Tavole di San Giuseppe e Categoria:Morti nel 1805: differenze tra le pagine

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Le '''tavole di san Giuseppe''' sono grandi tavolate imbandite il [[19 marzo]] in onore di [[San Giuseppe]]. L'usanza è attestata in [[Salento]] nei comuni di [[Giurdignano]], [[Poggiardo]], [[Uggiano la Chiesa]], [[Cerfignano]], [[Cocumola]], [[Minervino di Lecce]], [[Casamassella]], [[Otranto]], [[Valguarnera]], [[Lizzano]]<ref>Salvatore Fischetti, ''Lizzano per san Giuseppe. Le tavolate devozionali. Storia e costume'', Brindisi, Associazione Amici della Biblioteca De Leo, 1988, pp. 269, ill. a colori e in b/n. [http://lizzanoplus.blogspot.com/p/tradizioni.html] Riti popolari per san Giuseppe.</ref>, [[San Marzano di San Giuseppe]], [[Sava (Italia)|Sava]], [[Monteparano]], [[San Pietro Vernotico]], [[Erchie]] e [[San Donaci]] ed inoltre in [[Abruzzo]], a [[Monteferrante]]<ref>
Persone morte nel [[1805]].
{{Cita web
|autore=Comune di Monteferrante
|url=http://www.comune.monteferrante.ch.it/index.php?option=com_content&view=article&id=55&Itemid=79
|titolo=Le Tavole di San Giuseppe
|data=2009
|accesso=10/02/09}}.</ref>; anche a [[Riccia]] (Molise), la tradizione è molto sentita, così come, seppur in misura minore, in altri paesi della regione.
 
{{interprogetto}}
Queste tavole sono realizzate con diverse pietanze che vanno dai [[lampascioni]] alle "rape", dai "[[vermiceddhri]]" (tipo di pasta con cavoli) al pesce fritto, dalle [[pettole|pittule]] alla [[zeppola]], dal [[pane]] a forma di grossa ciambella ai finocchi e alle arance. Il tutto viene consumato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti "santi" impersonati da amici o parenti delle famiglie che vanno da un numero minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari.
 
[[Categoria:OtrantoEventi del 1805]]
==Tradizione salentina==
{{indice categoria}}
{{W|costume|febbraio 2009|arg2=Puglia}}
[[Categoria:Morti nel XIX secolo| 3805]]
[[Immagine:Tavola di San Giuseppe Cocumola.jpg|thumb|left|Tavola di San Giuseppe a [[Cocumola]]]]
Le tavole sono generalmente uguali in tutto il [[Salento]], con alcune piccole differenze. Per esempio nel tarantino alcuni paesi hanno dei dolci tipici della tradizione dell'[[Alto Salento|Altosalento]] mentre le tavole nel leccese al contrario hanno dei piatti tipici dei paesi in cui si svolge la tradizione. Queste differenze sono pochissime dato che i piatti tradizionali salentini della tavola sono presenti in tutti i comuni in cui c'è la tradizione.
 
Tutto inizia nel periodo precedente la festa, cioè tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo, quando alcune famiglie devote preparano del pane o una pasta tradizionale - la ''massa e ciciri'' - o entrambe, per distribuirli a tutti coloro che si presentano a casa. È un rito antico, quello della massa: la preparazione, soprattutto molti anni fa, avveniva al ritmo della preghiera (si lasciava cuocere al tempo di un Pater Noster, si lasciava riposare nei ''limmi'' - recipienti tradizionali - il tempo di 10 Ave Maria..etc); la distribuzione seguiva la recita del rosario, quasi a voler "santificare" la fatica compiuta con la preghiera. La tradizione impone alla famiglia devota di non mangiare di ciò che ha distribuito se non le rimanenze: in sostanza sono banditi atteggiamenti del tipo "ne metto un po' da parte" o "ne lascio un po' per tizio o caio".
 
Una forma ancora più forte di devozione spinge alcune famiglie (per grazia ricevuta o come segno propiziatorio) a preparare, il giorno della festa, le tavole di san Giuseppe: vere e proprie tavole imbandite e preparate secondo regole precise.
Un tempo, i commensali erano scelti tra i poveri del paese, mentre oggi è più frequente estendere l'invito a parenti e amici, preferibilmente tra coloro che hanno maggior bisogno o hanno una famiglia numerosa. Il numero minimo è di tre - San Giuseppe, [[Maria (madre di Gesù)|Maria]] e [[Gesù]] - a cui si aggiungono altre "coppie di santi" fino al massimo di tredici persone (numero che richiama i componenti dell'ultima cena).[[Immagine:Tavolasangiuseppelizzano.JPG|thumb|upright=1.3|Tavola di San Giuseppe a [[Lizzano]]]]
 
La ''taula'' può essere cotta, cioè formata da 13 pietanze per ciascun santo, tra cui: la massa e ciciri, verdura lessa, pasta col miele e la mollica di pane, pesce fritto, [[Fave|crema di fave]] (le favenette) con pane fritto; questa forma di preparazione era molto diffusa quando le famiglie erano tutte abbastanza numerose e la povertà era forte: in una situazione del genere, fare il santo ad una tavola significava una benedizione.
Oggi, migliorate in genere le condizioni di vita e ridotto il numero di componenti delle famiglie, si è diffusa l'abitudine di mettere in tavola solo alcune pietanze simboliche (i lampascioni, il pesce fritto, la zeppola e la frutta) e comprare quello che si preferisce lasciandolo crudo, perché lo si possa consumare in seguito. Tuttavia, nell'immaginario collettivo, la forma massima di devozione, per la notevole fatica a cui si incorre, consiste nella preparazione della ''taula'' tutta cotta, specialmente se composta dal numero massimo dei santi (13): essa impone, infatti, la preparazione di 169 piatti (13 pietanze per 13 santi).
Non mancano in nessuna tavola i tradizionali tòrtini - dei pani a forma di ciambella del peso di 5 o 3 chili - e, al centro, ben in vista, un'effigie di San Giuseppe o della Santa Famiglia; accanto alla sedia del commensale che avrà la "parte" di San Giuseppe, poi, si trova un bastone con posti alla cima dei fiori bianchi - a ricordo del miracolo che, secondo la leggenda, avrebbe consentito di individuare Giuseppe quale sposo della Vergine.
 
Il giorno della festa, dopo aver partecipato alla messa, i santi si recano nelle case dove sono attesi: di lì a poco passerà il sacerdote per la benedizione, dopo la quale gli invitati si siederanno a tavola e inizieranno a mangiare. Tuttavia, sarà sempre San Giuseppe a "governare" la situazione: a lui spetta decidere quando si smette di mangiare ogni pietanza battendo tre volte la forchetta sul bordo del suo piatto. A questo segnale tutti gli altri santi devono smettere di mangiare e passare alla pietanza successiva, servita dai componenti della famiglia devota.
Alla fine del pranzo, dopo un breve momento di preghiera, i santi portano via con sé tutto ciò che è rimasto e, se la ''taula'' è cruda, quello che è stato loro destinato senza dimenticarsi di pregare san Giuseppe perché esaudisca i loro desideri e aspirazioni.
{{cn|Il senso di un rituale che può sembrare complesso e astruso sta nella volontà di sviluppare il senso della "condivisione" in tutti coloro che, in un modo o nell'altro, perché devoti o invitati, partecipano alla Taula, ricordandosi che ciò che si ha va diviso e condiviso, avendo in mente la preghiera che caratterizza tutto il tempo della festa di questo "uomo del silenzio": Giuseppe.}}
 
== Note==
<references/>
 
== Voci correlate ==
*[[Tavolate di San Giuseppe]]
 
{{Portale|Festività|Puglia}}
 
[[Categoria:Otranto]]
[[Categoria:Tradizioni popolari della Puglia]]