Fokker F27 e Repubblica romana: differenze tra le pagine
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{{Nota disambigua}}
{{Stato storico
|nomeCorrente = Repubblica romana
|nomeCompleto = Repubblica romana
|nomeUfficiale = ''RES PUBLICA POPULI ROMANI''
|linkBandiera = Roman Standards.jpg
|paginaBandiera = Insegna romana
|
|paginaStemma =
|linkLocalizzazione = Roman_Republic-44BC.png
|linkMappa =
|didascalia = Mappa della Repubblica romana nel 44 a.C. dopo le recenti conquiste di Giulio Cesare, poco prima che venisse assassinato
|motto = <br />"[[Senatus populusque romanus|S.P.Q.R.]]"<br />"''Senatus PopulusQue Romanus''"<br />
(Il Senato e il popolo romano)
|lingua = [[Lingua latina|Latino]]
|capitale principale = [[Roma]]
|
|governo = [[Repubblica]] con [[costituzione mista]] di democrazia, aristocrazia e monarchia.
|titolo capi di stato = [[Console (storia romana)|Consoli]]
|elenco capi di stato = [[Consoli repubblicani romani|Elenco]]
|organi deliberativi = [[Senato romano]], [[Comitia|Comizi]]
|inizio = [[509 a.C.]]
|primo capo di stato = [[Lucio Giunio Bruto]] e [[Lucio Tarquinio Collatino]]
|evento iniziale = cacciata di [[Tarquinio il Superbo]]
|fine = ''[[de facto]]'' 16 gennaio [[27 a.C.]] (''[[de jure]]'' almeno fino al [[235 d.C.]], nella forma del [[Principato (storia romana)|Principato]])
|ultimo capo di stato = [[Gaio Giulio Cesare Ottaviano]] e [[Marco Vipsanio Agrippa]]
|evento finale = Assunzione del titolo di [[Augusto (titolo)|Augusto]] da parte di Ottaviano e istituzione del [[Principato (storia romana)|Principato]]
|area geografica = [[Europa]] e [[Mediterraneo]]
|territorio originale = [[Italia]]
|superficie massima =
|periodo massima espansione = [[I secolo a.C.]]
|popolazione =
|periodo popolazione =
|moneta = [[Sesterzio]], [[Asse (moneta)|Asse]]
|risorse = [[oro]], [[argento]], [[ferro]], [[Stagno (elemento chimico)|stagno]], [[ambra (resina)|ambra]], [[cereali]], [[pesca (attività)|pesca]], [[Olea europaea|ulivo]], [[Vitis|vite]], [[marmo|marmi]]
|
|commerci con = [[Parti]], [[Africa|Africa subsahariana]], [[India]], [[Penisola araba|Arabia]]
|esportazioni = [[oro]]
|importazioni = [[schiavi]], [[animali]], [[seta]], [[spezie]]
|religioni preminenti = [[religione romana]], [[religione greca]], [[Mitologia egizia|religione egiziana]], [[mitraismo]]
|religione di stato = [[religione romana]]
|altre religioni = [[religione ebraica]], [[druidismo]]
|classi sociali = [[cittadinanza romana|cittadini romani]] ([[patrizio (storia romana)|patrizi]] e [[plebei]]), [[Schiavitù nell'antica Roma|liberi e schiavi]]
|stato precedente = [[File:Capitoline_Wolf_of_Roman_Kingdom.svg|20px|border]] [[Età regia di Roma]]<br/>([[File:Tarquinius-Superbus.jpg|20px|border]] [[Tarquini|Re Etruschi]])
|stato successivo = {{simbolo|Vexilloid of the Roman Empire.svg}} [[Impero romano]]
|portale = Antica Roma
}}
La '''Repubblica romana''' (''Res publica Populi Romani'') fu il sistema di governo della città di [[Roma (città antica)|Roma]] nel periodo compreso tra il [[509 a.C.]] e il [[27 a.C.]], quando l'Urbe fu governata da un'[[oligarchia]] [[Repubblica (forma statuale)|repubblicana]]. Essa nacque a seguito di contrasti interni che portarono alla fine della supremazia della componente [[Tarquini|etrusca]] sulla [[Roma (città antica)|città]] e al parallelo decadere delle [[Età regia di Roma|istituzioni monarchiche]]. La sua fine viene invece convenzionalmente fatta coincidere, circa mezzo millennio dopo, con la fine di un lungo periodo di [[Guerre civili (storia romana)|guerre civili]] che segnò ''[[de facto]]'' (benché formalmente non avvenne in forma istituzionale) la fine della forma di governo repubblicana, a favore di quella del [[Principato (storia romana)|Principato]]. Qui di seguito il passo fondamentale di Tito Livio, che descrive le ragioni che portarono alla [[età regia di Roma|caduta della monarchia]] dei [[Tarquini]], considerando che i tempi erano ormai maturi:
{{Citazione|E non c'è dubbio che lo stesso [[Lucio Giunio Bruto|Bruto]], coperto di gloria per l'espulsione del tirannico Tarquinio, avrebbe agito in modo estremamente dannoso per la ''Res Publica'', se il desiderio prematuro di libertà lo avesse portato a detronizzare qualcuno dei re precedenti. Infatti cosa ne sarebbe stato di quel gruppo di pastori e di popolazione se, fuggiti dai loro paesi per cercare la libertà o l'impunità nel recinto inviolabile di un tempio, si fossero resi liberi dalla paura di un re e si fossero lasciati condizionare dai discorsi faziosi dei tribuni e a scontrarsi verbalmente con i ''[[senatore romano|patres]]'' di una città che non era la loro, prima che l'amore coniugale, l'amore paterno e l'attaccamento alla terra stessa, sentimento consuetudinario, non avessero unito i loro animi? La ''Res publica'', minata dalla discordia, non avrebbe potuto neppure raggiungere la maggiore età. Invece l'atmosfera di serenità e moderazione che accompagnò la gestione del governo, portò la crescita ad un punto tale che, una volta raggiunta la piena maturità delle sue forze, poté dare i frutti migliori della libertà.|[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', II, 1.}}
Quella della Repubblica rappresentò una fase lunga, complessa e decisiva della [[storia romana]]: costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da piccola [[città stato]] quale era alla fine del [[VI secolo a.C.]] divenne, alla vigilia della fondazione dell'[[Impero romano|Impero]], la [[Capitale (città)|capitale]] di un vasto e complesso Stato, formato da una miriade di popoli e civiltà differenti, avviato a segnare in modo decisivo la storia dell'[[Occidente (civiltà)|Occidente]] e del [[mar Mediterraneo|Mediterraneo]].
In questo periodo si inquadrano la [[Storia delle campagne dell'esercito romano in età repubblicana|maggior parte delle grandi conquiste romane]] nel [[bacino del Mediterraneo|Mediterraneo]] e in [[Europa]], soprattutto tra il [[III secolo a.C.|III]] e il [[II secolo a.C.]]; il [[I secolo a.C.]] fu invece, come detto, devastato dai conflitti intestini dovuti ai mutamenti sociali, ma fu anche il secolo di maggiore fioritura letteraria e culturale, frutto dell'incontro con la cultura [[Ellenismo|ellenistica]] e riferimento "classico" per i secoli successivi.
== Civiltà romana repubblicana ==
{{Vedi anche|Civiltà romana|Storia delle campagne dell'esercito romano in età repubblicana}}
Per ogni aspetto della società repubblicana (es. forma di governo, diritto, religione, economia, cultura letteraria, artistica, ecc.) si rimanda alla voce [[Civiltà romana]]. Vale qui la pena ricordare solo che i più alti comandi, come quello dell'esercito e il [[potere giudiziario]], che in [[Età regia di Roma|età regia]] erano prerogativa del [[Rex (Roma antica)|re]], in epoca repubblicana, tranne che in poche occasioni, furono assegnati a due [[Console (storia romana)|consoli]], mentre per quanto riguarda l'ambito religioso, prerogative regie furono attribuite al [[Pontefice massimo (storia romana)|pontifex maximus]]. Con la progressiva crescita di complessità dello Stato romano si rese necessaria l'istituzione di altre cariche ([[Edile (storia romana)|edili]], [[Censore|censori]], [[Questore (storia romana)|questori]], [[tribuno della plebe|tribuni della plebe]]) che andarono a costituire le [[Magistratura (storia romana)|magistrature]].
Per ognuna di queste cariche venivano osservati tre principi: l'''annualità'', ovvero l'osservanza di un mandato di un anno (faceva eccezione la carica di censore, che poteva durare fino a 18 mesi), la ''[[collegialità]]'', ovvero l'assegnazione dello stesso incarico ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei quali esercitava un potere di mutuo [[veto]] sulle azioni dell'altro, e la ''gratuità''.
Il secondo pilastro della repubblica romana erano le [[Assemblee romane|assemblee popolari]], che avevano diverse funzioni, tra cui quella di eleggere i magistrati e di votare le leggi. La loro composizione sociale differiva da assemblea ad assemblea; tra queste l'organo più importante erano comunque i [[comizi centuriati]], in cui il peso nelle votazioni era proporzionale al [[censo (storia romana)|censo]], secondo un meccanismo (quello della divisione delle fasce censitarie in [[centuria|centurie]]) che rendeva preponderante il peso delle famiglie patrizie.
Il terzo fondamento politico della repubblica era il [[Senato romano|Senato]], già presente nell'età della monarchia. Costituito da 300 membri, capi delle famiglie patrizie (''Patres'') ed ex consoli (''Consulares''), aveva la funzione di fornire pareri e indicazioni ai magistrati, indicazioni che poi divennero ''de facto'' vincolanti. Approvava inoltre le decisioni prese dalle assemblee popolari.
== Nascita e consolidamento (509-343 a.C.) ==
=== La cacciata dei Re da Roma (509 a.C.) ===
==== Leggenda ====
[[File:Capitoline Brutus Musei Capitolini MC1183.jpg|thumb|upright|Testa di [[Bruto capitolino]] ([[Musei Capitolini]]-[[Roma]]).]]
Si racconta che mentre [[Tarquinio il Superbo]] stava assediando la città dei [[Rutuli]] di [[Ardea]],<ref name="EutropioI.8">[[Eutropio]], ''[[Breviarium ab Urbe condita]]'', I, 8.</ref> il [[figlio]] [[Sesto Tarquinio]] abusò della [[nobile (aristocrazia)|nobile]] ed onestissima [[Lucrezia (antica Roma)|Lucrezia]] ([[moglie]] di [[Lucio Tarquinio Collatino]]), che per la vergogna si suicidò.<ref name="EutropioI.8"/><ref>[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 1.29.</ref><ref name="LivioPeriochae1.49">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 1.49.</ref><ref name="FloroI,7.11">[[Floro]], ''Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC'', I, 7.11.</ref> Il marito [[Lucio Tarquinio Collatino]], il padre [[Spurio Lucrezio Tricipitino]] e l'amico [[Lucio Giunio Bruto]] (anch'egli imparentato con i [[Tarquini]]), convinsero i Romani a ribellarsi e a rovesciare la monarchia nel [[509 a.C.]], abbandonando il re e chiudendogli in faccia le porte della [[Roma (città antica)|città]].<ref name="EutropioI.8"/><ref name="LivioPeriochae1.49"/><ref>[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 1.30.</ref><ref name="FloroI,9.1">[[Floro]], ''Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC'', I, 9.1.</ref> La famiglia di Lucrezia guidò, quindi, la rivolta che costrinse alla fuga i [[Tarquini]], che dovettero così abbandonare Roma per rifugiarsi in [[Etruria]]. Lucio Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia, e Lucio Giunio Bruto vinsero le elezioni come primi due [[Console (storia romana)|Consoli]], supremi magistrati della neo Repubblica romana.<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 1.50.</ref>
La leggenda narra che il sovrano esule si rivolse prima agli [[Etruschi]] di [[Veio]] e [[Tarquinia]], poi a quelli di [[Chiusi]], governati dal lucumone [[Porsenna]], in entrambi i casi per chiedere un sostegno militare esterno e poter così rientrare a Roma. Entrambe le sue richieste furono accolte, ed in entrambi i casi il conflitto che ne risultò, alla fine, si risolse a favore di Roma, sostenuta da aiuti soprannaturali, come la voce che proclamò la vittoria dei Romani guidati da Lucio Giunio Bruto e [[Publio Valerio Publicola]] sugli etruschi di Veio e Tarquinia, o da singoli atti di valore dei Romani, come quelli di [[Orazio Coclite]], [[Muzio Scevola]] e [[Clelia]], che convinsero Porsenna a levare l'assedio da Roma.
==== Contesto storico ====
{{Vedi anche|Età regia di Roma}}
Quando i Romani riuscirono a cacciare i [[Tarquini]] nel [[509 a.C.]], furono favoriti dal fatto che la [[Etruschi|potenza etrusca]] era ormai in pieno declino nell'Italia meridionale.<ref name="DeFrancisci60">[[Pietro De Francisci]], ''Sintesi storica del diritto romano'', p.60.</ref> Basti ricordare che pochi anni prima (nel [[524 a.C.]]), gli Etruschi erano stati battuti presso [[Battaglia di Cuma (524 a.C.)|Cuma]] dalle forze greche poste sotto il comando dello stratega [[Aristodemo di Cuma|Aristodemo]], segnando la fine del loro espansionismo e l'inizio del crollo della signoria etrusca a sud del [[Tevere]].<ref name="DeFrancisci60"/> Ciò condusse le genti latine a ribellarsi, come dimostra la successiva [[battaglia di Aricia]], nella quale i Latini, soccorsi da Aristodemo, ottennero una decisiva vittoria per la loro indipendenza, sconfiggendo le forze etrusche poste sotto il comando del figlio di [[Porsenna]], Arunte. Roma approfittò della nuova situazione venutasi a creare.<ref name="DeFrancisci60"/><ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', II, 14.</ref>
Il significato storico che sta sotto l'elaborazione leggendaria della fondazione della repubblica riguarda due aspetti fondamentali per la storia militare e sociale romana: l'emancipazione politica dagli [[Etruschi]] e, soprattutto, l'esito del contrasto tra l'istituzione monarchica ed il ceto dei [[Patrizio (storia romana)|Patrizi]]; questi ultimi, preoccupati dalle iniziative politiche popolari sostenute dai re etruschi (come la [[centuria|riforma centuriata]] e l'imposizione fiscale "progressiva"), che sembravano condurre ad un sempre crescente peso della [[plebei|plebe]], si assicurarono con la cacciata di Tarquinio il Superbo il controllo politico e sociale attraverso un istituto oligarchico.
Vi è da aggiungere che vi fu un'altra componente che favorì la cacciata da Roma degli Etruschi: l'alleanza con i [[Sabini]]. Questi ultimi, scendendo dai monti verso il ''[[Latium vetus]]'', andarono ad insidiare il fianco etrusco. Questa collaborazione latino-sabina è confermata - secondo il [[Pietro De Francisci|De Francisci]]<ref name="DeFrancisci60"/> - non solo in base a quanto riferito da Livio (secondo il quale ''[[Attius Clausus]]'' con la ''[[gens Claudia]]'' ed i suoi ''[[clientes]]'' vennero ammessi nel territorio romano<ref>[[Tito Livio]], ''Ab Urbe condita libri'', II, 21.7.</ref>) ma anche dal fatto che [[Appio Erdonio]] (di chiara origine sabina) si impadronì del [[Campidoglio]] (nel [[460 a.C.]]). In aggiunta a ciò, va tenuto presente che molte delle cariche più elevate di questi anni vennero occupate da ''gentes'' sabine come i ''[[gens Valeria|Valerii]]'', i ''[[gens Claudia|Claudii]]'', i ''[[gens Postumia|Postumii]]'' e gli ''[[gens Lucretia|Lucretii]]''.<ref name="DeFrancisci61">[[Pietro De Francisci]], ''Sintesi storica del diritto romano'', p.61.</ref>
Il periodo immediatamente successivo alla cacciata dei Tarquini fu segnato da una crisi militare ed economica per l'Urbe: l'espansione territoriale guidata dai re fu seguita da una controffensiva dei popoli circostanti ([[Equi]] e [[Volsci]]), che ridimensionarono i confini di Roma, mentre l'emarginazione dei ceti plebei artigiani e mercantili, che sotto la monarchia avevano guidato la crescita economica della città, portarono ad una recessione economico-agricola dominata dai grandi proprietari terrieri.
I primi Consoli assunsero il ruolo del re con l'eccezione dell'alto sacerdozio nell'adorazione di [[Giove (divinità)|Iuppiter Optimus Maximus]] nel grande tempio sul colle [[Campidoglio|Capitolino]]. Per quel compito i Romani elessero un ''[[Rex sacrorum]]'' o "Re delle cose sacre". Fino alla fine della Repubblica, l'accusa di volersi dichiarare re, rimase una delle più gravi accuse a cui poteva incorrere un personaggio potente (ancora nel [[44 a.C.]] gli assassini di [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]] sostennero di aver agito per prevenire la restaurazione di una monarchia esplicita).
=== I primi anni della Repubblica (509-496 a.C.) ===
{{Vedi anche|Organi costituzionali (storia romana)|Magistratura (storia romana)}}
[[File:City of Rome during time of republic.jpg|thumb|upright=1.4|left|Il [[Campidoglio]] in età repubblicana]]
I primi anni della Repubblica furono caratterizzati dalla necessità di stabilizzare il nuovo ordine, difendendolo sia da nemici interni (coloro che venivano accusati di voler restaurare il regime monarchico), sia dai nemici esterni, che, contando sulla debolezza del nuovo regime, provarono a recuperare la propria indipendenza dallo Stato romano. Nel [[507 a.C.]] il [[Tempio di Giove Ottimo Massimo]], per secoli simbolo della potenza romana, fu dedicato al dio da uno dei primi consoli repubblicani, [[Marco Orazio Pulvillo]], quasi ad avocare al nuovo stato un tempio voluto e realizzato dagli ultimi tre re di Roma.
In qualche modo, la difesa del nuovo ordine della Repubblica, da quello appena rovesciato della monarchia, fu un movimento storico che a Roma assunse caratteri di psicosi collettiva, considerando che lo stesso [[Publio Valerio Publicola|Publio Valerio]] (il futuro ''Publicola'' ovvero amico del popolo), dovette difendersi dall'accusa di voler farsi re, costretto poi ad abbattere la dimora che stava costruendo in cima al [[Velia (colle)|Velia]]<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', II.7.</ref> e promulgando una legge che permetteva a tutti i cittadini romani di uccidere chiunque avesse tentato di farsi re.
Il corpo sociale era in fermento: all'ordine più tradizionalista, come quello legato alle [[patrizio (storia romana)|famiglie patrizie]], si contrapponeva il popolo romano (la [[plebe]]), in un movimento dialettico che sfociò anche nella violenza e che sarebbe emerso più chiaramente nel decennio successivo, con la [[secessio plebis|prima secessione della plebe]] del [[494 a.C.]] È di questo periodo l'introduzione nell'ordinamento romano della ''[[provocatio ad populum]]'', che garantiva ad ogni cittadino che fosse stato condannato da un magistrato alla pena capitale, di appellarsi al popolo per trasformare la pena inflittagli, e la nomina di due questori da parte del popolo.
Dal punto di vista militare, dopo essersi garantita l'indipendenza dal potente vicino etrusco, Roma si trovò a dover ristabilire la propria autorità lungo i confini settentrionali con i Sabini, che sempre più spesso compivano scorrerie in territorio romano (nel [[505 a.C.]] sull'[[Aniene]]<ref name="Plutarco_21">Plutarco, 21.</ref> e [[504 a.C.]] nei pressi di [[Fidene]]<ref>Tito Livio, ''Ab urbe condita libri'', Libro II, 16, 6.</ref>), e verso i meridionali, dove la colonia di [[Pometia]] fu duramente punita per essere passata dalla parte degli [[Aurunci]].<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 17</ref>
Che i Romani si sentissero accerchiati, lo si desume dai [[fasti triumphales|trionfi]] che furono accordati per vittorie forse anche di modeste dimensioni, ma ancor più dall'istituzione della figura del [[Dittatore romano|dittatore]], carica che per la prima volta fu attribuita nel [[501 a.C.]] a [[Tito Larcio]], in previsione di una futura guerra contro una lega di città latine. È in queste condizioni che si sviluppò quella che potremmo definire una prima forma di "politica estera" dello stato romano: il ''[[divide et impera]]'', teso a dividere gli avversari, grazie ad azioni diplomatiche, per poi arrivare allo scontro campale con un nemico indebolito nella propria consistenza numerica.
=== Roma e i Latini (496-494 a.C.) ===
[[File:Ancient Latium.png|thumb|upright=1.4|Il ''[[Latium vetus]]'' secondo l'''Historical Atlas'']]
{{Vedi anche|Foedus Cassianum}}
Roma era rimasta esclusa dalla lega delle [[Latini|città latine]] limitrofe, forse anche in virtù dell'influenza della componente etrusca della città: la ricerca di nuove terre coltivabili e di vie di comunicazione contrappose presto l'Urbe agli altri centri latini.
Un nuovo equilibrio fu stabilito con il [[Foedus Cassianum]] (la data è incerta, ma non successiva al [[493 a.C.]]), un trattato di pace stipulato tra Romani e Latini, che rimase in vigore fino al [[338 a.C.]], conseguenza dello scontro tra le due parti, conclusosi con la [[Battaglia del lago Regillo]], di fatto l'ultimo tentativo di [[Tarquinio il Superbo]] (e quindi della componente etrusca che a lui faceva riferimento) di rientrare nell'Urbe. Sebbene i Romani prevalsero sul campo<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 19-20</ref>, con il trattato Roma riconosceva alle città latine la loro autonomia ma si riservava il Supremo Comando in caso di guerra. L'alleanza aveva, perciò, uno scopo prettamente difensivo, in vista delle incombenti minacce degli [[Equi]], dei [[Volsci]] e degli [[Aurunci]].
=== Vicende politiche interne (494-487 a.C.) ===
{{Vedi anche|Conflitto degli ordini|secessio plebis}}
Intanto la città era teatro di violenti conflitti tra patrizi e plebei, conflitti che trovavano origine nella richiesta dei secondi di essere rappresentati nelle istituzioni della città (istituzioni che, dopo la caduta della monarchia, erano appannaggio esclusivo dei patrizi) e di non essere ridotti in schiavitù, in applicazione del [[Nexum]], perché debitori a seguito di eventi bellici<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 23</ref>. In quel frangente l'Urbe riuscì a resistere alle forze esterne solo ritrovando l'accordo tra i due ordini (il dittatore [[Manio Valerio Massimo]] promise le riforme a guerra conclusa) i quali, compatti, con rapide ed efficaci azioni militari riuscirono nel [[494 a.C.]] a respingere gli attacchi dei [[Sabini]], [[Equi]] e [[Volsci]]<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 28-30</ref>.
A guerra conclusa, poiché i patrizi non volevano concedere ai plebei quanto promesso, soprattutto a causa della forte opposizione a questa riforma dell'ala più oltranzista dei patrizi guidata da [[Gneo Marcio Coriolano|Gneo Marcio]], conosciuto come ''Coriolano'', questi per la prima volta nella storia romana adottarono come forma di lotta politica la [[secessio plebis]], ovverosia abbandonarono la città, ritirandosi sul monte Sacro appena fuori le mura cittadine, rifiutandosi di rispondere alla chiamata alle armi dei Consoli.
La prima secessione dei plebei si concluse quando questi videro accolte alcune delle loro richieste, tra le quali la più importante era senza dubbio quella dell'istituzione nel [[494 a.C.]] della figura del [[tribuno della plebe]]; peraltro il ricomporsi della frattura tra i due ordini non comportò il ristabilirsi della concordia interna.<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 33</ref>
=== Primi scontri con Equi, Volsci ed Ernici (493-480 a.C.) ===
[[File:Poussin Coriolan Les Andelys.jpg|thumb|upright=1.4|left|''Veturia ai piedi di Coriolano'', di [[Nicolas Poussin]]]]
{{Vedi anche|Roma e le guerre con Equi e Volsci}}
Le vicende di Coriolano, esiliato da Roma a seguito delle accuse mossegli dai tribuni, condottiero dei Volsci contro la sua città natale fin sotto le mura cittadine, ritiratosi solo grazie all'intervento delle donne romane ([[488 a.C.]]), sia che siano state reali, o il frutto di una successiva rielaborazione storica, riportano di quale intensità fossero le tensioni sociali interne alla città, che si aggiungevano a quelle esterne connesse alla dura guerra contro i Volsci, che caratterizzò quel periodo.<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par. 33-40</ref><ref>[[Plutarco]], [[Vite parallele]], 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade</ref>
Nel periodo successivo, dal [[487 a.C.]] al [[480 a.C.]], Roma tornò ad essere impegnata in una serie di scontri contro le popolazioni vicine di [[Volsci]], [[Ernici]], [[Equi]], oltre agli [[Etruschi]] della città di Veio, quasi tutti dall'esito favorevole, anche se nel [[484 a.C.]] i Romani subirono una pesante sconfitta in battaglia da parte dei Volsci davanti alle porte di [[Antium|Anzio]]<ref>[[Dionigi]], Antichità romane, Libro VIII, 87, 1</ref>, e la vittoria dei romani sui vejenti nel [[480 a.C.]] costò loro pesantissime perdite, tra le quali quella del console [[Gneo Manlio Cincinnato]]<ref>Livio, ''Ab urbe condita libri'', Libro II, 45-47.</ref>.
Oltre ai tradizionali motivi di rivalità, le città limitrofe trovarono motivazioni per le loro incursioni nell'evidente debolezza di Roma, attraversata in quegli anni da feroci lotte intestine, legate alla questione della [[legge agraria]], voluta dal console [[Spurio Cassio Vecellino]] nel [[486 a.C.]], che per questo fu condannato a morte l'anno successivo per accuse mossegli dai patrizi. Nonostante vari episodi di insubordinazione e renitenza alla leva, in tutto questo periodo, patrizi e plebei si ricompattarono nei momenti di maggiore pericolo, riuscendo sempre a far fronte al pericolo esterno.
A questo periodo, risalgono la consacrazione del tempio dedicato ai [[Dioscuri]] ([[484 a.C.]]) e l'episodio della condanna a morte della [[vestale]] Oppia, sepolta viva per esser venuta meno al voto di castità<ref>[[Tito Livio]], Libro II, 42, 10-12.</ref>.
=== Nuovi conflitti con l'etrusca Veio ===
{{Vedi anche|Roma e le guerre con Veio}}
Tra il 482 a.C.<ref>[[Tito Livio]], ''Ab Urbe condita libri'', II, 43-44.</ref> e il 474 a.C. Roma dovette combattere duramente contro la città di Veio, che dopo aver annientato l'esercito ''privato'' della [[gens Fabia]] nella [[battaglia del Cremera]] del [[477 a.C.]],<ref>[[Tito Livio]], ''Ab Urbe condita libri'', II, 48.</ref> era arrivata addirittura a costruire opere fortificate sul [[Gianicolo]], appena fuori dalle mura della città. Questa prima fase del conflitto tra le due città, si risolse con una tregua quarantennale concessa dai romani ai veienti nel [[474 a.C.]] in cambio di frumento e denaro.
Sia durante lo scontro con gli Etruschi, che nel periodo immediatamente successivo, non mancarono occasioni di scontro con le popolazioni vicine dei Volsci, degli Equi e dei Sabini, che quando non si risolsero con un nulla di fatto, furono tutti favorevoli ai romani, tranne in una occasione, nel [[471 a.C.]], quando i Volsci sconfissero duramente i romani, anche grazie alle divisioni esistenti tra Patrizi e Plebei.
Divisioni, le cui motivazioni in parte erano state ereditate dai periodi precedenti (come la legge agraria), ed in parte erano frutto di nuove rivendicazioni da parte dei plebei, come quelle legate alla [[Lex Publilia Voleronis]], per la quale i Tribuni dovevano essere eletti nei [[comizi tributi]], cui solo i plebei avevano diritto a partecipare.
Dopo aver respinto l'offensiva delle popolazioni vicine, i Romani si videro ostacolata l'espansione a nord dalla ricca e fiorente città etrusca di [[Veio]], che le contendeva il dominio sul Tevere. Iniziata nel [[477 a.C.]] ([[battaglia del Cremera]]), la guerra si conclude nel [[396 a.C.]] con la [[Caduta di Veio|distruzione della città etrusca]] ad opera di [[Furio Camillo]], dopo un assedio di dieci anni. A questo punto, l'espansione romana nel Centro Italia era, però, ancora ostacolata dalla migrazione di [[Celti]] e [[Sanniti]].
=== Tra i bellicosi popoli vicini e le tensioni interne ===
Il periodo che corre tra il 470 a.C. e il [[451 a.C.]], è caratterizzato dalle campagne contro le popolazioni vicine, colpevoli di sconfinare e razziare i territori romani o quelli degli alleati, e le crescenti tensioni interne, tra Plebe e Senato, che ruotavano intorno alla [[Lex Terentilia]], con cui i tribuni provarono a limitare i poteri dei consoli, e quindi quello dei Patrizi, ma che non arrivò mai ad essere votata.
[[File:Solon.jpg|thumb|upright|Busto di [[Solone]]]]
Durante il ventennio i più strenui oppositori esterni furono i [[Volsci]] e gli [[Equi]], più abili come razziatori e guastatori (almeno così vengono descritti da [[Tito Livio]]), che come combattenti, e per questo regolarmente sconfitti negli scontri campali dai romani, anche quando questi si trovano in inferiorità numerica. La città di [[Antium|Anzio]] viene presa nel [[469 a.C.]], e nel [[462 a.C.]] i Volsci subiscono ingenti perdite ad opera dei romani. {{Citazione|Lì poco mancò che il nome dei Volsci venisse cancellato dalla faccia della terra. In alcuni annali ho trovato che tra fuga e battaglia ci furono 13.470 morti, che 1750 vennero catturati vivi e che le insegne conquistate ammontarono a 27. Anche se tali cifre risentono di una certa tendenza all'esagerazione,ciononostante si trattò indubbiamente di un grande massacro.|[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe Condita]]'', III. 8}}
I [[Sabini]] si limitarono a qualche scorribanda, mentre gli [[Ernici]] sono riportati tra gli alleati, cui Roma presta aiuto, quando questi subiscono le razzie da parte degli Equi e dei Volsci. La città di [[Tusculum]] si distingue per essere la più fedele tra gli alleati dei romani, intervenendo nella riconquista del [[Campidoglio]], occupato da [[Appio Erdonio]].
Nel [[466 a.C.]] viene consacrato il tempio di Giove Fidus sul [[Quirinale (colle)|Quirinale]], voluto da [[Tarquinio il Superbo]], mentre il censimento del [[465 a.C.]] conta 104.714 cittadini, esclusi orfani e vedove<ref>Tito Livio, ''Ab urbe condita libri'', Libro III, 1, 3.</ref>, numero che dovette essere sicuramente ridimensionato dalla [[pestilenza]] che colpì Roma nel [[463 a.C.]] Il decimo censimento [[Ab Urbe condita]] del [[459 a.C.]] comunque conta 117.319 abitanti.
Intanto in città le tensioni tra Patrizi e Plebei, impegnati nella controversia per l'approvazione della Lex Terentilia, che tra le altre cose provoca l'esilio di [[Cesone Quinzio]], figlio di [[Cincinnato]], raggiungono l'apice nel [[460 a.C.]], quando i dissidi interni, rendono possibile che [[Appio Erdonio]], e i suoi seguaci, prendano il [[Campidoglio]], riconquistato a fatica dalle truppe consolari di [[Publio Valerio Publicola (console 475 a.C.)|Publio Valerio Publicola]], ucciso nei combattimenti per riprendere la rocca.
Tra le due fazioni cresce la consapevolezza che la situazione di stallo tra i due ordini sia pericolosa per la stabilità di Roma, per cui, dopo aver inviato una commissione, formata da [[Spurio Postumio Albo Regillense|Spurio Postumio Albo]], [[Aulo Manlio Vulsone (decemviro 451 a.C.)|Aulo Manlio]] e [[Servio Sulpicio Camerino Cornuto (console 461 a.C.)|Sulpicio Camerino]], ad [[Atene]], per trascrivere le [[Riforma di Solone|leggi]] di [[Solone]], e quindi poterle studiare e riformare le istituzioni romane, dopo molte insistenze da parte dei [[tribuni della plebe]], patrizi e plebei concordarono per la costituzione del primo [[Decemviri|decemvirato]].
{{Citazione|Si decise di nominare dei decemviri non soggetti al diritto d'appello e di non avere quell'anno nessun altro magistrato al di fuori di loro. Se i plebei avessero dovuto o meno prendere parte alla cosa fu argomento a lungo dibattuto. Alla fine ebbero la meglio i patrizi, a patto però che non venissero abrogate la legge Icilia riguardante l'Aventino e le altre leggi sacrate.|Tito Livio, ''Ab Urbe Condita Libri'', Libro III, 2, 32}}
[[File:Cincinato abandona el arado para dictar leyes a Roma, c.1806 de Juan Antonio Ribera.jpg|left|thumb|upright=1.4|Cincinnato abbandona l'aratro per essere eletto dittatore e combattere per Roma]]
Tra gli episodi leggendari spicca la [[dittatore romano|prima dittatura]] di [[Cincinnato]] nel [[456 a.C.]], che sconfitti gli Equi nell'ennesima battaglia del [[monte Algido]], torna ai campi dopo appena 16 giorni di dittatura.
Il decemvirato, istituito come comitato di saggi per il rinnovamento della Repubblica, compito che portò a termine con l'emanazione delle [[Leggi delle XII tavole]], si sviluppò come tentativo di istituire un governo autoritario, che escludesse i plebei da qualsiasi magistratura e decisione nel governo della città. A questo tentativo i plebei risposero con la minaccia della secessione (in questi eventi si inserisce la vicenda di [[Verginia]]) e alla fine ottennero il ripristino di tutte le magistrature ordinarie, nonché l'esilio per i decemviri e la messa in stato di accusa di [[Appio Claudio Crasso Inregillense Sabino|Appio Claudio]] e [[Spurio Oppio Cornicino]], i più odiati tra i decemviri.
Ristabilite le prerogative della plebe, e dei suoi campioni i tribuni della plebe, la città vive con relativa tranquillità la dialettica tra le due classi sociali, tanto che il breve tentativo dei [[tribuno consolare|tribuni consolari]], rimasti in carica per soli tre mesi nel [[444 a.C.]], non porta gravi conseguenze per la stabilità interna della città.
Nel [[443 a.C.]] viene istituita la carica del [[censore]], preposto ai [[censimento|censimenti]], per liberare i consoli di un'attività che non riuscivano a portare a termine, se non saltuariamente.
Il periodo tra il [[440 a.C.]] e il [[406 a.C.]] internamente fu caratterizzato dalle tensioni tra plebei e patrizi, reso dall'alternanza di consoli e tribuni consolari alla guida della città (anche se di fatto furono sempre eletti patrizi alle supreme magistrature), ed esternamente dal rinvigorirsi delle spinte anti-romane nelle popolazioni vicine, che furono affrontate dall'urbe con la nomina di un dittatore (ben cinque nel periodo), a significare di come fossero considerate serie queste minacce dai romani. Comunque nel [[420 a.C.]] i plebei ottennero di poter accedere alla carica di [[questore (storia romana)|questore]], anche se si deve aspettare il [[409 a.C.]], perché tre plebei fossero eletti alla carica<ref>Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 54.</ref>, fino a quel momento ad appannaggio dei patrizi.
A nord Roma dovette fronteggiare la pressione di [[Veio]], sconfitta due volte davanti alle mura della città alleata di [[Fidene]], nel [[Battaglia di Fidene (437 a.C.)|437 a.C.]] e nel [[426 a.C.]] (terza dittatura di [[Mamerco Emilio Mamercino]]), risolvendo la crisi con la distruzione di Fidene e una tregua ventennale con gli etruschi, mentre a sud continua a farsi sentire la pressione dei mai domati [[Volsci]], capaci di impegnare a fondo i romani nel [[423 a.C.]], malamente condotti dal console [[Gaio Sempronio Atratino]], che per questo fu condannato a pagare una multa di 15.000 assi<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri|Ab Urbe condita]]'', IV, IV, 44.</ref>.
La supremazia dei romani sui Volsci non fu comunque mai in dubbio, come dimostrano le vittorie romane ad [[Antium|Anzio]] nel [[408 a.C.]] e ad [[Terracina|Anxur]]<ref>Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 58.</ref> nel [[406 a.C.]], conquistata e saccheggiata dai romani. In questo stesso anno, scaduta la tregua, fu nuovamente dichiarata guerra (la terza) alla città etrusca di [[Veio]]<ref>Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 59.</ref>.
=== La conquista di Veio ===
{|align=right
|[[File:Map of Veii.jpg|thumb|upright=1.4|Mappa della città di [[Veio]].]]||[[File:GiorcesVeiiApollo1.jpg|upright=0.7|thumb|[[Apollo di Veio]]]]
|}
{{Vedi anche|Caduta di Veio}}
Nel [[405 a.C.]], iniziò il decennale assedio di [[Veio]], dopo che l'anno precedente era stata dichiarata guerra alla potente città etrusca. Da parte loro i Veienti non riuscirono a trovare alleati nelle altre città etrusche.<ref>Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 61</ref>
Il conflitto ebbe una svolta quando nel [[403 a.C.]] i romani iniziarono a costruire fortini per controllare il territorio veiente, e terrapieni e macchine d'assedio (vinea, torri e testuggini) per stringere l'assedio alla città. La messa in opera di queste opere, comportò la necessità di mantenere i soldati in armi, anche durante l'autunno e l'inverno, quando tradizionalmente i cittadini-soldati tornavano in città per attendere alle proprie cose, per evitare che le stesse, lasciate incustodite, fossero disfatte o distrutte dai nemici.
Nonostante la decisa opposizione dei Tribuni della plebe, si giunse alla straordinaria decisione di mantenere l'esercito in armi ad assediare Veio finché questa non sarebbe caduta; ai soldati in armi la città avrebbe garantito il soldo grazie ad una nuova imposizione straordinaria.<ref>Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,7</ref>
Veio dal canto suo trovò l'appoggio dei [[Capena]]ti e dei [[Falisci]], nel [[402 a.C.]]<ref>Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,8</ref> e nel [[399 a.C.]]<ref>Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,13</ref>, appoggio che inizialmente non riuscì ad allentare la pressione dell'assedio romano.
Nel [[396 a.C.]] però i Capenati e i Falisci riuscirono a sorprendere i romani in un'imboscata, dove insieme a molti soldati, trovò la morte anche [[Gneo Genucio Augurino]], uno dei 6 tribuni consolari eletti per quell'anno; come per altre situazioni di crisi Roma reagì nominando un dittatore, che questa volta fu trovato nella persona di [[Marco Furio Camillo]]<ref>Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,2,19</ref>.
Furio Camillo, dopo essersi coperto le spalle sbaragliando Capenati e Falisci, intensificò l'assedio di Veio, iniziando anche la costruzione di una galleria sotterranea, che arrivava fin sotto la cittadella di Veio. Completata l'opera, il dittatore attaccò in forze e in più punti le mura della città, per dissimulare la presenza di soldati nella galleria sotterranea<ref>Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,2,21.</ref>.
{{Citazione|La galleria, piena com'era in quel momento di truppe scelte, all'improvviso riversò il suo carico di armati all'interno del tempio di Giunone sulla cittadella di Veio: parte di quegli uomini prese alle spalle i nemici piazzati sulle mura, parte andò a svellere dai cardini le sbarre che chiudevano le porte e altri ancora appiccarono il fuoco alle case dai cui tetti i servi e le donne scagliavano una gragnuola di sassi e tegole.|Tito Livio, Ab Urbe Condita, V, 2, 21.}}
Veio fu conquistata, con grande bottino per i romani, che con questa vittoria posero le basi della propria supremazia sull'altra sponda del Tevere, fino ad allora controllata da popolazioni etrusche. Ma proprio la questione della suddivisione del bottino, così ingente come mai si era visto a Roma, da dividere tra soldati, cittadini, erario e templi, avrebbe portato ulteriori divisioni all'interno della città.
Durante i 10 anni di assedio, a Roma non mancarono i consueti attacchi dei [[Volsci]], che tentavano di riconquistare [[Terracina|Anxur]] e degli [[Equi]], che però furono facilmente contrastati dalle più organizzate legioni romane.
=== L'invasione celtica ===
[[File:Evariste-Vital Luminais - Gaulois en vue de Rome.jpg|upright=1.4|thumb|left|Cavalieri celti [[Sacco di Roma (IV secolo a.C.)|marciano su Roma antica]] all'inizio del [[IV secolo a.C.]]]]
{{Vedi anche|Sacco di Roma (IV secolo a.C.)|guerre romano-celtiche}}
La [[caduta di Veio]] aveva comportato un riequilibrio degli assetti politici delle altre [[Dodecapoli etrusca|capitali etrusche]] e delle loro tradizionali tensioni interne: l'ostilità verso Veio era malamente adombrata dalla neutralità manifestata dalle altre città della [[dodecapoli etrusca]] gravitante intorno al ''[[Fanum Voltumnae]]'': in almeno un caso, questa ostilità era apertamente sfociata nell'aperta alleanza offerta a Roma da [[Caere]] ([[Cerveteri]]).<ref name="RuggeriConquistaVeio">Paola Ruggeri, ''Roma. Dalle origini della Repubblica al Principato'', (par. ''La conquista di [[Veio]]'').</ref> Un altro effetto fu l'accresciuta consapevolezza delle potenzialità, anche militari, della ''res publica''.<ref name="RuggeriConquistaVeio"/>
Contemporaneamente, verso la fine del [[V secolo a.C.]], numerose popolazioni celtiche cominciarono a migrare dall'Europa Settentrionale (a est del [[Reno (Germania)|Reno]] ed a nord del [[Danubio]]) per insediarsi nei territori dell'attuale [[Francia]], [[Spagna]] e [[Gran Bretagna]]. Attorno al [[400 a.C.]], infatti, alcune di queste popolazioni raggiunsero l'Italia Settentrionale. E così a minare il clima di fiducia e a mettere in allarme Roma furono proprio i Celti,<ref name="LivioV.33">Livio, V, 33-38.</ref><ref name="epitomeB1C13">[[Publio Annio Floro|Floro]], I, 13.</ref> della tribù dei [[Senoni]],<ref name="epitomeB1C13"/> i quali attaccarono la città etrusca di ''[[Clusium]]'',<ref name="RuggeriSaccoGallico">Paola Ruggeri, ''Roma. Dalle origini della Repubblica al Principato'', (par. ''Il sacco Gallico'').</ref> non molto distante dalla sfera d'influenza di Roma. Gli abitanti di Chiusi, sopraffatti dalla forza dei nemici, superiori in numero e per ferocia, chiesero aiuto a Roma, che rispose all'appello. Così, quasi senza volerlo,<ref name="LivioV.33"/> i Romani si ritrovarono ad essere il principale obiettivo di questo popolo calato dal Nord.<ref name="pennelC9P2">Pennell, ''Ancient Rome'', Ch. IX, par. 2.</ref>
I Romani li fronteggiarono in una [[battaglia del fiume Allia|battaglia campale presso il fiume Allia]]<ref name="LivioV.33"/><ref name="epitomeB1C13"/> variamente collocata tra il [[390 a.C.|390]] e il [[386 a.C.]] I Galli, guidati dal condottiero [[Brenno (IV secolo a.C.)|Brenno]], sconfissero un'armata romana di circa 15.000 soldati<ref name="LivioV.33"/> e incalzarono i fuggitivi fin dentro la stessa città, che fu costretta a subire una parziale occupazione e un [[Sacco di Roma (IV secolo a.C.)|umiliante sacco]],<ref name= LivioV.48>Livio, V, 48.</ref><ref>Lane Fox, ''The Classical World'', p. 283.</ref> prima che gli occupanti fossero scacciati<ref name="epitomeB1C13"/><ref name= LivioV.48/><ref>[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Storia romana'', [http://www.livius.org/ap-ark/appian/appian_gallic_1.html#Epit.1 estratto bizantino dal IV libro] (traduzione inglese su Livius.org).</ref> o, secondo altre fonti, convinti ad andarsene dietro pagamento di un riscatto.<ref name="LivioV.33"/><ref name="pennelC9P2"/><ref>La tradizione storiografica romana racconta della frase ''[[Vae victis]]'' pronunciata da Brenno in quell'occasione, e del retto comportamento di Furio Camillo, che impedì che Roma fosse riscattata mediante il pagamento di un oneroso tributo.</ref><ref>La memoria di quest'evento rimase sempre particolarmente viva, e, in occasione del [[grande incendio di Roma]] nel [[64|64 d.C.]], furono in molti a ricordare quello dei Galli di Brenno (Tacito, Annali, XV, 41, 2).</ref>
=== Roma resiste ===
L'episodio del Sacco di Roma ebbe l'effetto di indebolire Roma e rivitalizzare la speranza dei popoli confinanti di riuscire ad intaccare la potenza romana.
Nel decennio successivo all'invasione dei Senoni Roma dovette combattere per ribadire la propria superiorità sulle popolazioni confinanti, non solo quelle tradizionalmente nemiche come Volsci, Equi ed Etruschi, ma anche su quelle ritenute alleate, come i [[Tuscolo|Tuscolani]], che evitarono la punizione di Roma solo aprendo completamente la città alle truppe condotte da Furio Camillo e ottenendo il perdono dal Senato di Roma. Anche i Prenestini, nel [[380 a.C.]], provarono ad uscire dall'orbita romana, ma furono duramente sconfitti dai romani. L'effetto principale della sconfitta subita dai Galli fu quello di affidare la conduzione delle guerre a dei [[dittatore romano|dittatori]], o al tribuno consolare più esperto, come sempre accadde quando tra questi era eletto Furio Camillo.
Le guerre con le popolazioni confinanti non impedirono però che a Roma si sviluppasse una forte dialettica interna, tra Plebei e Patrizi; in questo periodo si ripresentò con forza la questione dei romani tratti in schiavitù per debiti, visto che a soffrirne maggiormente erano i piccoli proprietari terrieri plebei che, a causa delle vicende belliche, cui pure partecipavano, finivano in schiavitù perché non riuscivano ad onorare i debiti contratti.
Il conflitto tra patrizi e plebei portò ad una situazione di stallo tra il [[375 a.C.]] e il [[371 a.C.]], quando a Roma non furono eletti i [[tribuno consolare|tribuni consolari]], a causa dei veti posti dai [[tribuno della plebe|tribuni della plebe]] [[Gaio Licinio Calvo Stolone|Gaio Licinio Stolone]] e [[Lucio Sestio Laterano]], come reazione alle politiche ostruzionistiche dei patrizi, contrari alle loro proposte di legge, volte ad equilibrare i rapporti di forza tra i due ordini<ref>Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4,35.</ref>.
Il durissimo conflitto tra plebei e patrizi, trovò un momento di sintesi, con la promulgazione, nel [[367 a.C.]], delle [[Leges Liciniae Sextiae]], che, tra le altre cose, permettevano l'accesso al consolato dei plebei<ref>Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4,42.</ref>.
Nel periodo successivo, e fino al [[350 a.C.]], Roma condusse con successo una serie di campagne militari contro gli [[Ernici]], contro la città etrusca di [[Tarquinia]], cui in diverse occasioni si allearono i [[Falisci]], e successivamente contro i Galli, cui si allearono, in funzione anti-romana, i tiburtini (mentre Ernici e Latini si allearono a Roma).
Durante questo periodo, nonostante la ''Leges Liciniae Sextiae'', i patrizi tentarono, con alterne fortune, di ottenere l'elezioni di candidati patrizi per entrambe le cariche consolari, non esitando a ricorrere all'elezione di un [[dittatore romano|dittatore]], unicamente allo scopo di controllare l'elezione consolare, e non, come normalmente accadeva, per far fronte ad un grave pericolo militare.
Dopo gli accordi stipulati con [[Etruschi]] e [[Latini]], Roma poté avviare, nella seconda metà del [[IV secolo a.C.]], un intenso processo di espansione verso il Meridione della [[penisola italica]].<ref name="Musti_527">{{cita|Musti|p. 527|Musti}}.</ref> Nel [[348 a.C.]] rinnovò il [[Trattati Roma-Cartagine|trattato con Cartagine]], già stipulato al tempo del passaggio dalla monarchia alla repubblica, attorno al [[509 a.C.]]
== Dalle guerre sannitiche alla conquista della Magna Grecia (343 - 272 a.C.) ==
=== Dal ''Latium vetus'' alle guerre sannitiche (343-290 a.C.) ===
[[File:Samnite soldiers from a tomb frieze in Nola 4th century BCE.jpg|upright=1.4|thumb|Rappresentazione di [[Organizzazione militare dei Sanniti|guerrieri sanniti]]]]
{{Vedi anche|Guerre sannitiche|Guerra latina}}
Tra il [[343 a.C.]] e il [[341 a.C.]] Roma dovette affrontare il primo dei tre confronti con il bellicoso popolo dei [[Sanniti]]. Causa della [[prima guerra sannitica]], vinta dai romani, il controllo della ricca città di [[Capua]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', VII, 31-32.</ref>. Tra il [[340 a.C.|340]] e il [[338 a.C.]], Roma dovette combattere una nuova e sanguinosa guerra, la [[guerra latina]], che vinse solo a prezzo di grandissimi sforzi. Vinta la guerra, Roma divenne padrona del Lazio, avendo ottenuto la definitiva supremazia sui [[Latini]].
Nel [[326 a.C.]], poi, si riaprì il conflitto con i Sanniti, la [[seconda guerra sannitica]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', da VIII 23 a IX 45.</ref>; si trattò di una guerra ultra ventennale, che vide aspri combattimenti tra sanniti e romani, che subirono anche dei rovesci, come nella famosa [[battaglia delle Forche Caudine]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 1-7.</ref>. Lo scontro coinvolse anche i popoli vicini, di volta in volta alleati con i romani o con i sanniti, e per la prima volta Roma si trovò a combattere in [[Apulia]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 14.</ref> e [[Lucania]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 20.</ref>.
La guerra, la cui iniziativa rimase comunque costantemente in mano ai romani, sembrò potesse volgere a favore dei Sanniti, tra il [[310 a.C.]] e il [[309 a.C.]], periodo in cui riprese lo scontro tra Romani ed [[Etruschi]], e nel quale, per la prima volta, l'esercito romano si avventurò oltre la [[Selva Cimina]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 38.</ref>, in pieno territorio etrusco. I Sanniti ripresero l'iniziativa contro i romani ma furono fermati da questi ultimi nei pressi di [[Longula]]<ref name="ReferenceA">[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 40.</ref>, mentre gli Etruschi subivano due importanti sconfitte nella [[battaglia del lago Vadimone (309 a.C.)|Battaglia del lago Vadimone]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 39.</ref> e [[Perugia]]<ref name="ReferenceA"/>; gli Etruschi si arresero e fu loro concessa una tregua trentennale. Con un unico fronte attivo, i romani vinsero la decisiva [[battaglia di Boviano]] nel [[305 a.C.]]<ref>[[Tito Livio|Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 44.</ref>, cui seguì nel [[304 a.C.]] il trattato di pace tra i romani, vittoriosi, ed i sanniti.
Contro i Sanniti Roma combatté, infine, una [[terza guerra sannitica|terza guerra]] tra il [[298 a.C.|298]] e il [[290 a.C.]], al termine della quale ogni resistenza poteva dirsi annientata. I Sanniti dovettero abbandonare le loro mire territoriali e fornire contingenti di truppe ausiliarie alle legioni romane. Il tempo di liquidare gli ultimi avversari nella regione (lotte con i Galli Senoni, [[285 a.C.|285]]-[[282 a.C.]]) e Roma si assicurò il predominio nell'Italia centrale.
La vittoria romana nelle tre [[guerre sannitiche]] ([[343 a.C.|343]]-[[341 a.C.|341]]; [[326 a.C.|326]]-[[304 a.C.|304]]; [[298 a.C.|298]]-[[290 a.C.]]) assicurò dunque all'Urbe il controllo di buona parte dell'Italia centro-meridionale; le strategie politiche e militari attuate da Roma - quali la fondazione di colonie di [[diritto latino]], la deduzione di colonie [[cittadinanza romana|romane]] e la costruzione della [[via Appia Antica|via Appia]] - testimoniano la potenza di tale spinta espansionistica verso Sud.<ref name="Musti_533">{{cita|Musti|p. 533|Musti}}.</ref> L'interesse per il dominio territoriale non era infatti una semplice prerogativa di alcune famiglie aristocratiche, tra cui la ''[[gens Claudia]]'', ma investiva tutta la scena politica romana, e a esso aderiva l'intero [[senato romano|senato]] assieme alla [[plebei|plebe]].<ref name="Musti_533" /> A sollecitare l'avanzata verso Sud erano infatti interessi di tipo economico e culturale; a frenarla contribuiva invece la presenza di una civiltà, quella della [[Magna Grecia]], ad alto livello di organizzazione militare, politico e culturale, capace di resistere all'espansione romana.<ref name="Musti_534">{{cita|Musti|p. 534|Musti}}.</ref>
La strategia romana si basava dunque sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città, in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici: a tale fine puntavano le deduzioni coloniarie in terra straniera (''[[Lucera|Luceria]]'' nel [[315 a.C.|315]]<ref name=devoto311>Giacomo Devoto, ''Gli antichi Italici'', p. 311.</ref> o [[314 a.C.|314]];<ref name="Musti_534" /> ''[[Venosa|Venusia]]'' nel [[291 a.C.]])<ref name="Musti_534" /> e l'avanzamento verso Sud della via Appia.<ref name="Musti_534" /> A tali processi, che non erano direttamente rivolti verso i centri della Magna Grecia, aveva contribuito in particolare l'opera di [[Appio Claudio Cieco]], che, caratterizzato da una forte sensibilità verso la società greca, fu tra i primi ad intendere la fusione tra di essa e il mondo romano come un'occasione di profondo arricchimento per l'Urbe.<ref name="Clemente_43">{{cita|Clemente|p. 43|Clemente}}.</ref> Egli si era reso, in particolare, interprete delle esigenze della plebe urbana, interessata a intessere rapporti commerciali con i mercanti greci e [[oschi]].<ref name="Musti_535">{{cita|Musti|p. 535|Musti|}}.</ref>
[[File:Aeclanum_(Ruins-03).jpg|thumb|upright=1.1|left|Rovine di [[Aeclanum]], antica città sannita conquistata da [[Lucio Cornelio Silla]].]]
Durante e subito dopo le Guerre sannitiche, Roma mantenne un atteggiamento ambiguo nei confronti dei [[popoli italici]] più meridionali, i [[Lucani]], che ora appoggiò ora osteggiò secondo le convenienze del momento. Intorno al [[303 a.C.]] siglò un trattato con i Lucani, incoraggiandone le aspirazioni contro Taranto, salvo accordarsi anche con la stessa città greca e sostenerne indirettamente la lotta contro gli Italici. Il doppio gioco era motivato dalla volontà di includere comunque i Lucani nella propria rete diplomatica, in quel momento tutta tesa a piegare i [[Sanniti]], ma senza che veri interessi comuni propiziassero legami più forti.<ref>Giacomo Devoto, ''Gli antichi Italici'', pp. 299-300.</ref> Rispetto all'ordinamento che Roma stava dando alla Penisola, l'assetto dei territori occupati dai Lucani rimase in uno stato fluido, basato su semplici alleanze, fino alle [[guerre puniche]].<ref name=devoto311 />
Non è possibile determinare con precisione quali fossero i rapporti commerciali che univano Roma con i centri della Magna Grecia, ma risulta probabile una certa compartecipazione di interessi commerciali tra l'Urbe e le città greche della Campania, testimoniata dall'emissione, a partire dal [[320 a.C.]], di monete romano-campane.<ref name="Musti_535" /> Non è tuttavia chiaro se tali intese commerciali siano state il fattore o il prodotto delle guerre sannitiche e dell'espansione romana verso Meridione, e non è dunque possibile determinare quale sia stato l'effettivo peso dei ''negotiatores'' nella politica espansionistica, almeno fino alla seconda metà del [[III secolo a.C.]]<ref name="Musti_536">{{cita|Musti|p. 536|Musti}}.</ref> A determinare la necessità di un'espansione territoriale verso Sud erano, però, anche le esigenze della plebe rurale, che richiedeva nuove terre coltivabili che l'espansione nell'Italia centrale e settentrionale non era bastata a procurare.<ref name="Musti_536" />
=== Roma e la Magna Grecia, fino a Pirro (280-272 a.C.) ===
[[File:Pyrrhus route.jpg|upright=1.4|thumb|left|Le [[guerre pirriche]] ([[280 a.C.|280]]-[[272 a.C.]])]]
{{Vedi anche|Guerre pirriche}}
Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della [[Magna Grecia]] e con la potente [[Taras (Taranto)|Taranto]]: con il pretesto di soccorrere la città di [[Turi]], minacciata, Roma violò intenzionalmente un patto stipulato con Taranto nel [[303 a.C.]], scatenando la guerra.
A partire dalla seconda metà del [[IV secolo a.C.]], la [[Magna Grecia]] cominciò lentamente a tramontare sotto i continui attacchi delle [[Popoli sabellici|popolazioni sabelliche]] di [[Bruzi]] e [[Lucani]].<ref>H.H.Scullard, ''Storia del mondo romano'', vol. I, p.175.</ref> Le città più meridionali, tra cui [[Taranto]] era la più importante grazie al commercio con le popolazioni dell'entroterra e la [[Grecia]] stessa, furono più volte costrette ad assoldare mercenari provenienti dalla "[[Grecia|madre patria]]", come [[Archidamo III]] di [[Sparta]] negli anni [[342 a.C.|342]]-[[338 a.C.]] o [[Alessandro il Molosso]] negli anni [[335 a.C.|335]]-[[330 a.C.]], per difendersi dagli attacchi dalle popolazioni italiche<ref name="Scullard176">H.H.Scullard, ''Storia del mondo romano'', vol.I, p.176.</ref> che, con la nuova federazione dei [[Lucani]], alla fine del [[V secolo a.C.]] si erano espanse fino alle coste del [[Mar Ionio]].<ref>Giacomo Devoto, ''Gli antichi Italici'', p. 147.</ref> Nel corso di queste guerre i [[Taranto|Tarentini]], nel tentativo di far valere i propri diritti sull'[[Apulia]], stipularono un trattato con Roma, di consueto collocato nell'anno [[303 a.C.]] ma forse risalente già al [[325 a.C.]],<ref>[[Mario Attilio Levi]], ''L'Italia nell'Evo antico'', p.191.</ref> secondo il quale alle navi romane non era concesso di superare ad Oriente il [[promontorio Lacinio]] (oggi [[capo Colonna]], presso [[Crotone]]). La successiva alleanza di Roma con [[Napoli]] nel [[327 a.C.]] e la fondazione della [[colonia romana]] di ''Luceria'' nel [[314 a.C.]]<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IX, 26.</ref><ref>[[Diodoro Siculo]], XIX, 72.</ref> preoccuparono non poco i Tarantini che temevano di dover rinunciare alle loro ambizioni di conquista sui territori dell'Apulia settentrionale a causa dell'avanzata romana.<ref name="Scullard176"/>
Nuovi attacchi da parte dei [[Lucani]] costrinsero, ancora una volta, i Tarentini a chiedere aiuto ai mercenari della "[[Grecia|madre patria]]": fu ingaggiato questa volta un certo [[Cleonimo]] di [[Sparta]] ([[303 a.C.|303]]-[[302 a.C.]]), che fu, però, sconfitto dalle popolazioni italiche, forse sobillate dagli stessi Romani. Il successivo intervento di un altro paladino della grecità, [[Agatocle di Siracusa]], portò di nuovo l'ordine nella regione con la sconfitta dei [[Bruzi]] ([[298 a.C.|298]]-[[295 a.C.]]), ma la fiducia dei Greci delle piccole città dell'Italia meridionale in Taranto e Siracusa iniziò a svanire a vantaggio di Roma, che nel contempo si era alleata con i Lucani ed era risultata vittoriosa a settentrione su [[Sanniti]], Etruschi e [[Celti]] (vedi [[terza guerra sannitica]] e [[guerre tra Celti e Romani]]).<ref name="Scullard176"/><ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 6, 6.</ref>
[[File:The Growth of Roman Power in Italy.jpg|thumb|upright=1.5|Mappa della confederazione romana nel [[100 a.C.]], all'avvento della [[guerra sociale]] (91-88 a.C.). Si noti la configurazione politica a chiazze.
{{Legenda|#006666|Possedimenti romani}}
{{Legenda|#FF3333|Colonie latine}}
{{Legenda|#FF6666|Alleati di Roma (''[[socii e foederati|socii]]'')}}
I possedimenti romani abbracciavano i territori centrali della penisola italica e le coste tirreniche. Le colonie latine erano sparse in località strategiche, mentre gli alleati erano concentrati nelle montagne interne]]
Morto Agatocle di Siracusa nel [[289 a.C.]], fu [[Thurii]] a chiedere per prima l'intervento romano contro i Lucani nel [[285 a.C.]] e poi nel [[282 a.C.]] In questa seconda circostanza fu inviato il [[console (storia romana)|console]] [[Gaio Fabricio Luscino]] per respingere i Lucani, in un primo tempo alleati dei Romani, ma poi ribellatisi, e porre nella stessa Thurii una guarnigione romana. Non passò molto tempo prima che il principe lucano [[Stenio Stallio]] fosse sconfitto, come riportano i ''[[Fasti triumphales]]'',<ref>[[Fasti triumphales]] celebrano per il [[282 a.C.|282]]/[[281 a.C.]]: ''[[Gaio Fabricio Luscino]], [[console (storia romana)|console]], trionfò su [[Sanniti]], [[Lucani]] e [[Bruzi]], alle none di Marzo (5 marzo)''.</ref><ref name="Piganiol181">Piganiol, ''Le conquiste dei Romani'', p.181.</ref> e le città di [[Reggio Calabria|Reggio]] (dove fu posta una guarnigione romana di 4.000 armati<ref name="Piganiol181"/><ref name="PolibioI,7,7">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 7, 7.</ref>), [[Locri Epizefiri|Locri]] e [[Crotone]] chiedessero di essere poste sotto la protezione di Roma. Quest'ultima si veniva così a trovare proiettata verso il Meridione d'Italia.<ref name="Scullard176"/>
L'aiuto accordato da Roma a Thurii fu visto dai Tarantini come un atto compiuto in violazione dell'accordo che le due città avevano firmato diversi anni prima: sebbene le operazioni militari romane fossero state compiute per via di terra, Thurii gravitava pur sempre sul golfo di Taranto, a nord della linea di demarcazione stabilita presso il capo Lacinio; Taranto temeva dunque che il suo ruolo di patronato nei confronti delle altre città italiche venisse meno.<ref name="Musti_537">{{cita|Musti|p. 537|Musti}}.</ref>
Roma, tuttavia, in aperta violazione degli accordi, forse per la forte pressione esercitata dai ''negotiatores''<ref name="Piganiol181"/> o forse perché gli accordi stessi erano ritenuti decaduti,<ref name="Grimal_33">{{cita|Grimal|pp. 33-34|Grimal}}.</ref> nell'autunno del [[282 a.C.]]<ref name="Musti_538">{{cita|Musti|p. 538|Musti}}.</ref> inviò una piccola [[flotta romana|flotta]] [[duumviri|duumvirale]] composta da dieci imbarcazioni da osservazione<ref name="Appiano_16">Appiano, ''Storia romana'', III, 16.</ref> nel golfo di Taranto che provocò i tarantini;<ref name="Appiano_15">Appiano, ''Storia romana'', III, 15.</ref> le navi, guidate dall'ammiraglio [[Lucio Valerio Flacco]]<ref name="Dione_39_4" /><ref name="Zonara_8_2" /> o dall'ex [[console (storia romana)|console]] [[Publio Cornelio Dolabella (console 283 a.C.)|Publio Cornelio Dolabella]],<ref name="Appiano_15" /> erano dirette a Thurii<ref name="Musti_537" /> o verso la stessa Taranto, con intenzioni amichevoli.<ref name="Dione_39_4">Cassio Dione, ''Storia romana'', IV, 39, 4.</ref><ref name="Zonara_8_2">Giovanni Zonara, ''Epitome'', 8, 2.</ref> I Tarantini, che stavano celebrando in un teatro affacciato sul mare delle feste<ref name="Floro_4">Floro, ''Epitome'', I, 13, 4.</ref> in onore del dio [[Dioniso]], in preda all'ebbrezza, scorte le navi romane, credettero che esse stessero avanzando contro di loro e le attaccarono:<ref name="Dione_39_4" /><ref name="Zonara_8_2" /> ne affondarono quattro e una fu catturata, mentre cinque riuscirono a fuggire;<ref name="Appiano_15" /><ref name="Orosio_2">Orosio, ''Historiarum adversus paganos libri septem'', IV, 2.</ref> tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati, altri mandati a morte.<ref name="Zonara_8_2" /><ref name="Orosio_2" />
Dopo l'attacco alla flotta romana, i Tarantini, resisi conto che la loro reazione alla provocazione romana avrebbe potuto condurre alla guerra e convinti dell'atteggiamento ostile di Roma, marciarono contro Thurii, che fu presa e saccheggiata; la guarnigione che i Romani avevano posto a tutela della città ne fu scacciata<ref name="Piganiol181"/> assieme agli esponenti dell'aristocrazia locale.<ref name="Appiano_15" /><ref name="Clementi_35">{{cita|Clementi|p. 35|Clementi2}}.</ref> In seguito a questi eventi i Tarentini decisero di invocare l'aiuto del re d'[[Epiro]] [[Pirro]], che, giunto in Italia nel [[280 a.C.]] con un esercito composto anche da numerosi [[Elefante da guerra|elefanti]], riuscì a sconfiggere i Romani a [[battaglia di Heraclea|Heraclea]] e ad [[Battaglia di Ascoli Satriano|Ascoli]], seppure a costo di gravissime perdite; dopo un tentativo fallito di consolidare il suo potere sul Sud Italia invadendo la Sicilia (dove fu respinto dalle città [[siceliote]] alleatesi con [[Cartagine]]), l'epirota marciò dunque contro i Romani che, riorganizzatisi, erano tornati a minacciare Taranto, ma fu duramente sconfitto a [[Battaglia di Benevento (275 a.C.)|Maleventum]] nel [[275 a.C.]] e costretto a tornare oltre l'[[Adriatico]]. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata nel 275 a.C. e costretta alla resa nel [[272 a.C.]]: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano.
== La Repubblica mediterranea (264-146 a.C.) ==
{{Vedi anche|Storia della Repubblica romana (264-146 a.C.)}}
=== Dalla prima guerra punica all'instaurazione delle province di Sicilia e Sardegna (264-237 a.C.) ===
{{Vedi anche|Prima guerra punica}}
Terminate le [[guerre pirriche|guerre contro Pirro]] e le [[Magna Grecia|colonie greche dell'Italia meridionale]], [[Roma (città antica)|Roma]] aveva ormai ottenuto il controllo della penisola italiana, dagli [[Appennini]] settentrionali fino alla [[Puglia]] e alla [[Calabria]]. I Romani vennero così in contatto con i [[Cartaginesi]], che rappresentavano in quel momento la maggior potenza del [[Mediterraneo]] occidentale. Ai Cartaginesi appartenevano oltre ai territori africani, anche quelli di [[Sardegna e Corsica]], oltre a [[Malta]], [[Pantelleria]], parte della [[Storia della Sicilia fenicia|Sicilia]] occidentale (quella orientale era invece sotto il controllo dei [[Storia della Sicilia greca|Greci]], in [[Guerre greco-puniche|costante lotta con i Punici]]) e le [[Baleari]].
Fino a questo momento Roma e [[Cartagine]] non si erano mai scontrate, al contrario avevano più volte rinnovato dei [[Trattati Roma - Cartagine|trattati di amicizia]] e alleanza tra loro, che definivano le rispettive zone di influenza. Questo stato di cose cambiò quando Roma, padrona della penisola italica, iniziò a pensare di estendere la sua influenza anche sulla Sicilia, che rappresentava il principale e più vicino "granaio" da cui Roma si poteva approvvigionare per le sue crescenti esigenze.
L'occasione di intervenire negli affari siciliani fu data ai Romani dalla richiesta di aiuto fatta dai [[Mamertini]] (mercenari campani), che si erano impadroniti di [[Messina]], ma che poi erano stati posti sotto assedio dai Siracusani di [[Gerone II]].<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 10.7-10.9.</ref> E se i Mamertini, in un primo momento, chiesero l'aiuto cartaginese, quando i Siracusani si ritirarono e la presenza punica si fece sempre più ingombrante, invocarono l'aiuto di Roma, la quale accettò, poiché temeva che [[Guerre greco-puniche|Cartagine potesse battere Siracusa]] ed occupare l'intera isola. Il senato, riluttante a imbarcarsi in un'impresa tanto rischiosa, arrivò ad uno stallo e la questione venne rimessa all'assemblea popolare: qui maggiore voce in capitolo l'aveva la parte mercantile e popolare di Roma, che era anche interessata al possibile controllo delle ricchezze e delle scorte di grano in Sicilia (isola già nota per le risorse soprattutto nelle città greche), nonché alla possibilità di fondare colonie per aprire nuovi mercati e allentare la pressione sociale e demografica nella capitale. Così in assemblea fu deciso di accettare la richiesta dei mamertini. Venne posto il console [[Appio Claudio Caudice]] a capo di una spedizione militare con l'ordine di attraversare lo [[stretto di Messina]].<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 11.3.</ref> I Cartaginesi interpretarono questo intervento come una violazione dei trattati esistenti e dichiararono guerra a Roma, dando inizio alla [[prima guerra punica]].
Dopo una prima fase di scontri terrestri, dove i Romani risultarono vincitori, Roma decise di sfidare i Cartaginesi sul mare, che ne avevano il dominio assoluto, e, approntata un'imponente flotta (con navi dotate di [[corvo (arma)|"corvo"]]), sconfisse i nemici a [[Battaglia di Milazzo (260 a.C.)|Milazzo]] (nel [[260 a.C.]]). Nel tentativo di infliggere una sconfitta decisiva a Cartagine, il console [[Marco Atilio Regolo]], sconfitta la flotta nemica a [[Battaglia di Capo Ecnomo|Capo Ecnomo]] ([[256 a.C.]]), sbarcò in Africa, non molto distante dalla stessa Cartagine, dove fu però sconfitto ed ucciso (nel [[246 a.C.]]).<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri|Ab Urbe condita]]'', ''Periochae'' 18; [[Quinto Orazio Flacco]], ''[[Odi (Orazio)|Odi]]'', III, 5.</ref> La guerra continuò negli anni successivi, con alterne fortune tra i due contendenti, fino a quando nel [[241 a.C.]], venne approntata da Roma una nuova flotta che, guidata da [[Gaio Lutazio Catulo]], sconfisse nuovamente i Cartaginesi nella [[battaglia delle Isole Egadi|decisiva battaglia delle isole Egadi]]. Sottratto ai nemici il predominio sul mare, i Romani poterono concludere anche le operazioni terrestri, sottomettendo buona parte della Sicilia (a parte Siracusa, che rimaneva indipendente) e costringendo Cartagine alla resa.<ref>[[Polibio]], ''Storie'', I, 62, 7.</ref> La guerra era così protratta per oltre vent'anni, dal [[264 a.C.]] al [[241 a.C.]]
Cartagine fu, così, costretta a versare a Roma enormi somme (3.200 [[talento (peso)|talenti]] [[Eubea|euboici]] in 10 anni<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 63,1-3.</ref>) quale risarcimento per la fine della guerra, oltre alla restituzione totale di tutti i prigionieri di guerra senza riscatto.<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 62,9.</ref> La ricca [[Sicilia]] era persa e passata sotto il controllo di Roma (con il divieto per Cartagine di portare la guerra a [[Gerone II di Siracusa]])<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 62,8.</ref> e, nell'impossibilità di pagare i [[mercenario|mercenari]] [[Libia|libici]] e [[Numidia|numidi]] che utilizzava, dovette subire una [[Rivolta dei mercenari|sanguinosa rivolta]] che richiese 3 anni di sforzi ed efferatezze per essere domata.<ref name="PolibioI,65-88">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 65-88.</ref> Approfittando di questa rivolta inoltre Roma occupò la [[Sardegna e Corsica|Sardegna]] ([[238 a.C.]]) e la Corsica ([[237 a.C.]]),<ref name="PolibioI,79,1-7">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 79,1-7.</ref><ref name="PolibioI,88,8-11">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 79,8-11.</ref> costringendo Cartagine a dover pagare un ulteriore indennizzo di altri 1.200 talenti per evitare un riaccendersi della guerra che la città non poteva assolutamente permettersi.<ref name="PolibioIII10,1-4">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', III, 10,1-4.</ref><ref name="PolibioI,88,12">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', I, 79,12.</ref> Ciò venne visto come una ferita umiliante dai cartaginesi, che però non poterono far altro che accettare la sconfitta senza aver combattuto.
=== Illiri e Celti della pianura padana (230-219 a.C.) ===
{{Doppia immagine|destra|KingdomofTeuta.png|170|Map of the territory of Demetrius of Pharos (English).png|170|Mappa della [[prima guerra illirica]]|Mappa della [[seconda guerra illirica]]}}
{{Vedi anche|Prima guerra illirica|Ager Gallicus|Seconda guerra illirica}}
Terminata con successo la [[prima guerra punica]], il [[Senato romano]] dibatteva non sul "come" o sul "se" allargare la dominazione, ma sul "dove" indirizzare le capacità belliche e le incredibili risorse economiche che stavano arrivando all<nowiki>'</nowiki>''[[Aerarium]]''. Decise alla fine di indirizzarle in tutte le direzioni. Iniziò così la penetrazione nella [[Pianura Padana]], per sbarrare la strada ai [[Liguri]] che cercavano la via del sud e per fermare definitivamente il pericolo dei [[Galli]].<ref name="PolibioII,21-35">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 21-35.</ref> Qualche anno più tardi, dopo aver fermato un'altra invasione celtica che si era spinta fino a [[Chiusi]] in [[Etruria]] (quella dei [[Galli Boi]] e degli [[Insubri]] dell'attuale Lombardia) nella [[battaglia di Talamone]] ([[225 a.C.]]),<ref>[[Polibio]], ''Storie'', II, 25-28.</ref> le legioni passarono all'offensiva nella pianura padana, riportando una grande vittoria [[battaglia di Clastidium|presso ''Clastidium'']] (nel [[222 a.C.]]), che fu seguita dalla deduzione delle [[colonia romana|colonie]] di [[Piacenza]] e [[Cremona]] (nel [[218 a.C.]])<ref>[[Tito Livio]]'', ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 25.</ref> oltre alla costruzione di arterie stradali che collegassero i nuovi territori con [[Roma (città antica)|Roma]], come la ''[[via Flaminia]]'' (nel [[220 a.C.]]).<ref>[[Tito Livio]]'', ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXII, 11.</ref>
Contestualmente cercava di dare sfogo alle necessità di fornire la terra ai reduci con la creazione di varie colonie, iniziando a dar vita ad una politica che fosse attenta all'attività della regina [[Teuta]] che, alla testa dei pirati dell'[[Illiria]], disturbava la navigazione nell'[[Adriatico]] (nel [[230 a.C.|230]]-[[229 a.C.]]).<ref name="PolibioII,2-12">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 2-12.</ref> Roma riuscì a [[prima guerra illirica|sconfiggere i pirati illirici]], sottoponendo poi buona parte dell'Illiria a tributo e cominciando la penetrazione in quel territorio. L'intervento romano fu risolutivo, poiché nell'arco di [[seconda guerra illirica|dieci anni la pirateria illirica fu debellata]].<ref>[[Polibio]], ''Storie'', III, 16-19.</ref> Questo nuovo scenario diede la possibilità a Roma di affacciarsi nella parte orientale del Mediterraneo, entrando in contatto diretto con le città-stato della [[Grecia]], della [[Regno di Macedonia|Macedonia]], della [[Lega etolica]] sottoposte in varia misura agli attacchi dei pirati e in lotta fra di loro.<ref name="PolibioII,2-12"/>
=== La seconda guerra punica (219-202 a.C.) ===
[[File:Seconda guerra punica dal 218 aC in poi.png|L'intero svolgimento della seconda guerra punica (218-202 a.C.)|sinistra|thumb|upright=1.8]]
{{Vedi anche|Seconda guerra punica|prima guerra macedonica}}
Risolto in qualche modo il [[Rivolta dei mercenari|problema generato dai mercenari]],<ref name="PolibioI,65-88"/> Cartagine cercò una via per riprendere il suo cammino storico. Il governo della città era diviso principalmente fra il partito dell'aristocrazia terriera, capeggiato dalla famiglia degli Annone da una parte, e il ceto imprenditoriale e commerciale che faceva riferimento ad [[Amilcare Barca|Amilcare]] e in genere ai [[Barcidi]]. [[Annone II il Grande|Annone]] propugnava l'accordo con Roma e l'allargamento del potere cartaginese verso l'interno dell'Africa, in direzione opposta alla città rivale. Amilcare vedeva nella Spagna, dove Cartagine già da secoli manteneva larghi interessi commerciali, il fulcro economico per la ripresa delle finanze puniche.<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 2, 1.</ref>
Politicamente sconfitto Amilcare, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella repressione della rivolta dei mercenari, non ottenendo dal Senato cartaginese le navi per andare in Spagna, prese il comando dei reparti mercenari rimasti e con una marcia incredibile attraversò tutto il nordafrica fiancheggiando la costa fino allo stretto di [[Gibilterra]]. Amilcare, che era accompagnato dal figlio [[Annibale]] e dal genero [[Asdrubale Maior|Asdrubale]] attraversò lo stretto di [[Gibilterra]] e, seguendo la costa spagnola, la percorse verso oriente alla ricerca di nuove ricchezze per la sua città.<ref name="PolibioII,1,1-8">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 1,1-8.</ref>
La spedizione cartaginese prese l'aspetto di una conquista, a partire dalla città di ''[[Cadice|Gades]]'' (oggi [[Cadice]]), sebbene fosse stata inizialmente condotta senza l'autorità del senato cartaginese.<ref name="AppianoVII,1,2">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerra annibalica'', VII, 1, 2.</ref> Dal [[237 a.C.]], anno della partenza dall'Africa al [[229 a.C.]], anno della sua morte in combattimento,<ref name="AppianoVII,1,2"/> Amilcare riuscì a rendere la spedizione autosufficiente dal punto di vista economico e militare, tanto da riuscire ad inviare a Cartagine grandi quantità di merci e metalli (grazie ai ricchi giacimenti di metalli della regione appena conquistata) richiesti alle tribù ispaniche come tributo.<ref name="PolibioII,1,1-8"/><ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 2, 1-2.</ref> Morto Amilcare il genero ne prese il posto per otto anni e iniziò una politica di consolidamento delle conquiste.<ref name="PolibioII,1,9">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 1,9.</ref> Con patti e trattati si accordò con i vari popoli locali<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 2, 3-5.</ref> e fondò una nuova città. La chiamò Karth Hadasht, cioè Città Nuova, cioè Cartagine, oggi [[Cartagena (Spagna)|Cartagena]].<ref name="PolibioII,13,1-2">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 13,1-2.</ref>
Impegnati con i Galli, i Romani preferirono accordarsi con Asdrubale e nel [[226 a.C.]], spinti anche dall'alleata Marsiglia che vedeva avvicinarsi il pericolo, [[Trattati Roma-Cartagine#Settimo trattato:226 a.C.|stipularono un nuovo trattato]] che poneva l'Ebro come limite dell'espansione di Cartagine.<ref name="AppianoVII,1,2"/> Si riconosceva così, in modo implicito, anche il nuovo territorio soggetto al controllo cartaginese.<ref name="PolibioII,13,1-7">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 13,1-7.</ref> La svolta si ebbe nel [[221 a.C.]], quando Asdrubale, fu ucciso da un mercenario gallo<ref name="AppianoVII,1,2"/><ref name="PolibioII,36,1-2">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 36,1-2.</ref> e l'esercito cartaginese scelse all'unanimità Annibale,<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 3, 1.</ref> che aveva solo 26 anni, come suo terzo comandante in Spagna.<ref name="AppianoVII,1,3">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerra annibalica'', VII, 1, 3.</ref><ref name="PolibioII,36,3">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', II, 36,3.</ref> Cartagine, una volta radunato il popolo, decise di ratificare la designazione dell'esercito.<ref name="PolibioIII,13,3-4">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', III, 13,3-4.</ref><ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XXI, 4, 1.</ref>
Quando nel [[218 a.C.]] il generale punico [[Annibale Barca]] attaccò la città di [[Sagunto]], alleata di Roma, ma a sud dell'Ebro, il Senato romano dopo alcune esitazioni [[seconda guerra punica|dichiarò guerra]] a Cartagine. Era l'inizio della [[seconda guerra punica]]. Polibio contestava le cause della guerra che lo storico latino [[Fabio Pittore]], avrebbe individuato nell'[[assedio di Sagunto]] e nel passaggio delle armate cartaginesi del fiume [[Ebro]]. Egli riteneva si trattasse soltanto di due avvenimenti che ne sancivano l'inizio cronologico della guerra, ma non le cause profonde della stessa.<ref>[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', III, 6,1-3.</ref> La guerra fu inevitabile,<ref name="Eutropio3.7">[[Eutropio]], ''[[Breviarium ab Urbe condita]]'', III, 7.</ref> solo che come scrive [[Polibio]], ''la guerra non si svolse in Iberia'' [come auspicavano i Romani] ''ma proprio alle porte di [[Roma]] e lungo tutta l'[[Italia romana|Italia]]''.<ref name="Polibio3,16,6">[[Polibio]], ''[[Storie (Polibio)|Storie]]'', III, 16, 6.</ref>
{{Doppia immagine|destra|Mommsen p265.jpg|170|Escipión africano.JPG|170|[[Annibale]], ritenuto uno dei maggiori talenti militari della [[storia]], causò ai Romani la più cocente sconfitta, a [[battaglia di Canne|Canne]]|[[Publio Cornelio Scipione Africano]], riuscì a battere il più esperto condottiero cartaginese, Annibale, nella [[battaglia di Zama]] nel [[202 a.C.]], ponendo fine alla [[seconda guerra punica]]}}
Annibale valicò le Alpi con un potente esercito comprendente anche elefanti e attaccò Roma da Nord, sconfiggendo le legioni presso il [[battaglia del Ticino|Ticino]], la [[battaglia della Trebbia|Trebbia]] e il [[Battaglia del Lago Trasimeno|Trasimeno]]. Dopo una fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, grazie alla politica attuata dal ''[[dittatore romano|dictator]]'' [[Quinto Fabio Massimo Verrucoso|Quinto Fabio Massimo]], soprannominato ''Cunctator'' (temporeggiatore), le legioni romane al comando dei consoli [[Lucio Emilio Paolo (console 219 a.C.)|Lucio Emilio Paolo]] e [[Gaio Terenzio Varrone]] subirono una pesante sconfitta contro Annibale a [[battaglia di Canne|Canne]] (216 a.C.).
Numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la [[Prima guerra macedonica|Macedonia]] di [[Filippo V di Macedonia|Filippo V]] scendeva in guerra contro Roma. Infatti Filippo, reso audace dalla sconfitta romana a [[battaglia di Canne|Canne]] si era alleato nel [[215 a.C.]] con Annibale, con l'intenzione di procurare uno sbocco sul [[mar Adriatico]] al suo regno. Filippo fu contrastato dall'azione del console romano [[Marco Valerio Levino]], che riuscì a contenerne l'azione grazie soprattutto ad un sistema di alleanze con i nemici del re macedone. La guerra, che non raggiunse mai l'intensità di quella che si stava combattendo in Italia, terminò nel [[205 a.C.]] (quindi 3 anni prima della conclusione della seconda guerra punica) con la [[pace di Fenice]] con la quale Filippo ottenne uno sbocco sull'Adriatico.
Annibale però si attardò nel Sud Italia (''ozi di Capua''), mentre i Romani, seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console [[Publio Cornelio Scipione]] ottenne diverse vittorie sui Cartaginesi in Spagna, mentre in Italia i consoli [[Marco Livio Salinatore]] e [[Gaio Claudio Nerone]] sconfissero e uccisero il fratello di Annibale, [[Asdrubale Barca|Asdrubale]], presso il [[Battaglia del Metauro|Metauro]], mentre si apprestava a portare rinforzi alle forze puniche in Italia.
Roma riuscì ben presto a recuperare le città italiche che l'avevano tradita per allearsi con Annibale, il quale, stremato da un decennio di guerra e vistosi negare i rinforzi dalla madrepatria, fu costretto a fare ritorno in Africa nel [[203 a.C.]], dopo che Scipione, conquistata la [[Penisola Iberica]] e ristabilita la situazione in Italia, era sbarcato nel territorio nemico per tentare di ottenere una vittoria definitiva. I due generali si scontrarono nel [[202 a.C.]] a [[battaglia di Zama|Zama]], e l'esercito romano ottenne una sofferta ma decisiva vittoria, che costrinse Cartagine a capitolare e ad accettare le [[seconda guerra punica#Dopo la guerra|dure condizioni di pace]] imposte da Roma.
La guerra, che si protrasse per circa un ventennio (dal [[219 a.C.]] al [[202 a.C.]]), può a buon diritto essere considerata una specie di "''guerra mondiale''". Fu combattuta principalmente nei territori dell'Italia meridionale ma vide pesantemente coinvolte anche la Spagna e il territorio metropolitano di Cartagine. Inoltre vennero coinvolte le diplomazie di quasi tutto il [[Mar Mediterraneo]] dalla [[Numidia]] di [[Siface]] e [[Massinissa]] fino alle dinastie che reggevano l'[[Egitto]], la [[Siria]], i vari staterelli dell'[[Anatolia]], la [[Grecia]] e la [[Regno di Macedonia|Macedonia]] di [[Filippo V di Macedonia|Filippo V]]. Seppure alla fine vincitrice, Roma pagò comunque a caro prezzo il lungo conflitto contro Annibale. I Romani vissero per anni nell'incubo di una guerra interminabile e di un nemico alle porte che sembrava inafferrabile. Lo sforzo bellico fu pesantissimo, sul piano economico e civile: per anni intere regioni italiche furono saccheggiate e devastate dalle continue operazioni militari, con danni enormi per l'agricoltura e per i commerci, che a lungo restarono bloccati, per la pressione di Galli a nord e la presenza di Annibale a sud. Tutto ciò senza contare il pesantissimo bilancio in termini di vite umane. Nei 17 anni di guerra morirono circa 300.000 italici su una popolazione che, dopo la secessione delle regioni meridionali, era di soli 4 milioni di abitanti circa, mentre il potenziale umano mobilitato da Roma per la guerra raggiungerà in alcuni anni il 10% della popolazione, senza scendere mai sotto al 6-7%, tutte cifre che si avvicinano molto, in termini percentuali, a quelle registrate durante la [[prima guerra mondiale]].<ref>Lanfranco Sanna, ''La seconda guerra punica'', dal sito [http://www.arsmilitaris.org www.arsmilitaris.org].</ref>
=== La sottomissione della Gallia Cisalpina (219-175 a.C.) ===
[[File:Gallia cisalpina - Shepherd png.png|left|thumb|upright=1.4|Territori della [[Gallia cisalpina]] (evidenziati in rosso trasparente) tra la fine del [[II secolo a.C.|II]] e gli inizi del [[I secolo a.C.]]]]
{{Vedi anche|Conquista romana della Gallia Cisalpina}}
Per la prima volta l'[[esercito romano]] poteva spingersi oltre il [[fiume Po|Po]], dilagando in [[Gallia Transpadana]]: la [[battaglia di Clastidio]], nel [[222 a.C.]], valse a Roma la presa della capitale [[Insubri|insubre]] di ''[[Mediolanum]]'' ([[Milano]]). Per consolidare il proprio dominio Roma creò le colonie di [[Piacenza|Placentia]], nel territorio dei [[Boi]], e [[Cremona]] in quello degli [[Insubri]]. I Galli dell'[[Italia settentrionale]] si ribelleranno nuovamente in seguito alla discesa di [[Annibale]]. Dopo la [[battaglia di Zama|sconfitta di quest'ultimo a Zama]] (nel [[202 a.C.]]), vennero definitivamente sottomessi da Roma. I [[Celti]] o [[Galli]], che si erano sollevati contro Roma durante la seconda guerra punica, non avevano infatti deposto le armi neppure dopo la sconfitta di Zama. Quando nel 200 a.C. i Galli in rivolta si impadronirono della colonia di [[Piacenza]] e minacciarono [[Cremona]], Roma decise di intervenire in forze. Nel 196 a.C. [[Scipione Nasica]] vinse gli [[Insubri]], nel 191 a.C. furono piegati i [[Boi]], che controllavano una vasta zona tra Piacenza e Rimini. Superato il [[fiume Po]], la penetrazione romana proseguì pacificamente: le popolazioni locali, [[Cenomani]] e [[Veneti]], si resero conto che Roma era l'unica in grado di proteggerli dagli assalti delle altre tribù confinanti. Attorno al 191 a.C. la [[Gallia Cisalpina]] venne definitivamente occupata. L'avanzata continuò anche nella parte nord-orientale con la fondazione della [[colonia romana]] di [[Aquileia romana|Aquileia]] nel [[181 a.C.]], come ci raccontano gli autori antichi,<ref name="VelleioI,13.2">[[Velleio Patercolo]], ''Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo'', I, 13.2.</ref> nel territorio degli antichi [[Carni]]:<ref>[[Plinio il Vecchio]], ''[[Naturalis Historia]]'', III, 126-127.</ref>
{{Citazione|Nello stesso anno [181 a.C.] fu dedotta nel territorio dei Galli la [[colonia romana|colonia]] di Aquileia. 3.000 fanti ricevettero 50 [[iugero|iugeri]] ciascuno, i centurioni 100, i cavalieri 140. I triumviri che fondarono la colonia furono [[Publio Scipione Nasica]], [[Gaio Flaminio (console 187 a.C.)|Gaio Flaminio]] e [[Lucio Manlio Acidino Fulviano|Lucio Manlio Acidino]]<ref name="AcidinoTriumvir">{{CIL|5|873}}.</ref>.|[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', XL, 34.2-3.}}
Nel [[177 a.C.]] venne, infine, sottomessa l'[[Istria]] e nel [[175 a.C.]] vennero soggiogati anche i [[Liguri]] Cisalpini. Pochi decenni più tardi, lo storico greco [[Polibio]] poteva personalmente testimoniare la rarefazione dei Celti in [[pianura padana]], espulsi dalla regione o confinati in alcune limitate aree subalpine.<ref>[[Polibio]], ''Storie'', II, 35.4.</ref>
=== Espansione in Oriente: Grecia, Macedonia e Asia Minore fino alla fine di Cartagine (200-146 a.C.) ===
[[File:Roman-Syrian-War it.png|upright=1.4|thumb|Mappa degli [[guerra romano-siriaca|scontri tra Romani ed Antioco III]] degli anni [[192 a.C.|192]]-[[189 a.C.]]]]
{{Vedi anche|Seconda guerra macedonica|guerra laconica|guerra romano-siriaca|terza guerra macedonica|quarta guerra macedonica}}
Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma volse le sue mire espansionistiche a danno degli stati ellenistici dell'Oriente: nel [[200 a.C.]], gli abitanti di [[Rodi]] e [[Pergamo]] inviarono a Roma, sentendosi minacciati dalla Macedonia di Filippo V, una richiesta di aiuto, e l'Urbe, inviato a sua volta un ultimatum a Filippo, [[seconda guerra macedonica|decise di intervenire]]. Nel [[197 a.C.]] il console [[Tito Quinzio Flaminino]] inflisse alle truppe macedoni una sconfitta definitiva presso [[battaglia di Cinocefale|Cinocefale]], ed un anno più tardi proclamò ufficialmente la liberazione della Grecia dall'egemonia macedone.
Sconfitta Cartagine, [[Filippo V di Macedonia|Filippo]] e la Macedonia erano divenuti il nemico principale della nuova potenza romana, che guardava con sospetto al re macedone che nel [[203 a.C.]] si era alleato con il [[Seleucidi|re di Seleucidi]] [[Antioco III]]. Il pretesto per la seconda guerra macedone fu la richiesta d'aiuto rivolta ai Romani da Attalo e i Rodiesi, alleatisi per contrastare le mire egemoniche dei Macedoni e dei Siriani; nel [[200 a.C.]] Roma inviò un ultimatum a Filippo, che lo respinse.
Roma, che era uscita molto provata dalla guerra contro Cartagine, non era però in grado di fronteggiare da sola il nuovo fronte di guerra, per cui cercò di procurarsi degli alleati, con scarsi risultati, tra i nemici greci del re macedone. Dopo alcune battaglie, si giunse al [[197 a.C.]] quando i Romani guidati da [[Tito Quinzio Flaminino]] si scontrarono contro i Macedoni nella [[battaglia di Cinocefale]] dove [[Filippo V di Macedonia|Filippo]] fu duramente sconfitto e costretto ad accettare le pesanti condizioni di pace imposte dai Romani. Nel [[196 a.C.]] Flaminino proclamò la libertà della Grecia e nel [[194 a.C.]] lasciò la Grecia insieme alle [[legione romana|legioni]], nella convinzione che la regione avesse trovato un suo equilibrio.
[[File:The Triumph of Aemilius Paulus (detail).jpg|upright=1.4|thumb|left|''Trionfo di [[Lucio Emilio Paolo Macedonico|Lucio Emilio Paolo]]'', di [[Carle Vernet]]]]
Ma il nuovo ''status quo'' imposto dai Romani fu messo alla prova quando la [[Lega etolica]], già alleata dei romani durante la seconda guerra macedonica, a causa delle pesanti condizioni di pace imposte a tutta la Grecia dai romani richiese l'aiuto di [[Antioco III il Grande]] per liberare l'Ellade dalla tirannia romana. Fu l'inizio della [[guerra romano-siriaca]], che si combatté tra il [[192 a.C.|191]] e il [[188 a.C.]] e che vide la vittoria romana.<ref>[[Aurelio Vittore]], ''De viris illustribus Urbis Romae'', 42-55; [[Tito Livio]], ''[[Ab urbe condita libri]]'', XXXV-XXXVIII; [[Polibio]], ''Storie'', XXI, 18-45; [[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerra siriaca'', 1-44.</ref> Questa la descrizione che ne fece [[Floro]]:
{{Citazione|''Non vi fu altra guerra più temibile per la sua fama, poiché i Romani pensavano ai Persiani ed all'Oriente, a [[Serse]] ed a [[Dario I|Dario]], ai giorni in cui si diceva che monti inaccessibili erano stati scavati e che il mare era stato coperto di vele''.|[[Floro]], ''Epitoma di storia romana'', I, 24.2.}}
Come conseguenza tutti i territori anatolici ad ovest del fiume [[Tauro]] entrarono nella [[regno cliente (storia romana)|sfera di influenza romana]].
La regione non era però ancora stata pacificata del tutto: nel [[171 a.C.]] il figlio e successore di Filippo, [[Perseo di Macedonia]], riprese ad attuare una politica espansionistica ai danni di alcune tribù balcaniche alleate di Roma, provocando lo scoppio della [[terza guerra macedone]]. E se inizialmente Roma preferì non intervenire, nel [[168 a.C.]] il [[Console (storia romana)|console]] [[Lucio Emilio Paolo Macedonico|Lucio Emilio Paolo]] affrontò e sconfisse la [[falange macedone]] di [[Perseo di Macedonia|Perseo]] nella [[battaglia di Pidna]]. Dopo la sconfitta, il sovrano, tentata invano la fuga, si consegnò al nemico, mentre la Macedonia fu divisa in [[regno cliente (storia romana)|quattro repubbliche subalterne e tributarie a Roma]].
Nel [[150 a.C.]] era spuntato in Macedonia un certo [[Andrisco]], che affermando di essere figlio di Perseo e di voler ricostruire il regno macedone, aveva radunato attorno a sé un esercito. Dopo degli iniziali successi, Andrisco fu battuto dal console [[Quinto Cecilio Metello]] nel [[148 a.C.]] e costretto a riparare in [[Tracia]]. Nel [[146 a.C.]] la Macedonia divenne una [[provincia romana]], che includeva anche [[Epiro]] e [[Tessaglia]]. Nel 146 a.C., infine, i Romani rasero al suolo Corinto.
=== Fine della potenza cartaginese (149-146 a.C.) ===
{{Vedi anche|Terza guerra punica}}
Intanto [[Cartagine]], dopo la sconfitta di Annibale, aveva dovuto cedere ai Romani le redditizie conquiste in [[Spagna]], stava pagando pesanti indennità (200 [[talento (peso)|talenti]] d'argento annui per 50 anni) ed era stata pure costretta a prestare un contingente alle forze di Roma nelle guerre contro [[Antioco III]], [[Filippo V di Macedonia|Filippo V]] e [[Perseo di Macedonia|Perseo]]. La relativa decadenza dello Stato cartaginese era mitigata, tuttavia, dalla ripresa del commercio, in cui i cartaginesi erano maestri, inoltre un nuovo impulso era stato dato all'agricoltura ed in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite. Tale ripresa allarmò Roma, in cui era presente un partito che propugnava la completa distruzione della rivale africana: tra i fautori di una nuova guerra contro Cartagine c'era [[Marco Porcio Catone|Catone il Censore]], che terminava tutti i suoi discorsi con la famosissima frase "''Ceterum censeo Carthaginem delendam esse''" (Inoltre ritengo che Cartagine vada distrutta).
Il pretesto che portò alla [[terza guerra punica]], fu dato ai Romani da [[Massinissa]], che da tempo stava aumentando la propria sfera di influenza a danno di Cartagine. Per due volte Cartagine chiese l'intervento dei Romani per fermare le azioni dello scomodo vicino, ma in entrambe le occasioni Roma decise semplicemente di non intervenire. Nel [[150 a.C.]] Cartagine decise di reagire ai continui attacchi dei numidi, ben sapendo di contravvenire alle condizioni di pace imposte dai Romani. Infatti questa azione fu presa a pretesto dai Romani per dichiarare guerra a Cartagine l'anno successivo. Il senato, infatti, sobillato da [[Marco Porcio Catone|Catone il Censore]], decise di attaccare Cartagine, e nel [[147 a.C.]] si risolse ad inviare in Africa il console [[Publio Cornelio Scipione Emiliano]], che, dopo un lungo assedio, nel [[146 a.C.]] espugnò e rase al suolo la città. La guerra era durata tre anni, dal [[149 a.C.]] al [[146 a.C.]], fu combattuta sul suolo africano e si concluse con la definitiva sconfitta dei cartaginesi. Cartagine fu completamente rasa al suolo e su questo fu sparso il sale in modo che non vi potesse più crescere niente.
== Tramonto della Repubblica romana (146-31 a.C.) ==
{{Vedi anche|Storia della Repubblica romana (146-31 a.C.)}}
=== Nuovo espansionismo mediterraneo: Spagna, Gallia Narbonense e Asia (133-121 a.C.) ===
[[File:Iberia 196BC.svg|thumb|upright=1.4|[[Spagna romana]] nel [[III secolo a.C.]]]]
{{Vedi anche|Conquista romana della Spagna|Asia (provincia romana)|Conquista della Gallia Narbonense}}
Dopo avere costretto alla resa definitiva cartaginesi e macedoni, Roma decise di risolvere una volta per tutte anche la questione spagnola, che si trascinava da diversi decenni, ovvero da quando nel 197 a.C., dopo la Seconda guerra punica, i Romani avevano suddiviso il territorio in due province, la [[Spagna romana|Spagna citeriore]] (''Hispania Citerior'') e la [[Spagna romana|Spagna ulteriore]] (''Hispania Ulterior''), con capitali, rispettivamente, [[Tarragona]] e [[Cordova]]. Il malgoverno sfrenato e lo spietato sfruttamento provocarono una violenta rivolta che si estese anche alle popolazioni confinanti dei [[Lusitani]] e dei [[Celtiberi]] e che, dopo esiti alterni e battaglie cruente con costi enormi in uomini e denaro, venne infine risolta con l'uccisione del capo dei Lusitani [[Viriato]] (139 a.C.) e con la presa per fame della roccaforte dei Celtiberi, [[Numanzia]], nel 133. a.C.
Circostanze assai strane portarono, invece, nel 133 a.C. all'annessione del [[regno di Pergamo]], che fu poi nel 129 a.C. ridotto a provincia (i Romani la chiamarono provincia d'[[Asia (provincia romana)|Asia]]). Il re [[Attalo III]] aveva lasciato in eredità il proprio regno a Roma, ma occorsero tre anni prima che i Romani potessero dominare direttamente quel territorio, dato che sotto la guida di un certo [[Aristonico]] era scoppiata una violenta insurrezione popolare, domata a fatica. Roma poteva ormai considerarsi la potenza egemone nel Mediterraneo.
Qualche anno più tardi, nel 121 a.C., vennero poste le basi anche per la futura espansione nella [[Gallia Transalpina]], con la riduzione a provincia della [[Gallia Narbonense]] (l'attuale [[Provenza]]).
Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti, Roma era diventata padrona del Mediterraneo. Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la cultura [[ellenismo|ellenistica]], temuta e osteggiata dallo stesso Catone, modificarono profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al ''[[mos maiorum]]'', trasformando radicalmente la società dell'Urbe.
=== Le riforme dei Gracchi (133 a.C. – 121 a.C.) ===
Il periodo che va dalle agitazioni graccane alla dominazione di [[Publio Cornelio Silla]], segnò l'inizio della crisi che, quasi un secolo dopo, portò la repubblica aristocratica al tracollo definitivo. Lo storico Ronald Syme ha chiamato il periodo di passaggio dalla Repubblica al principato augusteo "rivoluzione romana"<ref>Secondo Giorgio Ruffolo è una definizione "impropria", visto che «le rivoluzioni si fanno per rovesciare le monarchie, non per instaurarle» (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 72).</ref>.
L'espansione così grande e repentina nel bacino del Mediterraneo aveva, infatti, costretto la Repubblica ad affrontare problemi enormi e di vario genere: le istituzioni romane erano fino ad allora concepite per amministrare un piccolo stato; adesso le [[provincia romana|province]]<ref>Paragonabili alle colonie degli stati moderni, da non confondere con le colonie romane propriamente dette, le quali erano stanziamenti di cittadini romani a pieno titolo, ''cives optimo iure'' in territori extracittadini soggetti all'amministrazione e organizzazione diretta dello stato romano.</ref> si stendevano dall'[[Spagna romana|Iberia]], all'[[Africa]], alla [[Grecia]], all'[[Anatolia|Asia Minore]].
A partire dalla riforma agraria proposta dal [[tribuno della plebe]] [[Tiberio Sempronio Gracco (figlio di Tiberio)|Tiberio Sempronio Gracco]] nel [[133 a.C.]], le convulsioni politiche divennero sempre più gravi, producendo una serie di dittature, guerre civili e temporanee tregue armate nel corso del secolo successivo. Gli intenti di Tiberio erano sostanzialmente conservatori. Preoccupato dalla penuria di uomini che aveva notato in varie parti d'Italia e dalla povertà di molti e convinto che in queste condizioni sarebbe stato impossibile mantenere l'ordinamento sociale che era l'ossatura dell'esercito, egli si proponeva, mediante nuove distribuzioni di terre, stabilite da un collegio che le assegnava secondo un principio quantitativo, concedendo quelle in eccesso ai cittadini meno abbienti, di dar nuovo vigore al ceto dei piccoli proprietari agricoli, che si trovava in grave difficoltà a causa da una parte del "prelievo" dovuto alle continue guerre, dall'altra della pressione dei grandi proprietari, che estendevano i loro domini attraverso l'evizione dei coloni debitori o l'acquisto dei loro fondi<ref>Giorgio Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza'', Einaudi, 2004, p. 18.</ref>. Le continue guerre in patria e all'estero, infatti, avevano da una parte costretto i piccoli proprietari terrieri ad abbandonare per lunghi anni i propri poderi per prestare servizio nelle legioni, dall'altro avevano finito per rifornire Roma (grazie ai saccheggi e alle conquiste) di una quantità enorme di merci a buon mercato<ref>La fusione degli antichi strati del patriziato con i nuovi ceti di ricchi plebei affermatisi grazie allo sfruttamento dei traffici commerciali fece nascere una nuova nobiltà, la cosiddetta ''nobilitas'': una élite dominante aperta, a differenza di quella antica e isolazionista dei patrizi, perché accessibile attraverso le carriere politiche elettive (Giorgio Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza'', Einaudi, 2004, p. 17).</ref> e di schiavi, i quali venivano usualmente impiegati nelle aziende agricole dei [[patrizio (storia romana)|patrizi romani]], con ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano, dato che la piccola proprietà terriera non era in grado di competere con i latifondi schiavistici (che producevano praticamente a costo zero). Tutte quelle famiglie che, a causa dei debiti, erano state costrette a lasciare le campagne, si rifugiarono a Roma, dove diedero vita al cosiddetto sottoproletariato urbano: una massa di persone che non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi, con inevitabili e pericolose tensioni sociali.
[[File:Espansione di Roma, 2° secolo a.C..gif|left|thumb|upright=1.4|Il mondo romano, al termine della [[seconda guerra punica]] (in verde), e poi attorno al [[100 a.C.]] (arancione)]]
L'aristocrazia senatoria, arroccandosi in una migliore difesa dei propri interessi particolari, ostacolò inizialmente Tiberio, corrompendo un altro tribuno della plebe, Ottavio, che tuttavia venne dichiarato decaduto dalla carica dallo stesso Tiberio, che lo accusò di aver agito contro gli interessi della plebe. Per superare l'opposizione del collega tribuno, attuata mediante il veto alle sue proposte di riforma, Tiberio, contrariamente agli usi tradizionali, si presentò nel [[132 a.C.]] alle elezioni per essere rieletto al tribunato e poter completare le sue riforme. A questo punto, temendo un'ulteriore deriva in senso popolare del governo della Repubblica, durante le convulse fasi antecedenti le elezioni dei tribuni della plebe, una banda di senatori, guidati da [[Scipione Nasica]], attaccò Tiberio al [[Campidoglio]] causandone la morte, assieme a trecento suoi seguaci.
Otto anni dopo, [[Gaio Sempronio Gracco]], eletto tribuno della plebe dell'anno [[123 a.C.]], riprese l'azione politica del fratello, spingendola su posizioni sempre più popolari ed anti-nobiliari, cercando di procurarsi il favore, oltre che dei proletari, anche dei "soci" italici (emarginati politicamente dalle conquiste) e della classe equestre. Come il fratello, sempre contro le consuetudini, anche Gaio si presentò l'anno successivo per concorrere all'elezione al tribunato, carica alla quale fu eletto, rendendosi promotore di una forte battaglia politica di opposizione alla classe senatoriale. Nel [[121 a.C.]] non riuscì però a farsi eleggere per la terza volta al tribunato, e ad impedire così la politica di restaurazione dei privilegi senatoriali operata dalla nuova classe politica. Per opporsi a questo nuovo corso, Gaio non esitò ad operare come "agitatore politico" esternamente alle istituzioni pubbliche, cosa questa che alla fine gli valse la messa in accusa come nemico della repubblica. Abbandonato dai molti dei suoi sostenitori, si fece uccidere da un suo servo sul [[Gianicolo]].
=== Giugurta, i Germani e Gaio Mario (112 a.C. – 100 a.C.) ===
[[File:Kimbernkriege, Karte 2.png|thumb|upright=1.4|La coalizione [[germani]]ca di [[Cimbri]] e [[Teutoni]] dalla [[Gallia]] muovono in direzione dell'[[Italia romana]], dove vengono sconfitti negli anni [[102 a.C.|102]]-[[101 a.C.]] da [[Gaio Mario]].]]
{{Vedi anche|Guerre contro Giugurta|Guerre cimbriche}}
Negli anni successivi la politica romana fu caratterizzata sempre più dal radicalizzarsi della lotta tra il partito degli [[ottimati]] e quello dei [[populares|popolari]]. In questo contesto irruppe nella storia romana un homo novus, cittadino romano proveniente però dalla provincia: Gaio Mario.
Mario, dopo essersi distinto per le sue capacità militari in Spagna, rientrò a Roma con l'intento di costruirsi una propria carriera politica, il cosiddetto cursus honorum, che lo portasse al consolato. Riuscì ad ottenere le cariche di [[Questore (storia romana)|questore]], [[tribuno della plebe]] e [[pretore (storia romana)|pretore]].
Dopo aver condotto con successo una campagna militare nella [[Spagna Ulteriore]], tornò a Roma, dove sposò Giulia, sorella di [[Gaio Giulio Cesare (padre di Cesare)|Gaio Giulio Cesare]], padre di [[Gaio Giulio Cesare]], il dittatore. Nel [[109 a.C.]] partì per l'Africa come [[legatus|legato]] di [[Quinto Cecilio Metello]], a cui il Senato aveva affidato la guerra contro [[Giugurta]], non giudicando soddisfacente l'andamento di questa.
Nel [[108]] Mario tornò a Roma per concorrere al consolato, al quale fu eletto nel [[107 a.C.]] anche grazie alle accuse di incapacità militare che rivolse ai patrizi, Metello ''in primis''. Come console riuscì a farsi affidare la conduzione della guerra contro Giugurta, che sconfisse nel [[105 a.C.]] Roma occupò così la [[Numidia]].
Mentre Mario portava vittoriosamente a termine la guerra in Africa, Roma stava subendo pesanti sconfitte da parte delle tribù germaniche dei [[Cimbri]] e dei [[Teutoni]]. Nel [[107 a.C.]] l'esercito di [[Lucio Cassio Longino]] fu sconfitto, e lo stesso generale ucciso in battaglia, nella [[Gallia Narbonense]]. Ma fu la tremenda sconfitta del [[105 a.C.]] ad Aurasio, dove perirono circa 120 000 romani tra soldati ed ausiliari, che gettò i romani nel panico.
In questo clima di paura Mario, visto come unico generale in grado di organizzare l'esercito contro i germani, venne eletto console per ben cinque volte consecutive, dal [[104 a.C.|104]] al [[100 a.C.]], fino a che la minaccia dell'invasione germanica non fu sventata con le vittorie ad [[Battaglia di Aquae Sextiae|Aquae Sextiae]] e a [[Battaglia dei Campi Raudii|Vercelli]]. Contro Teutoni e Cimbri Mario utilizzò il nuovo, formidabile esercito nato dalla sua riforma avviata nel 107 a.C. A differenza di quello precedente, formato da cittadini-contadini ansiosi di tornare ai propri campi una volta finite le campagne belliche, questo era un esercito stanziale e permanente di volontari arruolati con ferma quasi ventennale, ovvero un esercito di professionisti attratti non solo dal salario, ma anche dal miraggio del bottino e dalla promessa di una terra alla fine del servizio. I proletari ed i nullatenenti vi si arruolarono in massa. Non era tanto un esercito di cittadini motivati dal senso del dovere, ma piuttosto di militari legati dallo spirito di corpo e dalla fedeltà al capo<ref>Giorgio Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza'', Einaudi, 2004, p. 49</ref>.
In tutto questo periodo, sia contro Giugurta che contro i Germani, Mario ebbe come legato un giovane nobile, di cui apprezzava le capacità militari: [[Lucio Cornelio Silla]].
=== Guerra sociale (91 a.C.-88 a.C.) ===
{{Vedi anche|Guerra sociale}}
Già dal tempo dei [[Gaio Sempronio Gracco|Gracchi]] a [[Roma]] si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche ad altri popoli italici fino ad allora [[federato|federati]], ma i tentativi non ebbero successo. La speranza degli alleati italici era che a Roma prevalesse il partito di coloro che volevano concedere agli alleati italici la [[cittadinanza romana]].
Ma quando nel [[91 a.C.]] il tribuno [[Marco Livio Druso (tribuno)|Marco Livio Druso]], che stava preparando una proposta di legge per concedere la cittadinanza agli alleati fu ucciso, ai più apparve chiaro che Roma non avrebbe concesso spontaneamente la cittadinanza. Fu l'inizio della guerra che dal 91 a.C. all'88 a.C. vide combattersi gli eserciti romani e quelli italici.
Gli ultimi a cedere le armi ai Romani, capeggiati tra gli altri da Silla e [[Gneo Pompeo Strabone]], padre del futuro [[Pompeo Magno]], furono i [[Sanniti]]. Alla fine della guerra, però, gli italici della penisola, nonostante la sconfitta, riuscirono a ottenere l'agognata cittadinanza romana.
=== Dittatura di Silla (88 a.C.-78 a.C.) ===
{{Doppia immagine|left|Marius Chiaramonti Inv1488.jpg|169|Sulla Glyptothek Munich 309.jpg|151|Busto di [[Gaio Mario]] in età avanzata ([[Museo Chiaramonti]])|Presunto ritratto di [[Lucio Cornelio Silla]]}}
{{vedi anche|Guerra civile tra Mario e Silla}}
In Senato lo scontro politico tra le due fazioni avverse, quella degli [[ottimati]] che aveva trovato il suo "campione militare" nel nobile [[Lucio Cornelio Silla]], e quella dei mariani guidata dal generale ed "uomo nuovo" [[Gaio Mario]], si stava sempre più radicalizzando, non trovando le due fazioni più alcun terreno di concordia comune sugli elementi fondanti dello Stato, come la cittadinanza, la suddivisione delle sempre maggiori ricchezze che affluivano a Roma e il controllo dell'esercito, che si stava trasformando da esercito cittadino in esercito di professionisti.
Questa tensione, fino a che Gaio Mario rimase in vita, si risolse sempre nella lotta per l'ottenimento del consolato per i candidati della propria parte politica. Morto Mario, e trovandosi [[Quinto Sertorio]] in Spagna, forse l'unico tra i mariani che potesse contrastare militarmente Silla, Publio Cornelio, al ritorno dalla vittoriosa guerra in oriente, ritenne di poter forzare la mano e con l'esercito in armi si marciò contro Roma nell'[[82 a.C.]] Qui, a [[battaglia di Porta Collina|Porta Collina]], fu sconfitto da Silla che ottenne quindi la vittoria decisiva nella [[Guerra civile romana (82 a.C.)|guerra civile]] contro i mariani.
Per consolidare la sua vittoria Silla si fece eleggere dittatore a vita e iniziò una vasta e sistematica persecuzione nei confronti dei rappresentanti della parte avversa (le liste di proscrizione sillane) da cui il giovane Giulio Cesare, nipote di [[Gaio Mario]], riuscì a stento a sottrarsi.
Fino a che morì, nel [[78 a.C.]], l'unica seria opposizione che continuò ad essere condotta contro Silla, fu quella condotta da Sertorio dalla Spagna.
=== Guerre mitridatiche (88 a.C.-63 a.C.) ===
[[File:Asia minor Mithridates.jpg|thumb|upright=1.4|I domini di [[Mitridate VI]] prima dell'inizio delle [[guerre mitridatiche|guerre contro Roma]]]]
{{Vedi anche|Guerre mitridatiche}}
Nel [[111 a.C.]], salì al trono del [[regno del Ponto]], [[Mitridate VI del Ponto|Mitridate VI]], figlio dello scomparso [[Mitridate V Evergete|Mitridate V]]. Il nuovo sovrano mise subito in atto (fin dal [[110 a.C.]]<ref name="Piganiol297">André Piganiol, ''Le conquiste dei Romani'', Milano 1989, p. 297.</ref>) una politica espansionistica nell'area del [[Mar Nero]], conquistando tutte le regioni da [[Sinope]] alle foci del [[Danubio]],<ref name="Brizzi318">[[Giovanni Brizzi]], ''Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio'', Bologna 1997, p. 318.</ref> compresa la [[Colchide]], il [[Chersoneso Taurico]] e la [[Cimmeri]]a (attuale [[Penisola di Crimea|Crimea]]), e poi sottomettendo le vicine popolazioni [[sciti]]che e dei [[sarmati]] [[Roxolani]].<ref name="Piganiol297"/> Il giovane re volse, quindi, il suo interesse verso la [[penisola anatolica]], dove la potenza romana era, però, in costante crescita. Sapeva che uno scontro con quest'ultima sarebbe risultato mortale per una delle due parti.
La [[prima guerra mitridatica]] iniziò verso la fine dell'[[89 a.C.]] Le ostilità si erano aperte con due vittorie del sovrano del Ponto sulle forze alleate dei Romani, prima del [[re di Bitinia]], [[Nicomede IV]] e poi dello stesso inviato romano [[Manlio Aquillio (console 101 a.C.)|Manio Aquilio]], a capo di una delegazione in [[Asia Minore]]. L'anno successivo Mitridate decise di continuare nel suo progetto di occupazione dell'intera [[Asia Minore|penisola anatolica]], ripartendo dalla [[Frigia]]. La sua avanzata proseguì, passando dalla [[Frigia]] alla [[Misia]], e toccando quelle parti di [[Asia (provincia romana)|Asia]] che erano state recentemente acquisite dai Romani. Poi mandò i suoi ufficiali per le province adiacenti, sottomettendo la [[Licia]], la [[Panfilia]], ed il resto della [[Ionia]].<ref name="AppianoMitridatiche20">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 20.</ref>
Non molto tempo dopo Mitridate riuscì a catturare il massimo esponente romano in [[Asia (provincia romana)|Asia]], il consolare [[Manlio Aquillio (console 101 a.C.)|Manio Aquilio]] e lo uccise barbaramente.<ref name="LivioPeriochae77.9">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 77.9.</ref><ref name="AppianoMitridatiche21">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 21.</ref> Sembra che a questo punto, la maggior parte delle città dell'[[Asia (provincia romana)|Asia]] si arresero al conquistatore pontico, accogliendolo come un liberatore dalle popolazioni locali, stanche del malgoverno romano, identificato da molti nella ristretta cerchia dei [[pubblicano|pubblicani]]. [[Rodi]], invece, rimase [[regno cliente (storia romana)|fedele a Roma]].
Non appena queste notizie giunsero a [[Roma]], il [[senato romano|Senato]] dichiarò guerra contro il [[Mitridate VI del Ponto|re del Ponto]], seppure nell'[[Roma|Urbe]] vi fossero gravi dissensi tra le due principali fazioni interne alla ''Res publica'' (degli ''[[Optimates]]'' e dei ''[[Populares]]'') ed una [[guerra sociale]] non fosse stata del tutto condotta a termine. Si procedette, quindi, a decretare a quale dei due [[Console (storia romana)|consoli]], sarebbe spettato il governo dell'[[Asia (provincia romana)|provincia d'Asia]], e questa toccò in sorte a a [[Lucio Cornelio Silla]].<ref name="AppianoMitridatiche22">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 22.</ref>
Mitridate, frattanto, preso possesso della maggior parte dell'[[Asia Minore]], dispose che tutti coloro, liberi o meno, che parlavano una [[lingue italiche|lingua italica]], fossero barbaramente trucidati; non solo quindi i pochi soldati romani rimasti a presidio delle guarnigioni locali. 80.000 tra [[cittadinanza romana|cittadini romani]] e non, furono massacrati nelle due ex-[[province romane]] d'[[Asia (provincia romana)|Asia]] e [[Cilicia (provincia romana)|Cilicia]] (episodio noto come ''[[Vespri asiatici]]'').<ref name="AppianoMitridatiche22"/><ref name="LivioPeriochae78.1">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 78.1.</ref><ref name="AppianoMitridatiche23">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 23.</ref> La situazione precipitò ulteriormente, quando a seguito delle ribellioni nella provincia asiatica, insorse anche l'[[Acaia (provincia romana)|Acaia]] contro Roma.<ref name="Piganiol393">André Piganiol, ''Le conquiste dei Romani'', Milano 1989, p. 393.</ref> Il re del Ponto appariva ai loro occhi come un liberatore della grecità, quasi fosse un nuovo [[Alessandro Magno]].
[[File:Bellum mithridaticum 85aC.png|thumb|left|Il quinto anno di guerra ([[85 a.C.]]) della [[prima guerra mitridatica]]. In evidenza: gli incontri tra [[Lucio Cornelio Silla|Silla]] e [[Archelao (generale)|Archelao]], prima a [[Delio (Beozia)|Delio]]<ref name="PlutarcoSilla22.3">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 22.3.</ref> e poi a [[Filippi]];<ref name="PlutarcoSilla23.5">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 23.5.</ref> tra Silla e [[Mitridate VI|Mitridate]] a [[trattato di Dardano|Dardano]];<ref name="PlutarcoSilla24.1">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 24.1.</ref> lo scontro tra Silla e [[Flavio Fimbria]] presso [[Tiatira]]<ref name="PlutarcoSilla25.1">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 25.1.</ref>]]
Con l'arrivo di [[Lucio Cornelio Silla]] in [[Grecia]] nell'[[87 a.C.]] le sorti della [[prima guerra mitridatica|guerra contro Mitridate]] cambiarono a favore dei Romani. Espugnata prima [[Assedio di Atene (87 a.C.)|Atene]]<ref name="PlutarcoSilla16">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 16.</ref><ref name="AppianoMitridatiche38-39">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 38-39.</ref> ed il [[Pireo]],<ref name="AppianoMitridatiche40-41">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 40-41.</ref> il comandante romano ottenne due successi determinanti ai fini della guerra, prima a [[battaglia di Cheronea (86 a.C.)|Cheronea]],<ref name="FloroI,40.11">[[Floro]], ''Compendio di Tito Livio'', I, 40.11.</ref> dove secondo [[Tito Livio]] caddero ben 100.000 armati del [[regno del Ponto]],<ref name="LivioPeriochae82.1">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 82.1.</ref><ref name="AppianoMitridatiche42-45">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 42-45.</ref><ref name="PlutarcoSilla16-19">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 16-19.</ref> ed infine ad [[battaglia di Orcomeno|Orcomeno]].<ref name="FloroI,40.11"/><ref name="LivioPeriochae82.2">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 82.2.</ref><ref name="PlutarcoSilla21">[[Plutarco]], ''Vita di Silla'', 21.</ref><ref name="AppianoMitridatiche49">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 49.</ref>
Contemporaneamente, agli inizi dell'[[85 a.C.]], il [[prefetto (storia romana)|prefetto]] della [[cavalleria (storia romana)|cavalleria]], [[Flavio Fimbria]], a capo di un secondo esercito romano,<ref name="LivioPeriochae82.4">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 82.4.</ref><ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXX-XXXV, 104.1-6.</ref> si diresse anch'egli contro le armate di Mitridate, in Asia, uscendone più volte vincitore,<ref name="VelleioII,24.1">[[Velleio Patercolo]], ''Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo'', II, 24.1.</ref> riuscendo a conquistare la nuova capitale di Mitridate, [[Pergamo]],<ref name="AppianoMitridatiche52">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 52.</ref> e poco mancò che non riuscisse a far prigioniero lo stesso re.<ref name="LivioPeriochae83.1">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 83.1.</ref> Intanto Silla avanzava dalla [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]], massacrando i [[Traci]] che sulla sua strada gli si erano opposti.<ref name="LivioPeriochae83.3">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 83.3.</ref>
Dopo una serie di trattative iniziali, Mitridate e Silla si incontrarono a [[Trattato di Dardano|Dardano]], dove si accordarono per un trattato di pace<ref name="AppianoMitridatiche57-58">[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Guerre mitridatiche'', 57-58.</ref>, che costringeva Mitridate a ritirarsi da tutti i domini antecedenti la guerra,<ref name="AppianoMitridatiche57-58"/> ma ottenendo in cambio di essere ancora una volta considerato "''[[regno cliente (storia romana)|amico del popolo romano]]''". Un espediente per Silla, per poter tornare nella [[Roma (città antica)|capitale]] a risolvere i suoi problemi personali, interni alla Repubblica romana.
Nel [[74 a.C.]] divenne [[provincia romana]] la [[Bitinia e Ponto|Bitinia]] (''Bythinia''), quando [[Nicomede IV]] lasciò anch'egli in eredità allo stato romano, il proprio [[regno di Bitinia|regno]]. Pochi anni più tardi (nel [[63 a.C.]]), al termine della [[terza guerra mitridatica]], la sconfitta del [[regno del Ponto]] portò alla creazione di una nuova [[Bitinia e Ponto|nuova provincia]] (''Bythinia et Pontus'' che univa i territori dei due regni ora sotto il dominio romano), grazie alle campagne militari condotte nell'area, da [[Lucio Licinio Lucullo]] (dal 74 al [[67 a.C.]]).
E mentre Lucullo era ancora impegnato con Mitridate e Tigrane II, [[Gneo Pompeo Magno]] riusciva nel [[67 a.C.]] a [[Guerra piratica di Pompeo|ripulire l'intero bacino del Mediterraneo dai pirati]], strappando loro l'isola di [[Creta]], le coste della [[Licia]], della [[Panfilia]] e della [[Cilicia]], dimostrando straordinaria disciplina ed abilità organizzativa. La ''Cilicia'' vera e propria (''Trachea'' e ''Pedias''), che era stata covo di pirati per oltre quarant'anni, fu così definitivamente sottomessa. In seguito a questi eventi la città di [[Tarso (Asia Minore)|Tarso]] divenne la capitale dell'intera [[Cilicia (provincia romana)|provincia romana]]. Furono poi fondate ben 39 nuove città. La rapidità della campagna indicò che Pompeo aveva avuto talento, come generale, anche in mare, con forti capacità logistiche.<ref>[[Plutarco]], ''Vita di Pompeo'', 24-29; [[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 94-96.</ref>
Fu allora incaricato Pompeo di condurre una nuova guerra contro [[Mitridate VI del Ponto|Mitridate VI]] re del Ponto, in Oriente (nel [[66 a.C.]]),<ref name="AppianoMitridatiche91">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 97.</ref><ref name="PlutarcoLucullo35.7">[[Plutarco]], ''Vita di Lucullo'', 35.7.</ref> grazie alla [[lex Manilia]], proposta dal [[tribuno della plebe]] [[Gaio Manilio]], ed appoggiata politicamente da [[Cesare]] e [[Cicerone]].<ref name="Dione36.42.3-43.4">[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVI, 42.3-43.4.</ref> Questo comando gli affidava essenzialmente, la conquista e la riorganizzazione dell'intero Mediterraneo orientale, avendo il potere di proclamare quali fossero i [[popolo cliente (storia romana)|popoli clienti]] e quali quelli nemici, con un potere illimitato mai prima d'ora conferito a nessuno, ed attribuendogli a tutte le forze militari al di là dei confini dell'[[Italia romana]].<ref name="AppianoMitridatiche91"/><ref name="LivioPeriochae100.1">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 100.1.</ref>
[[File:RomanPowerAsiaMinor63BCE.JPG|upright=1.4|thumb|I domini romani orientali ed i [[regno cliente (storia romana)|regni clienti]] alleati a Roma, al termine della [[terza guerra mitridatica]] (nel [[63 a.C.]])]]
Seguirono altri anni di guerra nell'area (dal [[66 a.C.|66]] al [[63 a.C.]]), al termine dei quali Pompeo, tornato quindi nella nuova [[Siria (provincia romana)|nuova provincia di Siria]], dopo aver [[guerra giudaica di Pompeo|sottomesso anche i Giudei]], si apprestò a riorganizzare l'intero Oriente romano, gestendo al meglio le alleanze che vi gravitavano attorno (si veda [[Regno cliente (storia romana)|Regno cliente]]).<ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVII, 20.1.</ref>
Nella nuova riorganizzazione, fu trovato un accordo tra la Repubblica ed il regno dei [[Parti]], secondo il quale, il fiume [[Eufrate]] avrebbe costituito, d'ora in poi, il confine tra i due stati;<ref>[[Plutarco]], ''Vita di Pompeo'', 33.6.</ref> lasciò a [[Tigrane II]] l'[[regno d'Armenia|Armenia]]; a Farnace il Bosforo; ad [[Ariobarzane I di Cappadocia|Ariobarzane la Cappadocia]] ed alcuni territori limitrofi; ad [[Antioco I di Commagene|Antioco di Commagene]] aggiunse [[Seleucia allo Zeugma|Seleucia]] e parti della [[Mesopotamia]] che aveva conquistato; a [[Deiotaro]], tetrarca della [[regno di Galazia|Galazia]], aggiunse i territori dell'[[Armenia Minore]], confinanti con la Cappadocia; fece di Attalo il principe di [[Paflagonia]] e di Aristarco quello della [[Colchide]]; nominò Archelao sacerdote della dea venerata a [[Comana (Cappadocia)|Comana]]; ed infine fece di Castore di Phanagoria, un fedele alleato e amico del popolo romano.<ref name="AppianoMitridatiche114">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 114.</ref>
Il proconsole romano decise, inoltre, di fondare alcune nuove città (sembra otto, secondo [[Cassio Dione Cocceiano]]<ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVII, 20.2.</ref>), come [[Nicopoli al Lico]] in [[Armenia Minore]], chiamata così in ricordo della [[battaglia di Nicopoli al Lico|vittoria ottenuta su Mitridate]]; poi ''[[Eupatoria (Ponto)|Eupatoria]]'', costruita dal re pontico ed intitolata a sé stesso, ma poi distrutta perché aveva ospitato i Romani, che Pompeo ricostruì e rinominò ''[[Magnopolis]]''. In Cappadocia ricostruì ''[[Mazaca]]'', che era stata completamente distrutta dalla guerra. Restaurò poi molte altre città in molte regioni, che erano state distrutte o danneggiate, nel Ponto, in Palestina, Siria Coele ed in Cilicia, dove aveva [[Guerra piratica di Pompeo|combattuto la maggior parte dei pirati]], e dove la città, in precedenza chiamata [[Soli (Cilicia)|Soli]], fu ribattezzata ''[[Pompeiopolis]]''.<ref name="AppianoMitridatiche115">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 115.</ref><ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVI, 37.6.</ref>
Per questi successi il Senato gli decretò il meritato [[trionfo]] il 29 settembre del [[61 a.C.]]<ref name="AppianoMitridatiche116-117">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 116-117.</ref><ref name="Fasti triumphales">Testo originale latino dei ''[[fasti triumphales]]'': {{AE|1930|60}}.</ref><ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVII, 21.1.</ref> e fu acclamato da tutta l'assemblea con il nome di ''[[Cognomina ex virtute|Magnus]]''.<ref name="LivioPeriochae103.12">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 103.12.</ref><ref>[[Cassio Dione Cocceiano]], ''Storia romana'', XXXVII, 21.3.</ref>
Pompeo non solo era riuscito a [[terza guerra mitridatica|distruggere Mitridate]] (nel [[63 a.C.]]), ma anche a battere [[Tigrane il grande]], [[re di Armenia]], con cui in seguito fissò dei trattati. Pompeo impose una riorganizzazione generale ai re delle nuove province orientali, tenendo intelligentemente conto dei fattori geografici e politici connessi alla creazione di una nuova frontiera di Roma in oriente. Le ultime campagne militari avevano così ridotto il [[regno del Ponto|Ponto]], la [[Cilicia|Cilicia campestre]], la [[Siria]] (''Fenicia'', ''Coele'' e ''Palestina'') a nuove [[province romane]], mentre [[Gerusalemme]] [[assedio di Gerusalemme (63 a.C.)|era stata conquistata]].<ref name="AppianoMitridatiche118">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre mitridatiche'', 118.</ref> La [[Asia (provincia romana)|provincia d'Asia]] era stata a sue volta ampliata, sembra aggiungendo [[Frigia]], parte della [[Misia]] adiacente alla Frigia, in aggiunta [[Lidia]], [[Caria]] e [[Ionia]]. Il Ponto fu quindi aggregato alla Bitinia, venendo così a formare un'unica [[Provincia romana|provincia]] di [[Bitinia e Ponto|Ponto e Bitinia]].<ref name="LivioPeriochae102.1">[[Tito Livio|Livio]], ''Periochae [[ab Urbe condita libri]]'', 102.1.</ref> A ciò si aggiungeva un nuovo [[regno cliente (storia romana)|sistema di "clientele"]] che comprendevano dall'[[regno d'Armenia|Armenia]] di [[Tigrane II]], al [[regno del Bosforo|Bosforo]] di Farnace, alla [[regno di Cappadocia|Cappadocia]], [[Commagene]], [[regno di Galazia|Galazia]], [[Paflagonia]], fino alla [[Colchide]].<ref name="AppianoMitridatiche118"/>
=== Rivolta di Spartaco (73 a.C.-71 a.C.) ===
{{vedi anche|Terza guerra servile|Schiavitù nell'antica Roma}}
La situazione politica si caratterizzava da una costante instabilità, favorita dai continui contrasti tra la fazione dei ''[[populares]]'' e quella degli ''[[ottimati|optimates]]'': dopo la [[guerra civile tra Mario e Silla|guerra civile]] tra l<nowiki>'</nowiki>''[[homo novus]]'' [[Gaio Mario|Mario]] e l'aristocratico [[Lucio Cornelio Silla|Silla]] e la successiva [[Lucio Cornelio Silla#Dittatore a vita|dittatura sillana]], si era consolidato il predominio della fazione aristocratica, divenuta sempre più la padrona incontrastata del [[senato romano|senato]] e della politica romana.<ref>Emilio Gabba, ''Esercito e società nella tarda repubblica romana'', Firenze 1973, pp. 383 (cap. 8) e segg.; pp. 407 e segg. (cap. 9)</ref><ref>Sul rapporto tra il predominio politico della fazione aristocratico e le condizioni degli schiavi si veda [[Theodor Mommsen]], ''Storia di Roma'', Firenze 1973, pp. 88-94</ref> Da questa situazione di conflitto si sviluppò nell'[[80 a.C.]] la rivolta del popolare [[Quinto Sertorio]]: egli radunò attorno a sé i seguaci mariani sfuggiti alle [[proscrizione|proscrizioni]] di Silla e si rifugiò in ''[[Spagna romana|Hispania]]'', dove ottenne l'alleanza dei [[Lusitani]], mai realmente sottomessi all'autorità di Roma. Contro lo Stato ribelle organizzato da Sertorio grazie al continuo afflusso di "perseguitati politici" da Roma fu inviato, nel [[76 a.C.]], [[Gneo Pompeo Magno|Gneo Pompeo]], che poté avere la meglio solo quando la confederazione guidata da Sertorio si sfaldò, nel [[72 a.C.]]<ref>Mommsen, pp. 581 segg.</ref> Contemporaneamente, i Romani erano impegnati a Oriente nella [[guerre mitridatiche|terza guerra]] contro [[Mitridate VI del Ponto]], condotta dal generale [[Lucio Licinio Lucullo]]:<ref>Mommsen, pp. 622 e segg.</ref> il duplice impegno militare riduceva di fatto la presenza di truppe in Italia, rendendo l'esercito inadeguato e permettendo l'iniziale successo della rivolta guidata da Spartaco.<ref>Antonelli, pp. 96-97; Howard H. Scullard, ''Storia del mondo romano'', vol. 2 ''Dalle riforme dei Gracchi alla morte di Nerone'', Milano 1992, pp. 120-121; Mommsen, pp. 656-659; G. Brizzi, ''Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio'', p. 348.</ref>
{{Citazione|Mancavano soldati addestrati non meno che generali sperimentati. Quinto Metello e Gneo Pompeo erano impegnati in Spagna, Marco Lucullo nella Tracia, Lucio Lucullo nell'Asia minore, e non vi erano disponibili che milizie inesperte e tutt'al più ufficiali mediocri.|[[Theodor Mommsen]], ''Storia di Roma antica'', libro V, pp. 657-658.}}
[[File:Gladiator-Bärenkampf.jpg|thumb|upright=1.4|left|Raffigurazione di un gladiatore: nella [[terza guerra servile]] la Repubblica romana dovette affrontare i propri gladiatori e schiavi ribelli]]
Altro stimolo alla rivolta da parte degli schiavi (rivolta peraltro generale più che regionale, al contrario della [[prima guerra servile|prima]] e della [[seconda guerra servile]]) fu certamente il successo e l'inquietudine sociale dei [[popoli italici]] (che, in precedenza, erano sempre stati considerati solo federati),<ref>André Piganiol, ''Le conquiste dei Romani'', cap. 21 ''La rivolta contro Roma. Tentativo di restaurazione del regime aristocratico. (91-71 a.C.)'', Milano 1989, pp. 385 e segg.; Antonelli, pp. 89-93; G. Brizzi, ''op. cit.'', p. 349.</ref> i quali erano riusciti ad ottenere, a prezzo di una lunga e sanguinosa "[[guerra sociale|guerra interna]]" durata ben tre anni ([[91 a.C.|91]]-[[88 a.C.]]), un'estensione dei diritti di cittadinanza.
L'[[agricoltura]] su vasta scala nella penisola italiana dipendeva, inoltre, dallo sfruttamento degli [[schiavitù nell'antica Roma|schiavi]] nelle grandi proprietà terriere (''[[latifondo|latifundia]]''). Le brutali condizioni in cui gli schiavi venivano tenuti fu spesso causa di feroci e pericolose rivolte, che già nei decenni precedenti alla rivolta di Spartaco avevano causato diversi problemi ai Romani, soprattutto in Sicilia ([[guerre servili]]).
[[Spartaco]] era uno schiavo della Tracia, e venne addestrato come [[gladiatore]]. Nel [[73 a.C.]], assieme ad alcuni compagni, si ribellò a [[Capua antica|Capua]] e fuggì verso il [[Vesuvio]]. Il numero di ribelli crebbe rapidamente fino a 70.000, composti principalmente di schiavi traci, galli e germanici. Inizialmente, Spartaco e il suo secondo in comando Crixus riuscirono a sconfiggere diverse legioni inviate contro di loro. Una volta che venne stabilito un comando unificato sotto [[Marco Licinio Crasso]], che aveva sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel [[71 a.C.]] Circa diecimila schiavi fuggirono dal campo di battaglia. Gli schiavi in fuga vennero intercettati da [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]], aiutato dai pirati che, inizialmente, avevano promesso loro di trasportarli verso la Sicilia salvo poi tradirli, presumibilmente in base ad un accordo con Roma, che stava ritornando dalla [[Spagna]], e 6.000 vennero crocifissi lungo la [[Via Appia]], da Capua a Roma.<ref>Matyszak, ''The Enemies of Rome'', p. 133; Plutarco, ''Pompeo'', 21.2, ''Crasso'', 11.7; [[Appiano di Alessandria]], ''Guerra civile'', I, 120.</ref>
Pompeo e Crasso seppero cogliere appieno i frutti politici della loro vittoria sui ribelli; entrambi tornarono a [[Roma]] con le loro legioni, rifiutandosi di scioglierle e accampandosi appena fuori dalle mura della città.<ref name=appiano1_116>[[Appiano di Alessandria]], ''Guerra civile'', I, 116.</ref> I due generali si candidarono al [[console (storia romana)|consolato]] per l'anno [[70 a.C.]], anche se Pompeo non era eleggibile a causa della sua giovane età e del fatto che non aveva ancora servito come [[pretore (storia romana)|pretore]] o [[questore (storia romana)|questore]], come richiedeva, invece, il ''[[cursus honorum]]''.<ref name="appiano1_121">[[Appiano di Alessandria]], ''Guerra civile'', I, 121.</ref> Cionondimeno, entrambi furono eletti,<ref name="appiano1_121" /><ref>Plutarco, ''Crasso'', xii.2.</ref> anche a causa della minaccia implicita rappresentata dalle legioni in armi accampate fuori dalla città.<ref name="appiano1_121" />
Gli effetti della terza guerra servile sull'atteggiamento dei Romani verso la schiavitù e sulle relative istituzioni sono più difficili da determinare. Certamente la rivolta aveva scosso il popolo romano, che «a causa della grande paura sembrò iniziare a trattare i propri schiavi meno duramente di prima».<ref>Davis, ''Readings in Ancient History'', p. 90.</ref> I ricchi possessori di ''[[latifondo|latifundia]]'' iniziarono a ridurre il numero di schiavi impiegati nell'agricoltura, scegliendo di impiegare come [[mezzadria|mezzadri]] alcuni degli ex-piccoli proprietari terrieri spossessati.<ref>Smitha, Frank E. (2006). ''[http://www.fsmitha.com/h1/ch18.htm From a Republic to Emperor Augustus: Spartacus and Declining Slavery]''. Visitato il 2006-09-23.</ref> Più tardi, terminate la [[conquista della Gallia]] ad opera di [[Gaio Giulio Cesare]] nel [[52 a.C.]] e le altre grandi conquiste territoriali operate dai Romani fino al periodo del regno di [[Traiano]] (98-117), si interruppero le guerre di conquista contro nemici esterni, e con esse cessò l'arrivo in massa di schiavi catturati come prigionieri. Si incrementò, al contrario, l'impiego di lavoratori liberi in campo agricolo.
Anche la condizione legale e i diritti degli schiavi romani iniziarono a mutare. Più tardi, durante il regno dell'imperatore [[Claudio]] (41-54), fu promulgata una costituzione che considerava omicidio e puniva l'assassinio di uno schiavo anziano o ammalato, e che dava la libertà agli schiavi abbandonati dai loro padroni.<ref>[[Svetonio]], ''Vita di Claudio'', xxv.2.</ref> Durante il regno di [[Antonino Pio]] (138-161), i diritti degli schiavi furono ulteriormente allargati, e i padroni furono ritenuti direttamente responsabili dell'uccisione dei loro schiavi, mentre gli schiavi che dimostravano di essere stati maltrattati potevano forzare legalmente la propria vendita; fu contemporaneamente istituita un'autorità teoricamente indipendente cui gli schiavi si potevano appellare.<ref>[[Gaio]], ''Institutionum commentarius'', i.52, per i cambiamenti del diritto di un padrone di trattare a proprio piacimento gli schiavi; Seneca, ''De Beneficiis'', iii.22, per l'istituzione del diritto di uno schiavo ad essere trattato bene e per la creazione dell'"[[ombudsman]] degli schiavi".</ref> Sebbene questi cambiamenti legali abbiano avuto luogo molto tempo dopo la rivolta di Spartaco per poterne essere considerati le dirette conseguenze, sono nondimeno la traduzione in legge dei cambiamenti dell'atteggiamento dei Romani nei confronti degli schiavi evolutosi per decenni.
=== La congiura di Catilina (63 a.C.) ===
[[File:Cicerón denuncia a Catilina, por Cesare Maccari.jpg|thumb|upright=1.4|Roma: ''[[Cicerone denuncia Catilina]]'', affresco di [[Cesare Maccari]] a [[Palazzo Madama (Roma)|Palazzo Madama]] che raffigura Cicerone mentre pronuncia una delle [[Catilinarie|orazioni contro Catilina]]]]
Nel [[63 a.C.]], dopo essergli stato più volte vietato di diventare console, [[Lucio Sergio Catilina]] decise di ordire una congiura per rovesciare la Repubblica. Ma il console in carica, [[Marco Tullio Cicerone]] riuscì a sventare la congiura e a ripristinare (anche se per poco tempo) l'ordine a Roma.<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 5</ref> Catilina contava soprattutto sulla plebe, a cui prometteva radicali riforme, e sugli altri nobili decaduti, ai quali prospettava un vantaggioso sovvertimento dell'ordine costituito, che lo avrebbe probabilmente portato ad assumere un potere monarchico o quasi.<ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 10,3-4</ref> Venuto a conoscenza del pericolo che lo stato correva grazie alla soffiata di Fulvia, amante del congiurato Quinto Curio,<ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 16,2</ref> Cicerone fece promulgare dal senato un ''[[senatusconsultum ultimum|senatus consultum ultimum de re publica defendenda]]'', cioè un provvedimento con cui si attribuivano, come era previsto in situazioni di particolare gravità, poteri speciali ai consoli.<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 29,2</ref><ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 15,5</ref> Sfuggito poi ad un attentato da parte dei congiurati,<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 28,1-3</ref> Cicerone convocò il senato nel [[Tempio di Giove Statore (II secolo a.C.)|tempio di Giove Statore]], dove pronunciò una violenta accusa a Catilina, con il discorso noto come [[Catilinarie|Prima Catilinaria]].<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 31,6</ref><ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 16,4-5</ref> Catilina, visti i suoi piani svelati, fu costretto a lasciare Roma per ritirarsi in Etruria presso il suo sostenitore Gaio Manlio, lasciando la guida della congiura ad alcuni uomini di fiducia, [[Publio Cornelio Lentulo Sura|Lentulo Sura]] e [[Gaio Cornelio Cetego (congiurato)|Cetego]].<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 32,1</ref><ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 16,6</ref>
Grazie alla collaborazione con una delegazione di ambasciatori inviati a Roma dai Galli [[Allobrogi]], Cicerone poté però trascinare anche Lentulo e Cetego davanti al senato: gli ambasciatori, incontratisi con i congiurati, che avevano dato loro documenti scritti in cui promettevano grandi benefici se avessero appoggiato Catilina, furono arrestati in modo del tutto fittizio, e i documenti caddero nelle mani di Cicerone. Questi portò Cetego, Lentulo e gli altri davanti al senato, ma nel decidere quale pena dovesse essere applicata, si scatenò un acceso dibattito: dopo che molti avevano sostenuto la pena capitale, [[Gaio Giulio Cesare]] propose di punire i congiurati con il confino e la confisca dei beni. Il discorso di Cesare provocò scalpore, ed avrebbe probabilmente convinto i senatori se [[Marco Porcio Catone Uticense]] non avesse pronunciato un altrettanto acceso discorso in favore della pena di morte. I congiurati furono quindi giustiziati, e Cicerone annunziò la loro morte al popolo con la formula:
{{citazione|Vissero|Marco Tullio Cicerone|Vixerunt|lingua=la}}
Catilina fu poi sconfitto, nel gennaio 62, in battaglia assieme al suo esercito.
Cicerone, che non smise mai di vantare il proprio ruolo determinante per la salvezza dello stato (si ricordi il famigerato verso di Cicerone sul suo consolato: "Cedant arma togae", trad: ''che le armi lascino il posto alla toga del magistrato''), grazie al ruolo svolto nel reprimere la congiura, ottenne un prestigio incredibile, che gli valse addirittura l'appellativo di ''pater patriae''. Nonostante ciò, la scelta di autorizzare la condanna a morte dei congiurati senza concedere loro la ''[[provocatio ad populum]]'' (ovvero l'appello al popolo, che poteva decretare la commutazione della pena capitale in una pena detentiva) gli sarebbe costata cara soltanto pochi anni dopo.
=== Dal primo triumvirato al passaggio del Rubicone (59 a.C.-49 a.C.) ===
{{Doppia immagine|left|Pompejus modified.png|170|Caesar.jpg|162|[[Gneo Pompeo Magno]]|[[Giulio Cesare]]}}
{{Vedi anche|Primo triumvirato|Conquista della Gallia|Guerra civile tra Cesare e Pompeo}}
Il mondo romano si avviava a divenire troppo vasto e complesso per le istituzioni della Repubblica; la debolezza di queste ultime, ed in particolare del senato (e della classe aristocratica da esso rappresentata) divenne già evidente nelle circostanze del [[primo triumvirato]], un accordo informale con cui i tre più potenti uomini di Roma, [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] e [[Gneo Pompeo|Pompeo]], si spartivano le sfere d'influenza e si garantivano reciproco appoggio ([[60 a.C.]]).<ref>[[Cicerone]], ''Lettere ad Attico'', II,3,3;<br />[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,44,1-3;<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 14,1-2;<br />[[Svetonio]], ''Cesare'', 19,2;<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,8;<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,55-57</ref> Questo accordo privato, chiamato dagli storici [[primo triumvirato]], non fu in realtà una vera magistratura, ma un accordo tra privati che, data l'influenza dei firmatari, ebbe poi notevolissime ripercussioni sulla vita politica, dettandone gli sviluppi per quasi dieci anni.<ref name="Primo_Triumvirato">[[Luciano Canfora]], ''Giulio Cesare. Il dittatore democratico'', cap. IX, ''Il "mostro a tre teste"''</ref> Crasso era l'uomo più ricco di Roma (aveva infatti finanziato la campagna elettorale di Cesare per il consolato) ed era un esponente di spicco della classe dei [[Ordine equestre|cavalieri]]. Pompeo, dopo aver brillantemente risolto la guerra in Oriente contro Mitridate ed i suoi alleati, era il [[Generale (storia romana)|generale]] con più successi alle spalle. Il rapporto tra Crasso e Pompeo non era dei più idilliaci, ma Cesare con la sua fine abilità diplomatica seppe riappacificarli, vedendo in un'alleanza tra i due l'unico modo con cui egli stesso avrebbe potuto raggiungere i vertici del potere. Crasso serbava infatti verso Pompeo un certo rancore, da quando quegli aveva celebrato il trionfo per la guerra contro Sertorio in Spagna e per la vittoria contro gli schiavi ribelli, che soffocata la rivolta di Spartaco cercavano di fuggire dall'Italia per attraversare l'arco alpino: ogni merito era andato a Pompeo, mentre Crasso, vero artefice della sofferta vittoria su Spartaco, aveva potuto celebrare soltanto un'[[ovazione]].<ref name="Primo_Triumvirato"/>
[[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] avrebbe dovuto sostenere la candidatura al [[console (storia romana)|consolato]] di Cesare, mentre [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] l'avrebbe dovuta finanziare. In cambio di quest'appoggio, Cesare avrebbe fatto in modo che ai veterani di Pompeo venissero distribuite delle terre, e che il [[Senato (storia romana)|Senato]] ratificasse i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente; al contempo, com'era desiderio di Crasso e dei cavalieri, fu ridotto di un terzo il canone d'appalto delle imposte della provincia d'Asia. A rinsaldare ulteriormente quanto previsto dal [[primo triumvirato|triumvirato]], Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare.
Nel [[59 a.C.]], l'anno del suo [[console (storia romana)|consolato]], Cesare portò al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio, e si adoperò per portare avanti le riforme concordate con gli altri [[triumviri]].<ref name="Consolato">[[Luciano Canfora]], ''Giulio Cesare. Il dittatore democratico'', cap. XI ''Il primo consolato (59 a.C.)''</ref> Nonostante la forte opposizione del collega [[Marco Calpurnio Bibulo]], che tentò in ogni modo di ostacolare le sue iniziative, Cesare ottenne comunque la ridistribuzione degli appezzamenti di ''ager publicus'' per i veterani di [[Pompeo]]<ref>{{cita|Warde Fowler 2004|}}.</ref>, ma anche per alcuni dei cittadini meno abbienti.<ref>[[Francesco De Martino]], ''Storia della costituzione romana'', vol. III</ref> Bibulo, una volta accortosi del fallimento della sua sterile politica volta esclusivamente alla conservazione dei privilegi da parte della ''nobilitas'' senatoriale, si ritirò dalla vita politica: in questo modo pensava di frenare l'attività del collega, che invece poté attuare in tutta tranquillità il suo rivoluzionario programma.<ref name="Consolato"/> Cesare infatti programmò la fondazione di nuove colonie in Italia, come [[Capua antica|Capua]], e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di [[concussione]] (''lex Iulia de repetundis''),<ref>''[[Digesto]]'', XLVIII,11</ref> facendo approvare allo stesso tempo delle leggi che favorissero l'''ordo equestris'': con la ''lex de publicanis'' egli ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo stato, favorendo così le loro attività. Fece infine promulgare una legge che imponeva al senato di stilare le relazioni di ogni seduta (gli ''acta senatus'').<ref>[[Svetonio]], ''Cesare'', 20,1</ref> In questo modo Cesare si assicurava l'appoggio di tutta la popolazione romana, ponendo le basi per il suo futuro successo.<ref name="Consolato"/>
{{Tripla immagine|right|Gallia Cesare 58 aC.png|151|Gallia Cesare 55 aC.png|151|Gallia Cesare 52 aC.png|151|[[Conquista della Gallia]]: [[58 a.C.]], il primo anno|[[Conquista della Gallia]]: [[55 a.C.]], [[conquista della Britannia|invasione della Britannia]] e [[guerre romano-germaniche|Germania]]|[[Conquista della Gallia]]: [[52 a.C.]] l'anno determinante}}
Durante il [[console (storia romana)|consolato]], grazie all'appoggio dei [[Primo triumvirato|triumviri]], Cesare ottenne con la ''Lex Vatinia'' del 1º marzo<ref>Proposta dal [[tribuno della plebe]] [[Publio Vatinio]], che poi sarà [[luogotenente]] di Cesare in [[Gallia]]</ref> il [[proconsole|proconsolato]] delle [[provincia romana|province]] della [[Gallia Cisalpina]]<ref>Corrispondeva ai territori della [[pianura padana]], compresi tra il [[fiume]] [[Oglio]] e le [[Alpi]] piemontesi</ref> e dell'[[Dalmazia (provincia romana)|Illirico]] per cinque anni, con un [[esercito romano|esercito]] composto da tre [[legione romana|legioni]] ([[Legio VII Claudia|VII]], [[Legio VIII Augusta|VIII]] e [[Legio VIIII Hispana|IX]]). Poco dopo un [[senatoconsulto]] gli affidò anche la vicina provincia della [[Gallia Narbonense|Narbonense]],<ref>Provincia costituita nel [[121 a.C.]] che comprendeva tutta la fascia costiera e la valle del [[Rodano]], nelle attuali [[Provenza]] e [[Linguadoca-Rossiglione|Linguadoca]]</ref> il cui proconsole era morto all'improvviso, e la [[legio X Gemina|X legione]].<ref>Lawrence Keppie (in ''The making of the roman army, from Republic to Empire'', [[Oklahoma]] 1998, pp. 80-81) suppone che la [[legio X Gemina|legio X]] fosse posizionata nella capitale della Gallia Narbonense: [[Narbona]].</ref>
Il fatto che a Cesare fosse stata attribuita inizialmente la provincia dell'Illirico nel suo ''[[imperium]]'', con la dislocazione all'inizio del [[58 a.C.]] di ben tre legioni ad [[Aquileia]], potrebbe significare che egli intendeva recarvisi in cerca di gloria e ricchezze, con cui accrescere il suo potere, la sua influenza militare e [[politica]] con campagne oltre le [[Alpi Carniche]] fin sul [[Danubio]], sfruttando la crescente minaccia delle [[tribù]] della [[Dacia (regione storica)|Dacia]] che si erano riunite sotto il loro re [[Burebista]]. Mentre si trovava ancora a Roma, Cesare venne, però, a sapere che gli [[Elvezi]], stanziati tra il [[lago di Costanza]], il [[Rodano]], il [[Massiccio del Giura|Giura]], il [[Reno]] e le [[Alpi retiche]], si accingevano ad attraversare il territorio della Gallia Narbonense. C'era dunque il pericolo che essi, al loro passaggio sul territorio romano, compissero razzie e incitassero alla rivolta il popolo che ivi risiedeva, gli [[Allobrogi]]; i territori che si sarebbero svuotati, potevano poi divenire meta delle migrazioni di altri popoli germanici, che si sarebbero trovati a vivere al confine con lo stato romano, dando origine a un pericolo da non sottovalutare.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,6</ref> Il 28 marzo Cesare, avuta notizia che gli Elvezi, bruciate le loro città, erano giunti sulle rive del Rodano, fu costretto a precipitarsi in Gallia, dove giunse il 2 aprile, dopo pochissimi giorni di viaggio.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,6,4</ref> Era l'inizio della [[conquista della Gallia]] ([[58 a.C.|58]]-[[50 a.C.]]).
Morto però Crasso nel [[53 a.C.]] a [[battaglia di Carre|Carre]], le ambizioni personali di Cesare e Pompeo si scontrarono, il senato preferì schierarsi con quest'ultimo, che si mostrava più vicino agli [[Ottimati|optimates]], e garantiva un più forte atteggiamento di rispetto verso i privilegi senatoriali (per quanto non sfuggisse ai più attenti, come [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], che qualunque dei due contendenti avesse prevalso il potere del senato sarebbe stato irrimediabilmente compromesso).
=== Dal primo triumvirato alla morte di Cesare (49 a.C.-44 a.C.) ===
[[File:Caesar campaigns from Rome to Zela-fr.svg|thumb|upright=1.4|left|La prima fase della [[Guerra civile tra Cesare e Pompeo]] (dal [[49 a.C.|49]]-[[47 a.C.]])]]
{{Vedi anche|Guerra civile tra Cesare e Pompeo}}
Lo scontro, sempre latente, si mantenne sempre entro i limiti delle tradizionali forme di governo del potere romano, fino al [[49 a.C.]], quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle [[legione romana|legioni]] che aveva condotto alla conquista della [[Gallia]], e di tornare a [[Roma]] da privato cittadino. Il 10 gennaio abbandonando gli ultimi dubbi, (''[[Alea iacta est]]''), Cesare attraversò con le sue truppe il [[Rubicone]], che segnava il confine politico dell'Italia dando inizio alla [[guerra civile romana (49-45 a.C.)|guerra civile]] contro la fazione opposta. Il senato, di contro, si strinse attorno a Pompeo e, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, decise di dichiarare guerra a Cesare ([[49 a.C.]]).
Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono a [[battaglia di Farsalo|Farsalo]], dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Pompeo cercò quindi rifugio in Egitto, ma lì fu ucciso ([[48 a.C.]]). Anche Cesare si recò perciò in Egitto, e lì rimase coinvolto nella contesa dinastica scoppiata tra [[Cleopatra VII]] ed il fratello [[Tolomeo XIII]]: risolta la situazione, riprese la guerra, e sconfisse il re del [[Ponto]] [[Farnace II del Ponto|Farnace II]] a [[Battaglia di Zela (47 a.C.)|Zela]] ([[47 a.C.]]). Partì dunque per l'[[Africa (provincia romana)|Africa]], dove i pompeiani si erano riorganizzati sotto il comando di [[Catone Uticense|Catone il giovane]], e li sconfisse a [[Battaglia di Tapso|Tapso]] ([[46 a.C.]]). I superstiti dell'esercito nemico, guidato dai figli di Pompeo, [[Gneo Pompeo|Gneo]] e [[Sesto Pompeo|Sesto]], trovarono rifugio in Spagna, dove Cesare li raggiunse e li sconfisse, questa volta definitivamente, a [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|Munda]] ([[45 a.C.]]).
Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di [[Dittatore romano|dictator]], assommando a sé molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però egli non assumerà mai, ucciso alle [[idi di marzo]] nel [[44 a.C.]]
=== Fine della Repubblica (44 a.C.-31 a.C.) ===
[[File:Impero Romano.png|upright=1.4|thumb|Gli scenari e la divisione territoriale dei [[secondo triumvirato|triumviri]] durante la [[guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio]] ([[44 a.C.|44]]-[[31 a.C.]])]]
{{Vedi anche|Secondo triumvirato|guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio}}
La morte del dittatore, contrariamente alle dichiarate intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione della Repubblica, ma ad nuovo periodo di scontri e di [[guerra civile romana (44-31 a.C.)|guerre civili]]. Tornato a Roma Ottaviano il 21 maggio del [[44 a.C.]], dopo che i Cesaricidi avevano già da più di un mese lasciato la città, grazie ad un'amnistia concessa dal console superstite, [[Marco Antonio]], il giovane si affrettò a rivendicare il nome adottivo di '''Gaio Giulio Cesare''', dichiarando pubblicamente di accettare l'eredità del padre e chiedendo pertanto di entrare in possesso dei beni familiari. Il Senato, che lo vedeva in quel momento come un ''principiante'' inesperto data la sua giovane età, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria, e che apprezzava l'indebolimento della posizione di Antonio, approvò la ratifica del testamento, riconoscendo ad Ottaviano lo ''status'' di erede legittimo di Giulio Cesare. Con il patrimonio di Cesare ora a sua disposizione, Ottaviano poté quindi reclutare in giugno un esercito privato di circa 3000 veterani, garantendo a ciascuno di loro un [[salario]] di 500 [[denario|denarii]], mentre Marco Antonio, ottenuta con legge speciale l'assegnazione - al termine del suo anno consolare - della [[Gallia Cisalpina]] già affidata al [[propretore]] [[Decimo Giunio Bruto Albino|Decimo Bruto]], si accingeva a portare guerra ai Cesaricidi per recuperare il favore della fazione cesariana.
Quando nel mese di ottobre, l'appoggio del Senato ad Ottaviano si fece più pressante, con Cicerone che tuonava con le sue ''[[Filippiche (Cicerone)|Filippiche]]'' contro Antonio, questi decise di riprendere il controllo della situazione richiamando in Italia le legioni stanziate in [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]]. Di fronte a quella minaccia, Ottaviano richiamò allora i veterani di Cesare a lui fedeli. Fallito, per l'opposizione del Senato, il tentativo di far dichiarare Ottaviano ''[[hostis publicus]]'' per aver reclutato un esercito senza averne l'autorità, il console decise allora di accelerare i tempi dell'occupazione della Cisalpina, in modo da garantirsi una posizione di forza per l'anno successivo. Ricevuto il rifiuto da parte di [[Decimo Bruto]] alla cessione della Cisalpina, Antonio marciò su [[Modena]], dove strinse d'[[assedio]] il [[propretore]]. Il 1º gennaio del [[43 a.C.]], giorno dell'insediamento dei nuovi consoli [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]] e [[Aulo Irzio|Irzio]], il Senato decretò l'[[abrogazione]] della legge che assegnava ad Antonio la Gallia Cisalpina, incaricando i consoli di marciare contro Antonio assieme ad Ottaviano. Il 21 aprile Antonio venne sconfitto nella [[battaglia di Modena]], nella quale, però, rimasero uccisi i consoli, lasciando così Ottaviano unico vincitore.
[[File:M Antonius modified.png|thumb|upright|left|Busto di [[Marco Antonio]]]]
[[File:Empereur Auguste Portrait.jpg|thumb|upright|Busto di [[Augusto|Ottaviano]]]]
Dalla sua nuova posizione di forza, divenuto legalmente a capo dello Stato romano, Ottaviano prese contatti con il principale sostenitore di Antonio, il [[Pontefice massimo (storia romana)|pontefice massimo]] [[Marco Emilio Lepido (triumviro)|Marco Emilio Lepido]], già ''[[magister equitum]]'' di Cesare, con l'intenzione di ricomporre i dissidi interni alla fazione cesariana. Con gli auspici di Lepido, ottenne dunque che fosse organizzato un incontro a tre con Antonio nei pressi di [[Bononia]]. Da quel colloquio privato nacque un accordo a tre, tra lui, Antonio e Lepido della durata di cinque anni. Si trattava del [[secondo triumvirato]], riconosciuto legalmente dal Senato il 27 novembre di quello stesso anno con la ''[[Lex Titia]]'', in cui veniva creata la speciale magistratura dei ''Triumviri rei publicae constituendae consulari potestate'', ovvero "triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare".
Il patto prevedeva la divisione dei territori romani: ad Ottaviano toccarono [[Siria (provincia romana)|Siria]], [[Sardegna e Corsica|Sardegna]] e ''[[Africa (provincia romana)|Africa proconsolaris]]''. Furono contestualmente redatte delle liste di proscrizione contro gli oppositori di Cesare, che portarono alla confisca dei beni e all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] che pagò le ''Filippiche'' rivolte contro [[Marco Antonio|Antonio]]. Si preparò nel contempo la guerra contro [[Marco Giunio Bruto|Bruto]] e [[Gaio Cassio Longino|Cassio]] e i cesaricidi.
Nell'ottobre del [[42 a.C.]] Antonio e Ottaviano, lasciato Lepido al governo della capitale, si scontrarono con i [[cesaricidi]] [[Marco Giunio Bruto]] e [[Gaio Cassio Longino]] e li sconfissero in due scontri a [[battaglia di Filippi|Filippi]], nella [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]] orientale. I due anticesariani trovarono la morte suicidandosi.<ref>[[Mario Attilio Levi]], ''Augusto e il suo tempo'', Milano 1994, p. 143 e s.</ref><ref>[[Velleio Patercolo|Velleio]], ''Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo'', 11, 70</ref>
Ottaviano, [[Marco Antonio|Antonio]] e [[Marco Emilio Lepido|Lepido]] trovandosi padroni, ora, dei territori orientali procedettero ad una nuova spartizione delle province: a Lepido furono lasciate la [[Numidia]] e l'''[[Africa (provincia romana)|Africa proconsolaris]]'', ad Antonio, la [[Gallia]], la [[Gallia cisalpina|Transpadania]] e l'Oriente romano, ad Ottaviano spettarono l'[[Italia]], la [[Sicilia (provincia romana)|Sicilia]], l'[[Province ispaniche repubblicane|Iberia]], e la [[Sardegna e Corsica]].
Successivamente nacquero nuovi contrasti: [[Lucio Antonio]], fratello di Antonio, nel [[41 a.C.]] si ribellò ad Ottaviano poiché pretendeva che anche ai veterani del fratello fossero distribuite terre in Italia (oltre ai 170.000 veterani di Ottaviano), ma fu [[battaglia di Perugia|sconfitto a Perugia]] nel [[40 a.C.]] Non si può provare che Antonio fosse a conoscenza delle azioni del fratello ma, dopo la sconfitta di quest'ultimo, entrambi decisero di non dare troppo peso all'accaduto (Lucio Antonio fu risparmiato e perfino inviato in Spagna come governatore).<ref name="Colin M. Wells 1995">[[Colin M. Wells]], ''L'impero romano''. Bologna, Il Mulino, 1995.</ref>
Con il [[trattato di Brindisi]] (settembre del 40 a.C.) si venne ad una nuova divisione delle province: ad Antonio restò l'Oriente romano da [[Scutari]], compresa la [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]] e l'[[Acaia (provincia romana)|Acaia]]; ad Ottaviano l'Occidente compreso l'[[Illiria|Illirico]]; a Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l'[[Africa (provincia romana)|Africa]] e la [[Numidia]]; a [[Sesto Pompeo]] fu confermata la [[Sicilia]] per metterlo a tacere, affinché non arrecasse problemi in Occidente.<ref name="Colin M. Wells 1995"/> Il patto fu sancito con il matrimonio tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, [[Ottavia minore]]. Dopo il trattato di Brindisi, Ottaviano ruppe inoltre l'alleanza con Sesto Pompeo, ripudiò Scribonia, e sposò [[Livia Drusilla]], madre di [[Tiberio Claudio Nerone|Tiberio]] e in attesa di un secondo figlio. Sesto Pompeo era diventato un alleato scomodo e Ottaviano decise di disfarsene di lì a poco. Si arrivò così ad una prima serie di scontri non particolarmente felici per Ottaviano: la flotta preparata per invadere la Sicilia fu infatti distrutta sia da Sesto sia da un violento fortunale.<ref name="Colin M. Wells 1995"/>
[[File:Augustus & Agrippa4.jpg|thumb|upright=1.4|Moneta raffigurante [[Augusto]] e [[Marco Vipsanio Agrippa]], vincitori della [[battaglia di Azio]]]]
Nel [[38 a.C.]] Ottaviano si risolse ad incontrarsi a [[Brindisi]] con Antonio e Lepido per rinnovare il patto di alleanza per altri cinque anni. Nel [[36 a.C.]], però, grazie all'amico e generale [[Marco Vipsanio Agrippa]], Ottaviano riuscì a porre fine alla guerra con Sesto Pompeo. Sesto, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio, fu infatti sconfitto definitivamente presso Mileto. La Sicilia cadde e Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove poco dopo fu assassinato dai sicari di Antonio.<ref name="Colin M. Wells 1995"/>
A quel punto, però, Ottaviano dovette far fronte alle ambizioni di Lepido, il quale riteneva che la Sicilia dovesse toccare a lui e, rompendo il patto di alleanza, mosse per impossessarsene. Sconfitto però rapidamente, dopo che i suoi soldati lo abbandonarono passando dalla parte di Ottaviano, Lepido fu infine confinato al [[Circeo]], pur conservando la carica pubblica di ''[[pontifex maximus]]''. A quel punto, dopo l'eliminazione graduale di tutti i contendenti nell'arco di sei anni, da Bruto e Cassio, a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione rimase nelle sole mani di Ottaviano, in Occidente, e Antonio, in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due triumviri, ciascuno troppo ingombrante per l'altro, tanto più che i successi ottenuti nelle [[campagne militari di Ottaviano in Illirico (35-33 a.C.)]] e contro Lepido non erano stati compensati da Antonio in Oriente contro i [[Parti]], limitandosi alla sola acquisizione in dote dell'[[Armenia]].
Alla sua scadenza, nel [[33 a.C.]], il triumvirato non venne rinnovato e, cosa ben più grave, Antonio ripudiò la sorella di Ottaviano con un affronto per quest'ultimo intollerabile. Il conflitto era ora inevitabile. Mancava solo il ''casus belli'', che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a [[Cleopatra VII]] d'[[Antico Egitto|Egitto]] e ai suoi figli, compreso [[Cesarione]], figlio di [[Gaio Giulio Cesare]]. Il Senato di Roma dichiarò guerra a Cleopatra, ultima [[Dinastia tolemaica|regina tolemaica]] di Egitto, sul finire del [[32 a.C.]] Antonio e Cleopatra furono sconfitti nella [[battaglia di Azio]], del 2 settembre [[31 a.C.]] e si suicidarono entrambi, l'anno successivo in Egitto.<ref>Francois Chamoux, 'Marco Antonio'', Milano 1988, p. 254 e s.</ref>
La battaglia di Azio sancì la fine della Repubblica e l'inizio dell'[[Impero romano]]. Augusto, infatti, pur mantenendo formalmente alcune istituzioni repubblicane, di fatto trasformò il nuovo stato romano in una [[monarchia]], pur nell'apparenza del [[Principato (storia romana)|principato]].
== Note ==
<references
== Bibliografia ==
;Fonti primarie:
* {{Bibliografia|Appiano|[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Historia Romana'' (Ῥωμαϊκά), (Versione in inglese disponibile [http://www.livius.org/ap-ark/appian/appian_0.html qui]).}}
* {{Bibliografia|Augusto|[[Augusto]], ''[[Res Gestae Divi Augusti]]''. (Testo in latino disponibile [http://www.thelatinlibrary.com/aug.html qui]).}}
* [[Aurelio Vittore]], ''De viris illustribus Urbis Romae'', [http://www.thelatinlibrary.com/victor.ill.html Qui il testo latino originale]
* {{Bibliografia|Cassio Dione Cocceiano|[[Cassio Dione Cocceiano]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Historia Romana]]''. (Versione in inglese disponibile [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Cassius_Dio/home.html qui]).}}
* {{Bibliografia|Cesare, ''Bellum Alexandrinum''|[[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], ''Bellum Alexandrinum''. (Versione in inglese disponibile [[wikisource:en:The Alexandrian War|qui]]). {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
* {{Bibliografia|Cesare, ''Commentarii de bello Gallico''|[[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], [[Wikisource:la:Commentarii de bello Gallico|''Commentarii de bello Gallico'' (testo latino)]]. {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
* {{Bibliografia|Cesare, ''Commentarii de bello civili''|[[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], [[Wikisource:la:Commentarii de bello civili|''Commentarii de bello civili'' (testo latino)]]. {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
* {{Bibliografia|Cicerone, De imperio Cn. Pompei|[[Cicerone]], [[wikisource:la:De imperio Cn. Pompei ad quirites|''De imperio Cn. Pompei ad quirites'' (testo latino)]]. {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
* {{Bibliografia|Cicerone, Epistulae|[[Cicerone]], [[wikisource:la:Epistulae (Marcus Tullius Cicero)|''Epistulae'' (testo latino)]]. {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
* {{Bibliografia|Diodoro Siculo|[[Diodoro Siculo]], ''[[Bibliotheca historica]]'' IX-XIII. (Versione in inglese disponibile [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Diodorus_Siculus/home.html qui]).}}
* {{Bibliografia|Dionigi di Alicarnasso|[[Dionigi di Alicarnasso]], (Versione in inglese disponibile [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Dionysius_of_Halicarnassus/home.html qui].}}
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== Voci correlate ==
* [[Storia della Repubblica romana (509-264 a.C.)]]
* [[Cultura della civiltà romana]]
* [[Storia amministrativa dell'Italia]]
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|http://italian.classic-literature.co.uk/history-of-rome/|Storia di Roma di Theodor Mommsen|lingua=en}}
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{{Governo di Roma antica}}
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[[Categoria:Stati dissolti nel III secolo]]
[[Categoria:Repubblica romana| ]]
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