Ipazia e Kālidāsa: differenze tra le pagine

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{{nota disambigua|descrizione=l'asteroide con questo nome|titolo=[[238 Hypatia]]}}
[[File:Hypatia portrait.png|thumb|right|230px|Ipazia di Alessandria, illustrazione del 1908]]
{{Quote|Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,<br />vedendo la casa astrale della Vergine,<br />infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto<br />Ipazia sacra, bellezza delle parole, <br />astro incontaminato della sapiente cultura.|[[Pallada]], ''[[Antologia Palatina]]'', IX, 400|{{polytonic|ὅταν βλέπω σε, προσκυνῶ, καὶ τους λόγους.<br />τῆς παρθένου τὸν οἶκον ἀστρῷον βλέπων<br />εἰς οὐρανὸν γάρ ἐστι σοῦ τὰ πράγματα,<br />Yπατία σεμνή, τῶν λόγων εὐμορφία,<br />ἄχραντον ἄστρον τῆς σοφῆς παιδεύσεως}}.|lingua=el}}
{{Bio
|Nome = IpaziaKālidāsa
|Cognome =
|PreData = [[lingua sanscrita|sanscrito]] कालिदास, lett. "servitore della dea [[Kālī]]"
|PreData = in [[greco antico]]: {{polytonic|Ὑπατία}}, in [[lingua latina|latino]]: ''Hypatia''
|Sesso = FM
|LuogoNascita = Alessandria d'Egitto
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = circaIV [[370]]secolo
|LuogoMorte = Alessandria d'Egitto
|GiornoMeseMorte = marzo
|AnnoMorte = 415V secolo
|Epoca = IV
|PreAttività = fu una
|Epoca2 = V
|Attività = matematica
|Attività = poeta
|Attività2 = astronoma
|Attività2 = drammaturgo
|Attività3 = filosofa
|Nazionalità = grecaindiano
|Categorie = no
|Immagine =
|DimImmagine =
|Didascalia =
}}
Rappresentante della filosofia [[neoplatonismo|neo-platonica]] pagana,<ref>Cfr., ad es., Mary Ellen Waithe. ''Encyclopedia of Philosophy'', vol.4 NY, MacMillan, 2005 pag.534 e segg. e G. J. Toomer ''Oxford Classical Dictionary''. Oxford University Press 1970.</ref> la sua uccisione da parte di una folla di cristiani fanatici<ref>Cfr. tra gli altri, Christoph Markschie. ''In cammino tra due mondi: strutture del cristianesimo antico''. Milano, [[Vita e Pensiero]], 2003, pag. 19; Enrico Pepe. ''Il santo del giorno'' vol.2 Città Nuova 2009 pag.254; Claudio Moreschini. ''Letteratura cristiana delle origini. Greca e latina'' Città Nuova, 2007 pag.128;</ref>, per alcuni autori composta da monaci detti ''[[parabolani]]''<ref>Cfr. tra gli altri, [[Julien Ries]] ''Opera Omnia'' vol.1 pag.176 Milano, Jaca Book, 2006; Francesco Romano. ''Porfirio di Tiro: filosofia e cultura nel III secolo'' Parte 3. pag. 52 Università di Catania 1979. L'eventuale coinvolgimento dei ''[[parabolani]]'', monaci-infermieri alle dirette dipendenze del vescoco di Alessandria [[Cirillo di Alessandria|Cirillo]] nonché sua "guardia del corpo" (cfr. al riguardo [[Salvatore Pricoco]]. ''Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del cristianesimo''. Vol.I a cura di [[Giovanni Filoramo]] e [[Daniele Menozzi]]. Bari, Laterza, 2008, pag. 346-7), chiamerebbe in causa il diretto coinvolgimento del vescovo Cirillo, coinvolgimento evidenziato da Jacques Lacarrière (''Die Gott-Trunkenen'', 1967, p. 151); notano comunque [[:de:Heinrich Fries|Heinrich Fries]] e [[:de:Georg Kretschmar|Georg Kretschmar]] che: {{q|Socrate, che sulla vita di Isidoro era meglio informato di Damascio, non tira in ballo Cirillo nell'assassinio della filosofa neoplatonica Ipazia nel marzo 415, che i cristiani sospettavano di essere forse la consultente astrologica del prefetto. Tuttavia anche se l'arcivescovo era un politico troppo avveduto per lasciarsi compromettere da una impresa tanto esecrabile, resta però il fatto che l'organizzazione del delitto fu, non di meno, che un'opera di un suo chierico.| [[:de:Heinrich Fries|Heinrich Fries]] e [[:de:Georg Kretschmar|Georg Kretschmar]]. ''I classici della teologia'' Volume 1. Milano, Jaca Book, 1996 pag.178}} [[Ilaria Ramelli]] e [[Moreno Morani]] sono intervenuti, mediante articoli giornalistici e interventi su ''blog'' (cfr. [http://www.laici.org/morani.pdf] e [http://terzotriennio.blogspot.com/2010/06/ma-non-e-detto-che-ipazia-fu-uccisa-dai.html]), per sostenere invece che il coinvolgimento del vescovo Cirillo e della Chiesa di Alessandria non risulterebbero evidenti dalle fonti di riferimento.</ref>, l'ha resa una [[martire]] del [[paganesimo]]<ref>Cfr. ''Prometheus: rivista quadrimestrale di studi classici'', vol. 4-5, 1986, pag. 108.</ref> e della [[libertà di pensiero]]<ref>Ad es. Augusto Agabiti. ''[[s:Ipazia|Ipazia: La prima martire della libertà di Pensiero]]'', Enrico Voghera, 1914.</ref>.
 
== Biografia ==
[[File:Kalidas.jpg|thumb|upright|Monumento dedicato a Kālidāsa]]
=== Astronoma e matematica ===
È il più grande poeta della letteratura classica indiana,<ref name=Muse>{{cita libro | titolo=Le Muse | editore=De Agostini | città=Novara | anno=1965 | volume=6 | p=227}}</ref> vissuto probabilmente tra il [[III secolo|IV]] e il [[V secolo]] della nostra era.
Ipazia nacque ad [[Alessandria (Egitto)|Alessandria]]<ref>«Ella nacque, crebbe e ricevette la sua istruzione ad Alessandria», Suda, IV 644, 3.</ref> nella seconda metà del [[IV secolo]]. Non è possibile stabilire con maggiore precisione l'anno della sua nascita: il lessico [[Suda]] sostiene che ella «fiorì durante il regno d'[[Arcadio]]»,<ref>Suda, ''cit''.</ref> ossia dal [[395]] al [[408]], il che comporterebbe una data di nascita oscillante dal [[355]] al [[368]],<ref>Robert J. Penella, ''When was Hypatia born?'', in «Historia», XXXIII, 1984, pp. 126-128 e Gemma Beretta, ''Ipazia d’Alessandria'', Roma 1993, p. 34 e n. 40.</ref> anche se la maggior parte degli studiosi crede di poter indicare la sua nascita intorno al [[370]].<ref>Così, per esempio, Richard Hoche, ''Hypatia, die Tochter Theons'', in «Philologus» 15, 1860, pp. 435-474, John M. Rist, ''Hypatia'', in «Phoenix», 19, 1965 o Karl Praechter, ''Hypatia'' in «Real Enzyklopädie der Altertums», IX, Stuttgart 1914.</ref>
Poche sono le notizie biografiche di Kālidāsa, invece sono numerose le leggende e gli aneddoti che lo riguardano. Kālidāsa sarebbe nato da un [[brahmano]], ma sarebbe rimasto orfano in tenera età.<ref name = Muse /> Avrebbe ricevuto in dono da Kali i talenti dell'intelligenza e del sapere.<ref name = Muse />
 
Si ritiene che sia vissuto alla corte del sovrano [[Impero Gupta|Gupta]] [[Impero Gupta#Chandragupta II (375-413)|Chandragupta II]].
Nulla si sa della madre e il fatto che i saluti rivolti a Ipazia e agli altri familiari nelle lettere del suo allievo [[Sinesio di Cirene|Sinesio]] non la citino mai, fa ritenere che, almeno nel [[402]], ella fosse già morta.<ref>Sinesio, ''Epistolae'' 5 e 16, in ''Opere di Sinesio di Cirene'', Torino 1989. Le due lettere sono del 400 circa e del 413.</ref> Si sa di un fratello di nome Epifanio, dedicatario sia del ''Piccolo commentario alle Tavole facili di [[Tolomeo]]''<ref>Theon, ''Le Petit commentare de Théon d’Alexandrie aux Tables faciles de Ptolomée'', tr. da A. Tihon, Città del Vaticano 1978.</ref>, che del IV libro dei ''Commentaria a Tolomeo''<ref>Theon, ''Commentaria in Ptolomaei syntaxin mathemathicam III-IV'', Città del Vaticano 1943.</ref>, del padre [[Teone di Alessandria|Teone]].
 
Kālidāsa è valutato, accanto a [[Amaruka]] (o Amaru) e [[Bhartṛhari]], quale maggior vate della poesia sanscrita, e a lui sono attribuite una trentina di opere.
Dubbia è la possibilità che avesse un altro fratello di nome Atanasio; nelle lettere in cui Sinesio saluta Ipazia: «Abbraccia per me la venerabilissima e piissima filosofa, il beato coro che gode della divina voce, ma soprattutto il beatissimo padre Teotecno e il compagno nostro Atanasio»<ref>''Epistola'' 5.</ref> e «stammi bene e salutami i compagni felici, cominciando dal padre Teotecno e dal fratello Atanasio»,<ref>''Epistola'' 16.</ref> l’ipotesi che Teotecno — ''Teone'' è effettivamente il diminutivo di Teotecno — e Atanasio indichino rispettivamente il padre e il fratello di Ipazia,<ref>Avanzata da Gemma Beretta, cit., p. 35; Guido Bigoni, ''Ipazia Alessandrina'', Venezia 1887, considera Teotecno il padre di Ipazia, ma ritiene che Atanasio sia un allievo della matematica alessandrina.</ref> non ha la maggioranza dei consensi dei commentatori.<ref>Maria Dzielska, ''Ipazia e la sua cerchia intellettuale'', in «Paganism in the Later Roman Empire and in Byzantium», Cracovia 1991, ritiene Atanasio un sofista di Alessandria, allievo di Ipazia; tuttavia anche Denis Roques, in ''La famille d'Hipatie (Sinésios, epp. 5 et 16)'', 1995 e in ''Theoteknos, Fils de Dieu'', 1998, identifica Teotecno e Atanasio con il padre e un fratello di Ipazia, contestato da Olivier Masson, in ''Theoteknos, Fils de Dieu'', 1997, e da Tassilo Schmitt, ''Die Bekehrung des Synesios von Kyrene'', 2001, che nega che Atanasio sia fratello di Ipazia, non ritiene possibile che Sinesio abbia confuso Teone con il gruppo degli allievi di Ipazia e pensa che il ''beatissimo padre'' possa essere un sacerdote cristiano.</ref>
 
[[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]] fu affascinato dalla ''[[Abhijñānaśākuntalam|Sakùntala]]'' di Kālidāsa, che il poeta [[Arthur Symons]] nominava il più bel dramma del mondo.
Noto è invece il padre, «[[Teone di Alessandria|Teone]], il geometra, il filosofo d’Alessandria»,<ref>Suda, cit.</ref> che studiava e insegnava ad Alessandria, dedicandosi in particolare alla matematica e all'astronomia — osservò l'eclisse solare del [[15 giugno]] [[364]] e quella lunare del [[26 novembre]] — e che sarebbe vissuto almeno per tutto il regno di [[Teodosio I]] ([[378]]-[[395]]).<ref>Suda, II 702, 10-16.</ref> Che Ipazia sia stata allieva prima e collaboratrice del padre poi è attestato dallo stesso Teone il quale, in capo al III libro del suo commento al ''Sistema matematico'' di Tolomeo,<ref>Codice Laurenziano 28.18 L.</ref> scrive che l'edizione è stata «controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia». Non è chiaro il tipo di controllo esercitato da Ipazia: se si sia trattato di una semplice revisione del commento paterno,<ref>Così il Rome, curatore dell'edizione del III libro, Città del Vaticano, 1943.</ref> di integrazioni al testo<ref>Wilbur R. Knorr, ''Textual Studies in Ancient and Mediaeval Geometry'', Boston 1989.</ref> ovvero di editare l'intero testo di Tolomeo.<ref>Alan Cameron, ''Isidore of Myletus and Hypatia: on the Editing of mathematical Texts'', «Greek Roman and Byzantine Studies», 31, 1990.</ref>
 
''Sakùntala'' fu una tra le prime opere della letteratura indiana a venir conosciuta in [[Civiltà occidentale|Occidente]], nella traduzione inglese ([[1789]]) di [[William Jones (filologo)|Sir William Jones]]. La storia di [[Shakuntala|Sakùntala]] e del re [[Dushyanta]] la si ritrova anche nel ''[[Mahābhārata]]'' e nei ''[[Purāṇa]]'', tuttavia non con la stessa maestria stilistica.
Le fonti antiche sono concordi nel rilevare come non solo Ipazia fosse stata istruita dal padre nella matematica ma, sostiene [[Filostorgio]], anche che «ella divenne molto migliore del maestro, particolarmente nell’astronomia e che, infine, sia stata ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche».<ref>Filostorgio, ''Historia Ecclesiastica'', VIII, 9; Fozio, ''Ex Ecclesiasticis Historis Philostorgi Epitome'', in J. P. Migne, ''Patrologia Graeca'', vol. LXV.</ref> Filostorgio non è soltanto uno storico della Chiesa, ma anche un appassionato, se non un esperto, di astronomia e di astrologia,<ref>Joseph Bidez, ''Einleitung zur Kirchengeschichte'', CIX-CX, in «Philostorgios Kirchegeschichte», Berlin, Akademie Verlag 1981</ref> e le sue affermazioni trovano conferma in [[Damascio]] il quale scrive che Ipazia «fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l'aveva introdotta, ma non senza altezza d'animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche».<ref>Damascio, ''Vita Isidori'', 77, 1-4.</ref>
 
Gli altri due drammi narrano degli amori dei due protagonisti, ostacolati da gelosie, rivalità e allontanamenti.
Matematica, astronoma e filosofa, come aveva già attestato il padre: Ipazia aveva tutti i titoli per succedere al padre nell'insegnamento di queste discipline nella comunità alessandrina, nella tradizione del glorioso [[Museo (Alessandria)|Museo]] fondato quasi 700 anni prima da [[Tolomeo I|Tolomeo I Soter]]. Anche se il vecchio Museo non esisteva più da quando era andato distrutto al tempo della guerra condotta da [[Aureliano]], la tradizione dell'insegnamento delle scienze mediche e della matematica era però continuata ad Alessandria, mantenendo intatto l'antico prestigio, come conferma anche [[Ammiano Marcellino]],<ref>''Res gestae'' XXII, 16.</ref> e Ipazia, già almeno dal [[393]] era a capo della scuola alessandrina, come ricorda Sinesio,<ref>Nella lettera 137 scritta in quell'anno: Ipazia è la «donna che a buon diritto presiede ai misteri della filosofia».</ref> giunto ad Alessandria da [[Cirene (città)|Cirene]] per seguirvi i suoi corsi.
Le fonti antiche le attribuiscono sicuramente un commentario a un'opera di [[Diofanto di Alessandria]], che dovrebbe essere, secondo gli interpreti, l'''Arithmetica'', e un commentario alle ''Coniche'' di [[Apollonio di Perga]]. È dubbio se ella abbia composto anche un'opera originale sull'astronomia, un ''Canone astronomico'': la notizia di ''Suda''<ref>Il ''Suda'', IV, 644, che si rifà a una notizia di [[Esichio di Mileto]].</ref> — «scrisse un commentario a Diofanto, il Canone astronomico, un commentario alle Coniche di Apollonio» — non permette di comprendere se quel canone sia in realtà un commento a un'opera di Tolomeo, possibilmente quella già nota e citata dallo stesso padre Teone.
 
Il ''Meghaduta'' descrive il messaggio d'amore che il protagonista ''Yaska'', esiliato sullo [[Himalaya]], invia tramite una nuvola alla sua amata.
La mancanza di ogni suo scritto rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria: a dire del [[Morris Kline|Kline]], quella scuola «possedeva l'insolita combinazione di interessi teorici e interessi pratici che doveva rivelarsi così feconda un migliaio di anni più tardi. Fino agli ultimi anni della sua esistenza, la Scuola alessandrina godette di piena libertà di pensiero, elemento essenziale per il fiorire di una cultura e fece compiere importanti passi avanti in numerosi campi che dovevano diventare fondamentali nel Rinascimento: la geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l'algebra, il calcolo infinitesimale e l'astronomia».<ref>Morris Kline, ''Storia del pensiero matematico'', I, 1999, p. 213.</ref>
 
Il ''Kumārasambhava'' è un [[poema epico]] in diciassette canti che narra l'origine di [[Kumara]], oltreché l'amore tra [[Uma (divinità)|Uma]] e [[Śiva]].
[[File:Astrolabio andalusí Toledo 1067 (M.A.N.) 01.jpg|thumbnail|destra|220px|Astrolabio d'argento dell'XI secolo]]
Progressi sulle conoscenze ereditate fino ad allora sono rivendicate dall'allievo di Ipazia, [[Sinesio di Cirene|Sinesio]], che nel [[399]] scriveva che [[Ipparco di Nicea|Ipparco]], [[Tolomeo]] e i successivi astronomi «lavorarono su mere ipotesi, perché le più importanti questioni non erano state ancora risolte e la geometria era ancora ai suoi primi vagiti»: ora si è ottenuto di «perfezionarne l'elaborazione». E Sinesio fornisce un esempio di tali perfezionamenti e dell'unione di interessi teorici e pratici dall'[[astrolabio]] da lui fatto costruire e «concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra [...] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene, ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato» mentre «lo stesso grande Tolomeo e la divina serie dei suoi successori» si erano contentati di uno strumento che servisse semplicemente da orologio notturno.<ref>Sinesio, ''De dono'' 4. Un'analisi approfondita dello strumento è in Joseph Vogt e Matthias Schramm, ''Synesius vor dem Planisphaerium'', in «Das Altertum und jedes neue Gute für Wolfgang Schadewaldt zum 15. März 1970», 1970. Otto Neugebauer, ''A history of ancient mathematical astronomy'', 1975, lo definisce tuttavia «uno strumento del tutto inutile».</ref>
 
Anche il ''Raghuvamśa'' è un poema epico e storico, in diciannove canti, incentrato sulla figura di [[Rāma]], dai suoi antenati, alle sue gesta e ai suoi discendenti.
Da queste parole si rileva che i matematici e gli astronomi del tempo di Ipazia non consideravano affatto l'opera di Tolomeo l'ultima e definitiva parola in fatto di conoscenza astronomica: al contrario, essa era correttamente ritenuta una semplice ipotesi matematica, segno che per gli astronomi alessandrini era necessario proseguire le ricerche in questo campo per giungere possibilmente alla reale comprensione della natura e della disposizione dell'universo. L'idea di un Tolomeo sistematore della realtà astronomica appartiene alla più tarda epoca medievale.
[[File:Ravi Varma-Shakuntala stops to look back.jpg|thumb|upright|Sakuntala si ferma per guardare Dushyanta, Raja Ravi Varma (1848-1906)]]
=== Teatro ===
 
* ''[[Mālavikāgnimitram]]'' (Mālavikā e Agnimitra)
Un altro strumento costruito su indicazioni di Ipazia fu un [[idroscopio]]: «un tubo cilindrico avente la forma e la misura di un flauto. In linea perpendicolare reca degli intagli, a mezzo dei quali misuriamo il peso dei liquidi. Da una delle estremità è otturato da un cono fissato strettamente al tubo, in modo che unica sia la base di entrambi. È questo il cosiddetto [[barillio]]. Quando s'immerge il tubo nell'acqua, esso rimane eretto e si ha in tal modo la possibilità di contare gli intagli, i quali danno l'indicazione del peso».<ref>Sinesio, ''Epistola'' 15.</ref>
* ''[[Vikramorvaśīya]]'' (Urvasī riconquista col valore)
* ''[[Abhijñānaśākuntalam]]'' (Il dramma di Śakuntalā, ritrovata per mezzo del segno di riconoscimento: edizione italiana recente a cura di Vincenzina Mazzarino. Milano, Adelphi, 1993)
 
=== La filosofia di IpaziaPoesia ===
* ''[[Kumārasambhava]]'' (La nascita di Kumāra)
[[File:AverroesAndPorphyry.JPG|thumbnail|sinistra|230px|Averroè e Porfirio, XIV secolo]]
* ''[[Raghuvamśa]]'' (La stirpe di Raghu)
Analoghe difficoltà presenta la ricostruzione del pensiero filosofico di Ipazia. In assenza di opere autografe e di riferimenti espliciti occorre fare ancora riferimento agli scritti del suo allievo [[Sinesio di Cirene|Sinesio]]. Christian Lacombrade<ref>''Synésios de Cyrène, hellène et chrétien'', 1951</ref> dopo aver analizzato le caratteristiche degli scritti del giovane Sinesio, fondatamente influenzati dal suo soggiorno alla scuola d'Alessandria, afferma che quei primi testi «hanno necessariamente registrato, con modifiche minori che in seguito, il pensiero di quei venerati maestri che Ipazia rivelava nell'élite dei suoi discepoli», concludendone che nell'insegnamento di Ipazia il posto d'onore sarebbe stato tenuto da [[Porfirio]], mentre minore rilievo vi avrebbe avuto [[Giamblico]], sottolineando che Ipazia avrebbe soltanto illustrato il pensiero neoplatonico, senza elevarsi «a una concezione generale del mondo, non ha creato, come qualsiasi autentico filosofo, nessun sistema originale».<ref>Ivi, p. 50.</ref>
* ''[[Meghaduta]]'' (Il nuvolo messaggero)
 
* ''[[Rtusamhāra]]'' (Descrizione compendiosa delle stagioni)
Resta il fatto che Sinesio rimase devotissimo alla sua maestra per tutta la vita, un atteggiamento che sembra dimostrare che egli avrebbe ascoltato ad Alessandria molto più di una semplice esposizione del pensiero di alcuni filosofi: «Sinesio sembra aver sperimentato alla scuola d'Ipazia un'autentica ''conversione'' alla filosofia. Nei suoi ''Inni'' egli si rivela poeta metafisico di intuito religioso di notevole profondità. Inoltre egli, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise i misteri della filosofia».<ref>Jay Bregman, ''Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop'', 1982, p. 19.</ref> Ipazia gli avrebbe insegnato a considerare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità».<ref>Ivi, p. 28.</ref>
 
Sinesio frequentò sia la scuola di Alessandria sia quella di [[Atene]], ma «l'Atene di oggi» — scrisse al fratello Evozio — «non ha nulla di eccelso a parte i nomi delle località [...] al giorno d'oggi l'Egitto tiene desta la mente avendo ricevuti i semi di sapienza da Ipazia. Atene, al contrario, che fu un tempo la sede dei sapienti, viene ora onorata solo dagli apicultori».<ref>''Epistola'' 136.</ref>
 
[[File:Porphyry and Plotinus.jpg|thumbnail|destra|200px|Porfirio e Plotino]]
A opinione del Garzya, la filosofia di [[Plotino]] fu accolta da Sinesio nell'intepretazione alessandrina — in un processo «nel quale dovette avere parte non piccola Ipazia, anche se ci sfuggono i termini» — che si distingueva sia dal neoplatonismo orientaleggiante, «in nome di un certo razionalismo», sia dal neoplatonismo polemicamente anticristiano della scuola ateniese, «in nome d'una certa neutralità nei confronti del cristianesimo».<ref>Antonio Garzya, ''Introduzione'' alle «Opere di Sinesio di Cirene», 1989, p. 32.</ref> È allora possibile che non vi sia mai stato, nel tempo, un distacco di Sinesio dagli insegnamenti di Ipazia, conformemente «alla tradizione platonica che mostra di avere alla sua radice la relazione maestro-allievo fra Socrate e Platone»<ref>Gemma Beretta, ''Ipazia di Alessandria'', 1993, p. 66.</ref> e che sia pertanto individuabile in tutte le opere filosofiche di Sinesio, se non la lettera, almeno la traccia costante dell'insegnamento di Ipazia.
 
Nell'opuscolo ''Dione'', così intitolato dal nome del sofista [[Dione di Prusa]], Sinesio delinea il rapporto esistente tra filosofia e letteratura, esprimendo così anche i propri personali interessi culturali.<ref>Un'analisi dell'opera, relativamente all'interesse che riveste nella storia dell'autobiografia, è in Georg Misch, ''Geschichte der Autobiographie'', Frankfurt a. M., Schulte Bulmke 1950.</ref> Lo inviò a Ipazia nel [[405]], chiedendole un giudizio prima di una eventuale pubblicazione: «Se tu ritieni che lo scritto debba essere pubblicato, lo destinerò tanto ai retori quanto ai filosofi: agli uni recherà diletto, agli altri profitto, sempre che non venga respinto da te che hai la facoltà del giudizio».<ref>''Epistola'' 154</ref>
 
La filosofia è l'unità delle conoscenze, «la scienza delle scienze», ma è anche il mezzo con il quale l'uomo comunica tanto con i suoi simili che col dio: non si tratta, pertanto, di una comunicazione mistica o fondata su pratiche magiche, bensì razionale e tipica dell'uomo, il quale non è infatti «un puro spirito, ma uno spirito calato nell'anima di un essere vivente».<ref>''Dione'' 6.</ref> Lo stesso Dione di Prusa fu nella realtà un uomo come tanti altri, di media cultura e capacità, un oratore che però, una volta dedicatosi, seppur tardi, alla filosofia, «si applicò a educare gli uomini, fossero re o semplici cittadini, singoli o gruppi», abbandonando ogni retorica e ogni ricerca del successo personale nell'esclusivo interesse dell'educazione dei propri simili: e lo stesso aveva fatto [[Socrate]], filosofo ben più grande, che mise a disposizione la propria sapienza a chiunque volesse indirizzarsi alla conoscenza e al bene.
 
=== A capo della scuola di Alessandria ===
Ipazia «era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico».<ref>Socrate Scolastico, ''Storia Ecclesiastica'' VII, 15: «Ἐπὶ τοσοῦτον δὲ προὔβη παιδείς, ὡς ὑπερακοντίσαι τοὺς κατ’ αὐτὴν φιλοσόφους, τὴν δὲ Πλατωνικὴν ἀπὸ Πλωτίνου καταγομένην διατριβὴν διαδέξασθαι, καὶ πάντα τὰ φιλόσοφα μαθήματα τοῖς βουλομένοις ἐκτίθεσθαι. Διὸ καὶ οἱ πανταχόθεν φιλοσοφεῖν βουλόμενοι, κατέτρεχον παρ’ αὐτήν».</ref> In questo passo, [[Socrate Scolastico]], scrivendo intorno al [[440]], indica che ad Alessandria l'unica erede del platonismo interpretato da Plotino era stata Ipazia: diversamente, [[Ierocle di Alessandria|Ierocle]], alessandrino di nascita ma formatosi ad Atene nella scuola del neoplatonico [[Plutarco di Atene|Plutarco]] ([[350]]-[[430]]), indica nel suo maestro l'erede della filosofia platonica in una successione che procede da [[Ammonio Sacca]] e, attraverso [[Origene]], [[Plotino]], [[Porfirio]] e [[Giamblico]], giunge a Plutarco di Atene.<ref>Ierocle di Alessandria, ''De providentia'', in Fozio, ''Bibliotheca'', pp. 171-173.</ref> Analoga è la successione dei maestri neoplatonici indicata dal più tardo [[Proclo]], anch'egli membro della scuola d'Atene.<ref>Proclo, ''Theologia platonica''.</ref>
 
[[File:Plotinus and disciples.jpg|thumbnail|sinistra|250px|Plotino e i suoi discepoli]]
Tale diversità si può spiegare con la volontà di «mostrare che i soli veri eredi di Platone e di Plotino erano gli aderenti della [[teurgia]] giamblichea. Questo comportò la più completa omissione dei neoplatonici alessandrini da Ipazia a Sinesio in poi».<ref>Garth Fowden, ''The pagan holy man in late antique society'', in «Journal of hellenic Studies», 102, 1982.</ref> Se pertanto si ammette la correttezza della successione delineata da Socrate Scolastico, ne deriva che Ipazia escluse dal suo insegnamento della filosofia neoplatonica la corrente magico-teurgica, indifferente, quando non ostile al cristianesimo, inaugurata da Giamblico e continuata nella scuola ateniese, per ricondurla alle fonti di Platone attraverso la mediazione di Plotino.
 
Resta da capire il senso preciso di quel «succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino»: se cioè ella abbia «occupato la cattedra di filosofia platonica nella città del padre»,<ref>Così spiega il Praechter, ''Hypatia'', cit., col. 245.</ref> svolgendovi la funzione del mero insegnante delle storiche dottrine filosofiche, ovvero «Ipazia aderiva a un platonismo derivato da quello di Plotino»,<ref>Étienne Évrard, ''A quel titre Hypatie enseigna-t-elle la philosophie?'', «Revue des Etudes Grecques», 90, 1977.</ref> o se invece, rifacendosi «a una tradizione più o meno consolidata», proponeva «un pensiero adeguato al tempo in cui si trovava a vivere e pensare».<ref>Gemma Beretta, cit., p. 115.</ref> La premessa — aveva superato «di molto tutti i filosofi del suo tempo» — non dovrebbe lasciar dubbio sul fatto che ella, almeno nell'opinione di Socrate Scolastico, fosse considerata filosofa nel senso alto del termine e degna erede di Plotino.
 
Un'altra testimonianza proviene da [[Damascio]], che alla fine del [[V secolo]] si stabilì ad Alessandria. Egli scrive che Ipazia «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza altezza d'animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo».<ref>Damascio, ''Vita Isidori'' 77, pp. 1-8.</ref>
 
Risulterebbe dal passo che Ipazia, iniziato il suo percorso culturale dallo studio delle scienze matematiche — che sono, secondo lo concezione platonica, le scienze propedeutiche alla filosofia — fosse approdata alla «altre scienze filosofiche», ossia alla «vera filosofia», che raggiunge il suo culmine nella dialettica. Ma alla «vera» filosofia, a giudizio di Damascio, Ipazia non sarebbe giunta: egli scrive infatti che [[Isidoro di Alessandria|Isidoro]], il maestro di Damascio, «era molto superiore a Ipazia, non solo come uomo rispetto a una donna, ma anche quale vero filosofo rispetto a una geometra».<ref>Damascio, cit., 164, p. 218.</ref>
 
[[File:Alexandria - Pompey's Pillar with sphinx.JPG|thumb|190px|Rovine di Alessandria]]
Qui Damascio sembra rivendicare al proprio maestro e perciò, indirettamente anche a se stesso, un'alta dignità di filosofo, che risulterebbe diminuita se Ipazia, già «inferiore in quanto donna», avesse superato Isidoro nel dominio delle scienze filosofiche. Ma esiste un'altra considerazione: «a differenza di Ipazia, Isidoro non capiva niente di geometria»,<ref>Paul Tannery, ''L'article de Suidas sur Hypatia'', «Annales de la Faculté de Lettres de Bordeaux», II, 1880.</ref> essendo Isodoro sostanzialmente un retore, e pertanto il giudizio di Damascio appare in linea con la sua svalutazione della formazione filosofica basata sulle scienze matematiche anziché sulle discipline letterarie e retoriche.
 
Nel ''De dono'', l'allievo di Ipazia [[Sinesio di Cirene|Sinesio]] aveva scritto che «l'astronomia è di per se stessa una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno, a mio avviso, verso l'ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra essere ai sommi filosofi un'imitazione dell'intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e dell'aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare diritto canone di verità».<ref>Sinesio, ''De dono'' 4, p. 547.</ref> Se questo passo riflette legittimamente le idee dell'astronoma Ipazia, si può ritenere che ella in filosofia «non si mosse alla ricerca dell'essere e del divino attraverso un discorso retorico-dimostrativo che costruisce il vero facendo a meno dei fenomeni e dell'esperienza»,<ref>Gemma Beretta, cit., p. 127; anche Angela Putino, ''La signora della Notte stellata'', in Diotima, ''Mettere al mondo il mondo. L'ordine simbolico della madre'', 1992, pp. 99-121.</ref> così che il giudizio negativo di Damascio è, in questo senso, del tutto conseguente con la sua personale visione della filosofia.
 
Un altro elemento che viene sottolineato dalle fonti antiche è il pubblico insegnamento esercitato da Ipazia verso ''chiunque'' volesse ascoltarla:<ref>Le espressioni usate da Socrate Scolastico e da Damascio non autorizzano a pensare, come fa invece Maria Dzielska, cit., pp. 56-57, che gli ascoltatori di Ipazia costituissero necessariamente un circolo aristocratico dal quale erano escluse le donne.</ref> l'immagine data di una Ipazia che insegna nelle strade sembra sottolineare un comportamento la cui audacia sembra quasi voluta, come un gesto di sfida e, a questo proposito, va rilevato che quando Ipazia comincia a insegnare, nell'ultimo decennio del IV secolo, ad Alessandria sono stati appena demoliti i templi dell'antica religione per ordine del vescovo [[Teofilo di Alessandria|Teofilo]], una demolizione che simboleggia la volontà di distruzione di una cultura alla quale anche Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a difendere e a diffondere.
 
=== La distruzione dei templi di Alessandria ===
[[File:Theophil.jpg|thumbnail|sinistra|180px|Il vescovo Teofilo]]
I cosiddetti [[decreti teodosiani]], emessi dall'imperatore Teodosio tra il [[391]]<ref>''Codex theodosianus'' XVI 10, 10-11.</ref> e il [[392]],<ref>''Codex theodosianus'' XVI 10, 12.</ref> avevano sancito la proibizione di ogni genere di culto pagano ed equiparato il sacrificare nei templi al delitto di [[Lex Iulia maiestatis|lesa maestà]] punibile con la morte.
 
Socrate Scolastico sottolinea la particolare insistenza del vescovo [[Teofilo di Alessandria|Teofilo]] per ottenere dall'imperatore decreti che mettessero fine ad Alessandria ai culti dell'antica religione: «per sollecitudine di Teofilo, l'imperatore ordinò di distruggere i templi degli elleni in Alessandria e questo avvenne per l'impegno dello stesso Teofilo».<ref>Socrate Scolastico, cit., V, 16.</ref> Fu risparmiato il tempio di [[Dioniso]], che il vescovo ottenne in dono dall'imperatore, per essere trasformato in chiesa: già da anni un altro storico edificio, il Cesareo, il tempio di [[Augusto]], era stato trasformato in cattedrale cristiana e costituiva il luogo di celebrazione più importante della comunità cristiana.
 
Una particolare resistenza opposero gli elleni alla distruzione del [[Serapeo]], il tempio più antico e prestigioso della città, «così adorno di atri con amplissimi colonnati, di statue che sembrano vive e d'opere d'arte di ogni genere, che nulla vi è sulla terra di più fastoso all'infuori del [[Campidoglio]]».<ref>Ammiano Marcellino, ''Res gestae'' XXII, 16.</ref> Oltre al culto di Giove [[Serapide]], vi erano celebrati i culti di [[Iside]] e delle divinità egizie e vi erano custoditi i loro «misteri».
 
Teofilo «fece tutto quello che era in suo potere per recare offesa ai misteri degli elleni»,<ref>Socrate Scolastico, cit.</ref> esponendo pubblicamente per dileggio gli oggetti di culto dei templi distrutti. Il gesto provocò l'ultima resistenza degli elleni: «sconvolti dall'insolito e insospettato evento, non poterono starsene tranquilli e tramarono tra loro una cospirazione ai danni dei cristiani; dopo aver ucciso e ferito molti di loro, occuparono il tempio di Serapide».<ref>Damascio, cit.</ref> L'imperatore stesso, da [[Costantinopoli]], appoggiò la comunità cristiana, sollecitando gli elleni a convertirsi: questi abbandonarono il tempio, che fu occupato dai cristiani. Il giorno prima della sua distruzione Olimpio, l'ultimo sacerdote del Serapeo, fuggì in [[Italia]].
 
=== Il conflitto di potere tra il prefetto Oreste e il vescovo Cirillo ===
Nessuna fonte attesta il comportamento tenuto da Ipazia durante queste drammatiche vicende, né gli eventuali rapporti intercorsi tra lei e il vescovo Teofilo. Sappiamo che il risalto ottenuto nella città di Alessandria dalla personalità di Ipazia è immediatamente successivo a quei fatti e coincide altresì con l’affermazione, prodottasi nell’Impero orientale, del movimento politico e culturale degli elleni, sostenitori tutti della tradizionale cultura greca indipendentemente dalle singole adesioni a una particolare religione. La loro ascesa subì un arresto con l’avvento al potere dell’Augusta [[Elia Pulcheria|Pulcheria]], nel [[414]], per risalire, con alterna fortuna, nei decenni successivi, fino al declino avvenuto a partire dalla seconda metà del V secolo.
 
Il prestigio conquistato da Ipazia ad Alessandria ha una natura eminentemente culturale, ma quella sua stessa eminente cultura è la condizione dell'acquisizione, da parte di Ipazia, di un potere che non è più soltanto culturale: è anche politico. Scrive infatti lo storico cristiano ortodosso [[Socrate Scolastico]]:
 
{{quote|Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale|Socrate Scolastico, cit., VII, 15}}
 
Quasi un secolo dopo, anche il filosofo [[Damascio]] riprende le sue considerazioni:
 
{{quote|era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo|Damascio, cit., 102}}
 
Alla morte di Teofilo nel [[412]] salì sul trono episcopale di Alessandria [[Cirillo di Alessandria|Cirillo]]: questi «si accinse a rendere l’episcopato ancora più simile a un principato di quanto non fosse stato al tempo di Teofilo»,<ref>Socrate Scolastico, cit., VII, 7.</ref> nel senso che con Cirillo «la carica episcopale di Alessandria prese a dominare la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale».<ref>Socrate Scolastico, cit., VII, 7.</ref> In tal modo, tra il prefetto di Alessandria [[Oreste (praefectus augustalis)|Oreste]], che difendeva le proprie prerogative, e il vescovo Cirillo, che intendeva assumersi poteri che non gli spettavano, nacque un conflitto politico, anche se «Cirillo e i suoi sostenitori tentarono di occultarne la vera natura e di porre la questione nei termini di una lotta religiosa riproponendo lo spettro del conflitto tra paganesimo e cristianesimo».<ref>G. Beretta, ''op. cit.'', p. 13.</ref>
 
Nel [[414]], durante un'assemblea popolare, alcuni ebrei denunciarono al prefetto Oreste quale seminatore di discordie il maestro Ierace, un sostenitore del vescovo Cirillo, «il più attivo nel suscitare gli applausi nelle adunanze in cui il vescovo insegnava». Ierace fu arrestato e torturato, al che Cirillo reagì minacciando i capi della comunità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro volta massacrando un certo numero di cristiani. La reazione di Cirillo fu durissima: l'intera comunità ebraica fu cacciata dalla città, i loro averi furono confiscati e le sinagoghe distrutte. «Oreste, prefetto di Alessandria, s'indignò molto per l’accaduto e provò un gran dolore perché una città tanto importante era stata completamente svuotata di esseri umani»,<ref>Socrate Scolastico, ''op. cit.'', VII, 13.</ref> ma non poté prendere provvedimenti contro Cirillo, poiché per la costituzione del [[4 febbraio]] [[384]] il clero veniva a essere soggetto al solo foro ecclesiastico.
 
Nel pieno del conflitto giurisdizionale tra il prefetto e il vescovo, dai monti della [[Nitria]] intervennero a sostegno di Cirillo un gran numero di monaci, i cosiddetti ''[[parabolani]]''. Formalmente degli infermieri, «di fatto costituivano un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere nelle città il loro ordine».<ref>G. Beretta, ''op. cit.'', p. 11.</ref> Costoro, «usciti in numero di circa cinquecento dai monasteri e raggiunta la città, si appostarono per sorprendere il prefetto mentre passava sul carro. Accostatisi a lui, lo chiamavano sacrificatore ed elleno, e gli gridavano contro molti altri insulti. Egli allora, sospettando un'insidia da parte di Cirillo, proclamò di essere cristiano e di essere stato battezzato dal vescovo Attico. Ma i monaci non badavano a ciò che veniva detto e uno di loro, di nome Ammonio, colpì Oreste sulla testa con una pietra».<ref>Socrate Scolastico, ''op. cit.'', VII, 14.</ref>
 
Accorsero cittadini di Alessandria, dispersero i parabolani e catturarono Ammonio conducendolo da Oreste: «questi, rispondendo alla sua provocazione pubblicamente con un processo secondo le leggi, spinse a tal punto la tortura da farlo morire. Non molto tempo dopo rese noti questi fatti ai governanti. Ma Cirillo fece pervenire all'imperatore la versione opposta».<ref>Socrate Scolastico, ''op. cit.'', VII, 14.</ref> Non si sa quale fosse la versione dei fatti approntata da Cirillo, ma la si può immaginare dal fatto che il vescovo fece collocare il cadavere di Ammonio in una chiesa e, cambiatogli il nome in Thaumasios — «ammirevole» — lo elevò al rango di martire, come se fosse morto per difendere la sua fede. «Ma chi aveva senno, anche se cristiano, non approvò l'intrigo di Cirillo. Sapeva, infatti, che Ammonio era stato punito per la sua temerarietà e non era morto sotto le torture per costringerlo a negare Cristo».<ref>Socrate Scolastico, ''op. cit.'', VII, 14.</ref> Infatti, lo stesso Cirillo «si adoperò per far dimenticare al più presto l'accaduto con il silenzio».<ref>Socrate Scolastico, ''op. cit.'', VII, 14.</ref>
 
=== Uccisione di Ipazia ===
[[File:Hypatia (Charles William Mitchell).jpg|thumb|right|180px|[[Charles William Mitchell|C. W. Mitchell]]: ''La morte di Ipazia'']]
In questo clima, maturò l'omicidio di Ipazia, poiché, riferisce lo storico della Chiesa [[Socrate Scolastico]], «s'incontrava alquanto di frequente con Oreste, l'invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo».<ref>Socrate Scolastico, cit., VII, 15.</ref>
 
Era il mese di marzo del [[415]], e correva la quaresima:<ref>Quell'anno la Pasqua cadeva l'11 aprile.</ref> un gruppo di cristiani «dall'animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci.<ref>''ostrakois'', letteralmente ''gusci di ostriche'', ma il termine era usato anche per indicare frammenti di tegola o di vasi.</ref> Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo».<ref>Socrate Scolastico, cit., VII, 15.</ref>
 
Il filosofo [[paganesimo|pagano]] [[Damascio]] si era recato ad Alessandria intorno al [[485]], quando ancora «vivo e denso di affetto era il ricordo dell'antica maestra nella mente e nelle parole degli alessandrini».<ref>G. Beretta, ''op. cit.'', p. 104.</ref> Divenuto poi scolarca della scuola di Atene, scrisse, cento anni dopo la morte di Ipazia, la sua biografia. In essa sostiene la diretta responsabilità di Cirillo nell'omicidio, più esplicitamente di quanto non faccia Socrate Scolastico: accadde che il vescovo, vedendo la gran quantità di persone che frequentava la casa di Ipazia, «si rose a tal punto nell'anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un'uccisione che fu tra tutte la più empia».<ref>Damascio, cit., 79, 24-25</ref> Anche Damascio rievoca la brutalità dell'omicidio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi [...] uccise la filosofa [...] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».<ref>Damascio, cit., 105, 5-6.</ref>
 
Dopo l'uccisione di Ipazia fu aperta un'inchiesta. A [[Costantinopoli]] regnava di fatto [[Elia Pulcheria]], sorella del minorenne [[Teodosio II]] ([[408]]-[[450]]), che era vicina alle posizioni del vescovo [[Cirillo d'Alessandria]]<ref>Cfr. ''Pulcheria St.'' in ''The New Catholic Encyclopedia'' 2nd Ed. vol.11. NY. Gale, 2006, p. 815.</ref> e come il vescovo fu dichiarata santa dalla Chiesa.<ref>Cfr. ''Pulcheria St.'' in ''The New Catholic Encyclopedia'', 2nd ed. vol. 11. NY. Gale, 2006, p. 815.</ref> Il caso fu archiviato, sostiene Damascio, a seguito dell'avvenuta corruzione di funzionari imperiali.<ref>Damascio, ''op. cit.'', 81, 7-8.</ref> Anche secondo Socrate Scolastico, la corte imperiale fu corresponsabile della morte di Ipazia, non essendo intervenuta, malgrado le sollecitazioni del prefetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l'omicidio. Tesi condivisa da [[Giovanni Malalas]], secondo il quale l'imperatore Teodosio «amava Cirillo, il vescovo di Alessandria. In quell'occasione gli alessandrini, prendendo autorizzazione ad agire dal vescovo», uccisero Ipazia.<ref>I. Malalas, ''Chronographia'', XIV, coll. 533-536, in J. P. Migne, ''Patrologiae cursus completus, series graeca'', t. 97.</ref>
 
== Ipazia nell'arte, al cinema e alla radio ==
A partire dall’[[Illuminismo]], Ipazia viene considerata una vittima del fanatismo religioso e una martire laica del pensiero scientifico. Nel Settecento lo storico britannico [[Edward Gibbon]] definì la sua morte una «macchia indelebile sul carattere e sulla religione di Cirillo d'Alessandria».<ref>E. Gibbon, ''Declino e caduta dell'Impero romano'', c. XLVII.</ref> Ipazia fu celebrata in romanzi, poesie, opere teatrali e quadri.
===Pittura===
*Nel celebre affresco ''[[La scuola di Atene]]'' di [[Raffaello Sanzio]] la figura che rappresenta un giovane amico di Raffaello, [[Francesco Maria della Rovere]],<ref>P. De Vecchi, ''L'opera completa di Raffaello'', 1966, p. 102.</ref> viene qualche volta identificata, ma senza fondamento, con Ipazia.
*Ipazia è il soggetto dell'omonimo dipinto eseguito nel [[1885]] dal pittore [[preraffaellita]] [[Charles William Mitchell]].
===Letteratura===
*Il primo saggio storicamente noto su Ipazia è opera del filosofo deista inglese [[John Toland]] (1670-1722), il quale, nel 1720, dà alle stampe una sua visione della vicenda di Ipazia che mette in evidenza il fanatismo di [[Cirillo di Alessandria|San Cirillo]], mandante dell'omicidio.<ref>http://www.clinamen.it/libro.php?id=144</ref>
*Alla vita di Ipazia è dedicato l'omonimo romanzo del [[1853]] dello scrittore inglese [[Charles Kingsley]].<ref>[[wikisource:Hypatia|Testo completo]] in lingua originale.</ref>
* [[Diodata Roero Saluzzo]], ''Ipazia ovvero Delle Filosofie'', Chirio e Mina, Torino 1827; la scrittrice cattolica espose nel poemetto (romanzo in versi) la stravagante ipotesi della conversione di Ipazia al cristianesimo operata da Cirillo, e della sua uccisione da parte di un sacerdote pagano.
* [[Mario Luzi]], ''Libro di Ipazia'', Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1978 [[1973]]: il poemetto è dedicato alla tragica vicenda della scienziata alessandrina.
* Caterina Contini, ''Ipazia e la notte'' (romanzo), Milano, Longanesi 1999. ISBN 88-304-1542-1
* Aida Stoppa, ''Ipazia e la rete d'oro'' (racconto), in Aida Stoppa, ''Sette universi di passione'', Colledara, Andromeda 2004, pp. 20-34
* Adriano Petta, Antonino Colavito, ''Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo'', prefazione di Margherita Hack, (romanzo) Roma, La Lepre Edizioni 2009 ISBN 88-96052-13-0
*I personaggi di Ipazia e del padre Teone, decontestualizzati da Alessandria e trasferiti nella Venezia dei primi decenni del '900, compaiono in una delle storie a fumetti della serie di "[[Corto Maltese]]", firmata da [[Hugo Pratt]]: ''Favola di Venezia''; sono due figure di studiosi di esoterismo, ai quali il protagonista del fumetto si rivolge per ottenere informazioni.
* Umberto Eco, ''Baudolino'' (romanzo) cap. 33, Milano, Bompiani, 2000 ISBN 88-452-4736-8
 
===Cinema e radio===
*Il film ''[[Agora]]'' del regista spagnolo [[Alejandro Amenábar]] del [[2009]] è tratto dalla figura storica di Ipazia.<ref>Cfr. Aldo Carioli, ''Morte a Ipazia!'', Focus Storia n.34, agosto 2009, p. 118.</ref>
*Alla storia di Ipazia è stata dedicata una intera puntata di ''La storia in Giallo'', programma radiofonico ideato e condotto da [[Antonella Ferrera]] e trasmesso il [[27 ottobre]] [[2009]] da [[Radio3]].<ref> [http://www.radio.rai.it/radio3/lastoriaingiallo/view.cfm?Q_EV_ID=300052 Ipazia, La storia in giallo del 17 ottobre 2009, da Radio3.it].</ref>
* Alla storia di Ipazia e al film Agora è dedicata parte di una puntata di [[Radio Tre]] Scienze dell'[[11 novembre]] [[2009]].
 
== Note ==
{{<references|2}} />
 
== Bibliografia ==
===Fonti antiche===
* [[Cirillo di Alessandria]], ''Homilia VIII'', in [[Jacques Paul Migne]], ''[[Patrologia Graeca]]'', vol. LXXVII
* [[Esichio di Mileto]], ''Fragmenta'', in «Fragmenta Historicorum Graecorum», Paris, Didot 1841-1870
* [[Damascio]], ''Vita Isidori'', Hildesheim, Olms 1967
* [[Filostorgio]], ''Historia Ecclesiastica'', in J. P. Migne, Patrologia Graeca, vol. LXV; Epitome in [[Fozio]], ''Bibliotheca'', 8 voll., Paris, Les Belles Lettres 1959
* [[Pallada]]s, in ''[[Antologia Palatina]]'', Torino, [[Einaudi editore|Einaudi]], 1978
* [[Sinesio di Cirene|Sinesio]], ''Opere'', Torino, UTET 1989
* [[Socrate Scolastico]], ''Historia Ecclesiastica'', in J. P. Migne, Patrologia Graeca, vol. LXVII
* [[Sozomeno]], ''Historia Ecclesiastica'', in J. P. Migne, Patrologia Graeca, vol. LXVII
* [[Lessico di Suda|Suda, ''Lexicon'']], Lipsia, Teubner 1928
* [[Teodoreto di Ciro]], ''Historia Ecclesiastica'', Berlin Akademie Verlag 1954
* [[Teone di Alessandria]], ''Commentaria in Ptolomaei syntaxin mathematicam I-II'', Città del Vaticano, [[Biblioteca Apostolica Vaticana]] 1936
* Teone, ''Commentaria in Ptolomaei syntaxin mathematicam III-IV'', Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1943
* Teone, ''Le Petit commentaire de Théon d’Alexandrie aux Tables faciles de Ptolomée'', tr. da A. Tihon, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1978
 
===Letteratura moderna===
* Richard Hoche, ''Hypatia, die Tochter Theons'', in «Philologus» 15, 1860
* Guido Bigoni, ''Ipazia Alessandrina'', Venezia, Antonelli 1887
* Augusto Agabiti, ''[[s:Ipazia|Ipazia: la prima martire della libertà di pensiero]]'', Roma, E. Voghera 1914
* Karl Praechter, ''Hypatia'' in «Real Enzyklopädie der Altertums», IX, Stuttgart 1914
* Christian Lacombrade, ''Synésios de Cyrène, hellène et chrétien'', Paris, Les Belles Lettres 1951
* John M. Rist, ''Hypatia'', in «Phoenix», 19, 1965
* [[Joseph Vogt]] e Matthias Schramm, ''Synesius vor dem Planisphaerium'', in «Das Altertum und jedes neue Gute für Wolfgang Schadewaldt zum 15. März 1970», Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz, Kohlhammer 1970
* [[Otto Neugebauer]], ''A history of ancient mathematical astronomy'', Berlin-Heidelberg-New York, Springer 1975
* Étienne Évrard, ''A quel titre Hypatie enseigna-t-elle la philosophie?'', «Revue des Etudes Grecques», 90, 1977
* Jay Bregman, ''Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop'', Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press 1982
* Robert J. Penella, ''When was Hypatia born?'', in «Historia», XXXIII, 1984
* Alessandra Colla, ''Quella femmina… fatta a pezzi'', in «Risguardo IV», Ar, Brindisi 1985
* Margaret Alic, ''L’eredità di Ipazia'', Editori Riuniti, Roma 1989
* Jean Rougé, ''La politique de Cyrille d'Alexandrie et le meurtre d'Hypatie'', in «Cristianesimo nella storia», 11/3, 1990, pp. 485-504
* Maria Dzielska, ''Ipazia e la sua cerchia intellettuale'', in «Paganism in the Later Roman Empire and in Byzantium», Cracovia, Byzantina et Slavica Cracoviensia 1991
* Angela Putino, ''La signora della Notte stellata'', in Diotima, ''Mettere al mondo il mondo. L'ordine simbolico della madre'', Milano, La Tartaruga 1992
* Gemma Beretta, ''Ipazia d’Alessandria'', Roma, Editori Riuniti 1993
* [[Silvia Ronchey]], ''Ipazia, l'intellettuale'', in «Roma al femminile», a cura di A. Fraschetti, Roma-Bari, Laterza 1994, pp. 213-258;
* Silvia Ronchey, ''Filosofa e martire: Ipazia tra storia della chiesa e femminismo'', in «Vicende e figure femminili in Grecia e a Roma», a cura di R. Raffaelli, Atti del Convegno di Pesaro, 28-30 aprile 1994, Ancona, Commissione per le Pari Opportunità della Regione Marche 1995 pp. 449-465
* Denis Roques, ''La famille d'Hipatie (Sinésios, epp. 5 et 16)'', in «Revue des Études Grecques», CVIII, 1995
* Olivier Masson, ''Theoteknos, Fils de Dieu'', in «Revue des Études Grecques», CX, 1997
* Denis Rocques, ''Theoteknos, Fils de Dieu'', in «Revue des Études Grecques», CXI, 1998
* Morris Kline, ''Storia del pensiero matematico'', 2 voll., Torino, Einaudi 1999 ISBN 88 061 5417 6
* Tassilo Schmitt, ''Die Bekehrung des Synesios von Kyrene. Politik und Philosophie, Hof und Provinz als Handlungsräume eines Aristokraten bis zu seiner Wahl zum Metropoliten von Ptolemaïs'', München-Leipzig, K. G. Saur 2001 ISBN 978 3 598 77695 3
* Michael A.B. Deakin, ''Hypatia of Alexandria, mathematician and martyr''. Prometeus Books 2007 ISBN 978-1-59102-520-7
* {{Cita libro| autore = John Toland |wkautore = John Toland | titolo = Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero | annooriginale = 1720 | altri = edizione italiana | curatore = Federica Turriziani Colonna | città = Firenze | editore = Editrice Clinamen | anno = 2009 | id = ISBN 88-8410-151-4, ISBN 978-88-8410-151-8}}
 
== Voci correlate ==
* [[Agora]]
* [[Persecuzioni dei pagani]]
* [[Biblioteca di Alessandria]]
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|q|s=Autore:Kālidāsa}}
{{interprogetto|q|commons=Category:Hypatia|s|s_oggetto=un'opera di [[Augusto Agabiti]]|s_preposizione=del [[1914]]:|s_etichetta=''Ipazia''}}
 
== Collegamenti esterni ==
* {{McTtr|HypatiaCollegamenti esterni}}
* Silvia Ronchey, [http://www.imperobizantino.it/documenti/SRonchey-Ipazia.pdf''Ipazia'', articolo on-line sul sito Impero Bizantino]
* [http://www.homolaicus.com/teorici/ipazia/fonti.htm Fonti storiche] (Suda, Socrate Scolastico e Giovanni di Nikiu, traduzioni in italiano): sul sito HomoLaicus.
* [http://www.uaar.it/ateismo/contributi/07.html Uccidete Ipazia], articolo di [[Piergiorgio Odifreddi]] sul sito dell'[[UAAR]].
* [http://www.enricopantalone.com/hypatia.pdf Hypatia, la figlia di Theone], articolo di Giovanni Costa sul sito "Storia e società"
* [http://www.amnesiavivace.it/sommario/rivista/brani/pezzo.asp?id=140 ''Antica luce femminile...'', di Adriano Petta] su amnesiavivace.it
* [http://www.lucidamente.com/default.asp?page=articolo&id=531 Giuseppe Licandro, ''Il martirio di Ipazia...''] su lucidamente.com
*[http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2126072 ''Ipazziamo!'' di U.Eco, ''Espresso'']
{{Astronomia greca}}
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