Giusnaturalismo e Maoming: differenze tra le pagine

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{{S|centri abitati del Guangdong}}
{{quote|Il diritto di natura, che gli scrittori chiamano comunemente ''jus naturale'', è la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cioè della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il mezzo più idoneo a questo fine.<ref>Thomas Hobbes, ''Leviatano'', Editori Laterza, Roma-Bari 2011, p. 105.</ref>|[[Thomas Hobbes]], ''Leviatano'', capitolo XIV.|Jus naturale est libertas, quam habet unusquisque potentia sua ad naturae suae conservationem suo arbitrio utendi, et per consequens illa omnia, quae eo videbuntur tender, faciendi.<ref>Thomas Hobbes, ''Leviathan sive De Materia, Forma, et Potestate Civitatis Ecclesiasticae et Civilis'', Joannem Bohn, Londra 1841, p. 102.</ref>|lingua=la}}
{{Divisione amministrativa
|Nome = Maoming
|Nome ufficiale = {{zh}} 茂名 (Màomíng)
|Panorama = 玉都公园看飞鹰 - panoramio.jpg
|Didascalia =
|Bandiera =
|Stemma =
|Stato = CHN
|Grado amministrativo = 2
|Tipo = [[città-prefettura]]
|Divisione amm grado 1 = Guangdong
|Amministratore locale = Li Hongjun
|Data elezione =
|Amministratore locale 2 =
|Data elezione 2 =
|Data istituzione =
|Latitudine decimale = 21.665556
|Longitudine decimale = 110.920833
|Altitudine =
|Abitanti = 5817753
|Note abitanti =
|Aggiornamento abitanti = 2010
|Sottodivisioni =
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|Divisioni confinanti =
|Lingue =
|Prefisso = +86 (0)668
|Fuso orario =
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|Nome abitanti =
|PIL =
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|PIL procapite PPA =
|Immagine localizzazione =
|Mappa = ChinaGuangdongMaoming.png
|Didascalia mappa =
}}
'''Maoming''' ([[lingua cinese|cinese]]: 茂名; [[pinyin]]: Màomíng), detta anche You Cheng (città dell'olio) è una città a livello di prefettura della provincia cinese del [[Guangdong]], situata nella parte sud-occidentale della provincia.
 
Al centro è percorsa dal [[fiume Jin]], ad est è delimitata dal [[fiume Yang]], a ovest confina con il territorio di [[Zhanjiang]], a nord con il territorio di [[Yunfu]], città a livello di prefettura appartenente alla provincia autonoma del [[Guangxi]]. A sud è bagnata dal [[mar cinese meridionale]].
Per '''giusnaturalismo''' o '''dottrina del diritto naturale'''<ref name=Fas30>{{Cita|G. Fassò|p. 30.|Fas1}}</ref> (dal latino '''''ius naturale''''', «diritto di natura») s'intende la corrente di pensiero giusfilosofica che presuppone l'esistenza di un diritto universalmente valido e immutabile, fondato su una peculiare idea di [[natura]]<ref>{{Cita|A. Falzea|pp. 38-41.|Falz}}</ref>, preesistente a ogni forma storicamente assunta di [[diritto positivo]]<ref name=AdGrVe>{{Cita|F. Adorno; T. Gregory; V. Verra|pp. 218-221.|AdGrVe}}</ref> e in grado di realizzare il miglior ordinamento possibile della società umana.<ref name=AbbDiz>{{Cita|N. Abbagnano|pp. 621-622. voce ''Diritto''.|Dizfilos}}</ref> Secondo la dottrina giusnaturalistica il diritto positivo non si adegua mai completamente alla legge naturale, perché esso contiene elementi variabili e accidentali, mutevoli in ogni luogo e in ogni tempo: i diritti positivi sono realizzazioni imperfette e approssimative della norma naturale e perfetta.<ref name=AbbDiz/>
==Evoluzione storica==
Le prime riflessioni sul diritto naturale sono rinvenibili già nel [[Filosofia greca|pensiero greco]] [[età classica|classico]] e, specificamente, nello [[stoicismo]], dunque nel [[cristianesimo]] antico e [[Medioevo|medievale]]. Però, con maggior proprietà, s'intende per giusnaturalismo la corrente di pensiero filosofico-giuridica maturata fra il [[Seicento]] e il [[Settecento]] che ha rielaborato il concetto classico di diritto naturale interpretandolo in chiave razionalistica e [[Umanesimo|umanistica]].<ref name=AdGrVe/> Benché la fine della storia della scuola moderna del diritto naturale si faccia coincidere con la morte del [[Immanuel Kant|Kant]] avvenuta nel [[1804]], poiché, come scrive il [[Guido Fassò|Fassò]] nella sua ''Storia della filosofia del diritto'', la promulgazione nello stesso anno del [[codice napoleonico]] «sanciva positivamente i princìpi [del diritto naturale, dando vita] all'indirizzo ad esso opposto, il [[positivismo giuridico]]»<ref name=Fas2-330>{{Cita|G. Fassò|p. 330.|Fas2}}</ref>, il ricorso alle idee di questa scuola si ripresenterà anche nei secoli successivi al [[XVIII]], già con [[Johann Gottlieb Fichte|Fichte]]<ref name=Fas2-330/> e, successivamente, dopo le [[Guerra mondiale|guerre mondiali]] del [[Novecento]]<ref>{{Cita|N. Bobbio|pp. 14-16, 155-157.|Bobbio2}}</ref>. Tuttavia, già a partire dal [[V secolo]] [[Avanti Cristo|a.C.]], si delineano le tre tendenze che caratterizzeranno le varie correnti giusnaturalistiche che nel corso dei secoli si svilupperanno, ossia:<ref name=Fas30/>
* quella che presuppone una legge giusta e assolutamente valida, superiore alle leggi positive perché dettata da una volontà sovraumana (cosiddetto ''giusnaturalismo volontaristico'');<ref name=Fas30/>
* quella che intende la legge naturale come istinto comune a ogni animale (cosiddetto ''giusnaturalismo naturalistico'');<ref name=Fas30/>
* quella che interpreta la legge di natura come dettame della ragione (cosiddetto ''giusnaturalismo razionalistico'').<ref name=Fas30/>
===Il giusnaturalismo dell'età classica===
====Le origini della riflessione sul diritto naturale: la Sofistica====
{{vedi anche|Sofistica}}
[[File:Salvator_Rosa_-_D%C3%A9mocrite_et_Protagoras.jpg|200px|left|thumb|Protagora di Abdera (al centro) fu il primo a chiamarsi Sofista e maestro di virtù.<ref name=Abb90>Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. I. Il pensiero greco e cristiano: dai Presocratici alla scuola di Chartres'', Utet, Torino 1993, p. 90.</ref>]]
L'origine della ricerca filosofica intorno a un diritto ispirato ai valori della natura risale ai [[presocratici]]; tuttavia, entro tale novero è necessario distinguere fra i primi naturalisti e i [[Sofisti]], poiché i primi, conferendo un ordine razionale tratto dalla esperienza giuridica e politica alla natura fisica, le assegnano un'oggettività universale preesistente all'uomo e a cui ogni norma positiva, per essere considerata giusta e obbligatoria, deve conformarsi,<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 25-26.|Fas1}}</ref> mentre i Sofisti, mossi da un profondo razionalismo quasi [[Illuminismo|illuministico]]<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 26.|Fas1}}</ref>, percepiscono i valori in chiave umanistica e, pur essendo permeati di [[relativismo]], pongono – per usare le parole di [[Protagora]] – l'uomo come «misura di tutte le cose»<ref>{{Cita|Diels-Kranz|80, B1.|DK}}</ref><ref>{{Cita|G. Fassò|p. 21.|Fas1}}</ref>, considerandolo non più come un elemento della natura o dell'essere (e, dunque, abbandonando una prospettiva [[Ontologia|ontologica]]), bensì nei suoi caratteri peculiari, donde deriva una considerazione [[Antropologia|antropologica]] della filosofia.<ref name=Abb90/>
 
== Altri progetti ==
Furono i Sofisti a formulare in termini filosofici ciò che già [[Sofocle]] rappresentò nell<nowiki>'</nowiki>''[[Antigone (Sofocle)|Antigone]]'', ossia il possibile contrasto fra le leggi non scritte (gli ἄγραπτα κἀσφαλῆ Θεῶν νόμιμα o ''ágrapta nόmima'' nella [[Tragedia greca|tragedia]]) e quelle promulgate dallo Stato (il νόμος o ''nόmos''), riferendosi però, a differenza di Sofocle, al rapporto antinomico fra un «giusto per natura» (''phýsei díkaion''), corrispondente alle naturali esigenze razionali dell'uomo, universali e permanenti, non già alla legge divina, e un «giusto per legge» (''nόmoi díkaion''), frutto dell'umana volontà legislatrice, come tale contingente e variabile.<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 26-27.|Fas1}}</ref>
{{interprogetto}}
 
Come si è dianzi detto, il pensiero dei Sofisti appare caratterizzato dal relativismo e ciò comporta che presso ogni appartenente a questa corrente vi siano vedute diverse, non solo nel campo [[Gnoseologia|gnoseologico]], ma anche nell'[[etica]].<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 23, 25.|Fas1}}</ref> Una tale eterogeneità di interpretazioni del «giusto per natura» è immediatamente percepibile sol che si abbia presente il dialogo [[Platone|platonico]] ''[[Gorgia (dialogo)|Gorgia]]'', ove il sofista [[Callicle]] sostiene la caducità delle leggi positive, frutto della volontà dei più deboli riuniti per soverchiare la naturale superiorità dei più forti<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 27-28.|Fas1}}</ref>, e la loro contrarietà al diritto di natura, il quale postula, sia fra gli animali sia fra gli Stati, «che il migliore prevalga sul peggiore e il più capace sul meno capace», costituendo questo il «criterio della giustizia».<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 27, nota 5: «Platone, ''Gorgia'', 38-39, 483b-484a».|Fas1}}</ref> Callicle (della cui vera esistenza non può non dubitarsi, restando comunque fermo che Platone possa aver tradito alla posterità il pensiero di un sofista veramente vissuto)<ref name=Fas28>{{Cita|G. Fassò|p. 28.|Fas1}}</ref> concepisce dunque il diritto naturale come un istinto naturale, identificantesi con la forza bruta. Questa concezione – che sarà ricorrente nella storia del pensiero – può essere denominata ''naturalistica in senso stretto'', avendo riguardo solo all'aspetto ferino dell'umanità e trascurante quello razionale. Una natura, questa rappresentata nel dialogo platonico, oggettiva ed esterna, subìta passivamente dai consociati che ad essa si adeguano.<ref name=Fas28/>
 
Fermo restando l'irriducibile contrasto fra il giusto per natura e quello per legge, una diversa idea ispira l'opera di sofisti come [[Ippia di Elide]], che intenderà tutti gli uomini «consanguinei, parenti, concittadini», non per legge, ma per natura, perché «la legge, tiranna degli uomini, alla natura fa molte volte violenza»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 29, nota 7: «Platone, ''Protagora'', 24, 337b».|Fas1}}</ref>, o come [[Alcidamante]] che, secondo quanto riportato da [[Aristotele]] nella ''[[Retorica (Aristotele)|Retorica]]'', avrebbe affermato l'originaria libertà di tutti gli uomini, perché «nessuno la natura ha fatto schiavo».<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 29, nota 8: «Aristotele, ''Retorica'', I, 13, 1373b, scolio».|Fas1}}</ref> Per [[Antifonte]], invece, «la maggior parte delle cose giuste secondo la legge sono in opposizione con la natura», perché per natura il singolo individuo perseguirebbe il suo giovamento personale, mentre la legge lo impedisce, essendo le norme di questa «convenzionali», ossia «frutto di un accordo», e derivando dal loro rispetto la «giustizia».<ref>{{Cita|Diels-Kranz|87, B44, A 1-4.|DK}}</ref> Dalla sua riflessione Antifonte Sofista inferisce che «per natura tutti siamo uguali in tutto, barbari e Greci. [...] Infatti, tutti respiriamo l'aria con la bocca e con le narici, e mangiamo con le mani tutti»<ref>{{Cita|Diels-Kranz|87, B44, B 2.|DK}}</ref>, intendendo che tutti gli uomini attendono alle necessità naturali allo stesso modo.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 29.|Fas1}}</ref>
 
Se al Sofista Callicle si è imputato un eccessivo realismo, a pensatori come Ippia, Alcidamante e Antifonte non può non imputarsi il vizio dell'astrattismo, derivante dall'impostazione razionalistica della loro filosofia, la quale intende la natura come frutto della ragione, come norma che l'uomo dà a sé, obbedendo alla sua essenza.<ref name=Fas30/>
 
====Diritto e natura nel pensiero di Aristotele====
{{vedi anche|Aristotele}}
[[File:Aristotle Altemps Inv8575.jpg|150px|right|thumb|Aristotele di Stagira.]]
Pur non prestando molta attenzione al rapporto fra «giusto per natura» e «giusto per legge», Aristotele si serve di questa distinzione tratta dalla Sofistica<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 72.|Fas1}}</ref> e l'adopera nel [[Etica Nicomachea#Libro V|libro V]] dell<nowiki>'</nowiki>''[[Etica Nicomachea]]'', ove dice che il giusto «naturale è quello che ha dovunque lo stesso potere e non dipende dall'opinare o dal non opinare, legale è quello che in origine non fa differenza se sia in un certo modo o in un altro, ma, quando viene formulato, fa differenza<ref>{{Cita|Aristotele|p. 496, nota 498: «Il Parafrasaste, 101, 28, e Stewart, 492-493, intendono il passo nel senso che, prima della formulazione del giusto legale, l'atto non è né giusto né ingiusto; Rackham, 293, e Irwin, 133, invece intendono che, prima della formulazione, l'atto è giusto, ma non ha importanza se venga realizzato in un certo modo o in un altro, mentre dopo l'accordo sulla quantità diviene giusto solo l'agire in un certo modo particolare. L'esempio, il sacrificare una capra e non due pecore, si adatta meglio alla seconda interpretazione».|EtNic}}</ref> (per esempio, quando si stabilisce che il riscatto sia due mine, o di sacrificare una capra e non due pecore)»<ref name=Ar1134b>{{Cita|Aristotele|V, 1134b.|EtNic}}</ref>. Tuttavia lo Stagirita, dopo aver illustrato la differenza fra giusto per natura e giusto per legge, prosegue stabilendo che, nonostante alcuni ritengano il giusto per natura immutabile, perché, «proprio come il fuoco che brucia sia qui che in Persia», mantiene la sua validità ovunque, «presso di noi ci sono cose che, pur avendo anche la caratteristica di essere per natura, ciononostante sono del tutto mutevoli»<ref name=Ar1134b/>. Una simile conclusione è segno inequivocabile dell'attaccamento di Aristotele all'esperienza concreta, alla storia, ed è altresì manifestazione di rifiuto dell'astrattismo e dell'universalismo.<ref name=Fas73>{{Cita|G. Fassò|p. 73.|Fas1}}</ref> Attaccamento all'esperienza mondana riproposto anche in un luogo della ''Grande Etica'', ove si dichiara che «giusto per natura è ciò che rimane costante nella maggioranza dei casi»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 73, nota 37: «Aristotele, ''Grande Etica'', I, 33, 1195a».|Fas1}}</ref>, rifiutando l'universale immutabilità del diritto naturale.
 
Il tema del diritto naturale è affrontato dallo Stagirita anche nella ''Retorica'' ove distingue fra la legge propria di ciascun popolo (''nόmos ídios''), scritta o meno, e quella comune a tutti i popoli (''nόmos koinόs'')<ref name=Fas73/>, osservando che «esiste un giusto e un ingiusto comune per natura, che tutti riconoscono, anche se non vi sia stato nessun reciproco rapporto né convenzione. È quello che appar proclamare anche l'Antigone di Sofocle, quando afferma che è giusto seppellire Polinice in quanto ciò è giusto per natura»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 73, nota 38: «Aristotele, ''Retorica'', I, 10, 1368b, e 13, 1373b [...]».|Fas1}}</ref>. In questa sede Aristotele, tuttavia, forse perché l'argomento incentrato sulle definizione retoriche non permetteva troppe divagazioni, non tratta del possibile contrasto fra giusto per legge e giusto per natura.<ref name=Fas73/>
 
Del rapporto antinomico fra giusto per natura e per legge, anche se in modo fuggevolissimo, lo Stagirita tratta invece nella ''Grande Etica'', stabilendo che è sua intenzione occuparsi specificamente del giusto nella società e nello Stato (''politikόn díkaion''), che è esclusivamente giusto per legge, ma che tuttavia il giusto per natura è «migliore» (''béltion'') di quello per legge.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 73, nota 39: «Aristotele, ''Grande Etica'', I, 33, 1195a».|Fas1}}</ref>
 
Data la laconicità di Aristotele sull'argomento, è difficile comprendere quale senso attribuisse alla natura, anche se è immediatamente possibile escludere che identificasse natura e ragione<ref name=Fas73/>, perché la ragionevolezza – da quanto scrive nella ''[[Politica (Aristotele)|Politica]]'' – è prerogativa della sola legge positiva, in quanto essa è «intelletto senza appetito»<ref>{{Cita|Aristotele|III, 16, 1287a.|ArPol}}</ref>. Per natura lo Stagirita intende ciò che avviene nei fatti, perché è per natura che si formi la famiglia, ossia che l'uomo e la donna si uniscano, dato che è naturale per gli uomini «come per gli altri animali e piante il mirare a lasciare un qualche altro essere simile a sé»<ref>{{Cita|Aristotele|I, 2, 1252a.|ArPol}}</ref>. È altresì per natura che gli atti a comandare comandino e quelli ad obbedire obbediscano, com'è per natura che nasca «dall'unione di più famiglie volte a soddisfare un bisogno non strettamente giornaliero» il villaggio e dalla «comunità perfetta di più villaggi» la città, «istituzione naturale». E «da ciò è chiaro che la città appartiene ai prodotti naturali, che l'uomo è un animale che per natura deve vivere in una città»<ref>{{Cita|Aristotele|I, 2, 1252b.|ArPol}}</ref>.
 
Il riferirsi di Aristotele alla natura, ossia alla natura fattuale della società del suo tempo, spiega il perché dell'esistenza di chi «è naturalmente schiavo». La schiavitù nel pensiero aristotelico può, infatti, derivare da due condizioni: da un difetto d'intelligenza che spoglia l'uomo della sua umanità e lo rende utile solo in virtù della sua forza fisica; da un irrinunziabile giovamento che la società trae dal lavoro degli schiavi.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 74.|Fas1}}</ref>
 
Dunque, può concludersi che Aristotele, allorché si riferisce alla natura, intende esprimere la naturalità delle cose del suo tempo, senza alcun riferimento a idealità astratte. Se lo si vuole annoverare fra i giusnaturalisti per i suoi sporadici richiami a un «giusto per natura», bisogna conferire alla natura un senso radicato alla storia, non già eterno e immutabile.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 75.|Fas1}}</ref>
 
====L'antica ''Stoá''====
{{vedi anche|Stoicismo}}
[[File:Zeno of Citium - Museo archeologico nazionale di Napoli.jpg|150px|left|thumb|Zenone di Cizio.]]
Secondo la scuola stoica (che deriva il suo nome dal greco ''[[Stoà Pecile|stoá]]'', ossia dal portico in cui [[Zenone di Cizio]] le diede i natali)<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 80.|Fas1}}</ref> l'universo è mosso dal ''lόgos'', principio universale e divino, che è la Ragione (con evidente richiamo alla dottrina [[Eraclito di Efeso|eraclitea]]).<ref name=Fas81>{{Cita|G. Fassò|p. 81.|Fas1}}</ref> La visione stoica è [[Panteismo|panteistica]] perché presuppone l'esistenza di un Dio animatore dell'universo, che ne detta la legge; e questa legge è ragione, la stessa che caratterizza l'essenza umana.<ref name=Fas81/> La legge disciplinatrice dell'universo ha qui un significato complesso, perché rappresenta ad un tempo l'essere dalla natura (comprendente anche l'uomo come elemento del cosmo), ossia la legge fisica, e il suo dover-essere, ossia la legge etica o giuridica, giungendo infine all'identificazione concettuale dei momenti che la costituiscono. Gli Stoici dunque, confondendo l'aspetto ''fenomenologico'' della legge naturale, ossia quello che considera ciò che realmente accade secondo la fisica, e l'aspetto ''deontologico'', ossia quello che riguarda le prescrizioni dei doveri, considerano una natura che disciplina se stessa.<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 81-82.|Fas1}}</ref>
[[File:Chrysippos_BM_1846.jpg|150px|right|thumb|Crisippo di Soli.]]
Nell'etica la scuola stoica si richiama al [[Cinismo]], condividendo con questi l'idea che – usando le parole di Zenone – «il sommo bene consiste nel vivere in modo conforme alla natura»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 82, nota 4: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', I, 179 [...]».|Fas1}}</ref>. E [[Cleante]] ribadisce che «il fine dell'uomo è vivere uniformandosi alla natura»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 82, nota 5: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', I, 552».|Fas1}}</ref>. Ma la natura degli Stoici non è quella animalesca dei Cinici, infatti, come chiarisce [[Crisippo di Soli|Crisippo]], ci si deve riferire alla natura «comune e propria degli uomini»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 82, nota 6: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', I, 555».|Fas1}}</ref>, ossia al ''lόgos'', alla ragione. Vivere secondo natura significa, dunque, condurre una esistenza obbediente alla ragione, ponendo freno a ogni passione di sorta.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 82.|Fas1}}</ref>
 
La dottrina stoica della razionalità [[Immanenza|immanente]] all'Essere, ossia di una natura intimamente razionale, permette alla scuola di formulare per la prima volta con decisione una dottrina del diritto naturale, dotata di un fondamento [[Metafisica|metafisico]] che giustifica il valore assoluto di un tale diritto.<ref name=Fas83>{{Cita|G. Fassò|p. 83.|Fas1}}</ref> Per gli Stoici fu semplice ridurre a unità la molteplicità delle contrapposte idee di «giusto per natura» che nel pensiero greco si susseguirono, proprio in virtù dell'identificazione fra divinità, natura e ragione.<ref name=Fas83/> Ciò è icasticamente raffigurato da Cleante nel suo ''Inno a Zeus'' ove si dice della divinità, che «governa l'universo con la giustizia»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 83, nota 7: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', I, 537, v. 35».|Fas1}}</ref> e riunisce in unità la molteplicità, in modo che viva eternamente per tutti un'unica Ragione. E da questa Ragione si allontanano gli ingiusti, i quali non sono in grado di osservare la legge universale di dio, confermandoci nell'idea che la divinità, la natura e la ragione sono il principio della legge.<ref name=Fas83/>
 
Da questa concezione gli Stoici ricavano un'altissima considerazione del diritto, il quale deve rappresentare positivamente la legge della Ragione universale. Per garantire tale corrispondenza è necessario che la legge positiva sia opera dei saggi, poiché, come dice Crisippo<ref name=Fas84>{{Cita|G. Fassò|p. 84.|Fas1}}</ref>, «la legge è saggezza, essendo retta ragione che ordina ciò che si deve fare e vieta ciò che non si deve... Nessuno stolto è seguace della legge né interprete di essa»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 83, nota 7: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', III, 613».|Fas1}}</ref>.<ref name=Fas83/> Tuttavia, la convinzione che la facoltà di legiferare pertenga solo ai saggi conduce alcuni Stoici antichi, a causa dell'esasperato razionalismo che fa perdere loro il contatto con la storia<ref name=Fas86>{{Cita|G. Fassò|p. 86.|Fas1}}</ref>, a posizioni utopistiche (alla stessa stregua di quelle platoniche allorché si conferisce nella ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' la reggenza dello Stato ideale ai filosofi, ma con la sola differenza che gli Stoici si riferiscono a una dimensione universale e non cittadina<ref name=Fas86/>) e la mancanza di livelli intermedi fra fra saggi e stolti, comporta che questi siano definiti «nemici, schiavi, stranieri fra loro»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 84, nota 13: «Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'', III, 625».|Fas1}}</ref>.<ref name=Fas84/>
 
In definitiva, ciò che importa rimarcare è che al centro del razionalismo stoico v'è l'idea di una legge che, essendo razionale, è universale. Alla legge della ragione obbediscono, dunque, tanto i saggi, quanto le leggi positive e lo Stato. L'etica e la politica stoica sono essenzialmente giusnaturalistiche e se, da un lato, queste possono essere vittime dell'astrattismo, dall'altro lato non può tacersi la funzione della dottrina del diritto naturale che, rifuggendo da ogni astrattismo, presuppone il dominio della ragione sull'attività politica e legislatrice. L'intuizione stoica nel campo etico godrà di una enorme fortuna, influenzando la filosofia romana e la teologia morale cristiana.<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 86-87.|Fas1}}</ref>
 
====Il diritto naturale nella filosofia romana====
{{vedi anche|Filosofia latina}}
Benché i [[Latini|Romani]] fossero d'indole pratica e poco avvezzi alla meditazione filosofica, essi riuscirono a formulare, attraverso l'influenza greca, alcune dottrine, seppur non originali, incentrate sui temi del diritto, della giustizia, della società e dello Stato. Tuttavia, proprio in virtù della loro indole pratica (che rese possibile la fondazione della scienza giuridica), i Romani si riferirono alle filosofie greche meglio rispondenti ai problemi della vita quotidiana, prescegliendo non di rado orientamenti [[Eclettismo|eclettici]]; nonostante ciò, anche a [[Roma]] vi furono seguaci delle tradizionali dottrine greche, soprattutto di quell'indirizzo Stoico che, presupponendo uno Stato universale, ben si adattava al temperamento severo ed austero dei latini e, cosa più importante, riusciva a giustificare l'esistenza dell'[[Impero romano]].<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 96-97.|Fas1}}</ref>
 
A Roma, dunque, accanto all'[[epicureismo]] (che ebbe come massimo interprete dell'argomento di cui si questiona il poeta [[Tito Lucrezio Caro|Lucrezio]], primo ideologo del [[Contratto sociale|contrattualismo]])<ref>{{Cita|G. Fassò|pp. 97-99.|Fas1}}</ref>, ebbe fortuna, ma in misura molto maggiore, lo stoicismo che influenzò, oltre le filosofie di [[Lucio Anneo Seneca|Seneca]], [[Marco Aurelio]] ed [[Epitteto]], gli orientamenti dei [[Giureconsulto|giureconsulti]]. Lo stoicismo romano, però, non è più quello dell'antica ''Stoá'', giacché esso è vocato all'eclettismo, subendo l'influenza delle dottrine platoniche e aristoteliche che avevano segnato anche la Media ''Stoá'' di [[Panezio]] e [[Posidonio]], nonché a un profondo senso religioso.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 99.|Fas1}}</ref>
[[File:Seneca.jpg|120px|left|thumb|Lucio Anneo Seneca.]]
Da un profondo sentimento religioso è infatti segnato il pensiero di Lucio Anneo Seneca, il quale postula un'ideale fratellanza fra tutti gli uomini, perché – come si legge nelle ''[[Epistulae morales ad Lucilium|Lettere morali a Lucilio]]''<ref name=SenEpistulae>{{Cita|G. Fassò|p. 100, nota 6: «Seneca, ''Ad Licilium epistulae morales'', XV, 95, 52».|Fas1}}</ref> – «siamo membra di un grande corpo; la natura ci ha generato parenti», ispirandoci amore reciproco e facendoci socievoli; stabilendo l'equo e il giusto.<ref name=Fas100>{{Cita|G. Fassò|p. 100.|Fas1}}</ref> Nel pensiero di Seneca manca, dunque, la rigida distinzione stoica fra «saggi» e «stolti», poiché, essendo tutti gli uomini consanguinei e fratelli, ogni uomo è, per il sol fatto di essere uomo, partecipe all'essenza divina, unica e immutabile.<ref name=Fas100/> Atteggiamento riconfermato anche in un'altra epistola, ove, riferendosi alla schiavitù, stabilisce che non esistono schiavi ma «uomini [...] compagni di schiavitù», perché «la sorte ha lo stesso potere tanto su noi quanto su loro».<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 100, nota 8: «Seneca, ''Ad Licilium epistulae morales'', V, 47, 1».|Fas1}}</ref> Il panteismo stoico produsse in Seneca il convincimento «che è peggio far del male che riceverne»<ref name=SenEpistulae/>; convincimento che lo condusse, secondo il racconto di [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]], ad affrontare la pena capitale «impavido»<ref>Publio Cornelio Tacito, ''Annali'', Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1985, p. 753.</ref>.
[[File:MarcoAurelio.png|120px|right|thumb|Marco Aurelio Antonio.]]
Analoghi atteggiamenti caratterizzano il pensiero di Epitteto, per il quale tutti gli uomini sono fratelli perché figli di Dio<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 100, nota 9: «Epitteto, ''Dissertazioni'', I, 3, 1; I, 13, 3».|Fas1}}</ref>, nonché quello dell'imperatore Marco Aurelio Antonino. Marco Aurelio, nello scritto ''[[Colloqui con sé stesso|A se stesso]]'', stabilisce che ogni uomo, essere naturalmente razionale e cittadino del mondo<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 100, nota 11: «Marco Aurelio, ''A se stesso'', VI, 44».|Fas1}}</ref>, è parente del suo simile, amando financo «coloro che lo percuotono»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 100, nota 10: «Marco Aurelio, ''A se stesso'', VII, 22, 31; VIII, 26».|Fas1}}</ref>, perché anche chi agisce male partecipa all'unico destino divino<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 101, nota 12: «Marco Aurelio, ''A se stesso'', II, 1».|Fas1}}</ref>, essendo membro del corpo unico degli esseri razionali<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 101, nota 13: «Marco Aurelio, ''A se stesso'', VII, 13».|Fas1}}</ref>. L'imperatore filosofo conclude la sua riflessione statuendo che «chi commette ingiustizia è un empio, perché, avendo la natura universale creato gli animali ragionevoli gli uni per gli altri, così che conviene che essi si giovino reciprocamente, e non si facciano del male, chi disobbedisce a questo volere commette manifesto sacrilegio contro la più veneranda delle divinità»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 101, nota 14: «Marco Aurelio, ''A se stesso'', IX, 1».|Fas1}}</ref>.
 
Queste idee di uguaglianza e fratellanza che permeano il pensiero latino, pur fondandosi su una supposta essenza razionale comune a tutti gli uomini, ispireranno, da un lato, l'etica [[Cristianesimo|cristiana]] della [[teologia]] [[Medioevo|medievale]] e, dall'altro, in virtù del fondamento razionale di queste dottrine, correnti di pensiero giuridiche moderne.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 101.|Fas1}}</ref>
[[File:M-T-Cicero.jpg|120px|left|thumb|Marco Tullio Cicerone.]]
Il pensatore romano che concentrò maggiormente i suoi sforzi intellettuali sui temi della legge e dello Stato, pur non essendo, da quanto risulta dalle ''Epistulae ad Atticum''<ref>Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. I. Il pensiero greco e cristiano: dai Presocratici alla scuola di Chartres'', Utet, Torino 1993, p. 374: «Cicerone stesso riconobbe la sua dipendenza dalle fonti greche dicendo delle sue opere filosofiche in una lettera ''Ad Attico'' (XII, 52, 3): "Mi costano poca fatica, perché di mio ci metto solo le parole, che non mi mancano"».</ref>, filosofo originale, fu [[Marco Tullio Cicerone]], [[Avvocato|oratore forense]] e uomo politico, vissuto fra [[106 a.C.]] e il [[43 a.C.]].<ref name=Fas103>{{Cita|G. Fassò|p. 103.|Fas1}}</ref> La dottrina di Cicerone, caratterizzata dall'eclettismo (fu infatti ispirato dal platonismo, dall'aristotelismo e dallo stoicismo) e da una conoscenza profonda delle questioni giuridiche, può considerarsi la prima vera [[filosofia del diritto]]. Nella sua ricerca speculativa intorno al diritto fu ispirato dalla dottrina della Media ''Stoá'' di Panezio, accentuandone l'accoglimento dell'aristotelismo, nonché dal platonismo eclettico di [[Antioco di Ascalona]]. Il metodo della ricerca filosofica adottato da Cicerone fu quello consistente nell'accoglimento delle conclusioni condivise dalle diverse scuole di pensiero che si erano avvicendate nel corso del tempo, perché, da quanto emerge dalle ''[[Tusculanae disputationes]]''<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 103, nota 17: «Cicerone, ''Tusculanae disputationes'', I, 13, 30».|Fas1}}</ref>, il miglior criterio della verità è il consenso generale.<ref name=Fas103/>
 
Cicerone, nel ''[[De legibus]]'', considerata la prima opera di filosofia del diritto della storia del pensiero<ref name=Fas105>{{Cita|G. Fassò|p. 105.|Fas1}}</ref>, ricerca l'origine (''fons'') del diritto, la quale è rinvenibile non già nella legge positiva, bensì nella natura razionale dell'uomo, perché «la legge è ragione suprema insita nella natura, che comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario: ragione che, attuantesi nel pensiero dell'uomo, è appunto la legge»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 22: «Cicerone, ''De legibus'', I, 6, 18».|Fas1}}</ref>. Da questa legge della ragione, uguale in ogni luogo e in ogni tempo, sorta prima della fondazione di ogni Stato e di ogni norma positiva, trae le mosse il principio del diritto.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 23: «Cicerone, ''De legibus'', I, 6, 19».|Fas1}}</ref><ref name=Fas105/> L'ispirazione giusnaturalistica di Cicerone è manifestata anche in un altro luogo del ''De legibus'', ove afferma che è «cosa stoltissima considerare giusto tutto ciò che sia stabilito nei costumi o nelle leggi dei popoli», perché «unico è il diritto che tiene unita la società umana, ed unica la legge che ne è fondamento, legge che consiste nella retta norma del comandare e del vietare; e colui che non la riconosce è ingiusto, stia essa scritta in qualche luogo o no»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 24: «Cicerone, ''De legibus'', I, 15, 42».|Fas1}}</ref>. Se dovessimo concludere che la fonte del diritto è la legge positiva, prosegue Cicerone, si dovrebbe ritenere giusta ogni forma di sopruso o soperchieria approvata dal decreto o dal voto della massa, senza poter, in mancanza della legge naturale, distinguere fra la legge buona da quella cattiva.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 25: «Cicerone, ''De legibus'', I, 16, 43-44».|Fas1}}</ref> La legge, dice il filosofo, «non è né un'invenzione di uomini, né una deliberazione di popoli, ma è qualcosa di eterno, destinato a governare tutto il mondo con la saggezza del suo comando e del suo divieto»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 106, nota 26: «Cicerone, ''De legibus'', II, 4, 8».|Fas1}}</ref>, giacché «essa è la retta ragione divina»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 106, nota 27: «Cicerone, ''De legibus'', II, 4, 10».|Fas1}}</ref>.
 
Cicerone, nel terzo libro del ''[[De re publica]]'', ripropone con più forza l'esistenza di una legge assolutamente vera in opposizione allo [[Scetticismo filosofico|scettico]] [[Carneade]], assertore della vanità della giustizia<ref name=Fas106>{{Cita|G. Fassò|p. 106.|Fas1}}</ref>, sostenendo: «Vi è una legge vera, ragione retta conforme alla natura, presente in tutti, invariabile, eterna, tale da richiamare con i suoi comandi al dovere, e da distogliere con i suoi divieti dall'agir male. [...] A questa legge non è possibile che si tolga valore né è lecito che in qualcosa si deroghi, né essa può essere abrogata; da questa legge non possiamo essere sciolti ad opera del senato o del popolo. [...] Essa non è diversa a Roma o ad Atene, non è diversa ora o in futuro: tutti i popoli invece, in ogni tempo, saranno retti da quest'unica legge eterna e immutabile; ed unico comune maestro, per così dire, e sovrano di tutti sarà Dio; di questa legge egli solo è l'autore, l'interprete, il legislatore; e chi non gli obbedirà rinnegherà se stesso, e, rifiutando la sua natura di uomo, per ciò medesimo incorrerà nelle massime pene, anche se potrà essere sfuggito ad altre punizioni»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 106, nota 29: «Cicerone, ''De re publica'', III, 22, 33».|Fas1}}</ref>.
 
Nel passo citato del ''De re publica'' emergono chiaramente le tre concezioni del diritto naturale che storicamente si sono presentate (legge della natura, della ragione, della divinità) e ciò era possibile in virtù del panteismo stoico, secondo cui Dio, la natura e la ragione sono la stessa cosa.<ref name=Fas106/> Tuttavia, quello che è più importante rimarcare è che «chi non obbedirà [alla legge naturale] rinnegherà se stesso», ossia rifiuterà la sua natura umana e razionale. Da ciò si deduce che il diritto naturale è inteso come norma della ragione che l'uomo, in quanto uomo, dà a se stesso.<ref name=Fas107>{{Cita|G. Fassò|p. 107.|Fas1}}</ref> Questo passo del ''De re publica'' ha un'importanza fondamentale, perché permette il corretto intendimento non solo del giusnaturalismo ciceroniano, bensì di tutta l'antichità greco-romana.<ref name=Fas107/> Difatti, già dai presocratici, l'ordine della natura altro non era che il complesso delle necessità giuridiche e sociali trasferite al mondo fisico e, nel momento in cui si è definito con più accuratezza il significato di «giusto per natura», questo fu fatto coincidere con la retta ragione.<ref name=Fas107/> Ciò comporta che il diritto di natura non è una realtà oggettiva, esterna, subìta dai consociati, bensì rappresenta la loro essenza, la loro ragione che – usando le parole di Cicerone espresse nel ''[[De officiis]]'' – «regola la vita degli dèi e degli uomini»<ref>Marco Tullio Cicerone, ''De officiis'', Giulio Einaudi editore, Torino 2012, III, 23.</ref>.
 
Obbedendo alla legge naturale l'uomo, secondo la visione ciceroniana, obbedisce sì alla natura divina, ma, inoltre, obbedisce a se stesso, secondo il senso proprio della parola [[autonomia]]: dare leggi a se stessi.<ref name=Fas107/>
 
====Il diritto naturale nella giurisprudenza romana====
{{vedi anche|Diritto romano}}
La lezione stoica proficuamente accolta da Cicerone, si trasfuse nella coscienza giuridica romana. I giureconsulti, però, non essendo filosofi, ne trassero scarsi e rozzi ammaestramenti, interpretando la natura (che per gli Stoici era permeata dalla ragione divina) come atavico istinto comune anche agli esseri irrazionali.<ref name=Fas4-24>{{Cita|G. Fassò|p. 24.|Fas4}}</ref> Ciò accadde specificamente nella definizione che ne diede [[Eneo Domizio Ulpiano|Ulpiano]], allorché stabilisce che «il diritto naturale è quello che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati. [Da esso] derivano l'unione del maschio e della femmina, che noi chiamiamo matrimonio, la procreazione e l'allevamento dei figli. [...] Vediamo infatti che anche gli altri animali, perfino quelli selvaggi, conoscono e praticano questo diritto»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 25, nota 5: «''Digesto'', 1, 1, 1, 3».|Fas4}}</ref>. Questo passo di Ulpiano sarà inserito nel ''[[Digesto]]'' [[Giustiniano I|giustinianeo]] (D. 1, 1, 1, 3) e insieme all'intero ''[[Corpus iuris civilis]]'' costituirà oggetto di studio per le scuole giuridiche medievali.<ref name=Fas4-24/><ref>{{Cita|G. Fassò|p. 25.|Fas4}}</ref>
 
*[[Gaio]] propende per una bipartizione del diritto, cioè che il diritto si divida in [[ius civile]], creazione artificiale della civitas, e in [[ius gentium]] o ius naturale, diritto comune ai popoli e che trova la sua ragion d'essere nella ''naturalis ratio'', cioè in una ragione naturale, dunque ritenuto anche eticamente migliore poiché ispirato dalla natura: in questa visione la schiavitù è considerata come una situazione naturale già predisposta dalla stessa natura;
*[[Ulpiano]] propende per una tripartizione del diritto; come Gaio, pensa che il ius civile sia creazione artificiale, ma va oltre affermando che il [[ius gentium]] riguarda un regolamento per i soli uomini, mentre il ius naturale sarebbe quello di tutte le creature viventi: in questo caso la condizione di schiavo viene vista come una condizione predisposta dal diritto e non riconducibile alla condizione naturale dell'uomo.
 
===Il giusnaturalismo medievale===
{{vedi anche|Patristica|Scolastica (filosofia)}}
[[File:Saint_Thomas_Aquinas.jpg|120px|left|thumb|San Tommaso d'Aquino.]]
Il problema della dottrina giusnaturalistica [[Medioevo|medievale]] è quello della conoscibilità del diritto naturale.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781">Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781</ref> A tale questione i medievali rispondono asserendo che [[Dio]], avendo donato la ragione a ogni uomo, ha reso capace quest'ultimo di conoscere i supremi princìpi dell'agire morale attraverso la ''naturalis ratio''.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/> Ciò che nella concezione teologizzante medievale facilita la conoscibilità all'uomo della legge naturale è la rivelazione della [[Legge di Dio|Legge]] e del [[Vangelo]].<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/>
Tuttavia, pur ritenendo necessaria tale rivelazione, giacché essa è finalizzata a illuminare l'umana coscienza oscurata dal peccato, la filosofia teologica medievale, prima [[Patristica]] e successivamente [[Scolastica (filosofia)|Scolastica]], ritengono che si possa avere ugualmente una imperfetta conoscenza dei precetti della legge naturale. Tale visione è suffragata da un passo della [[Lettera ai Romani]] di [[Paolo di Tarso|San Paolo Apostolo]] (''Rom''. 2,14-15), che recita: «Quando i [[paganesimo|pagani]] che non hanno legge compiono per natura le cose della legge, questi pur non avendo legge sono legge a se stessi. Essi mostrano scritta nei loro cuori l'opera della legge [...]». Questa tesi fu recisamente sostenuta da [[Pietro Abelardo|Abelardo]], Guglielmo di Auxerre e da [[Alberto Magno]].<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/> Proprio Alberto Magno, anticipando la visione del suo discepolo [[San Tommaso d'Aquino]], concepisce il diritto naturale come il diritto umano nei suoi princìpi più comuni e universali. Ciononostante, è solo con Tommaso d'Aquino che si pongono i confini fra ''conoscenza razionale'' e ''conoscenza per fede''. In ragione di tali confini, Tommaso d'Aquino riconduce la legge naturale alla ragione dell'uomo.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/>
È doveroso precisare che il nesso fra ragione e legge naturale dianzi citato, nell'interpretazione scolastica resta sempre legato a una concezione razionale orientata teologicamente. Ciò è icasticamente rappresentato da Tommaso d'Aquino allorché, in un passo della sua ''[[Summa Theologiae]]''<ref>Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Nota 10: «''S. Th.'', I-II, 91, 2 [...]». Pagina 45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781</ref>, mette in relazione la legge naturale con la legge eterna.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/>
Quel che è estraneo alle preoccupazioni della dottrina teologica medievale, è il tentativo di ricostruire sistematicamente tutti i princìpi del diritto naturale. I filosofi scolastici insistono maggiormente su precetti tratti dal [[Dieci comandamenti|Decalogo mosaico]] o su massime ancor più generali come quella di non far ad altri ciò che non si vorrebbe fatto a se stessi.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 4. Il giusnaturalismo nella cultura medievale. Pagine 41-45; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/>
 
===Il giusnaturalismo dell'età moderna===
{{vedi anche|Calvinismo|Riforma protestante|Ugo Grozio|Samuel von Pufendorf|Christian Thomasius|Christian Wolff (filosofo)}}
A seguito della rottura dell'unità religiosa occasionata dalla [[Riforma protestante]]<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 5. Il giusnaturalismo nell'età moderna. Pagine 46-49; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781">Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 5. Il giusnaturalismo nell'età moderna. Pagine 46-49; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781</ref> la moderna corrente giusnaturalistica si svincola da ogni fede ispirandosi al razionalismo [[Cartesio|cartesiano]]<ref>Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 10. Dizionario di filosofia'' (aggiornato e ampliato da Giovanni Fornero): A-ESO. Diritto: 1. Il diritto naturale. b) Il giusnatualismo moderno. Pagina 627; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006.</ref> e concentrando l'analisi filosofica sulla ricerca delle leggi generali in grado di realizzare la convivenza sociale.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 5. Il giusnaturalismo nell'età moderna. Pagine 46-49; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/> La nuova interpretazione del diritto naturale prese le mosse dalla necessità di formulare un nuovo [[diritto internazionale]] in grado di assicurare una pacifica convivenza fra le nazioni [[Europa|europee]].<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 5. Il giusnaturalismo nell'età moderna. Pagine 46-49; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/>
 
[[File:Alberico Gentili.jpg|150px|left|thumb|Alberico Gentili.]]
I primi tentativi di formulare un nuovo concetto di diritto naturale partendo dall'interrogativo sulla liceità della guerra sono rinvenibili nell'opera del [[1588]] di [[Alberico Gentili]] intitolata ''De iure belli''. Gentili sostiene l'illiceità della guerra, giacché tutti gli esseri umani costituiscono un'unica sostanza e sono legati insieme da una consonanza affettiva. In tale visione, il diritto naturale si riviene nell'istinto ancestrale e immutabile che conduce ogni essere umano all'unità.<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006.">Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006.</ref> Dunque, l'uomo per natura non è nemico del suo prossimo e nello Stato di natura non vi sarebbe alcuna guerra. La guerra, al contrario, nascerebbe allorquando gli uomini si rifiutassero di seguire la natura. Gentili, però, distingue due tipi di guerra: una guerra giusta rappresentata dalla ''guerra di difesa'', dacché la difesa è un diritto innato dell'uomo; una guerra ingiusta costituita dalla ''guerra di offesa e di religione'', perché nessuno può essere astretto a professar un culto, dunque, la religione dev'essere libera. Ciononostante, in guerra non vengono meno i diritti naturali, perché essi sono propri dell'umanità.<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006."/>
 
[[File:JohannesAlthusius.png|150px|right|thumb|Johannes Althusius.]]
Coevo di Gentili, [[Johannes Althusius]], richiamando [[Jean Bodin]], formula nella sua opera del [[1603]], intitolata ''Politica methodice digesta'', il principio della [[sovranità popolare]] (qualificandolo come ''unico'', ''indivisibile'' e ''intrasmissibile''), elevandolo a criterio di legittimità vitale dello Stato.<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006."/> Althusius sostiene che ogni comunità umana s'istituisca tramite un ''contratto'' (''pactum unionis''), sia esso tacito o espresso, che comporta la nascita di un organismo vivente. Tale contratto si fonda su un sentimento naturale e viene regolato dalle leggi, le quali si distinguono in ''leges communicationis'', regolanti i rapporti fra i consociati, e ''leges directionis et gubernationis'', regolanti i rapporti fra i consociati e l'autorità governativa.<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006."/> Althusius definisce lo Stato come «una comunità pubblica universale per la quale più città e province si obbligano a possedere, costituire, esercitare e difendere la sovranità mediante la mutua comunicazione di cose e di opere e con forze e a spese comuni».<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006."/> Nella interpretazione della sovranità popolare di Althusius il [[principe]] è un mero [[magistrato]] il cui potere proviene dal contratto sociale. Affiancano il principe gli [[efori]] che esercitano i diritti popolari nei suoi confronti. Nel caso in cui il popolo venisse meno ai patti, il principe si riterrebbe liberato dai suoi obblighi; ma se fosse il principe a rompere il patto, al popolo spetterebbe di scegliere un nuovo principe o di redigere una nuova costituzione. Ancorché Althusius conferisca larghi poteri al popolo, egli nega ogni libertà religiosa. Ciò è dovuto alla sua intransigenza [[calvinista]] che lo porta a ritenere che solo lo Stato può farsi promotore della religione, condannando all'[[ostracismo]] gli [[Ateismo|atei]] e i miscredenti.<ref name="Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone'': Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagine 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006."/> Questi temi sono ricorrenti anche nel pensiero del [[Francia|francese]] François Hotman, [[Ugonotti|ugonotto]] e avversario della [[Chiesa Cattolica Apostolica Romana|Chiesa]]. Come Althusius, Hotman ritiene che i poteri pubblici provengano da un originario patto sociale e non da Dio.<ref>Ennio Cortese, ''Le grandi linee della storia giuridica medievale''. Parte seconda - L'età del diritto comune. I: Scuole e scienza. Capitolo VIII - Questioni di metodo e svolte culturali. L'umanesimo giuridico. § 7. Francesco Hotman e l'antitribonianismo. Pagine 409-411; Il Cigno GG Edizioni, 2007. ISBN 88-7831-103-0</ref>
 
[[File:Michiel_Jansz_van_Mierevelt_-_Hugo_Grotius.jpg|150px|left|thumb|Ugo Grozio.]]
Il maggior impegno volto alla formulazione di un nuovo diritto internazionale, però, è rinvenibile nel pensiero dell'[[Olanda|olandese]] [[Ugo Grozio]], il quale, riprendendo le argomentazioni del suo connazionale [[Erasmo da Rotterdam]]<ref>Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, ''Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Cinquecento e Seicento''. Capitolo 1. L'età della Controriforma. 1.2. Nasce l'Europa moderna. Pagine 9-14; Casa Editrice G. Principato S.p.A., 1988.</ref> e della [[Scolastica (filosofia)#Sviluppi successivi|seconda Scolastica]] [[Spagna|spagnola]] (specialmente di [[Francisco Suárez]] e Gabriel Vásquez), può considerarsi il vero iniziatore del giusnaturalismo moderno.<ref name="Angelo Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto: Capitolo secondo. Le principali concezioni del diritto - § 1. - Il diritto come valore ideale sostanziale: il giusnaturalismo. 5. Il giusnaturalismo nell'età moderna. Pagine 46-49; Giuffrè Editore, 2008. ISBN 8814137781"/><br>
Nell'opera del [[1625]] intitolata ''[[De iure belli ac pacis]]'', Grozio, dovendo discutere del ''[[ius gentium]]'' e della liceità della guerra, premette alcune considerazioni sul diritto positivo. Tali considerazioni, inserite nei ''Prolegomeni'' (considerati la parte filosoficamente più importante dell'opera)<ref name=AdGrVe/>, contengono la ripulsa nei confronti della riduzione del diritto positivo a mero sistema di norme arbitrarie e relative, nonché l'auspicio che il diritto positivo si fondi su princìpi universalmente validi, scaturiti dalla natura razionale dell'uomo.<ref name=AdGrVe/> Questi princìpi universali, derivanti dalla natura razionale dell'uomo, costituiscono il diritto naturale, definito da Grozio come «una norma della retta ragione la quale ci fa conoscere che una determinata azione, secondo che sia o no conforme alla natura razionale, è moralmente necessaria oppure immorale e che per conseguenza tale azione è da Dio, autore della natura, prescritta oppure vietata».<ref>Ugo Grozio, ''Prolegomeni al diritto della guerra e della pace'' (a cura di Guido Fassò), op. cit. p. 67, Morano Editore 1979</ref> Nell'impostazione teorica di Grozio il diritto naturale, derivando dall'essenza razionale comune a ogni uomo, ha una valenza assoluta, eguale a quella dei princìpi matematici. Sulla base di questa eguaglianza Grozio asserisce che, come Dio non può mutare i princìpi matematici, così non potrebbe mutare i princìpi del diritto di natura e questi ultimi rimarrebbero validi e intangibili anche nell'esecranda ipotesi in cui Dio non esistesse o non si curasse delle cose umane. Partendo da tali presupposti, Ugo Grozio costruisce la nuova impostazione laica del giusnaturalismo, giacché il fondamento universale del diritto naturale è adesso rinvenibile non in un ordine trascendentale, ma entro la natura razionale umana.<ref name=AdGrVe/> Contenuto essenziale del diritto naturale, per Grozio, è mantenere i patti da cui deriva il rispetto della [[proprietà (diritto)|proprietà]], l'obbligo di mantenere le [[Obbligazione (diritto)|promesse]], il poter essere soggetti a pene fra gli uomini. Ma, tralasciando il contenuto del diritto naturale, ciò che rileva nella nuova visione giusnaturalistica è il fondamento del diritto sulla natura umana intesa come razionalità (dunque, può parlarsi di una ''posizione soggettivistica'' da cui scaturisce il diritto).<ref name=AdGrVe/>
 
Due dei più noti giusnaturalisti sono : [[Thomas Hobbes]] (1588-1679) e [[John Locke]] (1632-1704). Il primo dei due va ricordato essenzialmente per essere stato uno dei maggiori sostenitori della dottrina secondo cui, bisognerebbe conferire "pieni poteri" nelle mani di un unico individuo. I tre poteri (giudiziario, esecutivo e, legislativo) sono da intendersi, dunque, come una sorta di strumento nelle mani del sovrano per assicurare l'ordine in una data società. Nella fattispecie Thomas Hobbes ritiene che l'uomo, affinché riesca ad uscire da quello stadio della vita definito "stato naturale" o "di natura" caratterizzato dalla ''bellum omnium contra omnes'', debba necessariamente stipulare un ''pactum'' leonino, ovviamente immaginario, con il principe in base al quale quest'ultimo gli garantisce tranquillità e pace in cambio di una totale obbedienza. Trattasi quindi, di assolutismo puro entro il quale opera il principe che, essendo fonte della legge, non è tenuto a rispettarla: si parlerà quindi di ''solutus legibus''.<br />
Poco dopo Locke nella sua opera "Secondo trattato sul governo civile" illustrerà il suo pensiero al riguardo, partendo sempre dal suddetto "stato di natura". Si percepisce subito una filosofia che si distacca dalla concezione dell<nowiki>'</nowiki>''homo homini lupus'' per approdare invece ad un'altra ipotesi che vede l'uomo calato in uno stato di natura retto dalla pacifica coesistenza e, soprattutto, uno stato naturale governato da tre principi "nuovi": ragione, eguaglianza, libertà. L'uomo possiede dei diritti innati (diritto alla vita; alla libertà; alla proprietà; alla salute) la cui custodia spetta al principe; è il sovrano a dover salvaguardare tali diritti. Ancora una volta, tra il governante e i governati si deve stipulare un patto sociale che soprattutto deve essere rispettato da ambedue le parti (''pacta sunt servanda'' cit. Grozio). A tal proposito il filosofo inglese pone in evidenza il fatto che, la ribellione non è altro che la conseguenza della mancata conservazione di tale ''pactum'' . In aggiunta Locke preferisce vedere il potere legislativo e quello esecutivo separati e attribuiti ad organi diversi, non è difficile intuire che il medesimo avesse come modello di riferimento la situazione recente dell'Inghilterra . In Locke trovano quindi le loro fondamenta il costituzionalismo e il garantismo moderni.
 
Un autore molto importante che ha approfondito il diritto naturale del '900 è stato sicuramente [[Murray N. Rothbard|Murray Newton Rothbard]]; a differenza di molti suoi predecessori è però arrivato a conclusioni diverse: criticò fortemente la teoria del [[contratto sociale]] di [[Hobbes]] e dello stesso [[Jean-Jacques Rousseau]]; l'interpretazione del diritto naturale data dal [[Murray N. Rothbard|filosofo e scrittore americano]] è alla base dell'[[anarco-capitalismo]], teoria che propone la cancellazione di ogni [[stato|autorità statale]] a fini liberistici, in ossequio al "mito" della capacità autonormativa del [[Mano invisibile|mercato]], considerato, cioè, metro di misura dei rapporti sociali e, quasi personalizzandolo, in grado di porre da sé le proprie regole e, quindi, il proprio ordine e, più in assoluto, l'ordine sociale.
 
== Autori ==
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===Antichi===
* [[Platone]].
* [[Aristotele]].
* [[Stoicismo]].
* [[Marco Tullio Cicerone]].
* [[Paolo di Tarso|San Paolo]].
* [[Lucio Anneo Seneca]].
* [[Gaio]].
* [[Papiniano]].
* [[Eneo Domizio Ulpiano]].
* [[Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio|Lattanzio]].
* [[Agostino d'Ippona|Sant'Agostino]].
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===Medievali===
* [[Averroè]].
* [[Graziano (giurista)|Graziano]].
* [[Tommaso d'Aquino|San Tommaso d'Aquino]].
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===Moderni===
* [[Tommaso De Vio|Cardinal Cajetano]].
* [[Francisco de Vitoria]].
* [[Francisco Suárez]].
* [[Roberto Bellarmino|San Roberto Bellarmino]].
* [[Thomas Hobbes]].<ref name="Giusnaturalisti spuri">Hobbes, Rousseau e Kant non sono da considerare, per molteplici aspetti, dei veri e propri teorici del diritto naturale, ma dei contrattualisti che hanno preso le mosse dalla tradizione del giusnaturalismo per sviluppare delle forme di giuspositivismo.</ref>
* [[Ugo Grozio]].
* [[Johannes Althusius]].
* [[John Selden]].
* [[Samuel Pufendorf]].
* [[John Locke]].
* [[Richard Cumberland (filosofo)|Richard Cumberland]].
* [[Gottfried Wilhelm von Leibniz]].
* [[Christian Wolff (filosofo)|Christian Wolff]].
* [[Giambattista Vico]].
* [[Jean-Jacques Rousseau]].<ref name="Giusnaturalisti spuri"/>
* [[Immanuel Kant]].<ref name="Giusnaturalisti spuri"/>
* [[Frédéric Bastiat]].
* [[Murray N. Rothbard]].
* [[Jacques Maritain]].
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==Note==
{{references|3}}
 
==Bibliografia==
*{{cita libro|cognome=Flückiger|nome=Felix|titolo=Geschichte des Naturrechts|editore=Zollikon-Zürich|lingua=tedesco|anno=1954|id=
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*{{cita libro|cognome=Fassò|nome=Guido|curatore=Carla Faralli|titolo=Storia della filosofia del diritto. II. L'età moderna|editore=Editori Laterza|anno=2003|ed=5|id=ISBN 9788842062400|cid=Fas2}}
*{{cita libro|cognome=Bobbio|nome=Norberto|wkautore=Norberto Bobbio|titolo=Thomas Hobbes|editore=Giulio Einaudi editore|anno=2004|ed=2|id=ISBN 9788806169688|cid=BobHob}}
*{{cita libro|cognome=Fassò|nome=Guido|curatore=Carla Faralli|titolo=Storia della filosofia del diritto. I. Antichità e medioevo|editore=Editori Laterza|anno=2005|ed=7|id=ISBN 9788842062394|cid=Fas1}}
*{{cita libro|cognome=di Stagira|nome=Aristotele|wkautore=Aristotele|curatore=Carlo Augusto Viano, Marcello Zanatta|titolo=Politica e Costituzione di Atene|editore=UTET|anno=2006|ed=1|id=ISBN 8802072647|cid=ArPol}}
*{{cita libro|cognome=Diels|nome=Hermann|wkautore=Hermann Diels|coautori=[[Walther Kranz]]|curatore=[[Giovanni Reale]]|titolo=I presocratici|editore=Bompiani|anno=2006|ed=1|id=ISBN 8845257401|cid=DK}}
*{{cita libro|cognome=Fassò|nome=Guido|curatore=Carla Faralli|titolo=Storia della filosofia del diritto. III. Ottocento e Novecento|editore=Editori Laterza|anno=2006|ed=7|id=ISBN 9788842079361|cid=Fas3}}
*{{cita libro|cognome=Falzea|nome=Angelo|wkautore=Angelo Falzea|titolo=Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto|editore=Giuffrè Editore|anno=2008|ed=6|id=ISBN 8814137781|cid=Falz}}
*{{cita libro|cognome=Bobbio|nome=Norberto|curatore=Tommaso Greco|titolo=Il giusnaturalismo moderno|editore=Giappichelli Editore|anno=2009|ed=1|id=ISBN 9788834895818|cid=Bobbio1}}
*{{cita libro|cognome=Bobbio|nome=Norberto|titolo=Giusnaturalismo e positivismo giuridico|editore=Editori Laterza|anno=2011|ed=2|id=ISBN 9788842086680|cid=Bobbio2}}
*{{cita libro|cognome=di Stagira|nome=Aristotele|curatore=Carlo Natali|titolo=Etica Nicomachea|editore=Editori Laterza|anno=2012|ed=8|id=ISBN 9788842057505|cid=EtNic}}
 
==Voci correlate==
*[[Filosofia del diritto]]
*[[Natura]]
*[[Stato di natura]]
*[[Contrattualismo]]
 
== Collegamenti esterni ==
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