVIII secolo quando, passato il pericolo, i centri minori poterono risorgere.
 
Nello stesso periodo l'isola fu colpita da gravi pestilenze che costituirono ulteriori ostacoli alla realizzazione dei piani di sviluppo predisposti dalla Repubblica, che nel complesso, per quanto ben congegnati sulla carta, non ebbero il successo sperato.
La stagnazione economica tenne dunque viva la storica tendenza all'emigrazione delle genti còrse, che continuarono a tentare di cercar fortuna sul continente, specialmente servendo - per tradizione consolidata - come militari al servizio delle potenze straniere, ed anche sfidando la proibizione in tal senso emessa da Genova, preoccupata da questa emorragia che ostacolava i propri piani di sviluppo e spopolava le campagne.
 
Tale preoccupazione del resto, era ben spiegata dalle mancate entrate fiscali che derivavano dal mancato sviluppo e che assumevano un peso particolare considerando il declino finanziario della Repubblica, che s'era esposta a finanziare i sovrani di Spagna i quali, nel corso del [[XVII secolo]], più volte mancarono di restituire alla scadenza prevista i cospicui prestiti concessi da Genova, sino a dichiararsi insolventi. In tal modo divennero inesigibili ricchezze vitali all'effettiva indipendenza e alle speranze di potenza della Repubblica ligure, già scossa dalla perdita progressiva di tutte le sue colonie d'oriente per mano dei Turchi e dal calo del volume dei suoi traffici con il Levante, indotto anche dalla concorrenza Francese, venutasi ad aggiungere, a partire dal [[XVI secolo]], a quella storicamente esercitata dalla [[Repubblica di Venezia]].
 
Oltre a ristabilire la proibizione formale ad espatriare, nuovamente imposta ai còrsi a dispetto di quanto promesso inizialmente negli ''Statuti'', Genova cercò in ogni modo di incoraggiare la valorizzazione delle terre dell'isola, istituendo anche a tale scopo la figura del ''Magistrato della coltivazione'' e concependo piani di sviluppo che però rimasero in buona parte inattuati, ma la cui bontà generale è testimoniata dal fatto che saranno molto più tardi fedelmente ricalcati da simili piani francesi (anch'essi, per altro, rimasti largamente inattuati).
 
Uno dei punti deboli di tali piani era costituito dal fatto che essi, piuttosto che su un intervento dello Stato (per altro di difficile attuazione, vista la sofferenza finanziaria della stessa Repubblica), basavano tutte le proprie speranze di attuazione sulla libera iniziativa privata attraverso un complesso sistema di infeudamenti ed [[enfiteusi]] che invece di avviare il circolo virtuoso produttivo sperato, finì per avviare l'erosione delle ''terre comuni'' alienandone la piena disponibilità alle comunità locali e favorendo l'arricchimento di alcuni ''Principali'' e ''Nobili'' senza alcun vantaggio per la collettività.
 
Tale fenomeno di espropriazione ed immiserimento delle comunità còrse a favore di ricchi possidenti avrà un'accelerazione decisiva quando lo schema sarà riproposto dai francesi, e finirà per creare danni sociali tanto acuti da poter essere considerato tra le cause scatenanti delle insurrezioni che, per circa un cinquantennio, scoppiarono in Corsica dopo l'occupazione francese e che, per certi versi, sono paragonabili alle insorgenze che nell'Italia meridionale sottoposta al governo sabaudo all'indomani della caduta del [[Regno delle due Sicilie]], daranno vita al fenomeno poi passato alla storia come ''[[Brigantaggio]]''.
 
In questo quadro si inserisce come singolare la concessione ad alcune centinaia di Greci originari della [[Laconia]] (regione meridionale del [[Peloponneso]]) in fuga dal dominio ottomano. A seguito di lunghe trattative (che richiedevano sostanzialmente l'accettazione del primato papale in campo religioso, come avvenuto per altre comunità greco-ortodosse riparate in Italia, vedi l'esempio di [[Piana degli Albanesi]]) questi profughi furono installati nel [[1676]] nelle terre costiere a circa 50&nbsp;km a Nord di Ajaccio. Nella regione, detta ''Paomia'', i greci fonderanno una colonia che, spostata a [[Cargèse|Cargese]] a seguito dell'occupazione francese, ha mantenuto sin quasi ai giorni nostri la propria lingua e alcune tradizioni originarie, ivi compreso il rito religioso orientale, tuttora officiato.
 
Il mancato successo dei piani di sviluppo genovesi - che finì comunque per porre in modo acuto una ''questione agraria'' le cui conseguenze si faranno sentire sino ai nostri giorni - nel contesto di un'economia ancora improntata ad uno sfruttamento sostanzialmente coloniale e di un restringimento progressivo all'esercizio effettivo delle poche libertà concesse ai còrsi, considerati di fatto come sudditi e non come cittadini dalla Repubblica, finì per far montare una crisi che doveva rivelarsi senza rimedio e che avrebbe condotto la Corsica a rompere definitivamente con Genova, sia pure in modo graduale e difficilmente percettibile sino all'esplosione della rivolta, a partire dal [[1729]].
 
=== La fine della Guardia Corsa Papale a Roma ===
{{vedi anche|Guardia Corsa Papale}}
Tra i reparti militari interamente còrsi che operarono fuori dall'isola la Guardia còrsa papale fu il più famoso e quello di più lunga - plurisecolare - durata.
 
Malgrado l'incertezza dei documenti, si fa solitamente risalire al [[1378]] - in coincidenza con la fine della «[[cattività avignonese]]» - la fondazione, a Roma, di un corpo militare composto esclusivamente da còrsi con funzioni di guardia del pontefice e di milizia urbana.
 
[[File:Lapide Pasquino Corso.jpg|thumb|left|Monumento funerario a Pasquino Còrso, colonnello della Guardia còrsa papale, [[San Crisogono (chiesa di Roma)|San Crisogono]], Roma.]]
[[File:Repubblica di Genova.png|miniatura|Corsica e la [[Repubblica di Genova]] 1284-1768]]
Non sono conosciuti documenti attestanti l'istituzione di questo corpo militare in precedenza, anche se la presenza di una significativa ''colonia'' còrsa a Porto ([[Fiumicino]]) e poi in [[Trastevere]] (dove la chiesa di [[San Crisogono (chiesa di Roma)|San Crisogono]] fu ''titolo nazionale'' e basilica cimiteriale dei còrsi) è certa almeno dal [[IX secolo]] e non è affatto da escludere un'organizzata presenza di milizie còrse nel seno delle armate papali anche assai prima del [[XIV secolo]], stante il forte legame della Corsica con Roma, dalla quale l'isola dipese formalmente a partire dall'[[VIII secolo]] e sino alla sua definitiva entrata nell'orbita genovese.
 
La Guardia còrsa che, come vedremo, sarà ininterrottamente al servizio del papa per quasi tre secoli, precederebbe dunque di quasi 130 anni l'istituzione, nel [[1506]] della oggi ben più nota [[Guardia svizzera]].
 
L'esistenza della Guardia còrsa si ebbe in seguito ad un incidente occorso a Roma il 20 agosto [[1662]]: [[Luigi XIV di Francia]] inviò a Roma suo cugino [[Carlo III di Créquy|Carlo III, duca di Créquy]], come ambasciatore straordinario con una scorta militare rafforzata, che finì in breve tempo - e quasi inevitabilmente - per causare una grave rissa presso il [[Ponte Sisto]] con alcuni militi della Guardia còrsa che pattugliavano le vie di Roma.
 
L'affronto dovette essere particolarmente grave (ne erano stati segnalati molti altri sin dal [[1661]], ma senza gravi conseguenze), perché anche i militi a riposo nella caserma della Guardia alla Trinità de' Pellegrini, presso [[Palazzo Spada]], accorsero ad assediare il vicinissimo [[Palazzo Farnese (Roma)|Palazzo Farnese]], sede dell'ambasciatore francese, pretendendo la consegna dei militi francesi responsabili dello scontro.
 
Ne seguì una sparatoria, innescata dal casuale ritorno a Palazzo Farnese, sotto nutrita scorta militare francese, della moglie dell'ambasciatore. Un paggio della signora di Créqui rimase mortalmente ferito e Luigi XIV ne approfittò per trarne pretesto per portare ai massimi livelli lo scontro con la Santa Sede, già avviato sotto il governo del [[cardinale Mazarino]].
 
La reazione e le pretese del Re di Francia nei confronti del Papa danno la misura della potenza, ma anche della personalità e dei metodi adottati dal monarca, che ritirò l'ambasciatore da Roma, espulse quello del papa in Francia, procedette all'annessione dei territori pontifici ad [[Avignone]] e minacciò seriamente di invadere Roma se Alessandro VII non gli avesse presentato le sue scuse e non si fosse piegato ai suoi desideri, che comprendevano lo scioglimento immediato della Guardia còrsa, l'emissione di un anatema contro la loro nazione, l'impiccagione per rappresaglia di un certo numero di militi e la condanna al remo in galera per molti altri, la rimozione del Governatore di Roma e l'erezione nei pressi della caserma della Guardia di una colonna d'infamia ad imperitura ''maledizione'' dei còrsi che avevano osato sfidare l'autorità francese.
 
== La rivolta contro Genova ==
Pur non minacciata da nuove invasioni (fatte salve le perduranti scorrerie corsare) e da nuovi cambi di regime e di potenza occupante, la Corsica, durante l'ultimo secolo di dominazione genovese volge - quasi in silenzio - verso una crisi che ne segnerà la storia in modo drammatico, e che condurrà l'isola a perdere il contatto con la propria naturale area culturale, etnografica e linguistica attraverso la sua difficile integrazione nello Stato francese.
 
Del resto già la penetrazione Genovese in Corsica, e poi il suo dominio, come abbiamo visto segnati da asperrime lotte, avevano contribuito - sebbene in misura assai minore di quanto avverrà con la sua francesizzazione - ad alienare la Corsica dall'alveo socioculturale e linguistico toscano e centro-italiano nel quale s'era sviluppata dal [[IX secolo]]: le ''grida'' del governo genovese, scritte in italiano, erano più comprensibili all'analfabeta pastore còrso che al gendarme di lingua ligure che accompagnava l'araldo che le annunciava nei villaggi dell'isola.
 
La crisi sofferta dalla Corsica durante il [[XVII secolo]] e poi nel [[XVIII secolo|XVIII]] è, inevitabilmente, conseguenza della crisi e del progressivo declino ed indebolimento della Repubblica di Genova, nel più ampio quadro del declino generale che interessa tutta la Penisola italiana dopo il [[Rinascimento]], in contrapposizione alla crescente influenza di altri stati europei.
 
Genova entra in una situazione di sensibile crisi ben prima di Venezia e si troverà ad essere minacciata da vicino e poi occupata e disciolta come stato indipendente dalla Francia poco dopo aver perso la Corsica e, anzi, avendo speso gran parte delle proprie residue energie proprio nel vano tentativo di conservarne il controllo.
 
Conviene qui soffermarsi ad evidenziare che la Liguria ha oggi una superficie (5&nbsp;410&nbsp;km²) nettamente inferiore a quella della Corsica e che, anche se al tempo della Repubblica il territorio metropolitano era maggiore (poco oltre i 6&nbsp;000&nbsp;km²), la Corsica rappresentava comunque circa il 60% dell'intero territorio controllato dalla ''Dominante''. Anche il dato demografico è impressionante: la Liguria, che oggi conta 1&nbsp;760&nbsp;000 abitanti, ne contava solo circa 370&nbsp;000 nel Seicento (che passeranno a 523&nbsp;000 alla caduta della Repubblica nel [[1797]]) mentre la Corsica ne contava circa 120&nbsp;000 nel [[XVII secolo]] e non giungevano a 165&nbsp;000 alla fine del [[XVIII secolo]].
 
Salta all'occhio, dunque, come la lotta che si svolse per quarant'anni (dal [[1729]] al [[1768]]) tra Genova e la sua colonia insorta fosse una lotta per la sopravvivenza (e difatti Genova perderà la sua indipendenza meno di trent'anni dopo aver perso la grande isola), di come essa fosse più che impegnativa per la Repubblica, che controllava in continente un territorio ''inferiore'' a quello disputato e per di più senza disporre in patria di una base demografica schiacciante rispetto a quella còrsa.
 
A questo proposito va anche notato come la ferocia della guerra e il suo perdurare per decenni abbia influito drammaticamente sulla stentata crescita della popolazione còrsa, soprattutto a seguito delle stragi e delle distruzioni che continuarono ad affliggere la Corsica in lotta contro la Francia (con episodi significativi almeno sino al secondo decennio del [[XIX secolo]]) dopo che Genova s'era sfilata dalla lotta e attendeva, tutto sommato in pace, la sua fine come Stato indipendente.
 
Alla radice della rivolta còrsa contro Genova, accanto ad un'avversione per il governo genovese (di solito ingigantita ''ad usum Delphini'' da buona parte della storiografia di marca francese), generata dalla mancata equiparazione della cittadinanza rispetto ai domini di terraferma della Repubblica, c'è la stagnazione della produzione di ricchezza indotta dallo scarso successo dei piani di sviluppo dell'isola. La Corsica finì così a vivere di un'economia sostanzialmente di sussistenza, mentre altrove in [[Europa]] fiorivano i commerci e si realizzava l'accumulazione di immense ricchezze.
 
Sull'isola, invece, le misure prese dal governo della Repubblica al fine di stimolare l'agricoltura finiscono, nel loro affidarsi eccessivamente all'iniziativa privata, per far sorgere una borghesia in buona parte parassitaria, che vive (salvo qualche eccezione, come nel Capo còrso, dove prevale l'impresa commerciale legata ai trasporti navali) soprattutto di [[rendita fondiaria]] quando non di usura anche spicciola, ma fortemente dannosa, come ad esempio quando finisce per taglieggiare la [[transumanza]] pastorale e minacciare la stessa sussistenza delle comunità contadine sottraendo progressivamente spazio alle ''terre comuni''.
 
Questo stato di cose fa crescere sino a livelli parossistici il livello di litigiosità locale e fa riesplodere ed ingigantire progressivamente i fenomeni della ''vendetta'' e per conseguenza, del diffuso banditismo (cui fanno ricorso sia i còrsi braccati dalla giustizia per le faide, sia i pastori gettati sul lastrico dalle pretese dei ''principali'' proprietari terrieri e dei loro ''fattori''), creando una situazione di allarme e malessere sociale diffuso, sino a configurare uno strisciante stato di guerra civile.
 
L'indifferenza sostanziale di Genova di fronte a tale evoluzione e la sua presenza sensibile solo al momento di esigere gabelle e di perseguire i delitti (neanche tutti e non sempre con efficacia), finisce per elevare parossisticamente la naturale tendenza isolana all'introversione ed a far crescere a dismisura il sentimento di estraneità e di avversione che si diffonderà nell'isola contro la Repubblica. Quando essa interverrà a tentare - troppo tardivamente ed in modo incongruo - di porre un freno alla violenza diffusa, con la proibizione generale per i còrsi di portare armi (una proibizione particolarmente incomprensibile ed inaccettabile per un popolo da sempre abituato ad esse), anziché recare sollievo e pacificazione, contribuirà a rendere inevitabile la rivolta, anche grazie alla disparità di trattamento creata attraverso la concessione arbitraria di salvacondotti ed indulti (rispetto al porto delle armi ed al loro uso), unita alla singolare pratica di arruolare nelle proprie milizie i banditi che non riesce a catturare.
 
Sarà proprio la classe minoritaria dei notabili rurali e cittadini dell'isola, al cui sviluppo aveva dato impulso decisivo il complesso di misure economiche privatistiche del governo genovese, a far leva sulla situazione modesta e a volte miserabile del resto della popolazione (non dissimile però da quella di altre aree depresse d'Italia o di Francia) per avviare, dal [[1729]], la grande rivolta indipendentista còrsa.
 
=== Dalla rivolta del 1729 a re Teodoro ===
{{vedi anche|Regno di Corsica (1736)}}
Per compensare i mancati introiti fiscali dovuti alla proibizione del porto d'armi (molto diffuso e per il quale si pagava una tassa), nel [[1715]] Genova introdusse in Corsica la tassa generale dei ''due seini''. Tale tassa era stata varata come ''temporanea'', ma era stata più volte prorogata senza che il divieto a girare armati e l'introduzione dei ''pacieri'' - magistrati preposti alla composizione pacifica delle ''vendette'' - avesse sortito effetti significativi.
 
Nel [[1729]] si parlò di nuovo di prorogare i ''due seini'' per altri cinque anni, proprio mentre i cattivi raccolti degli ultimi anni e l'indebitamento dei contadini assumeva livelli catastrofici. Fu così che la spedizione periodica per l'esazione dei ''due seini'' effettuata dal luogotenente di Corte nella Pieve di Bozio, fece scoccare la scintilla insurrezionale nel cuore di quella ''Terra di Comune'' che, più socialmente e civilmente avanzata di altre regioni sin dal Medioevo, meno era atta a sopportare la crisi economica ed il restringimento dei diritti che subiva. Un distaccamento di soldati Genovesi fu circondato, disarmato, derubato e, spogliato di tutto, rimandato a Bastia mentre in tutta la regione suonavano le campane e in montagna il tradizionale ''corno marino'' dei pastori chiamando alla rivolta.
 
Così ebbe origine una vera e propria ''jacquerie'' contadina che, all'inizio del [[1730]], scendendo dalla Castagniccia e dalla Casinca, si diede al saccheggio nella piana di Bastia, investendo parzialmente anche la capitale. Genova inviò sull'isola come nuovo governatore [[Gerolamo Veneroso]] (che era stato doge dal [[1726]] al [[1728]]) e si giunse ad un'effimera tregua, invitando le comunità còrse a presentare le proprie istanze.
 
Nel dicembre del [[1730]] gli insorti, riuniti nella ''Consulta'' (assemblea) di San Pancrazio prendono misure sul finanziamento dell'insurrezione e la costituzione di milizie, coagulando un proprio gruppo dirigente attorno ad alcuni notabili: Andrea Colonna Ceccaldi, Luigi Giafferi e l'abate Raffaelli, a segnare l'adesione del basso clero a quella che presto diverrà causa ''nazionale''.
 
Nel successivo febbraio [[1731]] una Consulta generale tenuta a Corte stabilisce formalmente le rivendicazioni da indirizzare al governo genovese, segnando una fase nella quale i notabili ormai alla guida della rivolta si preoccupano di moderarla (reprimendo ''discoli'' e ''malviventi'') e di trovare sbocchi negoziali alla rivolta.
 
L'aprile seguente i teologi isolani si riuniscono ad Orezza, assumendo un atteggiamento prudente, con l'invito alla Repubblica ad esercitare i propri doveri per evitare disordini, verso i quali viene mostrata comprensione. Il canonico Orticoni si reca in missione da una corte all'altra in Europa, difendendo le ragioni della propria gente specialmente presso la [[Santa Sede]]. La rivolta còrsa diviene rapidamente un affare europeo e non manca di attirare l'attenzione dell'ambasciatore francese a Genova, che prontamente ne riferisce al proprio governo.
 
Nel frattempo l'anarchia e i disordini tornano, dopo secoli, ad insanguinare tutta l'isola: la colonia greca di Paomia viene aggredita e minacciata di massacro, segnando l'estensione della rivolta, prima confinata al Cismonte, anche al Pumonte, mentre s'avvia il contrabbando di armi specialmente da Livorno, con l'aiuto dei còrsi emigrati in Italia.
 
Alcuni insorti, fidando, come da tradizione, in appoggi esterni, invocano l'aiuto di [[Filippo V di Spagna]] (che prudentemente eviterà di invischiarsi nella vicenda) e, allo scopo, producono la riedizione della bandiera Aragonese con la ''Testa Mora'': la benda che, nell'originale, copriva gli occhi della figura, viene spostata come una fascia sulla fronte a dare forma al motto che viene coniato per questo vessillo, ''«Adesso la Corsica ha aperto gli occhi»''.
 
Nell'agosto del [[1731]] Genova, rotti gli indugi ed incapace di far fronte da sola alla ribellione, ottiene dall'Imperatore [[Carlo VI del Sacro Romano Impero|Carlo VI]] (preoccupato di prevenire un eventuale coinvolgimento di Filippo V) l'invio di una spedizione militare che sbarca in Corsica agli ordini del barone tedesco Wachtendonk in appoggio alle forze del commissario straordinario genovese, Camillo Doria. Dopo aver subito una sconfitta a Calenzana (febbraio [[1732]]), le truppe imperiali, forti di superiore artiglieria e di 8.000 uomini, hanno la meglio.
 
I capi della rivolta sono esiliati e l'arbitrato imperiale si fa garante, nel gennaio del [[1733]], delle ''graziose concessioni'' (in verità ben formulate per riuscire soddisfacenti) che il ''Minor Consiglio'' genovese approva al fine di disarmare le aspirazioni secessioniste e riportare la calma nell'isola.
 
Solo per poco, poiché già nell'autunno seguente ([[1733]]) scoppia un nuovo focolaio insurrezionale in Castagniccia, stavolta guidato direttamente da un notabile proveniente dalla massima istanza locale che Genova aveva voluto a collaborare con il proprio governatore, i ''Nobili Dodici''. Tra questi era stato precedentemente eletto [[Giacinto Paoli]], che si trova a capo della nuova rivolta.
 
L'isola sfugge nuovamente al controllo genovese - salvo le città costiere - e gli insorti si organizzano con il crescente aiuto dei loro compatrioti in Italia. Si giunge così al [[1735]], quando una nuova Consulta generale tenuta a Corte elabora, sotto la guida dell'avvocato Sebastiano Costa (un còrso rientrato dall'Italia a sostenere l'insurrezione) una dichiarazione costituzionale che di fatto costituisce la Corsica in Stato sovrano. Il testo prefigura già la [[Costituzione della Corsica del 1755|Costituzione paolina del 1755]] ed attira l'attenzione di [[Montesquieu]], segnalando sin da allora come alla guida della rivoluzione còrsa si muovano uomini ispirati dai più avanzati concetti giuridici ed illuministici già diffusi in Italia.
 
Nello stesso contesto la Corsica viene posta sotto la protezione della Vergine Maria e viene adottato come inno nazionale il canto sacro "Dio vi salvi Regina" composto alla fine del secolo precedente dal gesuita Francesco de Geronimo, originario di [[Grottaglie]] ([[Taranto|TA]]).
 
Lo Stato di Corsica concepito a Corte manca volutamente di un sovrano, con lo scopo più o meno palese - pur di liberarsi della Repubblica ligure - di indurre qualche regnante europeo a reclamare per sé la Corsica. Tuttavia, pur se molti sono i monarchi che gradirebbero impadronirsi dell'isola, il complesso equilibrio raggiunto dopo la [[Pace di Vestfalia]] induce ciascuno alla prudenza e gioca a favore di Genova e dell'incredibile avventura di un certo barone [[Teodoro di Neuhoff]] ([[1694]]-[[1756]]), uno strano avventuriero della piccola nobiltà tedesca fuoriuscito dalla nativa [[Colonia (Germania)|Colonia]] e passato in Francia e Spagna prima di riuscire a convincere la comunità còrsa di Livorno a candidarsi al vacante trono di Corsica.
 
È così che, sbarcato nel marzo [[1736]] ad [[Aleria]] con armi, cereali e aiuti in danaro, riesce con notevole abilità ed eloquenza a farsi accogliere da Giacinto Paoli, Sebastiano Costa e Luigi Giafferi, che guidano l'insurrezione, come una sorta di ''Deus ex machina'' e farsi proclamare re di Corsica. Alquanto perspicace, Teodoro dimostra di aver compreso alla radice quali siano le aspirazioni più profonde dei notabili isolani e si affretta ad instaurare un ''ordine della nobiltà di Corsica'', distribuendo con liberalità titoli magniloquenti ai capi degli insorti.
 
Ciò malgrado, subito si accesero dispute tra i nuovi nobili per accaparrarsi i titoli che sembravano più suggestivi, a riprova di quanto le aspirazioni dei notabili fossero legate al proprio avanzamento sociale (in modo non dissimile da quanto avverrà nelle altre rivoluzioni moderne), negato loro ''costituzionalmente'' da Genova. Ai malumori collegati alle dispute intorno ai titoli nobiliari, si aggiunsero presto quelli assai più seri legati al venire al pettine dei nodi legati alle vane promesse di aiuti con le quali Teodoro aveva convinto i còrsi a farlo loro re. Ancora una volta dimostrando notevole tempismo e perspicacia, dopo solo otto mesi di ''regno'' l'effimero sovrano, sbeffeggiato dai genovesi, lasciò la Corsica nel novembre del 1736 con il pretesto di recarsi a reclamare personalmente gli "aiuti" millantati.
 
Ancora nel 1736 esce, scritto dall'abate còrso Natali, il ''Disinganno intorno alla Rivoluzione di Corsica'', primo esempio significativo della fiorente letteratura apologetica - sempre scritta in italiano - che renderà popolare la lotta d'indipendenza dei còrsi presso gli ambienti illuminati di tutta Europa.
 
Teodoro riapparirà in Corsica solo due anni dopo, per un breve tentativo - subito fallito - di restaurazione e ancora nel [[1743]], con l'appoggio britannico, con identico esito. La vita del re di Corsica si concluderà in povertà a Londra nel [[1756]] e la sua tragicomica vicenda sarà oggetto di curiosità in tutta Europa, al punto da meritargli un'opera (Teodoro a Venezia) di Paisiello, che ne aveva filtrato il personaggio già dileggiato da [[Voltaire]] nel suo ''[[Candido]]''.
 
=== Il primo coinvolgimento francese ===
Partito Teodoro la lotta continua in una situazione di sostanziale stallo. Da un lato, i còrsi insorti e padroni dell'isola, ma incapaci di conquistarne le fortezze costiere, dall'altro i genovesi serrati nei maggiori centri litoranei, privi di risorse umane e finanziarie per poter lanciare una controffensiva e riprendere il pieno controllo della Corsica.
 
È in queste circostanze che Genova, rimasta senza alternative - pur di malavoglia e con comprensibile diffidenza - prende una decisione che si rivelerà fatale ed accetta l'interessato ''aiuto'' che la Francia le offre, desiderosa com'è di mettere le mani sulla Corsica (prevenendo possibili analoghe mosse inglesi o spagnole) pur senza causare un conflitto aperto europeo<ref>{{cita web | url = http://www.eliohs.unifi.it/testi/900/rotta/rotta_corsica.html | titolo = Montesquieu, la Repubblica di Genova e la Corsica}}</ref>.
 
La strategia della Francia di [[Luigi XV di Francia|Luigi XV]] sotto il governo prima del [[André-Hercule de Fleury|cardinale de Fleury]] e poi di [[Germain Louis Chauvelin]] e del [[Étienne François de Choiseul|duca de Choiseul]], consisterà sostanzialmente nell'installare proprie truppe in Corsica con il pretesto di sostenere il governo genovese, cui però presenterà il conto del mantenimento dell'armata, ben sapendo che la Repubblica difficilmente troverà le risorse necessarie a saldare il debito contratto.
 
Così nel febbraio [[1738]] sbarcano in Corsica le prime truppe francesi al comando del generale de Boissieux, che si atteggia a mediatore, senza tuttavia accontentare nessuno. A dicembre una colonna francese viene ignominiosamente messa in fuga dagli insorti a [[Borgo (Francia)|Borgo]] e Boissieux viene sollevato dall'incarico, affidato di seguito a Maillebois. Questi prende in mano la situazione e attacca gli insorti. Già nel luglio del [[1739]] Giacinto Paoli (seguito dal figlio [[Pasquale Paoli|Pasquale]]) e Luigi Giafferi sono costretti a riparare in esilio verso l'Italia.
 
Nel [[1741]], considerando pacificata l'isola, Maillebois lascia Bastia senza che la Repubblica ligure, da sola, riesca a tenere davvero sotto controllo l'isola, che presto è di nuovo in fermento. A nulla vale un nuovo compromesso offerto da Genova nel [[1743]], né la missione pacificatrice intrapresa sull'isola dal francescano Leonardo da Porto Maurizio, condotta nel [[1744]].
 
Nell'agosto [[1745]] una nuova Consulta rivoluzionaria convocata ad Orezza mette un nuovo triumvirato alla testa della rivolta, composto da Gian Pietro Gaffori, Alerio Matra e Ignazio Venturini, mentre il còrso fuoriuscito Domenico Rivarola (ex podestà di Bastia nel [[1724]] e poi colonnello dell'armata sabauda) riesce a convincere [[Carlo Emanuele III di Savoia]] a tentare, con l'appoggio degli inglesi (anch'essi bramosi di mettere le mani sulla Corsica) e degli austriaci, una spedizione contro Bastia.
 
Tra il [[1745]] e il [[1748]], con l'aiuto inglese e sabaudo, Domenico Rivarola riesce a mettersi a capo di parte degli insorti e ad impegnare duramente i Genovesi a Bastia, ma le divisioni tra i notabili còrsi minano i successi della sua iniziativa e nel [[1748]] Rivarola muore a Torino, ove s'era recato a cercare nuovi aiuti.
 
Messi di nuovo alle strette, i Genovesi dovettero ancora ricorrere alla Francia, che inviò a Bastia nuove truppe guidate dal Maresciallo de Cursay. Questi, oltre a svolgere un ruolo di mediazione, avviò nella capitale dell'isola un'accademia ed altre iniziative culturali che avevano lo scopo di installare e di irradiare la cultura francese nell'isola. Il troppo zelo dimostrato dal de Cursay nella sua azione propagandistica in favore della Francia esercitata presso i còrsi, suscitò le ire dei Genovesi. La Repubblica reagì nel [[1753]], chiedendo ed ottenendo la partenza del Maresciallo e delle sue truppe dall'isola. Frattanto alcuni sicari al soldo di Genova assassinavano il capo degli insorti, Gian Pietro Gaffori.
 
Va ricordato che queste ultime vicende si inquadrano nello svolgimento della [[Guerra di successione austriaca]] che, tra l'altro, porta all'occupazione di Genova da parte delle armate austriache (con il famoso episodio del [[Giovan Battista Perasso|Balilla]], dicembre [[1746]]), e a nuovi, durissimi colpi per la Repubblica, impoverita, invasa e costretta dall'ostilità dei [[Casa Savoia|Savoia]] ad affidarsi sempre più all'influenza della Francia.
 
== La Corsica indipendente di Pasquale Paoli ==
[[File:Paoli.png|thumb|[[Pasquale Paoli]] (Cosway)]]
[[File:Pascal Paoli01.jpg|thumb|Monumento a Pasquale Paoli all'[[Isola Rossa]]. Iscrizione: «Centenariu di u ritornu di e cennere 1889-1989. In memoria di Pasquale de' Paoli, u Babbu di a Patria»]]
Dopo l'assassinio di Gaffori (per mano di còrsi assoldati da Genova e nel quale fu implicato suo fratello, che fu giustiziato), gli insorti impiegarono quasi due anni per trovare un accordo sulla nuova guida. La scelta di un gruppo consistente di notabili dell'area settentrionale del Cismonte, forse anche per non chiamare in causa rivalità già consolidate nell'isola, cadde sul trentenne [[Pasquale Paoli]], figlio di [[Giacinto Paoli|Giacinto]], che era stato esiliato a [[Napoli]] dal [[1739]].
 
Pasquale, che aveva 14 anni quando aveva lasciato la Corsica, nel frattempo era divenuto un ufficiale di [[Carlo di Borbone, re di Napoli|Carlo di Borbone]] e prestava servizio a [[Porto Azzurro|Porto Longone]] (odierna Porto Azzurro) all'[[isola d'Elba]].
 
{{citazione|[Noi còrsi] Siamo Italiani per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni... E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio... Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani... O non saremo nulla... O vinceremo con l'onore o moriremo con le armi in mano... La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l'Italia il sole della libertà.}}
discorso di [[Pasquale Paoli]] dopo essere arrivato a Napoli nel 1750.
 
Formatosi nell'ambiente illuminista della Napoli di [[Antonio Genovesi]] e di [[Gaetano Filangieri]], Pasquale Paoli - che si era preparato già da qualche tempo a rientrare nell'isola con un ruolo dirigente - avrebbe impresso una svolta decisiva alla rivolta còrsa: fu Paoli che gli fece assumere i connotati di prima vera (ed ingiustamente oggi misconosciuta) ''rivoluzione borghese d'Europa'', e sua è la prima costituzione (anch'essa ingiustamente poco nota) democratica e moderna<ref>Le definizione di "democratica" e "moderna" sono state messe in discussione da alcuni autori, fra cui: {{cita libro | cognome= Dal Passo | nome= Fabrizio| coautori=CNR| titolo= Il Mediterraneo dei lumi: Corsica e democrazia nella stagione delle rivoluzioni| editore= | città= | anno= 2007| isbn= 978-88-7088-526-2}}</ref>, quella che regolò la vita della Corsica indipendente dal [[1755]] alla conquista francese [[1769]].
 
Giunto in patria il 19 aprile, Paoli raggiunse il fratello Clemente a [[Morosaglia]] e, tra il 13 e il 14 luglio [[1755]], venne proclamato generale di quella che ormai, con piena coscienza, si definiva come la ''Nazione còrsa''. L'elezione avvenne presso il convento francescano di Sant'Antonio di Casabianca. Emanuele Matra, notabile della regione di [[Aleria]], raccolti intorno a sé un gruppo di maggiorenti avversi al partito di Paoli, non ne accettò l'elezione e diede vita ad una vera e propria guerra civile per opporvisi.
 
Affrontato con polso di ferro e vinto entro novembre dal neoeletto ''Generale della Nazione'' (che, secondo il console francese a [[Bastia]], riceveva appoggi [[Regno Unito|britannici]]), il Matra, che era sostenuto dai genovesi, fu sconfitto e costretto all'esilio. Malgrado il successo, Paoli dovrà affrontare ancora per anni le ostilità suscitate dai membri della famiglia Matra e dai loro alleati.
 
Tra il 16 ed il 18 novembre [[1755]], riunita una Consulta generale a Corte (divenuta capitale dello Stato còrso), Paoli promulgò la [[Costituzione della Corsica del 1755|Costituzione di Corsica]].
 
La nuova costituzione teneva conto della struttura istituzionale preesistente, perfezionandola e migliorandola, e, pur dovendo adeguarsi alla situazione d'emergenza, di isolamento geografico, di guerra e di assenza di un vero riconoscimento internazionale del nuovo Stato che essa istituiva e regolava, contribuì a rendere Paoli molto popolare negli ambienti illuminati di tutt'Europa e tra i coloni inglesi insorti che daranno vita agli [[Stati Uniti d'America]] e alla loro [[Costituzione degli Stati Uniti|Costituzione]].
 
La Costituzione còrsa attirò l'attenzione di tutta Europa per la sua eccezionale carica innovativa e Paoli chiese la collaborazione di [[Jean-Jacques Rousseau]] per perfezionarla. Il filosofo ginevrino rispose volentieri all'appello e redasse il suo ''Progetto di costituzione per la Corsica'' ([[1764]]).
 
La Costituzione assegnava alla figura del ''generale'' un ruolo particolare, paragonabile per certi versi, vista la situazione di guerra perdurante, a quella di un ''[[dittatore romano|dittatore]]'' nell'antica [[Repubblica romana]], affiancato da un Consiglio di Stato elettivo che rispondeva ai princìpi di collegialità e di rotazione, seguendo uno schema che traeva la sua ispirazione dal modello comunale sorto in Italia. Si trattava quindi di una sorta di dispotismo illuminato, ove la massima autorità era sottoposta al controllo assembleare e votata ad un'azione riformatrice ispirata dallo [[Illuminismo|spirito dei lumi]].
 
Le mai del tutto sopite fronde antagoniste e spinte anarchiche interne, unite alla costante minaccia esterna, costrinsero allo sviluppo di un sistema giudiziario severo ed inflessibile (che resterà famoso con la locuzione ''giustizia paolina'') ed all'istituzione di una notevole pressione fiscale, accompagnata da un continuo e quasi disperato sforzo di sviluppo agricolo, economico (entro il [[1762]] la Corsica batterà la propria moneta) e commerciale. La Corsica si dotò così di una propria flotta, battente la bandiera con la ''testa mora'', per rompere il blocco navale genovese. Anche a tale scopo nel [[1758]] Pasquale Paoli fondò il porto di [[Isola Rossa]], strategicamente ben posizionato per tagliare il traffico tra Genova, [[Calvi (Francia)|Calvi]] e [[San Fiorenzo (Francia)|San Fiorenzo]]. Sempre nel [[1758]], l'abate còrso Salvini diede alle stampe a Corte, in italiano, la ''Giustificazione della Rivoluzione di Corsica''.
 
Una volta ridotta la Repubblica genovese a controllare poche piazzeforti costiere, spesso assediate, Paoli si diede con inesauribile energia a dare forma e concretezza all'autoproclamato Stato di Corsica in ogni campo, senza trascurarne alcuno, spaziando dalla giustizia all'economia.
 
Tollerante nell'ambito religioso (Paoli incoraggiò l'immigrazione ebraica dalla Toscana), il ''Generale'' ebbe la fiducia del clero locale, che del resto aveva sempre in larga parte appoggiato gli insorti, e buoni rapporti con lo [[Stato della Chiesa]], anche nella speranza che ciò potesse condurre ad un riconoscimento ufficiale dell'indipendenza còrsa.
 
Il nuovo Stato - come del resto quelli sorti più tardi dalle Rivoluzioni Americana e Francese - si caratterizzò come un regime controllato dalla borghesia isolana che era cresciuta sotto il dominio genovese e, per molti versi, grazie ad esso, pur se attraverso gli strumenti democratici della convocazione periodica di assemblee che, anche nei più piccoli centri, eleggevano a suffragio universale i loro rappresentanti i quali, riuniti in ''consulte'', a propria volta procedevano al rinnovo delle cariche amministrative e politiche ai vari livelli, sino al Consiglio di Stato che affiancava il ''Generale della Nazione''. Le elezioni erano a suffragio universale e il voto era un diritto per tutti i residenti leali allo Stato, a prescindere dalla nazionalità d'origine, dal sesso (potevano votare anche le donne) e dal censo o dalla religione (potevano votare tutti i maggiori di 25 anni).
 
In tal modo venne a realizzarsi l'aspirazione della classe dei notabili ad accedere alle alte funzioni nel governo, nell'amministrazione e nella giustizia, che erano state loro sempre negate dalla Repubblica genovese che, non accogliendo mai i còrsi nelle funzioni pubbliche, aveva ad un tempo delineato il proprio dominio sull'isola come coloniale e, in ultima analisi, provocato la sollevazione della Corsica contro la propria autorità.
 
L'amministrazione locale dell'isola, guidata dal ''Generale'' e dal Consiglio di Stato - che s'insediarono nel "Palazzo Nazionale" di Corte - presiedeva al controllo delle province attraverso magistrati che ricalcavano le funzioni dei commissari e dei luogotenenti genovesi (che rispondevano al governatore dell'isola).
 
Sempre a Corte, Paoli fondò nel [[1765]] un'Università di lingua italiana (che era la lingua ufficiale dello Stato) destinata a formare i quadri del governo e la sua classe dirigente, mentre venne avviata la pubblicazione di un vero e proprio bollettino ufficiale dello Stato, i "Ragguagli dell'Isola di Corsica".
 
Accanto alla conservazione di parte della Costituzione degli statuti della Repubblica ligure, anche a livello locale vi fu una sostanziale conferma di buona parte degli istituti esistenti, inclusi i ''podestà'', i ''padri del comune'', i ''capitani della milizia'', i ''pacieri'' e i ''guardiani'' (campestri).
 
La situazione di guerra condusse a considerare sottoposti a chiamata militare tutti gli uomini validi e all'organizzazione capillare di marce di addestramento. Tali preparativi militari divennero vitali quando, dal [[1764]], i francesi tornarono in forze a presidiare Bastia, Ajaccio, Calvi e San Fiorenzo.
 
== La conquista francese ==
{{vedi anche|Conquista francese della Corsica}}
[[File:Ponte-novu1.jpg|thumb|Rovine del ponte genovese sul Golo noto come [[Ponte Nuovo (Castello di Rostino)|Ponte Nuovo]], teatro della [[battaglia di Ponte Nuovo|battaglia]] vinta dall'armata di [[Luigi XV di Francia]], che segnò la fine dell'indipendenza dello Stato còrso di Pasquale Paoli, il 9 maggio [[1769]]. Il ponte fu quasi totalmente distrutto dall'esercito tedesco in ritirata verso Bastia nel settembre 1943, al fine di rallentare l'avanzata delle truppe italiane, coadiuvate dalla Resistenza locale e da truppe coloniali francesi.]]
Con l'avvento del [[Étienne François de Choiseul|duca di Choiseul]] come ministro di [[Luigi XV di Francia|Luigi XV]], l'antico disegno di [[Parigi]] di mettere le mani sulla [[Corsica]] (già suggerito nella trattatistica politico-diplomatica francese del [[XVII secolo]]) prese un'accelerazione.
 
La [[Regno di Francia|Francia]] aveva subìto una dura sconfitta nella [[guerra dei sette anni]], e aveva perso tutte le proprie colonie d'America, che, con il [[trattato di Parigi (1763)|trattato di Parigi del 1763]], erano passate sotto il controllo inglese. Diveniva pertanto vitale difendere gli interessi francesi nel [[Mediterraneo]], dove la potenza francese era minacciata dalla [[Spagna]] (che esercitava anche importanti influenze sul [[Regno delle Due Sicilie]]), dalla crescente presenza britannica - il cui interesse per estendere il proprio protettorato sulla Corsica non era ignoto a Parigi - e dall'estendersi del dominio [[Impero austro-ungarico|austriaco]] sulla Penisola italiana, con l'acquisizione alla sua sfera d'influenza della Toscana (ove s'era estinta la casata dei [[de' Medici|Medici]] cui era subentrata la dinastia [[Asburgo-Lorena]] mentre la [[Lorena (regione francese)|Lorena]] era stata in cambio riunita al Regno di Francia).
 
Individuata la Corsica come bene strategico di fondamentale importanza per il perseguimento della politica mediterranea francese, [[Étienne François de Choiseul|Choiseul]] perfezionò e portò a compimento il disegno - già delineato - per impossessarsene alle spese della Repubblica ligure ed anzi atteggiandosi ad alleato di Genova. La prima fase dell'operazione consistette nell'indurre Genova alla firma del [[trattato di Compiègne (1764)|trattato di Compiègne]] nel [[1764]], che stabiliva l'invio di truppe francesi in Corsica a sostenere la riconquista dell'isola da parte dell'antica Repubblica marinara, che si assumeva l'onere di finanziare l'intera operazione.
 
Una volta che l'armata francese passò a presidiare le città costiere dell'isola, Choiseul, invece di attaccare risolutamente Paoli, prese a parlamentare con il Generale dei Corsi, investendolo di minacce e blandizie attraverso il suo inviato Matteo Buttafuoco, un fuoriuscito còrso che serviva come ufficiale di Luigi XV. Paoli tenne duro e respinse anche le lusinghe che paventavano un suo possibile ruolo preminente in una futura amministrazione francese dell'isola.
 
Nel frattempo le truppe del Re di Francia, lungi dall'aprire le ostilità contro i còrsi come promesso, restavano al sicuro nelle fortezze genovesi, incrementando così a dismisura il conto che Genova doveva pagare per la loro presenza secondo il trattato di Compiègne, sino a divenire forzosamente insolvente per mancanza delle risorse necessarie, come previsto da Choiseul.
 
L'''impasse'' si prolungò così sino al 15 maggio [[1768]], quando Choiseul coronò il suo piano, costringendo Genova a firmare il [[trattato di Versailles (1768)|trattato di Versailles]], fatto passare - in modo sostanzialmente falso e tendenzioso - per «vendita della Corsica alla Francia» da una storiografia sin troppo ossequiosa e piegata alle esigenze propagandistiche della Francia e dei Savoia, prima nemici giurati di Genova, e poi principi d'Italia sotto il protettorato francese.
 
In realtà la Corsica fu ''estorta'' a Genova quale garanzia per i debiti non onorati, e in un certo senso, artificiosamente creati.
 
Proprio come se si trattasse di una vendita (al chiaro scopo di esacerbare il disprezzo còrso verso i Genovesi) il trattato venne reso noto a Paoli contestualmente alla richiesta di fare atto di sottomissione al re di Francia. La risposta del Generale fu la mobilitazione generale per resistere, armi alla mano, alle pretese di Parigi.
 
Mentre i genovesi lasciavano per sempre l'isola, il governo francese replicò avviando speditamente una campagna militare. In un primo tempo le truppe del marchese di Chauvelin furono duramente sconfitte a Borgo nell'ottobre [[1768]]. Paoli, sperando così di guadagnarsi il rispetto della Francia, anziché massacrarli, lasciò liberi i numerosi prigionieri francesi catturati. Alle sue vane speranze di una composizione favorevole del conflitto, rispose l'arrivo in Corsica, agli ordini del [[Noël Jourda|marchese de Vaux]], di forze francesi ancora più ingenti e dotate di una potente artiglieria.
 
La disperata ricerca d'aiuti internazionali da parte di Paoli non diede risultati di rilievo e così la campagna militare francese entrò nel vivo all'inizio di maggio del [[1769]], puntando direttamente verso il quartier generale còrso a [[Murato]]. Per sbarrare la strada all'attacco, Paoli mise in campo tutte le forze a disposizione, compreso un contingente di fanteria mercenaria tedesca.
 
La battaglia decisiva si svolse il 9 maggio [[1769]] a [[battaglia di Ponte Nuovo|Ponte Nuovo]] sul Golo, ove le milizie còrse cedettero con gravi perdite alla potenza della superiore artiglieria delle forze francesi, che erano appoggiate da contingenti di còrsi assoldati dai notabili rivali di Paoli, prontamente passati al fianco dei futuri padroni dell'isola. Malgrado la sconfitta, i còrsi, per il coraggio dimostrato in battaglia, si guadagnarono l'ammirazione europea, specialmente presso gli intellettuali illuminati che vedevano in loro la prima sfida aperta all'''Ancien Régime''. [[Voltaire]] scriverà della battaglia sottolineando il valore dei còrsi che difesero il ponte, additandoli come esempio di eroica rivendicazione della libertà, mentre [[James Boswell]], nel suo ''Account of Corsica'' ([[1768]]), già aveva paragonato Paoli ad un novello [[Licurgo]].
 
Paoli sfuggì alla cattura e, imbarcatosi per [[Livorno]], raggiunse [[Londra]] dove fu accolto in un esilio onorato (fu ricevuto personalmente dal re [[Giorgio III del Regno Unito|Giorgio III]] e dotato di una pensione), mentre in Corsica restava il suo segretario [[Carlo Maria Buonaparte]], padre di [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]], a tentare - assieme ad altri notabili - un'estrema resistenza. La schiacciante e sanguinosa vittoria militare delle armi francesi, tuttavia, presto fece pendere decisamente la bilancia politica dalla parte della Francia e lo stesso Buonaparte finì per aderire al partito francese.
 
=== Dall'''Ancien Régime'' alla rivoluzione francese ===
[[File:Corse-eglise4.jpg|thumb|left|Chiesa di San Martinu di Patrimonio, accanto ad [[Oletta]].]]
Alla crescita del partito francese diede un contributo notevole l'intelligenza del [[Charles Louis de Marbeuf|conte di Marbeuf]], già distintosi alla guida delle truppe di [[Luigi XV di Francia|Luigi XV]] che occupavano l'isola in forze. Mentre veniva, ancora una volta, mantenuta in vigore buona parte degli ''Statuti'' genovesi, venne formandosi per mezzo di sentenze ed editti reali un ''corpus'' legislativo denominato ''Code corse''. Ogni vestigia diretta dello stato paolino fu cancellata, a cominciare dalla chiusura dell'Università italiana di Corte.
 
Esportando sull'isola il modello assolutista e centralista francese, le antiche assemblee democratiche locali vennero abolite (ingraziandosi così i notabili locali, presto dotati di titoli nobiliari di secondo rango in cambio della loro adesione al nuovo regime), così come furono eliminati i privilegi goduti dalle città costiere, rovinandole totalmente dal punto di vista commerciale.
 
Il patrimonio demaniale fu accuratamente censito e fu preparato un ''Plan terrier'' teso a mettere a profitto l'isola a favore del re, che fu anche l'occasione per il rilancio degli antichi piani del Banco di San Giorgio per sfruttare le piane costiere (che divennero poi preda dei notabili locali pro-francesi) mentre il sistema fiscale ripropose, razionalizzate, le imposte genovesi.
 
L'arrivo di giudici ed amministratori francesi in massa completò il quadro, facendo accorrere i notabili locali a sottomettersi al re di Francia pur di non vedersi esautorati nei ruoli amministrativi. I risultati del ''Plan terrier'' e dalla politica francese furono scarsi sul piano produttivo e disastrosi dal punto di vista politico, riducendo alla fame le comunità locali espropriate di ogni diritto dall'avidità dei nuovi proprietari. L'unica operazione che poté dirsi riuscita fu l'installazione pacifica a [[Cargese]], dei coloni greci che erano stati scacciati da Paomia e che s'erano rifugiati in Ajaccio durante tutto il corso della guerra.
 
Lungi dall'essere estirpata, la resistenza paolista continuava nei santuari montani, ed era accresciuta dalla disperazione dei contadini espropriati dalla voracità dei notabili passati alla Francia.
 
Particolarmente sanguinosa fu la repressione dell'insorgenza del [[Niolo (Regione)|Niolo]], che s'era sollevato sotto la guida di alcuni còrsi: nel [[1774]] il maresciallo di campo Narbonne si rese protagonista della distruzione e l'incendio di interi raccolti e villaggi, oltre all'esecuzione di innumerevoli fucilazioni ed impiccagioni, seguite da vere e proprie deportazioni di massa, con lo sterminio differito dei combattenti catturati, mandati a morire di stenti nelle oscure prigioni di Tolone.
 
=== La Rivoluzione francese e il ritorno di Pasquale Paoli ===
[[File:Ingordigia dei francesi, stampa del 1799.JPG|thumb|''Ingordigia dei francesi'', incisione del 1799]]
Tutto ciò contribuì a tenere ben viva, anche tra le classi dirigenti, seppure quasi mai espressa apertamente, la nostalgia per il regime di Paoli ed una particolare avversione verso quello instaurato dal re di Francia.
 
Non stupisce pertanto che la Corsica, risentendo della crisi dell'''Ancien Régime'' più di altre zone di Francia, fosse tra le regioni che aderirono alla [[Rivoluzione francese]] e presentarono i propri ''[[cahiers de doléances]]'' nel [[1789]], tanto più che gran parte della sua classe dirigente, oltre ad aver dato vita al regime democratico paolino, aveva assorbito i principi illuministici allora molto diffusi presso le università italiane, dove da sempre si formavano i notabili còrsi.
 
L'entusiasmo suscitato dal crollo del vecchio regime assolutista (con il quale era identificata l'occupazione francese) e le grandi speranze di libertà accese dalla Rivoluzione, fecero passare in secondo piano le velleità nazionali dei còrsi, come del resto avverrà più tardi anche in Italia e altrove all'arrivo delle armate francesi che ''esportavano la Rivoluzione''.
 
Tale osservazione serve a capire meglio la richiesta - promossa dal delegato còrso [[Antoine Christophe Saliceti|Saliceti]] all'[[Assemblée nationale (Francia)|Assemblea nazionale di Francia]] - di sottrarre l'isola al patrimonio reale e di unirla all'[[Primo Impero francese|Impero francese]], godendo così della sua nuova costituzione. L'istanza di Saliceti fu approvata il 30 novembre [[1789]], includendo un'amnistia per tutti i paolisti, compreso [[Pasquale Paoli]].
 
Nel frattempo sull'isola scoppiarono gravi disordini e le truppe fedeli al re furono travolte. Alla luce di tali eventi si comprende meglio il tentativo - poco noto, ma significavo - che il re [[Luigi XVI di Francia]] fece, all'inizio del [[1790]], di liberarsi del turbolento possedimento, cercando di restituire la Corsica a Genova.
 
Nella primavera del [[1790]] Pasquale Paoli giunse a [[Parigi]], accolto con estremo calore da quanti, incluso [[Robespierre]], ne avevano ammirato le gesta da oppositori dell'[[Assolutismo politico|assolutismo]]. Ricevuto da [[Gilbert du Motier de La Fayette|La Fayette]] e dal re, Paoli proseguì per la Corsica, ove fu accolto trionfalmente - malgrado 21 anni d'assenza - ed eletto comandante della Guardia nazionale e presidente del Direttorio del Dipartimento francese nel quale era inquadrata l'isola. Solo due anni prima, proprio da Parigi, [[Vittorio Alfieri]] aveva dedicato a Pasquale Paoli, «Propugnator magnanimo de' Corsi», la sua tragedia ''Timoleone''.
 
Gli anni che seguirono videro crescere le tensioni in Corsica, dove ai rivoluzionari s'opponevano i controrivoluzionari, creando così uno stato di tensione e polemica permanente, senza tuttavia sfociare in scontri sanguinosi. In questo periodo si collocano alcune lettere del giovane [[Napoleone I]], che gli saranno più tardi cagione d'imbarazzo per avervi chiaramente espresso - allora - il suo sentirsi còrso e la sua ammirazione per Paoli, accostata al disprezzo per quanti s'erano ''venduti'' alla Francia anziché, come l'eroe còrso, scegliere la via dell'esilio.
 
Fu in questo clima che, mentre in Francia cresceva lo scontro tra [[girondini]] e [[montagnardi]], Pasquale Paoli, il quale aveva accettato la prospettiva girondina di un federalismo repubblicano come quadro almeno temporaneamente accettabile per la sua Corsica, iniziò a prendere partito per i primi. La vittoria giacobina e l'avvio del ''terrore'' nel [[1793]], con il ghigliottinamento di Luigi XVI segnarono la svolta. Dopo il misero fallimento di una spedizione guidata dal giovane [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] tesa a conquistare la Sardegna (respinta dall'eroe [[Gallura|gallurese]] [[Domenico Millelire]]), sulla quale Paoli aveva espresso perplessità, si venne a coagulare un gruppo di notabili (in prima fila Saliceti e i Buonaparte) che proponeva l'estensione del regime giacobino sull'isola e che desiderava liberarsi dell'ormai anziano ''Babbu'' (padre) della nazione còrsa. Si giunse così, nell'aprile [[1793]] all'emissione a Parigi di un decreto di arresto contro Paoli per ''intelligenza con il nemico''.
 
== Il regno anglo-còrso ==
[[File:1794 Jeffreys Map of Corsica, France - Geographicus - Corsica-jeffreys-1794.jpg|left|thumb|Mappa inglese della Corsica del 1794]]
{{vedi anche|Regno di Corsica}}
Paoli, temendo il peggio, raggruppò attorno a sé i propri partigiani e contrattaccò i giacobini alla Consulta tenuta in maggio a Corte, rifiutando di sottomettersi alla [[Convenzione nazionale (Francia)|Convenzione nazionale]]. Dichiarato fuorilegge in luglio, Paoli rispose statuendo la secessione della Corsica dalla Francia e chiedendo soccorso agli inglesi, dopo che i suoi partigiani avevano già messo in fuga i giacobini - espatriati in gran fretta - e dato fuoco alla casa natale di Napoleone ad [[Ajaccio]] (la casa-museo mostrata ancor oggi ai turisti è sostanzialmente un falso).
 
Gli inglesi, che erano in guerra contro i rivoluzionari francesi dal febbraio [[1793]], non mancarono di cogliere l'occasione di strappare la Corsica alla Francia e così perfezionare il blocco navale cui era sottoposto il regime giacobino. Attaccate da [[Horatio Nelson|Nelson]], le fortezze costiere dove si erano rifugiate le truppe francesi sull'isola caddero una dopo l'altra.
 
Le grandi speranze suscitate in Corsica da quest'intervento, tuttavia, dovevano essere di breve durata e destinate a causare un'amara e definitiva delusione in Pasquale Paoli.
 
Scacciati i francesi dall'isola, si procedette alla redazione di una nuova costituzione di Corsica (la seconda dopo quella del [[1755]]), che fu approvata nel giugno [[1794]] da una consulta tenutasi a Corte, tornata capitale dell'isola dal [[1791]], dopo che Paoli aveva represso una rivolta controrivoluzionaria scoppiata a [[Bastia]]. Più complessa della precedente, la nuova costituzione prefigurava la Corsica come un protettorato personale del re d'Inghilterra, ma dotato di larga autonomia, realizzando un'originale struttura istituzionale sintesi di parlamentarismo all'inglese, riformismo illuminato e indipendentismo.
 
In realtà quanto disposto dalla carta costituzionale restò largamente lettera morta, anche considerando il fatto che l'Inghilterra, in guerra contro la Francia, non aveva certo intenzione di limitarsi ad esercitare un protettorato poco più che simbolico (come la costituzione prometteva) su un'isola tanto importante per la realizzazione delle proprie mire imperiali.
 
Paoli, che aveva sperato di ricoprire la carica di viceré, la vide invece assegnata all'inglese [[Gilbert Elliot-Murray-Kynynmound|Sir Elliot]] (che dal [[1807]] al [[1813]] sarà governatore generale dell'[[India]]), e vide sfumare così tanto le ambizioni personali, quanto quelle di avere, finalmente, realizzato il suo sogno di una Corsica libera ed indipendente.
 
Così la costituzione che diede vita al regno anglo-corso (ancora una volta scritta in italiano, che restava la lingua ufficiale dell'isola), pur importante dal punto di vista legislativo, rimase in buona parte inattuata, dando origine a crescenti malumori.
 
Paoli, sostenuto dai molti notabili che si sentivano messi da parte dal nuovo regime, iniziò apertamente a fare la fronda di Sir Elliot sino a che [[Giorgio III del Regno Unito|Giorgio III]] in persona gli ordinò di recarsi a [[Londra]]. Giuntovi nell'ottobre [[1795]], l'eroe còrso si trovò esiliato definitivamente, seppure dotato di mezzi adeguati e confortato da appoggi e frequentazioni atte a fargli vivere una vecchiaia decente ed agiata. Dopo aver lasciato una cospicua somma destinata alla riapertura dell'Università italiana a Corte, Paoli morì a Londra il 5 febbraio [[1807]] e fu sepolto, con onori assolutamente eccezionali per uno straniero, nell'[[Abbazia di Westminster]].
 
Nell'ottobre [[1796]] gli inglesi evacuarono la Corsica, che fu rioccupata quasi senza colpo ferire dai francesi dell'Armata d'Italia, guidata da [[Napoleone I|Napoleone]], che provvide subito a dividerla in due dipartimenti (Golo e Liamone) anche allo scopo di indebolirne l'unità e quindi scongiurare nuove sollevazioni.
 
== Nella Francia imperiale ==
«''Il faut que la Corse soit une bonne fois française''» dichiarò il [[Napoleone Bonaparte|futuro imperatore]] e, con l'arrivo del potere napoleonico, la Corsica cominciò a subire la campagna di francesizzazione che l'accompagnerà sino ai giorni nostri.
L'isola viene rioccupata interamente nel [[1797]], mentre in Italia Napoleone liquida sia la [[Repubblica di Genova]] che quella di [[Repubblica di Venezia|Venezia]].
 
Ma il ritorno in Corsica della potenza francese vittoriosa in Europa non riporta né la pace, né la prosperità sull'isola. Le ribellioni e le rivolte si susseguono e quelli che un tempo erano definiti i ''patrioti'' di Paoli, divenuti ''banditi'' sotto [[Luigi XV di Francia|Luigi XV]] e [[Luigi XVI di Francia|Luigi XVI]], sono ora definiti ''controrivoluzionari'' dal Direttorio.
 
Nel [[1798]] scoppia la rivolta detta ''della crocetta'', per via della piccola croce bianca che decora i berretti degli insorti. La ribellione, affine per certi versi alla quasi contemporanea ''crociata sanfedista'' del cardinale [[Fabrizio Ruffo]] in Italia meridionale, ha origine dagli eccessi del governo giacobino contro il clero (che in Corsica aveva sempre sostenuto le istanze nazionali). Guidata dal vecchio [[Agostino Giafferi]] ([[1718]]-[[1798]]), l'insorgenza conquista in breve tempo gran parte del Nord della Corsica. La reazione giacobina è spietata e la rivolta viene affogata nel sangue. Giafferi (figlio di Luigi esiliato con [[Giacinto Paoli]]), ottantenne, viene prelevato nella sua casa e fucilato.
 
Simile destino ha una spedizione di còrsi fuoriusciti, che sbarca nel [[Fiumorbo]] nel [[1800]] provenendo dalla [[Toscana]]: le promesse di sostegno fatte loro dal console Russo si rivelano chimere ed anche questo tentativo, duramente represso, fallisce dopo la resistenza contrappostagli da una Sartena fieramente repubblicana.
 
Il perdurare dei disordini e il pugno di ferro applicato dal governatore militare dell'isola, [[Miot de Melito]], rendono endemiche, ovunque nell'isola, miseria e povertà. Miot, di fronte ad una Corsica ridotta allo stremo, è costretto ad alleviare la pressione fiscale a partire dal [[1801]]. Altri provvedimenti in questo senso sono presi continuativamente sino al [[1811]] quando, per [[decreto imperiale]], essi sono confermati e completati dalla riunificazione dei due dipartimenti, con spostamento del capoluogo ad Ajaccio.
 
Ai vantaggi fiscali - che non avranno alcun effetto significativo, perdurante lo [[stato di guerra]] sull'isola - si affianca però la sospensione dell'applicazione della [[costituzione francese]], lasciando l'isola sotto un brutale regime militare durante tutto il consolato e l'impero. Il generale [[Morand]], cui sono conferiti [[pieni poteri]] dal [[1803]], con il pretesto della lotta al ''[[banditismo]]'', utilizza i tribunali militari come strumento di dura rappresaglia contro tutta la popolazione. Incoraggiato da Napoleone, il generale si abbandona ad eccessi di inusitata ferocia e, nel tentare di implementare la [[coscrizione di massa]], si scontra contro una nuova rivolta nel Fiumorbo e nelle montagne dell'Alta Rocca, che divengono un rifugio di renitenti ed un focolaio di resistenza permanente e ostinata che si prolungherà anche dopo la Restaurazione. La ferocia della sua repressione diventa leggendaria e sarà ricordata in Corsica come ''giustizia morandiana'' quale sinonimo di cieca violenza.
 
Sul piano economico non v'è nulla di significativo, se non qualche tentativo di miglioramento delle razze ovine, il riadattamento ad uso militare della [[strada Bastia-Ajaccio]] e lo sfruttamento forestale per le costruzioni navali della [[marina da guerra francese]].
 
Il bilancio napoleonico in Corsica è dunque a dir poco fallimentare e anche pochi cenni sulla storia di quegli anni rendono chiaro quanto sia artificioso e largamente ad uso dei turisti il culto napoleonico ancor oggi celebrato ad Ajaccio, l'unica città dell'isola, per altro, che abbia ricevuto qualche attenzione, seppur largamente vacua e distratta, dal suo illustre figlio.
 
Alla caduta di Napoleone gli ajaccini gettano in mare il busto del loro concittadino ed inalberano i vessilli borbonici, mentre i bastiesi, guidati dal poeta còrso [[Salvatore Viale]], pubblicano un manifesto (''[[Proclamazione di Bastia]]'') ed incitano l'isola alla rivolta e all'indipendenza, instaurando un governo provvisorio che reclama la sovranità còrsa sull'isola. Ma il [[Congresso di Vienna]] non si discute, e in Corsica torna il potere francese. L'opportunismo prevale ancora una volta: molti notabili, compresi quelli che avevano tratto qualche beneficio dal regime napoleonico, fanno atto d'obbedienza alla monarchia francese appena restaurata, salvo plaudire in massa al Napoleone dei ''cento giorni''.
 
=== Verso il secondo impero ===
Chiusa definitivamente, la parentesi napoleonica porta i suoi strascichi in Corsica, essendo divenuta l'isola uno dei luoghi di raccolta dei superstiti seguaci dell'imperatore. Di fronte alla reazione monarchica, i partigiani còrsi di Napoleone fanno causa comune con gli insorti, mai domi, delle montagne centro-meridionali e, tra il [[1815]] e il [[1816]], imperversa nell'isola la cosiddetta ''guerra del Fiumorbo'': per mesi poco più di un migliaio di uomini e qualche centinaio di ''guerrigliere'' còrse tengono testa - ed alla fine quasi sconfiggono - le superiori forze (almeno 8&nbsp;000 uomini) del marchese de Rivière.
 
Scampato per miracolo alla cattura in battaglia, il marchese viene sostituito dal conte Willot, il quale offre una resa onorevole al comandante degli insorti, il ''[[Gioacchino Murat|murattiano]]'' Poli che, grazie all'amnistia concordata, nel maggio [[1816]], abbandona la Corsica con i suoi seguaci.
Quasi sconfitti militarmente, i Borboni ottengono così una vittoria politica, e allontanati o imprigionati i bonapartisti, affidano a monarchici di provata fede il governo dell'isola.
 
Passata l'ultima fiammata del Fiumorbo (ma una parte degli insorti si darà alla macchia e sarà operativa sin verso il [[1830]]), la gente di Corsica, con alle spalle un secolo intero ([[1729]]-[[1816]]) di guerre quasi ininterrotte, o si rassegna al proprio destino ripiegata su sé stessa e sulla propria identità, accontentandosi della protezione delle proprie montagne o, se cerca fortuna, lo fa - quasi ovviamente - per lo più all'interno dello Stato francese e in quel contesto, facendo ogni sforzo per far dimenticare le proprie origini.
 
La gente comune continua a vivere di un'economia di sussistenza e l'incremento demografico registrato dal 1800 al 1890 (da 164&nbsp;000 a 290&nbsp;000 abitanti) - spesso sopravvalutato dalla storiografia francese, ansiosa di esibire buoni risultati - è comunque modesto (specie in termini assoluti) e ampiamente spiegabile con la fine di un lunghissimo periodo di continue guerre e devastazioni. A testimonianza della fatica della gente còrsa per ''darsi'' di che vivere, sono oggi visibili nell'isola numerosi terrazzamenti abbandonati, creati con grande fatica non per la coltura di viti ed olivi, ma di cereali panificabili.
 
I successivi piani di sviluppo agricolo non fecero che ricalcare nella sostanza i passi di quelli ideati ancora nel [[XVII secolo]] dal Banco di San Giorgio, portando con sé - quasi inevitabilmente - gli stessi scarsi risultati e generando le stesse tensioni sociali che li avevano contraddistinti due secoli prima, finendo così per generare contrasti che scoppiarono puntualmente in occasione delle rivoluzioni del [[1848]].
 
A rendere più fosche le tinte del periodo non mancarono le carestie ([[1811]], [[1816]], [[1823]], [[1834]]) e le epidemie di [[colera]] ([[1834]], [[1855]]), senza contare le [[malaria|febbri malariche]], endemiche nelle pianure umide litoranee, e il perdurare della ''vendetta'' e del ''banditismo'' che, lungi dal costituire solo un fenomeno di pura criminalità (cui inevitabilmente s'intreccia soprattutto quale conseguenza delle faide), si fa consapevole oppositore del continuo sforzo di acculturazione francese
- pregno di disprezzo e razzismo verso i còrsi - e portatore di una rivendicazione collettiva di identità e di rigetto per il modello francese, visto come estraneo e coloniale.
 
La risposta dello Stato, significativamente, ricalca quella genovese: fallite le politiche repressive si ricorrerà, nel secondo impero, alla soppressione generalizzata del porto d'armi, mentre con il pretesto di ''aiutare'' l'agricoltura s'impiantano colonie penali agricole nell'isola, ridotta ad una piccola [[Caienna]].
 
D'altra parte gli stessi francesi sentono la Corsica come estranea ([[François-René de Chateaubriand|Chateaubriand]] dà per scontato questo dato nelle sue polemiche antinapoleoniche e si riferisce in modo sprezzante ai suoi abitanti) e, almeno sino al compiersi del [[Risorgimento]], anche i còrsi - che continuano a frequentare le Università italiane - si sentono parte della comunità ''italiana'' intesa in senso culturale.
 
Il francese non è impiegato che quasi esclusivamente negli atti amministrativi (neanche in tutti: sino a metà Ottocento è normale trovare atti di nascita, matrimonio e morte esclusivamente redatti in italiano), e l'italiano continua ad essere schiacciante maggioranza nelle pubblicazioni locali e persino negli atti notarili, mentre quello che più tardi sorgerà come lingua autonoma, ''[[Lingua corsa|u corsu]]'', altro non è che la lingua vernacolare, sentita - come avviene dovunque nell'Italia dei mille dialetti - come livello ''familiare'' di quella italiana. Dei notabili che vezzosamente ostentano l'impiego dell'italiano toscaneggiante anche nelle conversazioni informali, si dice significativamente che ''parlanu in crusca'', con chiaro riferimento alla celebre [[Accademia della Crusca|Accademia]] fiorentina, custode della lingua italiana.
 
Nel [[1821]] un'ispezione condotta dall'[[Accademia di Francia|accademico di Francia]] [[Antoine-Félix Mourre]], stimava che su circa 170&nbsp;000 abitanti solo circa 10&nbsp;000 comprendessero il francese, e solo un migliaio fossero in grado di scriverlo. Nel [[1823]] un prefetto francese in ispezione sull'isola si sente rispondere «''noi siamo italiani''» dai responsabili del [[Cantone di Belgodere]] che aveva appena esortato a propagare nella loro regione la lingua ''nazionale'', il francese.
 
Ad ulteriore conferma di tale situazione basti pensare che nel ''Trattato'' stretto il 18 febbraio [[1831]] a Parigi tra il generale [[Gilbert du Motier de La Fayette|La Fayette]] e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi nell'ambito delle agitazioni correlate alla [[Monarchia di luglio]], su proposta del francese, si stabilisce lo ''scambio'' tra Corsica e [[Savoia (regione storica)|Savoia]].
Il 28 luglio [[1835]] il còrso [[Giuseppe Fieschi]] attenta alla vita di [[Luigi Filippo di Francia]] e viene ghigliottinato.
 
L'uso della lingua italiana, che continuava ad essere impiegato in Corsica anche negli atti pubblici (per un decreto del 10 marzo [[1805]] che derogava per l'isola l'uso obbligatorio del francese), viene '''totalmente vietato''' il 4 agosto [[1859]], a seguito di una sentenza della Corte di cassazione francese, che interviene, con singolare tempestività, non appena [[Napoleone III]] rientra a Parigi reduce dalla [[seconda guerra di indipendenza italiana|campagna d'Italia]] che ha dato una brusca svolta ai progetti d'unità italiana: difficile non pensare ad un provvedimento politicamente motivato, teso a prevenire una possibile deriva della Corsica verso un costituendo Stato italiano, mentre [[Savoia (regione storica)|Savoia]] e [[Nizza]] venivano cedute alla [[Francia]].
 
Malgrado qualche riferimento ad un coinvolgimento dell'isola nell'unità italiana da parte, tra gli altri, di [[Garibaldi]], [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] e [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], e la partecipazione di alcuni còrsi a diverse battaglie del ''[[1848|Quarantotto]]'' italiano, la Corsica non è mai stata davvero coinvolta dal processo unitario italiano. Del resto, lungo la storia, il costante ricorrere dei còrsi a ''chicchessia'' pur di scacciare il governo straniero che li governava, testimonia della loro atavica volontà di non avere, in ultima analisi, alcun dominatore e del loro genuino - seppure mai davvero soddisfatto - desiderio d'indipendenza.
 
Restano pertanto come casi tutto sommato isolati gli episodi nei quali dei còrsi combattono come [[Garibaldini]] o la parabola di Leonetto Cipriani, di [[Centuri (Francia)|Centuri]] (Capo còrso) che, protagonista alla battaglia di [[Curtatone]] ([[1848]]) e poi a quella di [[Battaglia di Novara (1849)|Novara]], più tardi sarà governatore delle [[Stato pontificio|Legazioni pontificie]] ([[1860]]) e [[senatore]] del [[Regno d'Italia]]. Parimenti, la presenza di italiani esuli in Corsica durante la prima fase del Risorgimento, più che a stimolare un eventuale sentimento pro-italiano in senso unitario-politico - pressoché inesistente - finisce per contribuire alla diffusione di idee liberali presso la borghesia còrsa. In questo contesto, attorno al [[1848]] nasce in Corsica la società segreta dei ''Pinnuti'', sorta di [[Carboneria]] isolana (in [[Lingua corsa|Còrso]] i pipistrelli si dicono ''topi pinnuti'').
 
Più significativo è, naturalmente, l'impegno dei notabili nel mondo politico parigino, anche come esito della pressione - che si fa sempre più crescente - affinché si integrino nello Stato francese. Sotto la Restaurazione borbonica, in una Corsica ormai poverissima si è costretti a derogare alle soglie d'accesso al voto basate sul censo, abbassandole quanto basta per coinvolgere i ''maggiorenti'' dell'isola nella politica nazionale. Si accentua così la tendenza - già presente da secoli - delle famiglie più potenti a disporre del potere, dando nuova vita al fenomeno che ancor oggi vede i politici autonomisti ed indipendentisti indicare in Corsica come ''clanisti'' i politici locali integrati nei partiti nazionali francesi.
 
Tra le famiglie che incarnano questo processo, le prime sono senz'altro quelle dei Pozzo di Borgo e dei Sebastiani, che iniziano la loro attività all'ombra del nuovo potere centrale già durante il Primo Impero, e prima ancora di proclamarsi fedeli alla restaurazione monarchica. Seguiranno gli Abbatucci sotto il Secondo Impero e gli Arène nella Terza Repubblica.
 
Se i còrsi che cercano fortuna in Francia cercano di liberarsi della propria ''corsitudine'' così da ''sembrare'' francesi, il continente scopre quest'esotica, nuova appendice del proprio territorio grazie soprattutto ai viaggi alla scoperta dell'isola di alcuni intellettuali ed ai romanzi di successo che la Corsica ispira loro. Su tutti, [[Honoré de Balzac]] che nel [[1830]] pubblica ''La Vendetta'' (i cui protagonisti còrsi parlano in italiano) e [[Prosper Mérimée]] con ''Colomba'' (uscito nel [[1840]]), cui seguiranno [[Alexandre Dumas (padre)|Alexandre Dumas]] con ''I Fratelli Corsi'', [[Gustave Flaubert]] e più tardi altri autori francesi di rilievo.
 
=== L'era di Napoleone III ===
Carlo Luigi Napoleone Bonaparte ([[1808]]-[[1873]]), figlio del fratello di [[Napoleone Bonaparte|Napoleone I]], [[Luigi Bonaparte]], segna la storia dell'integrazione della Corsica nella Francia.
 
L'ingresso di Luigi Napoleone sulla scena politica fa da catalizzatore ad un fenomeno avviato da qualche tempo e che porta al sorprendente esplodere del fenomeno ''bonapartista'' in una Corsica che, a dir poco, non aveva amato il nonno del futuro [[Napoleone III]].
 
Le ragioni di questa evoluzione sono rintracciabili nell'antico meccanismo che tante volte nei secoli precedenti aveva portato i còrsi a riporre le loro speranze in chiunque sembrasse loro che si potesse opporre al potere cui erano soggetti, guidati dai notabili in grado di sfruttare la generale apoliticità dei contadini.
 
Così l'ex imperatore, esiliato anche da morto, riesce a diventare un simbolo di opposizione alla monarchia francese, oltre a poter rappresentare l'ennesimo caso di un còrso che ha finito i suoi giorni in un esilio condiviso dai superstiti della sua famiglia. Questo simbolo, come una suggestione ipnotica, sarà sfruttato pienamente dal nipote, sulla scia dell'iniziativa, avviata già nel [[1834]] ad Ajaccio dall'avvocato Costa, di lanciare una petizione per l'abrogazione dell'esilio ai Bonaparte, che coglie il suo pieno successo nel [[1848]] dopo il trionfale rientro a Parigi delle ceneri di Napoleone ([[1840]]).
 
Luigi Napoleone si fa eleggere ad Ajaccio (senza trascurare di presentarsi in altri collegi continentali) ottenendo un successo straordinario: il 10 dicembre [[1848]], alle elezioni presidenziali, fa suoi circa 40&nbsp;000 voti su 47&nbsp;600 espressi (85%) e la percentuale si trasforma in un trionfo senza pari al plebiscito del [[1852]], quando ottiene 56&nbsp;500 ''sì'' su 56&nbsp;600 votanti.
 
Quel che le ragioni sopra descritte non riescono a spiegare diventa immediatamente comprensibile constatando la promozione alle più alte funzioni dello Stato dei capi dei ''clan'' còrsi che avevano sostenuto il nuovo imperatore di Francia: grazie a Luigi Napoleone, gli Abbatucci, i Casabianca, i Pietri, fanno carriere spettacolari - se non scandalose - in alcuni settori della magistratura e dell'amministrazione.
 
La fedeltà alla dinastia Bonaparte viene incentivata da tre visite trionfali di Napoleone III in Corsica ([[1860]], [[1865]] e [[1869]]), durante le quali viene avviato il culto dinastico attorno alla ''Cappella imperiale'' appositamente costruita ad Ajaccio per ospitare le tombe di membri della famiglia, mentre la capitale dell'isola viene abbellita per fare da degno quadro all'autocelebrazione bonapartista.
 
I còrsi non saranno lesti a cambiar bandiera dopo la rovinosa caduta di Napoleone III il 2 settembre [[1870]] a [[Sedan]], ciò che concentra su di loro la furibonda reazione dei radicali e dei repubblicani francesi che, caduto Napoleone III, si abbandonano ad una violenta quanto franca campagna di razzismo anti-còrso.
 
Frastornato dalla fine del suo protettore, [[Vittorio Emanuele II]] - pur prendendo Roma il 20 settembre [[1870]], attirandosi l'accusa di pirateria da parte dalle maggiori potenze europee - non ascolterà chi gli consiglia di estendere il ''colpo di mano'' alla Corsica.
 
Eppure nel marzo del [[1871]], nel pieno della campagna d'odio verso i còrsi, un deputato radicale che farà molta carriera, [[Georges Clemenceau]], propone all'[[Assemblée nationale (Francia)|Assemblea nazionale]] di negoziare il ''ritorno'' dell'isola all'[[Italia]].
 
Quale sia, ancora anni dopo, la concezione della Corsica anche per i francesi che la guardano benevolmente, ce lo chiarisce [[Guy de Maupassant]] che nel [[1884]] scrive<ref>[http://clicnet.swarthmore.edu/litterature/classique/maupassant/bonheur.html Le bonheur].</ref>: {{citazione|Ho fatto cinque anni fa un viaggio in Corsica. Quest'isola selvaggia è più sconosciuta e più lontana da noi dell'America...|Guy de Maupassant, Le bonheur}}
 
=== La Terza Repubblica ===
La campagna anti-còrsa riaccende l'istinto degli isolani a ripiegarsi su sé stessi e a far fronte comune, e così il bonapartismo resiste ancora qualche anno come forza di maggioranza in Corsica.
Si deve all'opportunismo e all'abilità di [[Emmanuel Arène]], nato ad [[Ajaccio]] nel [[1856]] da una famiglia provenzale, la rottura dello schema che porterà il partito bonapartista a ridursi a fenomeno puramente ajaccino.
 
Significativamente soprannominato ''u re Manuele'', Arène, disponendo del totale appoggio del governo centrale, domina la scena politica còrsa con grande abilità a partire dal [[1878]] (e sino alla sua morte nel [[1908]]), esercitando alternativamente mandati di [[senatore]] e [[deputato]] nel seno dei gruppi repubblicani moderati.
 
Con Arène s'istituzionalizza definitivamente la [[consorteria]] isolana: la politica si fa mestiere e offre l'unico serio sbocco per le classi elevate, sia direttamente attraverso la distribuzione di incarichi amministrativi soprattutto in [[Francia]] e nelle sue [[colonia (territorio)|colonie]], sia indirettamente, conferendo loro potere attraverso l'impiego pubblico di concetto (sempre sul continente e nelle colonie, soprattutto nell'[[esercito]]) che, offerto ai còrsi meno abbienti, diventa strumento di controllo del voto e leva di controllo politico.
 
Le classi dirigenti dell'isola sono ormai in larghissima maggioranza attratte nell'orbita nazionale francese, al cui dibattito politico e culturale partecipano attivamente, mentre l'istruzione elementare comincia lentamente a diffondere la cultura di Parigi e la [[lingua francese|francofonia]] anche nelle campagne, avviando un processo che non avrà più significativo ostacolo.
 
Mentre la politica coinvolge e distrae la minoranza abbiente, per la maggioranza dei còrsi si va compiendo il disastro lungamente preparato da quasi un secolo di guerre ininterrotte seguìto da un altro secolo di repressione e di sfruttamento: implementato per la prima volta da un'ordinanza del 14 dicembre [[1771]] (a soli due anni dall'occupazione dell'isola), un sistema doganale iniquo, immutato nella sua sostanza dai successivi interventi in materia, ha asfissiato l'economia dell'isola stretta in un abbraccio che non è troppo ingeneroso definire ''coloniale''.
 
Proibite esplicitamente o scoraggiate fortemente le esportazioni e le importazioni dall'estero (segnatamente: dalla vicina [[geografia d'Italia|Italia]]), queste avvengono, di fatto, solo da o verso la Francia, con dazi che generalmente pesano in media per il 15% sulle merci in uscita dalla [[Corsica]], ma solo per il 2% per quelle in entrata.
 
I prodotti còrsi tradizionalmente esportati escono così rapidamente fuori mercato, specialmente quando lo sviluppo delle importazioni dalle colonie si espande, mentre la Corsica, povera di risorse, diviene ''strutturalmente'' dipendente dalla Francia in tutto e per tutto, e collegata ad essa - e solo ad essa - in regime di sostanziale monopolio da un'unica compagnia di navigazione concessionaria di Stato.
 
Nel contesto europeo che vede la libera circolazione delle merci e dei capitali, e mentre la rivoluzione industriale cresce e giunge a maturità, in una Corsica già di per sé povera, l'anacronistica gabbia doganale francese rende vani i passi, che pure erano stati mossi per condurre l'isola fuori dall'isolamento.
 
Così valgono a poco gli sforzi fatti - avvalendosi anche dell'ingegno di [[Gustave Eiffel]] - per dotare l'isola di una [[ferrovia]]. Una volta annientati gli embrioni industriali e siderurgici impiantati a [[Toga]] e [[Solenzara]] (raggiunta dalla ferrovia solo negli anni trenta del [[XX secolo]]), il treno serve a poco e finisce persino - pur d'essere utilizzato - per trasportare periodicamente le greggi, evitando che la transumanza intasi troppo le strade dell'isola, rimaste in larga parte strette e tortuose sino ai giorni nostri.
 
A causa delle barriere doganali, la produzione [[olio (alimentare)|olearia]] e [[vino|vinicola]] - che pure s'era espansa durante la prima metà del [[XIX secolo]] - non può sostenere l'urto della crescente concorrenza protetta, [[provenza]]le prima e coloniale poi. Persino la [[farina]] che giunge da [[Marsiglia]] costa meno di quella prodotta in loco ed i [[castagno|castagneti]], divenuti non più redditizi, vengono trasformati in [[legno|legna]] e [[carbone]] o alimentano effimere officine per la produzione di [[tannino]]. Stessa sorte subiscono la [[seta|sericoltura]] e l'artigianato, un tempo fiorente soprattutto a Bastia, travolto dall'avvento della produzione industriale di serie.
 
La popolazione còrsa è costretta ad emigrare in massa in circa un ventennio, a cavallo tra i due secoli, annullando così anche l'impegno profuso per bonificare in anni ed anni di sacrifici, circa 900&nbsp;km² di pianure malariche per recuperarle all'agricoltura: abbandonate tornano rapidamente allo stato selvaggio e occorrerà l'intervento decisivo degli statunitensi, nel [[1944]], per eradicare definitivamente la malaria dalle piane orientali (ove saranno concentrati i campi d'aviazione da cui partiranno gli aerei che bombarderanno la [[Germania nazista|Germania]] e il [[Repubblica Sociale Italiana|Nord Italia]]).
 
== Il XX secolo ==
La gravità della crisi economica non fece che incrementare il malcostume politico, il quale ricorreva regolarmente al [[voto di scambio]] come strumento di [[controllo sociale]], che giungeva ad usare per fini [[clientelismo|clientelari]] e di bottega persino la forte ''domanda'' d'emigrazione.
 
All'alba del [[XX secolo]], se da un lato lo [[Terza Repubblica francese|Stato francese]] conserva le sue responsabilità per la crisi profonda in cui versa la Corsica, dall'altro la sua classe dirigente finisce per essere funzionale nel radicalizzare gli effetti della destrutturazione economica, sociale e culturale che frantumano la nazione che aveva acceso le speranze delle menti più illuminate dell'Europa del Settecento.
 
I politici consortieri, integrati nelle formazioni politiche nazionali francesi, oltre a sfruttare cinicamente i mali dell'isola per conservare ed accrescere il loro potere personale, si limitano a rituali quanto vacui appelli a porre mano alla ''Questione còrsa'' a livello nazionale.
 
Di fronte alla disarticolazione delle strutture tradizionali e fondanti della società còrsa, già sul finire del [[XIX secolo]] inizia a risorgere ed a prendere coscienza sull'isola una sensibilità identitaria che, di fronte al montare della cultura francofona, si coagula attorno alla valorizzazione della [[lingua corsa|lingua còrsa]], denunciando al contempo la consorteria, l'indifferenza ed il cinismo dello Stato, nonché la desertificazione sia [[metafora|metaforica]] che concreta delle Corsica.
 
=== Da Niccolò Tommaseo alla nascita della letteratura còrsa ===
[[File:Corsica Pasquale Paoli Tomba Morosaglia.jpg|thumb|Lapide tombale di Pasquale Paoli nella cappella ricavata presso la casa natale a Morosaglia, quando il corpo fu vi fu trasportato in patria nel [[1889]]. L'iscrizione è in italiano. ]]
I primi chiari segnali di questo risveglio risalgono agli anni settanta dell'[[XIX secolo|Ottocento]], in coincidenza con la crisi del movimento bonapartista. Saltando volutamente il secolo francese sino ad allora trascorso, il movimento rivendicativo si ispira al recupero della tradizione nazionale còrsa del XVIII secolo.
 
Un gruppo di còrsi, prima esiguo e poi sempre più folto, slegato dalle formazioni politiche, aveva però iniziato un'attività di base che puntava alla difesa della lingua, dell'identità e della storia locali già almeno dal [[1838]]-[[1839]], periodo del soggiorno sull'isola, soprattutto in veste di filologo, di [[Niccolò Tommaseo]].
 
Tommaseo, con l'aiuto del poeta e magistrato di Bastia [[Salvatore Viale]] ([[1787]]-[[1861]]), studia il vernacolo còrso e ne celebra la ricchezza e la purezza (lo definirà come ''il più puro dei dialetti italiani''), contribuendo al nascere dei primi germi di una coscienza linguistica e letteraria ''autonoma'' nell'ambito della ''élite'' isolana raccolta attorno a [[Salvatore Viale|Viale]].
 
Questi già nel [[1817]] aveva pubblicato un'opera eroicomica, la ''Dionomachìa'', contenente un brano in còrso nell'ambito del testo, composto per il resto in italiano. Si tratta della prima opera di rilievo letterario che impiega il [[lingua corsa|còrso]], mentre in precedenza vi sono poche testimonianze scritte di esso, limitate per lo più a qualche poesia (spesso scritte da sacerdoti), mentre sono numerose le testimonianze della ricca tradizione orale dei canti, soprattutto nella forma pastorale antichissima delle ''paghjelle'', polifonie particolarmente studiate e ammirate dal Tommaseo (e recuperate oggi da gruppi musicali còrsi, come ''A Filetta'' (''la Felce'').
 
Tuttavia anche allora - e lo resterà sino alla fine dell'[[XIX secolo|Ottocento]] - il vernacolo era considerato adatto solo a soggetti ''giocosi'', ''farseschi'' (come la ''Dionomachìa'') o ''popolareschi'' (le canzoni), laddove per i soggetti ''seri'' la scelta di chi rifiuta l'assimilazione francese è istintivamente e ''naturalmente'' quella dell'italiano.
 
Nel [[1889]], mentre Parigi celebra sé stessa e il secolo del [[Positivismo]] inaugurando la [[Torre Eiffel]], i ''corsisti'' fanno rientrare in Corsica da Londra, dopo un esilio di 82 anni, le ossa di [[Pasquale Paoli]]. Nell'austera cappella ricavata nella sua casa natale, l'iscrizione della lapide che ne sigilla la tomba è significativamente iscritta in italiano.
 
Si giunge così al [[1896]] quando appare il primo giornale in lingua còrsa, ''[[A Tramuntana]]'' (''la Tramontana''), fondato da [[Santu Casanova]] ([[1850]]-[[1936]]) e che, sino al [[1914]] si fa portavoce dell'identità còrsa e della sua dignità.
 
Mentre l'italiano, ancora ben vivo all'alba del [[XX secolo|Novecento]], si avvia a scomparire rapidamente dalla scena (anche a seguito del mancato riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dalle Università italiane sin dai tempi di Napoleone III, che spinge quasi tutta l'''intellighenzia'' còrsa verso quelle francesi), i còrsi iniziano a valorizzare la loro lingua vernacolare come strumento di resistenza ai misfatti dell'acculturazione francese che ormai minaccia di travolgere l'anima stessa dell'isola.
 
Accanto al processo di promozione del [[lingua corsa|còrso]], che lo porterà ad essere sentito sempre più come lingua autonoma e non più come livello ''familiare'' dell'italiano, scatta un'operazione di rivendicazione nazionale che porta alla richiesta pressante di autonomia amministrativa e di studio nelle scuole della storia còrsa, in un panorama nel quale ormai tutti gli scolari sanno bene chi sia [[Vercingetorige]], ma ignorano chi fosse Pasquale Paoli.
 
Accanto ''A Tramuntana'' un'altra rivista, ''A Cispra'' (nome di un lungo fucile pietra focaia, usato sia dai montanari che dai banditi), si fa interprete di uno stato d'animo che coinvolge trasversalmente, sia a livello di convinzioni politiche individuale, sia a livello di strati sociali, tutta quella che oggi definiremmo la ''società civile'' dell'isola, mentre i politici settari, di qualsiasi partito nazionale francese, restano fuori dal processo e fedeli al governo centrale e al nazionalismo francese. Malgrado ciò, l'agitazione sociale e culturale allarma Parigi e così si moltiplicano le inchieste parlamentari sull'isola, mentre lo stesso presidente [[Marie François Sadi Carnot|Sadi Carnot]] sente la necessità di visitare la Corsica nel [[1896]].
 
L'unico risultato concreto di tanta agitazione è l'alleviarsi, a partire dal [[1912]], del regime doganiero coloniale che strangolava l'isola sin dalla sua conquista. Ma anche questa misura, isolata ed insufficiente, sarà resa vana dall'incombente tragedia della [[prima guerra mondiale]].
 
=== Dalla prima alla seconda guerra mondiale ===
La [[prima guerra mondiale]] ([[1914]]-[[1918]]) coinvolge pesantemente la Corsica e rivela il perdurare della disparità di trattamento verso la sua popolazione nel seno dello Stato francese. Per i còrsi sembra non valere la regola che, in genere, vede i padri di famiglie numerose esentati dal prestare servizio militare o dall'esser destinati alla prima linea.
Così i montanari dell'isola vengono gettati in massa nelle feroci battaglie sul fronte franco-tedesco, facendo assegnare alla Corsica il poco invidiabile primato di soffrire, percentualmente, circa il doppio delle perdite rispetto alla media nazionale, e il più alto rispetto a qualsiasi altra regione del Paese.<ref>"Nel 1914, circa 50.000 [Còrsi] vengono mobilitati e mandati al fronte per difendere la madrepatria. […] Le perdite sono elevate e la Corsica è uno dei dipartimenti più colpiti : 11.325 morti (tra il 22 e il 28% delle classi mobilitate contro il 16,3% della media nazionale, 12.000 reduci di guerra invalidi." Dal sito www.radiche.eu Associazione culturale italo-corsa, consultato il 14/8/2011</ref>
 
Secondo le stime, circa il 10% dell'intera popolazione dell'isola trova la morte sui campi di battaglia. L'impatto demografico è disastroso e aggravato dall'interruzione, per motivi bellici, dei collegamenti navali regolari con l'isola, che approfondisce la crisi già in atto e spinge la popolazione affamata a ridursi ad un'agricoltura e ad un'economia arcaica, recuperando tecniche di coltivazione del XVIII secolo per sopravvivere.
 
La situazione in Corsica è tanto disperata che molti reduci preferiscono emigrare nelle colonie o trovare impieghi in continente piuttosto che tornare alle proprie case in una terra sempre più desertificata sotto ogni punto di vista. Questa diaspora sovrappone il suo effetto a quello delle pesantissime perdite (tuttora i monumenti ai caduti in molti paesi di Corsica elencano un numero di caduti superiore al totale degli abitanti attuali), dando un colpo che si rivelerà decisivo all'equilibrio demografico, culturale ed economico dell'isola.
 
Tra quelli che restano si fa strada la radicalizzazione del movimento rivendicativo e si riallacciano i legami anche politici con l'Italia, che già con il governo [[Francesco Crispi|Crispi]] perseguiva lo sviluppo dei movimenti [[irredentismo|irredentisti]] e una politica estera avversa alla Francia.
 
In Corsica nasce, per impulso di [[Petru Rocca]], ''A Muvra'' ([[1919]]), un periodico scritto prevalentemente in còrso e in italiano, con qualche articolo in francese. Attorno al giornale prende vita nel marzo [[1922]] il ''Partitu Corsu d'Azione'' (PCdA, autonomista, analogo al Partito Sardo d'Azione). Alla ''Muvra'' (il muflone isolano) si affiancano altre pubblicazioni, in Corsica e in Italia, da dove il quotidiano livornese "Il Telegrafo" diffonde in Corsica, a partire dal [[1923]], un'edizione per l'isola, che ha ampia circolazione.
 
Oltre alla fioritura di giornali e i periodici si moltiplicano seri studi linguistici (come l'''[[Atlante Linguistico Etnografico Italiano della Corsica]]'' di [[Gino Bottiglioni]]) e storico-etnografici (''Archivio Storico di Corsica'' e ''Corsica Antica e Moderna'') dedicati all'isola, editi sia in Italia che in Corsica.
 
Si realizza così il passaggio dalla rivendicazione autonomista ed identitaria a quella più marcatamente indipendentista e nazionalista che, con l'avvento della [[Fascismo#Consenso e propaganda|propaganda mussoliniana]], si vena d'[[irredentismo]]: il governo fascista non lesina finanziamenti agli indipendentisti còrsi e s'istituiscono persino borse di studio perché i giovani còrsi tornino a frequentare le università italiane.
 
La storiografia e la propaganda politica francese hanno sfruttato abilmente (e con notevole successo) l'inquinamento fascista per screditare e obliterare il movimento ''corsista'' nel suo complesso, operando una semplificazione che equipara l'autonomismo e l'indipendentismo isolano al fascismo, con tutto il carico di disprezzo che evoca l'implicita accusa di tradimento e di adesione ad un sistema dittatoriale sconfitto dalla storia.
 
In verità l'avvento di Mussolini in Italia non fa che seguire, non anticipare - né generare - un diffuso e davvero mai del tutto sopito sentimento di estraneità dei còrsi alla nazione francese. La tradizionale ed antichissima tendenza degli isolani a invocare aiuti esterni (con Sampiero s'era cercato aiuto persino presso i Turchi) e a raccogliersi attorno a personaggi ''forti'', nella sfortunata coincidenza storica, spinge il movimento ''corsista'' verso un abbraccio fatale con il fascismo italiano. Tale deriva va letta piuttosto come un evento ''incidentale'' (ed anzi stimolato dall'indifferenza francese), che come un'adesione piena e realmente ideologica. Del resto [[Santu Casanova]] già invocava un ''uomo del destino'' sulle colonne della ''Tramuntana'' nel [[1902]], riferendosi a un novello Pasquale Paoli.
 
Oltre a [[Petru Rocca]] si distinguono nel movimento corsista altri personaggi, quasi tutti ad un tempo letterati (con produzioni poetiche in còrso e in italiano) e attivisti politici. Alcuni di essi, come i fratelli Ghjuvanni e [[Anton Francescu Filippini]] (quest'ultimo, considerato il maggior poeta còrso, fu segretario di [[Galeazzo Ciano]]), sceglieranno giovanissimi l'esilio in Italia; Bertino Poli, Domenico Carlotti ("Martinu Appinzapalu"), Petru Rocca, Pier Luigi Marchetti ed altri finiranno tragicamente per unire il loro destino pubblico a quello del regime fascista.
 
Lo stesso destino segnerà la vita di [[Marco Angeli]] e di Petru Giovacchini, condannati a morte in contumacia, in Francia, come disertori e traditori subito dopo la sconfitta d'Italia nella [[seconda guerra mondiale]].
 
Marco Angeli, di [[Sartè|Sartene]], collaborò al ''A Muvra'' dal [[1919]] al [[1924]], distinguendosi come polemista, poeta e come autore del primo romanzo in còrso (Terra corsa, Ajaccio, 1924). Intensa anche l'attività politica, come segretario del PCdA. Dal [[1926]], accusato di diserzione in Francia, fu esule in Italia, dove s'era laureato in medicina a Pisa.
Dal 1930 sviluppò dalla città toscana un'intensissima attività propagandistica di stampo via via sempre più apertamente irredentista e giunse a creare una rete capillare di attivisti tra i [[Corsi italiani]] che, raccolti nei ''Gruppi d'Azione Còrsa'', contava migliaia di aderenti in tutta Italia.
 
Il temporaneo riavvicinamento tra Italia e Francia frattanto intervenuto condusse nel [[1935]] allo scioglimento dei ''Gruppi'', che sarebbero brevemente risorti con lo scoppio della guerra nel [[1940]].
 
Anche in Corsica la simpatia per l'Italia raggiungeva punte impensabili: [[Santu Casanova]] (anche lui morirà esule in Italia) produce scritti e poesie celebrative della [[guerra d'Etiopia]] e si giunge ad organizzare pubblici festeggiamenti in occasione della proclamazione dell'Impero italiano il 9 maggio [[1936]].
 
La maggioranza della popolazione còrsa, tuttavia, restava indifferente (ed in certi casi apertamente ostile) al richiamo indipendentista (quando non annessionista) fino al [[1938]] e, dopo il campanello d'allarme suonato a seguito delle manifestazioni di giubilo per le imprese coloniali italiane, alla rivendicazione ufficiale del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] sulla Corsica pronunciata dal ministro degli Esteri, [[Galeazzo Ciano]], risponde decisa la reazione del governo francese che a Bastia, il 4 dicembre [[1938]], organizza, di fronte al monumento ai caduti della grande guerra, una manifestazione nazionalista che resterà famosa come il ''Serment'' (giuramento) di Bastia: migliaia di persone giurano di «vivere e morire francesi» e di difendere l'appartenenza della Corsica alla Francia a tutti i costi «rispondendo alla violenza brutale con la legittima violenza».
 
{{citazione|Monelli reduce dalla Corsica mi conferma ciò che sapevo: e cioè che un irredentismo corso non esiste e che tutto il partito di Petru Rocca non conta più di dieci persone. Anche gli altri però sono poco fervidi: i direttori dei giornali corsi più violenti contro di noi gli hanno detto che se dessimo loro un po' di pubblicità turistica si asterrebbero dalla campagna antitaliana.|Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, Nota del 30 dicembre 1938}}
 
=== Irredentismo ===
[[File:RegioniIrredenteItalia.jpg|miniatura|Carta geografica dell'Italia e delle "terre irredente"]]
L'[[irredentismo italiano|irredentismo]] in Corsica fu promosso principalmente da [[Petru Giovacchini]], che creò nel [[1933]] i "Gruppi di cultura corsa" in Corsica per difenderne l'italianità. Il Giovacchini promosse l'unione della Corsica al [[Regno d'Italia]] specialmente a partire dal [[1939]], cercando anche proseliti tra i movimenti autonomisti dell'isola collegati a Santu Casanova. Organizzò grandi manifestazioni nell'isola, celebrando l'annessione italiana dell'[[Albania]] avvenuta in quell'anno. Durante la [[seconda guerra mondiale]] questi gruppi di Giovacchini favorevoli all'Italia diventarono i ''Gruppi di azione irredentista corsa''.
 
Gli iscritti al movimento salirono sino a un massimo storico, nel febbraio 1942, di 72&nbsp;000, mentre Giovacchini fu premiato con la nomina a consigliere nazionale del Partito Fascista. Ma il fatto più emblematico dell'ascesa di questo movimento irredentista in Corsica avvenne nel febbraio [[1942]] quando si ebbe la costituzione in [[Sardegna]] di un ''Battaglione Corso'' inquadrato nella divisione Sassari della 73 Legione [[Camicie Nere]].<ref>Marco Cuzzi. ''La rivendicazione fascista della Corsica (1938-1943)''</ref>
 
Dopo la resa dell'Italia nel settembre 1943 Giovacchini si rifugiò nella [[Repubblica Sociale Italiana]], dove mantenne attivi i suoi "Gruppi Corsi". Nel maggio 1944 Giovacchini, allora a [[Novara]], tentò per l'ultima volta di creare da questi suoi Gruppi alcuni nuclei irredentisti da inviare a combattere nella Corsica in mano agli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]].
 
=== La seconda guerra mondiale e l'occupazione italiana ===
A seguito dell'armistizio del giugno [[1940]] le principali basi militari in Corsica ricevono la visita delle commissioni militari italiana e tedesca.
 
L'11 novembre [[1942]], in risposta all'[[operazione Torch]] alleata, scatta, con l'assenso del [[governo di Vichy]], l'invasione della Francia meridionale da parte delle forze tedesche e della Corsica da parte di quelle italiane, che sbarcano a [[Bastia]] senza alcuna opposizione, utilizzando mezzi e uomini che erano stati preparati in origine per lo sbarco, mai avvenuto, su [[Malta]].
[[File:Vichy France Map.jpg|thumb|upright=1.4|Mappa della Corsica (e Francia) tra il 1940 ed il 1944]]
Le forze d'occupazione italiane ammontavano nel settembre [[1943]] a circa 76&nbsp;000 uomini su due divisioni (''Cremona'' e ''Friuli''), tre divisioni e un reggimento costiero, un raggruppamento mobile e quattro [[Battaglioni M]] d'assalto anfibio a disposizione del comando del VII Corpo d'armata<ref>''Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943'', USSME, 1975 e AAVV ''Le operazioni delle unità italiane in Corsica nel settembre-ottobre 1943''. Atti del convegno di Lucca, Associazione nazionale combattenti e reduci, 1987.</ref>.
 
Dal giugno del [[1943]] si aggiungeranno circa 4&nbsp;000 tedeschi della brigata [[SS]] Reichsführer<ref>La Brigata d'assalto SS (''SS-Sturmbrigade'') ''Reichsführer-SS'' era composta da due battaglioni di fanteria corazzata, un battaglione cacciacarri su due compagnie, un battaglione [[Sturmgeschütz|StuG]] su tre batterie e un gruppo antiaereo su quattro batterie. Al suo rientro sul continente, il 3 ottobre [[1943]], costituì il nucleo della 16.Panzerdivision SS ''Reichsführer-SS''.</ref> e alcuni reparti minori.
 
Il comando militare italiano controlla l'isola con una certa facilità grazie all'imponenza della forza d'invasione (la Corsica contava circa 200&nbsp;000 abitanti) e grazie al fatto che sia la ''Gendarmerie'' francese, sia l'amministrazione civile locale, mantengono gran parte delle loro funzioni.
 
L'opposizione della popolazione all'occupazione è dapprima scarsa per non dire inesistente: una parte degli isolani collegata all'irredentismo dei [[Corsi italiani]] di [[Petru Giovacchini]], sebbene minoritaria, accoglie gli italiani come liberatori, mentre i militari hanno in genere un contegno corretto e persino umano che contribuisce a mantenere un clima tutto sommato tranquillo.
 
Successivamente nella primavera [[1943]] i francesi della "Francia libera" gollista iniziano ad organizzare una rete di resistenza: il duro intervento dell'[[OVRA]] (talvolta affiancata dai [[Arma dei Carabinieri|carabinieri]]) contro i pochi oppositori riesce, assieme alla fame (cui contribuiscono le requisizioni di viveri), a far serpeggiare il malcontento, sul quale fanno leva i capi del nascente movimento di resistenza, sia quella comunista, sia quella repubblicana e nazionalista francese.
 
Infatti [[Charles de Gaulle]] invia nell'isola un suo uomo di fiducia, Fred (Godefroy) Scamaroni (nato ad Ajaccio nel [[1914]]), per organizzare ed unire le anime della Resistenza, sino a quel momento rimasta puramente platonica.
 
Scamaroni coordina con esponenti locali un piano di sviluppo che prosegue per molti mesi contando anche su rifornimenti clandestini via mare (molti dei quali assicurati dal sommergibile francese ''Casabianca'') e su aviolanci notturni.
 
Arrestato dai carabinieri ad Ajaccio e torturato dall'OVRA durante gli interrogatori, Scamaroni, pur di tacere, si dà la morte in carcere il 19 marzo [[1943]].
 
Ha nel frattempo luogo qualche attentato che alimenta una spirale di repressione sempre più impietosa. Si moltiplicano così gli arresti e le deportazioni all'[[Isola d'Elba|Elba]] e in [[Calabria]], mentre la resistenza si raggruppa nell'impenetrabile ''maquis'' (macchia) còrso, dando così il nome a tutto il movimento di liberazione in Francia.
 
Il nuovo capo militare della resistenza còrsa, Paolo Colonna d'Istria, arrestato, riesce a farsi liberare convincendo le guardie d'essere un agente segreto italiano grazie alla sua padronanza della lingua.
 
Il 27 giugno [[1943]], ancora ad Ajaccio, l'OVRA arresta anche Giovanni Nicoli (detto Jean), capo del Fronte Nazionale (resistenza comunista) sull'isola. Trasferito a Bastia, Nicoli viene condannato alla fucilazione da eseguirsi il 30 agosto. Il suo corpo sarà però ritrovato straziato e decapitato.
 
===L'armistizio dell'8 settembre===
Con l'[[8 settembre 1943]] gran parte delle forze italiane, al comando del generale [[Giovanni Magli]], si oppongono con le armi al tentativo delle forze tedesche, che come altrove, tentano di renderle inoffensive.
 
Già in serata esplode una battaglia al porto di Bastia, che i tedeschi cercano di catturare. Il giorno 9 settembre, giorno seguente l'[[armistizio di Cassibile|armistizio]], il [[capitano di fregata]] [[Carlo Fecia di Cossato]] al comando della [[torpediniera]] '''Aliseo''', un'unità della [[Classe Ciclone (torpediniera)|Classe Ciclone]], sostiene un vittorioso scontro nelle acque della [[Corsica]] contro 7 unità tedesche di armamento complessivo superiore; tra queste, cinque sono motozattere armate (F 612, F 459, F 387, F 366 e F 623), a cui si aggiungono due cacciasommergibili, UJ 2203 (ex-francese ''Minerva'') e UJ 2219 (ex-francese ''Insuma''), che vengono tutti affondati dal tiro dei cannoni<ref>http://www.wlb-stuttgart.de/seekrieg/43-09.htm in tedesco</ref><ref>[http://www.biellaclub.it/_cultura/personaggi/CarloFeciaDiCossato/carlo.htm Carlo Fecia Di Cossato<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> e i piroscafi ''Humanitas'' e ''Sassari'', con equipaggio italiano ma personale alle armi tedesco, resi inoffensivi. L'azione scaturisce dall'attacco portato dai tedeschi ad una unità gemella della ''Aliseo'', l'''Ardito'', in uscita dal porto di Bastia al seguito della Aliseo. L'unità viene gravemente danneggiata, mentre il MAS 523 viene catturato così come il comandante del porto. Prontamente, Fecia di Cossato inverte la rotta e l'Aliseo affronta con i suoi 3 cannoni da 100&nbsp;mm il naviglio tedesco presente, affondando le sette unità sopra elencate<ref>Vita e morte del soldato italiano nella guerra senza fortuna, Edizioni Ferni Ginevra 1974, Vol. XV Capitolo "La marina italiana di fronte all'8 settembre"</ref>. Per questa azione verrà conferita a Fecia di Cossato la medaglia d'oro al valor militare.
[[File:Corsica 8 settembre 1943.png|thumb|La situazione militare della Corsica alla sera dell'8 settembre 1943. In verde le unità italiane, in rosso unità e reparti germanici]]
 
Magli in un primo tempo tratta con il comandante tedesco, l'abile generale [[Frido von Senger und Etterlin]] (si distinguerà per il ruolo chiave svolto nella [[battaglia di Montecassino]]), che ha a sua disposizione nel sud dell'isola truppe corazzate di prim'ordine.
Di fronte alla minaccia di una tenaglia per lo sbarco, presso Bonifacio, di altre forze motorizzate germaniche ([[90. leichte Infanterie-Division (Wehrmacht)|90ª Divisione PanzerGrenadier]]) provenienti dalla Sardegna (che i tedeschi evacuano proponendosi di consolidare il controllo della Corsica), Magli prende contatto con Paolo Colonna d'Istria per concordare una linea comune contro i tedeschi.
 
Agli ordini del generale [[Henry Giraud]] (che si trova in Nordafrica), sbarcano frattanto sull'isola i primi soldati coloniali francesi (''Goumiers'' del [[Marocco]]) insieme ad alcuni agenti e ''ranger'' statunitensi.
 
Il 12 settembre Magli respinge un ultimatum di [[Albert Kesselring]].
Dal 13 settembre [[1943]] gli italiani (salvo ridotti gruppi di ''[[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale|camicie nere]]'' che s'uniscono alle truppe germaniche<ref>Gran parte della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale combatté i tedeschi con vigore.</ref>) combattono fianco a fianco con i circa 12&nbsp;000 uomini della resistenza insorti (e con le poche centinaia di soldati coloniali francesi) contro i tedeschi, le cui forze a sud cercano di raggiungere Bastia, frattanto strappata alla divisione ''Friuli'' da un bombardamento della [[Luftwaffe (Wehrmacht)|Luftwaffe]] e da un attacco in forze di cannoni d'assalto [[StuG III]].
 
L'intento di von Senger è ormai quello di assicurarsi il controllo della città e del suo porto per portare in salvo le sue truppe e i suoi carri verso [[Livorno]] (da dove dovrebbero andare ad opporsi allo [[sbarco di Salerno]]). Mentre Bastia viene tenuta sotto pressione dai [[Bersaglieri]] e dall'artiglieria italiana, violenti scontri hanno luogo in tutta l'isola.
 
Il 17 settembre sbarcano ad Ajaccio nuove truppe coloniali francesi agli ordini del generale Henry Martin<ref>{{cita web| url = http://www.farac.org/php/article.php3?id_article=64| titolo = GOUMIERS, GOUMS, TABORS - La libération de la Corse (septembre-octobre 1943) et de l'Ile d'Elbe (Juin 1944)| urlmorto = sì| urlarchivio = https://web.archive.org/web/20070311035152/http://www.farac.org/php/article.php3?id_article=64| dataarchivio = 11 marzo 2007}}</ref>, e il 19 successivo la Luftwaffe bombarda il comando di Magli a Corte.
 
Il 21 settembre il generale Giraud raggiunge il comandante italiano. Le forze francesi sull'isola salgono a circa 6&nbsp;000 uomini. Durante gli scontri i tedeschi minano e fanno saltare numerosi ponti, distruggendo, tra gli altri, il ''Ponte Nuovo'' che era stato teatro dei più accaniti scontri nell'omonima battaglia del [[1769]] che segnò la fine della Corsica indipendente di Pasquale Paoli.
 
Dal 29 settembre scatta l'offensiva generale italo-francese. Le posizioni tedesche a Bastia vengono bombardate dalle artiglierie italiane (i francesi quasi non ne dispongono). Il 3 ottobre i Bersaglieri prendono Bastia, ma si ritirano immediatamente, in base agli accordi, per lasciare ai francesi l'onore di sfilare in città come liberatori il giorno seguente. Bastia, pertanto, subisce per errore un pesante bombardamento alleato, che provoca notevoli danni e numerosi morti tra la popolazione civile.
 
Il 5 ottobre [[1943]] si spengono le ultime sacche di resistenza tedesca sull'isola, che diviene così il primo dipartimento francese liberato e l'unica grande regione europea nella quale gli italiani abbiano combattuto vittoriosamente i tedeschi all'indomani dell'''8 settembre''.
 
A testimonianza del decisivo contributo dato dalle truppe di Magli nel liberare la Corsica dalle truppe tedesche è il numero dei caduti italiani nei combattimenti, circa 700, quasi tre volte superiore a quello della somma dei caduti della resistenza e delle truppe agli ordini dei generali francesi (poco più di 240 morti).
 
Giovanni Magli potrà scrivere nelle sue memorie<ref>Giovanni Magli, ''Le truppe italiane in Corsica'', Lecce, Tipografia Scuola AUC, 1950</ref>:
 
{{citazione|i fatti dimostrarono [...] come e quanto, indipendentemente dal colore della camicia, gli animi di tutti i componenti il Corpo di Occupazione della Corsica fossero legati da un unico, saldo sentimento di dedizione alla Patria.}}
 
Tra l'8 e il 10 ottobre [[1943]], la Corsica liberata viene visitata da [[Charles de Gaulle]], che presto destituirà Giraud giudicato colpevole, tra l'altro, di aver lasciato troppo spazio alla parte comunista della resistenza. L'isola diviene un'importante base di partenza per gli attacchi alleati contro le forze tedesche in Italia e in Germania, oltre che un elemento chiave per lo sbarco in [[Provenza]], nel [[1944]].
 
La guerra e l'occupazione italiana hanno decisivamente contribuito, malgrado il riscatto italiano dopo l'8 settembre 1943 (che verrà accuratamente oscurato da grandissima parte della storiografia francese e singolarmente quasi ignorato da quella italiana), ad allontanare la Corsica dall'Italia.
 
Ancora una volta si è ripetuto la formula della Corsica occupata che si affida ad un liberatore e ad un ''capo'', impersonato per di più da un personaggio dotato del carisma di de Gaulle.
 
La sconfitta del fascismo segna la fine ad ogni aspirazione di irredentismo, trascinando con sé anche la rottura dei rapporti culturali della Corsica con la vicinissima Penisola e ogni prospettiva di un recupero di cittadinanza sull'isola per la lingua italiana.
 
La Francia rese così definitivamente propria la Corsica anche nell'anima, e d'altronde fece di tutto per vietare di fatto qualsiasi espressione pubblica in italiano o in còrso, subito tacciate di ''fascismo irredentista'', premura particolarmente necessaria dopo che i còrsi, sotto l'occupazione, hanno potuto constatare la pressoché totale [[intercomprensione]] tra le lingue còrsa e italiana.
 
=== Dal dopoguerra alla nascita del FLNC ===
Dopo la seconda guerra mondiale la Francia lancerà una propaganda importante anti-italiana nelle scuole della Corsica e sulla popolazione di l'isola per evitare ogni unificazione con l'Italia servendosi del fascismo italiano della guerra. Il risultato è stato un mezzo-insuccesso perché non ci saranno più di rivendicazione per l'unità italiana ma appariranno dei potenti movimenti per l'indipendenza dell'isola.
 
Dopo la sua prima visita nel 1943, [[Charles de Gaulle|de Gaulle]] svilupperà un rapporto particolare con la Corsica e vi compirà altri cinque viaggi, l'ultimo nel [[1961]].
 
Forse solo i particolari meccanismi che hanno sempre tributato successo a chi è sbarcato in Corsica da liberatore, spiegano ciò che sembrerebbe contraddittorio e inspiegabile: un'isola costituzionalmente lontana dall'aderire al centralismo francese e gelosa della propria ''diversità'', tributa tuttavia una ripetuta e calorosa accoglienza all'uomo che, più di ogni altro, ha perseguito la ''grandeur'' e il centralismo statale più spinto nella storia francese del XX secolo.
 
L'autorità e l'influenza di de Gaulle in Corsica, sono confermati dalla facilità con la quale, il 24 maggio [[1958]], un pugno di paracadutisti guidati dal deputato còrso Pascal Arrighi ed altri politici gollisti prendono possesso della Prefettura di Ajaccio e, disarmata la ''Gendarmerie'', istituiscono dei ''Comitati di Salute Pubblica'' nella capitale dell'isola e a [[Bastia]]. Si tratta di un vero e proprio ''mini-golpe'' nel più ampio quadro delle agitazioni che condurranno alla nascita della quinta Repubblica e al mandato presidenziale per il generale il 21 dicembre [[1958]].
 
Sgonfiato sin dall'immediato dopoguerra il fenomeno che aveva visto il Partito Comunista francese ottenere - grazie soprattutto all'impegno nella Resistenza - un notevole successo alle elezioni del [[1945]], verso la fine del mandato presidenziale di de Gaulle la Corsica della rappresentanza politica nazionale torna a replicare in pieno schemi già noti, e i ''clan'' dei Giacobbi e dei Rocca Serra si spartiscono il potere nell'isola.
 
Tale spartizione finisce per contribuire alle prime riforme amministrative cui viene sottoposta la Corsica tra il [[1973]] (riduzione dei cantoni a 55) e il [[1975]] (divisione in due dipartimenti).
 
Sul piano economico si ripete in Corsica qualcosa di già visto: lo Stato interviene in modo quasi sempre episodico, quando sollecitato dalle rivendicazioni isolane o da circostanze esterne, ma senza concepire un'azione di risanamento organica in grado di far davvero risorgere una terra dissanguata dall'emigrazione e gravemente impoverita sia sul piano culturale che su quello prettamente economico.
 
Nel [[1949]] si assiste ad una sterile riedizione del ''Plan terrier'' di quasi 200 anni prima, e che non va oltre la compilazione di un elenco delle risorse dell'isola.
 
Nel [[1957]] vede la luce un progetto che individua nel turismo e nell'agricoltura le risorse da sviluppare per il futuro della Corsica. Per il turismo si ipotizza soprattutto un miglioramento delle vie di comunicazione interne (avviato in ritardo: a tutt'oggi sono ancora piuttosto carenti) e un rilancio dei collegamenti con la Francia.
 
Anche in questo caso, si dovrà attendere la metà degli anni settanta perché venga istituita la ''continuità territoriale'' (le tariffe agevolate di trasporto da e per la Francia, come avviene ad esempio anche tra [[Italia]] e [[Sardegna]]).
 
Per l'agricoltura si prospetta ancora una volta il recupero soprattutto delle pianure costiere orientali e la loro coltivazione ad agrumi e ad ortaggi, senza prendere misure particolari nel campo vinicolo.
 
Per l'avvio del progetto si istituirono due società a capitale misto statale e privato, la SOMIVAC ([[Société d'économie mixte pour la mise en valeur de la Corse]]) e la SETCO ([[Société pour l'équipement touristique de la Corse]]). La SETCO finì per realizzare ben poco, sia per la mancanza di mezzi finanziari, sia per la fortissima opposizione incontrata nell'isola contro i suoi piani di cementificazione delle coste per la realizzazione di migliaia e migliaia di posti letto.
 
D'altra parte, come altrove, gli investimenti più redditizi nel campo turistico sono stati effettuati da società che tipicamente non reimpiegano nell'economia locale i proventi realizzati.
 
[[File:Korsika Corte 2.jpg|thumb|La rocca di Corte, antica capitale della Repubblica Paolina, oggi sede dell'Università di Corsica.]]
 
Nel campo d'azione della SOMIVAC, invece, si assiste a più importanti realizzazioni, accompagnate però da conseguenze forse impreviste, ma non per questo meno negative per l'isola.
L'indipendenza dell'Algeria nel [[1962]] ebbe tra le sue conseguenze il trasferimento in Corsica, proprio sui terreni soggetti a sviluppo, di decine di migliaia di rimpatriati francesi (''[[Pieds-noirs]]''), cui furono assegnati il 90% dei terreni SOMIVAC originariamente destinati agli agricoltori còrsi.
 
Non essendo state ancora realizzate le opere d'irrigazione necessarie all'orticoltura, si passò così rapidamente ad una massiccia espansione della viticoltura soprattutto nelle terre occupate dai ''Pied-noires'', che per di più godettero di finanziamenti statali aggiuntivi, negati invece agli agricoltori còrsi, che dovettero profondere un impegno enorme per mettere a frutto le coltivazioni di agrumi, dalla quale comunque ottennero buoni risultati, soprattutto nella produzione di clementini.
 
Nel complesso però, furono i rimpatriati a godere - di gran lunga - dei maggiori vantaggi, avviando una produzione di massa ed essenzialmente speculativa di vini di qualità medio-bassa e realizzando grandi profitti, subito capitalizzati.
 
Questi sviluppi, affiancati dalla sostanziale mancanza di misure e di investimenti atti ad interessare significativamente la rinascita agricola sulla gran parte del territorio non pianeggiante dell'isola (che ricevette sino agli anni settanta solo il 7% degli investimenti), condussero al montare di un senso di frustrazione e di rabbia nella popolazione che si sentì espropriata e sfruttata vedendo le terre più fertili e redditizie (nonché gli investimenti maggiori) andare a favore dei ''Pied-noirs'', che anche in Francia continentale (e non solo in Corsica) venivano sovente considerati come ''stranieri''.
 
La sfiducia, la crisi e il malcontento iniziarono così a montare nuovamente in modo significativo già nella prima metà degli anni sessanta e ripartì l'emigrazione: l'andamento demografico segna 175&nbsp;000 abitanti nel [[1962]] e solo 190&nbsp;000 nel [[1968]], ma l'incremento è tutto da ascrivere all'immigrazione (essenzialmente dei ''Pied-noirs'' che, per altro, avevano spesso portato con sé lavoratori d'origine nordafricana) e non riesce a coprire il saldo negativo dovuto all'emigrazione dei còrsi.
 
L'afflusso migratorio dalle ex-colonie prosegue negli anni successivi (e non si è più arrestato) modificando significativamente l'equilibrio demografico e, per conseguenza, il profilo culturale dell'isola, che perde sempre più le sue caratteristiche. Nel 1975 la popolazione - grazie soprattutto all'immigrazione - giunge a 210&nbsp;000 abitanti, ma l'anno successivo si registrano più morti che nati e il numero di cittadini nati in Corsica, ma residenti in Francia continentale, supera i 100&nbsp;000. Tale fenomeno è peraltro ancora in atto in modo massiccio e ha portato l'isola ad occupare stabilmente il primo posto tra le regioni di Francia per popolazione più anziana.
 
Questi eventi, sommati ad una serie di scandali politici e finanziari, condussero negli anni sessanta alla rinascita di movimenti regionalisti che presto si trasformarono in autonomisti, già che la connotazione irredentista assunta nel passato da tali iniziative - e che aveva costituito sino ad allora un potente freno alla loro rinascita - non riguardava più le nuove generazioni, ormai libere di esprimere senza remore un attaccamento autentico ed originale alla propria terra ed alla propria cultura.
 
Già nel [[1960]] la protesta esplode attorno al progetto, ritirato a furor di popolo, di chiudere le linee ferroviarie insulari, dopo che già era rimasta disattivata (e mai sarà riaperta, malgrado lo sviluppo agricolo) la linea che, lungo la piana orientale, collegava Bastia a Porto Vecchio, danneggiata durante la guerra. La chiusura dell'intera rete ferroviaria sarà poi tentata nuovamente in seguito, sino all'esplodere di un'analoga crisi nel [[1983]], che condusse al risanamento delle linee superstiti.
 
Nel [[1961]], mentre si moltiplicano gli scioperi, si tiene a Corte un'assemblea dei còrsi della diaspora, e si registrano i primissimi attentati dinamitardi rivendicativi. Nel [[1963]] esplode la questione fiscale, mentre monta il dibattito ed il malcontento innescato anche dall'affare dei ''Pied-noirs''.
 
Nel [[1968]] nel contesto della protesta mondiale, viene fondato il primo movimento regionalista organizzato del dopoguerra, il FRC, Fronte Regionalista Còrso, che coinvolge molti studenti. Accanto a questo si sviluppa l'ARC, Azione Regionalista Corsa, che mobilita un po' tutti gli strati della società insulare e coagula il maggiore attivismo rivendicativo soprattutto attorno alla questione agraria (da sempre un problema fondamentale nell'isola), aggravata dal fenomeno dell'immigrazione dei ''Pied-noirs''.
 
In questo quadro l'ARC si radica nella Piana costiera attorno ad Aleria, tenendo in zona i propri congressi (poi spostati a Corte, antica capitale dell'indipendenza còrsa) e denunciando la spogliazione del patrimonio insulare ed il perdurare di condizioni che potrebbero condurre alla morte dello stesso popolo còrso e di ogni suo tratto culturale originale.
 
Nel [[1972]] è l'italiana [[Montedison]] a sollecitare la risposta violenta dei còrsi: tra il [[1972]] e il [[1973]] due navi della società scaricano ''fanghi rossi'' altamente tossici nel mare a 35&nbsp;km a Nord del Capo còrso, senza che vi sia immediata reazione - malgrado le denunce dei pescatori, sia italiani che còrsi - da parte degli Stati.
 
Questa interviene dopo che gruppi clandestini còrsi prendono prima a fucilate e poi minano le navi dei veleni, la "Scarlino I" e la "Scarlino II". I casi giudiziari seguenti, conclusi negli anni ottanta, condurranno all'assoluzione della Montedison in Italia e alla sua condanna in Francia, dando altresì origine al [[Protocollo di Barcellona]] sulla protezione del Mediterraneo del 16 febbraio [[1976]] (''Protocol for the Prevention of Pollution of the Mediterranean Sea by Dumping from Ships and Aircraft'').
 
Nel [[1975]], mentre gli attentati dinamitardi (che saranno sempre eseguiti con una particolare attenzione volta ad evitare vittime umane) risorge imponente, accanto all'esigenza di riacquisire la [[Lingua corsa|lingua còrsa]], la richiesta della riapertura dell'Università fondata a Corte da Pasquale Paoli e immediatamente chiusa e mai riaperta dagli invasori francesi, mentre il governo di [[Parigi]] predispone, sin dal [[1974]], una commissione interministeriale incaricata di tentare di riequilibrare, senza troppo successo, l'intervento dello Stato centrale in Corsica.
 
Nello stesso anno, a luglio, l'ARC, trasformatasi nel frattempo in ''Azione per a Rinascita Corsa'' (Azione per la Rinascita della Corsica), tiene un congresso a Corte, denunciando con forza l'azione del governo. La situazione va precipitando e nell'agosto 1975 si giunge all'azione che resterà famosa come i «Fatti di Aleria».
 
Il 18 agosto [[1975]] un piccolo gruppo di autonomisti còrsi, guidati da Edmondu Simeoni, medico di Bastia, occupa un'azienda agricola (la ''Cave Depeille'', oggi in rovina) tenuta da una famiglia di ''Pied-noirs'' coinvolta negli scandali fiscali e finanziari che caratterizzano lo sviluppo agricolo nella zona, giudicato parassitario e colonialista in natura dai còrsi.
 
La sera prima Simeoni, portavoce dell'ARC, aveva tenuto un acceso e affollatissimo comizio a Corte (chiusosi al canto dell'inno còrso, il «Dio vi Salvi, Regina»), snocciolando come in un ''cahier de doléances'' le rivendicazioni nazionaliste, dal bilinguismo còrso-francese (ancora mai concesso dopo 31 anni) alla corsizzazione degli impieghi e denunciando al contempo la chiusura di fatto della via democratica alle riforme come conseguenza dell'esplodere delle frodi elettorali favorite dall'istituzione, anni prima, del [[voto per corrispondenza]].
 
L'occupazione della ''Cave Depeille'' è eseguita al mattino senza alcuno spargimento di sangue da sette còrsi armati di fucili da caccia, che allontanano i proprietari ed i loro impiegati, e issano la bandiera ''Testa Mora''. La reazione dello Stato è decisa. Il Ministero degli Interni fa circondare l'azienda occupata da 1&nbsp;200 uomini appoggiati da elicotteri e carri armati.
 
Nell'assalto lanciato il 22 agosto, due gendarmi restano uccisi, e due occupanti feriti. I responsabili dell'occupazione sono incarcerati a Parigi, mentre la notte qualcuno incendia la ''Cave'' (cantina) Depeille.
 
Il 27 agosto l'ARC viene sciolta. Nella notte tra il 27 e il 28 scoppiano incidenti gravissimi a Bastia (carri armati per le strade e un gendarme ucciso) e il prefetto regionale e il viceprefetto di Bastia sono rimossi. Lo scioglimento dell'ARC radicalizza verso l'indipendentismo e spinge nella clandestinità il movimento.
 
A marcare la disparità di trattamento subita dai còrsi, vi è il fatto che, nello stesso periodo, un'analoga azione di protesta nell'area di Parigi - con il sequestro temporaneo di un dirigente industriale da parte di sindacalisti - s'era risolto pacificamente per via di trattative. Nel caso di Aleria la magistratura non apre neanche indagini nei confronti dei gendarmi che hanno sparato (e probabilmente ucciso) senza provocazione.
 
Nasce così il FLNC, ''[[Fronte di Liberazione Nazionale Corso|Fronte di Liberazione Naziunale Corsu]]'', nel quale confluiscono il FPCL ''Fronte Paesanu Corsu di Liberazione'', sorto nel Sud dell'isola nel [[1973]] e ''Ghjustizia Paolina'', fondata nel marzo [[1974]], che già avevano firmato numerosi attentati sia in Corsica, sia in Francia continentale.
 
Nella notte tra il 4 e il 5 maggio [[1976]] ben 22 attentati dinamitardi scuotono la Corsica e arrivano a colpire il Palazzo di Giustizia a Marsiglia, segnando l'avvio di una lunghissima serie di attacchi, tuttora non esaurita. Ancora il 5 maggio i rappresentanti del FLNC tengono una conferenza stampa clandestina presso le rovine del Convento francescano di Sant'Antonio di Casabianca, luogo carico di significato simbolico in quanto vi era stato proclamato "generale" della nazione còrsa Pasquale Paoli, il 14 luglio [[1755]].
 
{{Approfondimento|titolo=I temi della «questione corsa» a Parigi|larghezza = 60% |contenuto=
<div style="font-size:90%">
Nell'ambito del dibattito che condusse con il ''[[processus de Matignon]]'' al varo della ''Legge sulla Corsica'', il 31 agosto [[2000]] il giornale "Le Monde" pubblicò in prima pagina<ref>[http://www.images-chapitre.com/ima1/big1/447/7115447.jpg Immagine]</ref> un intervento di [[Michel Rocard]], ex primo ministro francese e deputato europeo, nel quale l'uomo politico elencò una serie di eventi storici che nella sua visione dimostravano l'effettiva condizione di soggiacimento ad oppressione dell'isola da parte di poteri esterni. L'articolo, intitolato "''Corse: Jacobins, ne tuez pas la paix!''"<ref>"Corsica: Giacobini, non uccidete la pace!".</ref>, seguiva temporalmente alcuni altri autorevoli interventi sul tema, di poco precedenti e non limitati esclusivamente alla questione corsa, ma collegati ad altre spinte autonomistiche fra le quali, notabilmente, quella basca in [[Spagna]]. Se infatti, sempre da ''Le Monde'', il 24 luglio<ref>Precisamente, per quanto riguarda questa testata, sia il 23 che il 24 luglio</ref> [[Jack Lang]] si era espresso in favore di una possibile ''reconnaissance des particularismes et des originalités''<ref>"Riconoscimento dei particolarismi e delle originalità".</ref> delle minoranze, il 24 agosto [[Henri Emmanuelli]], allora presidente della commissione finanze della Assemblée Nationale, parlava da ''[[Libération]]'' con un certo scetticismo delle proposte del governo e si mostrava preoccupato della rivitalizzazione del nazionalismo corso e basco, temendone peraltro la connotazione etnica; inoltre, per Emmanuelli il possibile orientamento di destra, lo "spirito di regionalismo di destra" era dietro la porta e pronto a manifestarsi. Ora, più che essere dietro la porta, l'interessamento della destra, specialmente della destra estrema del [[Front National]] di [[Jean Marie Le Pen]], era già emerso in forma espressa intorno al 1990, e sia (molto favorevolmente) a proposito del regionalismo che del particolarismo, sebbene di quest'ultimo Le Pen abbia ripetuto a più riprese<ref>Ad es. intervista a ''Le Provençal'', 4 aprile 1996</ref> che malgrado il suo ''charme'' si accompagnava comunque a rischi<ref>Peter Davies, The National Front in France: Ideology, Discourse and Power, Routledge, 1999, ISBN 0-415-15866-4</ref>. Nello stesso periodo, peraltro, Rocard stesso era oggetto di polemica per la sua posizione sul problema Corsica, e la polemica si tradusse anche in [[satira]], con una nota vignetta del settimanale ''National Hebdo''<ref>10-16 gennaio 1991, n.337 - ma anche 27 aprile-1º maggio 1989, n. 249</ref> che lo ritraeva insieme a [[Pierre Joxe]] (autore della legge del 1992 sul riconoscimento parziale di alcune autonomie per l'isola) mentre entrambi giocavano con la Corsica per - secondo la vignetta - loro interessi.
 
Tuttavia, con il suo articolo, che iniziava con un brusco "''les Français en ont assez des problèmes corses''"<ref>"I francesi ne hanno abbastanza dei problemi corsi"</ref>, Rocard intervenne prontamente a conchiudere una fase di esternazioni non omogenee di molti esponenti della sua area ideologica e rese di fatto una pubblica chiarificazione della posizione praticamente ufficiale dei socialisti francesi sul punto. Considerata criticamente come un'espressione del sempre vivace [[giacobinismo]] sotteso alle posizioni di una componente di rilievo del partito<ref>Ad es., ma non solo, Harald Baldersheim, Jean-Pascal Daloz, ''Political Leadership in a Global Age: The Experience of France and Norway'', Harald Baldersheim, Ashgate Publishing Ltd., 2003, ISBN 0-7546-3556-2. Il giacobinismo, al di là dello stesso titolo, è comunque ben dichiarato da questi esponenti, la critica consiste nell'allusione agli aspetti dello stesso considerati negativi da punti di vista antagonisti.</ref>, la disamina di Rocard, preceduta dal timore che l'ondata xenofoba potesse effettivamente produrre per risultato la creazione di un popolo separato distinto in quanto rigettato<ref>''Ceux qui le nient vont créer le peuple corse par rejet.'' (Coloro che lo negano vogliono creare il popolo corso per espulsione.</ref>, certamente andata soggetta a contestazioni e polemiche<ref>Ad esempio, Raphaël Dargent ne ''Ils veulent défaire la France: La vérité sur le non-dit des programmes'', L'âge d'Homme, 2007, ISBN 2-8251-3756-1, lo accusò di aver miscelato centralismo monarchico e giacobinismo unitario, e si chiese inoltre come mai Rocard non fosse ancora divenuto un importante esponente dell'UDF, di cui tanto bene rappresentava le idee.</ref>, quella di Rocard resta comunque una sintesi di alcuni dei momenti salienti della storia corsa e ratifica, nelle sue intenzioni, alcune delle rivendicazioni su oppressione e riduzione in povertà dell'isola sempre avanzate dagli autonomisti. Confermò dunque che oppressione ci fu e che ce ne erano forti tracce<ref>''Le droit à la résistance à l'oppression est même un des droits fondamentaux de l'homme et du citoyen. Car il y a eu oppression, et il en reste de fortes traces.''</ref>, e che l'isola fu messa in pesante difficoltà da gravi sperequazioni socioeconomiche.
 
Sul piano storico Rocard ricordò ad esempio che quando [[Luigi XV]] acquistò l'isola dalla [[Repubblica di Genova]], ci volle una guerra di occupazione per conquistarla ed in questa la Francia perse più soldati che in tutta la [[guerra d'Algeria]]; dopo la conquista la Francia mantenne l'isola sotto controllo militare sino al [[XIX secolo]] con incerto rispetto della legalità repubblicana<ref>''... la Corse est restée "gouvernement militaire" jusque tard dans le XIXe siècle, avec tout ce que cela implique en termes de légalité républicaine.''</ref>. Durante la [[prima guerra mondiale]] la [[coscrizione]] in Corsica chiamò alle armi anche padri di 6 figli, cosa mai successa sul Continente<ref>''pendant la guerre de 1914-1918, on a mobilisé en Corse, ce qu'on n'a jamais osé faire sur le continent, jusqu'aux pères de six enfants.''</ref>, causando la perdita di una quota rilevante di forza lavoro, peraltro impedendo la trasmissione tradizionale dei mestieri di padre in figlio<ref>''de ce fait, encore en 1919, il n'y avait pratiquement en Corse presque plus d'hommes valides pour reprendre les exploitations agricoles. Les tout jeunes n'ont pas eu le temps de recevoir la transmission des savoir-faire.''</ref> ed in pratica offrendo lavoro ai superstiti solo come postini o come finanzieri<ref>C'est ainsi qu'ils sont devenus postiers et douaniers.</ref>; insomma si sarebbe scodellata una formula di [[assistenzialismo]] senza precedenti che per l'autore fu la vera ragione del ''cliché'' sulla supposta indolenza dei Corsi<ref>''c'est donc à ce moment que la Corse devient une économie assistée, ce qu'elle n'était pas auparavant. L'apparition de la " paresse corse " dans les blagues, les chansons et le folklore datent de là. On n'en trouve pas trace avant.''</ref><ref>Sul cliché dell'indolenza e su altri cliché sui Corsi, si veda {{fr}} [http://www.unifranzoesisch.homepage.t-online.de/Lank/Bienvenue%20chez%20les%20Corses.doc Vingt siècles de clichés sur la Corse], intervista di Axel Gyldèn ([[L'Express]] 7 agosto 2008) a [[Gabriel Xavier Culioli]], scrittore corso.</ref>.
 
Ma, continuò Rocard, anche la differenza fra il [[diritto]] [[successione (diritto)|successorio]] tradizionale corso, di [[tradizione orale]], ed il cogente diritto formale francese non fece che favorire i "metropolitanizzati", sottraendo ai corsi le terre di loro ancestrale [[proprietà (diritto)|proprietà]] e, privandoli dei relativi titoli, quand'anche ne fossero rimasti in [[possesso]] gli agricoltori corsi non poterono accedere al credito per investire in agricoltura<ref>''d'autre part, le droit successoral traditionnel corse était fort différent du [[Code Napoléon|code civil]]. C'est ainsi que les "métropolitanisés", si j'ose dire, Corses ou non-Corses, se sont injustement appropriés, bien des terres ancestrales. C'est aussi la raison principale pour laquelle beaucoup d'agriculteurs corses traditionnels n'ont pas de titres de propriété leur permettant d'obtenir du crédit.''</ref>. In più, il sistema continentale, applicato senza riguardo per quello in uso localmente, abolì istituti giuridici come l'[[uso civico]] (diffusamente corrente in Corsica come in Sardegna<ref>Per la Sardegna si veda anche [[ademprivio]]</ref>) e distrusse le forme spontanee di [[proprietà collettiva]]<ref>''de la même façon, le code civil ne prévoit pas, et interdit même, la propriété collective. Or tout l'élevage corse, et notamment celui des porcs - la charcuterie corse est justement célèbre -, se faisait sur terres de pacage collectives.''</ref>.
 
E sul lavoro l'articolo sottolineò anche la grave inopportunità, negli anni cinquanta, dell'azione della [[Somivac]], un'azienda governativa di valorizzazione del territorio della Corsica con il compito di [[requisizione|requisire]] terreni, portarvi le [[infrastrutture]] e rivendere ai corsi i terreni valorizzati; nel 1962 cominciarono le vendite, ma dei primi 400 lotti il 90% fu assegnato a reduci e profughi dell'Algeria, i ''[[pieds-noirs]]''. Secondo l'ex primo ministro queste percentuali erano direttamente incitanti alla [[guerra civile]]<ref>"''ce pourcentage est une incitation à la guerre civile.''"</ref>. Che per poco non venne, effettivamente, anni dopo. Il cosiddetto "dramma di [[Aleria]]"<ref>Una cantina sociale fu occupata, nel 1975, da una decina di uomini armati per protestare contro i proprietari; questi, secondo gli occupanti, a causa di truffe miliardarie da loro commesse insieme ad alcuni rivenditori, avevano ridotto in gravissima crisi gli agricoltori corsi. L'occupazione fu contrastata militarmente dalle forze dell'ordine, la folla accorse in supporto degli occupanti, ci furono scontri, morti da ambo le parti, a [[Bastia]] ci fu un tentativo di insurrezione.</ref>, infatti, consistette secondo Rocard in una risposta (militare) sproporzionata e nella fine della possibilità di dialogo con l'Eliseo, con conseguente esplosione di violenza<ref>''la tuerie d'Aléria, les 21 et 22 août 1975, a été ressentie comme la fin de tout espoir d'une amélioration consécutive à des discussions avec le gouvernement de la République et a donné le signal du recours à la violence, parce que tous les Corses, je crois sans exception, ont très bien compris que jamais une riposte pareille à une occupation de ferme n'aurait pu avoir lieu dans l'Hexagone.'' (per ''Hexagone'' si intende la Francia continentale)</ref>.
 
L'applicazione negli anni settanta, ad opera di [[Valéry Giscard d'Estaing|Giscard d'Estaing]], di una politica di [[continuità territoriale]], fu attuata a senso unico, garantendo prezzi politici dei trasporti di persone e merci solo dal Continente alla Corsica e non anche nella direzione inversa; per Rocard questa applicazione solo parziale determinò un gravissimo danno economico, portandole aziende vinicole e di salumeria<ref>La salumeria era una produzione tradizionale caratteristica dell'isola, precedentemente anche di buona esportazione.</ref> alla morte economica<ref>''Les oranges corses continuaient d'arriver à Marseille avec des frais de transport plus élevés que celles qui venaient d'Israël. Pour les vins et la charcuterie, ce fut la mort économique.''</ref>.
 
In questa analisi, i passaggi citati descrivevano un insieme di fattori che erano causa, secondo Rocard, dello stato rivoltoso dell'isola. A partire dalla mancanza di giustizia fondiaria, che provoca violenza<ref>''Tout commence bien sûr par la terre. En l'absence d'une véritable justice foncière, c'est la violence qui est devenue l'instrument de défense des droits personnels, et la loi du silence, l'omerta, la traduction inévitable de la solidarité familiale devenue clanique.''</ref>.
 
Il dibattito si svolgeva, come detto, parallelamente ai lavori di Matignon, dai quali nel 2001 sortirono provvedimenti per l'autonomia corsa lungamente negoziati<ref>Dal 1998 al 2001</ref> fra il governo e rappresentanti della regione. L'analisi del risultato legislativo è alquanto diversificata nei vari osservatori.
</div>
}}
 
=== Dagli anni ottanta ai giorni nostri ===
{{vedi anche|Referendum sull'autonomia della Corsica del 2003}}
Mentre il FLNC (dal [[1983]] del tutto fuorilegge e poi divisosi) porta avanti la sua campagna clandestina, sorgono diverse formazioni politiche autonomiste ed indipendentiste che partecipano al processo democratico e portano avanti pacificamente le proprie rivendicazioni.
 
Le campagne dinamitarde hanno raramente fatto vittime, come il caso del gennaio [[2006]], quando un giovane attentatore è morto dilaniato dalla bomba che si apprestava a piazzare ad Aix-en-Provence).
 
Già negli anni ottanta, tuttavia, una parte degli attentati finisce per essere funzionale a regolamenti di conti privati ed alla riscossione di una ''tassa rivoluzionaria'', di fatto difficilmente distinguibile dal ''pizzo'', a segnalare la deriva mafiosa e le infiltrazioni di cui spesso sono preda i movimenti di liberazione in generale.
 
Una prova particolarmente imbarazzante del ''gioco delle parti'' che si nasconde dietro certe violenze si avrà nella notte tra il 20 e il 21 aprile [[1999]] quando un attentato - che si scoprirà ordinato direttamente dal Prefetto dell'isola, Bernard Bonnet - distrugge un ristorante a [[Coti Chiavari]].
Bonnet, scoperto, sarà destituito ed arrestato.
 
Già sul finire degli anni settanta nascono i primi partiti autonomisti e nazionalisti, mentre la politica è occupata da quelli che gli attivisti locali definiscono eredi dei ''clanisti'', ossia i maggiorenti isolani che rappresentano i partiti nazionali francesi.
 
Nel [[1977]] nasce l'UPC ''Unione di u Populu Corsu'', partito guidato da Edmond Simeoni, tuttora presente sulla scena politica e di orientamento autonomista.
Sul finire degli anni ottanta il FLNC crea un proprio braccio politico, che subisce varie scissioni e che dà vita infine ad alcuni partiti politici indipendentisti. Anche il braccio armato si dividerà in più pezzi, dando luogo ad una certa diminuzione nel numero degli attentati, che sino alla fine degli anni novanta si contano nell'ordine di almeno mezzo migliaio l'anno.
 
I partiti politici indipendentisti sorti dalle scissioni si riunificano nel [[1992]], dando vita a ''Corsica Nazione'', oggi una delle forze politiche più importanti dell'isola.
In generale - e semplificando oltremodo - si può dire che i partiti autonomisti siano spesso afferenti all'area politica della sinistra, mentre quelli indipendentisti sono piuttosto tendenti a destra; tuttavia vi sono anche partiti indipendentisti d'ispirazione socialista.
Quel che è certo è che, a tutt'oggi, la galassia dei partiti e dei movimenti autonomisti ed indipendentisti isolani sconta la sua perenne frammentazione e le sue rivalità e divisioni, non riuscendo mai a conquistare la maggioranza dei voti sull'isola.
 
Lo sforzo politico ha tuttavia dato alcuni frutti, come la riapertura ([[1981]]) a [[Corte (Francia)|Corte]] dell'università di Corsica fondata da Pasquale Paoli (chiusa dai francesi nel [[1769]], non appena ebbero il controllo pieno dell'isola e mai più riaperta) e, un anno dopo ([[1982]]) la concessione sotto [[François Mitterrand]], dello Statuto Particolare.
La riforma sarà osteggiata e svuotata in tutti i modi dai conservatori e dai nazionalisti francesi.
Si giunge così al [[1991]], con la nascita della ''Collettività territoriale di Corsica'' dotata di un nuovo statuto particolare che trasferisce all'Assemblea di Corsica (eletta a suffragio universale) già creata nel 1982 numerose competenze in materia culturale, economica e sociale.
 
Durante tutti gli anni ottanta e novanta si susseguono assassinii mirati degni della più antica tradizione della ''vendetta'' isolana, vittime sia avversari politici, sia gendarmi, sia poliziotti.
Il più grave di questi delitti è certamente l'omicidio del Prefetto di Corsica Claude Erignac, freddato il 6 febbraio [[1998]] ad [[Ajaccio]].
 
Il 6 luglio [[1947]] riapparve col nome di ''Nowa doba'', dapprima come settimanale, poi come bisettimanale (dall'ottobre 1947), poi come trisettimanale (dal luglio [[1948]]), ed infine come quotidiano (dal 1º ottobre [[1955]]), nonostante le limitazioni imposte dalla [[DDR]].
Né il delitto Erignac, né lo scandalo sollevato dalle attività terroristiche promosse dal suo successore Bonnet, hanno fermato il cammino delle riforme.
Per iniziativa del governo di [[Lionel Jospin]] già nel [[1999]] vengono avviate nuove trattative che condurranno, nel [[2002]] al varo di una nuova ''Loi sur la Corse'' (Legge sulla Corsica) che oltre ad estendere i poteri dell'Assemblea di Corsica, prevede un'estensione - sebbene ancora insufficiente - dell'insegnamento della lingua còrsa sia nelle scuole materne che in quelle elementari.<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/07/07/la-corsica-dice-no-chirac.html ''La Corsica dice no a Chirac''] di Giampiero Martinotti, da ''[[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]'' del 7 luglio 2003</ref>
 
Nel [[1989]] riprese il vecchio nome.
== Note ==
<references/>
 
È membro di [[Internationale Medienhilfe]] e dell'[[Associazione dei quotidiani in lingua minoritaria e regionale|associazione dei quotidiani in lingua minoritaria e regionale (MIDAS)]]
== Bibliografia ==
* Beri E.,'' Genova e il suo Regno. Ordinamenti militari, poteri locali e controllo del territorio in Corsica fra insurrezioni e guerre civili (1729-1768), ''CIttà del Silenzio, Novi LIgure, 2011.
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* Costa L.J., 2004, ''Corse préhistorique. Peuplement d'une île et modes de vie des sociétés insulaires (IXe&nbsp;– IIe millénaires av. J.-C.)'', Éditions Errance, Paris.
* Costa L.J., 2006, ''Description typo-technologique des industries lithiques taillées de Corse, du Mésolithique au Chalcolithique'', B.A.R., International Series 1501, Archeopress, Oxford.
* R. Zucca, ''La Corsica romana'', Oristano 1996
* Costa L.J., 2006, ''Questions d'économie préhistorique. Mode de vie et échange en Corse et en Sardaigne'', Édition du CRDP, Ajaccio.
* Costa L.J., 2007, ''L'obsidienne, un témoin d'échanges en Méditerranée préhistorique'', Éditions Errance, Paris.
* Costa L.J., 2007, ''Promenades préhistoriques. Découvrir et comprendre les sites de Corse'', Stantari HS 1, Kyrnos Publications, Porto-Vecchio.
* Lanfranchi F. (de) et Weiss M.-C., 1997, ''L'aventure humaine préhistorique en Corse'', Éditions Albiana, Ajaccio.
* Boswell, James, ''An Account of Corsica, the Journal of a Tour to that Island; and the Memories of Pascal Paoli'', Glasgow, R & A Foulis, 1768;
* P. Antonetti, ''Histoire de la Corse'', Laffont, Paris, 1902;
* X. Poli, ''La Corse dans l'Antiquité et dans le haut Moyen Age'', Paris, 1907;
* L. Villat, ''Histoire de Corse'', Bovin et C.ie, Paris, 1914;
* R. Emanuelli, ''Gênes et l'Espagne dans la guerre de Corse (1559-1569)'', Picard, Paris, 1964;
* P. Arrighi, F. Pomponi, ''Histoire de la Corse'' (collana ''Que sais-je?'', 262), Presses Universitaires de France, Paris, 1967;
* F. Ettori, ''La paix génoise'', in ''Histoire de la Corse'', P. ARRIGHI, Toulouse, 1971;
* R. Emanuelli, ''Le gouvernement de Louis XVI offre à la République de Gênes la rétrocession de la Corse (1790)'', ''Annales historiques de la Révolution française, XLVII'', 1974;
* M. Torsello, ''Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943'', Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1975;
* R. Cruccu, ''L'Italia e la Corsica nella seconda guerra mondiale'' in ''Memorie storiche militari'', Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1977;
* Jean Defranceschi, ''Recherches sur la nature et répartition de la propriété foncière en Corse de la fin de l'Ancien Régime jusqu'au milieu de XIXe siècle'', Ajaccio, 1986;
* AA. VV., ''Verbali delle riunioni tenute dal Capo di SM Generale, Vol. IV (1° genn. - 7 sett. 1943)'', Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1987;
* Sabino Acquaviva ''La Corsica: Storia di un genocidio'', Franco Angeli, Milano, 1987;
* Georges Oberti, ''Pasquale de' Paoli'', Editions Pasquale de' Paoli, 1990;
* Ghjacumu Thiers, ''Santu Casanova è a lingua Corsa'', ADECEC Cervioni, 1992;
* C. Paletti, ''Un'operazione riuscita: Corsica settembre 1943'' in ''Memorie storiche militari'', Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1999;
* Michel Rocard, ''Corse: Jacobins, ne tuez pas la paix!'', Le Monde, Paris, 2000;
* Giovanni Magli, ''Le truppe italiane in Corsica prima e dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943'', Lecce, Tipografia Scuola AUC, 1950
* AAVV, ''Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943'', Roma, USSME, 1975;
* AAVV, ''Le operazioni delle unità italiane in Corsica nel settembre-ottobre 1943''. Atti del convegno, Lucca, Associazione nazionale combattenti e reduci, 1987;
* Giulio Vignoli, ''Gli Italiani dimenticati. Minoranze italiane in Europa'', Giuffrè, Milano, 2000;
 
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* [[Decreto di riunione della Corsica alla Francia]]
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