Salvatore Pes, marchese di Villamarina e Wikipedia:Pagine da cancellare/Conta/2019 luglio 4: differenze tra le pagine

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|nome = Salvatore Pes di Villamarina
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|immagine = Disderi, Adolphe Eugène (1810-1890) - Pes di Villamarina, Salvatore (1808-1877), diplomatico sabaudo.jpg
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|carica = Ambasciatore del Regno di Sardegna nel Granducato di Toscana
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|monarca = [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]]
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|primoministro = [[Cesare Balbo]], [[Cesare Alfieri di Sostegno]], [[Ettore Perrone di San Martino]], [[Vincenzo Gioberti]], [[Agostino Chiodo]], [[Claudio Gabriele de Launay]], [[Massimo d'Azeglio]]
|mandatoinizio = 23 maggio [[1848]]
|mandatofine = [[1852]]
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|successore =
|carica2 = Ambasciatore del Regno di Sardegna in Francia
|monarca2 = [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]]
|primoministro2 = [[Massimo d'Azeglio]], [[Camillo Benso, conte di Cavour|Camillo Benso di Cavour]], [[Alfonso La Marmora]]
|mandatoinizio2 = 1852
|mandatofine2 = Ottobre [[1859]]
|predecessore2 =
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|carica3 = Ambasciatore del Regno di Sardegna nel Regno delle Due Sicilie
|monarca3 = [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]]
|primoministro3 = [[Camillo Benso, conte di Cavour|Camillo Benso di Cavour]]
|mandatoinizio3 = Gennaio [[1860]]
|mandatofine3 = [[1861]]
|predecessore3 =
|successore3 =
|carica4 = [[Senato Subalpino|Senatore del Regno di Sardegna]]
|mandatoinizio4 = 14 maggio [[1856]]
|mandatofine4 = 14 maggio [[1877]]
|legislatura4 = {{NumLegRegno|S|V}}
|sito4 = http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/8fe5b7e61c3ce806c1256ffc005269fb/6d81f7076f6a2f8ec125706900318714?OpenDocument
|titolo di studio = Laurea in Giurisprudenza
|alma mater =
|professione = Diplomatico
|firma =
}}
{{Bio
|Nome = Salvatore Raimondo Gianluigi
|Cognome = Pes
|PostCognomeVirgola = '''marchese di Villamarina e barone dell’[[Isola Piana (Sulcis)|Isola Piana]]''', noto come '''marchese di Villamarina''' o semplicemente come '''Villamarina'''
|Sesso = M
|LuogoNascita = Cagliari
|GiornoMeseNascita = 11 agosto
|AnnoNascita = 1808
|LuogoMorte = Torino
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1877
|Epoca = 1800
|Attività = diplomatico
|Attività2 = politico
|Nazionalità = italiano
|PostNazionalità = , del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]
}}
 
Fu ambasciatore a [[Firenze]] ([[Granducato di Toscana]]) dal [[1848]] al [[1852]], a [[Parigi]] ([[Secondo Impero francese]]) dal [[1853]] al [[1859]] e a [[Napoli]] ([[Regno delle Due Sicilie]]) dal [[1860]] al [[1861]].
 
A Firenze contribuì alla decisione di [[Leopoldo II di Toscana]] di entrare nella [[prima guerra di indipendenza]] a fianco del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]]. Tuttavia, dopo i [[moti mazziniani]] in [[Granducato di Toscana|Toscana]], non riuscì ad evitare la fuga dello stesso Leopoldo nel [[Regno delle due Sicilie]].
 
Nel [[1856]] partecipò con [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] al [[Congresso di Parigi]] e, unico rappresentante del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], alle conferenze di approfondimento successive.
 
Ambasciatore a Napoli nel 1860, scoraggiò la decisione di Cavour di far scoppiare un moto filopiemontese in città che evitasse la presa di potere di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]]. Successivamente, contravvenendo alle disposizioni di Cavour di mantenersi neutrale fra [[Borbone di Napoli|borbonici]] e [[Garibaldino|garibaldini]], concesse a questi ultimi un reparto piemontese per la [[Battaglia del Volturno]]. Avvicinò, così facendo, Garibaldi al Piemonte favorendo il processo di unificazione nazionale.
 
== Famiglia e giovinezza ==
Salvatore Pes di Villamarina era figlio di [[Emanuele Pes di Villamarina|Emanuele]], generale, ministro e consigliere di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], e di Teresa Sanjust di San Lorenzom. A otto anni si trasferì con i genitori da [[Cagliari]] a [[Torino]], dove frequentò il collegio dei Gesuiti. Nel 1828 si laureò in Giurisprudenza (diritto civile e diritto canonico) ed esercitò la professione per un paio d'anni.
 
Dal 1830 al 1832 frequentò come apprendista volontario il [[Ministero degli Esteri]] e, entrato nell'esercito, conseguì prima il grado di sottotenente nella brigata ''Casale'' e poi, nel 1838, quello di tenente nel reggimento ''[[6º Reggimento "Lancieri di Aosta"|Aosta Cavalleria]]''.
 
Collaborò con il padre presso il Ministero della Guerra fino al 1844, anno in cui fu nominato Segretario del Consiglio dei ministri. Gli fu riconosciuto il grado di maggiore e, quando il padre si ritirò, fu nominato Consigliere di legazione<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 40-42.</ref>.
 
Sposò Melania Taparelli dei Conti d'Azeglio, figlia del senatore [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto]] e, successivamente, Caterina Boyl dei Marchesi di Putifigari, figlia del Luogotenente Generale Marchese Vittorio e sorella del senatore [[Gioacchino Boyl di Putifigari]] da cui non ebbe prole. Ebbe due figli dalle prime nozze: Emanuele, che intraprese la carriera diplomatica, e Isabella che sposò Emanuele [[Thaon di Revel]].
 
== Ambasciatore a Firenze (1848-1852) ==
In previsione della [[Prima guerra di indipendenza|guerra contro l’Austria]], nel [[1848]], Villamarina chiese di poter partire con l'esercito, ma re [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] che lo aveva già utilizzato per incarichi a [[Parigi]], [[Berlino]] e [[Milano]], lo nominò [[Incaricato d'affari|Incaricato d’affari]] e lo inviò a [[Firenze]]. Di lì a poco lo avrebbe anche promosso colonnello. Scopo della missione in [[Granducato di Toscana|Toscana]] che iniziò il 23 maggio 1848<ref name="notes9.senato.it">{{cita web|url=http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/8fe5b7e61c3ce806c1256ffc005269fb/6d81f7076f6a2f8ec125706900318714?OpenDocument|titolo= Scheda del Senato della Repubblica: Pes di Villamarina Salvatore|accesso=16 settembre 2011}}</ref>: convincere il granduca [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo II]] ad appoggiare la causa sabauda.
 
Pure accolto con entusiasmo a [[Livorno]] dove fu accolto quale portatore di idee liberali, Villamarina, non avendo ancora fornito le credenziali al Granduca, invitò la folla all'ordine e alla calma. Altre manifestazioni di entusiasmo si verificarono lungo la strada per Firenze raggiunta la quale il Marchese vi trovò un ambiente di corte prevalentemente filoaustriaco. Al guardingo Leopoldo e alla seconda moglie di suo [[Ferdinando III di Toscana|padre]], la conservatrice [[Maria Ferdinanda di Sassonia]], si aggiungeva la cattolicissima moglie del Granduca, [[Maria Antonia di Borbone-Due Sicilie|Maria Antonia]], sorella di [[Ferdinando II di Borbone]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 48-52.</ref>.
 
Nonostante il difficile contesto, Villamarina operò efficacemente e, dopo aver promesso a Leopoldo compensi in caso di sconfitta dell'Austria, ottenne l'intervento toscano a favore del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]. Finita tragicamente per gli italiani la prima guerra di indipendenza, Leopoldo all'inizio del [[1849]], dovette affrontare i moti rivoluzionari [[Giuseppe Mazzini|mazziniani]]. A Firenze tutte le ambasciate furono prese d'assalto tranne quella inglese e quella del Regno di Sardegna, che Villamarina dichiarò di voler difendere con le armi se fosse stato necessario<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 53-57, 61-63 .</ref>.
 
Riparato il Granduca a [[Porto Santo Stefano]], rimase indeciso se prendere o meno la via di Gaeta (in territorio borbonico, dove si era rifugiato anche [[papa Pio IX|Pio IX]]). Da Torino Villamarina ebbe l'incarico di trattenerlo in Toscana o, in alternativa, di condurlo in [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]]. Se infatti Leopoldo avesse abbandonato la patria per una nazione conservatrice, vi ci sarebbe tornato con gli austriaci<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 63-64.</ref>.
 
=== Lo scontro con Leopoldo II ===
[[File:Grand Duke Leopold II of Tuscany with the insignia of the Order of Saint Stephen.jpg|thumb|right|180px|[[Leopoldo II di Toscana]], influenzato da Villamarina, intervenne nella prima guerra di indipendenza a fianco del Piemonte.]]
[[File:Bundesarchiv Bild134-B0335, Fregatte "Thetis" vor Anker.jpg|thumb|right|180px|La fregata inglese ''Thetis'', che Villamarina bloccò per evitare la fuga di Leopoldo a Gaeta<ref>L’immagine mostra l’imbarcazione dopo il suo passaggio, avvenuto nel 1855, alla Marina prussiana.</ref>.]]
Per contrastare le misure austriache, lo stesso febbraio [[1849]], Villamarina (nonostante il 9 gennaio la sua carica fosse decaduta per il susseguirsi degli eventi rivoluzionari<ref name="notes9.senato.it"/>) con gli ambasciatori di [[Prussia]], [[Svezia]] e [[Spagna]] e con il [[nunzio apostolico]], decise di raggiungere [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo]] a [[Porto Santo Stefano]]. Il Granduca accolse con gratitudine l'offerta di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] che gli prometteva l'appoggio militare per il ritorno al soglio del granducato<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 67-70.</ref><ref>Archi, ''Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia'', Rocca San Casciano, 1965, pp. 161-162.</ref>.
 
Qualche ora dopo dello stesso giorno di febbraio, però, influenzato dalla corte, Leopoldo cambiò idea e fece richiamare Villamarina al quale comunicò che sarebbe partito per [[Gaeta]]. Seguì una disputa fra i due nella quale Leopoldo supplicava Villamarina di partire per disdire l'impegno e fermare le truppe piemontesi nel caso si fossero già messe in marcia, e Villamarina che invece si rifiutava di lasciare Porto Santo Stefano<ref>Quando il Granduca lo avvisò che l'avrebbe pagata per le sue azioni, il Marchese rispose “Pagherò, intanto resto!”</ref><ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 70-72.</ref>.
 
Diffusasi la notizia della costituzione della repubblica a Firenze, Leopoldo riconvocò il corpo diplomatico e argomentò che a questo punto non c'era più nulla da fare. Villamarina invano gli ricordò che anche la [[Regno Unito|Gran Bretagna]] e la [[Secondo Impero francese|Francia]] erano d'accordo con la soluzione piemontese<ref>Archi, ''Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia'', Rocca San Casciano, 1965, p. 162.</ref><ref>A quel punto Villamarina batté il pugno sul tavolo e mormorò in modo che i colleghi lo sentissero: «Se i principi fossero tutti di tempra simile a costui, io mi battezzerei repubblicano!»</ref>; poi, sapendo che la fregata britannica ''Thetis'' era stata predisposta per accogliere Leopoldo e la sua famiglia, ne contattò il capitano Henry Codrington (1808-1877) e si mise d'accordo per non far imbarcare il Granduca se avesse voluto condursi altrove che a [[La Spezia]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 73-75.</ref>.
 
Nell'impossibilità di salire sulla ''Thetis'', Leopoldo e il suo seguito non esitarono ad imbarcarsi sulla più modesta ''Bouldog''<ref>La fonte citata riporta questo francesismo, ma è molto probabile che l'imbarcazione inglese si chiamasse ''Bulldog''.</ref> predisposta per i servitori e i bagagli. Si era al 20 febbraio 1849<ref>Quel giorno ripartiva da Porto Santo Stefano la nave borbonica con gli emissari del Papa che avevano ottenuto la risposta irrevocabile di Leopoldo a riparare a Gaeta.</ref>. Villamarina non si diede per vinto e, sulla ''Bouldog'', fece l'ultimo tentativo: argomentò che c'erano ancora le truppe lealiste del generale [[Cesare De Laugier de Bellecour|De Laugier]] il quale avrebbe potuto prendere il comando anche di quelle piemontesi e riconquistare Firenze. La famiglia di Leopoldo, intanto, sarebbe riparata a Gaeta e lui, a cose fatte, da Porto Santo Stefano sarebbe agevolmente rientrato a [[Palazzo Pitti]]. Il Granduca accettò<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 75-77.</ref>.
 
Quando però Villamarina con il resto del corpo diplomatico si ripresentò da Leopoldo per fargli prendere visione della nota preparata, questi, ancora una volta influenzato dalla corte, aveva cambiato idea. Adducendo timori di perdere il trono e la vita, confessò di aver deciso definitivamente per Gaeta. A nulla valsero le ragioni degli ambasciatori di Svezia e Prussia e l'indignazione di Villamarina<ref>«Io di siffatte paure poco me ne intendo; i piemontesi non costumano badare a tali e anche maggiori pericoli quando siano travolte in mala fortuna la dinastia, lo stato e la patria».</ref>. Il quale, di fronte alla motivazione del Granduca di non avere un governo a disposizione per la controfirma delle sue decisioni, propose di nominare un generale del seguito ministro della Guerra, costituire così un governo fittizio, e ottemperare alle forme costituzionali. Leopoldo perse completamente la calma e dopo nuove rimostranze degli ambasciatori congedò tutto il corpo diplomatico<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 77-80.</ref>. Dopo di che partì per Gaeta.
 
=== La restaurazione ===
Partito a sua volta per la Liguria, Villamarina, da [[Varignano]], il 22 febbraio [[1849]] inviò una relazione a Torino sulla faccenda di [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo II]]<ref>Tra l'altro scriveva:«È impossibile poter rappresentare l'ammasso di doppiezza, di bassezza e di vigliaccheria di cui ha fatto mostra in questa circostanza questo principe.»</ref> e, dopo la sconfitta piemontese nella [[prima guerra di indipendenza]] e l'[[invasione austriaca della Toscana]], in previsione della restaurazione di Leopoldo, chiese di lasciare definitivamente Firenze. Il nuovo re [[Vittorio Emanuele II]] chiese a Villamarina, invece, di rimanere al suo posto, a significare che il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]], pur vinto, non rinunciava a quei principi e a quella politica per i quali era sceso in guerra<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 80-82.</ref>.
 
Villamarina acconsentì a rimanere e, come previsto dall'etichetta in questi casi, dovette andare fino a [[Lucca]] a ricevere Leopoldo che, con l'aiuto austriaco, il 28 luglio 1849, rientrò a [[Palazzo Pitti]]<ref>Nella reggia tra i due ci fu il seguente colloquio: Leopoldo: «Eccomi, signor Marchese, ritornato nei miei Stati: è la quarta volta, sa? Che io ne fuggo in vita mia: la quarta che vi rientro.» Villamarina: «Badi di non fuggire una quinta; ché dal ritornare non ne sarebbe più nulla». Dieci anni dopo la previsione del Marchese si avverò: Leopoldo allontanato da Firenze non vi fece più ritorno.</ref>. Villamarina rimase a Firenze come ambasciatore del Piemonte fino al 31 dicembre [[1852]]<ref name="notes9.senato.it"/> mantenendo sempre un atteggiamento risoluto nei confronti dell'invasore austriaco e del Granduca. Neppure quattro mesi dopo il termine del suo incarico il Marchese ricevette la [[Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro|Croce di Grande ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 83, 105.</ref>.
 
== Ambasciatore a Parigi (1853-1859) ==
Le benemerenze raccolte in [[Granducato di Toscana|Toscana]] da Villamarina spinsero, tra la fine di agosto e l'ottobre del [[1852]]<ref name="notes9.senato.it"/>, il [[Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna|Presidente del Consiglio]] [[Massimo D'Azeglio]] a destinare il Marchese alla delicata sede di [[Secondo Impero francese|Francia]]; paese nel quale il 2 dicembre 1851 [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] aveva assunto [[Dittatura|poteri dittatoriali]]. Precedentemente peggiorate, dopo pochi mesi dall'avvento di Villamarina all'ambasciata di Parigi, le relazioni fra Piemonte e Francia migliorarono e Cavour, succeduto a D'Azeglio, attribuì al Marchese il merito dei progressi fatti<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 85, 89-90.</ref>.
 
La capacità diplomatica di Villamarina venne sfruttata anche a scopi interni quando, durante la crisi generata dalla [[Crisi Calabiana|legge sui conventi]], [[Vittorio Emanuele II]] richiamò momentaneamente il Marchese da Parigi affinché, con [[Giacomo Durando]], lo aiutasse a comporre il [[Governo Cavour II|nuovo governo]] che si formò, poi, il 4 maggio 1855<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 93-94.</ref>.
 
=== Il Congresso di Parigi ===
{{vedi anche|Congresso di Parigi}}
[[File:Edouard Dubufe Congrès de Paris.jpg|thumb|left|340px|Il [[Congresso di Parigi]] del 1856. Fra i delegati sono ritratti Cavour (primo a sinistra) e Villamarina, ultimo a destra<ref>Dipinto di [[Édouard Louis Dubufe]].</ref>.]]
Scoppiata nel [[1853]] fra [[Impero russo|Russia]] e [[Impero ottomano]], nel [[1854]] la [[Guerra di Crimea]] assunse proporzioni più ampie con l'intervento di [[Secondo Impero francese|Francia]] e [[Regno Unito|Gran Bretagna]] a favore dell'Impero ottomano. Cavour e Villamarina furono tra gli uomini politici più determinati a far entrare nel conflitto il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] contro la Russia.
 
In questa occasione Villamarina a Parigi si spese per valorizzare l'intervento piemontese al fianco della Francia ottenendo, nello stesso tempo, le condizioni richieste dal governo di Torino. Il suo lavoro contribuì alla conclusione del trattato che prevedeva l'entrata del Regno di Sardegna nell'alleanza anglo-francese e nella Guerra di Crimea (Torino 26 gennaio 1855). Per il suo lavoro a favore dell'intervento, Villamarina ricevette dall'imperatore Napoleone III il [[Legion d'onore|Gran Cordone della Legione d’onore]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 101-102, 104-105.</ref>.
 
La guerra ebbe esito positivo e, grazie anche al lavoro di Villamarina, il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]] ottenne di partecipare al successivo [[Congresso di Parigi]], unica piccola nazione fra grandi potenze. Angosciato e incerto, [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] nella [[Parigi|capitale francese]] trovò nel Marchese un esperto del campo diplomatico che si prospettava loro davanti e un uomo che seppe incoraggiarlo e sostenerlo, tanto che il Conte, partito con l'intenzione di concludere la sua vita politica dopo quella esperienza, esclamò poi: «Villamarina mi ridà la vita!»<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 106-108.</ref>.
 
Al congresso, presente l'[[Impero austriaco|Austria]], il Piemonte non ottenne alcun vantaggio materiale ma gli fu riconosciuto da Francia e Gran Bretagna il ruolo di nazione guida in Italia degli ideali di libertà e di indipendenza. La cosiddetta "Questione italiana" veniva posta per la prima volta all'attenzione dell'Europa. Dopo un mese dalla conclusione del congresso, nel maggio del 1856, [[Vittorio Emanuele II]] nominò Villamarina Senatore del Regno<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, p. 110.</ref>.
 
=== I rapporti con la Francia ===
Il [[Congresso di Parigi]] lasciò numerose questioni specifiche aperte e due conferenze si riunirono nella capitale francese per dirimerle, una nel [[1857]] e l'altra nel [[1858]]. Vi parteciparono tutte le nazioni del congresso del [[1856]]. Unico delegato del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] fu il marchese di Villamarina.
 
Inizialmente Villamarina mantenne una neutralità che soddisfò [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] e che diede il suo contributo a sciogliere le questioni della libera navigazione del [[Danubio]] e del [[Mar Nero]], e i nuovi confini della [[Bessarabia]]. Nel 1858, la seconda conferenza trattò il nuovo assetto dei [[Principati danubiani]]. In questa sede Villamarina sostenne la causa francese della loro unione, senza tuttavia entrare in conflitto con la [[Regno Unito|Gran Bretagna]] che appoggiava la causa opposta. Abilità riconosciuta da [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] con una lettera del 20 giugno 1858<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 112-114, 117-118.</ref>.
 
L'amicizia fra Torino e Parigi, così rafforzata, portò nel [[1859]] prima all'[[alleanza sardo-francese]] e poi alla [[seconda guerra di indipendenza]] che si concluse con l'[[armistizio di Villafranca]]. Il Marchese condivise le sorti di Cavour sulla decisione francese di interrompere le ostilità con l'[[Impero austriaco|Austria]] lasciandole il [[Veneto]] e, dopo un diverbio con il ministro degli Esteri francese [[Alessandro Giuseppe Colonna-Walewski|Walewski]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, p. 128.</ref>, diede le dimissioni a ottobre, ma lasciò l'incarico ufficialmente solo il 28 marzo [[1860]]<ref name="notes9.senato.it"/>.
 
== Luogotenente in Lombardia (1859-1860) ==
Annessa la [[Lombardia]] dopo la [[Pace di Zurigo]] del novembre [[1859]], il [[Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna|Presidente del Consiglio]] [[Urbano Rattazzi|Rattazzi]] decise di nominare Villamarina [[luogotenente]] a [[Milano]]. Il marchese vi rimase poco tempo, sia perché insofferente ad una carica non consona all'unità del regno, sia perché [[Vittorio Emanuele II]] volle impiegare la sua esperienza in compiti più delicati e importanti. Dopo alcune settimane dall'investitura fu inviato, quindi, da Milano a [[Napoli]], capitale del [[Regno delle due Sicilie]].
 
== Ambasciatore a Napoli (1860-1861) ==
[[File:Petit, Pierre (1832-1909) - Francesco di Borbone crop.jpg|thumb|right|180px|[[Francesco II di Borbone]] rifiutò la proposta di Villamarina di una lega fra Torino e Napoli. Ci ripensò, troppo tardi, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia.]]
Inizialmente Villamarina esitò ad accettare l'incarico data la fama di illiberale del nuovo re [[Francesco II di Borbone]], il quale, d'altro canto, era prevenuto nei confronti del Marchese per i suoi precedenti in [[Granducato di Toscana|Toscana]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 134-135.</ref>.
 
Dopo le insistenze di [[Vittorio Emanuele II]], tuttavia, Villamarina accettò e nel gennaio [[1860]] partì per [[Napoli]] con il compito di assumere la carica di ambasciatore<ref>La carica assunta in realtà fu “[[Incaricato d'affari]]”.</ref> del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]. In principio il suo compito fu di procedere con dignità e prudenza fra le varie fazioni liberali e filoborboniche, avendo come scopo l'avvicinamento dei due governi nazionali e dei due popoli del meridione e del settentrione d'Italia<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 137, 139-140.</ref>.
 
Tale progetto di alleanza, che aveva come obiettivo finale quello di consolidare il fronte italiano contro lo straniero in Italia, fallì per l'estrema diffidenza di Francesco II. D'altro canto Villamarina comunicò a marzo, a Cavour, di aver scoperto un complotto, nel quale anche [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] aveva la sua parte, che prevedeva un intervento dell'esercito borbonico nelle [[Marche]]. Tale azione, che sarebbe avvenuta in complicità con lo [[Stato Pontificio]], avrebbe messo in pericolo le recenti vittorie politiche del Piemonte in Italia centrale. Il Marchese protestò violentemente con il governo di Napoli, mantenendosi pronto a tornare a Torino nel caso l'intervento armato si fosse realizzato. L'azione alla fine non ebbe luogo, probabilmente grazie anche alle rimostranze di Villamarina<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 140-142, 144.</ref>.
 
=== Verso l'impresa dei Mille ===
Si preparava, intanto, la [[Impresa dei Mille]] e [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], il 30 marzo [[1860]], espresse preoccupazione a Villamarina sul ruolo futuro della [[Secondo Impero francese|Francia]] e sulla possibilità che aveva il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]] di annettersi pacificamente, dopo la [[Granducato di Toscana|Toscana]], anche il [[Regno delle due Sicilie]].
 
Il 14 aprile il Marchese rispose che le masse napoletane si pronunciavano contro la Francia e che quindi quest'ultima aveva poca o nessuna possibilità di prendere in mano la situazione nel Sud. Quanto all'annessione pacifica, Villamarina rispose negativamente: Francesco II aveva l'esercito dalla sua parte e il governo la forza di contrastare agevolmente la popolazione. Tuttavia, sfruttando il movimento annessionista presente in [[Sicilia]], suggeriva il Marchese, dopo aver trionfato a [[Palermo]], sarebbe stato possibile trionfare anche a Napoli. Sui rapporti internazionali e sulle eventuali reazioni delle potenze straniere Villamarina segnalò che la [[Impero russo|Russia]] avrebbe potuto avere una reazione negativa. Tuttavia egli era anche persuaso che essa avrebbe accettato tutto data l'avversione che aveva per l'[[Impero austriaco|Austria]] (la nazione più vicina ai [[Borbone di Napoli|Borbone]]). La [[Regno Unito|Gran Bretagna]] invece non rappresentava alcun pericolo: un plebiscito dopo l'annessione avrebbe tranquillizzato il governo di Londra<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 150-156.</ref>.
 
=== Contro la Lega sardo-napoletana ===
Sbarcati l'11 maggio 1860 i garibaldini a [[Marsala]], ribellatasi la [[Sicilia]], la corte borbonica iniziò a fare concessioni liberali e a riparlare dell'alleanza con il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]] precedentemente osteggiata.
 
Villamarina, che pure riscontrava l'impossibilità di non parlarne, sollecitò il ministro degli Esteri napoletano [[Giacomo De Martino (1811-1877)]] ad allontanare dalla corte la regina madre [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa]] e coloro che cospiravano con l'[[Impero austriaco|Austria]] e con lo [[Stato Pontificio]]. Si trattava in realtà, visto il successo della rivoluzione siciliana, di espedienti per prendere tempo e rendere impossibile l'attuazione della lega. Villamarina le era, infatti, decisamente avverso e la sconsigliò al governo di Torino anche quando [[Francesco II di Borbone]] sembrò rassegnarsi a perdere la Sicilia. Ne parlò con estrema decisione in una lettera del 22 luglio a [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]]<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 158-159.</ref>.
 
=== Il piano di Cavour di rivolta a Napoli ===
[[File:Camillo benso Conte di Cavour iii.jpg|thumb|left|180px|[[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] organizzò un piano di sollevazione a Napoli che non riscontrò l'approvazione di Villamarina e che fallì.]]
Inizialmente scettico su di una eventuale ribellione nella [[Napoli|capitale]] del [[Regno delle due Sicilie]], [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] cominciò a pensarne diversamente alla fine di luglio del [[1860]], nei giorni in cui [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]], conquistata la Sicilia, si apprestava a sbarcare in [[Calabria]]. Era successo che il generale napoletano [[Alessandro Nunziante]] si era messo a disposizione di [[Vittorio Emanuele II]].
 
Il [[Camillo Benso, conte di Cavour|Conte]] comunicò allora a Villamarina un piano di rivolta popolare che avrebbe dovuto consegnare la capitale del Regno delle due Sicilie a Vittorio Emanuele e non a Garibaldi, di cui temeva derive [[Giuseppe Mazzini|mazziniane]]. Al riguardo invece Villamarina, il 23 luglio, gli aveva scritto una lettera che avrebbe dovuto rassicurarlo<ref>Tra l'altro Villamarina scriveva: «Garibaldi rappresenta nello spirito di questa popolazione il delegato di Vittorio Emanuele: è in questa predisposizione che il popolo lo attende con impazienza. […] il nostro Re non può mettere in discussione la devozione illimitata di Garibaldi alla sua augusta persona, e a Napoli, credete caro Conte, il mazzinismo, la rivoluzione come la intende o meglio come ha l'aria di intenderla [il ministro degli Esteri napoletano] De Martino (che vuole avere successo) è impossibile. […] Garibaldi arriverà come una valanga […]. La sua luogotenenza non durerà che pochi giorni, 15 giorni forse, il tempo necessario per votare con la più grande libertà e la legalità più scrupolosa, da parte di un plebiscito, più che da un'assemblea. Il voto sarà eclatante, vi prometto, e capace di imporsi all'Europa intera, e di facilitarci l'immediata accettazione [dell'annessione]. […] Non esito a dichiarare che mettendo da parte Garibaldi si rischia di far nascere un movimento anarchico che fornirà alla Francia l'occasione di sbarcare le sue truppe […] Questa è la fase più delicata che abbia mai attraversato la questione italiana.» Vedi: Cavour, ''Epistolario'', Vol. XVII (1860), 3º tomo (21 giugno-12 agosto), pp. 1406-1409. Olschki, Firenze, 2005.</ref>.
 
Nonostante le idee di Villamarina, il piano del Conte andò avanti: gli uomini designati alla sua realizzazione furono l'ammiraglio [[Carlo Pellion di Persano]], il patriota beneventano [[Nicola Nisco (1820-1902)]], il generale Nunziante e il ministro liberale napoletano [[Liborio Romano]].
 
Villamarina, che aveva costruito una rete di agenti di cui era il riferimento<ref>Tra gli altri vi comparivano [[Luigi Mezzacapo]], [[Ignazio Ribotti]], [[Emilio Visconti Venosta]], [[Giuseppe Finzi]] e successivamente [[Giuseppe Devincenzi]].</ref>, dopo l'arrivo di Persano a Napoli, avvenuto il 3 agosto 1860, si affrettò ad avvisare Cavour che Nisco aveva una cattiva reputazione, che Nunziante non aveva alcun ascendente sulle truppe e che Liborio Romano era ancora indeciso se prendere o meno la strada dei [[Casa Savoia|Savoia]]. «A rigore», concludeva Villamarina sul moto di ribellione, «si potrebbe anche sollevarlo a Napoli, ma bisognerebbe tenere conto del fatto che, entro sei ore, avremmo addosso 40.000 uomini e verrebbe sparso un fiume di sangue, senza certezza di successo».<ref>Jaeger, ''Francesco II di Borbone'', Milano, 1982, pp. 40-41.</ref>.
 
Dopo questa lettera del Marchese, nella corrispondenza che aveva direttamente con gli agenti, Cavour raccomandò di ascoltare Villamarina, ma di attenersi in caso di perplessità alle istruzioni di Persano. Il piano, tuttavia, alla fine fallì, poiché il ministro degli Esteri napoletano De Martino svelò al re le intenzioni di Nunziante che fu costretto alla fuga, mentre Liborio Romano non mostrò mai alcuna volontà di schierarsi apertamente con la causa [[Casa Savoia|sabauda]]<ref>Jaeger, ''Francesco II di Borbone'', Milano, 1982, pp. 44-45.</ref>.
 
Per nulla scoraggiato Cavour, il 27 agosto 1860, scrisse ancora a Villamarina su di un colpo di mano militare da attuarsi per evitare la presa di potere di Garibaldi<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, p. 170.</ref>. Ma gli eventi precipitarono: Francesco II lasciò Napoli e il [[Giuseppe Garibaldi|generale]], il 7 settembre, vi entrò da trionfatore.
 
Tre giorni dopo, tuttavia, viste le pacifiche intenzioni di Garibaldi riguardo a casa Savoia, Cavour si congratulò con Villamarina attraverso una lettera nella quale si dichiarò entusiasta della svolta che avevano preso gli eventi nel Sud. Il 17 settembre, poi, un gruppo di [[liberalismo|liberali]] napoletani capeggiati da [[Antonio Ranieri]] consegnarono al Marchese un attestato di gratitudine per il lavoro svolto in quella delicata fase storica<ref>L'attestato era indirizzato al Sig. Marchese di Villamarina, Ambasciatore di Sardegna presso il Regno delle due Sicilie e recitava così: «Ed ancora a voi, italianissimo Signore! Tutte le quindici province del Continente Meridionale d'Italia sentono il bisogno di esprimere le più fervide azioni di grazia per la prudenza e la sapienza onde vi siete governato durante la vostra ambasceria […] Voi vi siete mischiato (e sempre con amabile dignità) fra tutti gli ordini di questa popolosa Metropoli, ne avete considerato le virtù e i difetti, e ne avete computate le speranze e i timori rispettivamente al santo scopo cui tutti intendevamo. […] E con la sola vostra presenza avete saputo scoraggiare la tirannide e la demagogia, ed incoraggiare coloro che volevano il vero bene […] Ora che questa grande e bella parte d'Italia è già unificata colla madre comune, e che le virtù patrie ne diventeranno più intere, anche alle vostre virtù sarà renduto [sic] quel giusto culto che invano si sarebbe sperato nei reggimenti caduti.»</ref> e numerosi altri riconoscimenti gli vennero tributati da varie città meridionali<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 172-173, 175.</ref>.
 
=== Garibaldi e la Battaglia del Volturno ===
{{vedi anche|Battaglia del Volturno}}
[[File:Mille a Capua Vizzotto2.JPG|thumb|right|300px|La [[Battaglia del Volturno]] alla quale parteciparono truppe piemontesi che Villamarina, contravvenendo agli ordini di Cavour, concesse a Garibaldi.]]
Durante la [[luogotenenza]] di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] o, come veniva chiamata, la sua “dittatura”, Villamarina intrattenne con il generale ottimi rapporti, ma non si tirò indietro quando all'esposizione dei suoi progetti di prendere [[Roma]] e il [[Veneto]] ne riferì a [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], allertandolo. Tali azioni avrebbero infatti gravemente nociuto alle relazioni del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]] con le corti europee dove già si lamentava una segreta complicità tra [[casa Savoia]] e Garibaldi<ref>Jaeger, ''Francesco II di Borbone'', Milano, 1982, p. 80.</ref>.
 
Il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] era, infatti, nella disputa fra [[Regno delle due Sicilie]] e [[garibaldini]] ufficialmente neutrale. La posizione di Villamarina era quindi delicatissima. Ciononostante il Marchese si dotò di un reparto di truppe piemontesi, il quale, senza prendere parte ai combattimenti, contribuiva a mantenere l'ordine a [[Napoli]]. Per evitare problemi diplomatici Villamarina chiese e ottenne da Garibaldi una lettera nella quale si chiedeva lo sbarco di tali truppe. Il documento sarebbe stato esibito nel caso una potenza straniera avesse chiesto spiegazioni sulla presenza delle truppe piemontesi<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 175-177.</ref>.
 
Cavour, d'altro canto, con una lettera del 17 settembre [[1860]] all'ambasciatore, disponeva la completa neutralità di tali truppe annunciandone l'arrivo del comandante, che avrebbe agito sotto la direzione di Villamarina<ref>Nel messaggio il Conte scriveva: «Il progetto di attaccare i francesi [in difesa di Roma] annunciato all'Europa ci obbliga a separare la nostra causa da quella di Garibaldi […] Mantenetevi sulla più stretta riserva, Vigilate affinché le nostre truppe non siano assolutamente compromesse […] Vi spedisco il [vascello] ''Tripoli'' con il colonnello Santa Rosa che avrà il comando supremo delle truppe sotto la vostra direzione. […] Fate per il meglio e preparatevi a tenervi in buoni rapporti con Garibaldi senza compromettere il Re.»</ref><ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, p. 178.</ref>.
 
Pur dimostrando cautela, ma contravvenendo agli ordini ricevuti, Villamarina dapprima fornì al generale garibaldino [[Enrico Cosenz]] alcuni artiglieri che distrussero una postazione di cannoni borbonici, e poi, nella confusione delle notizie succedutesi alle prime fasi della [[Battaglia del Volturno]], vinse ogni indecisione e concesse a Garibaldi due [[Compagnia (unità militare)|compagnie]] di [[Bersaglieri]] e due di fanti. Questi reparti, al comando del colonnello Santa Rosa mossero fra la mezzanotte e le due del 2 ottobre 1860 alla volta di [[Caserta]] e dalla mattina parteciparono alle fasi conclusive e vittoriose dello scontro<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 179-183.</ref><ref>Giuseppe Garibaldi, ''Memorie'', Giunti, Firenze, 1982, pp. 396-397.</ref>.
 
Dopo la Battaglia del Volturno Garibaldi dichiarò «Oh! Questa volta vedo chiaramente che il Piemonte è sincero e che i Piemontesi sono veri fratelli». Egli scrisse a [[Vittorio Emanuele II]] e lo invitò nella ex capitale borbonica mostrandosi lietissimo che altre truppe piemontesi erano in procinto di arrivarvi; contemporaneamente Villamarina imbarcava la delegazione della municipalità di Napoli verso [[Livorno]] e per la strada di [[Ancona]] dove avrebbe incontrato Vittorio Emanuele. Il successo politico consentì a Villamarina di scrivere già il 5 ottobre a Cavour: ammise di aver agito contro gli ordini ricevuti, ma dichiarò anche che Garibaldi era ormai dalla parte del Piemonte e che l'annessione del Regno delle due Sicilie era cosa fatta<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 184-185.</ref>.
 
=== La riconoscenza di Vittorio Emanuele II ===
Re [[Vittorio Emanuele II]] volle personalmente ringraziare Villamarina del lavoro svolto e lo incontrò a [[Giulianova]], lungo il percorso del suo viaggio verso [[Napoli]], nell'ottobre [[1860]]. In quei giorni il Marchese si incontrò anche con [[Luigi Carlo Farini]] che gli comunicò di prendere la luogotenenza di tutte le province meridionali, facendogli così capire che il suo compito era terminato. Preceduto di qualche giorno il re a Napoli, il 9 novembre 1860<ref name="notes9.senato.it"/>, Villamarina ricevette la più alta onorificenza di Casa Savoia, l'[[Ordine supremo della Santissima Annunziata]]. Quasi contemporaneamente il [[Decurionato]] della città di Napoli gli conferiva la cittadinanza onoraria<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 189-190.</ref>.
 
== Gli ultimi tempi (1861-1877) ==
Gli importanti impegni sostenuti da Villamarina, gli impedirono, fino al 6 febbraio [[1861]] di giurare per la nomina a senatore che aveva ricevuto nel [[1856]]. Trasferita la capitale del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno]] prima a [[Firenze]] e poi a [[Roma]], egli interveniva raramente alle sedute, non mancando però nelle occasioni solenni. Fra i suoi discorsi si ricordano quello per il trasferimento immediato della capitale a Roma (gennaio 1871) e quello contro la [[Legge delle Guarentigie]] (aprile 1871)<ref name="notes9.senato.it"/><ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, p. 204.</ref>.
 
Offertale dal Re in persona, nell'aprile [[1862]], Villamarina accettò la carica di [[Prefetto (ordinamento italiano)|prefetto]] di [[Milano]]; mansione che mantenne fino al febbraio del [[1868]]. Durante questo periodo il Marchese affrontò nella sua provincia, negli anni [[1865]] e [[1866]], l'[[epidemia]] del “morbo Asiatico”, ricevendone un attestato di stima da parte della Commissione sanitaria<ref>Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Milano, 1877, pp. 195-197.</ref>.
 
Messo a riposo da prefetto dal ministro degli Interni [[Carlo Cadorna|Cadorna]], nel [[1868]] tornò a Torino. Qui, instancabile, fu consigliere comunale, consigliere dell'amministrazione dell'ospedale della città, presidente del consiglio dei veterani del 1848-49, presidente del circolo torinese per la Lega italiana di insegnamento. Fu attivo fino all'ultimo: morì improvvisamente il 14 maggio [[1877]], nelle stesse ore in cui la Camera dei deputati a Roma riceveva da Torino una petizione a sua firma a favore dei veterani del [[Risorgimento]]<ref name="notes9.senato.it"/>.
 
==Onorificenze==
Grazie alla sua attività di diplomatico Villamarina ottenne le seguenti onorificenze<ref name="notes9.senato.it"/><ref>''[[Calendario reale]] per l'anno 1861'', Ceresole e Panizza, Torino, s.d. ma 1861, pp. 173, 196.</ref>:
===Onorificenze italiane===
{{Onorificenze
|immagine=Commendatore SSML Regno BAR.svg
|nome_onorificenza=Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|collegamento_onorificenza=Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|motivazione=
|luogo=2 ottobre [[1849]]
}}
{{Onorificenze
|immagine=Cavaliere di gran Croce Regno SSML BAR.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|collegamento_onorificenza=Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|motivazione=
|luogo=28 aprile [[1853]]
}}
{{Onorificenze
|immagine=Order of the Most Holy Annunciation BAR.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata
|collegamento_onorificenza=Ordine Supremo della Santissima Annunziata
|motivazione=
|luogo=9 novembre [[1860]]
}}
 
===Onorificenze straniere===
{{Onorificenze
|immagine=Legion Honneur GC ribbon.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)
|collegamento_onorificenza=Legion d'Onore
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}}
{{Onorificenze
|immagine=Royal Guelphic Order.png
|nome_onorificenza=Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Reale Guelfo (Gran Bretagna e Hannover)
|collegamento_onorificenza=Ordine Reale Guelfo
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}}
{{Onorificenze
|immagine=PRT Military Order of Aviz - Grand Cross BAR.png
|nome_onorificenza=Cavaliere di Grande Stella dell’Ordine del Leone e del Sole (Persia)
|collegamento_onorificenza=Ordine del Leone e del Sole
|motivazione=
|luogo=
}}
 
== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* Ferdinando Bosio, ''Il marchese di Villamarina'', Tipografia Editrice Lombarda, Milano 1877.
* Antonio Archi, ''Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia (1814-1861)'', Cappelli, Rocca San Casciano 1965.
* Pier Giusto Jaeger, ''Francesco II di Borbone. L'ultimo re di Napoli'', Mondadori, Milano 1982.
 
== Voci correlate ==
* [[Congresso di Parigi]]
 
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|Risorgimento}}
 
[[Categoria:Personalità del Risorgimento]]
[[Categoria:Cavalieri dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata]]
[[Categoria:Decorati con l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro]]
[[Categoria:Nobili italiani]]