Spedizione siracusana in Africa e Wikipedia:Pagine da cancellare/Conta/2019 giugno 20: differenze tra le pagine

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|Tipo = Operazione militare
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|Nome del conflitto = Spedizione siracusana in Africa
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|Parte_di = [[Guerre greco-puniche]]
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|Immagine = Localizzazione di Siracusa e Cartagine.png
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|Didascalia = Localizzazione delle due potenze in conflitto
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|Data = [[310 a.C.]] - [[307 a.C.]]
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|Luogo = Odierne [[Tunisia]]; [[Algeria]]; [[Libia]] occidentale
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|Casus = Cartagine assedia Siracusa; Agatocle decide di estendere il conflitto in Africa
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|Esito = Disfatta dell'[[esercito siracusano]]
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|Mutamenti_territoriali = Cartagine diviene una Repubblica. In Sicilia si ristabilisce l'ordinamento territoriale risalente al [[319 a.C.]]
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|Schieramento1 = [[Siracusa (città antica)|Siracusa]]
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|Schieramento2 = [[Cartagine]]
|Comandante1 = [[Agatocle]]<br />[[Arcagato (figlio di Agatocle di Siracusa)|Arcagato]]†<br />Eumaco†<br />[[Eraclide (figlio di Agatocle di Siracusa)|Eraclide]]†
|Comandante2 = Annone†<br />[[Bomilcare (IV secolo a.C.)|Bomilcare]]†<br />Adèrbale<br />Imilcone
|Effettivi1 = dai 12.000 ai 14.000
|Effettivi2 = 45.000
|Perdite1 = Imprecisate: quasi tutto l'esercito
|Perdite2 = Imprecisate: gravi perdite subite
}}
La '''spedizione siracusana in Africa''' venne realizzata dal [[tiranno di Siracusa]] [[Agatocle]] e vide l'[[esercito siracusano]], accompagnato da un nutrito gruppo di [[mercenari]] [[etruschi]] e [[celti]], sbarcare in [[Africa]] con l'intento di porre un freno all'espansione di [[Cartagine]]. Gli eventi che seguirono ebbero luogo dal [[310 a.C.|310]] al [[307 a.C.]]
 
== Contesto storico ==
{{Vedi anche|Syrakousai#Legame tra la Siracusa post-dionisiana e l'ascesa della Macedonia}}
=== Il Mediterraneo dopo la morte di Alessandro Magno ===
Con la morte del «cosmocratore» Alessandro, svanì la paventata illusione di unire l'Oriente e l'Occidente sotto un'unica bandiera.
 
La Macedonia era riuscita a porre sotto la sua obbedienza l'intera Grecia, che controllava tramite la [[lega di Corinto]]. [[Atene]] provò una ribellione dopo la morte di Alessandro Magno, ponendosi a capo di diverse poleis e dando vita alla [[guerra lamiaca]] che la vide definitivamente sconfitta e costretta a disarmarsi. Sparta patì una fine simile a quella di Atene; sconfitta dai macedoni durante la [[guerra di Agide]] (l'antica Grecia non uscirà più dal dominio macedone, se non dopo che la stessa Macedonia sarà conquistata dai [[Roma (città antica)|Romani]]; medesimo destino che toccherà ai Greci).
 
Negli altri stati mediterranei conquistati dal Macedone imperversavano le lotte di successione tra i [[Diadochi]] (i generali di Alessandro) che presero il via in quella che è storicamente nota come la [[spartizione di Babilonia]]. Le guerre di successione tuttavia erano distanti dal mediterraneo occidentale: le [[satrapia|satrapie]] più vicine alla Sicilia erano rappresentate dall'[[Antico Epiro|Epiro]], soggiogato da [[Cassandro]], e dall'[[Egitto]], divenuto di [[Tolomeo I|Tolomeo]]; il quale si rivelò ben presto essere il più potente dei generali macedoni.
 
=== Un nuovo tiranno ===
{{Vedi anche|Agatocle#Le prime mosse da stratego autocratore}}
 
== Contesto geografico: l'Africa antica ==
=== Denominazione e identificazione ===
Con il termine ''Libye'' (toponimo che odiernamente corrisponde solo alla [[Libia|regione libica]]) gli antichi indicavano, spesso in maniera generica, la quasi totalità del [[nord Africa]]: dalle porte dell'[[Egitto]] alle [[Colonne d'Ercole]].
 
[[File:Soldato Libu egizio.jpg|thumb|upright=0.7|left|Statuetta egizia raffigurante un guerriero Libu]]
[[File:Hecataeus world map-it.svg|thumb|upright=1.2|Una rappresentazione approssimativa del mondo di Ecateo]]
 
La Libia a sua volta prese il nome dal popolo dei [[Libu]]: tribù [[berbera]] nota ai [[Faraone|faraoni egiziani]]; [[Erodoto]] fu il primo a indicare con il nome di questa popolazione l'intera Africa.
 
L'Africa rappresentava un mondo in gran parte sconosciuto per i Greci; essi la chiamavano le terza parte del mondo (dopo le più famose [[Europa]] e [[Asia]]). Soprattutto in [[Storia dell'antica Grecia|età arcaica]] i Greci distinguevano dal resto della Libia solo la [[Cirenaica]] (odierna regione orientale libica) che gravitava attorno alla città di [[Cirene]] (colonizzata nel [[VII secolo a.C.]] dai [[Dori]], per cui bene allacciata al mondo greco). L'Egitto era invece considerato diverso da tutto il resto, per questo i Greci non lo annoveravano come parte della Libia; esso era protetto nel suo lato occidentale dal [[deserto]] libico: popolato da fiere (animali feroci), arido, privo di acqua, attraversalo veniva considerato molto pericoloso.
 
La scoperta dell'Africa iniziata con [[Ecateo di Mileto|Ecateo]] ed Erodoto, subisce un nuovo potente impulso con l'ellenismo di Alessandro Magno: l'Egitto con la fondazione di [[Alessandria d'Egitto|Alessandria]] si apre verso la cultura greca e i Greci stessi scoprono la parte dell'Africa che giunge al [[mar Rosso]]; l'[[Etiopia]], e la considerano degna di una denominazione a parte. Tutto il resto, specialmente la parte occidentale dell'Africa, veniva configurata come ''Libye'', anche se l'[[Golfo della Sirte|area delle Sirti]] non segnava più il confine tra noto e ignoto. Erano noti quattro diversi popoli africani, dunque Libi, al di fuori della Cirenaica: a sud i [[Nasamoni]], a Occidente gli [[Auschisi]], a est i [[Marmaridi]] e sempre a Occidente i [[Maci (tribù)|Maci]] (i più nemerosi tra gli africani).
 
[[File:Antarados sarkophagus face.JPG|thumb|upright=0.7|left|Sarcofago fenicio di tipo greco, da [[Antarados]], nel nord del [[Libano]]]]
 
Nell'occidente africano sorgeva Cartagine; i territori a ovest della civiltà punica venivano presentati come luoghi mitici, non ancora esplorati, sede in [[Diodoro Siculo]] - principale fonte per il racconto agatocleo - delle [[Amazzoni]] e degli [[Atlanti]]. Nell'Africa di Diodoro la civilizzazione è concentrata quasi esclusivamente sulla costa: lì vi sono le poleis e le divinità; più si ci addentra - come accade con l'esercito di Agatocle - e più la civiltà sparisce e si ci ritrova in un mondo sconosciuto, molto diverso da quello a cui i [[Sicelioti]] erano abituati.
 
I Libi erano divisi in [[Agricoltura|agricoltori]], [[Pastorizia|pastori]] [[Nomade|nomadi]] e infine in [[Banditismo|predoni]]; narra Diodoro che mentre le prime due tipologie di popolazioni erano civilizzate, anche se la seconda non aveva città e fissa dimora poiché doveva viaggiare per stare dietro ai tanti animali dell'Africa,<ref name=devidouno>{{Cita|Stefania De Vido|p. 348}}.</ref> la terza invece era la più pericolosa, dedita al brigantaggio; lo storico di Agyrum così descrive questi Libi: «conducono una vita da animali selvatici, passando la loro vita all'aria aperta, adottando pratiche di vita selvagge; infatti non conoscono né regime alimentare, né vesti civili, ma si coprono il corpo con le pelli delle capre».<ref>{{Cita|Diod. Sic.|III 49, 2}}. Cit. {{Cita|Stefania De Vido|p. 232}}.</ref>
 
L'area africana attraversata da Agatocle era abitata da quattro differenti etnie: i [[Fenici]], ovvero i Cartaginesi; i [[Libifenici]], nati da unioni matrimoniali tra indigeni e fenici; i Libi (di cui si è pocanzi esplorata l'origine e la suddivisione socio-etnica) che odiavano il dominio di Cartagine sulla loro gente, e infine i [[Numidia|Numidi]],<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 4}}. Cfr. {{Cita|Consolo Langher|p. 205, n. 20}}.</ref> che sono da identificare con i nomadi; probabilmente essi assunsero questo nome a causa di una tradizione di matrice siceliota che li designò tali durante la propria spedizione (da ''Nomades'' = Numidi).<ref name=devidouno/>
 
== Antefatti ==
=== Cartagine assedia Siracusa ===
{{Vedi anche|Assedio di Siracusa (311 a.C.)|Agatocle#La decisione di portare il conflitto sul suolo africano}}
{{Citazione|L’ambizione è grande. Proprio nel momento in cui, Siracusa a parte, Cartagine controlla gran parte dell’isola con un poderoso spiegamento di forze terrestri e navali, proprio quando, cioè, Agatocle sembra massimamente debole, egli intraprende un’azione del tutto imprevedibile e in parte pazzesca: colpire il nemico nel suo territorio, prenderlo di sorpresa e appoggiare le ribellioni degli alleati libici; insomma, mirare al cuore.<ref>{{Cita|Sefania De Vido|p. 83}}</ref>|}}
 
== La partenza per l'Africa ==
=== Il superamento del blocco cartaginese ===
[[File:Carthaginian-triremes-etc.jpg|thumb|upright=1.5|Ricostruzione delle trireme cartaginesi]]
Agatocle aveva fatto armare i suoi uomini, ma non aveva detto loro dove erano diretti. Quando le 60 navi furono pronte, i soldati credevano che fossero diretti in una spedizione contro l'[[Italia]], altri credevano si stessero per dirigere contro la [[Storia della Sicilia punica|provincia punica di Sicilia]].<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 5, 1}}.</ref>
 
[[Polieno (retore)|Polieno di Macedonia]] racconta che quando erano già sulle navi, Agatocle volle capire quanti dei suoi uomini erano realmente disposti a fare la traversata con lui, così disse loro che erano diretti verso l'Africa, contro Cartagine, e aggiunse:
 
{{Citazione|Concedo a quelli che vogliono salvarsi di uscire dalle navi con i propri personali beni.|Polieno, V 3, 5.|Επιτρεπω τοις βουλομενοις εαυτους σωζειν εξελΘειν απο των πλοιων μετα των πραγματων αυτων|lingua=grc}}
 
In molti se ne andarono. Agatocle uccise diversi di loro, etichettandoli come vili e infedeli, mentre lodò chi rimase al suo fianco.<ref>{{Cita|Polieno|V 3, 5}}.</ref> Poiché i Cartaginesi veleggiavano con le loro trireme davanti al porto siracusano, impendendo agli assediati di uscire, Agatocle e i suoi soldati furono costretti a rimanere in attesa per diversi giorni sulle navi, poi, finalmente, giunse l'occasione propizia: arrivò al porto una flotta mercantile che recava alimenti per i Siracusani. I Cartaginesi immediatamente le andarono addosso per impendirle l'accesso.
 
Agatocle, approfittando della distrazione degli avversari, fece muovere le sue navi; a tutta veolocità i marinai siracusani si prepararono a rompere il blocco dei Punici, veleggiando verso il mare aperto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 5, 2}}.</ref>
 
I Cartaginesi vedendo la flotta di Agatocle navigare in formazione stretta, pensarono che volesse combattere per salvare le navi mercantili, così si misero in posizione da battaglia, ma quando capirono che l'obiettivo della flotta siracusana non erano le navi mercantili era già troppo tardi; Agatocle era uscito, così le navi dei Cartaginesi cominciarono a inseguirlo.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 5, 3}}.</ref>
 
Nel frattempo le navi cariche di grano poterono distribuire indisturbate il cibo alla città di Siracusa. Agatocle riuscì a scartare le navi del nemico, sentendosi abbastanza distante solo quando giunse la notte.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 5, 4}}.</ref>
 
=== L'eclissi solare ===
[[File:Solar eclipse 1999 4 NR.jpg|miniatura|Un'esclissi solare totale; questa venne osservata l'[[11 agosto]] del [[1999]] in [[Francia]]]]
Conosciamo il giorno, il mese e l'anno preciso della partenza di Agatocle e del suo esercito per l'Africa grazie ad un evento che si verificò nel cielo e che gli antichi hanno riportato: un'[[eclissi solare]], avvenuta il [[15 agosto]] del [[310 a.C.]], ed essendo stata osservata dai navigatori siracusani l'indomani della loro partenza, vuol dire che essi salparono il giorno [[14 agosto]] di quel medesimo anno. Questo evento ebbe grande risonanza, infatti sono ben tre le fonti antiche che lo riportano: [[Diodoro Siculo]], [[Marco Giuniano Giustino]] e [[Sesto Giulio Frontino]], ma mentre i primi due dicono che si trattò di un'eclissi solare, Frontino afferma invece che Agatocle osservò un'[[eclissi lunare]].
 
Diodoro ha così descritto quello che videro:
 
{{Citazione|Essi raggiunsero la salvezza insperatamente sul far dell'alba. Il giorno successivo ci fu un'eclissi di Sole nel corso della quale scese il buio più fitto e le stelle furono viste splendere per tutto il cielo. Gli uomini di Agatocle, interpretando l'evento come un cattivo presagio, precipitarono nell'angoscia per il loro futuro".|Diodoro Siculo, XX 5, 5.<ref>Trad. ita in {{Cita web|url=http://www.iby.it/astro/eclipse/eclistor1.htm|titolo=Arriva l'Eclisse|accesso=13 maggio 2017}}.</ref>|τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ τηλικαύτην ἔκλειψιν ἡλίου συνέβη γενέσθαι ὥστε ὁλοσχερῶς φανῆναι νύκτα, θεωρουμένων τῶν ἀστέρων πανταχοῦ: διόπερ οἱ περὶ τὸν Ἀγαθοκλέα, νομίσαντες καὶ τὸ θεῖον αὐτοῖς προσημαίνειν τὸ δυσχερές, ἔτι μᾶλλον ὑπὲρ τοῦ μέλλοντος ἐν ἀγωνίᾳ καθειστήκεισαν.|lingua=grc}}
 
La versione e la spiegazione di Giustino è invece più dettagliata:
 
{{Citazione|Quantunque queste esortazioni ridestassero il coraggio dei soldati, tuttavia i loro animi erano compresi dal timore superstizioso di un prodigio, per essersi, durante la loro navigazione, eclissato il sole. Del che Agatocle rendeva loro ragione con non minore cura, di quello che avesse fatto delle cose della guerra, affermando che se ciò fosse avvenuto prima della partenza, anch' egli avrebbe creduto che presagisse loro male; ma che, essendo successo dopo che già erano partiti, era di cattivo augurio per coloro contro i quali andavano. Infatti le eclissi degli astri portano sempre con sé la mutazione dello stato presente delle cose, e quindi era certo che quel prodigio presagiva il cambiarsi del florido stato dei Cartaginesi, e la fine dei propri travagli ed avversità|Trogo-Giustino, XXII 6, 1-3.<ref>Trad. ita in {{Cita web|url=http://www.versionilatino.com/giustino/his-quidem-adhortationibus-animi-militum-erigebantur-sed-terrebat-eos-portenti/|titolo=Giustino Historiarum Philippicarum T Pompeii Trogi Libri Xliv Liber Xxii 6|accesso=13 maggio 2017}}.</ref>|His quidem adhortationibus animi militum erigebantur, sed terrebat eos portenti religio, quod navigantibus sol defecerat. Cuius rei rationem non minore cura rex quam belli reddebat, adfirmans, si prius quam proficiscerentur factum esset, crediturum adversum profecturis prodigium esse; nunc, quia egressis acciderit, illis, ad quos eatur, portendere. Porro defectus naturalium siderum semper praesentem rerum statum mutare, certumque esse et florentibus Karthaginiensium opibus et laboribus adversisque rebus suis commutationem significari.|lingua=la}}
 
Giustino spiega il perché dello sconforto dell'esercito di Agatocle; l'eclissi era infatti vista nell'antichità come un potente segno di presagio per le guerre: va ad esempio ricordata la [[battaglia di Halys]], avvenuta qualche secolo prima tra [[Medi]] e [[Lidi]] e soprannominata “la battaglia dell'Eclissi” proprio perché a deciderne le sorti fu un'esclissi solare: i soldati, colti da un'eclissi totale, interpretarono il fenomeno come un segno del volere degli [[Divinità|dèi]] affinché la battaglia terminasse all'istante; tutti smisero quindi di lottare.<ref>[[Erodoto]], ''Storie'', 1, 73-74.</ref>
 
Interessante anche la versione dell'evento fornita da Frontino: lo storico romano afferma infatti che l'eclissi vista dai Siracusani non fu solare ma lunare, ed è inoltre l'unico a sostenere che Agatocle diede ai suoi uomini una spiegazione naturale del fenomeno, senza accennare in alcun modo alla simbologia antica che l'eclissi si portava dietro:<ref>[[Sesto Giulio Frontino]], ''Stratagemmi'', I 12, 9.</ref>
 
{{Citazione|Quando Agatocle, il Siracusano, era in lotta contro i Cartaginesi, e i suoi soldati sono stati colti dal panico da un'eclissi lunare, che hanno interpretato come un prodigio, egli ha spiegato il motivo di quanto accaduto, mostrando loro che, qualcunque cosa fosse, aveva a che fare con la natura, e non con i loro scopi.|Frontino, I 12, 9.|Agathocles Syracusanus adversus Poenos, simili eiusdem sideris deminutione quia sub diem pugnae ut prodigio milites sui consternati erant, ratione qua id accideret exposita docuit, quidquid illud foret, ad rerum naturam, non ad ipsorum propositum pertinere.|lingua=la}}
 
== L'approdo in Africa ==
=== Approdo a Capo Bon e voto a Demetra e Kore ===
[[File:Satellite image of Tunisia in August 2001.jpg|thumb|upright=0.8|Immagine satellitare di Capo Bon, della Tunisia e del deserto libico]]
Dopo aver navigato sei giorni e sei notti, all'alba del settimo giorno la flotta di Agatocle scorse le navi dei Cartaginesi poste a guardia della costa africana. Le due flotte iniziarono una sorta di gara agonistica a chi toccasse prima la terra; la posta in gioco era altissima: i Cartaginesi sapevano che la flotta agatoclea era l'ultima speranza della Siracusa assediata da Amilcare, e inoltre se l'avessero bloccata per tempo nessuna guerra sarebbe giunta alle porte di Cartagine; i Siracusani di Agatocle dal canto loro sapevano che se non fossero stati i primi ad approdare ciò che li aspettava una volta giunti a terra sarebbe stata morte e schiavitù per la loro patria.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 6, 1-2}}.</ref>
 
[[File:ElHaouria latomies.jpg|thumb|upright=1.1|left|Le latomie di El-Haouaria; probabile luogo dello sbarco di Agatocle]]
 
Tra gli incitamenti delle due fazioni, gli uomini di Agatocle riuscirono infine ad approdare per primi. Toccarono terra presso Capo Ermeo ({{lang-grc|‛Ερμαία ἄκρα}}, il [[Lingua latina|latino]] Mercurii promuntorium), odierno [[Capo Bon]], in una zona detta da Diororo ''Latomiae'' (da [[latomia]]).<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 6, 3}}.</ref>
 
I Cartaginesi dopo aver tentato inutilmente di contrastare per mare l'esercito di Agatocle, preferirono ritirarsi e chiudere i quartieri all'invasori. Agatocle conquistò la spiaggia, fece tirare a secco le navi e costruì una [[palizzata]].<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 6, 2-3}}.</ref>
 
Le latomie sono grandi cave di pietra, il luogo dello sbarco è stato quindi identificato con un luogo posto sulla punta di Capo Bon che è ricco di queste cave: [[El-Haouaria]];<ref name=kokalos42>''Kókalos'' 42, 1996, pp. 241-242.</ref> le grandi latomie poste a sud-ovest del Capo con le quali venne edificata Cartagine.<ref>[[Sabatino Moscati]], ''La via del sole: avventure archeologiche tra Oriente e Occidente'', 1981, p. 64.</ref>
 
Vi sono tuttavia ulteriori proposte per il luogo dell'approdo agatocleo: più genericamente nel tratto tra El Haouaria e [[Kélibia]],<ref name=kokalos42/> o ancora a pochi chilometri a nord del Capo in una località che sarà nota ai [[Antica Roma|Romani]] con il nome di ''Aquae Calidae'', odierna [[Korbous]].<ref>Cfr. Alberto Fiori, ''Siracusa greca'', 1971, p. 101; [[Ettore Pais]], ''Storia di Roma durante le guerre puniche'', 1927, p. 185.</ref> Importante ai fini dell'individuazione del luogo è la testimonianza del geografo [[Strabone]]; anch'egli ha conservato il ricordo dello sbarco agatocleo e asserisce che esso avvenne presso l'Ermeo, in una località ricca di [[Sorgente idrotermale|sorgenti termali]] e cave di pietra (per cui concorda con quanto riportato da Diodoro).<ref name=strabone>{{Cita|Strabone|XVII p. 834}}.</ref>
 
Se pur non si è del tutto concordi con l'identificazione della località specifica dell'approdo, si può dire che Agatocle e l'esercito siracusano sbarcarono a nord dell'odierno [[golfo di Tunisi]]. Il geografo di Amasya ricorda a seguire, verso oriente, una città di nome Neapolis (odierna [[Nabeul]]) e proseguendo un monte detto Aspis (᾿Ασπίς: lo Scudo; per via della sua forma), il cui terreno, afferma Strabone, sarà in seguito popolato da Agatocle.<ref name=strabone/><ref>{{Cita|Consolo Langher (1996)|p. 155}}.</ref>
 
==== Agatocle ordina di bruciare le navi ====
[[File:Teste Kore, Siracusa.png|thumb|upright=1.4|Busti votivi con il volto di Kore, rinvenuti a Siracusa: [[Culti e templi dell'antica Siracusa|sede principale]] per la diffusione del suo culto religioso]]
Terminata la palizzata, Agatocle ordinò di compiere i sacrifici in onore delle [[divinità ctonie]] protettrici della [[Sicilia]]: [[Demetra]] e [[Persefone|Kore]]. Fatto ciò, proclamò un'assemblea con l'esercito alla quale egli si presentò elegantissimo: «cinto di corona e rivestito di un abito splendente».<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 7, 3}}. Cit. {{Cita|Consolo Langher (1990)|p. 41}}.</ref>
 
Egli confessò ai suoi uomini di aver fatto in precedenza un voto a Demetra e Kore: promise alle divinità che se lo avessero fatto giungere sano e salvo sul suolo d'Africa, egli come pegno avrebbe incendiato le navi sulle quali lui e i suoi uomini sarebbero giunti.<ref name=dioddue>{{Cita|Diod. Sic.|XX 7, 2-4}}.</ref> Per cui, dopo aver fatto ai soldati un discorso incoraggiante, nel quale disse loro che avrebbero vinto poiché la vittoria gli fu predetta dalle divinità, prese in mano una fiaccola accesa e ne fece distribuire una identica a tutti i suoi ufficiali. Dopodiché salì sulla nave ammiraglia, si recò alla poppa e invitò i suoi ufficiali a fare alrettanto. Quindi appiccò il fuoco alla nave e lo stesso fecero i suoi uomini con il resto della flotta.<ref name=dioddue/>
 
Al suono delle trombe e tra gli applausi, i soldati siracusani videro bruciare davanti ai loro occhi l'unico mezzo che avrebbe potuto ricondurli a casa.<ref name=dioddue/> Da quel momento in avanti, il solo modo per lasciare l'Africa era la vittoria: vincere per ricostruire altre navi, oppure morire in quella terra straniera.
 
Agatocle con questo astuto stratagemma si assicurava che i soldati non cedessero alla tentazione di voltarsi indietro per fuggire dalle battaglie che li attendevano sul suolo d'Africa. Il Siracusano è stato il primo a sperimentare una mossa tanto estrema, destinata poi a entrare negli annali della storia; non ci sono infatti precedenti prima di Agatocle su navi bruciate dai propri uomini: solamente nell'''[[Iliade]]'' si ci avvicina a un simile gesto, quando in una delle battaglie più sanguinose, [[Ettore (mitologia)|Ettore]] vede i Greci fuggire e quindi appicca il fuoco alle loro navi per impedirne la fuga; ma in quel caso furono i [[Troia|Troiani]], i nemici, a bruciare le navi dell'avversario,<ref>''[[Iliade]]'' Canto XII. Cfr. [[Barry Strauss]], ''la guerra di Troia'', 2015.</ref> mentre il gesto di Agatocle è più sprezzante poiché implica l'automotivazione: si ci impone la vittoria o la totale sconfitta. Dal suo gesto è nato il motto odierno: ''«Bruciare le navi»'' ovvero «''mettersi in una situazione senza ritorno''».<ref>Cfr. Ferdie Addis, ''Qual è il tuo tallone da killer?: Massime, motti e modi di dire ereditati da Greci e Latini: Bruciare le navi'', 2012.</ref>
 
== La marcia di Agatocle ==
=== La prosperità della regione cartaginese e i primi scontri ===
Poiché non avevano più nulla da proteggere, avendo da se stessi dato fuoco alle proprie navi, non c'era alcun motivo per lasciare uomini nel punto di sbarco, per cui Agatocle poté mettere in marcia il suo intero esercito.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 7, 5}}.</ref>
 
Gli storici antichi hanno lasciato una dettagliata testimonianza sulla prosperità del suolo cartaginese:
 
[[File:Cap Bon olive groves.JPG|thumb|upright=1.1|Coltivazione di ulivi a Capo Bon]]
[[File:Djbal sidi Abderrahmen - Nabeul12.jpg|thumb|upright=1.1|Campi fertili nei pressi di Nabeul]]
 
{{Citazione|La regione frapposta, attraverso la quale bisognava passare, era costellata di giardini e di coltivazioni di ogni genere, grazie ai molti corsi d’acqua che solcavano e irrigavano tutta la regione. Sorgevano lì numerose case coloniche, costituite da ricchi edifici, ornati di stucchi che testimoniavano la ricchezza dei loro padroni.|Diodoro Siculo, XX 8, 3.<ref>Trad. italiana in {{Cita web|url=https://lamemoriadeifenici.wordpress.com/la-memoria-della-ricerca/fonti-greche-2/#Diodoro%20Siculo|titolo=La memoria dei Fenici - Fonti greche|accesso=21 maggio 2017}}.</ref>|ἡ δ᾽ ἀνὰ μέσον χώρα, δι᾽ ἧς ἦν ἀναγκαῖον πορευθῆναι, διείληπτο κηπείαις καὶ παντοίαις φυτουργίαις, πολλῶν ὑδάτων διωχετευμένων καὶ πάντα τόπον ἀρδευόντων. ἀγροικίαι τε συνεχεῖς ὑπῆρχον, οἰκοδομαῖς πολυτελέσι καὶ κονιάμασι διαπεπονημέναι καὶ τὸν τῶν κεκτημένων αὐτὰς διασημαίνουσαι πλοῦτον|lingua=grc|}}
 
Agatocle si ritrovò ad attraversare un lunghissimo tratto di terra fertile, lussureggiante, colma di verdi giardini e di [[frutteti]], di campi [[Irrigazione|irrigati]] che giungevano in ogni dove e di belle case di campagna dalle mura bianche disseminate per tutto il territorio. [[Ulivi]] e [[vigneti]] dominavano il verdeggiante scenario; pascoli di buoi e greggi popolavano la pianura, mentre cavalli di razza erano posizionati sulle paludi. Ogni genere di ''comfort'' caratterizzava le proprietà della campagna cartaginese.<ref name=diodsette>{{Cita|Diod. Sic.|XX 8, 3-4}}. Cfr. {{Cita|Kókalos 42|p. 244}}; ''La Civiltà Cartaginese'' (a cura di), 2016.</ref> Tutto quel che i Siracusani vedevano attestava senza dubbio la ricchezza che l'impero aveva portato ai Cartaginesi; un impero che era giunto alle porte di Siracusa e minacciava di renderla schiava.<ref name=diodsette/>
 
Diodoro informa che Agatocle per distrarre i suoi uomini dal pensiero che era ancora rivolto all'incendio delle navi, li condusse subito ad uno scontro: egli conquistò la città di [[Megalopoli (Tunisia)|Megalopoli]] (il cui sito archeologico non è tutt'oggi stato identificato<ref>{{Cita|Kókalos 42|p. 244}}.</ref>) e l'esercito si tirò su di morale vedendo che erano approdati in una terra ricca che prometteva una cospicua ricompensa.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 8, 5}}.</ref>
 
Fu semplice per i Siracusani fare conquiste, poiché gli abitanti dell'''hiterland'' cartaginese si rivelarono essere privi di esperienza bellica. Del resto va considerato che nessuno prima di Agatocle aveva osato muovere guerra a Cartagine in casa sua, per cui la sua popolazione venne colta alla sprovvista. Dopo Megalopoli fu la volta della conquista di [[Tunisi Bianca]] (d'incerta collocazione<ref>Cfr. [[Karl Julius Beloch]], ''Griechische Geschichte'', 3.2.206; {{Cita|Consolo Langher|p. 136}}.</ref>) e di [[Tunisi]] (dette Tuneto da Diodoro); entrambi i centri abitati vennero devastati e nonostante gli uomini di Agatocle volessero risparmiare Tunisi e impiantare al suo interno il centro operativo e farne la sede dei loro bottini, il dinasta aretuseo si oppose, non volendo offrire facili nascondigli in caso di battaglia; per cui ritenne molto più sicuro stabilire il quartiere generale delle operazioni belliche contro Cartagine a cielo aperto; nella campagna di Tunisi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 8, 7}}.</ref>
 
=== La reazione di Cartagine ===
{{Citazione|Dal canto loro i Cartaginesi, se avessero preveduto uno sbarco in Africa, avrebbero certo preso a tempo le precauzioni necessarie per impedirlo; ma non possiamo far loro gran colpa se non credettero possibile che i Siracusani, ridotti ormai agli estremi, tentassero una impresa cui non avevano mai pensato in condizioni più prospere.<ref>Cit. {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 224}}.</ref>|}}
 
[[File:Carthage Ruins.JPG|thumb|upright=0.9|left|Le rovine di Cartagine site nell'odierna Tunisi]]
 
La flotta cartaginese che in precedenza si era allontanata, tornò sul luogo dell'approdo di Agatocle e dei suoi uomini, trovandovi solo le macerie delle navi arse dal fuoco. Sbigottiti dal gesto forte compiuto dai Siracusani, si impensierirono non poco elaborando il messaggio lanciato da quelle fiamme: i Sicelioti erano seriamente intenzionati a combattere in terra d'Africa. Dopo aver razziato finanche nelle macerie della flotta siracusana, i Cartaginesi spedirono dei messi nella capitale dei Punici, perché sapessero cosa era accaduto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 9, 1-3}}.</ref> Ma a giungere a Cartagine furono prima i messi spediti dalla popolazione delle campagne che avendo subito l'assalto dell'esercito agatocleo, avvertirono prontamente i cittadini della capitale del pericolo che incombeva su di loro.<ref name=diodquattro>{{Cita|Diod. Sic.|XX 9, 3-5}}.</ref>
 
Appresa la notizia, a Cartagine il grado di preoccupazione fu elevatissimo: se mentre Siracusa era sotto assedio, il suo dinasta aveva potuto raggiungere le coste libiche e inoltrarsi tranquillamente nelle campagne cartaginesi, ciò significava che l'assedio era fallito, che i Cartaginesi di Sicilia avevano fallito e che la propria difesa marittima era caduta.<ref name=diodquattro/>
 
I cittadini di Cartagine si riversarono per le strade e immediatamente si indì un consiglio di guerra presieduto dagli anziani. Ma Cartagine non disponeva in quel momento di un esercito: le sue forze migliori erano state spedite ad assediare Siracusa e un'invasione da parte dell'avversario non era stata preventivata, poiché fino ad allora nessun greco aveva osato tanto.<ref name=diodquattro/>
 
Mentre in consiglio si dibattiva sul chiedere un'istantanea pace ad Agatocle e sul mandare ambasciatori per spiare il nemico, giunsero i messi della flotta punica che finalmente rivelarono agli spaventati cittadini cartaginesi che nessuna flotta punica era stata distrutta che l'assedio a Siracusa continuava. I Punici vennero così a conoscenza degli esigui numeri dell'esercito di Agatocle e del suo pericoloso isolamento, avendo il dinasta aretuseo bruciato le proprie navi. Tali notizie rincuorarono i Cartaginesi e li resero nuovamente combattivi.<ref name=diodquattro/>
 
La situazione rimaneva ugualmente grave, se pur gestibile. Cartagine era conscia della superiorità tecnica dell'avversario: i Punici potevano contare sulla superiorità numerica, ma la maggior parte dei suoi cittadini non aveva esperienza bellica, e il crollo delle prime fortezze aveva dimostrato la pericolosità della situazione. Vennero quindi nominati due nuovi generali: [[Annone (IV secolo a.C.)|Annone]] e [[Bomilcare (IV secolo a.C.)|Bomilcare]]: due nobili di Cartagine, appartenenti a famiglie rivali; una discordia che secondo il senato doveva essere motivo di forza per Cartagine, ma che si rivelerà essere invece un pericoloso tallone d'Achille per la difesa dei Punici.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 10, 1-2}}.</ref> Inoltre Bomilcare ambiva di divenire tiranno di Cartagine, e il comando generale fu per lui l'occasione proprizia per attuare i suoi piani di dominio assoluto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 10, 2-4}}.</ref>
 
== La battaglia di Tunisi ==
{{Vedi anche|Battaglia di Tunisi (310 a.C.)}}
[[File:Carro da guerra antico V secolo a.C.png|thumb|upright=1.0|left|Carro da guerra del V secolo a.C.]]
Essendo già la marcia di Agatocle in stato avanzato, i due genereali punici, volendo riguadagnare il tempo perduto, non aspettarono arrivi militari dalle altre città africane, piuttosto presero 40.000 (30.000 secondo Giustino) cittadini cartaginesi e li armarono contro l'esercito di Agatocle (il quale, va ricordato, non raggiungeva le 15.000 unità). Ai fanti si aggiungevano 4.000 cavalieri di Cartagine e 2.000 carri.
 
I Punici si accamparono su un'altura di Tunisi, dalla quale era ben visibile l'accampamento di Agatocle. L'ala destra venne comandata da Arcagato per i Siracusani e da Annone per i Cartaginesi. Agatocle e Bomilcare si misero al comando delle rispettive ale sinistre.
 
I Cartaginesi, consci della loro superiorià numerica, tentarono dapprima di sconfiggere i Siracusani con l'uso dei cavalieri e dei carri, posizionandoli davanti alla fanteria.
 
[[File:Steinkauz (27333546105).jpg|thumb|upright=0.6|Agatocle si servì nella battaglia di Tunisi delle civette]]
 
Agatocle non disponeva né di cavalli né di carri, poiché non aveva potuto portarli con sé durante l'avventurosa traversata, e vide la paura nel volto dei suoi uomini. Avendo previsto che questo accadesse, poiché non era semplice andare a cuor leggero contro numeri di molto superiori ai propri, Agatocle aveva fatto radunare precedentemente in diversi punti dell'accampamento numerosi [[Asio otus|gufi]] - nello specifico delle [[Athene noctua|civette]] - e in quel momento diede l'ordine di liberarli, affinché gli animali sorvolassero i suoi soldati.<ref name=diocinque>{{Cita|Diod. Sic.|XX 11, 2-5}}. Cfr. Francesco Maspero, ''Bestiario antico: gli animali-simbolo e il loro significato nell'immaginario dei popoli antichi'', 1997, p. 106; [[Andrea Frediani]], ''La storia del mondo in 1001 battaglie'', 2015.</ref>
 
Il gesto di Agatocle fu molto importante ai fini della battaglia, poiché mirava a risollevare il morale dei suoi uomini: la civetta era l'[[Civetta di Minerva|animale sacro]] alla dea della saggezza, [[Atena]], e averle dalla propria parte era una chiara iniezione di fiducia per il soldato greco.<ref name=diocinque/>
 
Poiché Agatocle non aveva abbastanza armi per tutti i suoi soldati, diede agli uomini rimasti fuori dalle divisioni principali le coperte degli scudi, in modo tale che da lontano ingannassero l'occhio dei nemici cartaginesi, dando l'impressione di essere un esercito completamente armato. Oltre a queste astuzie degne del nome di Agatocle, egli mostrò in campo il valore dei suoi uomini: i Siracusani, nonostante perdite pesanti, vinsero infine la battaglia e costrinsero i Cartaginesi alla fuga. Il generale Annone morì combattendo, mentre Bomilcare preferì rifugiarsi dentro le mura di Cartagine. Il [[battaglione sacro]] dei Punici resistette fino all'ultimo, ma infine dovette arrendersi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 11-12}}.</ref>
 
I Siracusani inseguirono il nemico fino ad un certo punto, poi Agatocle preferì tornare indietro, dedicandosi al saccheggio del campo di battaglia, portando così sollievo alle critiche situazioni logistiche del suo esercito che finalmente poté armarsi del tutto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 12, 8}}.</ref>
 
== I sacrifici umani di Cartagine ==
Cartagine dopo la sconfitta subita a Tunisi entrò nel panico e diede la colpa di ciò che le stava accadendo agli dèi: Agatocle era giunto in Africa perché i Cartaginesi avevano colpevolmente trascurato i loro dèi. Ecco quindi che cedendo alla superstizione ripresero un'antica pratica religiosa che attuavano solo in situazioni critiche o fatalistiche: i [[sacrifici umani]].
 
Il passato sanguinoso della religione punica sembrerebbe ben documentato: [[Plutarco]] narra che [[Gelone]], primo [[Tiranni di Siracusa|tiranno di Siracusa]], dopo l'importante vittoria riportata contro i Cartaginesi nel [[480 a.C.]] [[Battaglia di Imera (480 a.C.)|presso l'Himera]], aveva imposto a Cartagine, come condizione fondamentale e inamovibile, la cessazione dei sacrifici umani: i Cartaginesi dovevano smettere di immolare esseri umani ai loro dèi.<ref>[[Plutarco]], ''De sera numinis vindicta'', 552 a.</ref> E poco tempo prima anche il [[re di Persia]] [[Dario I]] aveva tentanto di dissuadere Cartagine dal compiere questi macrabi rituali, imponendogli alla vigilia della guerra contro i Greci, così come informa Trogo-Giustino, di fermare i sacrifici umani.<ref>[[Marco Giuniano Giustino ]], XIX 1, 10-13. Cfr. [[Alberico Gentili]], ''Il diritto di guerra'', 2008, p. 177.</ref> I Cartaginesi parvero accettare quanto stabilito da Gelone e per settant'anni regnò la pace tra Cartagine e la Sicilia.
 
{{Citazione|Il più bel trattato di pace di cui la storia abbia parlato è, credo, quello che Gelone concluse con i Cartaginesi. Egli volle che essi ponessero fine alla consuetudine di immolare i propri figli. Cosa ammirevole! Dopo aver sconfitto trecentomila Cartaginesi, Gelone esigeva una condizione che era utile solo a loro, o piuttosto stipulava a favore del genere umano.|[[Montesquieu]], ''[[Lo spirito delle leggi]], cap. V, Gelore, re di Siracusa''.<ref>Trad. ita: Domenica Felice (a cura di), ''Montesquieu. Opere (1721-1754)'', 2914, p. 1195.</ref>}}
 
[[File:Estatuillas votivas del templo de Hércules Gaditano.jpg|thumb|upright=0.9|Statuetta votiva dal tempio di Ercole (Melqart) nelle isole di Sancti Petri ([[Andalusia]])]]
 
Tuttavia i Cartaginesi smisero di rispettare tale clausola nel [[409 a.C.]], quando, nel corso delle riaccese ostilità con le poleis siceliote, [[Annibale Magone]] immolò, ovvero sacrificò alle divinità, 3.000 Greci di Sicilia [[Battaglia di Imera (409 a.C.)|caduti prigionieri nelle sue mani]]; fece ciò per vendicare l'uccisione del generale suo nonno [[Amilcare I]] (sconfitta avvenuta per mano dei Siracusani di Gelone, nel medesimo luogo dove in quel momento si compiva il sacrificio, settant'anni prima).
 
Dopo gli eventi del tempo di Annibale, non si sono avute ulteriori notizie di sacrifici umani da parte dei Cartaginesi, ma la presenza di Agatocle, cento anni dopo, risvegliava dunque questa antica usanza cartaginese: era necessario, secondo i Punici, placare l'ira degli dèi offrendo ad essi delle vittime sacrificali appartenenti al genere umano.
 
La capitale punica venerava due dèi in particolare, originari della loro madrepatria orientale [[Tiro (sito archeologico)|Tiro]]: [[Moloch (divinità)|Moloch]] (o [[Melqart]], identificato con l'[[Ercole]] greco) e [[Crono|Kronos]] (identificabile con [[Ba'al Hammon]]; di probabili origini tirie).<ref>{{Cita|Paolo Xella|p. 363}}.</ref>
 
Al Moloch di Tiro i Cartaginesi inviarono ingenti somme di denaro, come non facevano da moltissimo tempo (da quando erano diventati un potente impero indipendente), e a Ba'al Hammon offrirono l'[[olocausto]] dei propri cittadini. Davanti ad una statua di bronzo del dio, vennero immolati 200 giovanissimi cartaginesi di famiglie benestanti e altre 300 vittime tra i cittadini che si offrirono volontariamente<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 14, 4}}. {{Cita|Paolo Xella|p. 363, più n. 3}}.</ref> (né sarà l'ultimo sacrificio umano compiuto da Cartagine durante questa guerra; infatti a seguito di una sconfitta successiva subita da Agatocle, altri numerosi prigionieri siracusani, scelti stavolta per la loro bellezza, saranno immolati alle divinità puniche per ringraziarle della vittoria conseguita<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 65, 1}}.</ref>).
 
Fatto ciò, spedirono dei messaggeri ad Amilcare di Gisgone, il quale stava assediando Siracusa, con la richiesta di mandare urgentemente parte dell'esercito a Cartagine. Così 5.000 soldati, i migliori, vennero sottratti alle forze di Amilcare; una mossa che si rivelerà fatale per portare a compimento con successo l'assedio contro la pentapolis di Sicilia.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 15, 1}}. Cfr. {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 225}}.</ref>
 
== Messaggi tra Sicilia e Africa ==
=== Il tranello di Amilcare e il messaggio di Agatocle ===
Quando i messaggeri giunsero da Amilcare, gli portarono i bastoni di bronzo sottratti dalle navi dei Siracusani a capo Bon. Amilcare quindi studiò un ingegnoso piano che prevedeva l'inganno ai danni della città assediata: fece dire ai Siracusani che il loro dinasta con tutto l'esercito erano morti in Africa, che erano stati battuti dai Cartaginesi e quei bastoni erano l'unica reliquia rimasta della loro sconfitta, per cui non vi era più speranza; che si arrendessero e aprissero le porte ai Cartaginesi, senza compiere ulteriori sforzi. Il fratello di Agatocle con il suo lungotenente tennero quindi con urgenza un'assemblea popolare durante la quale la città rischiò di consegnarsi seriamente nelle mani di Cartagine. Antandro voleva cedere e aprire le porte e fu solo grazie all'etolo Erimnone, il quale si oppose fermamente a tale prospettiva, se la città di Siracusa poté dirsi ancora salva.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 15-16, 1}}.</ref>
 
Fu deliberato che Siracusa non si sarebbe arresa fino a quando non sarebbero giunte notizie certe dall'Africa sulle sorti di Agatocle e del suo esercito.
 
A risollevare il morale dei Siracusani ci pensò Agatocle stesso dall'Africa che, apprese le ultime nuove dalla Sicilia, si affrettò a far costruire una [[galea]] e trenta remi e a spedirla in porto nella città d'[[Aretusa]]. La notte del quinto giorno i soldati a bordo della nuova nave intravidero la costa siracusana e all'alba poterono dare la lieta novella. Una volta appreso che le operazioni in suolo d'Africa procedevano molto bene, i Siracusani assediati accantonarono del tutto la malsana idea di arrendersi al generale punico.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 16, 2-4}}.</ref>
 
== L'alleanza con il re dei Libi e progressi in Africa e in Sicilia ==
=== Cadono Neapolis, Adrumeto e Thapsos ===
[[File:Image de la ville de Sousse 21 juin 2016.jpg|thumb|upright=1.3|L'area dell'antica Adrumeto in una foto satellitare di Susa]]
Prima di dirigersi verso la Libia settentrionale, Agatocle portò il suo esercito a conquistare le città della costa orientale poste sotto il dominio cartagiense. Prese per prima la già citata Neapolis (ricordata anche da Strabone in prossimità del luogo di approdo agatocleo); la caduta di questa città avvenne con l'uso della forza, ma i suoi abitanti furono trattati con riguardo da Agatocle.
 
Arrivati al [[golfo di Hammamet]] (a oriente, dopo il golfo di Tunisi, nei pressi dell'[[Hammamet|omonima città]]), l'esercito siracusano pose l'assedio ad Adrumeto (in greco antico: 'Αδρύμης e in latino: Hadrumetum); identidicata con l'odierna città di [[Susa (Tunisia)|Susa]].
 
Tuttavia, l'attenzione di Agatocle rivolta in quel momento all'assedio della città costiera, fu distolta dal sopraggiungere di notizie allarmanti circa le intenzioni dei Cartaginesi di assalire l'accampamento principale dei Siracusani. Agatocle quindi lasciò la gran parte dei suoi soldati a continuare l'assedio e si portò con pochi uomini verso una montagna che sorgeva tra Tunisi e Adrumeto; da identificare molto probabilmente con la montagna di [[Djbel zaghouan]] (nella regione di [[Zaghouan]]), ovvero con il margine nord-orientale della catena tunisina di Zeugitana, posta a cinquanta chilometri da Tunisi e ben visibile anche da Adrumeto.<ref>Cfr. [[Ettore Pais]], ''Storia dell'Italia antica e della Sicilia'', 1933, p. 628; {{Cita|Consolo Langher|p. 150}}.</ref>
 
Una volta scesa la notte, giunto ormai in cima alla montagna, Agatocle fece appiccare moltissimi fuochi che avevano lo scopo di far credere ai Cartaginesi di Tunisi che dalla montagna si stava riversando contro di loro un poderoso esercito. Il piano funzionò poiché all'accampamento generale dei Siracusani si diffuse il panico tra i Punici, i quali lasciarono perdere la battaglia in corso e se ne tornarono dentro Cartagine.<ref name=diodsei>{{Cita|Diod. Sic.|XX 17, 2-5}}.</ref>
 
I fuochi di Agatocle non soltanto fecero tremare Tunisi, ma atterrirono anche l'assediata Adrumeto; i suoi abitanti temendo l'arrivo di così ingenti rinforzi, aprirono le porte ai Siracusani che poterono quindi dichiarare concluse le operazione belliche contro la città fenicia.<ref name=diodsei/>
 
[[File:Tunis Bardo Buste 1.jpg|thumb|upright=0.7|left|Busto raffigurante un Libico, da Cartagine ([[museo nazionale del Bardo|museo del Bardo]], Tunisi)]]
[[File:Gulf of Gabes and Tripoli from ISS.jpg|miniatura|Il golfo di Gabes ai confini con il [[golfo della Sirte]], dove si trova l'area di Tapso; occupata su larga scala da Agatocle]]
 
Agatocle in quel momento poteva inoltre contare sull'alleanza delle popolazioni locali, poiché gli era divenuto alleato il re dei Libi [[Ailymas]] (o Elymas - Elima); anche se per alcuni studiosi Ailymas era il [[re dei Numidi]] e non dei “Libi” come voleva Diodoro (Αίλύμαν τόν βασιλέα τών Λιβύων);<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 17, 1}}.</ref> basandosi sul fatto che il termine Libi era molto generico. A supporto di tale ipotesi si riferisce che anche [[Massinissa]] - condottiero berbero che diverrà re della Numidia un secolo dopo gli eventi di Agatocle - veniva indicato con il titolo di re dei Libi. Tuttavia non è da escludere che Diodoro stia piuttosto usando il titolo corretto, senza che questo implici un coinvolgimento dei Numidi (trattandosi di un'area geografica differente da quella descritta per Massinissa).<ref>La maggior parte delli studiosi si limita a riportare il titolo conferito da Diodoro. Cfr. es. ''Helikon'', vol. 9-10, 1970, p. 218; [[Emilio Gabba]], ‎Georges Vallet, ''La Sicilia antica'', 1980, p. 331. </ref>
 
Forti delle vittorie conseguite, i Siracusani di Agatocle si inoltrarono ancora più a fondo nella regione tunisina, scendendo in direzione del [[golfo di Gabès]]: qui sorgeva l'antica città di [[Tapso]] (o Thapsos: Θάϕος) - di probabili origini fenice, poiché in Sicilia, nel [[Libero consorzio comunale di Siracusa|siracusano]], si ha un'importante antica località dall'[[Thapsos|identico toponimo]] - presa con la forza dall'esercito agatocleo. Dopo Tapso, altri 200 centri abitati, definibili come villaggi dei libici sotto il dominio di Cartagine, vennero in potere di Agatocle.<ref>{{Cita|Diod. Sic,|XX 18, 1-2}}.</ref>
 
=== Nuovo assedio di Tunisi: altra vittoria di Agatocle ===
L'esercito di Siracusa passò molti giorni a marciare. Nel frattempo erano giunte le truppe cartaginesi richiamate dalla Sicilia e anch'esse si erano riversate sul quartiere genarale di Tunisi. Agatocle, messo al corrente della situazione, ormai vicino a Tunisi, ordinò ai suoi uomini di non accendere fuochi durante la marcia notturna, in modo da cogliere totalmente di sorpresa gli ignari cartaginesi che occupavano il campo. Ancora una volta ebbe la meglio e all'alba, nello scontro che venne ingaggiato tra le due parti, riuscì a liberare il suo quartiere generale. I Cartaginesi contarono oltre 2.000 vittime e diversi prigionieri catturati dai Siracusani.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 18, 1-3}}.</ref>
 
Nel frattempo il re dei Libi ruppe l'alleanza con Agatcole, passando nuovamente dal lato dei Cartaginesi. Agatocle quindi lo uccise, e con lui uccise molti dei suoi uomini. Nonostante la succinta notizia, essa rappresenta il preludio degli scontri tra i Siracusani e le popolazioni locali; i Libi, che siano essi Libifenici o Nomadi, daranno non poco filo da torcere alla missione di Agatocle, giocando in essa un ruolo di assoluto rilievo.<ref>{{Cita|Diod. Sic,|XX 18, 3}}. Cfr. {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 223}}.</ref>
 
=== La decapitazione di Amilcare e suo teschio spedito in Africa ===
Dopo aver tentato invano di prendere Siracusa con l'inganno, facendo credere che Agatocle fosse morto con tutto l'esercito, ad Amilcare riuscì ugualmente di penetrare all'interno della città, portando i suoi uomini nell'[[Epipoli]]; la città-militare e la parte più alta della pentapolis. Ma l'assalto andò storto e infine Amilcare venne catturato e i suoi uomini si sbandarono. I Siracusani decapitarono in pubblica piazza il comandante in capo di Cartagine e spedirono la sua testa in Africa, affinché giungesse dalla patria ad Agatocle un messaggio forte e chiaro sulle sorti dell'assedio punico.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 30, 1-2}}.</ref>
 
Giunta al porto africano la testa del nemico, Agatocle la prese e salì a cavallo. Brandendo il capo di Amilcare si portò sotto il campo nemico e prese a passeggiare da un lato all'atro, scandendo bene le parole da rivolgere ai Cartaginesi. Egli li ammonì: la testa del loro [[suffeta]], giunta da Siracusa fin sotto le mura di Cartagine, era un terribile avvertimento della fine che sarebbe spettata ai nemici dei Sicelioti. <ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 33, 1}}.</ref> I Cartaginesi, sconvolti dalla brutalità e dalla gravità della notizia, si prostrarono a terra, secondo il costume barbarico; la morte del re era un avvenimento terribile e incominciarono quindi a dubitare di poter riuscire a conseguire la vittoria finale in quella tragica guerra.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 33, 2}}.</ref>
 
== L'ammutinamento militare ==
=== Il banchetto, la lite e l'uccisione di Licisco ===
Diodoro, nel suo ventesimo libro, attribuisce il principio del declino della fortuna di Agatocle in Africa - in un tempo ancora non sospetto - ad una lite, poi sfociata in tragedia, tra un alto ufficiale dell'esercito siracusano e il figlio primogenito di Agatocle; Arcagato: lite avvenuta a causa di una donna.
 
Tutto avvenne durante un banchetto serale nel quale Agatocle aveva invitato le alte cariche del suo esercito; tra queste figurava un capitano di nome [[Licisco]]. Nella tavola scorrevano boccali di vino, così Licisco, senza più [[freni inibitori]], osò dire troppo:
 
{{Citazione|Licisco rimproverò Arcagato a causa del suo adulterio, infatti si pensava che egli possedesse (la matrigna) Alchia - questo era il nome della donna - di nascosto dal padre.|Diod. Sic., XX 33, 5.<ref>Trad. ita in ''Archivio storico messinese'', vol. 38, 1980, p. 98.</ref>}}
 
L'accusa di Licisco era gravissima, poiché si accusava il primogenito di Agatocle di adulterio, e la donna con la quale esso veniva compiuto era l'amata di suo padre ([[Alchia]], va ricordato, fu la seconda moglie di Agatocle, la quale rese il dinasta aretuseo padre di altri due figli: [[Agatocle II]] e [[Lanassa]]).
 
Ciononostante, essendo un uomo vissuto, gran conoscitore dei delicati equilibri che si venivano a creare tra i soldati; della loro forte solidarietà, Agatocle fece finta di nulla e sorrise bonariamente alle parole di Licisco. Reazione ben diversa ebbe Arcagato che non volendo tollerare oltre quelle risa prese la lancia di una delle guardie e davanti a tutti gli ufficiali uccise Licisco. A quel punto scattò la sedizione negli uomini di Agatocle. Il corpo di Licisco venne riposto all'accampamento, all'interno della sua rispettiva tenda, la quale si riempì subito di soldati indignati per quanto era accaduto. I soldati reclamarono a gran voce Arcagato: volevano che Agatocle lo consegnasse nelle loro mani, affinché essi potessero fare giustizia, uccidendolo. Se Arcagato non veniva consegnato, allora la condanna a morte sarebbe ricaduta su Agatocle.<ref name=diod-otto>{{Cita|Diod. Sic.|XX 33, 5-8}}.</ref>
 
Quanto accaduto la sera del banchetto coinvolse ben presto l'intero esercito, ma la morte di Licisco per moltissimi uomini rappresentava solo un pretesto per attuare una ribellione che già da tempo era nell'aria a causa dell'irregolarità nel pagamento dello stipendio ai soldati.<ref name=diod-otto/>
 
=== La sorveglianza armata e il passaggio al nemico ===
Pur non sfociando in ulteriori colpi di testa, la situazione rimase tesissima: l'area dove risiedeva Agatocle con i suoi due figli e il resto dello stato maggiore venne circondata e sorvegliata dai soldati armati.<ref name=diod-otto/> I Cartaginesi udendo i malumori esplosi all'interno dell'esercito avversario, si fecero avanti cercando di corrompere gli uomini di Siracusa; offrendo laute ricompense e paghe più alte a chiunque di loro accettasse di entrare a far parte delle schiere di Cartagine. Molti capitani di Agatocle si lasciarono corrompere e passarono tra i Punici.<ref name=diod-nove>{{Cita|Diod. Sic.|XX 34, 1-5}}.</ref>
 
Agatocle, capendo di trovarsi in grave pericolo, poiché vi era la seria possibilità che i suoi uomini lo consegnassero al nemico, per risolvere l'annosa situazione si affidò ancora una volta alla sua dialettica e teatralità, cercando di riconquistare così la fiducia del suo esercito: si spogliò (come [[Agatocle#La legittimazione del potere durante l'assemblea|aveva già fatto durante l'assemblea]] che lo aveva proclamato ''[[Autokrator|stratēgos autokratōr]]''); mise via la veste purpurea, simbolo di potere e regalità, e si vestì con modesti abiti da cittadino privato. Impugnando la sua spada uscì dalla tenda e lasciò che la folla di uomini lo circondasse e lo guardasse in un solenne silenzio, poi prese a parlare ricordando ai suoi soldati quante e quali fatiche avevano dovuto sopportare per arrivare fin lì e quante vittorie avevano conseguito sotto la sua guida. Detto ciò, alla luce degli ultimi incontrollabili eventi, disse loro che se doveva morire, perchè lui era pronto a morire per loro, preferiva farlo di sua mano, piuttosto che essere consegnato al nemico punico. Quindi sguainò la spada e fece per uccidersi, ma la folla - come probabilmente egli aveva previsto - lo bloccò, chiedendogli di dimenticare le accuse e di rimettersi la veste che spettava al suo rango elevato. Didodoro prosegue il racconto dei fatti descrivendo le lacrime di Agatocle, che stavolta arrivò a un passo dalla morte, e la ritrovata voglia da parte del suo esercito di combattere l'odiato nemico punico.<ref name=diod-nove/><ref>Cfr. comportamento di Agatocle in {{cita pubblicazione |nome=Anna|cognome=Simonetti Agostinetti |titolo=Agatocle di Siracusa: un tiranno-operaio|anno=2008 | rivista=Aristonothos. Scritti per il Mediterraneo antico - Riviste UNIMI, n. 2|pp=153-160|cid =Anna| url=http://docplayer.it/36205419-Aristonothos-2-2008.html|formato=pdf|accesso=23 maggio 2017}}</ref>
 
== La battaglia del fiume Bagradas ==
{{Vedi anche|Battaglia di Tunisi (309 a.C.)}}
[[File:Majrda testour.JPG|thumb|upright=1.2|Il fiume Medjerda (antico Bagradas)]]
Attaccati all'improvviso dai Siracusani, i Cartaginesi furono costretti nuovamente alla fuga. Attratti dalle tante vittorie del dinasta siracusano, i Numidi decisero di abbandonare l'alleanza con Cartagine e di stipularne una nuova con Agatocle.
 
I Cartaginesi, venuti a conoscenza dei nuovi sfavorevoli sviluppi, cercarono di recuperare con la forza gli alleati che avevano defezionato. Ad Agatocle giunse notizia delle azioni dei Punici contro i Numidi e prese quindi la decisione di lasciare il comando di Tunisi ad Arcagato e di portare con sé all'inseguimento del nemico 8.000 fanti, 800 cavalieri e 50 carri da guerra guidati dai Libici. I Cartaginesi stavano riportando sotto la loro bandiera la popolazione numida degli [[Zufoni]] quando Agatocle, dopo giorni di dura marcia, li raggiunse. I Cartaginesi spedirono quindi alcune unità di Numidi a molestare i Sicelioti; per impedirne il più possibile l'avvicinamento. Agatocle vedendosi attaccato dagli indigeni, mandò contro di essi i suoi frombolieri e i suoi arcieri, nel contempo non smise di avanzare. I Cartaginesi superarono un largo fiume e si trincerarono su di un colle.<ref name=diod-dieci>{{Cita|Diod. Sic.|XX 38}}.</ref>
 
La zona della battaglia è stata individuata (se pur non con assoluta certezza) nelle zone pianeggianti della Tunisia occidentale; non distante dall'odierno confine del [[Marocco]], dove vi è la parte centrale del letto del fiume [[Mejerda|Medjerda]], ovvero l'antico Bagradas dei Cartaginesi.<ref>{{Cita|Gabba, Vallet|p. 335}}.</ref> Nei pressi del fiume avvenne una violenta battaglia che vide contrapposte le due storiche parti in guerra. I Siracusani risultarono superiori per qualità, anche se i Punici - come sempre - potevano contare su un maggior numero di soldati, per cui Agatocle trionfò ancora.<ref name=diod-dieci/>
 
[[File:Nike alata, trofeo, Agatocle 305 - 295 a.C.png|thumb|upright=0.8|[[Tetradramma]] d'[[argento]] coniato da Agatocle in Africa nel 309-308 a.C. con [[Nike (mitologia)|Vittoria alata]], [[Triscele]] e suo nome inciso (ubicazione della moneta: [[Altes Museum]], [[Berlino]])]]
 
Durante la battaglia i Numidi non intervenirono a favore di nessuna delle due potenze; si limitarono ad aspettare l'esercito sconfitto per depredarne il campo. Siccome la preda dei Cartaginesi non era in quel momento accessibile - poiché i Siracusani stavano per l'appunto costringendo i Punici alla ritirata nel proprio campo -, i Numidi decisero di avventarsi sul campo dei Siracusani e approfittando della lontananza del grosso delle truppe riuscirono a fare bottino, catturando anche degli uomini. Non appena Agatocle si accorse di quel che stava accadendo, smise di dare la caccia ai soldati in fuga di Cartagine e andò ad affrontare gli indigeni, riportando su di essi la vittoria e recuperando gran parte di quanto predato.
 
Per commemorare quest'altra splendida vittoria sulle forze cartaginesi, Agatocle fece erigere un [[trofeo]] e festeggiò l'evento con i suoi soldati. Si sostiene che appartegano alla memoria di questa battaglia anche le pregevoli monete di tipo cirenaico fatte coniare da Agatocle nel medesimo periodo della vittoria presso il Bagradas.<ref>Cfr. {{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2033}}.</ref>
 
Nel corso della battaglia catturò 1.000 disertori: cavalieri Greci (di cui 500 originari di Siracusa e gli altri 500 Greci delle forze alleate<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 39, 5}}.</ref>) che erano passati dalla parte del nemico a seguito della sedizione militare faticosamente placata da Agatocle. I cavalieri tentarono la fuga, asseragliandosi all'interno di una fortezza della zona, ma Agatocle li vinse e li fece trucidare.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 39, 6}}.</ref>
 
Durante gli eventi che caratterizzarono lo scontro con i Cartaginesi, Agatocle si rese conto dell'imprevedibilità degli indigeni nomadi, e soprattutto della loro pericolosità; non poteva fidarsi di un'alleanza con i Numidi, i quali si erano dimostrati pronti a schierarglisi contro alla prima occasione. Urgeva quindi trovare un nuovo alleato in terra d'Africa.<ref>Cfr. {{Cita|Consolo Langher (1997)|p. 210}}; {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 224}}.</ref>
 
== L'accordo con Ofella e il tradimento ==
{{Vedi anche|Alleanza tra Agatocle e Ofella}}
[[File:Dunes.jpg|thumb|upright=1.2|Dune nel deserto africano; il viaggio di Ofella per giungere da Agatocle durò due mesi]]
[[File:British Museum Egypt - Tolomeo I.png|miniatura|left|Busto di Tolomeo I Soter d'Egitto]]
Agatocle nel 309-308 a.C. inviò il suo ambasciatore Ortone a [[Cirene]] con il compito di riferire al governatore della [[Cirenaica]], [[Ofella]] macedone di [[Pella (città antica)|Pella]], che lo stratego siracusano voleva concludere con egli un'alleanza: Ofella avrebbe partecipato alla guerra contro Cartagine contribuendo con un apparato militare da aggiungere a quello siracusano; in cambio Agatocle gli avrebbe lasciato l'intero dominio sulla ''Libye'', poiché quel che al dinasta aretuseo interessava era possedere l'intera Sicilia.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 40, 1-4}}.</ref>
 
Ofella, il cui ruolo rimane tutt'oggi poco chiaro - si dibatte se egli fosse un rappresentante del satrapo d'[[Egitto]] [[Tolomeo I Soter]] (poiché la Cirenaica era stata conquistata dagli Egizi)<ref>{{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2033}} (già in {{Cita|Consolo Langher (1992)|p. 101}}) e {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 226 con ampia nota 1}}.</ref> o se fosse un principe macedone divenuto indipendente dal regno del [[Nilo]]<ref>[[Attilio Momigliano]] in {{Treccani|ofella_(Enciclopedia-Italiana)/|Ofella}}; {{Cita|Edouard Will (1964)|pp. 328-329}}.</ref> - accettò l'alleanza. Il Cireneo spedì a sua volta ad [[Atene]] un decreto con il quale invitava gli Ateniesi ad unirsi a lui e ad Agatocle di Siracusa per combattere Cartagine e colonizzare nuove terre nell'Africa del Nord.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 40, 5-7}}.</ref> L'ulteriore appello di Ofella, che in breve tempo coinvolse gran parte dei Greci, si pensa abbia scatenato lo scontro, databile nello stesso anno della suddetta alleanza, tra [[Cassandro]], che governava Atene tramite il suo uomo di fiducia [[Demetrio Falereo]], e Tolomeo che con la mossa di Ofella si ritrovò i Greci appartenenti al rivale macedone ai confini dell'Egitto, con la prospettiva, del tutto inesplorata e per questo colma di possibilità, di un regno ellenistico sul territorio di Cartagine.<ref>Cfr. {{Cita|Consolo Langher (1992)|pp. 104-105}} (cfr. anche ''Siracusa e la Sicilia greca: tra età arcaica ed alto ellenismo'', Langher 1996, p. 176); {{Cita|Edouard Will|pp. 61, 88}}; {{Cita|Edouard Will (1964)|p. 330}}.</ref>
 
Ofella mise in marcia da Cirene 20.000 persone: 10.000 [[Fanteria|fanti]], 600 [[Cavalleria|cavalieri]], più di 300 [[Auriga (attività)|aurighi]] e parabatai (compagni di battaglia), 100 carri da guerra e 10.000 uomini “fuori schieramento” che si accompagnavano, molti di loro, con mogli e figli.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 41, 1}}. Cfr {{Cita|Consolo Langher (1992)|p. 102}}; {{Cita|Carla Ravazzolo|p. 124}}.</ref> Per due mesi questa moltitudine di gente vagò per il [[Deserto del Sahara|deserto libico]], con l'obiettivo di raggiungere l'accampamento dei Siracusani; molte furono le vittime rimaste tra la sabbia a causa dei morsi di animali velenosi, come i serpenti, e a causa della sete e della fame. Finalmente giunsero da Agatocle e questi si premurò subito di dar loro le cure necessarie dopo un viaggio così pericoloso. Per diversi giorni si assicurò che non mancasse loro niente, poi accadde un improvviso voltafaccia, un tradimento la cui origine non viene spiegata, nel quale Agatocle uccise l'alleato Ofella,<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 42, 3}}.</ref> dopo che questi gli aveva persino “adottato” il figlio [[Eraclide (figlio di Agatocle di Siracusa)|Eraclide]]<ref>{{Cita|Giustino|XXII 7, 5}}.</ref> (secondo Giustino, ma secondo Polieno il figlio di Agatocle fu un ostaggio di Ofella e da questi dovette difendersi a causa dell'estrema passione che il Macedone nutriva per lui<ref>{{Cita|Polieno|V 3, 4}}.</ref>). Eliminato Ofella, Agatocle riunì il vasto esercito dell'ex-alleato sotto il suo comando e fece imbarcare i numerosi coloni per le coste della Sicilia, con approdo a Siracusa (anche se moltissimi di loro per via delle violente tempeste marittime perirono o giunsero nelle coste dell'Italia; alle isole [[Pithecusa|Pithecusse]]).<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 44, 7}}.</ref>
 
== Il colpo di Stato a Cartagine e la crocifissione di Bomilcare ==
Bomilcare, in un periodo privo di scontri con i Siracusani, si fece avanti nei confronti della sua patria; cercò di divenirne il tiranno, facendo leva molto probabilmente sull'ansia che le nuove armate giunte da Cirene avevano provocato nei Cartaginesi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 43, 1}}.</ref>
 
Il Cartaginese progettò di trasferire i cittadini e le truppe scelte in un nuovo sito, che egli chiamò Città Nuova, per distinguerla dall'antica Cartagine. Quindi mise a ferro e fuoco l'antica capitale, portandole la guerra civile in ogni sua contrada.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 44, 1-2}}.</ref> Scoppiò un'enorme rivolta che coinvolse tutti i cittadini cartaginesi, impegnati nello sforzo comune di non cedere ad una tirannia, nonostante il massacro che stavano subendo da parte delle forze di Bomilcare.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 44, 3-5}}.</ref> Infine venne catturato, torturato e messo a morte.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 44, 6}}.</ref>
 
Giustino, e con lui anche lo storico cristiano [[Paolo Orosio]],<ref>Oros. IV 6, 32.</ref> ricorda una versione con particolari differenti, ma con ogni probabilità complementare a quella diodorea (pur considerando comunque che Giustino mostra di seguire una fonte basilare differente da quella diodorea; egli segue la versione timaica): dopo una violenta battaglia con i Siracusani (battaglia che in Diodoro non è menzionata), con perdite sofferte da entrambe le parti, i Cartaginesi erano così disperati che se nell'esercito di Agatocle non fosse scoppiata una ribellione, il sufeta sarebbe passato dalla sua parte, consegnando ad Agatocle Cartagine e il suo esercito. Le intenzioni di Bomilcare vennero però scoperte e il sovrano cartaginese venne condannato alla [[crocifissione]] in pubblica piazza; qui Bomilcare, dall'alto della croce parlò, sfogandosi contro il suo popolo, ritenendolo ingiusto e ingannevole; egli menzionò tutti i precedenti oscuri dei Cartaginesi nei confronti dei passati sufeti, particolarmente significativa, poiché mirava a spiegare il conflitto in atto, fu l'accusa rivolta a coloro i quali avevano condannato Amilcare, suo zio paterno, che si era prodigato per porre amicizia tra Agatocle e Cartagine, invano, poiché Cartagine aveva preferito avere dal Siracusano la guerra, piuttosto che la pace, andando a condannare l'operato del sufeta. Quando le sue parole avevano radunato una grandissima folla, egli spirò.<ref>{{Cita|Giustino|XXII 7, 7-11}}.</ref>
 
Agatocle seppe troppo tardi della crocifissione di Bomilcare e di quanto era stato vicino dall'ottenere Cartagine nelle proprie mani. Sulla mancata comunicazione tra le due parti concorda anche Diodoro, il quale dedica più di un passo al rammarico che dovevano provare Cartaginesi e Siracusani per non aver saputo, entrambi, cosa stava succedendo nei rispettivi campi: da Agatocle la temporanea confusione dei soldati nuovi rimasti senza una guida dopo l'uccisione di Ofella, e quindi facilmente ricattabili dal nemico; a Cartagine la guerra civile, che aveva portato la capitale punica ad essere assolutamente vulnerabile e quindi conquistabile se solo Agatocle ne avesse approfittato.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 43, 1-7}}.</ref>
 
== L'alleanza con Tolomeo d'Egitto ==
[[File:Ortigia, duomo, facciata 01.JPG|thumb|upright=1.3|L'Athenaion di Siracusa (incorporato nel [[Duomo di Siracusa|Duomo]]) sotto le cui fondamenta venne rinvenuto il vaso di Ramses e molti altri reperti egizi]]
Agatocle viene unanimamente riconosciuto come colui che diede il via agli stretti rapporti tra l'Egitto e la Sicilia. Prima però di analizzare in cosa consistette l'alleanza stipulata tra Agatocle e Tolomeo è bene far presente che i rapporti tra la capitale agatoclea, ovvero Siracusa, e la terra del Nilo non nacquero sul finire del IV secolo a.C. ma affondavano le loro radici in tempi molto più arcaici.
 
Da Siracusa proviene infatti il reperto egizio più antico di Sicilia:<ref>Cit. Giulia Sfameni Gasparro, ''I Culti Orientali in Sicilia'', 1973, p. 12 e biblio in n. 2.</ref> si tratta di un vasetto [[balsamario]] in forma sferica, prodotto nella [[valle del Nilo]], che reca l'immagine e il nome del [[faraone]] [[Ramses II]] (Ramses è nell'atto di porgere un oggetto non identificabile alla dea [[Hathor]]); la datazione inizialmente proposta per questo prezioso reperto è stata fissata tra il [[Anni 1350 a.C.|1350]]-[[1300 a.C.]], ma poiché i [[Geroglifici egizi|geroglifici]] incisi sopra conducono al regno di Ramses il Grande («''signore dei diademi, Ramsses-Miamun''»; si legge in parte dell'iscrizione<ref>Traduzione italiana di [[Luigi Schiaparelli]], cit. in ''Archivio storico siciliano'', 1981, p. 14.</ref>) si è proposto di correggere la data di almeno trent'anni in avanti.<ref>''Archivio storico siciliano'', 1981, p. 14.</ref> Questo reperto, insieme a molti altri reperti egizi ed egitizzanti (per lo più materiale votivo) venne rinvenuto sotto le fondamenta dell'[[Tempio di Atena (Siracusa)|Athenaion]], in uno strato archeologico datato al [[VII secolo a.C.]], a conferma che la città già in tempi arcaici era legata ad una fitta rete commerciale con ciò che dall'Egitto si esportava; ma non solo commercialmente, essendo offerte votive in un'area sacra (tra l'[[Artemision di Siracusa|Artemision]] e l'Athenaion ed anche in altri luoghi sacri della città), doveva esistere un'importante influenza culturale sui primi siracusani. A condurre i manufatti ad essa furono probabilmente i popoli posti geograficamente vicini all'Egitto; a tal proposito ha constatato uno storico che:
 
{{Citazione|Le importazioni di manufatti egiziani o egittizzanti a Siracusa durante il VII secolo a.C. superava quelle [[Siria|siro]]-[[Fenici|fenicie]] e [[Cipro|cipriote]], evidenziando come esisteva una legame commerciale che univa questa città con Cartagine.<ref>G. G. Bozza, ''Importazioni greco-orientali e fenicie nei santuari arcaici della Sicilia orientale'' in ''International congress of classical archaeology...'', Roma 2008, p. 2.</ref>|}}
 
[[File:Moneta Agatocle - Tolomeo - Alessandro.png|thumb|upright=1.2|left|A sinistra moneta in oro coniata da Agatocle; a destra moneta in argento coniata da Tolomeo I. In entrambe è raffigurato [[Alessandro Magno]] con scalpo di [[elefante]]; evidente è la volontà di Agatocle di accostare la propria monetazione a quella del satrapo d'Egitto]]
 
Per i secoli a venire segue il silenzio dei rinvenimenti archeologici, ma da Agatocle in avanti si rianima questo arcaico rapporto e diviene molto più evidente. Secondo alcuni storici l'alleanza tra l'Egitto e la Sicilia di Agatocle sarebbe incominciata nel momento in cui il Siracusano contattò Ofella; se si accetta l'ipotesi che egli fosse un suo rappresentante; qui l'allineamento della monetazione tra Tolomeo e Agatocle, a partire già dall'anno 308 a.C., diventa un chiaro segnale di complicità;<ref>Cfr. {{Cita|Consolo Langher (2006)|pp. 2036-2038}}.</ref><ref name=orientepersiano-ellenistico>Cfr. {{cita pubblicazione |nome=Sebastiana Nerina|cognome=Consolo Langher|titolo=Oriente persiano-ellenistico e Sicilia, trasmissione e circolazione di un messaggio ideologico attraverso i documenti numismatici |anno=1990 | rivista=Revue des Études Anciennes |pp=29-44|cid=Consolo Langher (1990)| url=http://www.persee.fr/doc/rea_0035-2004_1990_num_92_1_4413|accesso=6 giugno 2017}}.</ref> in questa ottica si suppone anche che prima di uccidere Ofella, Agatocle abbia contattato Tolomeo (per evitare che questi fraintendesse il suo gesto e lo credesse un nemico dell'Egitto), convincendolo della necessità di eliminare l'ambiziosa figura del Cireneo.<ref>{{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2037}}</ref>
 
=== Assunzione del titolo regale e matrimonio con Teossena ===
Agatocle assunse il titolo di [[basileus]] durante la sua permanenza in Africa;<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 1}}.</ref> accadde nel [[307 a.C.]]<ref>{{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2037}}; Anello, Martorana, Sammartano, ''Ethne e religioni nella Sicilia antica: Atti del convegno, Palermo, 6-7 dicembre 2000'', 2006, p. 337.</ref> Agatocle seguì l'esempio di Tolomeo, che assunse il titolo regale dopo che lo fecero i satrapi [[Antigono]] e [[Demetrio I Poliorcete|Demetrio]]<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 53, 2-4}}.</ref> (la proclamazione popolare sarebbe arrivata in seguito, durante il primo ritorno di Agatocle in Sicilia).<ref>{{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2040}}.</ref> Egli fu il primo che riuscì a farsi incoronare re dalla pentapolis aretusea, la cui repubblica non aveva mai consentito a nessuno di assumure questo titolo (e del resto ciò avvenne quando in patria la guerra civile, sorta proprio per contrastare il potere personale di Agatocle, non si era ancora placata); Agatocle era riuscito a trasformare la potente ''dynasteia'' in una [[monarchia]] ellenistica; una mossa che sarebbe stata carica di conseguenze.<ref name=orientepersiano-ellenistico/>
 
Chiari rapporti emergono a prescindere dall'ambiguo trascorso con Ofella, poiché a seguito della sua spedizione in Africa e a seguito dell'assunzione del titolo regale, Agatocle appare vicinissimo a Tolomeo - il satrapo che trasferì in Egitto, nella sua capitale [[Alessandria d'Egitto|Alessandria]], il corpo di Alessandro Magno<ref>Sul destino del corpo di Alessandro Magno vd.: {{cita pubblicazione |nome=Gabriele|cognome=Marasco|titolo=Alessandro, i diadochi e il culto dell’eroe eponimo|anno=1983 | rivista=Prometheus. Rivista di studi classici |pp=57-62| url=http://www.fupress.net/index.php/prometheus/article/view/19100/17730|accesso=7 giugno 2017}}</ref> (che tra l'altro, stando ad una testimonianza dello storico [[Publio Papinio Stazio|Stazio]], sarebbe stato [[Imbalsamazione|imbalsamato]] con il [[miele ibleo]]; prodotto nella ''chora'' di Siracusa<ref group=N>[[Publio Papinio Stazio]], ''[[Silvae]]'' III, 11, 118 (trad. italiana in [[Carmelo Ciccia]], 1998, p. 32): {{Citazione|Conducilo anche a vedere i resti dell'eroe dell'Emazia (la Macedonia), dove il bellicoso fondatore della città sta ancora intatto, imbalsamato col nettare ibleo.||Duc et ad Emathios manes, ubi belliger urbis conditor Hyblaeo pefusus nectare durat|lingua=latino}}</ref>) - diventando lo sposo di una delle sue figlie: [[Teossena]].<ref>La notizia ci è nota grazie a {{Cita|Giustino|XXIII 2, 6}} e al frammento di [[Timeo di Tauromenio|Timeo]] riportato in [[Polibio]]: ''FGrHist'' 566 F 124 c.</ref>
 
[[File:Alexandria - Pompey's Pillar with sphinx.JPG|thumb|upright=0.9|left|Resti di Alessandria d'Egitto; città che accolse numerosi Siracusani e Sicelioti; tra tutti i più famosi furono [[Archimede]] e [[Teocrito]]]]
[[File:Cyperus papyrus-pjt3.jpg|thumb|upright=0.9|Colonie di papiri egiziani presso il fiume [[Ciane]] di Siracusa (unico luogo in [[Europa]] in cui la pianta cresca spontanea e abbondante)]]
 
La principessa egiziana proveniva dalla Macedonia; sua madre [[Berenice I]], discendente di [[Antipatro (generale)|Antipatro]] (il [[reggente]] dell'impero di Alessandro Magno e padre di Cassandro), l'aveva concepita con un generale macedone, ma poiché questi morì, Berenice seguì a [[Menfi (Egitto)|Menfi]] la cugina [[Euridice (regina egizia)|Euridice]], prima moglie del Lagide. Il satrapo s'innamorò di Berenice e la sposò, adottando i suoi figli e dandole il titolo di regina d'Egitto. Agatocle divenne quindi genero a tutti gli effetti di Tolomeo; tra l'altro, poiché gli eredi al trono vennero dalla linea di successione di Berenice, Agatocle divenne cognato del futuro re d'Egitto [[Tolomeo II]], fratellastro di Teossena, e, significativamente, cognato di [[Magas (re di Cirene)|Magas]], futuro re della Cirenaica e fratello di Teossena. Con questa parentela Tolomeo si assicurava l'alleanza di Agatocle e la sua fedeltà in caso di un suo futuro ritorno in Africa e di un altro intervento che coinvolgesse i confini dell'Egitto. Dal canto suo Agatocle con questa unione consolidava grandemente la sua posizione nel panorama interstatale e portava in Sicilia un nuovo potente alleato.<ref>I vari vantaggi di questa alleanza in {{Cita|Consolo Langher (2006)|pp. 2038-2038}}; {{Cita|G. Marasco|p. 98}}.</ref>
 
La datazione per questo matrimonio è discussa: vi è chi sostiene che esso avvenne in Africa (ma la notizia sulle nozze è troppo breve e non permette di chiarire meglio il contesto nel quale si eseguì l'unione; né del resto possediamo testimonianze che attestino la presenza fisica di Agatocle alla corte d'Egitto)<ref name=teossena>Cfr. le varie ipotesi con ampia bibliografia di terzi in {{Cita|G. Marasco|p. 98, n. 2-3}} e {{Cita|Consolo Langher (2006)|p. 2038, n. 19}}.</ref> e chi pensa piuttosto che il matrimonio risalga al rientro di Agatocle in Sicilia, dove sarebbe stato raggiunto da Teossena.<ref name=teossena/>
 
L'alleanza tra Tolomeo e Agatocle non si esaurisce con questo matrimonio che anzi sembra essere il preludio per progetti ben più grandiosi da ambo i lati; dopo l'impresa d'Africa, Agatocle realizzerà un'altra unione che lo porrà sempre in connessione con il basileus d'Egitto: il Siracusano infatti darà in sposa sua figlia [[Lanassa]] al giovane [[Pirro]], erede al trono d'[[Epiro]] e genero di Tolomeo (Pirro aveva sposato [[Antigone d'Epiro|Antigone]], sorella di Teossena), il quale lo teneva come ostaggio alla sua corte a seguito di un patto sugellato con [[Demetrio I Poliorcete]] (futuro genero di Agatocle).
 
Quella di Agatocle è un'eredità vasta che si estende dalla Sicilia all'Egitto: con Teossena genera dei figli che giungerano infine in Egitto e qui daranno seguito alla discendenza agatoclea; mentre in terra siciliana questa alleanza si tradusse in intesa politica e culturale; vi è chi attribuisce ad Agatocle l'introduzione del culto di [[Iside]] nelle varie poleis siceliote<ref>Cfr. ipotesi in Giulia Sfameni Gasparro, ''I Culti Orientali in Sicilia'', 1973, p. 4 e n. 2.</ref> e chi fa risalire a lui la venuta della pianta del [[Cyperus papyrus|papiro egiziano]] che notoriamente cresce spontanea, almeno fin dal III secolo a.C.<ref>È emerso ciò dall'analisi del DNA fatta sui papiri siracusani da parte dell'[[Museo del papiro|istituto internazionale del papiro]]. Cfr: {{Cita web|url=http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/pdf/6877.pdf|titolo=Studi sulla storia e sulle origini del papiro in Sicilia|accesso=7 giugno 2017}}</ref> (ma si sostiene che esso venisse già coltivato nel siracusano a partire dal [[VI secolo a.C.]]<ref>{{Cita web|url=http://www.danielemancini-archeologia.it/xvi-convegno-egittologia-papirologia-siracusa/|titolo=XVI edizione del Convegno di Egittologia e Papirologia|accesso=7 giugno 2017}}</ref>), nelle acque di Siracusa.<ref>Così Enrico Benelli in ''Vita segreta degli antichi romani'', 2013, cap. 13 ''Obelischi e sfingi''.</ref> Certamente questa alleanza spianò la strada per i futuri rapporti tra gli eredi di Tolomeo e la corte siracusana e di conseguenza con la Sicilia che essa controllava.<ref>Per approfondire i rapporti tra Alessandria e Siracusa vd.: {{cita libro| I.I. M.L. Famà (a cura di) | | wkautore= | Magia d'Egitto | | Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana | capitolo=[http://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/152046/409119/20_Portale%20Magia%20Egitto%20%20pdf.pdf Sicilia ed Egitto in età ellenistica: riflessioni sulle relazioni artistico-culturali fra Siracusa e Alessandria] | ISBN = | cid = }} </ref>
 
== Le operazioni a ovest di Cartagine ==
=== La caduta di Utica ===
[[File:UTIQUE.jpg|thumb|upright=1.2|Il sito archeologico di Utica]]
Dopo aver preso il titolo di basileus, Agatocle volle assediare la città africana di [[Utica (Tunisia)|Utica]], il cui popolo si era dapprima mostrato suo amico e poi l'aveva abbandonato;<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 2}}.</ref> indotto dall'azione cartaginese che si stava spendendo davvero molto per recuperare gli alleati che i Siracusani andavano conquistando.<ref>A tal proposito Polibio afferma, in contrasto con Diodoro, che Utica rimase sempre fedele ai Cartaginesi: {{Cita|Polibio|I 82, 8}}.</ref>
 
Per la sua vicinanza a Cartagine (Utica distava pochi chilometri dalla capitale punica), per la sua antichità (i Fenici fondarono prima Utica e poi Cartagine) e per la sua importanza (Utica è stata definita la città più importante dell'impero di Cartagine<ref>{{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 228}}.</ref>), possederla era per Agatocle una sfida notevole.<ref>Diodoro esordisce dicendo che Agatocle voleva conquistarla per giustificare il titolo di basileus; per compiere un'azione grandiosa. Utica era quindi molto nota nel panorama africano. {{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 2}}.</ref>
 
L'esercito siracusano, adesso grandemente accresciuto dopo l'unione con i soldati giunti dall'Africa orientale, si portò nei pressi di Utica, mettendo quindi subito in allarme i cittadini, i quali si rinchiusero all'interno delle mura, ma Agatocle riuscì a catturare nelle campagne adiacenti 300 Uticensi che non avevano fatto in tempo a mettersi in salvo. I 300 vennero usati come ostaggi da parte del basileus che li mostrò al popolo di Utica, promettendo che se gli fosse stata consegnata la città, egli avrebbe restituito i 300 concittadini sani e salvi. Tuttavia gli Uticensi rifiutarono di arrendersi e permettere ad Agatocle di venire in possesso di Utica, per cui il Siracusano scatenò contro di loro una crudele vendetta.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 2-3}}.</ref> Fece legare i prigionieri alle macchine da guerra che portò sotto le mura della città. L'immagine di ciò che stava per accadere non impietosì gli Uticensi assediati, che per tutta risposta portarono i loro soldati alle mura, pronti a respingere l'assalto. Agatocle aggiunse alle macchine d'assedio le [[Catapulta|catapulte]], i [[frombolieri]] e i lancia-[[Freccia|dardi]].<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 4}}.</ref>
 
Gli Uticensi per bloccare l'avanzata del nemico furono costretti a colpire ripetutamente i loro concittadini legati alle macchine, alcuni dei quali appartenenti alla nobiltà uticense, ma non smisero di colpire, traformando il supplizio degli ostaggi in una sorta di crocifissione - stando alle parole di Diodoro<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 7}}.</ref> - usando ogni arma da lancio a loro disposizione.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 54, 5-7}}.</ref>
 
Agatocle vedendo che gli Uticensi non avevano intenzione di cedere, ma erano freddamente decisi a bloccarlo, fece circondare l'intera città e trovato un punto debole tra le mura fece penetrare all'interno i suoi uomini armati, portando il panico tra la popolazione.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 1}}.</ref> Non vennero risparmiate le case e i templi. Alla strage seguì il saccheggio dei beni degli Uticensi e l'imposizione di un presidio armato.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 3}}.</ref>
 
La presa di Utica viene annoverata tra le grandi stragi di Agatocle durante la guerra. Polibio afferma che l'atteggiamento di Agatocle va diviso in due diverse fasi:<ref>{{Cita|Polibio.|IX 23, 2}}.</ref> una prettamente bellica e una molto più pacifica<ref group=N>E questa infomazione è preziosa poiché con la perdita del XXI libro di Diodoro, della parte finale delle vicende agatoclee risultano solo frammenti dai quali è difficile estrapolare il percorso del basileus. Asserisce Polibio (IX 23, 2. Trad. in ''Du miel au café, de l'ivoire à l'acajou...'', p. 171): {{Citazione|Chi non sa che Agatocle giudicato uomo crudelissimo nelle imprese per la conquista del dominio, fu riconosciuto in seguito, quando fu consolidato il suo potere in Sicilia, come il signore più clemente ed umano di tutti?|}}</ref>; la prima fase è quella della vasta guerra che incomincia con il primo esilio di Agatocle (nel lontano 330 a.C.), prosegue acuendosi a Siracusa (nel 319-316 a.C.), dove gli oligarchici si scontrano violentemente con i democratici, e finisce per coinvolgere dapprima tutta la parte centro-orientale della Sicilia (314-311 a.C.) e in seguito persino l'Africa e Cartagine (dal 310 a.C.); Utica va inquadrata all'interno di questa fase: la guerra di Agatocle non era terminata (e in seguito aumenterà ancora, coinvolgendo anche la parte occidentale della Sicilia). Il suo comportamento, se pur crudele, va osservato nell'ottica di un ampio conflitto bellico e dello scopo politico che egli voleva raggiungere.<ref>Vd. {{Cita|Polibio.|XV 35, 7}} cit. in Langher, ''Polibio e gli storici contemporanei di Agatocle'' in ''Du miel au café, de l'ivoire à l'acajou'' (a cura di), 2005, p. 171.</ref><ref>Cfr. a tal proposito {{Cita|De Sanctis|p. 214, n. 1}} dove si spiegano in parte le azioni cruente di Agatocle.</ref>
 
=== Presa di Biserta e alleanze con i popoli africani ===
[[File:Bizerte ksiba.jpg|thumb|upright=1.2|left|Biserta, città fortificata da Agatocle; qui i Siracusani allestirono i cantieri navali]]
Dopo Utica, l'esercito si portò ancora più a ovest, giungendo in una zona ricca di acqua dolce e salata. Qui sorgeva la città di Hyppo Acre o Hippo Diarrhytus o ancora Hippo-Zaryte (odierna [[Biserta]]<ref>[[Karl Julius Beloch|Beloch]] in {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 228, n. 3}}.</ref>): «difesa da un gran lago interno, unito al mare da un canale».<ref>Cit. I. Scaturro, ''Storia di Sicilia, l'età antica'', vol. 1, 1951, p. 394.</ref> Per conquistarla fu necessario ricorrere ad una battaglia navale; con navi possibilmente provenienti da Utica.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 3}}. Cfr. Consolo Langher, ''Agatocle: da capoparte a monarca fondatore di un regno tra Cartagine e i Diadochi'', 2000, p. 204.</ref> Lo storico [[Appiano di Alessandria]] aggiunge ulteriori notizie su questa parte d'Africa toccata da Agatocle: egli narra che il dinasta costruì una torre a «trenta stadi di distanza da Utica»<ref>App. Lib. 14.</ref> e che si impossessò di Hyppo Acre, città che i Siracusani fortificarono grandemente, con lo scopo probabile di farne un nuovo quartiere generale<ref>Consolo Langher, ''Un imperialismo tra democrazia e tirannide: Siracusa nei secoli V e IV a.C'', 1997, p. 214.</ref>:
 
{{Citazione|Dopo ciò venne ad Ippargèta, città grande con mura, con fortezza, con porto, e ricetti di navi, fabbricata magnificamente da Agatocle tiranno di Sicilia. Situata nel mezzo tra Cartagine ed Utica [...]|Appiano di Alessandria, Lib. 110.<ref>Trad. italiana in ''Le storie romane di Appiano Alessandrino'' di [[Marco Mastrofini]], 1830, p. 305.</ref>}}
 
La torre doveva servire come punto di difesa per la strada che da Utica conduceva a Biserta, dove i Siracusani stavano evidentemente costruendo un'ulteriore base operativa contro Cartagine. Grazie al possesso della costa orientale tunisina, già prima di questa battaglia navale si hanno notizie di navi possedute o costruite dai Siracusani in Africa (quelle mandate da Agatocle in Sicilia durante il tranello di Amilcare; quella che servì a far giungere l'ambasciatore Ortone presso Cirene; quelle, certamente numerose, che permisero ai coloni di Ofella di raggiungere le coste d'Europa), ma a Biserta il progetto doveva essere più grandioso se Appiano parla al plurale di cantieri navali.<ref>{{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 228}}.</ref>
 
Del resto Agatocle doveva essere ben consapevole che per assediare Cartagine occorreva possedere una flotta, oltre a numerosi uomini, dato il facile accesso al mare che la naturale posizione forniva alla capitale punica.<ref>Cfr. [[David Abulafia]], ''Il grande mare'', 2014, cap. ''Il faro del Mediterranea''.</ref>
 
Arrivati a questo punto i Siracusani risultavano padroni di tutti i principali luoghi marittimi della regione cartaginese: da Oriente a Occidente - dall'odierno confine [[Libia|libico]] a quello [[Algeria|algerino]] - Agatocle aveva conquistato i porti e gli empori di Cartagine, così come aveva posto sotto la sua dominazione le popolazioni della regione interna (né le conquiste si sarebbero esaurite qui). Fu questo il momento di maggiore difficoltà per Cartagine, la quale vedeva i suoi alleati defezionare l'uno dopo l'altro per darsi in mano ad Agatocle; quasi tutti abbandonarono i Cartaginesi, eccetto i Nomadi, i quali in parte si schierarono con Agatocle e in parte vollero attendere di vedere come sarebbe andato a finire il conflitto ancora in atto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 3}}.</ref>
 
Agatocle aveva raggiunto una posizione tale da potersi finalmente dedicare alle operazioni che avrebbero portato a cingere d'assedio la stessa Cartagine. Tuttavia a distrarlo arrivarono dalla Sicilia notizie seriamente preoccupanti.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 5}}.</ref>
 
== Prima partenza di Agatocle ==
=== Situazione in Sicilia ===
I Siracusani in patria e quelli in Africa avevano eliminato direttamente o indirettamente nel giro di pochissimi anni 4 re di Cartagine: Amilcare II, Amilcare gisgonio, Annone e Bomilcare, e avevano ridotto gravemente il numero dei soldati sui quali i Punici potevano fare affidamento per difendere il proprio impero nel Mediterraneo, senza contare l'alto e grave numero di alleati persi e città occupate dal nemico che ormai li circondava in casa. Mai Cartagine prima di allora si era trovata in una situazione così precaria e difficile.
 
Molte cose erano cambiate dalla partenza di Agatocle nel 310 a.C.; negli anni trascorsi si era rotta l'alleanza tra i ribelli Siracusani capitanati da [[Dinocrate di Siracusa|Dinocrate]] e i Cartaginesi; conseguenza della guerra, ormai nota ai più, contro il secolare e avverso rivale punico.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 31, 1}}. cfr. {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 230}}; {{Cita|Consolo Langher|p. 230}}.</ref> Le cattive acque nelle quali navigavano i Cartaginesi non restarono segrete ai Greci di Sicilia che attratti dalle vittorie dei Siracusani credettero fosse giunto il momento di cacciare una volta per tutte i Punici dall'isola. Tuttavia a porsi al comando di questa imminente liberazione non furono i Siracusani - di per sé fin troppo stremati dal dovere contemporaneamente respingere le forze puniche in casa e dal doverle attaccare in Africa per poter disporre anche di truppe da mandare in giro per la Sicilia a cacciare i punici dall'antica loro provincia<ref>{{Cita|Gaetano De Sanctis|pp. 229-230}}</ref> -, né i ribelli di Dinocrate che se pur svincolati dai Cartaginesi sembravano voler dare la precedenza alla guerra civile con i Siracusani di Agatocle; ad auto-insignirsi della ''leadership'' fu quindi [[Agrigento]] (la quale aveva giocato un ruolo di primissimo piano durante le prime fasi della guerra, andando a contattare Cartagine insieme a [[Gela]] e [[Messina]] per scatenarla contro Agatocle e Siracusa) che affidò il comando delle sue truppe a [[Xenodico di Agrigento|Xenodico]], il quale iniziò a liberare con successo vari centri siciliani dal dominio cartaginese.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 56, 1 e anche XX 31, 2-4}}.</ref> Ma fin da subito gli Agrigentini palesarono la volontà di condurre una doppia guerra: contro i Barbari e contro Siracusa (bramando da tempo di sotituirsi al suo ruolo egemone). I proclami di libertà ed autonomia convogliarono ad Agrigenti numerosi alleati siciliani: di etnia greca e anche sicula. Gli Agrigentini si scagliarono contro i generali di Agatocle, sottraendoli città come Gela, [[Enna]], [[Erbesso]], [[Camarina]], [[Leontini]] e numerose altre.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 31, 4-5; 32, 1-2}}.</ref>
 
Per come si era avoluta la situazione, si era aperto per Siracusa un altro pericoloso fronte nemico; così che oltre a fronteggiare il duraturo assedio dei Cartaginesi, posto a pochi metri dalle sue mura, e le azioni bellicose dei fuoriusciti oligarchici, doveva difendersi anche dagli agguerriti Greci di Sicilia capitanati da Agrigento e dal suo generale Xenodico. <ref>Cfr. Consolo Langher, ''Siracusa e la Sicilia greca: tra età arcaica ed alto ellenismo'', 1996, p. 363.</ref>
 
=== Imbarco di Agatocle e approdo a Selinunte ===
{{Vedi anche|Agatocle#La conquista dell'epicrazia punica}}
[[File:91022 Marinella di Selinunte, Province of Trapani, Italy - panoramio (20).jpg|thumb|upright=1.3|L'acropoli di Selinunte, colonia di [[Megara Iblea]], luogo nel quale sbarcò Agatocle proveniente dall'Africa]]
Giunsero tali notizie nell'Africa di Agatocle; la situazione era per il dinasta gravissima e inaccettabile. Se lui si trovava in Africa era proprio per difendere il suo dominio in Sicilia; se tutto ciò per cui aveva così faticosamente lottato gli veniva sottratto dai Sicelioti, non aveva senso restare in Africa o prendere Cartagine.
 
Egli deliberò quindi di partire immediatamente, poiché urgeva la sua presenza negli affari di Sicilia. Fece costruire delle navi veloci ([[Pentecontera|pentecontere]]) e imbarcò con sé 2.000 soldati, lasciando il grosso dell'esercito in Africa, sotto la guida di suo figlio Arcagato.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 55, 5}}.</ref>
 
Agatocle toccò terra nella parte [[Sicilia occidentale|occidentale della Sicilia]], che in quel momento si trovava priva di difesa, quasi del tutto abbandonata dai soldati punici;<ref>{{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 230}}; {{Cita|Consolo Langher|p. 207}}.</ref> impegnati nei vari fronti di un conflitto che assumeva sempre più le sembianze di una guerra totale (i punici a loro volta dovevano dividere i propri uomini tra Siracusa, la Libia e di recente anche contro gli alleati degli Agrigentini). Il basileus approdò presso [[Selinunte]].<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 56, 3}}. Cfr. {{Cita|Consolo Langher|p. 208}}; {{Cita|Stefania De Vido|p. 87}}.</ref> La sua presenza si fece subito sentire nell'isola mediterranea; egli conquistò una dopo l'altra le città che si pararono dinanzi al suo cammino; dopo la presa di Selinunte fu la volta di [[Eraclea Minoa|Heraclea Minoa]] - città da tempo contese da Cartaginesi e Siracusani - e poi di altri importanti centri degli [[Elimi]], fino a pervenire nel suo luogo natio: la città di [[Termini Imerese|Terme]]; si legò ai suoi abitanti con un patto anti-punico e poi volse lo sguardo verso [[Cefalù]], la prese, e proseguì oltre, attraversando tutta l'isola; il suo obiettivo finale era giungere dentro Siracusa, nella quale non metteva piede ormai da quattro anni; lì ad attenderlo, fuori le mura, vi erano schiere e schiere di soldati cartaginesi che, testardi, nonostante avessero la propria patria accerchiata dal nemico, non avevano ancora smesso di tenere Siracusa sotto scacco.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 56, 3-4}}.</ref>
 
Agatocle sbaragliò Xenodico, ma con la sua presenza infervorì un altro più pericoloso nemico: il suo ex-amico d'infanzia Dinocrate che, raccogliendo l'eredità degli Agrigentini (i popoli che si erano affidati ad Agrigento adesso riposero le loro speranze nella figura del Siracusano oligarchico), desiderava venire allo scontro con Agatocle, ma questi, quasi del tutto privo del suo esercito che aveva lasciato in Africa per continuare la guerra a Cartagine, preferì evitare lo scontro diretto con Dinocrate, che poteva contare su un numero maggiore di uomini armati, e proseguì con i suoi rapidi attacchi vittoriosi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 57, 1-3}}.</ref>
 
== Prosieguo della guerra in Africa ==
=== L'esercito siracusano sotto la guida di Arcagato ===
Diodoro afferma che prima della partenza Agatocle era ormai divenuto superiore alle forze dei Cartaginesi in Africa: per numero di alleati e per numero di soldati. Ciononostante, la sua momentanea assenza rinviò l'assedio a Cartagine. Arcagato, divenuto nuovo comandante dell'esercito siracusano, affidò a [[Eumaco]], uno dei generali di Agatocle, parte delle truppe; questi condusse gli uomini nella zona interna della regione, verso il confine sud dell'impero cartaginese.<ref name=diod.15>{{Cita|Diod. Sic.|XX 57, 4}}.</ref>
 
=== La spedizione di Eumaco ===
[[File:Dougga view from Capitol.JPG|thumb|upright=1.2|left|Le colline di Thugga viste da sito archeologico d'epoca romana: i [[Roma (città antica)|Romani]] conquisteranno i medesimi luoghi di Agatocle, secoli dopo gli eventi dell'avvenuta spedizione siracusana in terra d'Africa]]
Partiti per questa spedizione, i soldati capitanati da Eumaco si addentrarono - probabilmente seguendo il corso del fiume Bagradas<ref>{{Cita|Consolo Langher (2002)|p. 351}}</ref> - nella parte d'Africa meno conosciuta dai Greci (per via della presenza di Cartagine, la quale gelosamente difendeva da secoli i propri confini). Qui si impossessarono anzitutto di una vasta città appartenente ai Numidi chiamata Toca (o Tocca, Tucca o ancora Tokai);<ref name=diod.15/> la sua specifica posizione geografica è tutt'oggi discussa, ma i più sostengono che essa vada identificata con [[Thugga]] (o Dougga),<ref>Cfr. {{Cita|Consolo Langher (2002)|p. 344}}.</ref> l'importante città d'origine [[berbera]], che sarà nota come capitale del regno dei Numidi,<ref>''L'Africa romana'', 1994, p. 655.</ref> la quale sorgeva nella zona collinare della Tunisia interna, in una delle aree più fertili («nella naturale direzione di espansione per chi goda il possesso della penisola del Capo Bon»<ref>Cit. {{Cita|Consolo Langher|p. 221}}.</ref>), bagnata dal corso meridionale del fiume Bagradas.
 
Toca rappresentava la porta d'ingresso per quei territori dove il potere di Cartagine veniva ancora fortemente contrastato dalle popolazioni locali; infatti, la regione nella quale sorgeva era per la maggior parte sotto il controllo dei Libici (non distante dal luogo dove Agatocle aveva stretto alleanza con il re indigeno Ailymas)<ref>Anna Chiara Fariselli, ''I Mercenari di Cartagine'', 2002, p. 26-27. Cfr. ''L'Africa romana'', 1994, p. 655.</ref> e proprio in questa regione i soldati di Eumaco sottomisero molte popolazioni nomadi.<ref name=diod.15/>
 
Dopo Toca inzia per i Siracusani un percorso che catalizza l'attenzione più sulle varie scoperte geografiche che sugli obiettivi militari (anche se questi sono al centro della spedizione di Eumaco che si prefissava proprio lo scopo militare di minare il più possibile le certezze di Cartagine, quindi di minare i suoi confini), poiché essi si addentrarono sulle alture e sulle sponde dell'[[Atlante (catena montuosa)|Atlante]] (il cui nome odierno deriva dalla mitologia greca che collocava da queste parti il regno di Atlante<ref>Diod. Sic. III, 1, 3.</ref>); luoghi del tutto misteriosi all'epoca di Agatocle, in quanto non erano ancora stati esplorati dai Greci (o quanto meno non documentati).<ref>{{Cita|Conolo Langher|pp. 221-225}}; {{Cita|Stefania De Vido|pp. 346, 350}}.</ref> Presero la città di Fellina o Felline (identificabile probabilmente con [[Tabarka]]<ref>{{Cita|Consolo Langher (2002)|p. 345}}.</ref>) i cui dintorni erano abitati da una popolazione di pastori nomadi indicati con il nome di [[Asfodeli]], essi erano «di pelle scura»<ref name=dio.16>{{Cita|Diod. Sic.|XX 57, 5}}. Cfr. {{Cita|Stefania De Vido|p. 350}}.</ref> e quindi simili agli [[Etiopi]]; i Siracusani li sottomisero con l'uso della forza.<ref name=dio.16/>
 
La terza città della quale s'impadronì Eumaco fu [[Meschela]] (anch'essa di difficile identificazione: si è comunque proposto di collocarla al confine tra Tunisia e Algeria<ref>[[Emilio Gabba]], Georges Vallet, ''La Sicilia antica'', vol. 1, 1980, p. 335.</ref>) che Diodoro descrive come «grandissima e abitata dai Greci che erano tornati da [[Troia]]»;<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 57, 6}}. Cit. {{Cita|Stefania De Vido|p. 350}}.</ref> la connotazione epica, sul leggendario, è probabilmente frutto di antichissime testimonianze dei primi Greci che erano passati un tempo in quei luoghi, magari nelle vesti di esploratori/commercianti, lasciando una leggera e circoscritta ellenizzazione.<ref>Cfr. {{Cita|Stefania De Vido|p. 350, n. 72}}.</ref>
 
[[File:Hippo Regius Algeria.jpg|thumb|upright=1.4|Il sito archeologico di Hippo Regius (Algeria); città conquistata da Eumaco]]
 
I soldati di Eumaco marciano sul finire della loro spedizione lungo la costa (una risalita verso il mare incominciata probabilmente già prima di giungere a Meschela); qui conquistarono la città di [[Ippona]] (antica Hippo Akre, poi Hippo Regius, odierna [[Annaba]] o Bona), che Diodoro dice omonima dell'Ippona già presa da Agatocle.<ref name=diod.17>{{Cita|Diod. Sic.|XX 57, 6}}.</ref> L'Ippona situata alla foce del fiume [[Seybouse]] fu sede dei re Numidi e possedeva un gran porto. Infine venne presa [[Akris]]; città indipendente che Eumaco concesse al saccheggio dei soldati dopo averne reso schiava la popolazione.<ref name=diod.17/>
 
Gli uomini di Eumaco tornarono vittoriosi da Arcagato e il generale agatocleo distribuì il bottino tra l'esercito. Arcagato, soddisfatto del felice esito di questa prima spedizione, si convinse che fosse una buona idea rimandare Eumaco e parte delle sue truppe in una nuova esplorazione.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 1}}.</ref>
 
=== Seconda spedizione di Eumaco ===
==== La sconfitta subita a Miltine ====
Il corpo di spedizione capitanato ancora una volta da Eumaco passò attraverso le città che aveva conquistato e si addentrò ulteriolmente nella regione libica. Quasi d'improvviso apparve davanti ai Greci una città dei Barbari chiamata [[Miltine]]; in questo luogo l'esercito di Eumaco subì una dura rappresaglia da parte della popolazione locale che accerchiando i Siracusani per le strade riuscì a sopraffarli. Eumaco, che evidentemente non si aspettava una simile reazione agguerrita da parte dei Barbari, perse molti dei suoi uomini durante l'attacco e cacciato dalla città prese una via che saliva verso una lunga e alta catena montuosa.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 1-2}}.</ref> Si può certamente affermare che questa fu la prima sconfitta dei Siracusani in terra d'Africa: fino ad allora avevano sempre avuto la meglio, sia sopra i Cartaginesi che sopra le popolazioni libiche. Da questo punto in avanti gli storici odierni incontrano serie difficoltà a tracciare il percorso intrapreso da Eumaco; la narrazione di Diodoro diventa meno specifica e si arricchisce per lo più di particolari che riguardano tradizioni delle popolazioni locali che gli apparentemente smarriti Siracusani incontrano sul loro cammino.<ref>Cfr. Mhamed Fantar, Mansour Ghaki, ''Actes du IIIe congrès international des études phéniciennes et puniques: Tunis, 11-16 novembre 1991, Volume 1'', 1995, p. 286.</ref>
 
==== Le Pitecusse: città dove si veneravano le scimmie ====
[[File:Gibraltar BW 2015-10-26 14-07-28 removed cable car.jpg|thumb|upright=1.2|Famiglia di [[Macaca sylvanus]]; la scimmia più diffusa tra Tunisia, Algeria e Marocco]]
Eumaco si inoltrò su di una catena montuosa che Diodoro descrive priva di qualsiasi tipo di uccello, poiché le tante bestie feroci che popolavano quelle alte montagne non permettevano ai volatili di nidificarvi. Attraverso queste montagne egli giunse in una regione popolata da tantissime [[Scimmia|scimmie]]; qui sorgevano tre città il cui nome se tradotto in lingua greca risultava essere Pithecusa, ovvero la «città delle scimmie».<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 2-3}}. Cfr. {{Cita|Consolo Langher (2002)|p. 348}}.</ref>
 
Gli uomini di Eumaco constatarono con sorpresa che in quelle città le scimmie vi erano venerate; così come i cani erano venerati dagli egiziani. Esse abitavano nelle case della gente. Il cibo veniva messo a disposizione dei [[Primates|primati]], in modo che lo potessero prendere quando più desideravano; i genitori davano ai bambini i nomi delle scimmie, così come i Greci davano ai propri figli i nomi degli dèi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 4}}.</ref>
 
Per chiunque avesse ucciso una scimmia, in queste città vigeva la pena di morte; come se si fosse compiuto il più empio tra i sacrilegi divini. Per questo motivo tra la gente delle Pithecusse vi era il detto che chi veniva ucciso impunemente aveva pagato per il sangue della scimmia.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 5}}. Cfr. {{Cita|Stefania De Vido|p. 349}}.</ref>
 
I Siracusani presero con la forza una di queste Pithecusse, dopo averla distrutta vennero a patti con le altre due. Eumaco avendo avuto sentore che i Barbari stavano radunando le forze per scagliarsi contro la sua spedizione radunò in fretta i suoi uomini per andare via di lì e raggiungere quanto prima il mare.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 58, 6}}.</ref>
 
==== Identificazione del luogo ====
[[File:Djurjura, Algeria.jpg|thumb|upright=1.2|left|I monti di Atlante; catena montuosa nella quale si sarebbe addentrato Eumaco per giungere alle Pithecusse]]
Alcuni studiosi hanno cercato di indentificare queste città che un tempo furono popolate da scimmie: in aiuto dell'identificazione africana vi è il dato certamente significativo che questo toponimo “Pithecusa” (o Pitecussa) non ricorre solamente nel resoconto diodoreo ma è menzionato, sempre in Africa e al di fuori di essa, anche da altri antichi storici; è il caso del geografo di VI secolo a.C. [[Scilace]] (111) che nomina un'altra Pithecusa (Pithekóussai) a ovest di Cartagine (la zona nella quale si trovava la spedizione di Eumaco):
 
{{Citazione|Dopo Utica, si trovano ''Hippou Akra'' e la città di ''Hippon'', un lago vicino e delle isole nel lago; e, nella zona del lago, le città seguenti: la città di ''Psegas'', con le numerose isole ''Naxikai'' di fronte; ''Pithekoussai'' col suo porto e, di fronte, un'isola e nell'isola una città che si chiama ''Euboia''.<ref>Trad. in {{Cita|Michel Gras|p. 41}}.</ref>|}}
 
Questa Pithecusa, che Scilace nomina in connessione all'antica presenza di [[Ioni]] sulla costa africana<ref>{{Cita|Michel Gras|pp. 42-43}}.</ref> (probabilmente commercianti e non coloni, poiché di tracce greche i Siracusani non ne trovarono, eccetto che per un luogo che Scilace sembra non conoscere: Meschela), appare come una quarta città delle scimmie;<ref>{{Cita|Consolo Langher|p. 224}}.</ref> anche [[Stefano di Bisanzio]] conosce una città delle scimmie «vicino a Cartagine» (notizia che risale ad Ecateo)<ref>Stefano cit. in {{Cita|Michel Gras|p. 41}} e in {{Cita|Consolo Langher|p. 224}}.</ref> ed essa, se diversa dalla Pithecusa presa da Eumaco (che appare piuttosto tra alte montagne dell'interno), sarebbe da identificare con Tabarka (già probabile sito di Fellina);<ref>{{Cita|Consolo Langher|p. 225}}; {{Cita|Michel Gras|p. 43}}.</ref> a tal proposito lo storico odierno Michel Gras nota come il sito geografico di Tabarka mostri similitudine con quello di un'altra «città delle scimmie»: l'antica [[Pithecusa|isola di Pithecusa]] che sorge sull'odierno [[golfo di Napoli]]; menzionata da Diodoro nella spedizione africana di Agatocle poiché vi finirono a causa di tempeste i coloni di Atene e di Cirene che Agatocle dai suoi porti in possesso nella Tunisia aveva imbarcato per Siracusa.<ref>Cfr. {{Cita|Michel Gras|p. 43}}.</ref>
 
La Pithecusa italica era ben nota ai Siracusani che l'avevano occupata militarmente al tempo di [[Ierone I]] ed essa mostra effettivamente numerosi collegamenti con la sponda africana, non solamente per il suo toponimo che è evidentemente collegabile alle numerose Pithecusse d'Africa, ma anche perché è stato ormai comprovato dai reperti archeologici che la Pithecusa napoletana aveva nel suo nucleo originario [[Eubea|euboico]] anche la presenza di una colonia di Fenici; il che riconduce naturalmente ai siti omonimi sul territorio cartaginese.<ref>''Actas del IV Congreso Internacional de Estudios Fenicios y Púnicos: Cádiz, 2 al 6 de octubre de 1995'', vol. 3, pp. 1255-1261; ''Miscellanea etrusco-italica'', vol. 3, pp. 63-65.</ref>
 
Se le deduzioni degli studiosi si avvicinano al vero, si può dunque affermare che la spedizione di Eumaco si addentrò in una zona che in tempi molto arcaici fu toccata dagli Euboici e dove la presenza di primati era davvero significativa; al riguardo scrisse un noto erudito tedesco di epoca passata, Jacopo Aseo, che secondo i suoi studi la prima città presa da Eumaco in questa zona d'Africa, Tucca (che corrisponderebbe all'odierna Thugga), deriverebbe il proprio toponimo anch'essa dalle scimmie: egli afferma che Tucca risale alla parola [[Ebrei|ebraica]] ''Tucciim'' che significa per l'appunto «Scimmia» (l'erudito approfondisce ulteriolmente l'argomento sottolineando come la scimmia fosse un animale giunto in [[Palestina]] al tempo di [[Salomone]], lasciando quindi a intendere che questa zona d'Africa sarebbe stata toccata prima dagli ebrei), tuttavia va specificato che la proposta di Aseo trovò l'incertezza se non l'opposizione di altri eruditi.<ref>Cfr. [[Giuseppe Compagnoni]], ''Bibliotheca storica di Diodoro Siculo'', 1822, p. 89, n. 1.</ref>
 
== I tre eserciti di Cartagine ==
{{Citazione|E i Cartaginesi frattanto si avvisarono che era il momento di fare uno sforzo disperato per la loro salvezza mentre stava lontano il duce geniale che li aveva ridotti a tanta angustia.|[[Gaetano De Sanctis]], ''Agatocle'', p. 232.}}
 
[[File:Carthage-1958-PortsPuniques.jpg|thumb|upright=1.3|Rovine del porto punico di Cartagine; la sua posizione geografica le garantiva un sicuro e fortificato accesso al mare, che era il suo maggiore punto di forza]]
 
Il senato cartaginese approfittò dell'assenza di Agatocle per organizzare un poderoso attacco contro gli invasori; riuscì a fare uscire dalla città di Cartagine l'ingente forza di 30.000 uomini armati e astutamente, e rischiosamente, li divise in tre distinti eserciti.
 
Fece questo grande sforzo per più ragioni; anzitutto voleva dimostrare agli alleati che Cartagine era ancora capace di attaccare; non sarebbe rimasta passiva ad aspettare l'assedio del nemico.
 
In secondo luogo i Cartaginesi iniziavano a soffrire la fame; con la guerra in atto non era possibile coltivare i campi e s'intravedeva all'orizzonte una dura carestia. Il terzo motivo è certamente quello più significativo: Cartagine contava sulla frammentazione dell'esercito avversario; se i Punici spedivano tre eserciti in tre territori distanti tra loro, per difenderli i Siracusani sarebbero stati costretti a dividere le loro forze armate in tre parti. E certamente non era sfuggita agli occhi attenti dei Cartaginesi la sconfitta subita da Eumaco presso Miltine; sconfitta arrivata proprio perché Arcagato aveva diviso le sue forze.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 59 1-4}}.</ref>
 
=== Le imboscate dei Cartaginesi ===
Agatarco vedendo che l'intera Africa posta sotto il dominio di suo padre era stata invasa dalle armi dei Punici cadde nella trappola di Cartagine e fece l'errore di dividere a sua volta l'esercito in più parti; così come voleva il nemico.<ref>Langher: ''Storiografia e potere: Duride, Timeo, Callia e il dibattito su Agatocle'', p. 32; ''Siracusa e la Sicilia greca: tra età arcaica ed alto ellenismo'', p. 137.</ref> Una prima parte l'affidò ad Eumaco, mandandolo a difendere la costa; una seconda parte la diede al generale Escrione e lo mandò a difendere le conquiste nella zona centrale; un'altra parte ancora la pose sotto il suo diretto comando e inoltre lasciò a Tunisi, base operativa principale, un buon presidio di uomini. Tutta la ''Libye'' fu presto avvolta dalle armi e fu chiaro ai civili che si era giunti a un punto cruciale e decisivo della guerra tra Greci e Punici.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 60, 1-2}}.</ref>
 
I Cartaginesi tennero una prima [[imboscata]] al generale Escrione: mentre questi avanzava nella zona assegnatali da Arcagato il comandante dei Punici, [[Adèrbale (capitano)|Adèrbale]], lo assaltò di sorpresa e trucidò con il suo esercito 4.000 fanti e 200 cavalieri delle forze nemiche; durante l'agguato morì anche Escrione.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 60, 3}}.</ref>
 
Una seconda imboscata venne ordita ai danni del contingente di Eumaco: l'esperto capitano, ancora carico delle spoglie delle città che aveva conquistato nella sua ultima spedizione, incrociò sul suo cammino il generale cartaginese [[Imilcone (generale IV secolo a.C.)|Imilcone]]; questi aveva teso una trappola ai Siracusani: fece nascondere parte delle sue truppe all'interno di una non meglio precisata città, dando loro l'ordine di uscire allo scoperto solo quando i Greci sarebbero passati di lì. Poi egli andò incontrò ad Eumaco e dopo una breve battaglia fece finta di volersi ritirare e portò di corsa il suo battaglione nel punto prestabilito con il resto dei suoi uomini. I Siracusani, abituati ad inseguire i Cartaginesi in fuga, credettero al finto panico di Imilcone e si diedereo all'inseguimento. Quando però giunsero nella città occupata dai Cartaginesi e si videro piombare addosso l'esercito nemico che improvvisamente si era ricompattato, furono colti dallo sgomento e il fattore sorpresa fece il resto.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 60, 4-7}}.</ref> Eumaco e i soldati sbandati volevano tornare nelle loro trincee ma i Cartaginesi avevano bloccato la via d'accesso, quindi furono costretti a trovare rifugio nei pressi di una collina che sfortunatamente era del tutto priva di acqua. Obbligati a rimanere in quel luogo, senza acqua né cibo, con gravi ferite riportate nella battaglia, il contingente di Eumaco venne quasi del tutto sterminato: di 8.000 fanti solamente 30 sopravvissero e di 800 cavalieri solamente 40 riuscirono a salvarsi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 60, 7-8}}. Cfr. {{Cita|Consolo Langher|p 227}}; {{Cita|Gabba, Vallet|p. 308}}.</ref>
 
Arcagato sconvolto dall'enorme gravità della situazione che si era venuta a creare, si ritirò con il suo contingente a Tunisi, che non era stata attaccata dai Cartaginesi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 61, 1}}.</ref> Adèrbale e Imilcone avevano riportato una strepitosa vittoria; frutto della scaltrezza più che del coraggio, poiché per sconfiggere l'esercito dei Siracusani era stato necessario frammentarlo e prenderlo tramite calcolati attacchi a sorpresa piuttosto che affrontarlo apertamente come nei precedenti scontri.
 
== Ritorno di Agatocle ==
=== Il messaggio di Arcagato ===
Arcagato mandò a richiamare i sopravvissuti alle battaglie in tutta la ''Libye'': dalla costa orientale a quella occidentale. Riuniti i superstiti decise di scrivere un messaggio urgente a suo padre, informandolo della gravità delle cose in Africa e di quanto fosse necessario un suo celere ritorno al campo di battaglia.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 61, 1}}.</ref>
 
Gli alleati libici, sempre pronti a cambiare bandiera, abbandonarono l'esercito sconfitto e tornarono nuovamente sotto le insegne di Cartagine. Imilcone capì che non era il caso di allentare la presa per cui si portò con il suo esercito, che adesso poteva disporre di numerosi alleati, nei pressi di Tunisi e qui allestì un accampamento vicino a quello di Arcagato. Il Cartaginese isolò i Greci tagliandoli qualsiasi via d'accesso alla regione e quindi negandoli il rifornimento di viveri, sperando così di prenderli per fame.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 61, 2-4}}.</ref>
 
=== Situazione a Siracusa e ritorno di Agatocle ===
[[File:Sailing to Siracusa.jpg|thumb|upright=1.4|L'isola di Siracusa, Ortigia, sede del porto, vista dal mare aperto]]
Ricevuto il messaggio del figlio, Agatocle si era disposto per partire e aveva quindi allestito 17 navi nel porto di Siracusa. Tuttavia i Cartaginesi disponevano ancora di 30 navi con le quali continuavano a impedire ai Siracusani l'accesso al mare.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 61, 5}}.</ref>
 
In aiuto di Agatocle giunsero però gli [[Etruschi]]; costoro andarono da Agatocle con 18 navi e silenziosamente riuscirono a infiltrarsi di notte nel [[Porto di Siracusa|porto aretuseo]].<ref group=N>Sulle città dell'Etruria che aiutarono Agatocle a rompere il blocco navale e tornare in Africa il De Sanctis esclude [[Caere]] che nel 307 era già in mano a Roma e [[Tarquinia]], scesa a patti con i Romani, mentre propone come alleate [[Perugia]], [[Arezzo]] e [[Cortona]]. Vd. {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 214, n. 1}}. Altri hanno proposto i centri costieri di [[Populonia]], [[Vetulonia]] e Rosette, « città marinare della lega »; cit. Paolo Emilio Pecorella, ''Kokalos 26-27'', p. 189. La Langher si dice invece incerta nello stabilire se si trattasse di delegati delle città della [[Dodecapoli etrusca|lega etrusca]] o dell'iniziativa di singole città. Cfr. {{Cita|Consolo Langher|p. 219}}.</ref>
 
Sulla presenza degli Etruschi in questi frangenti si sono formate diverse tesi: secondo alcuni studiosi gli Italici d'[[Etruria]] vedevano in Agatocle l'ultima speranza per impedire a [[Roma (città antica)|Roma]] di diventare padrona dell'[[Italia centrale]] e quindi lo appoggiavano contro Cartagine la quale, secondo la cronologia di [[Tito Livio]], stringerà da lì a pochissimo ([[306 a.C.]]) un trattato di alleanza con i Romani (trattato del quale purtroppo non si conoscono i termini ma non è da escludere che vi comparisse il nome di Agatocle, che tanto stava facendo penare i Cartaginesi, come nemico supremo da tenere sotto controllo da ambo le parti; infatti le mire di Agatocle saranno in seguito rivolte contro l'Italia).<ref>[[Marta Sordi]], ''Roma e i Sanniti nel IV secolo a. C.'', 1969, p. 99.</ref><ref>Sul trattato vd.: [[Tito Livio]], IX, 43.26. Cfr. sul ruolo di Agatocle nel trattato: Howard H.Scullard, ''Storia del mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla distruzione di Cartagine'', vol.I, 1992, p. 173.</ref> Non tutti però concordano nell'avvicinamento degli Etruschi ad Agatocle in chiave anti-romana; altri studiosi ritengono infatti che l'Etruria fosse già caduta quando le sue navi vennero a Siracusa, per cui il suo sarebbe stato un aiuto disinteressato da questioni politiche.<ref>{{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 241, n. 1}}; ''Kōkalos'', 1966, p. 155.</ref>
 
Felice di ricevere l'aiuto degli alleati italici il basileus organizzò con loro un piano per ingannare la flotta cartaginese: fece rimanere nascoste le navi etrusche e avanzò con le sue spingendo i Cartaginesi ad inseguirlo; come previsto questi si affrettarono a raggiungerlo, consapevoli che il suo obiettivo era la costa libica.
 
Nel frattempo le navi etrusche si posizionarono alle spalle di quelle cartaginesi e Agatocle voltò la prua all'indietro in modo tale che la flotta punica si ritrovasse compressa tra le due forze avversarie. I Cartaginesi vedendosi sopraffatti si diedero alla fuga. I Siracusani presero 5 navi nemiche e il comandante della flotta punica vedendo perduta ogni speranza preferì uccidersi piuttosto che cadere schiavo del nemico. Fu così che Agatocle inaspettatamente si fece padrone del mare.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 61, 6-8}}.</ref>
 
Senza più il blocco navale Agatocle era libero di navigare per l'Africa, ciononostante egli non partì subito. Era riuscito brillantemente a sconfiggere una volta per tutte l'esercito di Agrigento, ma la situazione in Sicilia ugualmente lo inquietava poiché Dinocrate si faceva militarmente sempre più forte, quindi, nonostante fosse divenuto padrone di tutta l'isola,<ref>{{Cita|Giustino|XXII 8, 1}}.</ref> prima di lasciare la guerra in mano al suo generale [[Leptine (generale)|Leptine]] volle assicurarsi la fedeltà dei Siracusani compiendo una grande epurazione; gli ci volle del tempo per scoprire quanti erano i nemici che aveva tra le sue mura, ma una volta scoperti li invitò nel suo palazzo e nel corso di apparenti sontuosi festeggiamenti fece trucidare dai mercenari più di 500 Siracusani che egli sospettava potessero darsi a Dinocrate. Fatto ciò Agatocle sentiva di essersi assicurato la tenuta ferrea della sua capitale, la quale non avrebbe aperto le porte al rivale oligarchico. Dopodiciò prese il mare diretto a Tunisi.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 62-63}}.</ref>
 
Approdato nella ''Libye'' Agatocle raggiunse il campo del suo esercito. Qui trovò gli uomini molto provati e demoralizzati, con una forte carestia a dar loro il tormento.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 64, 1}}.</ref> Agatocle, che non avrebbe permesso che i suoi soldati si arrendessero senza combattere, li spronò a dare battaglia, quindi si mise alla loro guida e usciti allo scoperto li portò verso il campo del nemico.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 64, 1-3}}.</ref>
 
=== La sconfitta e il sacrificio dei prigionieri ===
I Cartaginesi non volevano ingaggiare una nuova battaglia con i Siracusani, essi piuttosto preferivano aspettare che la fame che stavano facendo patire agli invasori finisse quanto da loro incominciato con le imboscate; una resa per sfinimento era il loro obiettivo. Del resto i Cartaginesi godevano di una posizione quasi inaccessibile e avevano cibo in abbondanza, motivo per cui non vedevano l'utilità di rischiarsi la partita con un'ennesima battaglia. Tuttavia Agatocle non permise il verificarsi di questo finale.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 64, 4}}.</ref>
 
Agatocle disponeva di 6.000 fanti Greci e di altrettanti mercenari [[Celti]], [[Sanniti]] ed Etruschi. Ad essi si univano 10.000 Libici, dei quali però non poteva fidarsi pienamente; come aveva avuto modo di constatare, essi potevano passare al nemico da un momento all'altro. I Libici però gli apportavano un gran numero di carri da guerra: circa 6.000 ai quali Agatocle aggiunse 500 cavalieri.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 64, 3}}.</ref>
 
Il basileus non riuscì ad attirare i Cartaginesi in pianura, dove il terreno sarebbe stato molto più favorevole ai Greci, ma volendo comunque proseguire con i suoi intenti bellici decise di rischiare conducendo i suoi uomini nel terreno alto e accidentato dal quale i Punici li osservavano arrivare. Si venne allo scontro e Agatocle resisteva bene e le sorti della battaglia, nonostante la superiorità numerica dei Cartaginesi, erano incerte.
 
Accadde però che i mercenari di Agatocle cedettero, seguiti subito a ruota dal resto delle truppe. Agatocle dovette ordinare la ritirata. Mentre correvano verso il proprio accampamento furono inseguiti dai Cartaginesi i quali, in discesa e forti di numero, erano facilitati nell'agguantare il soldato nemico. I Punici durante il loro inseguimento stettero molto attenti a non ferire i soldati Libici che in quel momento combattevano per Agatocle; ovviamente lo facevano perché per Cartagine era fondamentale non inimicarsi l'''ethnos'' libico, soprattutto in un momento di grave penuria come quello. Invece il soldato greco e il mercenario veniva riconosciuto dalle armi che portava addosso e veniva quindi ucciso o catturato dai Punici.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 64, 4-5}}.</ref>
 
Agatocle raggiunse l'accampamento e il suo esercito contò circa 300 morti a seguito di questa battaglia. I Cartaginesi quella notte per festeggiare la nuova vittoria conseguita immolarono i più belli fra i prigionieri di guerra che possedevano; lo fecero per ringraziare gli dèi di averli favoriti contro l'invasore Agatocle.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 65, 1}}.</ref>
 
=== L'incendio al campo dei Cartaginesi ===
[[File:Carthage constr.JPG|thumb|upright=1.3|Raffigurazione dell'acropoli di Cartagine esposta al museo del Bardo di Tunisi]]
Quella notte un evento inaspettato generò il panico tra i due eserciti: si propagò un vasto incendio nel campo dei Cartaginesi, incominciato a causa del vento che fece propagare il fuoco dall'altare delle vittime, che venivano arse vive, fin nelle tende dei comandanti cartaginesi. In breve tempo tutto il campo prese a bruciare e molti cartaginesi morirono in questo modo, tra le fiamme; Diodoro afferma che questa morte fu una punizione divina per le malefatte dei Cartaginesi; per i loro terribili sacrifici sui prigionieri di guerra.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 65, 1-2}}.</ref>
 
Nel frattempo accadde che 5.000 dei Libici che avevano combattuto per Agatocle quella stessa notte decisero di passare dalla parte dei Punici, quindi si recarono nel loro accampamento ma le guardie dei Cartaginesi vedendoli arrivare tra le tenebre credettero che tutto l'esercito di Agatocle li stesse attaccanto, quindi diedero l'allarme. L'esercito dei Cartaginesi che era già nel caos per via delle fiamme da domare, rimase senza comandi e volendo difendersi da quelli che loro credevano essere i Siracusani, cominciarono a sferrare colpi alla cieca finendo molto spesso per combattere e uccidere i loro stessi compagni.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 66, 1-2}}.</ref> Nella fuga molti soldati cartaginesi finirono giù da ripide scogliere; nel grande massacro che seguì l'incendio rimasero uccisi 5.000 Punici, mentre il resto si rifugiò dentro le mura di Cartagine, portando anche lì agitazione e paura; i cittadini credevano infatti che Agatocle avesse fatto sbandare il loro esercito e che quindi fosse prossimo all'assedio.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 66, 3-4}}.</ref>
 
I Libici, autori di tanto tumulto, fecero ritorno nel campo di Agatocle ma anche qui vennero accolti in arme: le guardie siracusane, così come quelle cartaginesi, li scambiarono per l'esercito avversario e diedero ad Agatocle l'allarme; il dinasta ordinò quindi prendere le armi e prepararsi a combattere. Le fiamme e le grida che si stavano verificando al campo dei Cartaginesi erano alte e udibili, per cui i Greci credettero realmente che Cartagine muovesse le sue schiere di notte contro di loro. Anche nel campo greco vi furono i medesimi tumulti scoppiati in quello cartaginese, con i soldati greci che tra le tenebre e colti dal panico si uccidevano tra loro. Solo al mattino fu chiara la gravità del disastro: Agatocle perse in questo modo 4.000 dei suoi uomini.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 67, 1-4}}.</ref>
 
A seguito di ciò i Libici abbandonarono del tutto Agatocle e con queste defezioni e la decimazione dei propri soldati, i Siracusani non avevano più i numeri per affrontare una nuova battaglia. Agatocle decise quindi che era giunto il momento di lasciare la Libia, ma si rese conto di non avere abbastanza navi per trasportare tutti i suoi uomini dall'Africa alla Sicilia.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 68, 1}}.</ref>
 
=== Ribellione dell'esercito e prigionia di Agatocle ===
[[File:Grave shrine from the Kerameikos.jpg|miniatura|La “stele di Aristonautes” proveniente dall' [[Atene (città antica)|antica Atene]] mostra l'equipaggiamento di un soldato greco all'epoca di Agatocle, con «corazza modellata secondo la muscolatura del tronco con ''[[Pteruges|pteruges]]''»<ref>Cfr. Snodgrass, ''Armi ed armature dei Greci'', p. 134.</ref>]]
Se la notizia di Appiano corrisponde al vero, e dunque Agatocle prima della sua partenza aveva allestito a Biserta una flotta, questa doveva evidentemente essere rimasta bloccata nella città occupata in quel momento dai Cartaginesi, se il dinasta si rammaricava di non avere abbastanza navi per poter riportare tutti i suoi uomini nelle coste di Sicilia.
 
Giustino, come spesso accade, diverge dalla fonte di Diodoro e tramanda una differente sequenza dei fatti: secondo la sua fonte l'idea di abbandonare l'esercito in Africa balenò nella mente di Agatocle non per la mancanza di navi o per questioni puramente strategiche ma per l'odio e lo screzio che i soldati avevano maturato nei suoi confronti. Giustino, che va ricordato segue alla lettera lo scritto di [[Timeo di Tauromenio]] (acerrimo rivale di Agatocle; da questi esiliato ad Atene), presenta la vicenda come un tradimento del Siracusano nei confronti dell'esercito e dei propri figli.
 
[[File:Corinthian bronze helmets.jpg|thumb|upright=1.2|left|Numerosi elmi in stile corinzio (lo stile dell'esercito siracusano) esposti nel museo di [[Olimpia]]]]
 
Asserisce lo storico romano che quando Agatocle approdò nella ''Libye'' per la seconda volta, trovò il suo esercito furioso con lui perché da tempo non riceveva più lo stipendio; una mancanza nei pagamenti attribuibile al figlio Arcagato (ma Giustino non conosce le spedizioni di Eumaco e le ricchezze più volte distribuite tra i soldati). Agatocle però riportò la calma dicendo loro che i soldi sarebbero arrivati dalla presa della prossima città, quindi li esortò a combattere e li condusse in un attacco contro i Cartaginesi (che è probabilmente il medesimo descritto da Diodoro); attacco che in Giustino è definito come «sconsiderato» (mentre Diodoro lo definisce coraggioso, ma Timeo non riconosce mai alcun merito ad Agatocle; egli si limita a denigrarlo). Per cui la colpa della sconfitta che seguì ricadde su Agatocle; gli uomini lo avrebbero accusato di aver preso la guerra africana troppo alla leggera e inoltre ritornarono a pretendere il pagamento per il loro servizio di guerra. A questo punto, narra Giustino, Agatocle fuggì in segreto dal campo portando con sé solamente il figlio Arcagato.<ref>{{Cita|Giustino|XXII 8, 4-8}}.</ref>
 
Questa notizia è in contraddizione con la fonte di Diodoro - che è probabilmente [[Duride di Samo|Duride]] - secondo la quale Agatocle fuggì sì dal suo campo ma con il figlio Eraclide e non con Arcagato.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 68, 3}}.</ref> Secondo lo storico di Agira avrebbe influito sulla scelta di Agatocle non solamente il fatto che non vi erano navi a sufficienza per trasportare l'intero esercito ma anche un'attenta riflessione sulle mosse di Cartagine, la quale, padrona del mare africano, non avrebbe mai permesso agli invasori di lasciare impunemente la ''Libye'' con al comando ancora Agatocle; ben consapevole che questi sarebbero prima o poi ritornati sul suo suolo; come minimo Agatocle sarebbe dovuto finire nelle mani di Imilcone e Aderbale per consentire alle truppe che si erano arrese di giungere in Sicilia. Il dinasta decise quindi di fuggire in segreto e di partire con pochi uomini e con il suo figlio minore, Eraclide, lasciando Arcagato perché nutriva nei suoi riguardi del risentimento dovuto alla vicenda dei presunti rapporti intimi di Arcagato con Alchia e temendone inoltre l'indole troppo ardimentosa che lo avrebbe portato prima o poi ad una sedizione nei confronti del genitore. Tuttavia, secondo Diodoro, Arcagato scoprì il piano di fuga del padre e lo denunciò all'esercito. Agatocle venne quindi fermato, legato e imprigionato nel proprio campo.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 68, 2-4}}.</ref>
 
== Seconda partenza di Agatocle ==
=== L'abbandono e l'approdo in Sicilia ===
{{Vedi anche|Agatocle#Secondo rientro dall'Africa}}
Mancando il comandante l'esercito cadde nel disordine. Narra Diodoro che una notte, mentre Agatocle veniva tenuto prigioniero, si diffuse la voce tra i soldati che i nemici si stessero avvicinando al campo per sferrare un nuovo attacco. Gli uomini si armarono e si radunarono ma poiché non vi era nessuno che impartiva ordini rimasero incerti sul da farsi. I custodi di Agatocle, anch'essi spaventati dalla mancanza di una ''leadership'', presero Agatocle in catene e lo portarono davanti ai soldati, pensando che in quel momento fosse la cosa giusta da fare. Gli uomini vedendolo dinanzi a loro furono colti da pietà e dal desiderio di riaverlo come comandante, quindi gridarono all'unisono di liberarlo.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 69, 1-2}}.</ref>
 
Ma vedendosi libero Agatocle approfittò della cunfusione generale per lasciare un'altra volta segretamente l'accampamento. Riuscì a imbarcarsi, salpando con pochissimi uomini su di una sola nave. I suoi figli restarono entrambi in Africa.<ref name=diod.18>{{Cita|Diod. Sic.|XX 69, 3}}. Cfr. {{Cita|Consolo Langher|p. 241}}; {{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 233}}.</ref> Diodoro affema che Agatocle salpò dalla costa africana quando stava per giungere l'[[inverno]] (tra ottobre e novembre): quando le stelle [[Pleiadi (astronomia)|Pleiadi]] tramontano, asserisce il resoconto diodoreo.<ref name=diod.18/>
 
Nella narrazione di Giustino si afferma che i soldati appena seppero della nuova fuga di Agatocle si preoccuparono enormemente e dissero di essere stati abbandonati dal loro re:
 
{{Citazione|Quando i soldati lo seppero restarono sgomenti, come se fossero stati fatti prigionieri dal nemico, gridarono di essere stati abbandonati due volte dal loro re, in mezzo ai nemici, che ad egli non importava più della sorte dei suoi uomini, dei quali invece non avrebbe dovuto abbandonare nemmeno il sepolcro.|Giustino, XXII 8, 9.|Quod ubi milites cognouere, haud secus quam si ab hoste capti essent, trepidauere, bis se a rege suo in mediis hostibus relictos esse proclamantes, salutemque suam desertam ab eo esse, quorum ne sepultura quidem relinquenda fuerit.|lingua=latino}}
 
Volevano darsi all'inseguimento di Agatocle ma l'attacco improvviso dei Numidi (da collegare con l'attacco che mise in agitazione l'esercito di cui parla anche Diodoro) li costrinse a ritornare all'accampamento; tuttavia riuscirono ad afferrare Arcagato che durante la fuga si era discostato dal padre.<ref>{{Cita|Giustino|XXII 8, 8-10}}.</ref>
 
[[File:Segesta Tempio - panoramio.jpg|thumb|upright=1.3|Il tempio greco di Segesta. Agatocle dopo che rese schiavi i Segestani mutò il nome della città in Diceopoli, colonizzandola]]
 
Le due fonti principali non concordano nemmeno sul rientro di Agatocle in Sicilia: secondo Giustino Agatocle, imbarcatosi solamente con gli uomini necessari a governare le navi, si diresse direttamente a Siracusa e conclude la narrazione del capitolo africano con un'esclamazione che è palesemente di stampo timaico (rispecchia cioè la soddisfazione di Timeo nel potere disprezzare, ancora una volta, il dinasta): «un re disertore del suo proprio esercito, un padre traditore dei suoi figli!» conclude con sorpresa Giustino.<ref>{{Cita|Giustino|XXII 8, 11-12}}.</ref>
 
Diverso è il finale di Diodoro il quale afferma che lo sbarco di Agatocle avvenne nuovamente nella parte punica dell'isola. Dopo aver convocato parte del suo esercito siciliano, si recò a [[Segesta]]. Nella città degli Elimi Agatocle [[Strage di Segesta|compì una vasta strage]] poiché, privo di un numero consistente di uomini e di denaro, aveva chiesto alla città, che era sua alleata, di donargli i propri beni perché ne aveva bisogno per riarmarsi. I Segestani tuttavia si rifiutarono di dargli l'aiuto richiesto e Agatocle mise in atto una delle sue terribili vendette (è tra l'altro in questa occasione che incontra [[Menone]]; un giovane segestano che diverrà suo amante e avrà un ruolo di primissimo piano nel determinare le sorti del dinasta).<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 71}}.</ref>
 
Agatocle non poteva raggiungere Siracusa poiché Dinocrate gli aveva sottratto la gran parte dell'isola e dunque vi era uno scudo di uomini armati disposto in mezzo alla Sicilia a sbarrargli la strada per la propria capitale.<ref>Cfr. {{Cita|Gaetano De Sanctis|pp. 233-234}}: {{Cita|Diod. Sic.|XX 72, 1}}.</ref>
 
=== L'uccisione dei figli di Agatocle e sua vendetta ===
Abbandonati in Africa, i soldati di Agatocle decisero di punire il loro comandante supremo con l'uccisione dei suoi due figli. Arcagato ed Eraclide vennero quindi messi a morte. Giustino tramanda nel dettaglio la morte del figlio maggiore, Arcagato: questi fu condotto all'esecuzione capitale da un siracusano amico del padre, Arcesilao. Arcagato gli domandò se aveva riflettuto alle conseguenze del gesto che stava per compiere; Agatocle si sarebbe vendicato sopra i figli di Arcesilao una volta scoperto che questi gli aveva ammazzato i propri eredi. Ma Arcesilao sprezzante rispose che a consolarlo gli bastava il pensiero di sapere che i suoi figli sarebbero vissuti qualche giorno in più rispetto ai figli di Agatocle.<ref>{{Cita|Giustino|XXII 8, 13-14}}.</ref> Detto ciò Arcagato venne ucciso e con lui anche Eraclide.
 
Diodoro invece non si sofferma sulle singole uccisioni ma ricollega la morte di entrambi i figli a quella di Ofella: secondo lo storico di Agira Arcagato ed Eraclide vennero uccisi lo stesso mese e lo stesso giorno di Ofella; una punizione divina che veniva inflitta ad Agatocle per aver tradito il suo alleato cireno.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 70, 1-4}}.</ref>
 
La vendetta di Agatocle quando seppe della morte dei suoi due figli (e ne verrà a conoscenza ancora prima di entrare a Siracusa, durante le lotte con Dinocrate) per mano dell'esercito fu davvero spietata e senza eguali: egli al principio, prima di partire per la spedizione africana, aveva accuratamente compilato la lista dei proscritti assicurandosi che i nuclei familiari dei siracusani venissero divisi, proprio per scoraggiare eventuali sedizioni da parte degli uni o degli altri; pena la punizione sopra il membro della famiglia del sedizioso. Colmo di rabbia e di dolore Agatocle mandò un messaggio a suo fratello Antandro, che reggeva il governo di Siracusa in sua vece, ordinandogli di radunare ogni singolo parente dei soldati siracusani in Africa e di ucciderlo senza pietà: donne, bambini, anziani, giovani uomini, illustri cittadini, nessuno venne risparmiato; furono condotti in una spiaggia di Siracusa e qui vennero ammazzati tutti, finchè il mare, asserisce Diodoro, non divenne rosso del loro sangue.<ref>{{Cita|Diod. Sic.|XX 72, 1-5}}.</ref>
 
=== Considerazioni ===
[[File:Justin, L’histoire de Trogue Pompée, impression Jehan Olivier, 1519 seul exemplaire connu.jpg|thumb|upright=0.8|Le ''Storie filippiche'' di trogo-Giustino, dove figura la biografia di Agatocle, edite in un manoscritto medievale]]
La vicenda sull'uccisione dei due figli e sulla conseguente vendetta di Agatocle sui parenti dei soldati non mostrano gravi contraddizioni (anzi, quando Diodoro narra della vendetta mostra di venire incontro alle parole di Giustino, il quale tramite il dialogo tra Arcagato e Arcesialo dà a intendere che vi era un piano architettato da Agatocle contro i sediziosi); sono di per sé credibili, piuttosto quello che lascia perplessi gli studiosi moderni è la presunta fuga di Agatocle e soprattutto il presunto abbandono dei propri figli; sua preziosa discendenza, in quanto eredi di un basileus.<ref group=N>Al riguardo può essere utile notare come Agatocle assegnò sempre ai propri figli ruoli eccelsi e come non ebbe mai screzi con nessuno di loro - a parte la frase elargita da Diodoro nei confronti di Arcagato, sulla quale vanno mantenute le giuste riserve, poiché i fatti sembrano dire l'opposto. Agatocle ci teneva ad avere una sua discendenza; lo dimostrano i progetti che egli cercò di conseguire per tutti i suoi figli (si vedano i matrimoni di Lanassa, la spedizione di Agatarco, il ruolo diplomatico assegnato ad Agatocle II e il tentativo di salvare dalle cruenti lotte dinastiche i suoi due figli di discendenza tolemaica: Teossena d'Egitto e Arcagato di Libia). Purtroppo il contesto bellico e intrigato nel quale sempre si mosse portò all'uccisione di molti dei suoi eredi che egli non riuscì a proteggere.</ref>
 
Secondo il De Sanctis, ad esempio, Diodoro è palesemente in errore asserendo che Agatocle nutrisse dell'astio verso Arcagato, poiché gli eventi in Africa hanno dimostrato il contrario: anzitutto Agatocle non consegnò il figlio all'esercito quando i soldati ne pretendevano l'uccisione, ma anzi si offrì di morire al suo posto, ed inoltre è proprio ad Arcagato che Agatocle affidò l'intero esercito quando l'iniziativa egemonica di Agrigento lo costrinse a distogliere la sua attenzione dagli affari d'Africa.<ref name=desanctisdue>{{Cita|Gaetano De Sanctis|p. 232-233, n. 2}}.</ref>
 
Serie riserve vanno mantenute anche nei riguardi della notizia fornita da Giustino: non si capisce per quale motivo Agatocle, che non aveva avuto mai alcuno screzio con il suo figlio più giovane, avrebbe improvvisamente deciso di abbandonarlo in Africa alla ''mercé'' dei soldati infuriati e del nemico ostile (tra l'altro è proprio Giustino, quindi Timeo, a ricordare come Agatocle avesse messo in primo piano il figlio Eraclide facendolo persino adottare dal cireneo Ofella).
 
Alla luce delle contraddizioni tra Giustino e Diodoro (uno sostiene che Agatocle volesse salvare il figlio Arcagato e l'altro sostiene che si trattasse piuttosto di Eraclide), del rapporto sempre positivo che Agatocle ebbe in generale con i propri figli e alla luce anche della tremenda vendetta, che superava le altre stragi compiute dal dinasta fino a quel momento e che tradiva probabilmente il suo acuto dolore, appare davvero poco credibile che Agatocle avesse abbandonato al loro destino i suoi due figli maggiori, senza l'intenzione di tornare a riprenderseli.
 
Secondo il De Sanctis e la Langher - due dei maggiori studiosi del periodo di Agatocle - il dinasta aveva tutte le intenzioni di ritornare celermente in Africa (la strage di Segesta, compiuta perché aveva bisogno di trovare in fretta il denaro per gli armamenti, sarebbe una dimostrazione di ciò), ma gli imprevedibili eventi, sopra i quali spicca appunto l'uccisione dei suoi due figli, rovinarono i suoi piani. Al riguardo afferma il De Sanctis:
 
{{Citazione|È anche possibile però che siano rimasti liberamente e di pieno accordo col padre. Non deve escludersi infatti che il tiranno sperasse di ristabilire la sua fortuna con qualche grande vittoria in Sicilia e di potervi raccogliere nuove forze per condurle in Africa al soccorso dei suoi.<ref name=desanctisdue/>|}}
 
Concorde con questa linea è anche la Langher la quale asserisce:
 
{{Citazione|Lasciando i figli Agatocle indicava al cospetto di tutti di voler ritornare in Africa con nuove forze.<ref name=langhertre>{{Cita|Consolo Langher|p. 236}}.</ref>|}}
 
La confusione sarebbe sorta a causa dell'incertezza delle stesse fonti primarie nel narrare il finale: qualcosa doveva esserli sfuggito; vi fu quasi certamente una fuga, dettata dalla necessità di sottrarsi al controllo dei soldati che evidentemente non avevano più intenzione di rimanere un'altra volta senza di lui in Africa (va inoltre notato che lo stesso esercito non era nuovo alle sedizioni: Agatocle in passato ne aveva già placata un'altra, utilizzando mezzi estremi, come la minaccia di togliersi la vita, pur di placare gli animi dei suoi soldati), ma altrettanto certamente vi era nei piani di Agatocle un ritorno a Tunisi; la presenza dei suoi due figli lo confermerebbe.<ref name=langhertre/><ref name=desanctisdue/>
 
{{Citazione|E nasce il sospetto che le versioni di Diodoro e di Giustino rappresentino solo due diverse ipotesi per spiegare come Agatocle non fu accompagnato dai figli in Sicilia.<ref name=desanctisdue/>|}}
 
== L'accordo con Cartagine ==
Dopo aver ucciso i figli di Agatocle, l'esercito rimasto in Africa elesse dei nuovi generali e iniziò le trattative con Cartagine. I Siracusani riuscirono ad ottenere delle condizioni davvero vantaggiose, se si considera che essi erano stati per i Cartaginesi, fino a pochissimo tempo prima, il pericoloso nemico in casa da debellare.
 
L'accordo prevedeva:
 
* la consegna di tutte le città conquistate in Africa a Cartagine e quindi l'abbandono dei vari presidi che ancora resistevano. In cambio Cartagine avrebbe pagato ai soldati di Siracusa (e con Siracusa si intende l'intera coalizione che ormai da tempo combatteva sotto il nome della pentapolis: sicelioti, mercenari, greci di Cirene, di Atene e dell'Ellade in generale) un indennizzo di guerra pari a 300 [[Talento (peso)|talenti]].<ref name=diod.20>{{Cita|Diod. Sic.|XX 69, 3}}.</ref>
* la possibilità di scegliere: entrare a far parte dell'esercito cartaginese, ricevendo una buona paga regolare, o ritornare in Sicilia; a condizione però di esservi scortati dalle navi dei Cartaginesi e di andare a popolare [[Solunto]], quindi di prendervi dimora, la quale era una città fondata da Cartagine nella parte punica della Sicilia.<ref name=diod.20/>
 
La maggior parte dei soldati rispettò l'accordo e molti scelsero o di far parte dell'esercito di Cartagine o di andare a vivere a Solunto (la quale infatti mostra un impianto ellenistico proprio a seguito di questa scelta), ma non tutti si accordarono o si sottomisero al potere di Cartagine: vi era anche una parte dell'esercito che era rimasta fedele ad Agatocle ed aspettava il suo ritorno (il che palesemente contraddice quanto sopra detto sia da Giustino che da Diodoro e si avvicina piuttosto alle osservazioni fatte dalla critica odierna) e non volevano lasciare le città conquistate. Questa minoranza di soldati venne attaccata nuovamente dai Cartaginesi e fu costretta a cedere.<ref name=diod.21>{{Cita|Diod. Sic.|XX 69, 4}}.</ref>
 
I Cartaginesi crocifissero molti di questi soldati Siracusani che aspettavano la venuta di Agatocle.<ref name=diod.21/>
 
== Conseguenze ==
 
== Considerazioni finali ==
{{Citazione|Piú volte la tradizione storica e geografica ribadisce l’immagine dell’isola volta all’Africa; e in numerose occasioni (nel mito e nella storiografia) ricorre la rotta che dall’Africa porta alla Sicilia. È solo Agatocle, però, a invertire il percorso con un passo rischioso e premonitore. In quella terra sconosciuta i Siracusani si smarriscono: il giardino incantato mostra il volto oscuro del deserto e dei nomadi e in pochi anni li costringe a tornare indietro. Ma quell’impresa, cosí ardita, segna un passo importante in un percorso di scoperta (geografica, naturalistica, etnografica) iniziato già con Ecateo e Erodoto e destinato a trovare compimento solo nella tarda repubblica romana.<ref>Stefania De Vido, ''[http://www.academia.edu/1133905/La_Sicilia_nel_IV_secolo_dai_Dionisi_ad_Agatocle_in_Storia_d_Europa_e_del_Mediterraneo._IV._Grecia_e_Mediterraneo._Dall_et%C3%A0_delle_guerre_Persiane_all_Ellenismo_a_cura_di_M._Giangiulio_Roma_2008_397-431 La Sicilia nel IV secolo: dai Dionisi ad Agatocle]'', p. 362.</ref>|}}
 
== Note ==
=== Esplicative ===
<references group=N/>
 
=== Referenze ===
{{Note strette}}
 
== Bibliografia ==
=== Fonti primarie ===
;Le principali
* {{Cita libro|autore=[[Diodoro Siculo]]|titolo=[[Bibliotheca historica]], libri: XIX, XX, XXI|cid=Diod. Sic.}}
* {{Cita libro|autore=[[Marco Giuniano Giustino]]|titolo=Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi libri XLIV in epitomen redacti, libri: XXII, XXIII|cid=Giustino}}
* {{Cita libro|autore=[[Polibio]]|titolo=[[Storie (Polibio)|Storie]]|cid=Polibio}}
;Altre fonti primarie
* {{Cita libro|autore=[[Polieno (retore)|Polieno]]|titolo=Stratagemmi, Agatocle|cid=Polieno}}
* {{Cita libro|autore=[[Plutarco]]|titolo=[[vite parallele]]: notizie varie in ''vita di Pirro'' e ''vita di Demetrio''|cid=Plutarco}}
 
=== Fonti moderne ===
* {{cita libro| Edouard | Will | wkautore= | Revue des Études Anciennes. Tome 6 | 1964| | capitolo=[http://www.persee.fr/docAsPDF/rea_0035-2004_1964_num_66_3_3727.pdf Ophellas, Ptolémée, Cassandre et la chronologie] | ISBN = | cid = Edouard Will (1964) | lingua=fr }}
* {{cita libro| Gaetano | De Sanctis | wkautore= Gaetano De Sanctis | Scritti minori, vol. 1 | 1970 | Ed. di Storia e Letteratura | capitolo=Agatocle | ISBN = no | cid = Gaetano De Sanctis }}
* {{cita libro| Edouard | Will | wkautore= | Histoire politique du monde hellénistique (323-30 av. J.-C.) | 1982| Presses Universitaires de Nancy | ISBN = 978-2020603874 | cid = Edouard Will | lingua=fr }}
* {{cita pubblicazione |nome=G. Marasco|cognome=|titolo=Agatocle e la politica siracusana agli inizi del III secolo a.C.|anno=1984 | rivista=Prometheus, 10|pp=97-133|cid=G. Marasco| url=http://www.fupress.net/index.php/prometheus/article/viewFile/19066/17694|accesso=31 maggio 2017}}
*{{cita libro| Sebastiana Nerina Consolo Langher | | Archivio storico messinese, vol. 60, pp. 97-137 | 1992 | Società messinese di storia patria | capitolo=[http://www.societamessinesedistoriapatria.it/archivio/60/archivio%20storico%20messinese%2060.pdf Macedonia e Sicilia nell'età dei Diadochi e di Agatocle] | | cid = Consolo Langher (1992) }}
*{{cita libro| Lorenzo | Braccesi | wkautore= Lorenzo Braccesi | Hesperia 7: studi sulla grecità di occidente | 1996 | L'ERMA di BRETSCHNEIDER | capitolo=Ofella, Atene e l'avventura libica | ISBN = 9788870629446 | cid = Carla Ravazzolo }}
* {{cita libro| Lorenzo Braccesi | | wkautore=Lorenzo Braccesi | Hesperia 10 | 2000 | L'ERMA di BRETSCHNEIDER | capitolo= I Greci e la periferia africana in età arcaica | ISBN =9788882650742 | cid = Michel Gras }}
*{{cita libro| Massimo | Guidetti (a cura di) | Storia del Mediterraneo nell'antichità: 9.-1. secolo a.C | 2004 | Editoriale Jaca Book | capitolo=Alessandro dal Mediterraneo all'Oceano Indiano | ISBN = 9788816406605 | cid = Marta Sordi }}
*{{cita libro| | | L'Africa romana: Atti del XV convegno di studio, Tozeur, 11-15 dicembre 2002, Volume 15 | 2004 | Carocci | capitolo=Greci e indigeni nella Libye: le spedizioni di Eumaco a nord-ovest di Cartagine| ISBN = 9788843031955 | cid = Consolo Langher (2002)}}
*{{cita libro| Cinzia Bearzot, Franca Landucci Gattinoni (a cura di) | | Diodoro e l'altra Grecia: Macedonia, Occidente, Ellenismo nella Biblioteca storica : atti del convegno, Milano, 15-16 gennaio 2004 | 2005 | Vita e Pensiero | capitolo=Tradizioni storiche ed etnografiche nella Libia di Diodoro | ISBN = 9788834350065 | cid = Stefania De Vido }}
*{{cita libro| Lorenzo | Braccesi | wkautore= Lorenzo Braccesi | L'Alessandro occidentale: il Macedone e Roma | 2006 | L'ERMA di BRETSCHNEIDER | capitolo=Alessandro e l'obiettivo "Cartagine" | ISBN = 9788882653767 | cid = Lorenzo Braccesi }}
*{{cita libro| Paolo Xella | | [http://www.aulaorientalis.org/AuOr%20escaneado/AuOr%2017-18-1999-2000/37.pdf I Χρυσοῖ ναοί dei Cartaginesi] | | C.N.R., Roma, Università di Tubingen | | | cid = Paolo Xella }}
* {{cita libro| Aomar Akerraz, Paola Ruggeri, Ahmed Siraj, Cinzia Vismara (a cura di) | | wkautore= | L'Africa romana. vol. terzo | 2006 | | capitolo=[http://core.ac.uk/download/pdf/11691838.pdf#page=643 I Greci e l’Africa del Nord. Il conflitto greco-cartaginese in terra libica: alleanza tra Siracusa Cirene ed Egitto e genesi della regalità di Agatocle] | ISBN = | cid = Consolo Langher (2006)}}
* {{cita libro| Aomar Akerraz, Paola Ruggeri, Ahmed Siraj, Cinzia Vismara (a cura di) | | wkautore= | L'Africa romana - Atti del XVI convegno di studio Rabat, 15-19 dicembre 2004| 2006 | Centro di Studi Interdisciplinari sulle Province Romane dell’Università degli Studi di Sassari | capitolo=Sicelioti in Africa nel III secolo a.C. | ISBN =88-430-3990-3 | cid = Emilio Galvagno }}
* {{cita libro| Stefania De Vido | | wkautore= | Le guerre di Sicilia | 2013 | Carocci editore | capitolo= Il liberatore e il re, Guerra e potere, Guerra e pace, Guerra e territorio | ISBN =978-88-430-6788-6 | cid = Stefania De Vido }}
 
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