Brigantaggio postunitario italiano e Totemskij rajon: differenze tra le pagine

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{{S|rajon dell'Oblast' di Vologda}}
{{C|
{{Divisione amministrativa
Mancanza di fonti in numero adeguato, soprattutto riguardo le forze in campo e le vittime nel template. In proposito, sarebbe opportuno fare distinzione tra vittime combattenti e non, in modo da fornire un'informazione più completa e dettagliata.|storia|dicembre 2014}}
|Nome = Totemskij rajon
{{Infobox conflitto
|Nome ufficiale = Тотемский район
|Tipo=Battaglia
|Panorama =
|Nome del conflitto= Brigantaggio postunitario
|Didascalia =
|Immagine=Briganti 1862 from Bisaccia.jpg
|Bandiera = Flag of Totma (Vologda oblast).png
|Didascalia= Elementi della banda del brigante Agostino Sacchitiello di [[Bisaccia]], uno dei luogotenenti di [[Carmine Crocco]] (foto del [[1862]]).
|Stemma = Coat of Arms of Totma (Vologda oblast).png
|Data= [[1860]] - [[1870]]
|Stato = RUS
|Luogo= province dell'ex [[Regno delle Due Sicilie]]
|Grado amministrativo = 3
|Casus= ribellione contro il governo italiano per cause economiche, sociali e politiche
|Divisione amm grado 1 = Nordoccidentale
|Mutamenti_territoriali=
|Divisione amm grado 2 = Vologda
|Esito=vittoria del Regno d'Italia
|Capoluogo = [[Tot'ma]]
|Schieramento1= {{ITA 1861-1946}}<br /><br /><br /><br /><br /><br />[[File:C o a Pio IX.svg|20px]] [[Pio IX|Stato Pontificio]]<ref>Dal 1865 ca.</ref>
|Amministratore locale =
|Schieramento2=
|Partito =
*[[Briganti]]
|Data elezione =
*Soldati del disciolto [[Esercito delle Due Sicilie]]
|Lingue ufficiali =
*Reduci dell'[[esercito meridionale]]
|Data istituzione =
*Renitenti e disertori dell'[[Regio esercito|esercito italiano]]
|Latitudine decimale = 59.983333
*Contadini, pastori, braccianti nullatenenti
|Longitudine decimale = 42.766667
finanziati da:<br />[[File:Coat of arms of the Kingdom of the Two Sicilies.svg|20px]] [[Borbone di Napoli]]<br />[[File:C o a Pio IX.svg|20px]] [[Pio IX|Stato Pontificio]]<ref>Sostegno revocato dal 1865 ca.</ref><br />
|Latitudine gradi =
|Comandante1= [[Emilio Pallavicini]]<br />[[Enrico Cialdini]]<br />[[Alfonso La Marmora]]<br />[[Giuseppe Govone]]<br />[[Raffaele Cadorna (1815-1897)|Raffaele Cadorna]]
|Latitudine minuti =
|Comandante2= [[José Borjès]] <br />[[Carmine Crocco]] <br />[[Luigi Alonzi]] detto [[Chiavone]]<br />[[Pasquale Romano]]<br /><ref>Non vi fu mai un unico capo, sono indicati i nomi dei più famosi.</ref>
|Latitudine secondi =
<br />
|Latitudine NS =
|Effettivi1= Le forze italiane nel periodo del massimo impegno furono (su un organico totale di circa 250.000):<br />
|Longitudine gradi =
* 120.000 soldati del Regio Esercito , a loro volta divisi in:<br />
|Longitudine minuti =
* 57 Reggimenti di Fanteria;
|Longitudine secondi =
* 10 Reggimenti di Cavalleria;
|Longitudine EW =
* 19 Battaglioni di Bersaglieri.<ref>Si veda il capitolo "Lotta al brigantaggio e controllo del mezzogiorno", in [[Gianni Oliva]], ''Soldati e ufficiali'', Milano, Mondadori, 2009 (testo parzialmente disponibile anche su [http://books.google.com/books?id=rjrhm3TL0J4C&pg Google Libri]).</ref>
|Altitudine =
* 7.489 Carabinieri;
|Superficie = 8393.44
* 83.927 unità della [[Guardia nazionale italiana]].
|Note superficie =
 
|Acque interne =
Forze pontificie
|Abitanti = 25238
* Circa 1400 squadriglieri pontifici, dal 1865 in aggiunta alle regolari forze dell'ordine
|Note abitanti =
|Effettivi2=85 000 uomini in tutto il periodo, divisi in:
|Aggiornamento abitanti = 2010
 
|Sottodivisioni =
* Diverse bande, non coordinate tra loro e composte ognuna dai 5 ai 900 guerriglieri.
|Divisioni confinanti =
* Numero imprecisato di civili, senza appartenenza diretta alle bande armate.
|Lingue =
|Perdite1= Stime che arrivano a circa 8.000 militari italiani morti, fra:
|Codice postale =
* Caduti in combattimento o uccisi dopo esser stati catturati
|Prefisso =
* Morti per ferite o malattie
|Fuso orario = +3
Numero imprecisato di cittadini uccisi in quanto liberali o unitari.
|Codice statistico =
Milizie papaline: 42 morti e 23 feriti
|Targa =
|Perdite2= Accertate, nel il decennio 1860-1870, intorno alle 20.000 unità,<ref> {{Cita|P.Ciocca|p. 9-21}}</ref> secondo alcune stime al rialzo arriverebbero a 50.000 considerando {{chiarire|detenuti all'ergastolo e detenuti a varie pene detentive}}.
|Nome abitanti =
|Immagine localizzazione =
|Mappa = Location of Totemsky District (Vologda Oblast).svg
|Didascalia mappa =
|Sito =
}}
Il '''Totemskij rajon''' ({{russo|Тотемский район}}) è un [[Rajon della Russia|rajon]] dell'[[Oblast' di Vologda]], nella [[Russia europea]]; il [[capoluogo]] è [[Tot'ma]]. Istituito nel [[1929]], ricopre una superficie di 8.393 [[chilometri quadrati]] ed ospita una [[popolazione]] di circa 25.000 [[abitanti]].
Per '''brigantaggio postunitario italiano''', nel linguaggio storiografico, si identifica una forma di [[brigantaggio]] - spesso associato a fenomeni e di [[banditismo]] armato ed organizzato - nell'[[Italia meridionale]] e nella [[Sicilia]], già presente negli [[stati italiani preunitari]], che assunse connotati tipici durante il [[Risorgimento]], in special modo dopo la realizzazione dell'[[unità d'Italia]], assumendo spesso i caratteri di una [[rivolta]] popolare.
 
Va evidenziato che il brigantaggio postunitario, inteso come rivolta antisabauda e generalmente antiunitaria, interessò quasi esclusivamente i territori meridionali continentali ex-borbonici, mentre in pratica non si verificò nei territori di tutti gli altri [[stati preunitari italiani]] annessi al [[Regno di Sardegna]] per formare l’[[Italia]] unita durante il [[Risorgimento]]; tale diversità di avvenimenti e comportamenti indica la profonda differenza, già esistente nel 1861, tra il nord ed il centro da un lato, ed il sud della penisola dall'altro, divario che sarà in seguito meglio noto con la locuzione ''[[questione meridionale]]'', fonte di discussioni e di dibattito ancora oggi, né definita unanimemente nelle sue cause dagli storici e studiosi, nonché oggetto del dibattito nelle [[interpretazioni revisionistiche del Risorgimento]].
 
== Storia ==
=== L'inizio della rivolta (1860) ===
{{Vedi anche|Assedio di Gaeta (1860)|Battaglia del Macerone|Battaglia del Volturno|Spedizione dei mille}}
[[File:Cardinale brigante.jpg|thumb|upright=1.4|Stampa satirica dell'epoca: il cardinale [[Giacomo Antonelli]] benedice l'alleanza fra i briganti e le forze antiunitarie, sotto lo sguardo dell'aquila bicipite asburgica, simbolo dell'Austria.]]
[[File:PIUS IX real italian brigand chief.jpg|miniatura|300px|[[Punch (rivista)|Punch]] 24 agosto 1861: vignetta satirica con Pio IX indicato come il vero capo dei briganti, con [[tiara]] e [[ciocia|cioce]] mentre distribuisce armi ai briganti]]
 
Già nell'ultima fase della [[spedizione dei mille]] i borbonici, asserragliati a nord del [[Volturno]] intorno [[Gaeta]], avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe regolari ancora attive tra il [[Sannio]] e l'[[Abruzzo]], al fine di coprire il fianco rispetto all'avanzata verso sud dell'[[esercito sabaudo]], guidato dal generale [[Enrico Cialdini]]. Già in precedenza, durante le giornate della conquista di Palermo il brigante calabrese [[Giosafatte Talarico]], graziato da Ferdinando II nel 1845, venne inviato in Sicilia allo scopo fallito di assassinare [[Giuseppe Garibaldi]], ma la missione non ebbe successo perché Talarico fu conquistato dalla personalità del [[condottiero]].<ref>L'episodio è raccontato anche da Garibaldi nelle sue memorie, si veda anche [[Alfonso Scirocco]], ''Garibaldi'', Laterza, Roma-Bari, 2001, ed. spec. RCS Libri, 2005, pag. 229.</ref>
 
Nell'autunno 1860 [[Pietro Calà Ulloa]], ministro della Polizia nel nuovo governo borbonico costituitosi a Gaeta sotto il generale Casella, diffuse un documento di istruzioni per una [[brigata]] di volontari stanziata a [[Itri]], con le seguenti indicazioni:<ref>Michelangiolo Schipa, "Un documento inedito dell'ultimo ministero di Francesco II di Borbone", su ''Rassegna storica del Risorgimento'', 1916, pagg. 57-59 [http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=1950&ricerca_inizio=0&ricerca_query=&ricerca_ordine=ASC&ricerca_libera= online]</ref><ref>Documento originale in Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, fascio 1262, follo 239</ref><ref>Giuseppe F. De Tiberis, "Alle origini del brigantaggio politico negli Abruzzi: la spedizione del colonnello Teodoro Klitsche de La Grange". Ottobre 1860, ''Rassegna storica del Risorgimento'', 1984, pagg. 306-318 [http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=57935&ricerca_inizio=0&ricerca_query=&ricerca_ordine=DESC&ricerca_libera= online]</ref>
 
1) ricostruire il governo di Sua Maestà (D.G.)<ref>Dio Guardi</ref>
 
2) disarmo delle guardie nazionali e conseguente armamento di chi si unisse alla colonna dei volontari;
 
3) impadronirsi della casse pubbliche;
 
4) possibilità di imporre tasse per i bisogni dei volontari;
 
5) possibilità di esigere il pagamento delle tasse in equivalenti in cereali in mancanza di denaro;
 
6) arrestare chi si opponesse alla colonna o potesse successivamente recarvi danno, agendo alle sue spalle;
 
7) arrestare ugualmente chi potrebbe agitare lo spirito pubblico contro la monarchia borbonica;
 
8) tenere stretti collegamenti con i propugnatori della causa regia;
 
9) mantenere l'ordine e il rispetto della religione e dei suoi ministri;
 
10) proclamare l'antica fedeltà degli abitanti verso Sua Maestà e l'avversione contro gli invasori del Regno.
 
Conseguentemente a queste istruzioni si mosse una colonna agli ordini del prussiano [[Theodor Friedrich Klitsche de la Grange|Klitsche De La Grange]] diretta verso l'Abruzzo e la fortezza di [[Civitella del Tronto]] con l'obiettivo di provocare una serie di focolai di ribellione in grado di tagliare i collegamenti fra l'[[esercito meridionale]] di Garibaldi a sud e l'[[armata sarda]] a nord. La colonna non era costituita da truppe di linea, impegnate nella difesa dell'area circostante Gaeta e Capua, ma da uomini della milizia urbana e polizia siciliana ritiratasi sul continente. A questa seguirono altre due colonne, guidate dai generali Scotti Douglas e von Meckel, sempre dirette verso gli Abruzzi e il Molise. Il 20 ottobre la colonna di Scotti Douglas viene sconfitta e fermata nella sua avanzata da Cialdini nella [[battaglia del Macerone]].
 
A seguito della partenza dei [[Borbone]] di Napoli avvenuta il 6 settembre, la successiva la sconfitta subita nella [[battaglia del Volturno]] dei primi di ottobre e dell'[[Assedio di Gaeta (1860)|assedio di Gaeta]], il partito legittimista con la corte borbonica in esilio a [[Roma]], sotto la benevola protezione papale, presero ad organizzarsi per tentare di ripristinare il regno scomparso; il loro quartier generale si trovava a [[Palazzo Farnese (Roma)|Palazzo Farnese]] dove aveva preso alloggio Francesco II, mentre le osterie di [[Piazza Montanara]], che tradizionalmente era un luogo di raccolta di persone provenienti da fuori Roma anche da territori esterni ai domini papali, a cui in quel periodo si aggiunsero sbandati e avventurieri, divennero un luogo di pubblico reclutamento di uomini con cui formare bande da inviare nel sud per compiere scorrerie<ref> [http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia/Vista+da/Fascicolo+6/01_Fascicolo+6.htm La lotta contro il brigantaggio] </ref><ref>Si veda Baldassare Cenni, ''Relazione storica sulla invasione del comune di Collalto avvenuta il 13 febbraio 1861 per opera delle orde reazionarie del ex Regno di Napoli'', Tipografia Trinchi, Rieti, 1865 [https://www.yumpu.com/it/document/view/15821071/relazione-storica-del-giudice-baldassarre-cenni-il-brigantaggio-in- online]</ref>. Questa attività di reazione all'unificazione italiana sotto il regno di sardegna era inoltre aiutata dall'arrivo volontario di nobili legittimisti dal [[Belgio]], [[Francia]] e [[Baviera]], [[Spagna]], da gruppi [[clero|clericali]] intenzionati a battersi per la "causa del trono e dell'altare" e 'sete di avventura"<ref>Vedi pp298-299 Molfese (1961)</ref>, tra questi vi fu un significativo gruppo di attivisti [[carlisti]] spagnoli rimasti senza guida e obiettivi a seguito del fallimento del ''[[pronunciamiento]]'' carlista di [[Carlo Luigi di Borbone-Spagna]] avvenuto nell'aprile 1860 e quindi di poco precedente gli eventi italiani<ref>Aldo Albònico ''Lights and Shades of Carlist Moblization against the Kingdom of Italy (1860–1866)'', Mediterranean Studies, Vol. 6 (1996), pp. 107-112, Penn State University Press.</ref>.
Nelle formazioni irregolari, che la popolazione locale denominava ''masse'', affluirono migliaia di uomini: ex soldati dell'esercito sconfitto e disciolto, coscritti che rifiutavano di servire sotto la bandiera italiana, popolazione rurale, banditi di professione e briganti stagionali, che si dedicavano già alle grassazioni nei periodi nei quali non potevano trovare impiego in agricoltura. Viceversa, nessun principe reale o generale borbonico si impegnò direttamente mettendosi a capo di una banda armata nella lotta contro lo [[stato sabaudo]].<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2006/dicembre/18/Non_celebriamo_fuorilegge_nessuno_comporto_co_9_061218069.shtml Antonio Carioti ''Non celebriamo i fuorilegge nessuno si comportò da eroe'', Corriere della sera, 18 dicembre 2006]</ref>
 
=== Il Grande brigantaggio (1861-1865) ===
Lo svilupparsi ed il diffondersi del brigantaggio postunitario nel periodo 1861-1865 è stato definito ''grande brigantaggio'' per distinguere le peculiari connotazioni che questo ebbe - soprattutto a livello politico - rispetto sia al brigantaggio preunitario, per lo più consistente in fenomeni di mero [[banditismo]] e sia rispetto al suo strascico posteriore.<ref>[http://www.archeopolis.it/Pubblica/genzano/brigantaggio/index.htm?grande_brigantaggio.htm&2 ''Il brigantaggio postunitario nell'area del Vulture-Melfese'' da archepolis.it]</ref>
 
==== La diffusione (1861-1862) ====
{{Vedi anche|Assedio di Civitella|Rivolta di Montefalcione|Massacro di Pontelandolfo e Casalduni|Spedizione di Borjes}}
In [[Sicilia]] la cittadella di [[Messina]] - che già nel luglio [[1860]] aveva smesso di combattere, pattuendo di liberare la città e di non ostacolare [[Giuseppe Garibaldi]] nel passare lo [[stretto di Messina|stretto]] - resisté sino al 12 marzo 1861, e il 20 marzo, tre giorni dopo la proclamazione dell'[[unità d'Italia]], si concluse l'[[assedio di Civitella]] con la resa della [[guarnigione]] di stanza presso la fortezza [[Civitella del Tronto]], al confine tra [[Abruzzo]] e [[Marche]].
 
Tuttavia nella primavera del 1861 la rivolta si era ormai diffusa in tutto il sud Italia continentale, assumendo spesso le forme di estese ''[[jacquerie]]'' contadine, spesso represse violentemente nel sangue. L'azione di contrasto venne in gran parte affidata inizialmente ai [[bersaglieri]]; dapprima ne furono inviati 11 nuovi battaglioni<ref>Si trattava dei 17º, 18º, 19º, 20º, 28º, 29º, 30º, 31º, 32º, 33º e poi il 34º</ref> formati a seguito della riforma dell'esercito disposta col decreto 23 gennaio 1861 (mentre quelli che avevano partecipato alla campagna 1860-1861 venivano richiamati in alta Italia o inviati in Sicilia) a cui poi si aggiunsero in seguito tre battaglioni di veterani<ref>Si trattava dei 2º, 13º, 25º</ref>, di modo che al 25 settembre 1861 erano impegnati nella lotta al brigantaggio 17 battaglioni su 34 dell'organico complessivo dei [[bersaglieri]].<ref>Vedi pagg. 183-186 in Pietro Fea, ''Storia dei bersaglieri,'' Tipografia della Gazzetta d'Italia, Firenze, 1879</ref>
 
Si materializzava tuttavia il rischio concreto di un collegamento di tutte le formazioni della rivolta, dalla [[Calabria]] alle province contigue allo [[Stato Pontificio]], dove risiedeva [[Francesco II delle Due Sicilie]], con un'azione centrata fra [[Irpinia]] e [[Lucania]], ciò che condusse ad un incremento notevole sia delle forze impegnate, sia della ferocia con la quale la repressione delle insorgenze fu attuata. A [[Napoli]], l'ex-capitale travagliata da una grave crisi economica, agiva la propaganda del comitato borbonico della città, che riuscì, perfino, a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia. Nel mese di aprile venne sventata una cospirazione anti-unitaria e arrestate oltre 600 persone, fra cui 466 ufficiali e soldati del disciolto esercito borbonico. Si registrono inoltre sollevazioni diffuse, seguite dal rovesciamento violento di vari comitati insurrezionali, sostituiti con municipalità legittimiste, a cui seguiva l'azione repressiva delle forze unitarie, come la [[rivolta di Montefalcione]] nei paesi di [[Montefalcione]] e [[Montemiletto]] tra il 6-10 luglio 1861.
 
A seguito di queste rivolte il conte [[Gustavo Ponza di San Martino]], da meno di mesi nominato [[luogotenente]] del Re [[Vittorio Emanuele II]] per le "provincie napoletane", rassegnò le dimissioni e il 14 luglio [[1861]] venne inviato a [[Napoli]] il generale [[Enrico Cialdini]], con poteri eccezionali per affrontare l'emergenza del brigantaggio. Egli seppe rafforzare il partito sabaudo, arruolando militi del disciolto [[esercito meridionale]] di [[Garibaldi]] e perseguendo il clero e i nobili legittimisti. In una seconda fase, comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni arbitrarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri abitati: fucilazioni sommarie e incendi di villaggi erano frequenti, tra quelli più famosi ricordiamo l'[[eccidio di Auletta]] avvenuto il 30 luglio, dopo la repressione di una rivolta filoborbonica nel paese, ed il [[massacro di Pontelandolfo e Casalduni]] del 14 agosto [[1861]], attaccati dai [[bersaglieri]], per [[rappresaglia]] dopo il massacro di oltre 40 militari regolari perpetrato tre giorni prima da briganti con l'appoggio di elementi attivi della popolazione locale.
 
[[File:fucilazione petruzziello.jpg|thumb|upright=1.4|Fotomosaico della fucilazione di [[Vincenzo Petruzziello]]<br />[[Montefalcione]], [[1861]].]]
 
L'obiettivo strategico consisteva nel ristabilire le vie di comunicazioni e conservare il controllo dei centri abitati. Le forze a sua disposizione consistevano in circa 22.000 uomini, presto passate a 50.000 unità nel dicembre del [[1861]]. I metodi repressivi di Cialdini impressionarono perfino il governo di Torino e scandalizzarono la stampa estera, per cui venne sospeso nel settembre di quello stesso anno e sostituito dal generale [[Alfonso La Marmora]]. Nella notte tra il 13 e il 14 settembre [[1861]] [[José Borjes]], generale spagnolo carlista,sbarcò con 20 uomini a [[Brancaleone (Italia)|Brancaleone]], in [[Calabria]] ingaggiato da re [[Francesco II di Borbone]] per riconquistare il Regno. Dopo il fallito tentativo di una duratura alleanza col brigante calabrese Miticca, che lo abbandonerà, si mosse in Basilicata arrivando il 22 novembre ad unirsi al capobanda [[Carmine Crocco]], con cui compì alcune scorribande nella provincia e partecipò a scontri con le truppe italiane; tuttavia i loro rapporti si deteriorarono in quanto Crocco non volle cedergli il comando delle operazioni. Abbandonato Crocco, anche sotto l'incalzare dei militari italiani, Borjes cercò di raggiungere [[Roma]] per informare [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] della situazione, desiderando organizzare un esercito di volontari per ripetere l'operazione. Lo spagnolo venne catturato da un reparto di bersaglieri vicino al confino pontificio e fucilato l'8 dicembre [[1861]] a [[Sante Marie]] assieme ai suoi pochi uomini rimastigli. Il 18 settembre [[1861]] con trentadue uomini, sbarcò ad [[Agropoli]] nel salernitano il legittimista [[Giuseppe Tardio]], imbarcatosi a [[Civitavecchia]] (porto dello stato pontificio), iniziando a raccogliere volontari, in qualità di [[capitano]] dell'[[esercito delle Due Sicilie]].
 
Durante un dibattito svoltosi alla Camera il 2 dicembre, la Francia venne accusata dal deputato calabrese [[Benedetto Musolino]], di favorire e guidare il brigantaggio in quanto "Napoleone III non ha rinunziato al [[Accordi di Plombières|programma di Plombières]] e si avvale del brigantaggio per impedire che il nostro Stato si consolidi"<ref>[http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Storia/Parlamento.htm "Il Brigantaggio nelle discussioni Parlamentari" estratto da Tommaso Pedio "Brigantaggio meridionale 1806 - 1863 ", Capone Editore, Cavallino di Lecce, 1997</ref>. E il 7 dicembre il giornale "l'Operaio" di Napoli, da una cronaca da Roma commentava: "Il comando e la polizia francese in Roma non solo non reprime, ma si può anche dire che favorisce il brigantaggio. Prima di tutto non si capisce come il Governo di Francia permette l’opera impunita dei comitati legittimisti di Marsiglia e di Parigi, i quali forniscono alimento al brigantaggio, in uomini, armi o denaro." ed aggiungeva che il generale De Goyon comandante della guarnigione francese nella capitale, rivolgendosi alle nuove truppe durante il cambio del contingente francese le aveva esortate a non essere troppo zelanti nella repressione del brigantaggio<ref>[http://digilander.libero.it/fiammecremisi/briganti.htm Giornale “L’Operaio” di Napoli (1861) - Fasti brigantesco-papalini]</ref>.
 
Nel luglio 1862 i due fratelli La Gala -capi briganti rifugiatisi nello stato pontificio, in fuga da [[Terra di Lavoro]] dove avevano precedentemente spadroneggiato - vennero imbarcati a [[Civitavecchia]], assieme ad altri tre briganti della loro banda sulla nave francese "Aunis", per essere condotti al sicuro a Barcellona in Spagna dove la legazione spagnola aveva fornito un [[salvacondotto]]. Il loro viaggio venne interrotto a Genova, quando a seguito l'attracco della nave, vennero imprigionati dal prefetto cittadino, che avuta notizia della loro presenza salì a bordo. Ne seguì un [[caso diplomatico]], essendo stati i briganti arrestati su un legno battente bandiera francese, ricomposto con la riconsegna temporanea dei cinque alla Francia che li custodì in una prigione al confine con l'Italia fino a quando la richiesta di estradizione fece il suo corso in settembre<ref name="Zini">{{cita libro|cognome= Zini|nome= Luigi|wkautore= Luigi Zini |titolo= Storia d'Italia dal 1850 al 1866, Vol. 1, Parte II |url= http://books.google.it/books?id=52INAAAAQAAJ&pg=PA1114#v=onepage&q=aunis&f=false |accesso= 28 aprile 2014 |anno= 1869 |editore= Guigoni |città= Milano|pp= 1112-1113|cid= Luigi Zini}} {{NoISBN}}</ref>. Il caso mise alla luce le problematiche legate all'appoggio europeo legittimista verso il brigantaggio e la difficile posizione francese a Roma, le cui truppe presidiavano per la difesa del Papa, la cui presenza indirettamente favoriva una politica ostile alll'alleato Regno d'Italia.
 
Il 28 giugno [[1862]], in un bosco vicino all'abbazia di Trisulti, venne catturato e fucilato il capo brigante [[Luigi Alonzi]] (detto ''Chiavone'') ad opera di [[Rafael Tristany de Barrera]] e [[Ludwig Richard Zimmermann]], due [[mercenario|mercenari]], rispettivamente spagnolo e tedesco, assoldati dai borbonici per guidare militarmente le bande dei briganti e che erano diventati avversari di Chiavone in seguito a continui scontri dovuti a gelosie di potere che stavano dividendo in briganti in "tristanisti" e "chiavonisti". Le bande di briganti tuttavia facevano ancora assegnamento sull'invio di rinforzi dalla corte borbonica in Roma, e sul ritorno di Francesco II, utilizzando questa eventualità come mezzo di ulteriore pressione e ricatto verso le autorità locali; emblematico è il contenuto di questa lettera di minacce e ordini spedita al sindaco di [[Ari]] nel luglio 1862:
 
{{quote|Signor Sindaco - Ti ricordo quanno piagnive quella notte, noi avonno compassione non t'accidemmo, e tutto a lu contrario e ci persieguito colli nazionali e cola truppa. Ma chesta storia a da finì quanno arriva lo rinforzo di Roma, e la Cavalleria da la puglia e li cannoni e li casce di fucili ma se vuò campà aja da mannà li denare milli Ducati, si no ti bruciamo vivo a te e li murto di fame piemontese, onne mannaci li danari a Orno per mezzo di Urbano Santone che tene la campagna a Moggio, e non parlà per Cristo e pe li Santi e così non avarrai paura, e piesaci e rifretaci che Francisco II non è muorto e sta pe venì coli Tudische, co li Spagnuoli e bavarese e ci mettemo la buona parola pi te, ma aja da sape che la robba e li denari se la pigliaje li paesane e lu fesso di Pistone colo generale Mecola<ref>Si tratta del brigante Nunziato Mecola</ref>, e nujo non avimmo niente e ti salviamo la vita e piesaci e statti sicreto. Li Piemontise non ponno stare sepre vicino a te. Mannaci li denari. - Compagnia Scenna.<ref>[http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Documenti/RichiesteMinacce.htm Richieste e minacce]</ref>}}
 
Visto che il brigantaggio non accennava a diminuire, il 16 dicembre 1862 la Camera dei deputati decise la costituzione di una commissione d'inchiesta sul fenomeno, da inviarsi nelle province meridionali per prendere diretta conoscenza dei fatti, con [[Giuseppe Massari]] alla segreteria e [[Giuseppe Sirtori]] alla presidenza.<ref>[http://storia.camera.it/organi/leg-regno-VIII?macro_tipo_regno=Commissione%20d%27inchiesta%20parlamentare%20sul%20brigantaggio#nav . VIII Legislatura del Regno d'Italia Commissione d'inchiesta parlamentare sul brigantaggio]</ref>
 
==== La legge Pica e la repressione (1863-1865) ====
[[File:Carmine Crocco1.jpg|miniatura|destra|Foto del capo brigante [[Carmine Crocco]] detto "Donatello"]]
{{Vedi anche|Legge Pica}}
Gli strumenti a disposizione della repressione venivano, nel frattempo, incrementati, con la moltiplicazione delle taglie e l'istituto del [[domicilio coatto]], quest'ultimo introdotto dalla [[legge Pica]]; emanata il 15 agosto 1863 era una legge speciale che colpiva non solo i presunti e veri briganti, ma affidava al giudizio dei tribunali militari anche i loro parenti e congiunti o semplici sospetti di manutengolismo (ossia collaborazione) coi briganti. Con successive proroghe, la legge Pica restò in vigore fino al 31 dicembre [[1865]].
 
Il 21 dicembre del 1863 [[Garibaldi]] inviò da [[Caprera]] al Presidente della [[Camera dei deputati del Regno d'Italia]], all'epoca [[Giovanni Battista Cassinis]], una lettera di rinuncia al mandato per protestare energicamente sia contro l'estensione alla Sicilia della legge Pica ("''vituperio della Sicilia, che io sarei orgoglioso di chiamare'' - proseguiva - ''la mia seconda terra di adozione''") e inoltre per condannare la cessione di [[Nizza]]<ref>Il dibattito sugli arbitri compiuti in Sicilia divise la sinistra fra fautori di dimissioni dal parlamento per proseguire la battaglia fuori dall'aula dei deputati e chi preferiva proseguire il dibattito entro il parlamento. Vd. [[Alfonso Scirocco]], ''Garibaldi'', Laterza, Roma-Bari, 2001, ed. spec. RCS Libri, 2005, pag. 291.</ref>.
 
A cavallo degli anni [[1862]]-[[1866]] le truppe dedicate alla repressione vennero aumentate sino a 105.000 soldati, circa i due quinti delle forze armate italiane del tempo. Il generale [[Emilio Pallavicini]], che alla dura repressione preferiva favorire il "pentitismo" tra i briganti, giunse ad eliminare le grandi bande a cavallo con i loro migliori comandanti: il 5 gennaio 1863 venne ucciso in combattimento [[Pasquale Romano]], attivo nella zona di [[Bari]] ed ex sergente dell'esercito borbonico considerato un abile stratega: la sua morte in battaglia rappresentò la fine della guerriglia organizzata militarmente in [[Puglia]], nel corso dell'anno furono sgominate le bande di Crocco nel [[Vulture]]. Grazie soprattutto alla resa del suo luogotenente [[Giuseppe Caruso (brigante)|Giuseppe Caruso]] il 14 settembre 1863 e la sua collaborazione con le autorità italiane, nella zona di [[Foggia]] [[Michele Caruso]] fu fucilato il 23 dicembre dello stesso anno. Carmine Crocco, rimasto con pochi uomini e incalzato senza tregua dalla truppe italiane, cercò riparo sconfinando nello Stato Pontificio ove sperava di ricevere aiuti come era accaduto per molti altri capi briganti, ma diversamente dalle sue previsioni, venne arrestato dalle guardie pontificie il 25 agosto 1864, e tenuto imprigionato a Roma senza processo fino al settembre 1870, quando a seguito della [[breccia di Porta Pia]] si trovò prigioniero dello stato italiano finendo sotto processo.<ref>Ettore Cinnella, ''Carmine Crocco. Un brigante nella grande storia'', Della Porta, 2010, p.172</ref>
 
=== Il declino ed il contrasto nello Stato Pontificio (1866-1868) ===
{{Vedi anche|Brigantaggio postunitario nello Stato Pontificio|Gendarmeria pontificia|Rivolta del sette e mezzo|Squadriglieri pontifici}}
[[File:Brigante franceschiello.jpg|miniatura|destra|1866: Caricatura di Francesco II come brigante, notare i simboli vaticani sul tipico berretto a cono]]
[[File:Squadriglieri pontifici.jpg|thumb|Squadriglieri pontifici, in assetto di combattimento, ben evidenti le [[ciocia|cioce]] come calzatura d'ordinanza]]
 
Con le sue azioni, il generale Pallavicini aveva raggiunto l'obiettivo strategico principale della lotta contro il brigantaggio, scongiurnado le premesse per una possibile sollevazione generale e militarmente coordinata dei guerriglieri delle province meridionali: l'insurrezione non era ancora terminata, come dimostrò pure la [[rivolta del sette e mezzo]] in una città importante quale [[Palermo]], ma venne meno qualsiasi carattere di azione collettiva, si affievoliva l'appoggio popolare. La resistenza degenerò così, sempre più spesso, in mero banditismo. Nel [[1867]] infatti [[Francesco II delle Due Sicilie]] sciolse il governo borbonico in esilio, anche se l'azione delle bande andava progressivamente diminuendo, vista l'impossibilità di ottenere risultati politici e per non logorarsi in una [[guerra civile]].{{senza fonte}}
 
Alla fine del brigantaggio contribuì anche il cessare dell'appoggio da parte dello Stato pontificio, che per i primi anni costituiva una terra di rifugio ed asilo a tutti quelli che sconfinavano nel suo territorio. Nel 1864 la rivista ''[[La Civiltà Cattolica]]''<ref>Civilta' Cattolica, ''Del brigantaggio del Regno di Napoli'', Anno decimo quinto, Vol. XI, Serie V, 1864</ref> scriveva: "''una delle piaghe più cancrenose del preteso regno d'Italia è il cosiddetto brigantaggio che da quattro anni infierisce nelle province meridionali''", e dopo aver descritto e denunciato le azioni repressive del governo e l'impoverimento delle popolazioni causato dall'incremento dei prezzi e concludeva "''che la cagione del brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo Governo''".
 
Nello stesso Stato pontificio, per meglio combattere il brigantaggio nelle [[provincia di Frosinone]], vennero istituito nel 1865 dal conte [[Leopoldo Lauri]], comandante della [[gendarmeria pontificia]], dei corpi formati da volontari provenienti da zone di montagna - detti [[squadriglieri pontifici]] col vantaggio di essere conoscitori dei luoghi, che arrivò a contare fino a 1443 armati nel 1870.<ref>Cfr. pag. 76 e seguenti in C. Bartoli (1897)</ref> Nel 1867 ''[[La Civiltà Cattolica]]''<ref>''Civiltà Cattolica'', "Cronaca contemporanea Cose Italiane", Anno decimo ottavo, Vol. X, Serie VI, 1867</ref> riportava un [[editto]] del 17 marzo 1867 del [[monsignor]] [[Luigi Pericoli]] - un [[delegato apostolico]] - emanato allo scopo di contrastare il [[brigantaggio]] dalle province di [[Frosinone]] e [[Velletri]]. Il contenuto dell'editto era preceduto dalla premessa che "''tra le miserande conseguenze dell'usurpazione violenta del reame di di Napoli, si ha purtroppo da deplorare già da sette anni, e produsse già troppe rovine, quella del brigantaggio, che imperversa sulle frontiere delle province meridionali dello stato Pontificio, dove si annido' fra le giogaie de' monti e le selve inestricabili, per quinci piombare, quando dall'uno o dall'altra parte dei due stati confinanti, a compiere le più esecrabili ribalderie''". Tra le varie norme introdotte l'editto considerava "conventicola" (vietata) anche la riunione di due soli briganti armati, taglie variabili da 2.500 a 6.000 lire per la consegna o uccisione di briganti e premi in denaro per briganti che consegnino alla giustizia loro compagni (sia vivi che morti), 10 - 15 anni di galera per chi ostacolasse la lotta al brigantaggio, possibile allontanamento dalla provincia di dimora dei familiari di briganti, divieto di muoversi in campagna portando con sé un eccesso di viveri e di indumenti, divieto di assumere come pastori o custodi per il bestiame i parenti di briganti, la chiusura di osterie, case di campagna e distruzione di capanne che potessero servire come rifugio ai briganti.
 
Infine l'articolo della rivista riportava di un accordo verbale, che "''potrebbe riuscire salutare ed efficace''", intercorso tra il comandante delle truppe pontificie e quello delle truppe del [[regio esercito italiano]] che avrebbe permesso alle truppe di uno Stato di sconfinare nell'altro durante l'inseguimento di briganti in fuga, tale accordo noto come "[[Convenzione di Cassino]]", dal nome del paese in cui il 24 febbraio 1867 venne sancito dall'incontro fra il Conte Leopoldo Lauri Maggiore Comandante la 2<sup>a</sup> suddivisione della gendarmeria della provincia di Frosinone e Lodovico Fontana Maggior Generale Comandante la 1<sup>a</sup> zona militare di Cassino<ref name="Cfr G. Martina, p.144 1985">[[Giacomo Martina]], p.144 (1985)</ref>; esso riprendeva quello preesistente stipulato il 4 luglio 1816 tra il governo papale e quello borbonico, che era stato rinnovato e ampliato il 19 luglio 1818.<ref>Vedi pagg. 27 e 30 di Antonio Coppi, ''Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825'' Tip. Salviucci, Roma, 1867</ref>
 
Il 23 maggio 1867, il ministro degli interni vaticani [[Luigi Antonio De Witten]], emise un [[editto]] per combattere il "''brigantaggio, che (qualunque sia la causa ond'è incoraggiato e sostenuto) incominciò ad infestare le province di Frosinone e di Velletri, tenta ora di estendere le sue scorrerie in alcuni dei luoghi compresi nelle altre Province dello Stato pontificio''"<ref>"Giornale di Roma", 23 maggio 1867</ref> in cui estendeva alle "''altre Province, ed ancora nel circondario di Roma e sua Comarca''" le pene e le modalità di lotta al brigantaggio emanate coi precedenti editti specifici per Province di Frosinone (risalente al 1863) e di Velletri (emesso tre mesi prima).
 
In un articolo, nella sezione di cronaca contemporanea, del 25 maggio 1867 ''Civiltà Cattolica'' imputava l'incremento del brigantaggio nelle province pontificie alla fomentazione, da parte dei [[garibaldini]], allo scopo di indebolirne lo stato, aumentare il malcontento della popolazione e facilitare l'invasione dello stato e la conseguente presa di Roma, veniva altresi indicata la cifra di oltre 50 briganti costituitisi dall'inizio dell'anno che, come riportava la rivista:
 
{{quote|senza contar quelli che soccombettero negli scontri, o che cadendo nelle mani della forza insecutrice subirono il rigore delle leggi. Tra questi, per non parlare de'più recenti, ricorderemo i nominati Caprara, Devizi, Capri e Bubboli che subirono l' estremo supplizio nei mesi di Febbraio e Marzo scorso, Mastrantoni e Jorio che lo subirono nel giorno di ieri.<ref>Vedi pag. 617-619, ''Cronaca contemporanea'', Civiltà Cattolica, Anno decimo ottavo, Vol. X della serie sesta, 1867 </ref>}}
 
=== La presa di Roma e la fine (1869-1870) ===
{{Vedi anche|Presa di Roma}}
Nel [[1869]] furono catturati i guerriglieri delle ultime grandi bande con cavalleria e a gennaio [[1870]] il governo italiano soppresse le zone militari nelle province meridionali, sancendo così la fine ufficiale del brigantaggio.{{senza fonte}}
 
Nel 1870, ''Civiltà Cattolica'' pubblicò un articolo intitolato "Il brigantaggio distrutto negli stati pontifici", in cui affermava che ''negli Stati del Papa il brigantaggio è già da più mesi del tutto estinto: oveché negli Stati occupati da Vittorio Emmanuele seguita ad inferocire'', lo stesso articolo, non firmato, ma attribuibile a P. Piccirillo direttore della rivista<ref>"Cfr G. Martina, p. 144, 1985"</ref>, forniva alcune cifre sulla lotta al brigantaggio negli stati pontifici attuata dal novembre 1865, anno in cui la responsabilità dell'ordine pubblico in quegli stati passo' dalle truppe francesi a quelle pontificie, al novembre 1869: 42 uccisi e 23 feriti nelle milizie papaline, 447 briganti catturati, di cui 240 indigeni delle province papaline, 48 briganti uccisi in combattimento ''"oltre i non pochi i quali, mortalmente feriti al lembo della frontiera e trafugati nottetempo, sono iti a spirare nel territorio assoggettato al regno d'Italia"'', 17 fucilati alle spalle, 54 condannati alla galera perpetua e 409 persone arrestate per complicità.<ref>Il brigantaggio distrutto negli stati pontifici, ''Civiltà Cattolica'', pagg. 649-659, anno XXI, Vol. X, serie VII, 1870 [http://books.google.com/books?id=aygFAAAAQAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=falseonline]</ref>
 
Dopo la [[terza guerra d'indipendenza italiana]] e l'annessione del [[Veneto]] nel 1866 e la [[presa di Roma]] nel 1870 la popolazione del regno aumentò da 21,7 milioni di persone nel 1861 a 25,9 milioni nel 1870<ref>I dati sulla popolazione sono tratti dalle pubblicazioni, Tavola 3, dell’Istituto Centrale di Statistica - Sommario di Statistiche storiche dell’Italia 1861-1955 - Roma 1958</ref>. Entrate a Roma le truppe italiane, annesso al [[Regno d'Italia]] il [[Lazio]], trasferito a Parigi nel marzo 1870 [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] ed eliminate le problematiche politiche che avevano osteggiato la pacificazione del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]], cessò anche la necessità di mantenere le zone militari ancora esistenti che furono soppresse proprio nel 1870.<ref>La divisione in diverse zone militari cominciò a funzionare nel novembre 1862 Il Governo non considerando soddisfacenti i risultati ottenuti dai diversi comandi delle zone militari, decise nel 1867 di attribuire al generale Emilio Pallavicini il “Comando generale delle truppe per la repressione del brigantaggio” con giurisdizione [[Terra di Lavoro]], L’Aquila, Molise, Benevento, Salerno, Avellino e Basilicata. Nel 1869 non essendo ancora stato del tutto debellato il brigantaggio nell’Abruzzo Citra, furono istituite anche le zona militari di Vasto e di Lanciano sciolte poi nel 1870 unitamente a tutte le altre zone militari ancora esistenti. Vedi: Cesare Cesari, ''Il Brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870'', Roma, 1920, Ristampa anastatica, Forni Editore, pagg 128-213</ref> Con la fine dello [[stato d'assedio]] non terminarono tuttavia le scorribande brigantesche poiché alcuni malviventi e briganti sopravvissuti agli scontri, continuarono per alcuni anni successivi, anche se per lo più in modo disorganizzato.{{senza fonte}}
 
Nel 1872 Carmine Crocco, divenuto prigioniero del Regno d'Italia, dopo la [[breccia di Porta Pia]], venne processato, il suo procedimento giudiziario durò un anno, si concluse con la sua condanna a morte, ma essendo terminata l'emergenza della lotta al brigantaggio, la pena fu commutata in condanna a vita ai lavori forzati; Crocco morirà nel 1905 sopravvivendo a gran parte dei briganti del suo tempo.
 
== Caratteristiche ==
La ribellione fu condotta - con l'appoggio del governo borbonico in esilio e dello [[Stato Pontificio]] e di esponenti della noibiltà - principalmente da forze del proletariato rurale, ex militari dell'[[esercito delle Due Sicilie]], da renitenti alla leva, disertori ed evasi dalle [[carceri italiane]]<ref>«[[...]] alle preesistenti bande si aggiunsero renitenti di leva, disertori, truppe dell'ex esercito borbonico, evasi dal carcere [[...]] », in ''Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti'', Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1949, vol. VII, p. 850.</ref> che, spinti da diverse problematiche economiche e sociali,<ref>[[Carlo Alianello]], ''La conquista del Sud'', Milano, Rusconi, 1972, p. 247.</ref> si opposero alla politica del nuovo governo italiano. A questi nel primo anno del conflitto si aggiunsero militari di professione, di fede legittimista, assoldati dalla corte borbonica in esilio a Roma.
 
Il brigantaggio in Lucania era manovrato soprattutto da ex murattiani indipendentisti, affiancati dal francese Langlois, che agevolavano il tentativo francese di rendere il Sud ingovernabile e, tramite una conferenza internazionale, toglierlo ai Savoia per assegnarlo alla casata filo-francese dei Murat.<ref>Brigantaggio politico post unitario (1860-1870) di Paolo Zanetov - Arianna Editrice, 2011 - ''[http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41529]'' "Ricordando come la struttura cospirativa lucana fosse in mano ad ex murattiani favorevoli ad una soluzione federalista e indipendentista quale quella auspicata da Napoleone III, non resta che pensare che Francesco II si fosse reso conto che la precedente reazione di aprile diretta dai Comitati e dal legittimista Langlois, probabile agente al soldo dei francesi, si ponesse l’obiettivo di rendere la situazione ingovernabile per procurare un intervento diplomatico europeo che, in luogo di confermare il trono al Borbone, lo assegnasse invece a [[Luciano Murat]], come Napoleone III desiderava."</ref>
 
Il brigantaggio si contrappose dapprima alle milizie civiche, armate dai notabili e dai possidenti meridionali, che assieme agli elementi liberali più ebbero a soffrire della stagione di violenze; poi al [[Regio esercito]], coadiuvato dalla [[guardia nazionale italiana]], che fu massiciamente impegnata nella repressione, ma resasi responsabile di diversi soprusi e violenze sulla popolazione, poiché spesso costutita da soggetti del luogo, ma di dubbia moralità e trascirsi discutibili.{{senza fonte}} Due tra i più famosi comandanti militari della repressione furono [[Enrico Cialdini]], modenese, ed [[Emilio Pallavicini]], genovese. L'azione delle bande, diffusa un po' in tutto il territorio continentale appartenuto all'ex-[[Regno delle Due Sicilie]], è stata definita, a seconda del punto di vista: ''brigantaggio'' secondo la storiografia prevalente, ''rivolta'', se non la prima [[guerra civile]] dell'Italia,<ref>Gilles Pécout, ''Il lungo Risorgimento'', Mondadori, 1999, pag. 238.</ref> come resistenza all'annessione al [[Regno sabaudo]] secondo la [[Revisionismo del Risorgimento#Reinterpretazione del brigantaggio|storiografia revisionista del Risorgimento]], o una rivolta proletaria mancata secondo l'interpretazione [[gramsci]]ana.
 
== I fattori scatenanti ==
Già durante la [[spedizione dei mille]] e dopo il raggiungimento dell'[[unità d'Italia]], diverse fasce della popolazione meridionale cominciarono a manifestare un crescente malcontento verso il processo di unificazione. Ciò era anzitutto generato da un improvviso peggioramento delle condizioni economiche dei braccianti della provincia meridionale, che, abituati ad una condizione economica povera ma sopportabile (caratterizzata da un costo della vita moderato, da una bassa pressione fiscale e dalla libera vendita dei prodotti agricoli)<ref name="ReferenceA">Giustino Fortunato, Il mezzogiorno e lo stato italiano, vol. II</ref> si ritrovarono a dover fronteggiare un nuovo regime fiscale per loro insostenibile e una regolamentazione del mercato agricolo svantaggiosa per loro sotto ogni aspetto.<ref name="ReferenceA"/> Un altro importante motivo che spinse alla rivolta i contadini fu la privatizzazione delle [[terre demaniali]] a vantaggio dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, che così ampliarono legalmente i loro possedimenti in cambio di un maggior controllo del territorio e della fedeltà al nuovo governo. Tutto ciò danneggiava i braccianti agricoli più umili, cioè quelli che lavoravano a giornata con lavoro precario e senza un rapporto di radicamento nel territorio, che con la sottrazione delle terre demaniali da loro utilizzate si ritrovarono a dover vivere in condizioni economiche ancora più disagiate e precarie rispetto al passato<ref name="ReferenceA"/>. A tutto ciò si aggiunse l'istituzione del [[servizio militare]] obbligatorio di massa (tramite [[coscrizione]]) - che precedentemente col governo borbonico era obbligatorio, ma soggetto a sorteggio per il suo svolgersi, ed era evitabile col riscatto - e in quel periodo l'[[organica|organico]] dell'[[esercito delle Due Sicilie]] era in parte costituito da truppe di [[Esercito delle Due Sicilie#Reparti Svizzeri ed Esteri|mercenari svizzeri]].
 
In tale contesto si cominciarono a formare, oltre alle bande di contadini e pastori che si davano al brigantaggio come estrema forma di protesta, anche gruppi organizzati di ex soldati del disciolto esercito borbonico rimasti fedeli alla dinastia dei [[Borbone di Napoli]].<ref>[http://books.google.it/books?id=T3ZrF_5W8LcC&printsec=frontcover&dq=Mezzogiorno,+emigrazione+di+massa+e+sottosviluppo Mario Iaquinta, ''Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo'', pagg. 60-61.]</ref> Tra questi si inserirono anche malviventi e latitanti di vecchia data, adusi a vivere alla macchia. Inoltre, in taluni posti, come risposta ad uccisioni di militari e liberali da parte dei briganti erano avvenute sanguinose rappresaglie da parte dell'esercito di Vittorio Emanuele con eccidi e devastazioni - come il [[massacro di Pontelandolfo e Casalduni]] avvenuto il 14 agosto 1861- che contribuì ad accrescere il risentimento verso il neonato stato italiano.
 
Infine, la formazione del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] era sentita da gran parte della popolazione con forti sentimenti religiosi come una minaccia alla propria [[fede]] cattolica e alle proprie tradizioni. La componente religiosa ebbe un'importanza determinante, perché il Risorgimento sia perché durante il Risorgimento sia perché crebbe una forte connotazione anticattolica, in particolare a causa della [[questione romana]], ragion per cui non poteva godere di un vasto consenso in tutte le classi della popolazione, soprattutto quella rurale, allora intensamente ancorata al proprio sentimento religioso, tanto più che il basso [[clero]], a contatto diretto con queste popolazioni, rafforzava l'idea che i liberali "[[massoneria|massoni]] e senza Dio", volessero abbattere radicalmente la "Santa Madre Chiesa". Inoltre dal vicino Stato pontificio, in cui si erano rifugiati i reali borbonici, arrivarono aiuti e costanti incitamenti (fino al 1867) alla lotta armata senza quartiere contro uno Stato che aveva espropriato i beni dei conventi e minacciava la stessa sopravvivenza del [[potere temporale]] del [[Papa]].{{senza fonte}}
 
=== Le condizioni economiche e sociali ===
[[File:Bandito cosimo mazzeo detto pizzichicchio.JPG|miniatura|destra|Ritratto in foto da studio del capo brigante Cosimo Mazzeo detto "Pizzichicchio"]]
{{vedi anche|Questione meridionale}}
{{Citazione|Il brigantaggio diventa la protesta selvaggia e brutale della miseria contro secolari ingiustizie, congiunta ad altri mali che la infausta signorìa dei Borboni creò e ha lasciati nelle province napoletane: l'ignoranza, la superstizione e segnatamente, la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia.|[[Giuseppe Massari]]}}
 
Negli anni precedenti il 1860 il [[Regno delle due Sicilie]], il più vasto tra gli stati italiani, era considerato abbastanza prosperoso dal punto di vista economico data la presenza sul suo territorio di industrie operanti in svariati settori, agricolo, cantieristico, navale, siderurgico, tessile, dell’industria cartaria, estrattiva, conciaria, e altre di minore importanza.<ref>Vedi anche: M. Topa - Così finirono i Borboni di Napoli - F.lli Fiorentino - Napoli, 1990. Pag 67 e successive</ref>. Malgrado ciò parte degli abitanti di alcune provincie e più in particolare di quelle a connotazione prevalentemente agricola, si trovarono a vivere in condizioni particolarmente disagiate. Ciò anche per gli effetti di una distribuzione della ricchezza favorevole al clero e alle classi abbienti che comportò per i contadini “nullatenenti” una situazione di assoluta povertà<ref>La Commissione di inchiesta sul Brigantaggio individuò anche queste problematiche come fattore scatenante del brigantaggio nel Mezzogiorno d’Italia. Vedi Relazione Massari. Pag. 19 </ref>. A livello infrastrutturale, anche la [[rete ferroviaria]] del regno era molto modestamente sviluppata, benché la [[ferrovia Napoli-Portici]], lunga 7,25 km, fosse stata la prima tratta ferroviaria in Italia. Alla vigilia dell'unità nazionale la rete piemontese assommava a 802&nbsp;km<ref name="Ippolito A">{{Cita|Ippolito, 1988|p. 85}}</ref><ref>Il citato testo di Antonio Cappelletti riporta una lunghezza leggermente differente, 807 km + 50 km ancora in costruzione ad aprile del 1859</ref>, quella del Regno delle Due Sicilie a 128&nbsp;km<ref name="ReferenceC">{{Cita libro|titolo=Storia dei trasporti italiani|nome=Francesco|cognome=Ogliari|volume=21}}</ref><ref>{{Cita|Cappelletti|p. 14}}</ref>.
 
La diversa distribuzione dell’industria sul territorio prevalentemente accentrata nella attuale [[Campania]], la presenza di ampi spazi coperti da [[bosco|boschi]] e foreste, l’esistenza di zone montuose di difficile transitabilità, la mancanza di strade<ref>anche questo aspetto fu analizzato da parte della Commissione di Inchiesta che rese nota la media delle strade esistenti nelle varie provincie. Infatti, sui 1848 comuni del Napoletano ben 1321 non risultarono serviti da strade. Pag. 34</ref>. contribuì ad alimentare le sacche di povertà e di scontento, riflettendosi negativamente anche sul commercio potenzialmente possibile. Economia quindi ancora di natura prevalentemente agricola, solo in parte corretta da una serie di iniziative a carattere industriale agevolate da tariffe doganali di favore. Alle parziali riforme già avviate da [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] per sviluppare l’industria, l’esercito e la marina<ref>Vedi: Il popolo italiano nella storia della libertà e della grandezza della patria Storia Civile Vol. II Vallardi editore, Milano, 1928 pag. 159</ref>, non ne seguirono altre atte a consentire il superamento dei resti del sistema feudale e l’abolizione dei privilegi del Clero. infatti, il [[Clero#Cattolicesimo ed ortodossia|clero]] dotato di ingenti proprietà, oltre ad essere guida spirituale ed elemento cardine per la gestione di alcuni aspetti della convivenza civile, fu anche datore di lavoro, insegnante, e altro. Nelle sue svariate attività sviluppò così una indubitabile influenza sulle classi contadine, disagiate e prevalentemente analfabete, che in molte aree fu amplificata facendo degli ecclesiastici una delle poche fonti, se non l’unica, cui attingere per ottenere e scambiare notizie<ref>Sull’influenza del clero, vedi anche: G. Massari - S. Castagnola. Opera citata Pag. 64</ref>. Le riforme non risultarono utili ad evitare i moti popolari che, fomentati da agenti mazziniani, si svilupparono in [[Sicilia]], nelle [[Calabria|Calabrie]], in [[Basilicata]] e nella stessa [[Napoli]] facendo leva sullo scontento di molti strati della popolazione<ref>Vedi: Il popolo italiano nella storia della libertà e della grandezza della patria Storia Civile Vol. II Vallardi editore, Milano, 1928 pag. 162 e seguenti</ref>.
 
L’esercito, {{chiarire|basato in gran parte sul volontariato e sulla coscrizione obbligatoria}} (da cui era esclusa la Sicilia), con una durata della ferma da 5 a 8 anni, fu particolarmente curato ma anche nelle sue fila si verificarono situazioni di scontento che portarono nel dicembre 1856, all'attentato contro Ferdinando II da parte di [[Agesilao Milano]]<ref>Per l’attentato e sul processo che seguì, vedi anche:A. Savelli, Storia Civile Vol. II. Opera citata. Pag. 161</ref>. Altri avvenimenti di non minore importanza ridussero la fiducia del re nella propria armata intesa anche come strumento di repressione per far fronte a possibili moti popolari.
 
L’arretratezza di alcune provincie dal punto di vista economico non poteva non avere riflessi anche sotto il profilo dell’istruzione pubblica, parzialmente assente e in gran parte affidata alle istituzioni religiose. Infatti nel 1861, le percentuali degli analfabeti nelle regioni meridionali risultarono particolarmente gravi con una punta dell’88,3% nelle provincie di Campania, [[Puglia]], Basilicata e Calabria.<ref>Istituto Geografico De Agostini - Storia d’Italia - Cronologia 1815-1990. Pag.141 </ref>. Questo stato di cose derivò anche dall'incuria nella gestione dell’Istruzione Pubblica da parte delle amministrazioni comunali problema rappresentato anche dalla commissione d’Inchiesta sul Brigantaggio{{citazione|…..in Basilicata quattro o cinque Consigli municipali hanno osato dichiarare in pubblica adunanza non essere necessario di provvedere alla istruzione primaria. Il municipio di Bisaccia in provincia di Avellino ha un'annua rendita di ducati 20 mila: in quel comune, tranne una mediocre scuola maschile, non c'è insegnamento|G. Massari e S. Castagnola, ''Il brigantaggio nelle provincie napoletane'', p. 48}}
 
Ad aggravare il divario già esistente tra le provincie del regno di Napoli e ad appesantire le già precarie condizioni di vita di parte dei suoi abitanti, contribuirono anche una serie di calamità naturali che colpirono il territorio: alcune aventi caratteristica generale e altre riguardanti specifiche zone territoriali. Le pandemie di [[malaria]], [[tifo]] e altre gravi malattie si manifestarono un po’ dappertutto<ref>Con riguardo alle regioni meridionali la relazione della commissione d’inchiesta toccò anche questo argomento. Vedi pag. 105-106</ref>, mentre le cattive condizioni igieniche e l’ignoranza della classe medica non consentirono di far fronte alle [[Storia del colera|epidemie di colera]] che fecero strage nel 1837, nel 1854 e nel 1866. Quest’ultima [[pandemia]], esplosa nel 1865 e che si protrasse fino al 1868, colpì indistintamente tutta l’Italia e in particolare nel mezzogiorno la Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia.<ref>Vedi anche: Istituto Geografico De Agostini - Storia d’Italia - Cronologia 1815-1990. Opera citata. Pag.142 e successive </ref> Per organizzare i cordoni sanitari fu necessario l’intervento dell’esercito che risultò essenziale per isolare i paesi infetti, attuare provvedimenti di quarantena e costituire cordoni sanitari che, nelle zone afflitte dal brigantaggio, crearono ulteriori problemi oltre quelli già esistenti. Alle pandemie si aggiunsero anche il [[terremoto del Vulture del 1851]]<ref>Il terremoto distrusse Melfi e Barile danneggiando anche altri paesi tra cui Rapolla e Rionero in Vulture, Venosa, Atella, Lavello e Ripacandida. Vedi anche: M. Baratta - I Terremoti d’Italia - Torino 1901 - Ristampa anastatica - Forni editore</ref>, nel 1853 l’Irpinia<ref>L'area colpita dal terremoto riguardò il [[principato Citra|Principato Citeriore]] (Campagna, Calabritto, Colliano, Contursi, Serre, Eboli, Baronissi e Nocera) e parte del [[principato Ultra|Principato Ulteriore]] (Teora, Bagnoli Solofra, Ariano, Lioni, Solopaca</ref>, nel 1854 la zona di Cosenza<ref>Il terremoto danneggiò gravemente la città di Cosenza e una cinquantina di paesi e villaggi della provincia Vedi anche: M. Baratta - Opera citata</ref> e il [[terremoto della Basilicata del 1857]] che colpì anche alcune zone della [[Campania]]<ref>Secondo fonti ufficiali, in provincia di Potenza vi furono 9.732 morti e 1.207 nella provincia di Salerno: complessivamente 10.939 vittime. I dati ufficiosi riferivano 19.000 morti, una cifra altissima se si considera che i tre distretti di Potenza, Lagonegro e Melfi, contavano 417.895 abitanti. I feriti furono oltre 9.000. Vedi anche: M. Baratta - Opera citata</ref>. Ciò non bastando, in Campania nel 1861 furono avvertite scosse di terremoto cui seguì l’[[eruzione del Vesuvio del 1861]] che colpì zone già parzialmente disastrate dalle eruzioni del 1822, del 1834, del 1850 e del 1855.<ref>Vedi: G. Guarini e altri - Eruzioni vesuviane del 1850 e 1855 - Napoli 1855</ref>
 
Gli effetti di questi disastri naturali, furono aggravati anche dagli eventi politici che portarono all'Unità d’Italia. Infatti gli interventi di ricostruzione già di per sé tardivi e difficili, furono abbandonati dall'amministrazione borbonica causando nelle aree di riferimento un lungo periodo di stagnazione economica. Suggerimenti per un generale miglioramento della situazione esistente nelle provincie dell’ex Regno delle due Sicilie, vennero avanzati nella relazione della Commissione d’inchiesta sul Brigantaggio che segnalò: {{citazione|....La diffusione della istruzione pubblica, l'affrancazione delle terre, la equa composizione delle questioni demaniali, la costruzione di strade, le bonifiche di terre paludose, l'attivazione dei lavori pubblici, il miglioramento dei boschi, tutti quei provvedimenti insomma che dando impulso vigoroso ai miglioramenti sociali trasformino le condizioni economiche, e valgano ad innalzare le plebi a dignità di popolo|G. Massari e S. Castagnola, ''Il brigantaggio nelle provincie napoletane'', p. 117}}
 
Il mancato superamento delle problematiche economiche e sociali, amplificato dalla propaganda svolta dai comitati borbonici aiutata dall'atteggiamento del clero toccato nei suoi interessi economici, dagli errori commessi dal governo italiano, dalla durezza con cui furono represse le reazioni che si verificarono in talune provincie, creò i presupposti per scatenare la reazione di masse di diseredati che alimentarono le file della guerriglia e del brigantaggio nelle sue varie sfaccettature.<ref>Vedi anche: Storia d’Italia Istituto Geografico d’Agostini Vol. 6° pag 315 e succ.</ref>
 
=== Il servizio militare di leva ===
{{Vedi anche|Servizio militare di leva in Italia|Storia della renitenza alla leva in Italia}}
{{citazione|… dal malcontento nasce il malessere, dal malessere una condizione di cose tutta propizia al brigantaggio; e cosi questo riceve un sussidio perenne, un costante alimento morale|G. Massari e S. Castagnola, ''Il brigantaggio nelle provincie napoletane'', p. 60}}
 
Tra le cause che portarono allo scontento e alle reazioni che si verificarono nelle provincie del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno d’Italia]], è da annoverare l'introduzione del [[servizio militare di leva in Italia]], il cui primo [[bando]] venne emanato il 31 dicembre 1860 con cui si chiamarono alle armi le classi 1857, 1858, 1859 e 1860 con la formula: ''"per continuare la ferma del servizio contratto sotto il cessato governo"''.{{senza fonte}}
 
Con il bando di leva, in presenza di un gran numero di prigionieri di guerra e di un numero ancora più rilevante di sbandati dell’ex esercito di [[Francesco II delle due Sicilie|Francesco II]], il governo italiano voleva coniugare l’esigenza di utilizzare a fini militari anche i soldati borbonici, già presenti al nord, da trasferire per l’inquadramento nei vari depositi dell’[[Italia Settentrionale]], e pensare contestualmente al recupero dei militari sbandati o lasciati in libertà presenti nelle provincie napoletane. Le disposizioni impartite interessarono moltissimi soldati dell’ex esercito borbonico; e ciò in quanto Francesco II, prima dello [[sbarco a Marsala]] di [[Giuseppe Garibaldi]], ricorse a varie operazioni di leva che dal 1857 in poi consentirono il reclutamento<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/reclutamento_%28Enciclopedia-Italiana%29/ per reclutamento si intende il complesso delle disposizioni mediante le quali si provvede alla scelta e alla raccolta degli uomini alle armi, nonché alla determinazione dei loro obblighi di servizio (da enciclopedia Treccani]</ref> di circa 18.000 coscritti per ciascun anno, inquadrando così nella propria armata una forza di circa 72.000 uomini<ref name=autogenerato8 />. A queste reclute, considerate appena sufficienti al completamento dei quadri dell’esercito si aggiunse, per far fronte anche al mancato gettito della Sicilia esente dalla leva, l’arruolamento anche di volontari siciliani stranieri formando con questi ultimi unità particolari come la [[legione ungherese]].<ref name=autogenerato8>Vedi anche: {{Cita|G. De Sivo|p. 411}}</ref>
 
Il provvedimento di chiamata alle armi, con la già citata formula “''per continuare la ferma del servizio contratto sotto il cessato governo''”, obbligava quindi i soldati napoletani facenti parte delle classi 1857, 1858, 1859 e 1860 a ripresentarsi sotto le armi per terminare il periodo di servizio cui erano assoggettati dall'ordinamento borbonico preesistente<ref>A tal proposito vedi a pag. 498 e seguenti: {{cita libro|Mario|Montanari| Politica e strategia in cento anni di guerre Italiane. Vol. I|1996|S.M.E - Ufficio Storico |Roma}}</ref>. Tenuto conto della durata del servizio da prestare al momento del loro arruolamento e cioè 5 anni nel servizio attivo<ref>Il coscritto poteva anche scegliere di prestare un servizio attivo di 8 anni equivalente a quello previsto per i chiamati a servire nelle armi dell’artiglieria, cavalleria e gendarmeria, senza passare poi nella riserva, Vedi anche {{cita libro| Giancarlo|Boeri|L’Esercito Borbonico dal 1830 al 1861 vol. 1°. |1998|S.M.E - Ufficio Storico |Roma}}</ref> e poi 5 anni nella riserva<ref>Terminato il servizio i militari rientravano nella vita civile con l’obbligo di ripresentarsi alle armi in caso di bisogno{{Cita|G. Boeri|p. 4}}</ref> le ultime classi, chiamate da Francesco II nel 1860, avrebbero dovuto quindi completare il loro servizio attivo più o meno tra il 1865 e il 1868 a seconda delle scelte effettuate al momento dell’ingaggio e dei corpi di appartenenza.
 
Esigenze organizzative e scarsa affluenza dei [[coscritti]] che, dopo la visita medica nel deposito generale di Napoli avrebbero dovuto imbarcarsi per Genova, portò alla proroga dei termini previsti per la presentazione che dal 31 gennaio furono spostati al 1º giugno 1861. Oltre tale termine i non presentati sarebbero stati considerati renitenti se reclute, e disertori se già sotto le armi nell'esercito borbonico. Le voci diffuse sulla possibilità di una guerra contro l’Austria, quelle di un prossimo ritorno di Francesco II sul suo trono, la propaganda dei comitati borbonici e del clero, il trasferimento delle reclute per lungo tempo nel nord italia in zone territoriali del tutto sconosciute a gran parte dei coscritti, nonché la prevedibile lontananza dalle famiglie, fece lievitare il malcontento. L’insofferenza alla norma, oltre a provocare fenomeni di renitenza<ref>A seguito del bando del dicembre 1860 si presentarono meno di 1/3 dei coscritti e gran parte dei renitenti cercò di trovare rifugio nelle zone di montagna aggregandosi ad altri emarginati e ingrossando le file dei “briganti”. Vedi anche: Storia d’Italia - Istituto Geografico d’Agostini- Opera citata. pag 315 e succ.</ref>, diede origine a disordini in moltissimi centri delle provincie meridionali. A Napoli nel novembre fu dispersa una dimostrazione femminile promossa contro i bandi di leva e accompagnata dalla affissione di manifesti e volantini inneggianti a Francesco II<ref name=autogenerato43>Vedi anche: {{Cita|G. De Sivo|p. 487}}</ref>; altri episodi si verificarono nelle Puglie, negli Abruzzi, in [[Basilicata]], nei Principati e in altre provincie alimentando la disobbedienza civile che fu duramente repressa, anche fucilando numerosi renitenti alla leva, come avvenne ad esempio a [[Castelsaraceno]], [[Carbone (Italia)|Carbone]], e [[Latronico]]<ref>{{Cita|Tommaso Pedio|p.63}}</ref>.
 
In Sicilia, dove le leggi borboniche sul reclutamento non avevano mai avuto attuazione,<ref>Poiché per disposizioni normative, oltre agli abitanti dell’isola erano considerati esenti dagli obblighi militari anche i figli dei Siciliani domiciliati sul continente. {{Cita|G. De Sivo|p. 29}} </ref> le norme del 1860 e del 1861 furono accolte negativamente dalla popolazione e nella loro gestione crearono non pochi problemi al nuovo stato; e ciò anche per totale carenza della complessa struttura organizzativa necessaria a far fronte alle operazioni di leva. Disordini si verificarono a [[Palermo]], e ìn altri centri tra cui [[Adrano|Adernò]], [[Paternò]], [[Biancavilla]], [[Sciacca]], [[Belmonte Mezzagno]] e a [[Mezzojuso]] dove le truppe, accerchiati paesi e cittadine,rastrellarono i renitenti.<ref name=autogenerato25 /> Nel gennaio 1862 contro gli obblighi derivanti dalla legge sul reclutamento insorse, con un pesante bilancio di morti e feriti e il saccheggio di alcune abitazioni, la popolazione di [[Castellammare del Golfo]] cui fecero seguito consistenti disordini a [[Alcamo]] e [[Sciacca]]<ref name=autogenerato25>Vedi anche: {{Cita|G. De Sivo|p. 491}}</ref>. Alla repressione della insorgenza popolare contribuirono alcune navi da guerra ancorate in rada che fecero fuoco con i loro cannoni contro alcune zone di Castellammare e le truppe della brigata Alpi (51°- 52° fanteria) inviate via mare al comando del generale Pietro Quintini<ref>Pietro Quintini. M.O.V.M., nato a Roma e morto a Terni (1814-1865). Già ufficiale pontificio, dopo essere passato nell'esercito del Regno di Sardegna, partecipò a numerose campagne tra cui quella del 1859. Durante le operazioni del 1860 negli Abruzzi, comandò il 40° fanteria “Bologna”. Fu più volte decorato ottenendo la Croce di Ufficiale dell’O.M.S ad Ancona e quella di Commendatore dell’O.M.S. per la repressione dei moti di Castellammare del Golfo con la seguente motivazione: “Per aver lodevolmente, con molta accortezza, coraggio ed energia, quale Comandante la Brigata Alpi, diretto de operazioni e dato esempio di valore nel ristabilire l’ordine a Castellammare in Sicilia 3 gennaio 1862”. Vedi: O.M. I. Albo d’Oro. Pag. 162 </ref>.
 
La chiamata alle armi provocò numerosi episodi di renitenza (come già detto, duramente repressi)<ref>Alla renitenza era soggetto anche il Regno di Napoli antecedentemente alla annessione. Coloro i quali si sottraevano alla leva, erano tenuti, una volta catturati, a servire per 10 anni, mentre non si procedeva a loro carico se si costituivano{{cita| G. Boeri|p. 116}}</ref> che si verificarono in quasi tutte le provincie dell’ex Regno delle Due Sicilie. Tra i renitenti non mancarono i soldati dell’esercito di Francesco II divenuti capi o gregari di formazioni brigantesche e considerati dopo la mancata presentazione disertori; il richiamo di questi soggetti “fu cagione di grande recrudescenza nelle reazioni, e quindi nel brigantaggio”<ref name=autogenerato41>{{Cita|Castagnola-Massari|p.39-40}}</ref>. Le leve successive a quella del 1861 furono emanate secondo i dispositivi della legge del [[Regno di Sardegna]] promulgata nel 1854 e all'epoca ancora in vigore che, in estrema sintesi, prevedeva per i sorteggiati inclusi nella prima categoria 5 anni di ferma, alcune dispense tra cui quelle concesse agli alunni ecclesiastici, la possibilità da parte di alcuni coscritti di essere esentati dal servizio o di farsi sostituire da altri pagando cifre consistenti.<ref>A questo proposito vedi: {{cita libro| Pietro|Dal Negro|In: L’esercito italiano dall’Unità alla grande Guerra|1980|S.M.E - Ufficio Storico |Roma}}</ref> Se nel 1861 le operazioni di leva non diedero un buon risultato a partire dal 1862 la chiamata alle armi fu sufficiente a coprire il fabbisogno del [[regio esercito italiano]].<ref name=autogenerato41 />
 
Infine, nel 1863 fu possibile dar vita alla prima leva unitaria con regole “nazionali” essendo stata superata la difficoltà di far accettare la coscrizione obbligatoria anche nei territori di recente annessione sprovvisti di legislazioni sulla leva (Romagne, Marche, Umbria e Sicilia), nonché di superare la legislazione preesistente in materia di leva così come vigente prima dell'unificazione: Lombardia, Toscana e la parte continentale dell'ex regno delle Due Sicilie. Non fu comunque possibile azzerare il tasso di renitenza che si attestò intorno all’11,5% anche se in alcune zone territoriali fu nettamente superiore.<ref>A questo proposito vedi: {{cita|P. Dal Negro|p. 433}}</ref>
 
== I territori interessati ==
{{vedi anche|Brigantaggio postunitario nello Stato Pontificio|Guerriglia e brigantaggio postunitario nelle provincie meridionali|Brigantaggio postunitario in Sicilia}}
[[File:Mappa brigantaggio Italia (1860-1870).svg|400px|miniatura|destra|I) [[Provincia di Napoli (1806-1860)|Provincia di Napoli]], II) [[Terra di Lavoro]], III) [[Principato Citra]], IV) [[Principato Ultra]], V) [[Basilicata]], VI) [[Capitanata]], VII) [[Terra di Bari (territorio storico)|Terra di Bari]], VIII) [[Terra d'Otranto]], IX) [[Calabria Citeriore]], X) [[Calabria Ulteriore Seconda]], XI) [[Calabria Ulteriore Prima]], XII) [[Contado di Molise]], XIII) [[Abruzzo Citra]], XIV) [[Abruzzo Ulteriore Secondo]], XV) [[Abruzzo Ulteriore Primo]] e , da XVI a XXII le sette province siciliane. In giallo lo [[Stato Pontificio]]. Il tratteggio copre le aree inizialmente interessate dalla legge Pica]]
All'inizio del 1860 l’Italia era suddivisa in tre grandi blocchi territoriali: [[Regno di Sardegna]], [[Stato Pontificio]] e [[Regno delle due Sicilie]]. Quest'ultimo, per la parte continentale (Domini al di qua del [[Faro di Messina|Faro]]), era suddiviso in 15 provincie: [[Terra di Lavoro]] ([[Caserta]]); [[Provincia di Napoli (1806-1860)|Provincia di Napoli]] ([[Napoli]]); [[Principato Citra]] ([[Salerno]]); [[Principato Ultra]] ([[Avellino]]); [[Basilicata]] ([[Potenza (Italia)|Potenza)]]; [[Capitanata]] ([[Foggia]]); [[Terra di Bari (territorio storico)|Terra di Bari]]. ([[Bari]]); [[Terra d'Otranto]] ([[Lecce]]); [[Calabria Citeriore]] ([[Cosenza]]); [[Calabria Ulteriore Prima]] ([[Reggio Calabria]]); [[Calabria Ulteriore Seconda]] ([[Catanzaro]]); [[Contado di Molise]] ([[Campobasso]]); [[Abruzzo Citra]] ([[Chieti]]); [[Abruzzo Ulteriore Primo]] ([[Teramo]]); [[Abruzzo Ulteriore Secondo]] ([[L’Aquila]])<ref name=autogenerato35>vedi G. De Luca - L’Italia meridionale o l’antico Reame delle due Sicilie - Napoli - 1860</ref>. Le città di [[Pontecorvo]] e [[Benevento]] erano [[enclave]] dello Stato Pontificio. Il Regno comprendeva inoltre i cosiddetti “domini al di là del [[Faro di Messina|Faro]]”, e cioè la Sicilia con le sue sette provincie: [[Palermo]], [[Messina]], [[Catania]], [[Noto (Italia)|Noto]], [[Caltanissetta]], [[Agrigento|Girgenti]] e [[Trapani]]. Ogni provincia era a sua volta suddivisa in distretti<ref name=autogenerato19>Vedi anche: {{Cita|G. De Luca|pag. 4}}</ref>. La difesa territoriale era affidata a numerose [[Fortezza|fortezze]] presenti a [[Napoli]], [[Gaeta]], [[Capua]], [[Pescara]], [[L’Aquila]], [[Civitella del Tronto]]<ref name="">Abruzzi</ref> e in [[Sicilia]] a [[Messina]]<ref> vedi:G. Moroni, ''Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica'', Vol. LXVI, Venezia, 1854, Voce: «Sicilie»</ref>.
 
Lo [[Stato Pontificio]], con capitale [[Roma]], aveva una propria suddivisione amministrativa articolata nelle cosiddette [[Delegazione apostolica|Delegazioni]] e Legazioni apostoliche<ref>Tra cui, la [[Comarca di Roma]], [[Viterbo]], l’[[Umbria]], [[Orvieto]], la [[Sabina]], [[Perugia]], [[Città di Castello]], la [[Marca anconitana|Marca di Ancona]], [[Urbino]], [[Ferrara]], [[Bologna]]. Vedi: G. Moroni, ''Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica'', Vol. XIX, Venezia, 1848. Voce: «Delegazioni e Legazioni apostoliche dello Stato Pontificio» </ref>.
 
Le variazioni intervenute successivamente nella suddivisione amministrativa in [[Regione amministrativa|regioni]], [[Provincia|provincie]], e [[Comune|comuni]], hanno modificato la struttura originaria del territorio trasferendo la dipendenza di città e paesi da una provincia all'altra<ref>Vedi anche F. Cognasso, ''Atlante Storico'', Editoriale Milano</ref>. Questo processo, già nel 1860, toccò la provincia di Benevento, inesistente prima dell'unità. Altre modifiche si sono poi succedute nel tempo quali la scomparsa di [[Terra di Lavoro]], e la creazione delle regioni [[Campania]], [[Lazio]], [[Abruzzo]], [[Puglia]] e [[Calabria]]. Alcuni paesi sono stati accorpati in altri perdendo lo status di comune<ref>I nomi dei comuni non più esistenti sono reperibili anche su: [http://www.comuni-italiani.it]</ref>.
Anche il paesaggio, maggiormente antropizzato è cambiato, talora con notevoli trasformazioni come nel caso di [[Avezzano]] con la bonifica del [[Fucino]], del Lazio con la bonifica dell’[[Agro Pontino]], sia per la creazione di invasi artificiali come del [[Lago del Salto]] e il [[Lago del Turano]]. La trasformazione del territorio ha anche riguardato la costruzione di strade e il parziale disboscamento di ampie aree precedentemente coperte da foreste e spazi di ardua praticabilità.
 
Difficile quindi riconoscere le difficoltà, in alcuni casi estreme, cui si trovarono ad operare truppe della [[Guardia nazionale italiana|guardia nazionale]], [[Brigante|briganti]] e [[Guerriglia|guerriglieri]] ed altrettanto difficile ricostruire integralmente i luoghi dove ebbe origine si sviluppò e combatté il [[Brigantaggio]]. Questo fenomeno tra fasi iniziali e successive interessò quasi tutte le provincie dell'entroterra del regno borbonico annesse al nuovo stato italiano dove le condizioni di vita della popolazione dedita prevalentemente all'agricoltura erano difficili.<ref>Vedi paragrafo: Condizioni economiche e sociali.</ref> Ignoranza, povertà, propaganda diffusa dal clero e dagli agenti borbonici, alimentarono il brigantaggio che risultò più limitato nelle aree meridionali nelle aree urbane e industrializzate, nelle zone agricole più produttive e nell'amplissima fascia costiera del Mezzogiorno e della Sicilia.
 
La relazione sul brigantaggio del 1863 redatta dal parlamentare [[Giuseppe Massari]] riporta: «[...]Nella provincia di Reggio Calabria difatti, dove la condizione del contadino è migliore, non vi sono briganti[...]»<ref>Il brigantaggio nelle provincie napolitane - relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare" - Milano, 1863</ref><ref>[http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Documenti/RelazioneMassari.htm ''Commissione d'inchiesta sul brigantaggio, relazione stralcio di Giuseppe Massari'' da brigantaggio.net]</ref> Massari individuò le provincie di Basilicata e Capitanata, tra le più povere e mal collegate del Meridione, come quelle in cui il «brigantaggio è infierito ed ha raggiunto terribili proporzioni»<ref>Giuseppe Massari, Stefano Castagnola, ''Il brigantaggio nelle province napoletane'', Fratelli Ferrario, 1863, p.17</ref> ed «è più che altrove pertinace»,<ref>Giuseppe Massari, Stefano Castagnola, ''Il brigantaggio nelle province napoletane'', Fratelli Ferrario, 1863, p.47</ref> indicando inoltre come le bande capeggiate da briganti come [[Carmine Crocco]] e [[Michele Caruso]] fossero state «sbaragliate e decimate e talvolta pur quasi interamente distrutte, e frattanto sono sempre risorte».<ref>Giuseppe Massari, Stefano Castagnola, ''Il brigantaggio nelle province napoletane'', Fratelli Ferrario, 1863, p.20</ref>
 
== Aspetti militari ==
[[File:Brigantaggio ex voto bersagliere 1865.jpg|300px|miniatura|destra|[[Ex voto]] di bersagliere ferito dal brigante "Scoppettiello” (Giuseppe Miglionico) di [[Viggiano]], ma scampato alla morte, dedicato alla Madonna di Caravaggio]]
 
=== Le forze in campo ===
{{Vedi anche|Bersaglieri|Guardia nazionale italiana}}
Fin dal 1861 la repressione del brigantaggio venne affidata all'esercito che arrivò a schierare circa i due quinti della sua forza militare, andando da un massimo di 116.799 soldati, nell'ottobre 1863, ad un minimo di 92.984 nel settembre 1864; notevole inoltre il dispiegamento della [[guardia nazionale italiana]]. Tuttavia queste cifre sono discordanti sia nella letteratura che nella valutazione delle forze realmente in campo, per esempio la [[relazione Massari]] riporta per il 1863 la consistenza di 85.940 militari attivi e migliaia di ammalati.<ref> {{Cita|M. D'Elia|pag. 190|M.Elia}} </ref>
 
Al tempo dell'annessione le forze militari presenti nel mezzogiorno erano esigue: circa 1.500 carabinieri e il VI Corpo d'armata del generale [[Giovanni Durando]] con 20.000 militari quasi tutti di presidio a Napoli e nei capoluoghi di provincia, nella campagna e nelle zone montuose vi erano poche centinaia di soldati. Dopo i primi gravi insuccessi il luogotenente [[Gustavo Ponza di San Martino]] iniziò a richiedere con sempre maggior insistenza l'invio di ulteriori truppe a rinforzo, contingenti che il governo era restio a concedere per la minaccia, sempre presente alle frontiere settentrionali, di un possibile attacco austriaco.<ref>{{Cita|G. B. Guerri|pag. 154-155|gbguerri2010 }}</ref>
 
Le truppe impegnate era costituite da 17 [[reggimento|reggimenti]] di [[fanteria]], 22 [[battaglione|battaglioni]] di [[bersaglieri]], 8 reggimenti di cavalleria, i "quarti" battaglioni di ulteriori reggimenti di fanteria e granatieri, ossia singoli battaglioni di reparti che rimasero nelle loro sedi, e supporti di artiglieria e del [[genio militare]]<ref> {{Cita|M. D'Elia|pag. 190|M.Elia}} </ref>.
 
Il [[governo Ricasoli I]] con decreto istituì il 4 aprile 1861, con sede a Napoli il 6º Gran Comando Militare con a capo il generale [[Enrico Cialdini|Cialdini]], a cui rispondevano i comandi divisionali di Napoli, Chieti, Bari, Salerno e Catanzaro organizzati in 16 Comandi provinciali e 38 Comandi distrettuali.
 
=== Limiti operativi ===
La lotta, che si svolse principalmente secondo le tattiche della [[guerriglia]] si rivelò difficile e complessa per il [[regio esercito italiano]], le cui truppe spesso si trovavano ad operare in luoghi a loro sconosciuti, la cui [[topografia]] era invece ben nota agli avversari. Il sottotenente Temistocle Mariotti, del 55º reggimento di fanteria cosi' descrisse la situazione: "''Noi giungevamo colà quasi completamente digiuni di tutto, del clima, della particolare configurazione del terreno, della natura, dell'indole dei costumi, del grado di civiltà abitanti ... Quanto a direttive sanitarie, noi mancavamo affatto di norme e precauzioni igieniche anche le più elementari ... Di carte geografiche della regione neppure parlarne...''". Nelle sue memorie l'ufficiale racconta la morte di tre militari per [[Insolazione (medicina)|insolazione]] durante il trasferimento a piedi da [[Manfredonia]] a Foggia e la perdita di disciplina del reparto che tale marcia comportò, anche a causa dell'equipaggiamento inadeguato: "''13 giugno 1862. I soldati erano muniti di equipaggiamento invernale ... per combattere i 40º all'ombra''".<ref> vedi ''Una pagina del Brigantaggio in Capitanata negli anni 1862-65'', Rivista Militare, 1914 citato da {{Cita|M. D'Elia|pag. 190|M.Elia}}</ref>
 
Le operazioni contro il brigantaggio furono poi rese difficili dal fatto che, a causa della scarsa spesa pubblica borbonica, nelle province meridionali ben 1321 su 1848 comuni erano allora privi di collegamento stradale (ad esempio, 91 su 124 in Basilicata, 60 su 75 nella provincia di Teramo, 92 su 108 in quella di Catanzaro).<ref>[http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/B/40+B.htm BRIGANTAGGIO (I Carabinieri nella campagna contro il Brigantaggio)]</ref>
 
Inoltre ai militari, a partire dal febbraio 1861, venne tolta l'indennità dell'''entrata in campagna'', poiché formalmente non si trovavano in stato di guerra, tanto che gli ufficiali non avevano l'obbligo di adornare le divise con le [[spallina|spalline]] sempre per il medesimo motivo<ref>{{Cita|G. B. Guerri|pag. 152,161|gbguerri2010 }}</ref>.
 
== Le perdite ==
Per quanto la lotta contro il brigantaggio non sia stata considerata una “campagna di guerra“ ma un insieme di operazioni di ordine pubblico e di polizia dirette e coordinate dall'autorità militare,<ref>Vedi anche: {{Cita| E. Scala - S:M:E - Storia delle Fanterie Italiane – Volume III|pag. 465}}</ref> il Regio esercito sopportò un costo molto elevato per le perdite che si verificarono nelle unità impegnate nelle operazioni di contrasto<ref>il Governo non riconobbe l'opera dell'esercito contro il brigantaggio come campagna di guerra e limitò al minimo anche la concessione di ricompense al valore. Vedi anche: {{Cita| E. Scala - S:M:E - Storia delle Fanterie Italiane – Volume III|pag. 465}}</ref>. Secondo i dati riportati dalla Commissione di inchiesta, i caduti dell’esercito nel periodo dal 1861 alla primavera del 1863 furono di 26 ufficiali e 367 soldati<ref>I dati riportati sono quelli indicati dalla Commissione d’Inchiesta sul Brigantaggio e sono da considerarsi parziali non includendo quelli dei periodi successivi. </ref>. L'attendibilità di tali cifre appare dubbia quando si consideri il numero dei militari impegnati nelle operazioni belliche e di contrasto al brigantaggio. Infatti, distaccata nei presidi nel Mezzogiorno un'aliquota delle truppe impiegate nelle operazioni nell'Italia Meridionale, a partire dal 1862 furono inviati notevoli rinforzi<ref>Circa 34.000 uomini in più che si aggiunsero alle truppe di presidio. Vedi anche: {{Cita|C. Cesari - Il Brigantaggio|pag. 126}}</ref>, raggiungendo l'apice nel 1863 con circa 90.000 uomini; numero che diminuì gradatamente fino a 40.000 effettivi nel 1865<ref>Un'altra riduzione avvenne nel 1866, allorché i quarti battaglioni furono richiamati nell'Alta Italia per la guerra contro l'Austria. Vedi anche: {{Cita| E. Scala - S:M:E - Storia delle Fanterie Italiane – Volume III|pag. 471}}</ref>.
 
Il "Risultato della operazioni", rapporto del colonnello Bariola, presentato al Comando Generale 6° Dipartimento Militare di Napoli, riportata i seguenti dati relativi ai primi 9 mesi del 1863:
 
* Omicidi commessi dai briganti: n. 379;
* Sequestri commessi dai briganti: n. 331;
* Capi di bestiame uccisi o rubati: n. 1.821.
 
L’incertezza e la mancanza di informazioni ufficiali sulle perdite effettivamente subite dall'esercito e dagli altri corpi impegnati nelle operazioni di repressione del brigantaggio è del tutto analoga alla incompletezza dei dati riportati da vari autori in ordine ai caduti, agli arrestati e ai presentati nel periodo ricompreso tra il 1861 e il 1865<ref>A tal proposito vedi quanto riportato su {{Cita|F. Molfese|p. 436-437}}</ref>, come evidenziato dalla seguente tabella comparativa (ricavata da 4 fonti bibliografiche):
 
{| border="0" align="center" style="border: 1px solid #999; background-color:#FFFFFF"
|-align="center" bgcolor="#ffbbbb"
! Autore !! Morti !! Arrestati !! Presentati !! Totale
|-bgcolor="#fff0ee"
|G.Massari 1861- 63<ref>{{Cita|G. Massari|p. 136-137}}</ref>
|3.451
|2.768
|932
|7.151
|-bgcolor="#fff0ee"
|F.Molfese 1861- 65<ref>{{Cita|F. Molfese|p. 434-435}}</ref>
|5.212
|5.044
|3.597
|13.853
|-bgcolor="#fff0ee"
|L. Torres 1861 - 63<ref>{{Cita|L. Torres|p. 236}}</ref>
|4.108
|4.496
|3.038
|11.642
|-bgcolor="#fff0ee"
|Maffei 1861-64<ref>{{Cita|C. Maffei - Brigand Life in Italy - London 1865 Vol. II|p. 199 - 309}}</ref>
|4.250
|2.900
|932
|8.082
|-bgcolor="#fff0ee"
|colspan=7| <small>Perdite subite dai Briganti dal 1861 in poi (Fonte: Bibliografia varia sul Brigantaggio - F. Molfese. F. Massari, L. Torres, C. Maffei)
|}
 
Le differenze relative ai numeri riportati sono dovute anche ai diversi periodi considerati dai singoli autori, che comunque partono tutti dal 1861<ref>Da una dichiarazione fatta da [[Alfonso La Marmora]] alla commissione d'inchiesta sul brigantaggio (della quale lo stesso Massari faceva parte) e riferita al medesimo periodo di tempo, si nota che il numero dei briganti uccisi in combattimento, fucilati, o comunque arrestati è di 7.151 (numero indicato da Massari). Il giornale francese "De Naples a Palerme" (1863-64) parla invece di 10.000 napoletani* - intendendosi per tali tutta la popolazione facente parte dell'ex regno delle due Sicilie, che andava dall'Abruzzo meridionale alla Sicilia - fucilati o uccisi in combattimento, più di 80.000 arrestati, 17.000 emigrati a Roma e circa 30.000 nel resto d'Europa</ref>.
[[File:Brigantaggio 1863 morti.svg|miniatura|300px|destra|Statistica morti violente gennaio-settembre 1863]]
 
Un'indicazione statistica sulla quantità di morti, inclusi anche quelli per omicidio da parte dei briganti, e altri danni indotti dal brigantaggio è ricavabile dalle cifre riportate nel "Risultato della operazioni" a firma del colonnello Bariola, del Comando Generale 6° Dipartimento Militare di Napoli, relativamente ai primi nove mesi dell'anno 1863<ref>[http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/B/40+B.htm I Carabinieri nella campagna contro il Brigantaggio]</ref>: 421 briganti uccisi in conflitto, 322 fucilati, 504 arrestati e 250 costituitisi, 228 militari morti in conflitto, 94 feriti ed un disperso, 379 omicidi commessi da briganti, 331 persone sequestrate e 1821 capi di bestiame uccisi o rubati dai briganti.
 
Alle morti in combattimento si aggiunsero quelle dovute alle malattie che colpirono indistintamente le parti contrapposte e su cui pesarono fattori climatici, [[malaria]], [[tifo]] e, tra le altre pandemie, il [[colera]] che colpì l’Italia nel periodo tra il 1865 e il 1867 e provocò un picco piuttosto elevato nelle statistiche generali sulla mortalità<ref>Nel 1867 le statistiche riportarono il decesso di circa 867.000 persone tra uomini e donne contro una media nazionale di circa 745.000 morti/anno negli 5 anni precedenti dal 1862 al 1866. Vedi anche: {{Cita| Sommario di Statistiche storiche dell’Italia |Tav. 15}}</ref>.
{{citazione|… Ai disagi, alle privazioni, agli stenti si aggiungono le malattie, prodotte in gran copia e dalla faticosa vita e dal clima, il quale segnatamente nella stagione estiva, in Capitanata è micidiale. Le febbri, più crudeli dei briganti. mietono tante nobili vite, o maltrattano in guisa da rendere inabili per un pezzo se non per sempre al servizio militare. Il colonnello Migliara, comandante l'8° di linea… ci narrava i seguenti particolari … Su 1800 uomini annoverò talvolta fino a 560 ammalati; in ogni compagnia di 100 uomini non erano disponibili che 35. …..In un solo mese per spossatezza perirono 80 uomini e 3 uffiziali. Nello spazio di pochi mesi la spesa dei medicinali oltrepassò i cinque mila franchi. Mancavano gli ospedali|G. Massari e S. Castagnola, ''Il brigantaggio nelle provincie napoletane'', pp. 105-106}}
 
Se la struttura sanitaria e ospedaliera si rilevò carente per i soldati che operarono nei territori del mezzogiorno d'Italia, sicuramente privilegiati nelle prestazione di cure e ricoveri<ref>Dall’autunno del 1863 a quello del 1864 furono ricoverati in ospedale 47.510 soldati di cui 1.187 morirono per le malattie contratte. {{Cita|G.B. Guerri|p. 157}} </ref>, è da darsi per scontato che risultò ancora meno efficiente per i civili il cui indice di mortalità si mantenne pressoché costante dal 1862 al 1865 incluso. Sempre basandosi sulle statistiche pubblicate relativamente al periodo 1862 - 1865, considerato che la popolazione dell'ex Regno delle Due Sicilie pesava per circa il 42,5% sulla popolazione italiana totale, è stimabile che la mortalità complessiva nell’ex Regno borbonico per tutte le cause fu pari mediamente a circa 315.000 morti/anno di cui 163.000 circa di sesso maschile<ref>I valori assoluti dei morti per anno e per tutta la popolazione del regno furono i seguenti: 1862 = 751.747, 1863 = 760.164, 1864 = 737,136, 1865 = 746.685. Media dei morti indicati dall'Istat 1861-1870 = 763.533 di cui 393.813 maschi. Le medie indicate e i dati assoluti sono inclusivi delle perdite subite dalla popolazione civile per cause naturali, per malattie nonché delle persone decedute per atti di brigantaggio e o a seguito dell’opera repressiva sviluppata dall'esercito e dalle guardie nazionali</ref>.
 
Risulta quindi difficile accettare le cifre riportate in alcuni testi secondo i quali i deceduti per opera della repressione militare, passati per le armi o caduti negli scontri che si verificarono, furono dal 1861 al 1865 circa 73.000 o superiori<ref>Nel quinquennio 1861-1865 si può fare una media di 500 scontri a fuoco che hanno causato nei cinque anni la fucilazione o l’uccisione di 73.000 insorti. {{Cita|A. Pagano|p. 252}}</ref>. Considerando che la fucilazione o l’uccisione in combattimento di briganti e insorti ha riguardato essenzialmente la popolazione maschile è possibile rilevare che i fucilati nel quinquennio avrebbero rappresentato una elevatissima percentuale: circa il 9% dell’intero universo delle morti avvenute nel periodo, pari a circa 815.000 decessi maschili; la stessa percentuale salirebbe al 12,2% valutando la cifra di 100.000 caduti avanzata da altri cronisti e storici<ref>Cronisti e storici locali contano oltre 100.000 caduti fra i meridionali. Vedi: G.B. Guerri - Il Sangue del Sud - 2010 - Mondadori - Milano pag. 91</ref>. [[Pierluigi Ciocca|Ciocca]] nel suo saggio, parlando di "decennale mattanza" stima in circa 20 mila il numero di caduti nel decennio 1860-1870<ref> {{Cita|P.Ciocca|p. 9-21}}</ref>. È opportuno rilevare che tutti i dati indicati sui briganti caduti costituiscono stime esclusive degli autori in assenza di qualsivoglia informazione ufficiale in proposito.
=== Logistica carceraria===
Non ci sono specifiche notizie neanche sul numero di persone arrestate per attività reazionarie, manutengolismo e/o azioni collegabili al brigantaggio; fatte salve le citate statistiche che evidenziano una media di 182.340 persone detenute relativamente al decennio 1861-1870<ref>Vedi anche: {{Cita| Sommario di Statistiche storiche dell’Italia |Tav. 42}}</ref>. Sicuramente la popolazione detenuta fu numerosa tanto da allarmare il Governo italiano che, osservando la pratica di altri paesi europei, già nel 1857 aveva considerato un primo progetto, presto abbandonato, per costituire una [[colonia penale]] sulle coste dell’Africa; ne riprese poi in considerazione l’idea, analizzando varie possibilità: nel 1862 il [[Mozambico]], nel 1864 l'[[Angola]], poi alcune isole nell'[[Oceano Indiano]]. Altre proposte inoltrate da esploratori, viaggiatori e uomini d’affari furono analizzate dal Governo italiano, tra queste: la possibilità di occupare la baia di [[Adulis]]; di ottenere l’isola di [[Gran Natuna]] nel [[Borneo]]; di acquistare il gruppo delle [[Maldive]] nell'[[Oceano Indiano]] oppure alcune isole nelle [[Antille]], ottenere [[Sumatra]], acquistare le [[isole Batiane]] ed infine di raggiungere accordi con il governo indiano per riuscire ad avere l’isola di [[Socotra]]. Nessuna di queste trattative andò a buon fine anche per il successivo abbandono del progetto<ref>vedi anche: {{cita libro|M.A.|Vitale| L’Italia in Africa – Le Esplorazioni|1962|Ministero Affari Esteri|Roma}}</ref>.
 
== Le conseguenze ed i risvolti politici e sociali ==
[[File:Pilone antonio cozzolino.JPG|miniatura|destra|Ritratto in studio del brigante [[Antonio Cozzolino]] detto Pilone, ben riconoscibile il fondale di tela dipinta a imitazione di boscaglia]]
{{Vedi anche|Piemontesizzazione|Questione meridionale}}
 
La maggiore estensione territoriale del Regno d’Italia e l’incremento della popolazione rinvenienti dai processi plebiscitari, non risolse i problemi connessi al processo di integrazione in corso tra le varie regioni sia con riguardo al riordino delle attività nei vari settori economici sia con riferimento alla riorganizzazione dell’apparato burocratico dello Stato, peraltro necessario alla regolamentazione della vita civile<ref>vedi anche: da pag. 511 a 573:{{cita libro|Raimondo|Luraghi| Nuove Questioni di Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia|1969|Marzorati Editore|Milano}}</ref>. L’unificazione doganale e la ''[[piemontesizzazione]]'' della struttura amministrativa del territorio nazionale, utile per uniformità di leggi e regolamenti, danneggiarono le industrie delle provincie del Meridione, che, godendo durante il Regno di [[Francesco II delle Due Sicilie]] di forti dazi protettivi, non riuscirono a mantenersi competitive.<ref>Vedi anche: Denis Mach Smith da: "Storia d'Italia" - Laterza, Bari - 1997</ref>
Al divario industriale, ai danni ricevuti dalla agricoltura e al commercio dovuti anche all'applicazione della [[Legge Pica]] e dei provvedimenti che seguirono, si aggiunse il permanere dell’animosità tra provincie del Nord e del Sud accresciuta dalla difficile situazione economica e finanziaria in cui versò l’Italia anche a seguito della [[terza guerra di indipendenza italiana]]<ref>vedi anche: da pag. 389 a 429:{{cita libro|S.F.Romano|Luraghi| Nuove Questioni di Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia|1969|Marzorati Editore|Milano}}</ref>. Non risultò inoltre eliminata la conflittualità esistente tra le varie classi sociali che, a causa della propaganda filoborbonica e della mancata distribuzione delle terre demaniali, alimentò la reazione popolare dal 1860 in poi comportando numerosi caduti durante il periodo del brigantaggio.
 
In ogni caso le problematiche successive all'unificazione nazionale, che determinarono la nascita della [[questione meridionale]], non consentirono di ottenere condizioni di vita migliori per i ceti sociali meno abbienti che furono costretti in parte ad emigrare. All'emigrazione diretta verso i paesi europei che riguardò inizialmente lavoratori del nord Italia si aggiunse dopo il 1870 anche quella contadina del sud italia che si indirizzò in gran parte verso i paesi extraeuropei.<ref>I dati sulla emigrazione sono pubblicati per anno e per località di destinazione nel {{Cita| Sommario di Statistiche storiche dell’Italia |Tav. 20 - 21}}</ref>
 
== Le immagini fotografiche ==
[[File:Nicola Napolitano.jpg|thumb|destra|Una delle fotografie più note: un [[bersaglieri|bersagliere]] mostra il cadavere di [[Nicola Napolitano]] tenendolo con la mano sinistra per i capelli, per impedire che la testa reclinantisi sul petto impedisca di fotografarne il viso, e con la destra brandisce il fucile come a colpire il brigante col calcio dell'arma]]
{{Citazione|I militari solitamente così avari di immagini, rivelano un'improvvisa prodigalità fotografica durante la repressione del brigantaggio, negli anni successivi all'incontro di [[Teano]]. Ecco che d'un tratto l'impassibilità distante e oggettuale, la veduta silente, sono messe da parte, e i cadaveri prima nascosti vengono ostentati. Ufficiali e soldati collaborano a mettere in posa i fucilati davanti all'obiettivo, organizzano messe in scena in cui gli ancora vivi recitano la parte del brigante.| Giulio Bollati, ''L'Italiano'', Einaudi, Torino, 1983, pp. 142-143.}}
Numerose sono le immagini fotografiche riferenti al periodo del brigantaggio; poiché a quel tempo gli apparecchi fotografici non erano dotati di otturatore ed erano ancora ingombranti e non di rapido uso, non esistono immagini che ritraggano situazioni in movimento o scatto documentari ripresi nel corso di una azione, si tratta o di foto fatte in studio, oppure di scene ricostruite o infine dei cosiddetti "fotomosaici" antenati dei futuri [[fotomontaggio|fotomontaggi]]<ref>Wladimiro Settimelli, ''Le Fotostorie'', [[Patria Indipendente]], [[ANPI]], 10 dicembre 2005</ref>.
 
Le fotografie sul brigantaggio postunitario includono sia immagini di briganti catturati e sia immagini dei cadaveri dei briganti uccisi durante gli scontri o fucilati, a queste si aggiungono ritratti di briganti a figura intera eseguiti in studio e ritratti nel particolare formato "carte de visite".
 
Tra i fotografi attivi viene ricordato [[Raffaele Del Pozzo]], di [[Montecorvino Rovella]], attivo nel salernitano sia con fotografie in loco, che ritratti eseguiti nel carcere che fotografie fatte a latitanti<ref>Ugo Di Pace, ''Raffaele Del pozzo - Fotografo dei Briganti'', pp. 107-176 saggio in Johann Jakob Lichtensteiger, ''Quattro mesi fra i briganti (1865/66)'', Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1984,</ref>.
 
Le pubbliche esecuzioni e l'esibizione esemplare dei giustiziati (pratica piuttosto diffusa nel [[XIX secolo]]), anche sotto forma di fotografia, furono largamente impiegate come monito a chi appoggiava o favoriva il brigantaggio e anche per distruggere il mito della loro invincibilità.
 
Il valore di queste fotografie è stato rivalutato a distanza di più di un secolo del loro scatto, per il loro significato documentario, secondo Ugo Di Pace «''In pochi altri paesi occidentali si verificò nell'800 una rivolta sociale come quella del Mezzogiorno; in pochi altri paesi, in quegli anni, i fotografi furono impegnati a rappresentare visivamente una classe sociale emarginata e cacciata fuori dalla storia. Vista in tale luce, la produzione fotografica dei briganti acquista un pregio di rarità e per una tragica e sfortunata contingenza storica possiamo dire di essere l'unico paese a conservare, seppure in maniera approssimativa, immagini di valore davvero notevole. E in questa cornice va collocata l'opera ... che ha saputo dare alle popolazioni salernitane una rappresentazione visiva dei loro antenati, che se non fossero stati briganti, ironia della sorte, non avrebbero avuto neppure il premio di essere fotografati''»<ref> [http://roccobiondi.blogspot.com/2008/01/raffaele-del-pozzo-fotografo-dei.html Raffaele Del Pozzo - Fotografo dei Briganti, di Ugo Di Pace]</ref>.
 
== Corrispondenza epistolare ==
[[File:Lettera ricatto brigante cosimo giordano.JPG|300px|miniatura|destra|Lettera minatoria di [[Cosimo Giordano]] al capitano Amato della Guardia Nazionale di [[Pietraroia]]:<small>Signor Capitano O voi mantati [''allontanate''] la guardia nazionale e i soldati dal paesi che per ora si sono partiti le baccino [''mucche''] o appresso poi vi distruggi tutto di nuovo vi prego di levare la forza dal paesi se no altrimenti la mia compagnia basta a ad ardere il paesi</small>]]
=== Lettere dei briganti ===
I briganti non si limitarono ad azioni contro i rappresentanti dello stato unitario, ma scrivevano messaggi e lettere di richiesta e di minaccia a benestanti e personalità locali, sia per ottenere denari e beni materiali e sia per indurre le autorità locali ad azioni che indebolissero l'autorita' del governo italiano. Alcune lettere sono presenti nel saggio “Piemontisi, Briganti e Maccaroni” di Ludovico Greco<ref>[http://www.ebay.it/itm/Brigantaggio-Risorgimento-PIEMONTISI-BRIGANTI-E-MACCARONI-di-Ludovico-Greco-/160842841851#ht_887wt_998 ebay.it]</ref>.
 
Lettera inviata al sindaco di [[Balsorano]]:
 
* Signor Sindaco. Alla vista della suddetta si alzi la voce del vostro augusto, sovrano, e si togliono le bandiere di Savoi, e si alzano quelle di Francesco Borboni se non altrimenti il paese sarà dato saco e fuoco e pronte di trovare duemila razioni di pane e formaggio, pronti nella mia venuta in Balsorana. 30 giugno 1861. Il Tenente generale in capo CHIAVONE<ref name=TPL> [http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Documenti/RichiesteMinacce.htm brigantaggio.net] URL consultato in data 26-02-2014</ref>.
 
Lettera inviata ad un certo don Francesco:
 
* Carissimo don Francesco, al momento mi dovete mandare la somma di Ducati due mila (2000), senza mancare un giorno i quali dovete ancora a mio padre e suo compagno Coppa. Dovete mandarli metà d'oro e metà d'argento e mandare anche due botti e vi raccomando di mandarli subito, seno vi mando all'elemosina. Senò vorrei morire disgraziato e lo giuro davanti a Dio. Infine, poche parole e fatti assai. Allora se conosce il nome del generale. Carmine Crocco Donatelli<ref name=TPL/>.
 
Lettera inviata a proprietarie di una masseria:
 
* Carissima donna Innocenza e donna Chiara Perez. Che mi avete a darmi 200 piastre, tutte le spese della settimana. E me le avete far trovare, se no io t'ardo la masseria al ritorno. Non so altro che dirvi. Sono Giuseppe Nicola La Veneziana<ref name=TPL/>.
 
Lettera inviata al curato del comune di [[Conza della Campania]]/br>
* A S.E. Il Signor - Signor Cantore corati nel comune di Consa.
Comanto militare - Per la Grazia di Dio Re nostro Francesco II Signore se volete la pace del vostro paese mantate costà leimplemo [''togliete le insegne''] del ladro Vittorio emmanuele almomento Bantiera e dal tro Se poi siete sordi al mio parlare iltuo paese sarà brugiato fragiorni. il Tenente Colonnello - V. damati<ref name=TPL/>.
 
=== Lettere dei sequestrati ===
Alcune lettere scritte dai sequestrati, le seguenti lettere sono state pubblicate anche nel periodico trimestrale “Vicum” nel 2000<ref>[http://www.associazionemancinivicum.org/base.asp?http_request=indice&id=31&anno=2000 Sequestri di persona nel brigantaggio postunitario (Ziccardi Carmine) Vicum, marzo-settembre 2000]</ref>.
 
* Mia cara moglie ...sono recapitato nelle mani dei briganti, pretendono da me ducati seimila se non mi mandate detta somma verrà la mia testa da voi. Vi racco mando massima secretezza, e non fare muovere la Guardia o altra forza del Paese perché vedendo uomini di forza potrò essere ucciso...<ref>[http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/storia/altre/Andretta/sequestrati.htm brigantaggio.net sequestrati] URL consultato in data 25-02-2014</ref>
 
* Cari genitori Vi prego di mandarmi al più presto possibile la somma di dotati Ventimila se volete rivedermi nella paterna casa. Io soffro i più grandi disaggi, dormo sul nudo suolo, stiamo eternamente digiuni... Mandate dunque il denaro se non volete che sia mutilato di un orecchio...<ref>[http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/storia/altre/Andretta/sequestrati.htm brigantaggio.net sequestrati] URL consultato in data 25-02-2014</ref>
 
== Il dibattito storiografico ==
{{C|paragrafo scritto in modo poco organico, senza un filo conduttore che segua un dibattito storiografico, come il titolo lascerebbe supporre|storia|dicembre 2014}}
{{Vedi anche|Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento|Revisionismo del Risorgimento}}
[[File:Battipaglia brigands.jpg|thumb|upright=1.6|[[Battipaglia]], 1865: cattura del [[grand tour|viaggiatore inglese]] W.J.C. Moens. Liberato dopo il pagamento di 30000 [[Ducato (moneta)|ducati]] (5100 lire), raccontò la sua avventura nel libro ''English travellers and Italian brigands'', Hurst and Blackeet Publisher, Londra, (1865)]]
[[File:Banda manzo.JPG|miniatura|350px|destra|Ritratto in studio della banda Manzo, eseguito da Raffaele Del Pozzo, poco prima della loro costituzione]]
{{Citazione|... Qui, o Signora, io sento battere colla stessa veemenza il mio cuore, come nel giorno, in cui sul monte del [[Sacrario di Pianto Romano|Pianto dei Romani]], i vostri eroici figli faceanmi baluardo del loro corpo prezioso contro il piombo borbonico! ... E Voi, donna di alti sensi e d'intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai cari vostri superstiti delle benedizioni, con cui quelle infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! Ebbene, esse maledicono oggi coloro, che li sottrassero dal giogo di un dispotismo, che almeno non li condannava all'inedia per rigettarli sopra un dispotismo più orrido assai, più degradante e che li spinge a morire di fame. ... Ho la coscienza di non aver fatto male ; nonostante, non rifarei oggi la via dell' Italia Meridionale, temendo di esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della spregevole genia che disgraziatamente regge l' Italia e che seminò l'odio e lo squallore la dove noi avevamo gettato le fondamenta di un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato.|[[Giuseppe Garibaldi]] ad [[Adelaide Cairoli]], [[1868]].<ref>Citato in ''Lettere ad Anita ed altre donne'', raccolte da G. E. Curatolo, Formiggini, Roma 1926, pp. 113-116. http://dbooks.bodleian.ox.ac.uk/books/PDFs/300061937.pdf on line]</ref>}}
 
{{Citazione|Fino all'avvento della Sinistra al potere, Lo stato italiano ha dato il suffragio solo alla classe proprietaria, è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di «briganti».|[[Antonio Gramsci]] in [[Avanti!]], 18 febbraio [[1920]]<ref>La frase di Gramsci è tratta da un articolo intitolato “Il lanzo ubriaco”, pubblicato sull'edizione piemontese dell'“Avanti!”, anno XXIV, n. 42, 18 febbraio 1920 (editoriale). L'articolo è stato raccolto nel volume di Antonio Gramsci: L'Ordine nuovo 1919-1920, a cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1987, (la citazione si trova a pag. 422)</ref>}}
 
Diversi storici hanno proposto di rivedere i capitoli che riguardano l'insegnamento di alcune pagine del passato di questa pagina della [[storia d'Italia]]. {{cn|La storiografia ha offerto visioni spesso ocntrapposte e contrastanti con la versione governativa dell'epoca. Molti storici hanno sostenuto le varie tesi omettendo o all'opposto esagerando ossia strumentalizzando il numero delle vittime che non è valutabile poiché non documentabile quindi esistono solo stime.}}
 
L’ex ufficiale dell’[[esercito pontificio]] [[Giulio Cesare Carletti]], nella sua opera ''L'esercito pontificio dal 1860 al 1870'' affermò che le bande di briganti meridionali, in fuga dall’ex Regno di Napoli, perché pressati e inseguiti dal Regio Esercito Italiano e dalla Guardia Nazionale, si riversavano all’interno della parte meridionale dello Stato Pontificio, compiendovi ogni genere di crimini, furti, rapine, violenze alle fanciulle, atti che risulterebbero incompatibili con il presunto status di partigiani, che taluni revisionisti vorrebbero assegnare a tali bande criminali. Nel libro si illustra come, nel periodo 1864-1967, l'esercito pontifico, coadiuvato dal corpo antibriganti "Squadriglieri", dovette sostenere una lunga e dura lotta contro le numerose incursioni delle grosse bande ex borboniche, che sconfinando facevano razzie e commettevano delitti nei territori del Lazio meridionale, attività non configurabili come lotta antisabauda.<ref>[L'ESERCITO PONTIFICIO dal 1860 al 1870”, Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904, pagg.39-40-41 https://archive.org/stream/lesercitopontif00carlgoog#page/n41/mode/2up “L'ESERCITO PONTIFICIO dal 1860 al 1870”, Giulio Cesare Carletti, Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904, pagg. 39-40-41]</ref>
 
Resta comunque da rilevare il fatto che il brigantaggio postunitario anti-sabaudo fu un fenomeno quasi esclusivamente relativo al sud Italia, mentre non si è verificato negli altri stati pre-unitari annessi, come osservò [[Francesco Saverio Nitti]], che affermò come il brigantaggio fosse un fenomeno endemico nel sud preunitario:
 
{{quote|ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì.<ref>Francesco Saverio Nitti ''Eroi e briganti'' (edizione 1899) pag. 9</ref>}}
 
In relazione alla tesi che vede i briganti meridionali come sostenitori della dinastia borbonica o comunque come anti-sabaudi, si osserva che, dopo il 1870, la fine del brigantaggio nel meridione non fu seguita dalla nascita di alcun movimento anti-sabaudo ad oltranza, come ad esempio l'IRA irlandese, che con la sua attività riuscì nel 1922 a conseguire l'indipendenza di gran parte delle contee irlandesi dal dominio inglese, inoltre la tesi, che vede il sud ostile ai Savoia dopo l’unità, non spiega il fatto che con la [[nascita della Repubblica Italiana]], in occasione del referendum del 2 giugno 1946, fu il sud a votare a grande maggioranza in favore della monarchia sabauda, mentre il nord votò per la repubblica, e dal 1946 al 1972 i partiti monarchici (poi confluiti nel [[Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica]] (PDIUM)), ottennero consensi soprattutto nel Meridione e a Napoli, dove, in occasione del referendum del 1946, in [[Via Medina]] diversi cittadini napoletani morirono nella cosiddetta [[Strage di via Medina (1946)|strage di via Medina]], durante gli scontri a sostegno della monarchia sabauda.<ref>Marco Demarco, ''L'altra metà della storia: spunti e riflessioni su Napoli da Lauro a Bassolino''. Guida Editori, 2007</ref><ref>La strage di via Medina nel 1946 a Napoli, ''[http://www.monarchia.it/via_medina_special.html]''</ref><ref>[http://www.ilgiornale.it/news/quei-monarchici-napoli-uccisi-anche-storia.html Quei monarchici di Napoli uccisi anche dalla storia da ilgiornale.it]</ref>
 
== Letteratura ==
[[File:Carlo bartolini brigantaggio stato pontificio.jpg|250px|miniatura|destra|Copertina del libro di Bertolini, a sinistra sono disegnati quattro militari di differenti corpi pontifici, sopra il titolo un gruppo di briganti nascosti fra alberi]]
 
Il brigantaggio postunitario è stato oggetto di [[letteratura]] di stampo [[memorialistica|memorialistico]], già quando il fenomeno era ancora in pieno sviluppo, come testimoniato da scritti redatti da soggetti che ebbero ruolo di primo piano nell'attività, ma anche da testimoni occasionali.
 
Nel 1861 viene pubblicato il diario che Borjes scrisse durante la sua spedizione, nel 1864 [[Alessandro Bianco di Saint-Joroz]] scrive "Il Brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863" in cui unisce i suoi ricordi e le sue impressioni come ufficiale del regio esercito unitamente ad alcune sue considerazioni sul brigantaggio e sulla lotta allo stesso, mentre nel 1865 esce a Londra ''English travellers and Italian brigands'' il racconto di W.J.C. Moens un viaggiatore inglese rapito dai briganti della banda Manzo vicino Pompei a scopo di riscatto e rilasciato dopo il pagamento dello stesso, e poco dopo esce ''Quattro Mesi fra i Briganti 1865/66'' (''Vier Monate unter den Briganten in den Süditalien'')", scritto dallo svizzero Johann Jacob Lichtensteiger, disegnatore di tessuti, rapito assieme ad altre tre persone tra cui l'industriale tessile Fritz Wenner, durante un'incursione nel salernitano, sempre ad opera della banda Manzo<ref>[http://www.giornaledelcilento.it/it/10-11-2011-conoscere_i_briganti_la_loro_umanit_agrave_il_cibo_i_giochi-10043.html#.VJAnVSuG_rk Conoscere i briganti: la loro umanità, il cibo, i giochi]</ref>.
 
Nel 1876 [[Antonio Stoppani]] pubblica [[Il Bel Paese]] in cui descrive nei capitoli "Serata XIII" e "Serata XIV" un suo viaggio compiuto per studiare la fattibilità di un impianto industriale, a [[Tocco da Casauria]] area nell'Abruzzo sottoposta alla minaccia di attacchi di briganti, oltre a descrivere il clima di timore che pervadeva la spedizione, informa che, pochi mesi dopo il suo viaggio, due persone che l'accolsero furono uccise dai briganti in una incursione nel paese e l'ingegnere incaricato di sviluppare l'industria venne rapito. L'ufficiale in congedo del regio esercito Angiolo de Witt pubblica nel 1884 le sue memorie intitolate "Storia politico militare del brigantaggio nelle province meridionali d'Italia", nel 1897 Carlo Bartolini, ufficiale pontificio, pubblica "Il brigantaggio nello stato pontificio" che, oltre ad una sua analisi del fenomeno, contiene molti aneddoti ed episodi sul suo servizio nella lotta anti-brigantaggio, lo stesso anno viene pubblicato "Cenni sul brigantaggio - Ricordi di un antico bersagliere" a [[Roux]], 1897 di Carlo Melegari (il libro inizialmente è pubblicato con autore anonimo), a sua volta il famoso capo brigante Carmine Crocco in carcere scrive, e viene pubblicata nel 1903, una discussa autobiografia.
 
Dopo quasi mezzo secolo di relativo oblio il libro di memorie "[[Cristo si è fermato a Eboli (romanzo)|Cristo si è fermato a Eboli]]" di [[Carlo Levi]] uscito nel 1945 contiene numerosi ricordi e racconti di testimoni viventi al tempo di [[Ninco Nanco]], raccolti dallo scrittore durante il periodo del suo confino in [[Lucania]].
 
Nel 1992 venne poi pubblicato, a cura della Pro Loco di [[Delebio]], "Mi toccò in sorte il n. 15 - Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo", costituita da ricordi scritti rimasti in un cassetto per circa un secolo di un bersagliere che partecipò alla campagna contro il brigantaggio, questo memoriale ha attirato l'interesse degli storici in quanto Margolfo fu testimone narrante del [[massacro di Pontelandolfo e Casalduni]]<ref>Silvana Rapposelli, ''Mi toccò in sorte il numero 15'', Lineatempo - Rivista online di ricerca storica letteratura e arte - n. 16/2010 [http://www.diesse.org/detail.asp?c=1&p=0&id=5273 online]</ref>. Nel 2001 viene pubblicato "Memorie di guerra e brigantaggio: diario inedito di un garibaldino (1860-1872)", sono le memorie ritrovate del garibaldino, poi bersagliere Gaetano Ferrari<ref>[https://books.google.it/books?id=xy5NYgEACAAJ&hl=it&source=gbs_ViewAPI&redir_esc=y Memorie di guerra e brigantaggio: Silvana Rapposellidiario inedito di un garibaldino (1860-1872)]</ref>
 
== Nell'arte ==
=== Cinematografia ===
<!-- L'elenco in questo paragrafo è stato ripulito da film su briganti o personaggi non attinenti al brigantaggio post unitario, l'elenco farlocco si trova riprodotto pedissequamente in vari siti, non deve essere reintrodotto -->
* ''[[Il brigante di Tacca del Lupo]]'' ([[1952]]) regia di [[Pietro Germi]].
* ''[[I briganti italiani]]'' ([[1961]]) regia di [[Mario Camerini]].
* ''[[L'eredità della priora]]'' ([[1980]]), regia di [[Anton Giulio Majano]].
* ''[[Briganti - Amore e libertà]]'' ([[1993]]) regia di [[Marco Modugno]].
* ''[[Li chiamarono... briganti!]]'' ([[1999]]) di [[Pasquale Squitieri]].
* ''[[Carmine Crocco, dei briganti il generale]]'' ([[2008]]) di Niccolò Bruna.
* ''[[Il generale dei briganti]]'' ([[2012]]) di [[Paolo Poeti]].
 
== Note ==
{{references|3}}
 
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore=G. De Luca| titolo=L’Italia meridionale o l’antico Reame delle due Sicilie|Napoli|1860|Napoli}}
* {{cita libro|Autore ignoto| titolo=La reazione avvenuta nel distretto di Isernia| Stamperia Nazionale|1861|Napoli}}
* {{cita libro|autore=[[Marc Monnier]]|titolo=Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di frà Diavolo sino ai giorni nostri, aggiuntovi l'intero giornale di Borjès finora inedito|città=Firenze|editore=G. Barbera|anno=1863}}
* {{cita libro| autore=G. Massari - S. Castagnola|titolo= Il Brigantaggio nelle province napoletane|1863 Milano|Ristampa anastatica - Forni editore}}
* {{cita libro|autore=A. Maffei|titolo=Brigand life in Italy : a history of Bourbonist reaction, Vol I & II|città=Londra|editore=Hurst and Blackett|anno=1865}} Il primo volume è la traduzione del testo di M. Monnier, il secondo originale di Maffei.
* {{cita libro|autore=A. Bianco di Saint-Joroz|titolo=Il Brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863|G.Daelli & C editori|1864|Milano}}
* {{cita libro| autore=G, Oddo | titolo=Il Brigantaggio o la dittatura dopo Garibaldi|1865|Milano}}
* {{cita libro|autore=G. De Sivo|titolo=Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 - Vol. II|1868|Trieste}}
* {{Cita libro|autore=Carlo Bartolini|titolo=Il brigantaggio nello stato pontificio|città=Roma|editore=Stabilimento tipografico dell'opinione|anno=1897}}
* {{cita libro|autore=[[Marc Monnier]]|titolo=Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco|città=Lecce|editore=Capone}}
* {{cita libro|autore=Cesare Cesari|titolo=Il Brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870|1920| Roma|Ristampa anastatica - Forni editore}}
* Francesco Saverio Nitti ''Eroi e briganti'', edizione 1899.
* Giulio Cesare Carletti "''L'esercito pontificio dal 1860 al 1870''”, , Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904.
* {{cita libro|Ministero della Guerra - S.M.E - Ufficio Storico|titolo=L’Assedio di Gaeta|1926|Roma}}
* {{cita libro|Ministero della Guerra - S.M.E - Ufficio Storico|titolo=La Campagna di Garibaldi nell’Italia Meridionale |1928|Roma}}
* {{cita libro|Enciclopedia Militare|Opera in sei volumi|Il Popolo d’Italia|Milano}}
* {{cita libro| M. Cianciulli|titolo= Il brigantaggio nell’Italia Meridionale| Off. Grafiche Mantero|1937|Tivoli}}
* {{Cita libro|autore=[[Francesco Saverio Nitti]]|titolo=Eroi e briganti|città=Milano|editore=Longanesi|anno=1946}}
* {{cita libro|Stato Maggiore dell’Esercito - Ispettorato dell’Arma di Fanteria - E.Scala.|Storia delle fanterie italiane Vol. VII|I Bersaglieri|1952|Roma}}
* {{cita libro|Stato Maggiore dell’Esercito - Ispettorato dell’Arma di Fanteria - E.Scala.|Storia delle fanterie italiane Vol. III|Le Fanterie nel periodo napoleonico e nelle guerre del risorgimento|1954|Roma}}
* {{cita libro|autore=P. Soccio|titolo=Unità e brigantaggio in una città della Puglia|Edizioni scientifiche italiane |1960|Roma}}
* {{cita libro|autore=[[Franco Molfese]]|titolo=Storia del brigantaggio dopo l’Unità|editore=Giangiacomo Feltrinelli Editore|anno=1966}}
* {{cita libro|autore=[[Franco Molfese]]|titolo=Il brigantaggio meridionale post-unitario: I. Le "Reazioni" dell'autunno 1860-inverno 1861|rivista=Studi Storici |volume= Anno 1|numero= 5 pp. 944-1007|mese=Ott-Dic|anno=1960| editore=Fondazione Istituto Gramsci|cid=F.Molfese(1960)}}
* {{cita libro|autore=[[Franco Molfese]]|titolo=Il brigantaggio meridionale post-unitario: II. La rivolta contadina del 1861|rivista=Studi Storici |volume= Anno 2|numero= 2 pp. 298-362|mese=Apr-Giu|anno=1961| editore=Fondazione Istituto Gramsci|cid=F.Molfese(1961)}}
* {{Cita libro|autore=[[Aldo De Jaco]]|titolo=Il brigantaggio meridionale: cronaca inedita dell'Unità d'Italia|editore=Editori Riuniti|anno=1969}}
* {{Cita libro|autore=Vincenzo Carella|titolo=Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l'Unità|editore=Grafischena|città=Fasano|anno=1974}}
* {{cita libro|autore=[[Gaetano Cingari]]|titolo=Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900)|editore=Editori Riuniti|città=Reggio Calabria|anno=1976}}
* {{Cita libro|autore=Francesco Barra|titolo=Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815)|città=Salerno|editore=S.E.M.|anno=1981}}
* [[Tommaso Pedio]] ''Brigantaggio e questione meridionale'', in edizione aggiornata, 1982
* {{Cita libro|autore=Antonio Lucarelli|titolo=Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818)|editore=Longanesi|città=Milano|anno=1982}}
* {{cita libro|autore=Antonio Lucarelli|titolo=Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860 - Il sergente Romano|editore=Longanesi|città=Milano|anno=1982}}
* {{cita libro|autore= Touring Club Italiano|Annuario Generale dei Comuni e delle frazioni d’Italia |1985|Milano}}
* {{cita libro|autore=Giuseppe Bourelly|titolo=Il Brigantaggio dal 1860 al 1865|editore=Osanna|città=Venosa|anno=1987}}
* {{cita libro|autore=Salvatore Costanza|titolo=La Patria armata. Ribelli e mafiosi nel tramonto del brigantaggio sociale|città=Trapani|editore=Arti grafiche Corrao|anno=1989}}
* {{cita libro|autore=Timoteo Galanti|titolo=Dagli sciaboloni ai piccioni - Il "brigantaggio" politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865|città=Sant'Atto di Teramo|editore=Edigrafital|anno=1990}}
* {{Cita libro|autore=[[Carlo Alianello]]|titolo=La conquista del Sud: Il Risorgimento nell'Italia Meridionale|editore=Edilio Rusconi|città=Milano|anno=1994|ISBN=978-88-18-70033-6}}
* {{Cita libro|autore=[[Carmine Donatelli Crocco]]|titolo=Come divenni brigante - Autobiografia|curatore=Mario Proto|città=Manduria|editore=Lacaita|anno=1995}}
* {{cita libro|autore=Ferdinando Mirizzi|titolo=Briganti, arrendetevi!: Ricordi di un antico bersagliere|città=Venosa|editore=Osanna|anno=1996|ISBN=978-88-8167-093-2}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Calabria ribelle. Brigantaggio e sistemi repressivi nel Cosentino (1860-1870)|città=Milano|editore=FrancoAngeli|anno=1996}}
* {{Cita libro|autore=Alberico Bojano|titolo=Briganti e senatori|editore=Alfredo Guida Editore|città=Napoli|anno=1997|ISBN=978-88-7188-198-0}}
* {{cita libro|autore=D. Lugini|titolo= Reazione e Brigantaggio nel Cicolano Dopo l’unità d’Italia (1860-1870)| A. Polla Editore|1997|Rieti}}
* {{cita libro| autore=P. Di Terlizzi|titolo=I carabinieri e il brigantaggio nell’Italia meridionale 1861-1870|Levante Editori |1997|Bari}}
* {{cita libro|autore=Aldo De Jaco|titolo=Briganti e piemontesi: alle origini della questione meridionale|editore=Rocco Curto Editore|anno=1998}}
* {{Cita libro|autore=[[Denis Mack Smith]]|titolo=Storia d'Italia|editore=Giuseppe Laterza e figli|città=Roma-Bari|anno=2000|ISBN=88-420-6143-3}}
* {{cita libro|autore=Giovanni De Matteo|titolo=Brigantaggio e Risorgimento - Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia|città=Napoli|editore=Alfredo Guida Editore|anno=2000|ISBN=978-88-7188-345-8}}
* {{Cita libro|autore=Aldo De Jaco|titolo=Dopo Teano: Storie d'amore e di briganti|editore=Lacaita|anno=2001|ISBN=978-88-87280-72-2}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono|città=Galatina|editore=Congedo Editore|anno=2001|ISBN=978-88-8086-402-8}}
* {{cita libro|autore=Giovanni Saitto|titolo=La Capitanata fra briganti e piemontesi|editore=Edizioni del Poggio|anno=2001}}
* {{cita libro|autore=Francesco Gaudioso|titolo=Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario|città=Galatina|editore=Congedo|anno=2002|ISBN=978-88-8086-425-7}}
* {{cita libro|autore=Mario Iaquinta|titolo=Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo|editore=Luigi Pellegrini Editore|città=|anno=2002|ISBN=978-88-8101-112-4}}
* {{Cita libro|autore=[[Francesco Mario Agnoli]]|titolo=Dossier Brigantaggio. Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità|editore=Controcorrente|città=Napoli|anno=2003|ISBN=978-88-89015-00-1}}
* {{cita libro|autore=[[Josè Borjes]]|titolo=Don Josè Borges, generale catalano e guerrigliero borbonico, Diario di guerra|curatore=Valentino Romano|città=Bari|editore=Adda|anno=2003}}
* {{cita libro|autore=Josè Borjes|titolo=La mia vita tra i Briganti|curatore=Tommaso Pedio|città=Manduria|editore=Lacaita}}
* {{Cita libro|autore=Carmine Donatelli Crocco|titolo=La mia vita da brigante|curatore=Valentino Romano|città=Bari|editore=Adda|anno=2005|ISBN=978-88-8082-585-2}}
* {{cita libro|autore=Josè Borjes|titolo=Con Dio e per il Re. Diario di guerra del generale legittimista in missione impossibile per salvare il Regno delle Due Sicilie|città=Napoli|editore=Controcorrente|anno=2005|ISBN=978-88-89015-33-9}}
* {{cita libro|autore=[[Luigi Capuana]]|titolo=La Sicilia e il brigantaggio|curatore=Carlo Ruta|editore=Edi.bi.si.|città=Messina|anno=2005}}
* {{cita libro|autore=Salvatore Scarpino|titolo=La guerra cafona: Il brigantaggio meridionale contro lo Stato unitario|città=Milano|editore=Boroli Editore|anno=2005|ISBN=978-88-7493-059-3}}
* {{Cita libro|autore=[[Gigi Di Fiore]]|titolo=Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento|città=Milano|editore=Rizzoli Editore|anno=2007|ISBN=978-88-17-01846-3}}
* {{Cita libro|autore=Michele Ferri e Domenico Celestino|titolo=Il brigante [[Chiavone]] - Storia della guerriglia filoborbonica alla frontiera pontificia (1860-1862)|editore=Centro Studi Cominium|città=|anno=1984}}
* [[Giacomo Martina]], ''Pio IX, Volume 1'', Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1985
* Salvatore Scarpino, ''La mala unità'', Cosenza, Effesette, 1987
* {{cita libro|titolo=Carmine Crocco - Memorie|A cura di Valentino Romano|Mario Adda Editore |1998|Bari|ISBN 88-8082-289-6}}
* {{cita libro|autore=V. Santoro |In Nome di Francesco Re|Capone Editore|1999|Lecce}}
* {{cita libro|autore=Michele Ferri|titolo=Il brigante [[Chiavone]] - Avventure, amori e debolezze di un grande guerrigliero nella Ciociaria di Pio IX e Franceschiello|editore=APT - Frosinone|città=|anno=2001}}
* {{cita libro|autore=Antonio Pagano|titolo=Due Sicilie 1830/1880. Cronaca della disfatta|Capone Editore|2002|Lecce|ISBN 88-8349-037-1}}
* {{cita libro | nome= Giordano Bruno| cognome= Guerri|wkautore= Giordano Bruno Guerri|titolo=Il sangue del sud| anno=2010 | editore= Mondadori | città= Milano|cid=GBGuerri2010}}
* Angela Guzzetti, ''I ribelli del sud'', Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2011.
* Giorgio Candeloro ''Storia dell'Italia moderna, Volume 11'' Feltrinelli editore, 2011
* {{cita libro | nome= Michele| cognome= D'Elia| titolo= Nascita e affermazione del Regno d'Italia| anno=2013 | editore= Circolo REX | città= Roma|cid=M.Elia}}
* {{cita pubblicazione | wkautore = Pierluigi Ciocca|nome= Pierluigi| cognome= Ciocca| titolo= Brigantaggio ed economia nel mezzogiorno d'italia, 1860-1870 |rivista=Rivista di storia economica |volume= XXIX|numero= 1|mese=aprile|anno=2013 | editore=Il Mulino | città= Bologna|cid=P.Ciocca}}
* {{Cita libro|nome=Felice|cognome=Ippolito|titolo=Amici e maestri, Lo stato e le ferrovie, pag.85 e seg.|anno=1988|editore=edizioni Dedalo|città=Bari|cid=Ippolito, 1988}}
* {{cita libro|nome=Antonio|cognome=Cappelletti|titolo=Trattato elementare di costruzione delle strade ferrate italiane|anno=1872|editore=Galle e Omodei editori e libraj|città=Milano|cid=Cappelletti, 1872}}
 
== Voci correlate ==
{{div col|2}}
* [[Assedio di Gaeta (1860)]]
* [[Assedio di Civitella]]
* [[Banditismo]]
* [[Battaglia di Acinello]]
* [[Battaglia del Macerone]]
* [[Battaglia del Volturno]]
* [[Bersaglieri]]
* [[Brigantaggio postunitario in Sicilia]]
* [[Brigantaggio postunitario nello Stato Pontificio]]
* [[Borbone delle Due Sicilie]]
* [[Brigantaggio]]
* [[Casa Savoia]]
* [[Fatti di Bronte]]
* [[Gendarmeria pontificia]]
* [[Giuseppe Massari]]
* [[Guardia nazionale italiana]]
* [[Guerriglia e brigantaggio postunitario nelle provincie meridionali]]
* [[Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento]]
* [[Enrico Cialdini]]
* [[Legge Pica]]
* [[Massacro di Pontelandolfo e Casalduni]]
* [[Piemontesizzazione]]
* [[Presa di Roma]]
* [[Questione meridionale]]
* [[Risorgimento]]
* [[Regio esercito italiano]]
* [[Regno d'Italia (1861-1946)]]
* [[Regno delle Due Sicilie]]
* [[Revisionismo del Risorgimento]]
* [[Riforma agraria]]
* [[Rivolta del sette e mezzo]]
* [[Rivolta di Montefalcione]]
* [[Servizio militare di leva in Italia]]
* [[Spedizione dei Mille]]
* [[Spedizione di Borjes]]
* [[Squadriglieri pontifici]]
* [[Stato d'assedio]]
* [[Stato Pontificio]]
* [[Storia della renitenza alla leva in Italia]]
{{div col end}}
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons=Category:ItalianTotemsky brigands}} {{interprogetto|q=brigantaggioDistrict}}
 
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* [http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/b_brigantaggio.htm Il Brigantaggio] - I.D. I.S. (Istituto per la Dottrina e l'Informazione sociale)
* [http://www.valledelsalto.com/la-reazione-moti-reazionari-nel-cicolano-20.html Brigantaggio in Abruzzo]
* [http://www.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=262 Fatti di Brigantaggio]
* [http://www.morronedelsannio.com/sud/brigantaggio.htm Brigantaggio, legittima difesa del Sud] di Marina Carrese
* [http://www.morronedelsannio.com/sud/editto_otranto.jpg Editto della provincia di Otranto] del [[1862]] contro i briganti.
* [http://www.ilbrigantechiavone.it Il Brigante Chiavone su www.ilbrigantechiavone.it]
* [http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41529- Brigantaggio politico post unitario (1860-1870)] di Paolo Zanetov - Arianna Editrice, 2011
 
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[[Categoria:Storia del Cilento]]
[[Categoria:Storia della Sicilia post unitaria]]