Brigantaggio italiano e Schönfließ (Mühlenbecker Land): differenze tra le pagine

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{{Divisione amministrativa
[[File:Bartolomeo Pinelli Überfall 1817.jpg|thumb|upright=1.6|Viaggiatori assaliti dai briganti, dipinto di [[Bartolomeo Pinelli]] (1817).]]
|Nome = Schönfließ
Il '''brigantaggio''' è una forma di [[banditismo]] caratterizzata da azioni violente a scopo di [[rapina]] ed [[estorsione]], mentre in altre circostanze esso assume risvolti [[insurrezione|insurrezionalisti]] a sfondo politico e sociale.
|Panorama = Schönfließ church 2016 NW.jpg
|Didascalia = La chiesa
|Stato = DEU
|Grado amministrativo = 5
|Tipo = frazione (''Ortsteil'')
|Divisione amm grado 1 = Brandeburgo
|Divisione amm grado 2 = no
|Divisione amm grado 3 = Oberhavel
|Divisione amm grado 4 = Mühlenbecker Land
|Abitanti = 2256
|Note abitanti = {{cita web |url = http://www.muehlenbecker-land.de/de/leben-gemeinde/ueber-die-gemeinde/zahlen-fakten/ |titolo = Zahlen und Fakten |lingua = de }}
|Aggiornamento abitanti = 1-1-2019
|Divisioni confinanti =
|Fuso orario =
|Targa = OHV
}}
'''Schönfließ''' è una frazione del [[Comuni della Germania|comune tedesco]] di [[Mühlenbecker Land]], nel [[Brandeburgo]].
 
== Storia ==
Sebbene il fenomeno abbia origini remote e riguardi periodi storici e territori diversi, nella [[storiografia]] italiana questo termine si riferisce generalmente alle bande armate presenti nel [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] tra la fine del [[XVIII secolo]] e il primo decennio successivo alla proclamazione del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]].
Il 26 ottobre [[2003]] il comune di Schönfließ fu fuso con i comuni di [[Mühlenbeck]], [[Schildow]] e [[Zühlsdorf]], formando il nuovo comune di [[Mühlenbecker Land]]<ref>[http://www.destatis.de/jetspeed/portal/cms/Sites/destatis/Internet/DE/Content/Statistiken/Regionales/Gemeindeverzeichnis/NamensGrenzAenderung/NamensGrenzAenderung,templateId=renderPrint.psml Statistisches Bundesamt Deutschland - Namens- und Grenzänderungen der Gemeinden] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20100801012840/http://www.destatis.de/jetspeed/portal/cms/Sites/destatis/Internet/DE/Content/Statistiken/Regionales/Gemeindeverzeichnis/NamensGrenzAenderung/NamensGrenzAenderung,templateId=renderPrint.psml |data=1º agosto 2010 }}</ref>.
 
== Monumenti e luoghi d’interesse ==
L'attività brigantesca assunse connotati politici e anche religiosi all'inizio del [[XIX secolo]], con le sollevazioni [[Sanfedisti|sanfediste]] [[Repubblica Napoletana (1799)|antifrancesi]]. Fu duramente repressa all'epoca del [[Regno di Napoli]] e durante l'occupazione napoleonica, [[Borbone di Napoli|borbonica]] e [[risorgimentale]], quando, dopo essersi ulteriormente evoluta, si oppose alle truppe del neonato Stato italiano.
; Chiesa (''Dorfkirche'') : Costruzione in [[Pietra (classificazione commerciale)|pietra]] risalente al [[XIII secolo]] e ampliata intorno al [[1700]] con rifacimento degli interni; la [[torre]] in mattoni risale al [[1877]]-[[1878|78]]<ref name = "Kunstdenkmale">{{Cita libro |titolo = Die Bau- und Kunstdenkmale in der DDR. Bezirk Potsdam |curatore = Institut für Denkmalpflege |editore = Henschelverlag Kunst und Gesellschaft |città = Berlino |anno = 1978 |lingua = de |p = 258 |ISBN = {{NoISBN}} }}</ref>.
 
; Osteria (''Dorfkrug'') : Costruzione [[Casa a graticcio|a graticcio]] risalente al [[XVIII secolo]], ampliata dopo il [[1920]]<ref name = "Kunstdenkmale"/>.
In questa fase storica, sia all'interno che al di fuori di queste bande e mossi anche da motivazioni di natura sociale e politica, agivano gruppi di [[braccianti]] ed ex [[Esercito delle Due Sicilie|militari borbonici]].<ref>{{Treccani|brigantaggio||accesso=6 febbraio 2011}}</ref>
 
== Etimologia e definizioni ==
[[File:Assalto alla diligenza.jpg|300px|miniatura|destra|Viaggiatori in diligenza durante un assalto di briganti, nella campagna romana, inizio sec XIX (Bartolomeo Pinelli]]
{{vedi anche|Brigante}}
Il termine ''brigante'' descrive generalmente una persona la cui attività è al di fuori della legge. Spesso sono definiti briganti, in senso dispregiativo, combattenti e rivoltosi in particolari situazioni sociali e politiche. L'origine della parola non è ancora chiara e diverse sono le ipotesi sulla sua etimologia.
 
== Origini e cause ==
[[File:A pedestrian tour in Calabria & Sicily - Illustration.jpg|thumb|Illustrazione in ''A pedestrian tour in Calabria & Sicily'' (1842) raffigurante donne di [[Caraffa di Catanzaro]] in visita ai loro mariti detenuti perché avevano aggredito il [[Arthur John Strutt|viaggiatore]]]]
Il brigantaggio sin dalla sua genesi aveva - e ha tuttora - come causa di fondo la miseria. Oltre a vera forma di banditismo (soprattutto nel [[Medioevo]]), il fenomeno ha spesso assunto connotati di vera e propria rivolta popolare. In [[età moderna]], furono coinvolti vari strati sociali, con connessioni e complicità tra signori e banditi, investendo indifferentemente zone urbane e rurali. Il brigantaggio iniziò così a presentare una forza tale da vincere quella dello stesso Stato, incapace ancora di mediare tra i diversi ceti.<ref>[[Giuseppe Galasso]], ''Unificazione italiana e tradizione meridionale nel brigantaggio del Sud'', in ''Il brigantaggio postunitario nel Mezzogiorno d'Italia'', Atti del convegno di studi storici (Napoli, 20-21 ottobre 1984), edito dall'«Archivio Storico per le Province Napoletane», terza serie, a. XXI-CI dell'intera collezione (1983), p. 4.</ref>
 
[[Francesco Saverio Sipari]], che fu tra i primi a considerare anche l'origine sociale del fenomeno, nel [[1863]] scrisse: «il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata»<ref>[[Benedetto Croce]], ''Storia del Regno di Napoli'', [[Adelphi]], Milano 1992, p. 473 riporta per stralci la ''Lettera ai censuari del Tavoliere'' pubblicata dallo zio materno, [[Francesco Saverio Sipari]], riproposta integralmente da [[Lorenzo Arnone Sipari|L. Arnone Sipari]], ''Francesco Saverio Sipari e la «Lettera ai censuari del Tavoliere»'', in R. Colapietra (a cura di), ''Benedetto Croce ed il brigantaggio meridionale: un difficile rapporto'', Colacchi, L'Aquila 2005, pp. 87-102.</ref> e, anticipando anche analoghe osservazioni di [[Giustino Fortunato]], riteneva che il brigantaggio potesse esaurirsi con la "rottura" dell'isolamento delle regioni meridionali, che era dato dall'assenza di una rete infrastrutturale adeguata, di strade e di ferrovie, e con l'affrancamento dai canoni del [[Tavoliere delle Puglie|Tavoliere]]. [[Francesco Saverio Nitti]] considerava il brigantaggio (in particolare nel Meridione) un fenomeno complesso, che poteva assumere i connotati di banditismo comune, di reazione alla fame e alle ingiustizie o di rivolta di natura politica (es. alla [[piemontesizzazione]]). Egli riteneva che il brigante, in gran parte dei casi, si rivelava un paladino del popolo e simbolo di rivoluzione proletaria:
 
{{Citazione|Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che ad altri e a me e accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell'unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell'abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori.|[[Francesco Saverio Nitti]]<ref>Francesco Saverio Nitti, ''Scritti sulla questione meridionale'', Laterza, 1958, p. 44.</ref>}}
 
[[Giustino Fortunato]] lo considerò «un movimento spontaneo, storicamente rinnovantesi ad ogni agitazione, ad ogni cambiamento politico, perché sostanzialmente di indole primitiva e selvaggia, frutto del secolare abbrutimento di miseria e di ignoranza delle nostre plebi rurali».<ref>Giustino Fortunato, Emilio Gentile, ''Carteggio: 1927-1932'', Laterza, 1981, p.14.</ref>
 
Accanto alla miseria, alcuni identificano il brigantaggio come un fenomeno di resistenza, soprattutto in epoca risorgimentale. Il deputato liberale [[Giuseppe Ferrari]] disse: «I reazionari delle Due Sicilie si battono sotto un vessillo nazionale, voi potete chiamarli briganti, ma i padri e gli Avoli di questi hanno per ben due volte ristabiliti i Borboni sul trono di Napoli».<ref>Teodoro Salzillo, ''[http://books.google.it/books?id=dd0YAAAAYAAJ&dq=potete+chiamarli+briganti&source=gbs_navlinks_s Roma e le menzogne parlamentari]'', Malta, 1863, p. 34.</ref> Tuttavia il fenomeno era ben presente anche in altri stati preunitari all'alba dell'unità d'Italia, tra cui lo [[Stato Pontificio]] in cui ancor oggi si ricorda la figura de "[[il Passatore]]", il [[Regno Lombardo-Veneto|Lombardo-Veneto]] con [[Giacomo Carciocchi|Carcini]], il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] con [[Giuseppe Mayno]] e [[Giovanni Tolu]].
 
== Storia del Brigantaggio in Italia ==
[[File:Bando contro banditi.jpg|thumb|Titolo di un bando con i briganti emesso a Siena, dal granduca di Toscana nel 1585]]
[[File:Marco Sciarra and Tasso.jpg|250px|miniatura|destra|[[Torquato Tasso (brigante)|Torquato Tasso]] catturato da Marco Sciarra]]
[[File:Istoria abbate cesare riccardi bandito.jpg|miniatura|destra|Antica copertina del libretto ''Istoria del famosissimo e foribondo bandito Abbate Cesare Riccardi'', il brigante è rappresentato in mezzo a due compari, sul fondo un villaggio in fiamme, un uomo appeso per i piedi ad un albero e due malviventi che penetrano in una casa attraverso la finestra]]
[[File:Salvator rosa briganti.jpg|thumb|[[Salvator Rosa]] (1615-1673) raffigurato mentre ritrae un capo brigante, l'artista così riguadagnò la libertà dai briganti di Monte Gauro ([[Campi Flegrei]])<ref>Salvatore Muzzi, pag 148, in ''Figli del popolo venuti in onore: operetta storico-morale'', 1867.</ref>]]
 
=== Impero Romano ===
Si inizia a parlare di brigantaggio già nell'[[antica Roma]], quando a [[Taranto]] intorno al [[185 a.C.]] avvenne un'insurrezione sociale composta perlopiù da pastori, che arrivarono a formare vere e proprie bande.<ref>Tarquinio Maiorino, ''Storia e leggende di briganti e brigantesse'', Piemme, 1997, p.16.</ref> Per risolvere la questione, il pretore Lucio Postumio Tempsano attuò una dura repressione in cui furono condannati circa 7.000 rivoltosi, alcuni dei quali furono giustiziati mentre altri riuscirono ad evadere.<ref>Clara Gallini, ''Protesta e integrazione nella Roma antica'', Laterza, 1970, p.41.</ref> Anche [[Lucio Cornelio Silla]] prese provvedimenti contro i briganti (a quel tempo chiamati ''sicari'' o ''latrones'')<ref name=A>Giovanni De Matteo, ''Brigantaggio e Risorgimento'', Guida, 2000, p.13.</ref> con la promulgazione della ''Lex Cornelia de sicariis'' nell'[[81 a.C.]], che prevedeva pene capitali come la crocifissione e l'esposizione alle belve (''ad bestias'').<ref name=A/>
 
[[Giulio Cesare]] affidò nel [[45 a.C.]] al pretore [[Gaio Calvisio Sabino (console 39 a.C.)|Gaio Calvisio Sabino]] il compito di combattere con decisione il brigantaggio che si manifestava durante la sua governanza.<ref>Giuseppe Pennacchia, ''L'Italia dei briganti'', Rendina, 1998, p.17.</ref> [[Strabone]] ricorda la figura di [[Seleuro]], chiamato figlio dell'[[Etna]], che per molto tempo razziò le città dell'area etnea prima di essere catturato e ucciso nei giochi gladiatori nel [[35 a.C.]]. Nel [[26 a.C.]], [[Ottaviano Augusto]] combatté le rivolte brigantesche in [[Spagna]] dove agiva Corocotta, un legittimista della [[Cantabria]],<ref name="B">Giuseppe Pennacchia, ''L'Italia dei briganti'', Rendina, 1998, p.18.</ref> mentre [[Tiberio]] trasferì 4.000 ebrei in [[Sardegna]] per opporre i ribelli, nel timore che le loro bande si trasformassero in insorgenze, istigate da rivali politici.<ref name="B" />
 
=== Medioevo ===
In età medievale il brigantaggio si sviluppò in particolar modo nell'Italia centro settentrionale. Si formarono bande composte non solo da comuni banditi ma anche da avversari politici o persone agiate che venivano cacciati dalla loro residenza in seguito alla confisca dei loro patrimoni.<ref>{{Cita news|url=http://www.laciociaria.it/brigantaggio.htm|pubblicazione=www.laciociaria.it|titolo=Brigantaggio|accesso=30 novembre 2010}}</ref> Per sopravvivere queste persone furono costrette a darsi alla macchia, aggredendo mercanti e viaggiatori.
 
Nella seconda metà del XIV secolo, si registrarono numerose attività di banditismo nel Cassinate, ad opera di briganti come Jacopo Papone da [[Pignataro Interamna|Pignataro]] e Simeone da [[Cassino|San Germano]], i quali, con azioni vessatorie e spoliazioni, perseguitarono le popolazioni locali.
 
In [[Toscana]] operò il senese [[Ghino di Tacco]], rampollo della nobile famiglia [[Cacciaconti|Cacciaconti Monacheschi Pecorai]] che non esitava anche a depredare uomini clericali come l'[[Abbazia di Cluny|abate di Cluny]], sebbene personalità come [[Giovanni Boccaccio]] non lo considerarono crudele con le sue vittime,<ref>[[Giovanni Boccaccio]], ''Novelle di Giovanni Boccaccio'', G. Barbèra, 1869, p.167.</ref> tanto da essere definito, da una parte della storiografia, un "brigante gentiluomo",<ref>Giovanni Cherubini, ''Scritti toscani'', Salimbeni, 1991, p.242.</ref> [[Dante]] lo cita nel sesto canto del ''[[Purgatorio (Divina Commedia)|Purgatorio]]'' della sua ''[[Divina Commedia]]''. Queste due citazioni letterarie faranno sì che Ghino di Tacco sia il brigante medioevale italiano la cui fama sia ben sopravvissuta al suo tempo.
 
=== Secoli XVI e XVII ===
In [[età moderna]] proliferarono gruppi di fuorilegge costituiti particolarmente da [[mercenario|soldati mercenari]] sbandati; contadini ridotti alla fame e pastori che si dettero alla macchia, rubando capi di bestiame ai latifondisti. {{citazione necessaria|Alle attività di brigantaggio parteciparono anche preti di campagna - simbolo di malcontento e malessere molto diffusi nel clero rurale - che andarono ad ingrossare le file dei banditi}}.<br />
Secondo L. Colombo «Nella seconda metà del XVI secolo il brigantaggio in tutta l'area mediterranea diventa una vera e propria marea sociale. Ondate di briganti si abbattono sulle campagne italiane arrivando a stringere in una morsa persino Roma».<ref>Citato in Roberto Bellosta, ''I briganti e le opportunità della guerra: Piccola storia criminale di due fuorilegge valsesiani del Quattrocento'', "Nuova Rivista Storica", XCV (2011), fasc. I, pp. 249-264, Gennaio 2011.</ref>
 
==== Ducato di Milano ====
Nel secolo XVI [[bosco della Merlata]] che si estendeva a nord della città di Milano, dal borgo di [[Villapizzone]] a includere la [[Certosa di Garegnano]] era infestato da una banda di briganti che trovavano rifugio presso l'[[osteria]] [[Villapizzone#L'osteria Melgasciada|Melgasciada]],<ref>p. 234 Valentino De Carlo, ''Curiosità e segreti di Milano: il volto meno conosciuto della città attraverso le leggende e i misteri della storia e della cronaca dall'antichità dei Celti ai giorni nostri'', Newton Compton, 2006.</ref><ref>L. Colombo, ''Banditi al bosco della Merlata: un episodio di brigantaggio nella Milano spagnola del XVI secolo''.</ref> capitanati dai briganti Giacomo Legorino e Battista Scorlino che finirono catturati nel maggio 1566,<ref>''Processo formato contro due famosissimi banditi Giacomo Legorino, e Battista Scorlino, con suoi seguaci, quali furono tutti pubblici assassini di strada; dove narrano gli assassinamenti, ruberie, omicidi, incendj, ed altre iniquità da loro commesse in diverse parti. Come sono stati presi, e giustiziati. Estratto giustamente dal processo, secondo il loro detto'' [http://opac.braidense.it/opac_braidense/opac/braidense/scheda_sim.jsp?sim_bid=MILE049180&pager.offset=0&bid=MILE047482 Pubblicato in Milano : nella stamperia di Donato Ghisolfi per il Bianchi, 1747].</ref> quindi processati con 80 complici e condannati a morte crudele e esemplare: legati alla coda di un cavallo e trascinati da questo al galoppo. Tuttavia, nonostante le ferite e probabili ossa rotte dopo due ore di supplizio il Legorino era ancora vivo, per cui fu sottoposto al supplizio della ruota a cui resistette, la conclusione venne quando per la salvezza dell'anima, il cappellano chiese al [[boia]] di sgozzarlo.
 
Nel secolo XVII la situazione dell'ordine pubblico peggioro' per l'indisciplina della soldatesca al soldo degli spagnoli, che secondo [[Cesare Cantù]] «Dopo la pace convertivansi in masnadieri; e la brughiera di [[Gallarate]] n'era sì piena, che il governo offrì 100 mila scudi di taglia a chi li distruggesse. ''Date a noi quella mancia'', dissero essi, e vennero a incorporarsi ne' reggimenti! I banditi scorrazzavano la campagna, principalmente presso ai confini, terribili ai tranquilli ed all'autorità. Bisognava tener sentinelle sui campanili... Capi non ne erano soltanto malfattori vulgari, come i famosi Battista Scorlino e Giacomo Legorino, ma personaggi di nome, i Martinengo di Brescia; il conte Borella di Vimercato, un Barbiano da Belgiojoso, un Visconti di Brignano, i cavalieri Cotica e Lampugnano, e il marchese Annibale Porrone, "uom temerariamente contumace (dice una grida) che ha mostrato non esser altro il suo istituto che di rendersi famoso nelle più precipitose et inumane risolutioni, con sì poco timore della divina e sprezzo dell'humana giustitia"»,<ref>In Cesare Cantù, ''Milano Storia del popolo e pel popolo'' 1871 (p. 265 edizione Liber Libri).</ref> malfattori contro i quali le autorità non riuscivano a imporre un freno e di cui in altri casi approfittavano, come quando incaricarono il marchese Porrone di scortare con cento suoi bravi fino ai confini col granducato di Toscana un certo Rucellaj che era stato minacciato di morte in Milano.
 
==== Romagna ====
Alla fine del Cinquecento nei territori al confine fra la [[Romagna toscana]] e quella [[Stato Pontificio|pontificia]] agiva [[Banditismo nell'età moderna#Alfonso Piccolomini|Alfonso Piccolomini]], di nobile [[Piccolomini|famiglia]] duca di [[Montemarciano]] la cui banda armata era composto da malfattori toscani, romagnoli e marchigiani. Inizialmente amico del [[granduca]] di [[Toscana]] che lo salvo' dalla cattura facendolo rifugiare in [[Francia]] ritorno' in Italia, probabilmente al soldo dei nemici dei [[Medici]] e favorito dall'appoggio degli spagnoli attestati nei [[Stato dei Presidii|Presidii]], minacciò dalle montagne di [[Pistoia]] la Maremma e approfittò della fame causata dalla [[carestia]] del [[1590]] per «sollevare i popoli», e fare «delle scorrerie».<ref>[[Fernand Braudel]], ''Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II'', Einaudi, Torino 1986, vol. II, pp. 792-793.</ref> Sia il Granducato di Toscano che lo Stato Pontificio gli diedero lungamente la caccia impiegando ingenti risorse di uomini e mezzi fino a riuscire ad giustiziarlo il 16 marzo del [[1591]].
 
==== Stato della Chiesa e Italia Centrale ====
Nella seconda metà del Cinquecento, operò nell'Italia centrale e meridionale il brigante [[Abruzzo|abruzzese]] [[Marco Sciarra]] che, raccolti attorno a sé circa un migliaio di uomini, compì scorrerie e assalti; inimicandosi sia gli [[spagnoli]] che lo [[stato della Chiesa]]. Nello stesso periodo agiva [[Alfonso Piccolomini]], un nobile appartenente a illustre [[Piccolomini|famiglia]] [[Siena|senese]], che scelse la strada del brigantaggio per combattere lo [[stato Pontificio]], messosi a capo di persone misere egli commetteva atti fuorilegge tra [[Umbria]], [[Marche]] e [[Lazio]]. Alla fine del Cinquecento, altre bande operarono nell'Italia Centrale, capeggiate da [[Battistello da Fermo]], [[Francesco Marocco]], [[Giulio Pezzola]] e [[Bartolomeo Vallante]]; mentre nello stesso periodo agiva in Calabria [[Marco Berardi]] noto col nomignolo di ''Re Marcone''.
 
Le cronache di questo periodo riportano pure le gesta di un certo capitano Antino Tocco, nativo di [[San Donato Val di Comino]], il quale da guardiano di pecore con l'armi in mano divenne capitano del [[Regno di Napoli]] combattendo i briganti nelle aree di confine fra il [[Frosinone|Frosinate]], l'[[Abruzzo]] e il Regno di Napoli, di costui le cronache ricordano che: «fu gran Persecutore di gente scelerata, Banditi e ladri di strada de quali ne fece gran strage, dissolvendoli a fatto».<ref>vedi pag. 52 in Giovanni Paolo Mattia Castrucci, Giovanni Domenico carmelitano, '' Descrittione del ducato d'Aluito nel regno di Napoli, in Campagna Felice. Di Gio: Paolo Matthia Castrucci, d'Aluito dottor filosofo, e medico. Stampata nell'anno 1633. e ristampata nell'anno 1684.'' Francesco Corbelletti, 1686 Roma, Napoli.</ref>
 
Nel [[1557]] con una notificazione del commissario di [[papa Paolo IV]] si ordina la distruzione del paese di [[Artena|Montefortino]] vicino a Roma; i suoi abitanti sono dichiarati fuorilegge come "briganti", e i resti dell'abitato distrutto sono cosparsi di [[sale]].<ref>Cesare Cantù, ''Storia universale di Cesare Cantù'' , Volume 2; Volume 8, libro decimoquinto, cap. XXVII, nota 6, Unione Tipografico-Editrice, 1888.</ref>
Decenni dopo emerse sulla scena del brigantaggio [[Cesare Riccardi]] (noto come "Abate Cesare"), costretto alla vita clandestina per aver ucciso un nobile nel [[1669]] e che, {{citazione necessaria|nonostante la sua efferatezza, era ricordato da alcuni come un eroe dei più poveri}}.
Nella lotta contro il brigantaggio s'impegnò con energia [[papa Sisto V]]: migliaia di briganti furono trascinati davanti alla giustizia e molti di loro vennero condannati a morte. Il papa inoltre promulgò il divieto di portare indosso armi di media e grossa taglia. Nel giro di un breve periodo il pontefice poteva affermare che il paese fosse in ''perfecta securitas''. La repressione del brigantaggio avvenne con tre metodi: -A) piccoli reparti armati che combattevano i briganti nascosti nei boschi; -B) pagamento di taglie a delatori, disposti a svelare i covi dove si celavano i capibanda; e -C) ai briganti che si erano macchiati di delitti minori era offerta, come alternativa alla pena, la possibilità di arruolarsi nelle truppe pontificie.<ref>[http://www.romeartlover.it/Pinelli1.html Picturesque Brigands].</ref>
 
Alla fine del secolo XVI la campagna romana, particolarmente nelle province di [[Frosinone]] e [[Anagni]] fu soggetta a frequenti incursioni di bande di briganti, contro le quali nel [[1595]] [[papa Clemente VIII]] inviò alcune compagnie di cavalleria; analoga azione repressiva venne ordinata dal viceré di Napoli - conte Olivarez - contro briganti che infestavano il regno omonimo. Costoro agivano principalmente aggredendo i viandanti e corrieri nei boschi o nei tratti montuosi delle strade, derubandoli e spesso uccidendoli; in altri casi catturando persone facoltose per estorcerne riscatto. In questo periodo, tra i sequestrati le cronache riportano due nobili ecclesiastici romani: Giambattista Conti vescovo di [[Castellaneta]] e Alessandro Mantica [[arcivescovo di Taranto]], che furono liberati dopo il pagamento d'un riscatto ingente.<ref>cfr. pag 16-17 di Antonio Coppi, ''Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825'' Tip.Salviucci, Roma, 1867.</ref>
La persistenza del brigantaggio, che rimaneva sempre vigoroso nonostante la repressione a cui era sottoposto, era in gran parte dovuta all'appoggio che esso trovava, ora in questo ora in quello, fra i governi del [[Granducato di Toscana|granduca di Firenze]], di Roma e di Napoli. Tale da rappresentare arma nascosta dei diversi governi, poiché come conseguenza dei frequenti dissidi fra il Papa e il Granduca, o il Papa e il Viceré; alle ostilità diplomatiche si accompagnavano silenziosamente attività brigantesche, favorite a turno dall'uno ai danni dell'altro: da Napoli o Firenze ai danni di Roma e viceversa. Nel 1594 papa Clemente VIII si lamentava col Nunzio di Napoli sul comportamento del Viceré dello stesso regno, dicendo che «mostrandosi favorire i banditi di questo Stato [n.d.r. ossia quello papalino] mette S. B. nella necessità di continuare nelle gravi spese che si son fatte fin adesso nella persecuzione loro».<ref>Pag. 455-456, Francisco Protonotari, ''Nuova antologia, Rivista di scienze, lettere ed arti'', Volume 54, Anno XV, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1880.</ref>
 
==== Vicereame spagnolo di Napoli ====
In [[Aspromonte]] e nella [[Sila]] nel cinquecento, agiva il brigante [[Nino Martino]], il cui ricordo, nella tradizione orale calabrese, ha portato a confonderlo con [[san Martino]] il santo dell'abbondanza.<ref>vedi pag. 30-31 in [[Carlo Levi]], ''Prima e dopo le parole: scritti e discorsi sulla letteratura'', Donzelli Editore, 2001.</ref>
 
Secondo [[Giuseppe Rovani|Rovani]], durante i due secoli di dominazione spagnola nel napoletano, i banditi dominavano la campagna ed i nobili, se non volevano subirne vessazioni si vedevano obbligati a proteggerli, utilizzandoli come scherani quando possibile, attirandoli a Napoli in momenti politicamente torbidi, come i sussulti filofrancesi del 1647 e 1672. Nel marzo 1645 a Napoli venne promulgato un indulto generale verso tutti i briganti su cui pendesse la condanna di morte; a condizione che si arruolassero nella milizia. Un contemporaneo stimò che ad arruolarsi fossero circa 6000, su di una popolazione di 2 milioni.<ref>Pag 455, Francisco Protonotari, ''Nuova antologia, Rivista di scienze, lettere ed arti'', Volume 54, Anno XV, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1880.</ref>
 
Nella seconda metà del [[secolo XVI]], in Calabria nel [[Crotone]]se divenne famoso [[Marco Berardi|Re Marcone]], soprannome di un brigante che radunò una banda armata in lotta contro il viceré spagnolo ed il potere ecclesiastico; autoproclamatosi re su una vasta area della Sila pose una taglia di duemila scudi sopra il Marchese spagnolo che lo combatteva, e dieci per ogni testa di spagnolo ucciso.<ref>[http://www.archiviostoricocrotone.it/uomo_medievale/gesta_re_marco.htm Le Gesta di Re Marco].</ref>
 
[[File:Pascal Brunò immagine.jpg|thumb|Il brigante siciliano Pasquale Bruno]]
 
=== Secolo XVIII e periodo preunitario ===
==== Regno di Sicilia ====
Nel [[Regno di Sicilia]], i primi briganti apparvero, negli anni venti del '700, in particolare nell'agrigentino.<ref>http://www.solfano.it/tradizioni/briganti.html.</ref>
 
Secondo [[Giuseppe Pitrè]] il fenomeno assunse rilevanza regionale nel [[1766]], dopo la grave siccità che colpì la Sicilia nel 1763, che portò la carestia. Il famigerato brigante Antonino Di Blasi, detto Testalonga, guidava tre bande sparse per tutta la Sicilia meridionale, insieme a Antonino Romano di Barrafranca e Giuseppe Guarnaccia
di Regalbuto. Il viceré [[Giovanni Fogliani Sforza d'Aragona]] mise su ciascuno una taglia di 100 onze e inviò tre compagnie di soldati e una di dragoni e entro il marzo 1767 furono tutti catturati e giustiziati.<ref>http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Storia/Altre/SICILIA/0005_Sicilia_del_700.PDF.</ref>
 
Il brigante [[Pasquale Bruno (bandito)|Pasquale Bruno]] visse alla fine del '700 operando nel messinese, e fu giustiziato nel [[1803]]. [[Alexandre Dumas (padre)|Alexandre Dumas]] si ispirò alla sua storia per il romanzo "Pascal Bruno, il brigante siciliano". Dal 1817 il regno di Sicilia, fu unito con quello di Napoli, nel Regno delle Due Sicilie.
 
==== Regno di Napoli ====
Nei territori del regno borbonico gli episodi di brigantaggio furono manifesti ben prima dell'invasione francese del [[Regno di Napoli]].
 
Nel 1760 squadre di banditi arrivarono al punto di ordinare che le tasse fossero pagate a loro anziché al fisco, mentre il cardinale [[Innico Caracciolo]] fu catturato e liberato solo dopo il pagamento di 180 [[Pistola (moneta)|Doppie]] come riscatto. Con il termine "Doppia" è intesa la moneta - corrente al tempo - più propriamente chiamata "Doppia di Piemonte" equivalente a una Pistola o 24 Lire Piemontesi.
 
Un famoso brigante fu [[Angelo Duca]] (noto come ''Angiolillo'') che si distinse tra [[Campania]], [[Puglia]] e soprattutto in [[Basilicata]]. Catturato nel [[1784]] fu impiccato a [[Salerno]] e quindi, smembratone il cadavere, la testa venne esposta a [[Calitri]]. Le sue gesta furono ricordate positivamente da Pasquale Fortunato<ref>[[Benedetto Croce]], ''Il brigante Angiolillo'', Osanna, 1986, p.33.</ref> (avo del [[meridionalismo|meridionalista]] [[Giustino Fortunato|Giustino]]), che compose un poema su di lui, e da [[Benedetto Croce]] che lo definì «''di buona pasta, coraggioso, ingegnoso e di una certa elevatezza d'animo''».<ref>Benedetto Croce, ''Il brigante Angiolillo'', Osanna, 1986, p.57.</ref> Secondo lo storico inglese [[Eric Hobsbawm|Hobsbawm]], Angiolillo rappresenta «l'esempio forse più puro di [[banditismo sociale]]».<ref>[[Eric Hobsbawm|E.J. Hobsbawm]], ''I ribelli'', Einaudi, Torino 1966, p. 21.</ref>
La complicità fra nobili locali e banditi rendeva difficile combatterne le attività, per cui spesso la lotta contro i loro protettori veniva trascurata.<ref>cfr 292-293 in Giuseppe Rovani, ''Storia delle lettere e delle arti in Italia: giusta le reciproche loro rispondenze ordinata nelle vite e nei ritratti degli uomini illustri dal secolo XIII fino al nostri giorni'', Volume 2, Borroni e Scotti, Milano, 1856.</ref> Il processo ai banditi spesso si svolgeva ''ad modum belli'', ovvero in forma sommaria e veloce: al reo veniva sollecitata la confessione dei crimini di cui era accusato ( di solito si trattava di appartenenza a banda armata in campagna, omicidi, ricatti...), qui si ricorreva alla [[tortura]] (sospensione e tratti di fune) per verificare quando confessato dall'imputato; dopodiché all'avvocato difensore era permessa un'ora per organizzare la difesa; a questa seguiva il pronunciamento della sentenza, che veniva eseguita immediatamente. Le teste mozzate dei condannati, erano portate in mostra per le vie di Napoli come ammonimento e conferma dell'avvenuta giustizia.<ref>Marco Corcione, ''Modelli processuali nell'antico regime: la giustizia penale nel tribunale di campagna di Nevano'', Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore, 2002.</ref> Questa esibizione del cadavere avveniva un po' dappertutto in Italia fino al XIX secolo: per esempio, il cadavere di [[Stefano Pelloni]], detto il Passatore, ucciso in Romagna nel [[1851]], fu posto su un carretto e portato di paese in paese a dimostrazione del cessato pericolo.
 
===== Età napoleonica =====
{{vedi anche|Sanfedisti|Insurrezione calabrese (1806-1809)}}
[[File:Papa Ciro siege.jpg|250px|miniatura|destra|Stampa dell'epoca illustrante l'assedio finale delle truppe del generale Church al rifugio di Papa Ciro]]
Il brigantaggio venne fortemente combattuto nel periodo [[Età napoleonica|napoleonico]]. Nel 1799 numerosi banditi dell'epoca si aggregarono ai combattenti antigiacobini noti come [[sanfedisti]], capeggiati dal cardinale [[Fabrizio Ruffo]] per la riconquista del [[Regno di Napoli]], divenuto [[Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]], da parte della corona borbonica. Tra i capi briganti si ricordano : Pronio, Sciarpa e ([[Fra Diavolo]]), il più' famoso fra questi, un pluriomicida che accettò di arruolarsi nell'esercito napoletano, in cambio della remissione della pena e [[Gaetano Mammone]], descritto da fonti dell'epoca come una persona estremamente crudele e il suo luogotenente Valentino Alonzi, zio di [[Luigi Alonzi|Chiavone]] che sarà uno dei maggiori briganti postunitari; gran parte di costoro furono promossi al grado di colonnello dell'armata regia e insigniti di onorificenze.<ref>vedi pag 131 , F. Gaudioso, 2006.</ref>
 
Tra le azioni di queste bande vi fu la sanguinosa reazione alla [[Rivoluzione di Altamura]] contro la popolazione favorevole ai repubblicani. Decaduta la repubblica, durante il periodo della prima restaurazione borbonica molti di questi briganti proseguirono nelle loro attività violente e di rapina, scontrandosi contro le truppe borboniche, Mammone venne catturato e mori' in carcere nel 1802. Lo stesso Fra Diavolo venne temporaneamente imprigionato nell'ottobre 1800, dopo che la sua banda aveva saccheggiato alcuni paesi per approvvigionarsi, venendo quindi liberato da re Ferdinando IV e poté tornare al suo paese come Comandante Generale del dipartimento di [[Itri]].
 
Durante il [[Storia di Napoli#Il Regno francese di Bonaparte e Murat|decennio francese]], vennero attuate dure repressioni contro i briganti, soprattutto in [[Basilicata]] e [[Calabria]], regioni in cui si concentrò maggiormente la reazione legittimista alla presenza francese. Nel [[1806]], i generali francesi [[Andrea Massena]] e [[Jean Maximilien Lamarque]], durante la repressione delle rivolte saccheggiarono le città lucane di [[Lagonegro]], [[Viggiano]], [[Maratea]] e [[Massacro di Lauria|Lauria]], dove numerosi rivoltosi vennero impaccati e fucilati sommariamente.<ref>[[Tommaso Pedio]], ''Storia della Basilicata raccontata ai ragazzi'', Congedo, 1994, p.133.</ref><ref>Tommaso Pedio, ''Brigantaggio meridionale'', Capone, 1987, p.28.</ref> Lo stesso anno fra Diavolo venne catturato dai francesi ed impiccato a Napoli.
 
Durante il regno di [[Gioacchino Murat]], nel secondo periodo napoleonico, il brigantaggio antifrancese rimase sempre attivo e tra le bande più temute del periodo vi era quella di [[Domenico Rizzo]] noto come "Taccone" che arrivo' a proclamarsi "Re di Calabria e Basilicata". È nota l'opera repressiva contro il brigantaggio calabro-lucano da parte del colonnello francese [[Charles Antoine Manhès]], ricordato da [[Pietro Colletta]] per i suoi metodi violenti e crudeli e che per la sua determinazione nel reprimere il fenomeno fu confermato nel suo incarico anche dopo il ritorno al potere borbonico.
 
===== Seconda restaurazione borbonica =====
[[File:Pinelli scontro a fuoco a Monticelli.jpg|250px|miniatura|destra|[[Bartolomeo Pinelli]]: la cattura del capo brigante Alessandro Massaroni a [[Monte San Biagio (Italia)|Monticelli]] ad opera di truppe congiunte napoletane, pontificie e austriache (20 giugno 1821)]]
[[File:Scene di brigantaggio preunitario.jpg|250px|miniatura|destra|Brigantaggio preunitario: scena di combattimento tra briganti e milizia in un dipinto dell'epoca]]
In seguito alla [[Trattato di Casalanza|seconda restaurazione borbonica]], il re [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]] attuò una campagna repressiva nei confronti delle bande di briganti. Il sovrano borbonico, in particolare nell'aprile [[1816]], aveva infatti emanato un decreto per lo sterminio dei briganti che infestavano [[Calabria]], [[Molise]], [[Basilicata]] e [[Capitanata]], conferendo speciali poteri ai vertici dell'esercito.<ref>Decreto n. 343 del 22 aprile [[1816]], in «Collezione delle leggi e decreti reali del [[Regno di Napoli]]», semestre I, Stamperia reale, Napoli 1816, pp. 256-258.</ref>
 
Il 4 luglio 1816 fu stipulato tra il governo papale e quello borbonico, un accordo di collaborazione sullo sconfinamento reciproco delle truppe, tra i territori pontifici e quello del regno borbonico, durante le azioni di repressione del brigantaggio. Questo accordo, poi rinnovato e ampliato il 19 luglio 1818, aveva lo scopo di evitare che lo stato confinante divenisse rifugio per briganti in fuga.<ref>Vedi pag. 27 e 30 di Antonio Coppi, ''Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825'' Tip.Salviucci, Roma, 1867.</ref>
 
Nella Puglia settentrionale, in [[Capitanata]], il brigantaggio era particolarmente attivo (soprattutto nel distretto di [[Bovino (Italia)|Bovino]]) «...fino ad assumere connotati di massa. Ad esso si dedicavano alacremente migliaia di individui, padri e figli, che nell'assalto ai viaggiatori, alle diligenze e al procaccio trovavano la fonte primaria del proprio sostentamento».<ref>Cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''op. cit.'', p. 222.</ref>
Nell'ottobre 1817 l generale inglese [[Richard Church]] ebbe il comando della sesta divisione militare, comprendente le province di [[Bari]] e di [[Lecce]], per combattere il brigantaggio ] fiorente nelle [[Puglie]] spesso associato a [[società segrete]] antiborboniche come nel caso di [[Papa Ciro]], [[sacerdote]] e brigante delle [[Murge]].<ref>[[Antonio Lucarelli]], ''Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818)'', [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]], Bari, 1942.</ref> Gli furono dati ampi poteri, sulla falsariga di quanto era stato fatto [[Regno di Napoli#Il periodo napoleonico|nel periodo napoleonico]] nei confronti di [[Charles Antoine Manhès|Manhès]].
 
La sua azione di Church fu dura ed efficace. Commenta Pietro Colletta:
{{citazione|De' quali disordini più abbondava la provincia di Lecce, così che vi andò commissario del re coi poteri dell'alter ego il generale Church, nato inglese, passato agli stipendi napoletani per opere non lodevoli, quindi obliate per miglior fama. Il rigore di lui fu grande e giusto: centosessantatré di varie sette morirono per pena; e quindi spavento a' settari, ardimento agli onesti, animo nei magistrati, resero a quella provincia la quiete pubblica. Ma senza pro per il regno perciocché i germi di libertà rigogliavano, animati dalla Carboneria.|[[Pietro Colletta]], ''[[Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825]]'', Libro VIII, "Regno di Ferdinando IV (1815-1820)", Capo III, "Errori di governo e loro effetti", XLVIII}}
 
==== Nel Regno delle Due Sicilie ====
Nel 1818, trasferito Church in Sicilia, fu inviato in Puglia il generale [[Guglielmo Pepe]] per organizzare le milizie provinciali da impiegare contro i briganti<ref>Angelantonio Spagnoletti, op. cit., p. 222.</ref> di [[Rocco Chirichigno]].
[[File:Teschi briganti campotenese calabria 1852.JPG|300px|miniatura|destra|Crani di briganti esposti sopra pilastri a Campo Tenese ([[Morano Calabro]]), in un disegno del 1852 di [[Horace de Rilliet]]]]
Nella sua cronaca di viaggio da Napoli a Lecce, pubblicata nel 1821, [[Giuseppe Ceva Grimaldi Pisanelli di Pietracatella|Giuseppe Ceva Grimaldi]] (marchese di Pietracatella) scrisse a proposito di questa lotta contro il brigantaggio:
 
{{Citazione|Il ponte di [[Bovino (Italia)|Bovino]] è la nostra [[Selva Nera|Selva-nera]], per lungo tempo è stato luogo diletto agli scherani masnadieri, ed occupa nei canti de'nostri ''Bardi'' del Molo lo stesso posto luminoso che le balze ed i boschi della Scozia nelle croniche dell'Arcivescovo [[Turpino]] e nei canti dell'[[Ludovico Ariosto|Ariosto]]. Oggi però questi luoghi sono perfettamente tranquilli: sedici teste di banditi chiuse in gabbie di ferro coronano da una parte e dall'altra le sponde del ponte, e questa muta ma eloquente guardia parla potentemente all'immaginazione degli scellerati.|Giuseppe Ceva Grimaldi, ''Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d'Otranto nell'anno 1818''<ref>pag. 15, Giuseppe marchese di Pietracatella Ceva Grimaldi (marchese di Pietracatella), ''Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d'Otranto nell'anno 1818'', Napoli, tipografia di Porcelli, 1821.</ref>}}
 
Nel 1817 nel [[Cilento]] la banda dei [[Fratelli Capozzoli]] iniziò le sue scorribande, che proseguirono fino al 1828, quando costoro si unirono ai [[Filadelfi]] durante i [[Moti del Cilento (1828)|Moti del Cilento]], la dura repressione ad opera di [[Francesco Saverio Del Carretto|Del Carretto]] stroncò la rivolta, i Capozzoli furono catturati l'anno seguente, giustiziati a [[Salerno]] e loro teste mozzate portate in mostra nei paesi circostanti.<ref>Charles Didier (1831).</ref>
 
===== ''Leggi speciali per la repressione del brigantaggio'' =====
Nel 1821 re Ferdinando I emise un decreto reale contenente norme severissime per la repressione del brigantaggio nei territori continentali del Regno di Napoli.<ref name="ReferenceB">cfr. Collezione delle leggi e decreti reali del [[Regno delle Due Sicilie]], anno 1821, decreto n. 110, pp. 104-110.</ref>
 
Nei territori del Sud continentale venivano istituite quattro corti marziali, la Campania al maresciallo Salluzzi; l'Abruzzo, Molise, [[Terra di Lavoro]] al maresciallo Mari; Basilicata e Puglia meridionale al maresciallo Roth; la Calabria al maresciallo Pastore.<br />
In tutti i comuni borbonici venivano pubblicate delle liste di banditi, dette “Liste di fuor bando”, contenenti i nomi dei ricercati per brigantaggio, che potevano essere uccisi da chiunque, ricevendo anche un premio in denaro, rispettivamente di 200 ducati per il capobanda e di 100 per il semplice componente la banda.
 
Le norme del Decreto reale borbonico 110/1821<ref name="ReferenceB"/> prevedevano la pena di morte per chiunque facesse parte di una banda armata (era sufficiente essere membri di un gruppo anche di soli tre uomini, di cui anche uno solo armato) che commettesse crimini di qualsiasi natura. Era prevista la pena di morte anche per tutti i “manutengoli”, ovvero per quelli che, in qualunque modo, aiutassero, favorissero o si rendessero complici dei briganti: informatori, ricettatori, etc. Veniva concessa l'amnistia, ma solo per i briganti che eliminavano altri briganti. Ad esempio, un bandito otteneva l'impunità per i propri reati uccidendo un altro bandito della stessa banda, mentre un capobrigante era amnistiato soltanto se uccideva tre banditi. Se invece un bandito uccideva un capobanda, otteneva la grazia ed era anche premiato. Si cercava in questo modo d'istigare i briganti ad eliminarsi a vicenda.
 
Il brigantaggio interessò in genere, tutta la permanenza della dinastia borbonica sul trono napoletano: «... La crisi economica del 1825-1826 prostrò il mondo delle campagne diede via alla ripresa della guerriglia rurale e a clamorosi episodi di brigantaggio»<ref>Cit. da Angelantonio Spagnoletti, ''Storia del Regno delle Due Sicilie'', Bologna, Il Mulino, 1997, p. 53.</ref> Spagnoletti segnala, in età borbonica, un «...ribellismo endemico, spesso sfociato nel brigantaggio di estese zone delle Calabrie e del [[Principato Citra]]...»,<ref>cit. da Angelantonio Spagnoletti ''op. cit.'', p. 57.</ref>. Per l'abilità dimostrata durante il periodo murattiano, Ferdinando I confermò nel suo incarico il generale [[Charles Antoine Manhès]], promosso nel 1827 a ''inspecteur général de gendarmerie''.
 
Ancora nell'ottobre [[1859]], pochi mesi prima della fine del [[Regno delle Due Sicilie]], il re [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] con il Decreto n. 424 del 24 ottobre 1859<ref>''Decreto n. 424 del 24 ottobre 1859'', in «Collezione delle Leggi e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie», semestre II, Stamperia Reale, Napoli 1859, [http://books.google.it/books?id=42cuAAAAYAAJ&pg=RA1-PA274 pp. 274-275].</ref> conferì a [[Emanuele Caracciolo]], comandante in seconda della [[gendarmeria]], destinato nelle tre Calabrie, il potere di arrestare e far processare dagli ordinari consigli di guerra delle guarnigioni di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria coloro che si macchiavano dei seguenti reati:
# Comitiva armata
# Resistenza alla forza pubblica
# brigantaggio
# favoreggiamento al brigantaggio
 
Il procedimento giudiziario avrebbe dovuto svolgersi secondo l'articolo 339 e seguenti dello ''Statuto Penale Militare'' e le condanne eseguire secondo l'articolo 347 del medesimo statuto, entrambi facenti parte del capitolo IX "Della processura subitanea". L'articolo 339 affermava la necessità di un "pronto esempio" per quei reati che possono «interessare la militar disciplina e la sicurezza delle truppe», e per «impedire le funeste conseguenze di simili reati» si adopererà «un più spedito giudizio che si chiamerà ''subitaneo''».
L'articolo 347 recita: "Le decisioni de' Consigli di guerra radunati con modo subitaneo non ammettono richiamo all'alta Corte militare e vengono eseguite nello stesso termine che il rispettivo Consiglio stabilirà", ossia le condanne sono inappellabili.<ref>vedi pag. 85-87 in ''Statuto penale militare per lo Regno delle due Sicilie'', Reale tipografia militare, 1857, [https://books.google.it/books?dq=statuto+Penale+militare+regno+delle+due+sicilie&q=subitaneo&id=8q7Nz8QlWosC&hl=it&output=text#v=snippet&q=subitaneo&f=false p.85-87].</ref>
 
Nel 1844 il brigante calabrese Giuseppe Melluso, rifugiato a [[Corfu]] in quanto ricercato per omicidio, partecipo' come guida allo sbarco a [[Cosenza]] della spedizione antiborbonica dei [[fratelli Bandiera]].
 
Il brigantaggio calabrese di questo periodo ispirò nel 1850 a [[Vincenzo Padula]] il dramma ''[[Antonello capobrigante calabrese]]''.
 
==== Stato pontificio ====
[[File:Briganti romani papalini Pinelli6.jpg|250px|miniatura|destra|Gendarmi pontifici in perquisizione alla ricerca di briganti nascosti, in una fattoria della campagna romana, inizio secolo XIX]]
{{Approfondimento
|larghezza=280px|
|titolo=Costumi dei briganti della campagna romana all'inizio del [[secolo XIX]] [[File:Brigand costume latium 1820.jpg|upright=1.3|thumb]]|contenuto=<small>Tavola da: Maria Calcott , Maria Graham, ''Three months passed in the mountains east of Rome'', 1820</small>. In testa un alto cappello conico adorno con bande alterne rosse bianche; il corpo ricoperto da un ampio mantello; una giacchetta di velluto blu, [[gilet (abbigliamento)|gilet]] ornata con bottoni di [[filigrana]] d'argento; camicia di lino; brache aderenti, allacciate sotto il ginocchio; ai piedi le caratteristiche [[ciocia|cioce]]. L'abbigliamento è completato da una cartucciera in cuoio, attorno alla vita (detta "padroncina"); un'altra cintura di cuoio scende dalla spalla a mo' di bandoliera e porta un fodero per coltello, forchetta e cucchiaio; un grosso coltello da caccia posto di traverso sul davanti; un cuore d'argento, contenente una immagine della Madonna e Bambin Gesù, appuntato all'altezza del cuore (un altro simile spesso era appeso al collo). Grossi orecchini d'oro e ed altri oggetti (come anelli, catene, orologi) sempre d'oro arricchivano il costume.<ref>cfr pag. 154-155 Maria Calcott , Maria Graham, ''Three months passed in the mountains east of Rome'', 1820.</ref>}}
Il continuo imperversare dei briganti negli stati pontifici obbligò il cardinale [[Fabrizio Spada]], segretario di stato di [[Innocenzo XIII]] ad emanare il 18 luglio 1696 un apposito editto contro "Grassatori, banditi, facinorosi e malviventi", per obbligare la popolazione alla delazione dei tali, minacciando galera o pena della vita per chi avesse taciuto; promettendo un premio di 100 scudi d'oro per chi avesse causato la cattura di un criminale ricercato.<ref>cfr. pag. 17-18 di Antonio Coppi, ''Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825'', Tomo VII, Tip.Salviucci, Roma, 1867.</ref>.
 
Nonostante questo editto, la situazione non sembrò cambiare e, agli inizi del secolo XIX, l'area inclusa fra [[l'Aquila]], [[Terracina]], i fiumi [[Tevere]] e [[Garigliano]] era ancora sempre, soggetta alla frequente attività di briganti.
 
Nei dintorni di Terracina imperversava per circa 40 anni il brigante [[Giuseppe Mastrilli]], quando questi venne catturato, la sua testa fu esposta a Terracina, rinchiusa in una gabbietta di ferro, a Porta Albina che quindi venne popolarmente chiamata "Porta Mastrilli",<ref>[http://www.terrapontina.it/abitanti/briganti/ ''I briganti di Terracina e dintorni''].</ref> la testa rimase esposta fino al 19 ottobre 1822, quando fu rimossa in conseguenza a petizione popolare<ref>[http://www.villasantostefano.com/villass/brigantaggio/la_testa_di_mastrilli.htm Gioacchino Giammaria ''La testa di mastrilli''].</ref>
 
Lo storico [[Antonio Coppi]], così descrive al situazione nello stato pontificio, al tempo della [[Restaurazione]]: «Le provincie prossime a Roma furono per molti anni tormentate dagli assassini (detti volgarmente briganti), male comune colle vicine [aree] napoletane degli Abruzzi, della Terra di Lavoro e della Puglia. Nelle sollevazioni di molte popolazioni contro i Francesi, allorquando essi occupavano queste regioni, non pochi erano corsi alle armi, più per amore della rapina che della patria. Alcuni si assuefecero in tal guisa al ladroneccio e vi persistettero anche dopo terminati i popolari tumulti. Formati così diversi nocchj<ref>arcaismo: nuclei.</ref> di ladri, che scorrevano armati per le campagne, recavansi ad unirvisi molti di coloro che avevano la stessa perversa inclinazione, o che per commessi delitti divenivano fuggiaschi... Uniti in bande costringevano i contadini ed i pastori a somministrar loro il vitto. Violavano le femmine che potevano raggiungere. Assaltavano i doviziosi, e non contenti di rapir loro quanto portavano, li conducevano sulle montagne e gli imponevano enormi taglie pel riscatto. Se non ricevevano il chiesto denaro li trucidavano fra' più orribili tormenti».<ref>Vedi p. 359 ''et passim''in Antonio Coppi, ''Annali d'Italia dal 1750: 1820-1829'',Tipografia di Giuseppe Giusti, Lucca, 1843.</ref>
 
Fra questi il brigante più famoso fu [[Antonio Gasbarrone]] detto ''Gasparrone'' il cui aiutante [[Tommaso Transerici]] fu l'artefice del tentato sequestro di [[Luciano Bonaparte]] dalla sua villa tuscolana in [[Frascati]] nel [[1817]]. Sei banditi penetrarono in tale villa e, non trovandolo rapirono il suo segretario, per il quale chiesero il pagamento di un [[riscatto]] entro 24 ore, pena l'uccisione dell'ostaggio; al rapito spiegarono che, sia pur con rincrescimento sarebbe stato ucciso in caso di non pagamento, in quanto i briganti dovevano salvaguardare la loro fama di uomini d'onore nel mantenere la parola data; i banditi nei loro rapimenti non distinguevano fra uomini e donne, tant'è vero che nello stesso periodo una giovane donna, rapita tra [[Velletri]] e [[Terracina]], fu uccisa non essendo stato pagato il suo riscatto.<ref>cfr. pag. 414-415 in William Hendry Stowell, The Eclectic review, Volume 15; Volume 33, 1821.</ref>
 
A seguito di queste azioni delittuose il cardinale [[Ercole Consalvi]] emise un proclama invitando i banditi ad arrendersi, promettendo loro una debole pena di sei mesi di prigionia a [[Castel Sant'Angelo]], il pagamento loro di una somma di denaro per i giorni di imprigionamento e quindi il loro rilascio. Un certo numero di costoro si consegnarono, furono imprigionati nel castello, dove furono posti in mostra al popolo come animali selvaggi in gabbia ma, promesse nonostante, non furono liberati al termine del periodo stipulato.<ref>cfr. pag. 415 in William Hendry Stowell, The Eclectic review, Volume 15; Volume 33, 1821.</ref>
 
Tali misure, tuttavia, non servirono a ridurre il brigantaggio, particolarmente attivo nella provincia di [[Campagna e Marittima]] al confine col [[Regno di Napoli]], e il 18 luglio 1819 il cardinale Consalvi emise un duro editto, con il quale decretava la distruzione del paese di [[Sonnino]],nel basso Lazio, giudicato principale luogo di rifugio dei briganti locali e attirante anche malfattori del vicino regno borbonico, e punto di riferimento per bande di fuorilegge di [[Fondi]] e di [[Lenola]]. Simultaneamente tale editto imponeva lo sfratto forzato degli abitanti. Il comune sarebbe stato suddiviso fra quelli circostanti non coinvolti nel brigantaggio. La distruzione del comune venne sospesa dopo l'abbattimento di venti case; l'ordine di distruzione totale del paese definitivamente annullato l'anno seguente.<ref>cfr. p. 423 Paolo Macry, Angelo Massafra, ''Fra storia e storiografia: scritti in onore di Pasquale Villani'', Mulino, 1994.</ref>
 
Con lo stesso editto il Consalvi, tentando di coinvolgere i comuni nella lotta contro il brigantaggio, li obbligò a difendere il loro territorio dalle incursioni dei briganti e a rimborsare i derubati del denaro pagato a seguito di estorsioni. Contemporaneamente decretò riduzioni temporanee di due anni delle imposte sul sale e sul macinato, per quei paesi che avessero collaborato nella cattura o uccisione dei briganti; incremento delle taglie poste sulla testa dei ricercati e pena di morte per chi li aiutasse.<ref>cfr. pag. 88-89, ''[[Archivio storico per la Calabria e la Lucania]]'', Volume 48,1981.</ref> Le guardie armate antibrigantaggio, già istituite nel 4 maggio 1818, vennero rafforzate e fu concesso il porto d'armi gratuito a tutti i loro appartenenti. Ad ogni comune venne richiesto di munirsi d'una torre campanaria per segnalare incursioni banditesche e chiamare a raccolta per la difesa. Chiunque non rispondesse all'appello della campana, era da considerarsi complice dei malviventi e soggetto a pene pecuniarie e corporali. La resistenza alla forza armata e l'aiuto ai briganti erano punibili fino alla pena di morte, ogni azioni militare completata con successo contro i briganti comportava un automatico avanzamento di grado dell'ufficiale al comando, mentre viceversa, degradazione o espulsione erano previste nei casi di codardia e/o disonore nel corso del servizio. L'editto annunciava che nessun ulteriore amnistia sarebbe stata concessa, ma lasciava un mese di tempo per arrendersi ed appellarsi alla clemenza del Pontefice.<ref>cfr pag. 231-237 Maria Calcott , Maria Graham, ''Three months passed in the mountains east of Rome'', 1820.</ref>
 
Nel 1821 vennero assaliti il monastero dei frati camaldolesi dell'Eremo di [[Tuscolo]] e un collegio per fanciulli alle porte di [[Terracina]].
 
Perdurando il brigantaggio nella provincia di [[Campagna e Marittima]], nel 1824 vi fu appositamente inviato il cardinale [[Antonio Pallotta]] con pieni poteri, con la nomina a "legato a latere" per combatterlo. Il cardinale si insediò a [[Ferentino]] e il 25 maggio emise un editto al fine di estirpare il brigantaggio e rendere sicure le vie di comunicazione, lungo le quali avvenivano numerose aggressioni contro i viaggiatori. Alcune aggressioni furono perpetrate contro viandanti stranieri, provocando così azioni di protesta da parte dei rappresentanti del corpo diplomatico accreditato a Roma.<ref name="ReferenceA">vedi pag. 31 Gaetano Moron, ''Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni'', Vol XC, Tipografia L'emiliana, Venezia, 1858.</ref>
 
Nell'editto il cardinale condannava a morte chiunque fosse indicato come brigante, senza alcun processo e chiunque poteva giustiziarlo e consegnato il cadavere alle autorità ricevere un premio di mille scudi:
[[File:Il brigante tradito horace vernet 1830 ciociaria.jpg|300px|miniatura|destra|Il brigante tradito. Dipinto di Horace Vernet (1830) scena di un agguato a un brigante ambientato in [[Ciociaria]]]]
{{Citazione|I. I malviventi, e i rei di qualunque delitto compreso sotto il titolo del così detto Brigantaggio mai avranno amnistia, minorazione, o commutazione di pena.<br />II. Quelli, che la nostra Legazione avrà pubblicato come tali, s'intenderanno con questo solo atto condannati a Morte; tutti i loro Beni confiscati, e chiunque potrà ucciderli impunemente. Fin d'ora intanto per la sua speciale notorietà si pubblica il Capo Banda Gasbarrone.<br />
III. I Contumaci così dichiarati, cadendo in potere della Giustizia identificata la persona, nel perentorio termine di 24 ore, senza altro Processo, formalità, e Giudizio saranno esecutati colla Forca.<br />
IV. Un solo mezzo avrà ognuno de' tali Delinquenti per esimersi dalla pena , quello cioè di darne un altro in mani alla Forza pubblica, vivo o morto in ogni modo. Sarà egli allora assoluto per Grazia, e solamente gli verrà assegnata una Città, Terra, o luogo dello Stato fuori della Legazione, da estendersi ancora ad un intera Delegazione o Provincia, se il malvivente consegnato sia un capo di conventicola, detto Capo Banda.<br />...
 
IX. Qualunque Individuo non Possidente darà vivo, o morto un Malvivente dichiarato , conseguirà il premio di Scudi Mille , che gli verrà immediatamente pagato da Noi sulla semplice verificazione del Fatto.|A. Card. Pallotta Legato., ''Editto del cardinale Pallotta contro i Malviventi di Marittima e Campagna''<ref>pag. 291-291, Francesco Gigliucci,''Memorie della rivoluzione romana'', Volume 1, Tip. di A. Checchi, Roma, 1851.</ref>}}
 
L'operato di Pallotta si rivelò inefficace e dopo due mesi dall'incarico [[Leone XII]], vista anche la necessità di provvedere alla sicurezza nelle strade per i pellegrini che sarebbero giunti a Roma per la celebrazione dell'[[anno santo]] 1825; lo sostituì con monsignor [[Giovanni Antonio Benvenuti]] affiancato da Ruvinetti, colonnello dei [[Gendarmeria Pontificia|carabinieri papalini]].<ref name="ReferenceA"/> Venne imposto il [[coprifuoco]] ai parenti dei briganti e a tutti i sospetti; questi ultimi inoltre, per poter uscire dal loro comune, dovevano essere muniti di apposito permesso. Furono controllati anche i movimenti dei cacciatori e pastori; imposto l'obbligo di denuncia della presenza di briganti e tutti i delitti attribuibili al brigantaggio vennero sottoposti al giudizio sommario d'un tribunale, presieduto dallo stesso Benvenuti.<ref name="ReferenceA"/> Nel 1825 viene infine posto termine alle attività di Gasbarone, che a seguito di una trattativa col vicario generale di Sezze, don Pietro Pellegrini, viene convinto a consegnarsi con la promessa del perdono pontificio, viceversa una volta catturato sarà imprigionato, senza esser mai processato, ma spostato di tempo in tempo nelle diverse prigioni dello stato pontificio e, causa la sua fama che travalicava le Alpi, oggetto di visite curiose ad parte degli stranieri in transito a Roma; Gasbarone sarà infine graziato dalla stato italiano nel 1870, quando a seguito della breccia di Porta Pia i detenuti comuni nelle carceri passeranno sotto la custodia italiana.
[[File:Horace Vernet - Italian Brigands Surprised by Papal Troops - Walters 3754.jpg|300px|miniatura|destra|[[Briganti italiani sorpresi dalle truppe Pontificie]]. Dipinto di [[Horace Vernet]] (1831)]]
 
È in questo periodo (inizi del secolo XIX) che maggiormente si diffuse in [[Europa]] la fama del brigantaggio nelle regioni italiane, [[Stendhal]], nel suo breve scritto ''I briganti in Italia'', pubblicato nel 1833 nel "''Journal d' un voyage en Italie et en Suisse pendant l'année 1828'' da Romain Colomb", dopo una rapido excursus storico che inizia citando i [[Bravi (I promessi sposi)|bravi]] che agivano nella Lombardia spagnola, Alfonso Piccolomini e [[Marco Sciarra]], scrisse riferendosi al suo tempo: ''Tutta l’Italia è stata, contemporaneamente o di volta in volta, infestata dai briganti: ma è soprattutto negli Stati del papa e nel regno di Napoli che essi hanno regnato più a lungo e hanno proceduto in maniera più metodica e costante insieme. Là essi hanno un’organizzazione, dei privilegi e la certezza dell’impunità e, se arrivano ad essere abbastanza forti da intimorire il governo, la loro fortuna è fatta. È dunque a questo fine che tendono costantemente per tutto il tempo in cui esercitano il loro infame mestiere'' <ref>[http://www.bibliomanie.it/briganti_ottocento_stendhal_monda.htm BRIGANTI ITALIANI DEL PRIMO OTTOCENTO VISTI DA STENDHAL]</ref>.
 
Molti furono anche i [[pittore|pittori]] e gli [[incisore|incisori]] che illustrarono - soprattutto con [[litografia|tavole litografiche]] spesso acquarellate a mano - la vita e le gesta dei briganti di quel periodo, attivi nel Lazio e nelle regioni circostanti.<br />
Fra tali artisti, i più famosi furono [[Bartolomeo Pinelli]] - il maggiore - F. Cerrone, Muller, [[Horace Vernet]], [[Léon Cogniet]], [[Louis Léopold Robert]], Audot, e successivamente da [[Anton Romako]], le opere di costoro sono spesso erroneamente utilizzate per illustrare testi che sono limitati al brigantaggio post-unitario, cioè posteriore alle vicende raffigurate.<ref>p. 88-90, H. ''Maria Grazia and the brigand school of art'', Bulletin of the American Art-union, September 1850.</ref>
 
===== [[Legazione delle Romagne]] =====
{{Vedi anche|Briganti romagnoli|Il Passatore}}
L'area romagnola a metà del secolo XIX risultava afflitta da bande di briganti che secondo il '[[Giornale di Roma]] "''invadevano le case, rapinavano i viandanti e grassavano ognora diligenze e corrieri, estorcendo migliaia e migliaia di scudi''", in risposta a queste azioni le autorità reagirono con una colonna mobile di gendarmeria effettuando arresti e processi con giudizio statario; in due soli processi svoltisi a [[Faenza]] e [[Imola]] furono condannate e fucilate 82 persone, 10 ebbero la pena capitale commutata a carcere e altri 13 pene detentive fino al carcere a vita e, nel marzo 1851 un centinaio di persone erano arrestate in attesa di simili processi a Bologna.<ref>vedi articolo datato 13 marzo in ''Notizie delle province'', Giornale di Roma, n. 67, sabato 22 marzo 1851.</ref>
 
Il più noto fra i briganti romagnoli fu [[Stefano Pelloni]], detto ''il Passatore'', soprattutto attivo in [[Romagna]] nella prima metà del secolo XIX, in particolare nei tre anni successivi ai [[primavera dei popoli|moti rivoluzionari del 1848]]. Delle sue gesta, quelle più famose furono le occupazioni a banda armata di interi paesi [[Bagnara di Romagna]] (16 febbraio [[1849]]), [[Cotignola]] (17 gennaio [[1850]]), [[Castel Guelfo di Bologna|Castel Guelfo]] (27 gennaio [[1850]]), [[Brisighella]] (7 febbraio [[1850]]), [[Longiano]] (28 maggio [[1850]]), [[Consandolo]] (9 gennaio [[1851]]) e [[Forlimpopoli]] (sabato, 25 gennaio [[1851]]), durante le quali metteva a sacco le abitazioni dei più ricchi, che venivano torturati e seviziati per farsi rivelare i nascondigli degli scudi e delle gioie, mentre le donne venivano [[stupro|stuprate]]. Finì ucciso in uno scontro con le truppe papaline a [[Russi (Italia)|Russi]] nel 1851. Nonostante la sua ferocia, seppe dare di sé un'immagine di combattente contro i soprusi dei ricchi e potenti; tale immagine fu poi divulgata da una certa cultura popolare romagnola, che esagerò nel descrivere Pelloni come un giustiziere difensore di oppressi e miserabili; arrivando a definirlo "Passator cortese" e utilizzandone persino il ritratto come marchio di vini autoctoni.<ref>Massimo Dursi, ''Stefano Pelloni detto il passatore Cronache popolari: Cronache popolari''. 1963.</ref>
 
=== Il [[Regno Lombardo-Veneto|Lombardo-Veneto]] ===
[[File:Pacì Paciana.jpg|miniatura|destra|La marionetta di Paci Paciana, ossia il brigante Vincenzo Pacchiana]]
Nelle [[Prealpi lombarde]] a fine [[XVIII secolo|Settecento]] ed inizio [[XIX secolo|Ottocento]] si svilupparono forme di brigantaggio in parte legate a condizioni di indigenza e in parte legate a forme di lotta contro la presenza francese.<ref>Eufrasio Buzzi, ''[[s:La guerra de' Briganti in Dongo|La guerra de' Briganti in Dongo]]''.</ref>
 
Tra i principali briganti i più rappresentativi e ricordati sono [[Giacomo Carciocchi]]<ref>indicato come Carciocco a pag. 63 in ''Storia dei Briganti della montagna di Rezzonico'' contenuta in {{cita pubblicazione |autore = Cavagna Sangiuliani di Gualdana |titolo = Almanacco statistico della provincia di Como: per l'anno 1882 |anno = anno XLV |editore = Tipografia provinciale Ostinelli |città = Como |url = https://archive.org/stream/almanaccostatist1882cava#page/62/mode/2up/search/carciocco |accesso = 26 aprile 2016}}</ref>
attivo nella zona di [[Plesio]], che comandava una banda di rivoltosi che si era nominata ''Armata cattolica'' e chiamata dai tribunali ''Briganti del [[Dipartimento del Lario (1797)|Lario]]'' o ''Briganti della montagna di [[Rezzonico (Italia)|Rezzonico]]'' e [[Pacì Paciana|Vincenzo Pacchiana]], attivo nella [[Val Brembana]], ricordato come una sorta di [[Robin Hood]] locale. Pacchiana morì il 6 agosto 1806 ucciso da Carciocchi, presso cui si era rifugiato, la sua testa tagliata venne consegnata alle autorità francesi dal suo uccisore, per ottenere la taglia di 60 [[zecchini]], e fu esposta a monito sotto la [[ghigliottina]] alla Fara (località nei pressi di porta sant'Agostino) a [[Bergamo]].<br />
Il ricordo di questi capi briganti e dei loro compari è rimasto nell'immaginario popolare divenendo maschere del [[teatro delle marionette]].
 
Conclusosi il periodo napoleonico, e ripristinata l'autorità austriaca, allargata al [[Veneto]], quest'ultimo e l'area della Bassa Mantovana, in particolare le province di [[Padova]], [[Venezia]], [[Rovigo]] e [[Mantova]] si trovarono anch'esse sottoposte a scorrerie di briganti, riunitisi in piccole bande composte da disertori dell'esercito austriaco, del precedente esercito del [[Regno napoleonico d'Italia|Regno italico]] e persone in condizioni di indigenza.<br />
A seguito dell'accentuarsi di attività' criminali nei pressi di [[Este (Italia)|Este]] le autorità austriache istituirono due sezioni venete e lombarde del tribunale statario, che dal giugno 1850 al giugno 1853 svolsero 1400 processi, emettendo «1.144 sentenze di morte di cui 409 eseguite».<ref>vedi {{cita libro |autore = Luigi Piva |titolo = O soldi o vita: brigantaggio in Bassa Padovana e nel Polesine alla metà dell'Ottocento |editore = Grafica Atestina |anno = 1984 |sbn = IT\ICCU\CFI\0068333}} Citato in {{cita pubblicazione |url = http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-d-italia/notizie/32-stella-rizzo-pontelandolfo-roghi-400-morti_83544b90-c60e-11df-89af-00144f02aabe.shtml |autore = [[Sergio Rizzo]] |autore2 = [[Gian Antonio Stella]] |titolo = Il rogo delle case e 400 morti che nessuno vuole ricordare |giornale = Corriere della Sera |data = 22 settembre 2010 |accesso = 26 aprile 2016}}</ref>
 
=== Piemonte ===
Nel corso del periodo napoleonico, nella zone compresa fra l'[[Alessandria|alessandrino]] e la [[Liguria]], fu attivo [[Giuseppe Mayno]], che si faceva chiamare ''Re di Marengo'' e ''Imperatore delle Alpi'', la sua banda arrivò nel novembre 1804 ad assalire la comitiva che accompagnava la carrozza di [[papa Pio VII]] in viaggio verso a [[Parigi]] per l'incoronazione di [[Napoleone]].<ref>{{DBI |nomeurl = mayno-giuseppe-detto-mayno-della-spinetta |nome = MAYNO, Giuseppe, detto Mayno della Spinetta |accesso = 26 aprile 2016}}</ref> Venne ucciso il 12 aprile 1806 in un agguato mentre si recava a visitare la moglie, il suo corpo venne esposto a monito in Piazza d'Armi ad Alessandria, secondo [[Cesare Lombroso|Lombroso]] «Mayno della Spinetta era fedele e appassionato marito; e in causa della moglie fu preso».<ref>p. 385 C. Lombroso, ''L'uomo delinquente'', Fratelli Bocca editori, Torino, 1889.</ref><br />
Un altro brigante, attivo in quel periodo nel [[Cuneo|Cuneese]] fu [[Giovanni Scarsello]] <!-- o Scarsella -->, capo della banda dei "fratelli di [[Narzole]]", che finirà ghigliottinato, mentre nel [[Vercelli|vercellese]] furono attivi i fratelli Canattone, che derubavano i viandanti che traghettavano per attraversare il fiume [[Elvo]]<ref>p. 100 Silvano Crepaldi, ''I bianti: Zingari, vagabondi e camminanti'', Lampi di stampa, Milano, 2008.</ref> nella zona di [[Formigliana]].
 
== Periodo postunitario ==
=== Regno d'Italia ===
{{vedi anche|Brigantaggio postunitario}}
[[File:Carmine Crocco (rounded).jpg|thumb|upright=0.8|[[Carmine Crocco]], uno dei più famosi briganti post-unitari]]
[[File:Squdriglieri.jpg|miniatura|left|150px|Figura di "squadrigliere" dell'esercito papalino]]
Con la nascita del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] nel [[1861]], ma anche prima con l'arrivo di Garibaldi a Napoli, sorsero di nuovo insurrezioni popolari, questa volta contro il nuovo governo, che interessarono le ex province del Regno delle Due Sicilie. Tra le cause principali del brigantaggio post-unitario si possono elencare:<ref>[[Carlo Alianello]], ''La conquista del Sud'', Rusconi, 1972, p. 247.</ref> il serio peggioramento delle condizioni economiche; l'incomprensione e indifferenza della nuova classe dirigente, per la popolazione da loro amministrata; l'aumento delle tasse e dei prezzi di beni di prima necessità; l'aggravarsi della questione demaniale, dovuta all'opportunismo dei ricchi proprietari terrieri.<ref>G. Fortunato, Il Mezzogiorno e lo stato italiano, vol. II.</ref> Il brigantaggio, secondo alcuni, fu la prima guerra civile dell'Italia contemporanea<ref>Gilles Pécout, ''Il lungo Risorgimento'', Mondadori, 1999, p. 238.</ref> e fu soffocato con metodi brutali, tanto da scatenare polemiche persino da parte di esponenti liberali<ref>«Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'Italia un sistema di sangue. E il Governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministero Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema» (Nino Bixio). Citato in Giovanni De Matteo, ''Brigantaggio e Risorgimento'', Guida Editore, 2000, p. 263.</ref> e politici di alcuni stati europei.Tra i politici europei che espressero critiche nei confronti dei provvedimenti contro il brigantaggio vi furono lo scozzese McGuire, il francese Gemeau e lo spagnolo Nocedal.<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p. 244-245.</ref>
 
Alcune correnti di pensiero<ref>Vedi anche i seguenti articoli on-line, oltre ai testi in bibliografia:
* ''[http://www.bpp.it/apulia/html/archivio/1996/II/art/R96II025.html Una guerra civile dimenticata]'' di Girolamo Garonna. URL consultato il 10-06-2008.
* ''[http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17483 Guarnieri: la repressione del brigantaggio fu come in Vietnam o in Iraq]'' di Ranieri Polese. URL consultato il 10-06-2008.
* ''[http://www.24sette.it/contenuto.php?idcont=1424 Briganti di ieri, disastri di oggi]'' di Domenico Nunnari dalla [[Gazzetta del Sud]] (20 marzo 2008). URL consultato il 10-06-2008.</ref> considerano il brigantaggio postunitario come una sorta di guerra di resistenza, benché tale ipotesi sia molto controversa.
 
I briganti del periodo erano principalmente persone di umile estrazione sociale, ex soldati dell'esercito delle Due Sicilie ed ex appartenenti all'[[esercito meridionale]], e vi erano anche banditi comuni, oltre che briganti già attivi come tali sotto il precedente governo borbonico. La loro rivolta fu incoraggiata e sostenuta dal governo borbonico in esilio, dal clero e da movimenti esteri come i [[carlismo|carlisti]] spagnoli. Numerosi furono i briganti del periodo che passarono alla storia. [[Carmine Crocco|Carmine "Donatello" Crocco]], originario di [[Rionero in Vulture]] ([[Basilicata]]), fu uno dei più famosi briganti di quel periodo. Egli riuscì a radunare sotto il suo comando circa duemila uomini, compiendo scorribande tra [[Basilicata]], [[Campania]], [[Molise]] e [[Puglia]],<ref>Carmine Crocco, ''Come divenni brigante'', Trabant, 2008, p. 87.</ref> affiancato da luogotenenti come [[Ninco Nanco]] e [[Giuseppe Caruso (brigante)|Giuseppe Caruso]].
 
Occorre anche sottolineare che il brigantaggio in Lucania era manovrato soprattutto da ex [[Napoleone Luciano Carlo Murat|murattiani]] indipendentisti, affiancati dal francese Langlois, che agevolavano il tentativo francese di rendere il Sud ingovernabile e, tramite una conferenza internazionale, toglierlo ai Savoia per assegnarlo alla casata filo-francese dei Murat.<ref>{{Cita pubblicazione |titolo = Brigantaggio politico post unitario (1860-1870) |autore = Paolo Zanetov |editore = Arianna Editrice |anno = 2011 |url = http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41529 |citazione = Ricordando come la struttura cospirativa lucana fosse in mano ad ex murattiani favorevoli ad una soluzione federalista e indipendentista quale quella auspicata da Napoleone III, non resta che pensare che Francesco II si fosse reso conto che la precedente reazione di aprile diretta dai Comitati e dal legittimista Langlois, probabile agente al soldo dei francesi, si ponesse l'obiettivo di rendere la situazione ingovernabile per procurare un intervento diplomatico europeo che, in luogo di confermare il trono al Borbone, lo assegnasse invece a Luciano Murat, come Napoleone III desiderava.}}</ref>
 
Da menzionare è anche il campano [[Cosimo Giordano]], brigante di [[Cerreto Sannita]], che divenne noto per aver preso parte all'attacco (e al successivo massacro) ai danni di alcuni soldati del regio esercito, accadimento che ebbe come conseguenza una [[massacro di Pontelandolfo e Casalduni|violenta rappresaglia]] sulle popolazioni civili di [[Pontelandolfo]] e [[Casalduni]], ordinata dal generale [[Enrico Cialdini]]. Altri noti furono [[Luigi Alonzi|Luigi "Chiavone" Alonzi]], che agì tra l'ex Regno borbonico e lo Stato Pontificio, [[Michele Caruso|Michele "Colonnello" Caruso]], uno dei più temibili briganti che operarono in [[Capitanata]], e l'abruzzese [[Giuseppe Luce]] della [[Banda di Cartore]] che, insieme ad altri complici, il 18 maggio 1863, rapì e uccise, bruciandolo vivo, il ricco possidente terriero e capitano della [[Guardia nazionale italiana]] [[Alessandro Panei]] di [[Santa Anatolia (Borgorose)]]. Anche le donne parteciparono attivamente alle rivolte postunitarie, come le brigantesse [[Filomena Pennacchio]], [[Michelina Di Cesare]], [[Maria Maddalena De Lellis]] e [[Maria Oliverio]].
 
Per acquietare la ribellione meridionale, furono necessari massicci rinforzi militari e promulgazioni di norme speciali temporanee (come la [[legge Pica]] in vigore dall'agosto 1863 al dicembre 1865 su gran parte dei territori continentali del precedente regno delle Due Sicilie ), dando origine uno scontro che porterà migliaia di morti. La repressione del brigantaggio postunitario fu molto cruenta e fu condotta col pugno di ferro da militari come [[Enrico Cialdini]], [[Alfonso La Marmora]], [[Pietro Fumel]], [[Raffaele Cadorna (1815-1897)|Raffaele Cadorna]] e [[Ferdinando Pinelli]], che destarono polemiche per i metodi impiegati. Alla sconfitta di questo brigantaggio contribuì anche il cambiamento di atteggiamento dello stato Pontificio, che dal 1864 non fornì più appoggio ai briganti, arrestando lo stesso Crocco, che cercava rifugio nel suo territorio; non più terra franca per i briganti, il Papato iniziò a sua volta a combatterli, istituendo un apposito reparto di "squadriglieri" e stipulando nel 1867 un accordo di collaborazione reciproca con le autorità italiane sullo sconfinamento delle truppe all'inseguimento di briganti in fuga; lo stesso anno fu emanato un editto firmato dal Delegato apostolico Luigi Pericoli, per le province di Frosinone e Chieti, che ricalcava le tematiche della legge Pica.<ref>Civiltà Cattolica, ''Cronaca contemporanea Cose Italiane'', Anno decimo ottavo, Vol. X, Serie VI, 1867.</ref>
 
Va evidenziato che questo aspetto di brigantaggio, inteso come rivolta antisabauda, interessò quasi esclusivamente i territori meridionali continentali ex borbonici, mentre in pratica non si verificò nei territori di tutti gli altri stati preunitari annessi dal [[Regno di Sardegna]] per formare l'[[Italia]] unita durante il [[Risorgimento]]. Tale diversità di avvenimenti e comportamenti indica la profonda differenza, già esistente nel 1861, tra il Nord-Centro ed il Sud della penisola, divario che sarà meglio noto con il nome di [[Questione meridionale]], fonte di infiniti dibattiti e tesi. La questione non è ancora conclusa né definita unanimemente nelle sue cause da storici e studiosi.
 
=== Stato pontificio ===
[[File:Brigantessa ferita 1837 luigi rocco.jpg|250px|miniatura|destra|"Brigatessa ferita", dipinto di Luigi Rocco del 1837, indicativo del legame particolare esistente fra brigantaggio e religiosità<ref>Silvio Cosco, ''Il brigantaggio e la religiosità: culto mariano e sacerdozio femminile all'interno delle bande'', pp. 419-434, La voces de laa Diosas, Arcibel ed., 2012, ISBN 978-84-15-33530-6.</ref>]]
A metà degli anni '60 del secolo XIX il brigantaggio crebbe notevolmente fino al 1867 e a partire da circa il 1865 si assistette ad un deciso cambio di politica nella lotta al brigantaggio da parte delle autorità vaticane, e con un articolo del 25 maggio 1867 Civiltà Cattolica arrivò ad accusare l'incremento del brigantaggio nelle province papaline alla fomentazione da parte del partito [[Giuseppe Garibaldi|garibaldino]] allo scopo di indebolirne lo stato, aumentare il malcontento della popolazione e facilitare l'invasione dello stato e la conseguente presa di Roma.
 
Nell'artico si legge: «Infatti noi abbiamo a suo tempo, coi documenti ufficiali e con le stesse parole dei Ministri e Deputati del Governo rivoluzionario che ora risiede in Firenze<ref>La capitale del Regno d'Italia era stata spostata da Torino.</ref> a Firenze, posto in chiaro che, tra i mezzi morali, sulla cui efficacia per abbattere il Governo pontificio faceasi grande assegnamento, primeggiava il brigantaggio; dal quale quegli onesti politici si ripromettevano queste conseguenze: 1" malcontento eccessivo delle popolazioni; 2" disorganamento delle truppe pontifìcie; 3" motivo in apparenza ragionevole alle truppe rivoluzionarie, per invadere le province meridionali della Chiesa, sotto colore di difendere le proprie frontiere, di accorrere per dovere di umanità a tutela dei popoli taglieggiati dai briganti, e di supplire alla impotenza del Governo pontificio. Di qui si spiegano gli incrementi del brigantaggio fino al Dicembre 1866 nelle province meridionali pontificie; essendo per altra parte notorio che a tal uopo il brigantaggio fu fomentato dal partito garibaldino, che intanto mirava a sommuovere eziandio Roma, dove anche presentemente fa, come vedremo a suo luogo, in questo stesso quaderno, supremi sforzi per recarvi la rivoluzione».<ref>Vedi pag. 617-619, ''Cronaca contemporanea'', Civiltà Cattolica, Anno decimo ottavo, Vol. X della serie sesta, 1867.</ref>
 
Negli ultimi anni di vita dello Stato pontificio, le province [[Campagna e Marittima]] del Lazio meridionale continuarono ad essere infestata da bande di briganti, tra queste si distinse la banda capitanata dal brigante [[Cesare Panici]], ricordata in particolare per il rapimento del bambino di undici anni Ignazio Tommasi avvenuto avvenuto il 14 settembre 1867 sulla strada per [[Cori]]<ref>{{Cita libro |autore = Adriano Sconocchia |titolo = La banda Panici al tramonto dello Stato pontificio. Cronaca del rapimento Tommasi-Colacicchi |editore = Gangemi Editore |anno = 2011 |sbn = IT\ICCU\IEI\0301218}}</ref> e il tentato sequestro, di Luigi Ricci, vescovo di Segni, fallito dopo un assalto alla sua diligenza.
 
== Fine ottocento e inizio novecento ==
[[File:Brigantaggio maremma Nullo Amato libro Tiburzi.jpg|250px|miniatura|destra|Falò con briganti maremmani, fine secolo XIX]]
Fenomeni di brigantaggio, seppur di diversa natura da quelli che coinvolsero l'Italia meridionale a seguito dell'annessione al regno sabaudo, si svilupparono o continuarono ad essere presenti in diverse regioni d'Italia tra la seconda metà dell'[[XIX secolo|Ottocento]] e i primi anni del [[XX secolo|Novecento]].
 
In [[Maremma grossetana|Maremma]], area a cavallo tra la [[Toscana]] e il [[Lazio]], le cause sono attribuibili ad un forte malcontento che si era diffuso nella popolazione, nei primi anni dopo l'[[Unità d'Italia]], quando furono interrotti grandi lavori di bonifica idraulica e la riforma fondiaria. Tra i protagonisti di questo brigantaggio è ricordato [[Domenico Tiburzi]], considerato un protettore dei deboli contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali; altri fuorilegge furono Ranucci, Menichetti e Albertini.
Tuttavia, sia in [[Provincia di Grosseto]] che in quella di Viterbo, questo fenomeno - a differenza del brigantaggio meridionale - non divenne mai organizzato, in quanto ogni brigante era solitario, pur avendo i propri seguaci tra i quali cercava di diffondere il suo stile, non aspirava mai al controllo di un piccolo esercito. Le scorrerie e gli atti criminali erano prevalentemente rivolti ai simboli rappresentanti i grandi proprietari [[latifondo|latifondisti]] e il nuovo [[Italia|Stato italiano]]; il bersaglio delle loro azioni, apparentemente non intese per la popolazione, erano i simboli dell'autorità pubblica: guardiani; guardacaccia e i carabinieri oltreché alle grandi tenute stesse.
 
Tra i briganti della [[Tuscia]] viterbese, è famoso Luigi Rufoloni detto "Rufolone", originario di [[Sant'Angelo di Roccalvecce|Sant'Angelo]], piccolo borgo tra [[Roccalvecce]] e [[Graffignano]], che s'era trasferito nella vicina [[Grotte Santo Stefano]] insediandosi nella macchia di Piantorena, proprietà della famiglia [[Doria Pamphili]], dove era facile incontrare viandanti più o meno facoltosi, che si spostavano sulle poche strade che collegavano i paesi limitrofi.
 
Nell'[[Italia settentrionale]] [[Il Biondin|Francesco Demichelis]], detto ''il Biondin'' fu attivo con la sua banda soprattutto nella zona delle [[risaia|risaie]] del [[Novara|Novarese]].
 
Sul finire dell'[[XIX secolo|Ottocento]] il brigantaggio era ancora vivo nella [[Basilicata]] (sebbene esso si fosse molto ridotto rispetto al decennio napoleonico e agli albori dell'Unità), con [[Michele di Gè]] - la cui autobiografia fu una delle fonti usate da [[Gaetano Salvemini]] per intervenire sulla [[questione meridionale]] - ed [[Eustachio Chita]] - generalmente considerato l'ultimo brigante lucano (i cui resti sono tuttora conservati nel Museo di [[Cesare Lombroso]] a [[Torino]]). In [[Calabria]] vi era [[Giuseppe Musolino]], che acquistò notorietà anche sulla stampa straniera e divenne protagonista di canzoni popolari calabresi. Musolino si diede al brigantaggio dopo essere stato condannato per omicidio, malgrado le sue proteste d'innocenza, vendicandosi di coloro che lo avevano compromesso e tradito. Costui godeva dell'aiuto della popolazione locale, la quale vedeva in lui - com'era il solito - un simbolo di reazione contro le ingiustizie e i soprusi di quel tempo.
 
In [[Sicilia]] alcuni briganti riscuotevano una grande ammirazione tra il popolo<ref>{{Cita web |url = http://www.palermoviva.it/la-storia-di-gaudenzio-plaja-il-robin-hood-siciliano/ |titolo = La storia di Gaudenzio Plaja, il Robin Hood siciliano |accesso = 4 gennaio 2016}}</ref> e le loro storie si diffondevano di bocca in bocca, spesso accrescendo ed esagerando le imprese e le lotte.
 
Lo Stato Italiano iniziò una lotta serrata, per arginare e debellare questo fenomeno, che si ridusse con l'inizio del [[XX secolo|Novecento]].
 
== Note ==
{{<references}}/>
 
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore=[[Carlo Alianello]]|titolo=La conquista del Sud: Il Risorgimento nell'Italia Meridionale|editore=Edilio Rusconi|città=Milano|anno=1994|isbn=978-88-18-70033-6}}
* {{cita libro|autore=Francesco Barra|titolo=Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815)|città=Salerno|editore=S.E.M.|anno=1981}}
* {{cita libro|autore=[[Luigi Capuana]]|titolo=La Sicilia e il brigantaggio|editore=Stabilimento Tipografico Italiano|città=Roma|anno=1892}}
* {{cita libro|autore=[[Gaetano Cingari]]|titolo=Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900)|editore=Editori Riuniti|città=Reggio Calabria|anno=1976}}
* Laura Colombo, ''Banditi al bosco della Merlata: un episodio di brigantaggio nella Milano spagnola del XVI secolo'', Comune di Milano
* {{cita libro|autore=Leonida Costa|titolo=Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore|editore=Fratelli Lega|città=|anno=1976}}
* {{cita libro|autore=Giovanni De Matteo|titolo=Brigantaggio e Risorgimento - Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia|città=Napoli|editore=Alfredo Guida Editore|anno=2000|isbn=978-88-7188-345-8}}
* {{fr}} [[Charles Didier]], ''[[:s:fr:Les Capozzoli et la police napolitaine|Les Capozzoli et la police napolitaine]]'', in [[Revue des Deux Mondes]], Tome II, 1831, pp.&nbsp;58–69
* {{cita libro|autore=[[Gigi Di Fiore]]|titolo=Controstoria dell'unità d'Italia, fatti e misfatti del Risorgimento|editore=Best BUR Rizzoli|città=Milano|anno=2013 sesta edizione|isbn=978-88-17-04281-9}}
* {{cita libro|autore=[[Carmine Donatelli Crocco]]|titolo=Come divenni brigante - Autobiografia|curatore=Mario Proto|città=Manduria|editore=Lacaita|anno=1995}}
* {{cita libro|autore=Massimo Dursi|titolo=Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari|editore=Giulio Einaudi Editore|città=|anno=1963}}
* {{cita libro|autore=Michele Ferri e Domenico Celestino|titolo=Il brigante [[Chiavone]] - Storia della guerriglia filoborbonica alla frontiera pontificia (1860-1862)|editore=Centro Studi Cominium|città=|anno=1984}}
* {{cita libro|autore=Michele Ferri|titolo=Il brigante [[Chiavone]] - Avventure, amori e debolezze di un grande guerrigliero nella Ciociaria di Pio IX e Franceschiello|editore=APT - Frosinone|città=|anno=2001}}
* {{cita libro|autore=Timoteo Galanti|titolo=Dagli sciaboloni ai piccioni - Il "brigantaggio" politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865|città=Sant'Atto di Teramo|editore=Edigrafital|anno=1990}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono|città=Galatina|editore=Congedo Editore|anno=2001|isbn=978-88-8086-402-8}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario|città=Galatina|editore=Congedo|anno=2002|isbn=978-88-8086-425-7}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna|città=Galatina|editore=Congedo|anno=2006|isbn=978-88-8086-675-6}}
* {{cita libro|autore=Antonio Lucarelli|titolo=Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818)|editore=Longanesi|città=Milano|anno=1982}}
* {{cita libro|autore=Denis Mack Smith|titolo=Storia d'Italia|editore=Giuseppe Laterza e figli|città=Roma-Bari|anno=2000|isbn=88-420-6143-3}}
* {{cita libro|autore=Franco Molfese|titolo=Storia del brigantaggio dopo l'Unità|città=Milano|editore=Feltrinelli|anno=1983}}
* {{cita libro|autore=[[Marc Monnier]]|titolo=Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di frà Diavolo sino ai giorni nostri, aggiuntovi l'intero giornale di Borjès finora inedito|città=Firenze|editore=G. Barbera|anno=1863}}
* {{cita libro|autore=Marc Monnier|titolo=Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco|città=Lecce|editore=Capone}}
* {{cita libro|autore=Raffaele Nigro|titolo=Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri |città=Milano|editore=Rizzoli Editore|anno=2006|isbn=978-88-17-00984-3}}
* Juan Mañé, Flaquer, D. Joaquin Mola, Martinez, ''Historia del bandolerismo y de la Camorra en la Italia meridional'', Ed. de lujo, Libreria de edition Manero, Barcelona, 1864
 
== Voci correlate ==
* [[Stazione di Schönfließ]]
{{div col|2}}
* [[Brigante]]
* [[Briganti italiani sorpresi dalle truppe Pontificie]]
* [[Banditismo]]
* [[Banditismo nell'età moderna]]
* [[Banditismo sociale]]
* [[Brigantaggio postunitario italiano]]
* [[Sanfedisti]]
* [[Insurrezione calabrese]]
* [[Guerra civile]]
* [[Guerriglia]]
* [[Risorgimento]]
* [[Riforma agraria]]
* [[Storia d'Italia]]
{{div col end}}
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto}}
{{interprogetto|commons=Category:Italian brigands|commons_preposizione=sul|q|q_preposizione=riguardanti il|etichetta=brigantaggio}}
 
== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|1=http://www.g-m-l.de/ris/instanz_6/dokumente/sar_f21_000003.htm|2=Storia di Schönfließ, dal sito ufficiale del comune di Mühlenbecker Land|lingua=de|accesso=7 dicembre 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20071011071614/http://www.g-m-l.de/ris/instanz_6/dokumente/sar_f21_000003.htm|dataarchivio=11 ottobre 2007|urlmorto=sì}}
* {{Thesaurus BNCF}}
 
* [http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/b_brigantaggio.htm Il Brigantaggio] - I.D.I.S. (Istituto per la Dottrina e l'Informazione sociale)
{{Frazioni di Mühlenbecker Land}}
* {{cita web|http://www.valledelsalto.com/la-reazione-moti-reazionari-nel-cicolano-20.html|Brigantaggio in Abruzzo}}
{{Portale|Germania}}
* {{cita web|url=http://www.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=262|titolo=Fatti di Brigantaggio}}
* [http://www.morronedelsannio.com/sud/brigantaggio.htm Brigantaggio, legittima difesa del Sud] di Marina Carrese
* [http://www.morronedelsannio.com/sud/editto_otranto.jpg Editto della provincia di Otranto] del [[1862]] contro i briganti.
* [http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41529- Brigantaggio politico post unitario (1860-1870)] di Paolo Zanetov - Arianna Editrice, 2011
{{Criminologia}}
{{Portale|antropologia|guerra|sociologia|storia}}
 
[[Categoria:Brigantaggio|Frazioni di Mühlenbecker Land]]
[[Categoria:Comuni della Germania soppressi]]