Fronte italiano (1915-1918) e Wikipedia:Pagine da cancellare/Conta/2019 luglio 19: differenze tra le pagine

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|didascalia= Fronte italiano tra il [[1915]] ed il [[1917]]: le undici battaglie dell'Isonzo e l'offensiva sull'altopiano di [[Asiago]].
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|data=[[24 maggio]] [[1915]] - [[4 novembre]] [[1918]]
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|esito=Vittoria italiana. Dissoluzione dell'Impero austro-ungarico.
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|mutamenti_territoriali = Nascita di repubbliche indipendenti di [[Austria]], [[Ungheria]] e [[Cecoslovacchia]].<br />Annessione all'Italia di [[Venezia Giulia]], [[Venezia Tridentina]] e [[Zara]].<br />Spartizione dell'Impero austro-ungarico a favore di [[Serbia]] e [[Romania]].
|schieramento1={{ITA 1861-1946}}<br />{{GBR}}<br />{{FRA}}<br />{{USA 1912-1959}}
|schieramento2={{AUT-HUN}}<br />{{DEU 1871-1918}}
|comandante1={{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Luigi Cadorna]]<br />{{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Armando Diaz]]<br />{{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Luigi Capello]]<br />{{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta]]<br />{{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Mario Nicolis di Robilant]]
|comandante2={{Bandiera|AUT-HUN}} [[Svetozar Boroevic von Bojna]]<br />{{Bandiera|AUT-HUN}} [[Conrad von Hötzendorf]]<br />{{Bandiera|AUT-HUN}} [[Arthur Arz von Straussenburg]]<br />{{Bandiera|DEU 1871-1918}} [[Otto von Below]]
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|perdite1=651.000 morti<br />953.886 feriti
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}}
{{Campagnabox Fronte Italiano Grande Guerra}}
{{Campagnabox teatri della prima guerra mondiale}}
'''Fronte italiano''' (in [[lingua tedesca|tedesco]] ''Italienfront'' o ''Gebirgskrieg'', "guerra di montagna") è il nome dato all'insieme di operazioni belliche e di battaglie combattute dal [[Regio Esercito]] [[Regno d'Italia (1861-1946)|italiano]] e i suoi Alleati contro le armate di [[Austria-Ungheria]] e [[Impero tedesco|Germania]] durante la [[prima guerra mondiale]]. Il teatro degli scontri, aperto con la dichiarazione di guerra italiana all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, fu l'[[Italia]] nord orientale lungo le frontiere alpine e lungo il fronte del [[Isonzo|fiume Isonzo]]. Questo conflitto, conosciuto in Italia anche con il nome di "guerra italo-austriaca"<ref>Come appunto, si può leggere nel retro della "medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca" coniata nel 1920. Vedi: {{cita web|url=http://www.regioesercito.it/decorazioni/meda1.htm|titolo=La decorazione italiana per commemorare la Grande Guerra e l’Unità della Nazione|editore=regioesercito.it|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>, o "[[quarta guerra di indipendenza]]"<ref>Essendo da alcune fonti, visto come una sorta di conclusione simbolica del [[Risorgimento]]. Vedi: {{cita web|url=http://www.archiviodistatopiacenza.beniculturali.it/opencms/opencms/it/contenuti/manifestazioni/eventi/Articolo_552.html?pagename=137|titolo=Il 1861 e quattro guerre per l'indipendenza (1848-1918)|editore=archiviodistatopiacenza.it|accesso=30 settembre 2011}}</ref>, vide l'Italia impegnata a fianco alle forze della [[Triplice Intesa]] contro gli [[Imperi Centrali]] e in particolare contro l'Austria-Ungheria, dalla quale avrebbe potuto acquisire la provincia del [[Trentino]], [[Trieste]] e altri territori quali il [[Provincia autonoma di Bolzano|Sud Tirolo]], l'[[Istria]] e la [[Dalmazia]]. Nonostante l'Italia intendesse sfruttare l'effetto sorpresa per condurre una veloce offensiva, volta ad occupare le principali città austriache, il conflitto si trasformò ben presto in una sanguinosa [[guerra di trincea|guerra di posizione]], simile a quella che si stava combattendo sul [[Fronte occidentale (prima guerra mondiale)|fronte occidentale]].
 
== Premesse ==
Le cause che portarono ai combattimenti sul fronte italiano sono da ricercare nel secolo precedente, a partire dalla definitiva [[Battaglia di Waterloo|sconfitta di Napoleone]] nel 1815, e dagli sconvolgimenti territoriali che questa comportò. Con il [[congresso di Vienna]] gran parte dell'Italia nord orientale cadde sotto il dominio e l'influenza austriaca, e nonostante le [[Primavera dei popoli|sommosse del 1848]], le forze fedeli all'imperatore d'Austria mantennero il controllo sui territori italiani<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|pp. 7,8}}.</ref>.
 
Con la fine della [[guerra di Crimea]] combattuta vittoriosamente dall'[[Impero ottomano]], [[Secondo Impero francese|Francia]], [[Gran Bretagna]] e [[Regno di Sardegna]] contro l'[[Impero russo]], si riunì nella capitale francese il [[congresso di Parigi]] nel quale il Presidente del consiglio del Regno di Sardegna [[Camillo Benso conte di Cavour|Cavour]] ottenne che per la prima volta in una sede internazionale si ponesse la questione italiana. All'unità d'Italia Napoleone III fu sentimentalmente favorevole, come le era - senza sentimento - anche la Gran Bretagna, poiché un'Italia unita avrebbe potuto contrastare la potenza francese. In un tumultuoso precipitare degli eventi, nel 1861 nacque il Regno d'Italia, proprio mentre nasceva la Germania unita sotto l'Impero degli Hohenzollern, ed emergevano nuove potenze quali Stati Uniti d'America e Giappone. Il predominio mondiale della triade anglo-franco-russa nel 1870 poteva dirsi concluso, ma non erano concluse le pretese delle potenze europee in Africa<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 10}}.</ref>.
Gran Bretagna, Francia e più timidamente anche la Germania, si assicurano ampie conquiste in Africa, mentre l'Italia in modo incauto cerca anch'essa il suo "spazio vitale" nel corno d'Africa anziché cercare in casa propria dove lo troverebbe nel centro-sud miserabile e arretrato<ref>{{cita|G.Morandi|p. 20}}.</ref>. Partì così la [[Guerra di Abissinia|campagna d'Eritrea]] in un clima di ottimismo che venne stroncato durante la [[battaglia di Adua]] dove all'alba del 1º marzo 1896 i 15.000 soldati del generale [[Oreste Baratieri]], vennero travolti dagli oltre 100.000 guerrieri di [[Menelik II]]<ref>{{cita|G.Oliva|p. 53}}.</ref>.
 
Le politiche aggressive degli stati europei si sfogano in vari conflitti localizzati riguardanti le colonie, ma andava comunque crescendo l'inquietudine di un conflitto generalizzato che avrebbe coinvolto le maggiori potenze in uno scontro all'ultimo sangue. Inizia così la corsa alle alleanze; nel 1882 [[Otto von Bismarck]] allarga [[Triplice Alleanza (1882)|l'alleanza fra Germania e gli Asburgo, all'Italia]], nel tentativo di spegnere nei francesi ogni velleità di rivincita per la [[guerra franco-prussiana|sconfitta patita nel 1870]]. L'alleanza fu pensata anche in senso anti russo, sbarrando allo zar ogni possibilità di aprirsi nel Mediterraneo. Ciò comportò un'[[Alleanza franco-russa|alleanza tra Francia e Russia]] nel 1893 alla quale si [[Triplice Intesa|aggiunse dodici anni dopo]] la Gran Bretagna<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 11}}.</ref>.
Una nuova tornata di conflitti locali fu innescata nel 1911 dall'Italia con [[Guerra italo-turca|l'impresa libica]] che porterà l'Impero Ottomano a lasciare la presa in Libia e nelle terre balcaniche, scoprendo così l'Impero austro-ungarico nei Balcani, regione in cui stava sempre più delineando l'irredentismo slavo appoggiato dalla Russia con ambizioni di destabilizzare l'Impero asburgico. Scoppiarono quindi le [[guerre balcaniche]] del 1912 e 1913 faticosamente placate dall'intervento austriaco<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 12}}.</ref>.
Fu proprio questo fervore nazionalistico che il 28 giugno 1914 sfociò nell'[[attentato di Sarajevo]], e alla successiva [[crisi di luglio|crisi diplomatica]]che portò allo scoppio del conflitto che insanguinò l'Europa per i quattro anni successivi<ref>{{cita|M.Gilbert|p. 32}}.</ref>.
 
=== La situazione del Regio Esercito ===
Nel periodo tra l'estate del 1910 e l'agosto del 1914, l'ordinamento Spingardi, che prevedeva l'ampliamento dei reggimenti alpini, delle unità di artiglieria e cavalleria, non ebbe però i risultati di rilievo sperati a causa delle spese della guerra di Libia e degli avvenimenti del 1914. Allo scoppio del conflitto rimanevano da costituire ancora una quindicina di reggimenti di fanteria, cinque reggimenti di artiglieria dei trentasei previsti, e due reggimenti di artiglieria pesante. E se queste carenze non erano particolarmente gravi, la situazione si faceva preoccupante esaminando la disponibilità di uomini e mezzi in prospettiva di una guerra europea. Gli uomini disponibili nel biennio 1914-1915 erano circa 275.000 con 14.000 ufficiali, e a questa carenza seguirono delle misure per risolvere il problema quantitativo, andando necessariamente a scapito della qualità<ref>{{cita|Cappellano-Di Martino|pp. 13,40,41}}.</ref>.
 
Altra fonte di preoccupazione era la consistenza delle dotazioni di armi e materiali, intaccate in maniera considerevole per far fronte alle esigenze in Libia. Se i fucili e i moschetti [[Carcano-Mannlincher mod. 1891]] erano sufficienti per armare l'esercito regolare, lasciando i vecchi [[Fucile Vetterli-Vitali|fucili Vetterli mod. 70/87]] alla Milizia Territoriale, più critica era la situazione delle artiglierie, in particolare di quelle di medio e grosso [[calibro (arma)|calibro]], in relazione non solo al numero di bocche da fuoco, ma anche delle scorte di munizioni e ai quadrupedi necessari alle batterie. Infine si era ben lontani dal numero di mitragliatrici richiesto per poter assegnare una sezione di due armi a ciascun battaglione di fanteria di linea, di granatieri, di bersaglieri e di alpini<ref>{{cita|Cappellano-Di Martino|p. 41}}.</ref>.
Con una circolare del 14 dicembre 1914, il Comando del Corpo di Stato Maggiore ordinò la creazione di 51 reggimenti di fanteria, ma se per quanto riguarda gli uomini sarebbe stato possibile raggiungere in tempi relativamente brevi gli organici previsti, ben più difficile sarebbe stato rimediare alla mancanza di mitragliatrici. Con le 618 armi tipo [[Mitragliatrice Vickers|Maxim-Vickers mod. 1911]] disponibili al momento dell'entrata in guerra, fu possibile allestire solo 309 sezioni delle 612 previste, e solo nel 1916 con l'acquisto di mitragliatrici dalla Francia e con la produzione su larga scala della [[FIAT-Revelli Mod. 1914|Fiat-Revelli mod. 1914]], la fanteria ebbe in dotazione armi automatiche a sufficienza<ref>{{cita|Cappellano-Di Martino|pp. 49,50}}.</ref>.
Parallelamente anche la critica situazione delle artiglierie, in attesa che la mobilitazione industriale desse i suoi frutti, sarebbe stata migliorata con l'utilizzo temporaneo di tutti i materiali disponibili anche se antiquati e con provvedimenti atti a requisire i pezzi dalle batterie costiere e dalle opere fortificate lontane dalla zona delle operazioni<ref>{{cita|Cappellano-Di Martino|pp. 44,45}}.</ref>.
 
A fine agosto 1914, l'evoluzione politica suggerì di anticipare i tempi, avvicinando le truppe ai confini mettendo in movimento unità di fanteria ancora in fase di approntamento. Il 4 maggio 1915 furono completati i provvedimenti necessari per portare l'esercito in ordine di battaglia a quattro armate, quattordici corpi d'armata e trentacinque divisioni, portando la forza in armi a 1.339.000 uomini<ref>{{cita|Cappellano-Di Martino|pp. 50,51}}.</ref>.
 
=== Il piano strategico italiano ===
[[File:Cadorna1.jpg|thumb|150px|Il generale [[Luigi Cadorna]], capo di stato maggiore dell'esercito dal 27 luglio 1914 all'8 novembre 1917.]]
Il piano strategico dell'esercito italiano, sotto il comando del generale [[Luigi Cadorna]], Capo di Stato Maggiore italiano, prevedeva di intraprendere un'azione offensiva/difensiva per contenere gli austro-ungarici nel loro saliente incentrato sulla città di [[Trento]] e sul [[fiume Adige]], che si incuneava nell'Italia settentrionale lungo il [[lago di Garda]], nella regione di Brescia e Verona; concentrando invece lo sforzo offensivo verso est, dove gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si proiettava verso l'Austria-Ungheria, poco a ovest del fiume Isonzo.
L'obiettivo a breve termine dell'Alto Comando italiano era costituito dalla conquista della città di [[Gorizia]], situata poco più a nord di Trieste, mentre quello a lungo termine, ben più ambizioso e di difficile attuazione, se non addirittura "visionario" prevedeva di avanzare verso Vienna passando per Trieste<ref>{{cita|AA.VV.|pp. 6,7}}.</ref>.
 
Nei disegni del generale Cadorna, la guerra contro un nemico già indebolito dalle carneficine del fronte orientale si sarebbe dovuta concludere in breve con l'esercito italiano vittorioso in marcia su Vienna. Sul fronte italiano furono ammassati circa mezzo milione di uomini, a cui in un primo tempo gli austriaci seppero contrapporre soltanto 80.000 soldati, in parte inquadrati in milizie territoriali male armate e poco addestrate<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|p. 13}}.</ref>.
Il fiume Isonzo avrebbe costituito quindi il fronte principale, quello che una volta sfondato avrebbe dovuto condurre a Trieste prima e a Vienna poi. Cadorna sognava manovre colossali di tipo napoleonico, con enormi attacchi lungo tutta la linea per dare letteralmente delle "spallate" al sistema nemico e arretrarlo portandolo al crollo<ref>{{cita web|url=http://www.luoghistorici.com/battaglie/battaglie-moderne-700-800900/212-le-battaglie-dellisonzo.html|titolo=Le battaglie dell'Isonzo|editore=luoghistorici.com|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>.
Mentre sul fronte dolomitico gli italiani, fortemente carenti di artiglierie e mitragliatrici destinate soprattutto ad est, avrebbero dovuto attaccare lungo due principali direttrici strategiche; fra le [[Dolomiti di Sesto]] e attraverso il [[col di Lana]]. Queste azioni avrebbero portato ad uno sfondamento in profondità sufficiente per raggiungere la [[val Pusteria]] con la sua importante ferrovia e il fondovalle che portava da un lato verso il [[Brennero]] e dall'altro nel cuore dell'Austria. Nella parte meridionale del fronte dolomitico, invece, la priorità era l'occupazione della [[val di Fassa]], da dove si sarebbero potute raggiungere [[Bolzano]] attraverso il [[passo Costalunga]], oppure addirittura [[Trento]] seguendo la [[valle dell'Avisio]]. Oltre a questi settori dove si puntava a penetrazioni strategiche, gli italiani attaccarono anche nel cuore del massiccio dolomitico, su creste, lungo canaloni e persino sulle cime, spesso in condizioni svantaggiose dato che gli austriaci occupavano quasi sempre postazioni più elevate, in azioni che ebbero notevoli effetti sul morale delle truppe ma che non mutarono in alcun modo l'andamento bellico del conflitto<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|p. 9}}.</ref>.
 
=== La situazione dell'esercito austro-ungarico ===
[[File:Bosniaks mosque.jpg|thumb|upright|left|Soldati [[bosniaci]] di [[musulmani|fede musulmana]] tra le file dell'esercito austro-ungarico. L'eterogeneità dell'esercito asburgico fu uno dei fattori della sua debolezza.]]
La situazione dell'imperiale e regio esercito austro-ungarico allo scoppio del conflitto con l'Italia era molto complicata. La struttura stessa dell'esercito e il mosaico di istituzioni e diverse nazionalità che lo componevano rendevano le forze armate asburgiche una struttura molto complicata. Il nucleo centrale dell'esercito era costituito dall'imperial e regio esercito, ovvero il ''[[kaiserlicht und königliche Armee]]'' (k.u.k), c'erano poi i due eserciti nazionali, previsti dal compromesso risalente al lontano 1867, l'esercito ungherese ''[[Honvéd]]'' e quello austriaco ''[[Landwehr]]'', il primo era sotto il controllo di [[Budapest]], capitale del regno d'Ungheria, l'altro sotto diretto controllo di Vienna. Vi erano poi una moltitudine di milizie territoriali e altri corpi derivati da antiche istituzioni locali, composti principalmente da uomini provenienti dagli stessi territori e dalla stessa lingua madre<ref name="Vianelli-Cenacchi p.19">{{cita|Vianelli-Cenacchi|p. 19}}.</ref><ref name="esercitoasburgico">{{cita web|url=http://isonzofront.altervista.org/leggi_documenti.php?id=18&cat=documenti|titolo=L'esercito asburgico|editore=isonzofront.org|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>.
 
Quando nel maggio 1915, con tutte le annate abili al servizio già sul [[fronte orientale (prima guerra mondiale)|fronte orientale]], fu ordinata una mobilitazione generale che consentì di radunare quarantasette battaglioni di ragazzi tra i 15 e i 19 anni, che il governo richiamava periodicamente per le esercitazioni premilitari, e uomini di età compresa tra i 45 e i 70 anni, subito inviati di rincalzo alle poche truppe regolari<ref name="Vianelli-Cenacchi p.19"/>. La maggior parte delle truppe regolari venne schierata sul fronte dell'[[Isonzo]] dove gli italiani avrebbero attaccato in forze, ma questa forza poté contare a non più di tre divisioni per un totale di ventiquattro battaglioni ed un centinaio di cannoni, dato che Falkenhayn si rifiutò in un primo tempo di inviare le sette divisioni richieste da Conrad<ref name="esercitoasburgico"/>, mentre il fronte tirolese venne presidiato prevalentemente dalla gendarmeria tirolese e dagli ''[[Standschützen]]'', milizie ausiliari organizzate da secoli nei tradizionali circoli di tiro al bersaglio.
Queste truppe avrebbero dovuto fungere da rincalzo, ma per la carenza di truppe regolari, gli ''Standschützen'' furono spesso incaricati di presidiare punti pericolosi del fronte, dove rimasero coinvolti in violenti combattimenti<ref name="Vianelli-Cenacchi p.19"/>.
Sempre sul fronte alpino vennero schierati anche i ''[[Landesschützen]]'' e i ''[[Kaiserjäger]]'', corpi formati da personale tirolese e in seguito anche austriaco e boemo, che però allo scoppio delle ostilità erano prevalentemente schierati sul fronte orientale.
In questo settore del fronte accorsero in aiuto i tedeschi che il 26 maggio 1915 inviarono un nutrito contingente del ''[[Deutsche Alpenkorps]]'' che diede un grosso aiuto agli austro-ungarici su tutto il fronte alpino fino al 15 ottobre, data in cui vennero ritirati dal fronte italiano<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|pp. 19,20}}.</ref>.
Il comando supremo delle forze asburgiche schierate contro gli italiani era nelle mani dell'[[Eugenio Ferdinando Pio d'Asburgo-Teschen|arciduca Eugenio]], mentre a est il settore dell'Isonzo ricadeva sotto la responsabilità del generale [[Svetozar Boroevic von Bojna]], che aveva ai suoi ordini una forza di circa 100.000 uomini<ref>{{cita|AA.VV.|p. 7}}.</ref>.
 
[[File:Forte corno 1915.jpg|thumb|[[Forte Corno]] in un'immagine del 1915 circa.]]
=== Le contromisure austriache ===
{{vedi anche|fortificazioni austriache al confine italiano}}
Gli austriaci predisposero fin da fine '800 diverse [[Fortificazioni austriache al confine italiano|postazioni difensive al confine con l'Italia]] nell'eventualità di una guerra. Il fronte del Tirolo era suddiviso in cinque sezioni dette "Rayon", due delle quali comprendevano le [[Dolomiti]], ma fin dall'inizio delle ostilità, la linea del fronte non corrispose a quella del confine politico, giudicato indifendibile dal comando supremo austriaco con le scarse forze disponibili in quel momento<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|pp. 6,7}}.</ref>.
Per contenere l'avanzata italiana, che si riteneva sarebbe stata rapida e decisiva, fu necessario accorciare il fronte eliminandone per quanto possibile la sinuosità, attestandosi in difesa di zone più favorevoli e attorno alle fortificazioni già esistenti nei passaggi obbligati. Questo significava lasciare agli avversari ampie porzioni di territorio.
Gli italiani conquistarono così, senza combattimenti, la [[Cortina d'Ampezzo|conca d'Ampezzo]], il comune di [[colle Santa Lucia]] e il [[Livinallongo del Col di Lana|basso Livinallongo]], terre ladine i cui uomini erano arruolati nell'esercito imperiale austro-ungarico.
Gli austriaci iniziarono la guerra sulla difensiva, e lo furono per tutta la durata del conflitto; le uniche azioni offensive non ebbero lo scopo di sfondamento, ma la conquista di posizioni più favorevoli<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|p. 7}}.</ref>.
 
== L'Italia entra in guerra ==
{{vedi anche|neutralità italiana (1914-1915)}}
Dopo l’attentato di Sarajevo, Austria-Ungheria e Germania decisero di tenere all'oscuro delle loro decisioni l'Italia. Ciò in considerazione del fatto che l'[[Trattati della Triplice alleanza (1882-1912)#I compensi nei Balcani|articolo 7]] della Triplice alleanza avrebbe previsto, in caso di attacco dell'Austria-Ungheria alla Serbia, compensi per l'Italia<ref>{{cita|G.Ferraioli|p. 814}}.</ref>.
Il 24 luglio, [[Antonino di San Giuliano]], ministro degli esteri italiano, prese visione dei particolari dell'ultimatum e protestò violentemente con l'ambasciatore tedesco a Roma, dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna. L'Italia pertanto secondo il ministro non aveva l'obbligo, dato il carattere difensivo della Triplice alleanza, di aiutare l'Austria, anche nel caso in cui la Serbia fosse stata soccorsa dalla Russia<ref>{{cita|G.Ferraioli|pp. 815,816}}.</ref>.
La decisione ufficiale e definitiva della neutralità italiana fu presa nel Consiglio dei ministri del 2 agosto 1914 e fu diramata il 3 mattina. Diceva: {{quote|Trovandosi alcune potenze d'Europa in istato di guerra ed essendo l'Italia in istato di pace con tutte le parti belligeranti, il governo del Re, i cittadini e le autorità del Regno hanno l'obbligo di osservare i doveri della neutralità secondo le leggi vigenti e secondo i princìpi del diritto internazionale. [...]<ref>{{cita|L.Albertini|Vol.III p. 305}}.</ref>}}
 
La neutralità ottenne inizialmente consenso unanime, tuttavia, il brusco arresto dell'[[prima battaglia della Marna|offensiva tedesca sulla Marna]] inserì i primi dubbi sulla invincibilità tedesca. Macule interventiste andarono formandosi nell'autunno 1914 fino a raggiungere una consistenza non trascurabile appena un anno dopo. Gli interventisti additavano la diminuzione della statura politica incombente sull'Italia se fosse rimasta spettatrice passiva. I vincitori non avrebbero dimenticato né perdonato, e se i vincitori fossero stati gli [[Imperi Centrali]], si sarebbero anche vendicati della nazione che accusavano traditrice di un'alleanza trentennale<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|pp. 16,17}}.</ref>.
Secondo gli interventisti, questa guerra avrebbe vendicato tutte le sconfitte e le umiliazioni del passato, da Adua, da [[Battaglia di Custoza (1866)|Custoza]] e [[battaglia di Lissa (1866)|Lissa]] fino a [[Federico Barbarossa]], [[Alarico I|Alarico]] e [[Brenno]]; e avrebbe permesso di completare l'unità d'Italia con l'annessione delle terre irridente; terre che tra l'altro, l'Intesa avrebbe assicurato all'Italia se si fosse schierata al suo fianco<ref name="Silvestri2007 p.5,6">{{cita|M.Silvestri 2007|pp. 5,6}}.</ref>.
Alla fine del 1914 il ministro degli Esteri [[Sidney Sonnino]] iniziò le trattative con entrambe le parti per scucire i maggiori compensi possibili, e il 26 aprile 1915 concluse le trattative segrete con l'Intesa mediante la firma del [[Patto di Londra (1915)|patto di Londra]] con il quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese<ref name="cita|M.Silvestri 2006|p. 18">{{cita|M.Silvestri 2006|p. 18}}.</ref>.
Il 3 maggio successivo fu denunciata la Triplice Alleanza e fu avviata la mobilitazione, e il 23 maggio fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria, ma non alla Germania con cui Salandra sperava di non guastarsi del tutto<ref name="Silvestri2007 p.5,6"/>.
 
Tradita l'alleanza con gli Imperi Centrali, la reazione dell'Imperatore Francesco Giuseppe non si fece attendere:
{{quote|Il Re d'Italia mi ha dichiarato guerra.<br />
[...] Dopo un'alleanza durata più di trent'anni, durante i quali l'Italia potè incrementare l'espansione verso nuovi territori e veder diventare floride le sue condizioni, siamo stati da essa abbandonati in quest'ora di pericolo ad affrontare da soli i nostri nemici. [...]<br />
Le importanti memorie di Novara, Mortaro e Lissa, che costituirono l'orgoglio della mia giovinezza, lo spirito di Radetzky, dell'Arciduca Albrecht e di Tegetthoff che è vivo tra le mie forze di terra e di mare, garantiranno la nostra vittoria anche a sud; difenderemo i confini della Monarchia.<br />
Saluto le mie esperte truppe, avezze alla vittoria. Faccio affidamento su di esse e sulle loro guide. Faccio affidamento sul mio popolo il cui incomparabile spirito di sacrificio merita il mio plauso. Prego l'Onnipotente di benedire la nostra bandiera e farci omaggio della Sua graziosa protezione nella nostra giusta causa.|Documento datato 23 maggio 1915 con il quale l'Imperatore rispose alla dichiarazione di guerra italiana<ref>{{cita web|url=http://isonzofront.altervista.org/leggi_documenti.php?id=9&cat=documenti|titolo=La reazione dell'Imperatore Francesco Giuseppe alla dichiarazione di guerra italiana|editore=isonzofront.org|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>}}
 
=== Il fronte isontino ===
[[File:Görz und Isonzo.jpg|thumb|left|Il fiume [[Isonzo]] con la città di [[Gorizia]] sullo sfondo.]]
Durante i primi anni di guerra fu sul fronte dell’Isonzo che si combatterono le battaglie più dure e cruente. Questo fronte, ben meno esteso di quello alpino, assunse fin dall'inizio grande importanza strategica nei piani italiani. Questi riversarono sulle rive del fiume Isonzo la maggior parte delle risorse nel tentativo di sfondare le difese austro-ungariche, cercando di aprirsi la strada verso il cuore dell'Austria grazie all'urto della 2ª armata del generale [[Pietro Frugoni]] e della 3ª armata del [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|duca d'Aosta]].
Dalla conca di [[Plezzo]] al [[monte Sabotino]], che domina le basse colline davanti a Gorizia, l’Isonzo scorre tra due ripidi versanti montani, costituendo un ostacolo quasi invalicabile. Così, le linee trincerate dei due eserciti dovettero adattarsi all’orografia e alle caratteristiche del campo di battaglia<ref name="fronteIsonzo">{{cita web|url=http://www.grandeguerra.ccm.it/sez_cennistorici_isonzo_it.php|titolo=Il fronte dell'Isonzo/Soška Fronta/Isonzofront|editore=grandeguerra.ccm.it|accesso=12 ottobre 2011}}</ref>.
Gli austro-ungarici, abbandonata la vallata di Caporetto, fronteggiano i reparti italiani su una linea quasi ovunque dominante che andava dal [[monte Rombon]], passava per il campo trincerato di Tolmino per poi collegare il ripido versante destro del fiume con quello sinistro, in corrispondenza con le trincee del monte Sabotino. Dal Sabotino le trincee austro-ungariche difendevano la città di Gorizia, fino ad oltrepassare nuovamente l’Isonzo per innestarsi alle quattro cime del massiccio del San Michele e proseguire infine fino al mare lungo il primo ciglione carsico, passando per località rese famose dalla guerra; [[San Martino del Carso]], [[monte Sei Busi]], [[Doberdò]], monti Debeli e Cosich<ref name="fronteIsonzo"/>.
 
Invasa già all’inizio del conflitto l’ampia area pedecarsica e occupate [[Gradisca]] e [[Monfalcone]], le truppe italiane si attestarono a poca distanza dalle posizioni austro-ungariche. Da una parte e dall’altra del fronte, l’ampio e complesso sistema logistico dei due eserciti occupava molto in profondità il territorio, sequestrando vie di comunicazione, campi e boschi, città e paesi, impiantando comandi, presidi militari, magazzini, depositi, ospedali e cannoni.
Da tutte e due le parti del fronte, venne evacuata la maggioranza dei civili dalle città e dai paesi a ridosso della linea del fronte. Dalla parte austriaca, l’esodo riguardò in particolare Gorizia, l’[[Istria]] e le aree del [[Carso]] e del [[Collio]], i cui abitanti vennero sfollati all’interno dell’Impero, in grandi campi profughi. Nei territori occupati dall’esercito italiano vennero internati per precauzione molti parroci e autorità austriache, mentre le popolazioni dei paesi prossimi alla zona delle operazioni vennero trasferite in varie località del Regno e in varie città e sperduti paesi dell’Italia meridionale<ref name="fronteIsonzo"/>.
 
=== Il fronte alpino ===
[[File:Italian alpine troops.jpg|thumb|Il fronte di montagna impegnerà per quasi tutta la durata del conflitto i soldati in una "guerra verticale" combattuta tra le cime delle montagne. In questa foto alcuni [[alpini]] in cordata.]]
[[File:MG-Nest.jpg|thumb|Le [[Imperial regio Esercito austro-ungarico|truppe austro-ungariche]] si trovarono per tutto il periodo dei combattimenti in montagna in una posizione sopraelevata e di vantaggio nei confronti del nemico. In questa foto fanti austriaci armati con una [[Schwarzlose]] sul fronte alpino.]]
Nel maggio 1915 la frontiera tra Italia e l'impero austro-ungarico correva lungo la linea stabilita nel 1866, al termine [[terza guerra di indipendenza italiana|della guerra]] che permise all'Italia, seppur sconfitta militarmente, di annettere il Veneto. Era un confine prevalentemente montuoso, che nella sua parte occidentale corrispondeva quasi ovunque con l'attuale limite amministrativo della regione [[Trentino-Alto Adige]]. Il punto più basso, appena 130 [[m.s.l.m.]], era in corrisondenza della valle dell'[[Adige]] a sud di [[Rovereto]]. A ovest di questa linea si sfioravano i 4000&nbsp;m di quota nel [[massiccio dell'Ortles]], mentre a est le quote erano più basse; la [[Marmolada]] raggiunge la ragguardevole quota di 3342&nbsp;m, ma - oltre la zona degli altopiani e la lunga catena del [[Lagorai]] - la particolare morfologia delle Dolomiti priva di lunghe creste continue, imponeva al confine un andamento assai irregolare e con forti e frequenti dislivelli<ref name="Vianelli-Cenacchi p.5">{{cita|Vianelli-Cenacchi|p. 5}}</ref>
 
Proseguendo verso est, il confine correva lungo la catena delle [[Alpi Carniche]] per poi incontrare le Dolomiti al [[Passo di Monte Croce di Comelico]], e quindi innalzarsi subito in grandi montagne: [[Croda Rossa di Sesto]], [[Cima Undici]], [[monte Popera]], [[Croda dei Toni]] fino a toccare le [[Tre Cime di Lavaredo]], dove il confine si abbassava, attraversava la [[val Rimbon]] e con un giro contorto lasciava in territorio italiano gran parte di [[Monte Piana]]. Sceso a [[Carbonin]], il confine risaliva fino alla cima di [[Monte Cristallo]] per poi ridiscendere nella [[valle dell'Ansiei]], lasciando il [[Passo Tre Croci]] all'Austria, e attraverso le creste del Sorapis raggiungeva il fondovalle di [[Ampezzo]], a sud di [[Cortina]]<ref name="Vianelli-Cenacchi p.5"/>.
Attraverso il [[Becco di Mezdì]] e la [[Croda del Lago]], il confine, attraverso il [[passo Giau]], puntava decisamente verso sud fino ad arrivare ai piedi della Marmolada per poi proseguire verso il [[passo San Pellegrino]] e lungo la catena del Lagorai - ormai fuori dall'ambiente dolomitico - fino ad arrivare alla sopracitata valle dell'Adige passando per il [[monte Ortigara]], l'[[altopiano di Asiago]] e il [[Pasubio]]. Il confine quindi toccava la punta nord del lago di Garda da cui riprendeva la sua corsa verso nord lungo l'odierno confine amministrativo, toccando il [[monte Adamello]], il [[passo del Tonale]] e proseguendo fino al massiccio dell'Ortles-Cevedale al confine con la Svizzera<ref name="Vianelli-Cenacchi p.5"/>.
 
Il terreno roccioso e verticale, le avversità climatiche e le quote, determinarono decisamente il modo di condurre le azioni e di programmare le strategie in entrambi gli eserciti. Fin dall'inizio del conflitto i contendenti furono impegnati in una sfida per occupare le posizioni sopraelevate, in una sorta di "gioco" che in breve li portò fino alle cime delle montagne. Camminamenti oggi impegnativi col bel tempo ed equipaggiamento leggero erano normalmente percorsi di notte, con carichi pesantissimi e in ogni condizione climatica. Venti fortissimi, temporali che infuriavano in quota, fulmini, le bassissime temperature invernali, le scariche di pietre e le valanghe, mietevano centinaia di vittime tra i soldati, spesso ignorati e non conteggiati tra i caduti in guerra<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|pp. 23,24}}</ref>.
Migliaia di soldati dovettero abituarsi a condizioni molto rigide e ad un ambiente difficile. In inverno la neve alta impediva i movimenti lasciando interi presidi completamente isolati, lasciando i soldati nella morsa del freddo e della fame, che li portava ad uscire dalle baracche per raggiungere la base più vicina, traversando ripidi pendii dove spesso trovavano la morte. In base ad alcune stime, si valuta che sul fronte alpino, per entrambi gli schieramenti, circa due terzi dei morti furono vittime degli elementi, e solo un terzo vittime di azioni militari dirette<ref>{{cita|Vianelli-Cenacchi|pp. 26,27}}</ref>.
 
== Si aprono le ostilità ==
All'alba del 24 maggio 1915 le prime avanguardie del Regio Esercito avanzarono verso il confine, varcando quasi ovunque il confine con l’ex alleato e occupando le prime postazioni al fronte. All’inizio, la mobilitazione italiana avvenne con lentezza, a causa della difficoltà di muovere contemporaneamente più di mezzo milione di uomini con armi e servizi<ref>{{cita web|url=http://www.grandeguerra.ccm.it/sez_cennistorici_it.php|titolo=La Grande Guerra, cenni storici|editore=grandeguerra.ccm.it|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>. Vennero sparate le prime salve di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a [[Cervignano del Friuli]] che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di [[Manfredonia]], la città di [[Ancona]], [[Senigallia]], [[Potenza Picena]] e [[Rimini]] senza causare in nessuna occasione gravi danni, mentre la flotta italiana ebbe successo solo nel bombardamento di [[Porto Bruno]] e nell'occupazione di [[Pelagosa]]<ref>{{cita|F. Favre|p. 69}}.</ref>. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, [[Riccardo di Giusto]]. Nei primi giorni di guerra Cadorna progettò un attacco su tutta la linea del fronte, attestando il Regio Esercito sulla riva destra dell’Isonzo. Altri obiettivi importanti oltre l’Isonzo, come [[Tolmino]] e il [[Monte Nero]], non furono raggiunti per la mancanza della necessaria copertura di artiglieria<ref>{{cita web|url=http://www.luoghistorici.com/battaglie/battaglie-moderne-700-800900/94.html|titolo=
Prima battaglia dell'Isonzo|editore=luoghistorici.com|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>.
 
=== Le prime operazioni di terra ===
{{vedi anche|prima battaglia dell'Isonzo|seconda battaglia dell'Isonzo|terza battaglia dell'Isonzo|quarta battaglia dell'Isonzo}}
[[File:Schützengraben im Karst.jpg|thumb|left|upright|Fanti austro-ungarici sul fronte del [[Carso]], utilizzano improvvisati congegni di tiro costituiti da un fucile [[Steyr-Mannlicher M1895]] montato insieme ad un [[periscopio]].]]
La prima mossa dell'Italia fu un'offensiva mirata a conquistare la città di [[Gorizia]], di là del fiume [[Isonzo]]. A partire dalla fine di giugno del 1915, sul Carso si susseguirono violenti combattimenti in cui la prima linea austro-ungarica cedette sotto i colpi dell'artiglieria italiana nei pressi di quota 89 di [[Redipuglia]] e sopra [[Sagrado]] durante la prima battaglia dell’Isonzo. Nel corso della seconda offensiva estiva, gli attacchi italiani costrinsero gli austro-ungarici ad arretrare le loro trincee di alcune centinaia di metri sull'altipiano di [[Doberdò del Lago|Doberdò]] e davanti al villaggio di [[San Martino del Carso]], mentre nel settore del San Michele cadde un importante costone trincerato (quote 140 e 170) dal quale i reparti italiani erano in grado di minacciare da vicino le cime del monte.
Davanti a Gorizia, tra [[Piedimonte del Calvario|Podgora]] e il [[monte Sabotino]], gli attacchi italiani non ebbero alcun esito, e anche lungo il medio e alto Isonzo, la linea difensiva austriaca rimase pressoché inalterata<ref name="grandeguerra1915">{{cita web|url=http://www.grandeguerra.ccm.it/sez_cennistorici_1915_it.php|titolo=
1915: Il primo anno di guerra sul Carso e sull'Isonzo|editore=grandeguerra.ccm.it|accesso=16 ottobre 2011}}</ref>.
Ancora una volta il Comando Supremo insistette con gli attacchi frontali e la scarsa coordinazione dell'artiglieria con i piani di attacco della fanteria. Da sottolineare che alle batterie italiane iniziavano a scarseggiare le munizioni e questo indusse Cadorna a sospendere gli attacchi<ref name="isonzofront1915">{{cita web|url=http://isonzofront.altervista.org/1915.php|titolo=
1915|editore=isonzofront.org|accesso=16 ottobre 2011}}</ref>.
 
L'autunno successivo Cadorna ordinò nuovi attacchi alle postazioni nemiche, che dal canto loro, sfruttarono il momento di stasi operativa per fortificare e consolidare le postazioni.
Nonostante gli sforzi della 2ª e 3ª armata, impiegate in forze sul Carso davanti a Gorizia e sul Monte Nero, le due nuove "spallate" pianificate dal generale Cadorna non sortirono gli effetti sperati. Gli italiani riuscirono a conquistare e successivamente perdere il villaggio distrutto di [[Oslavia]], a portare avanti seppur di poco la linea delle trincee davanti a Doberdò, a occupare la posizione austriaca "delle frasche" davanti a San Martino e a spingersi a ridosso delle cime del San Michele, ancora saldamente in mano ai reparti ungheresi; ma le linee nemiche resistevano ancora bene e queste due offensive autunnali non riuscirono a sfondare la linea del fronte.
Alla fine del 1915 lungo l’Isonzo l’esercito italiano registrò circa 235&nbsp;000 perdite (tra morti, feriti e ammalati, prigionieri e dispersi), mentre gli austriaci, pur difendendosi quasi esclusivamente, subirono oltre 150&nbsp;000 perdite<ref name="grandeguerra1915"/>.
Gli austro-ungarici iniziavano a preoccuparsi dell'assotigliamento degli effettivi ma il sistema difensivo reggeva bene l'urto dei fanti italiani che ancora una volta vedevano vanificati i loro sforzi. Nessuno degli obiettivi del comando supremo era stato raggiunto ed ormai la stagione avanzata consigliava la sospensione delle operazioni in grande stile anche perché, considerate le perdite, entrambi gli schieramenti non potevano permettersi di continuare una lotta all'ultimo uomo<ref name="isonzofront1915"/>.
 
=== Le operazioni alpine ===
{{vedi anche|guerra bianca in Adamello|battaglia di Monte Piana}}
[[File:Hohe Schneide Eistunnel Eingang.jpg|thumb|Entrata di un tunnel austriaco scavato nella neve del [[Monte Cristallo]], 1917.]]
[[File:FanteriaAlpini.jpg|thumb|[[Alpini]] in posizione di tiro sull'[[Adamello (monte)|Adamello]]. ]]
Parallelamente alle offensive portate nei primi mesi di guerra dalla 2ª e 3ª armata sul fronte isontino, [[tenente generale]] [[Luigi Nava]], al comando della 4ª armata italiana, il 3 maggio diede l'ordine di avanzata generale lungo tutto il fronte. Quest'ordine diede il via ad una serie di piccole offensive in vari punti del fronte dolomitico svoltesi tra fine maggio ed inizio giugno. L'8 giugno gli italiani attaccarono nell'alto [[Cadore]], sul [[Col di Lana]], nel tentativo di tagliare una delle principali vie di rifornimento austriache al settore Trentino attraverso la [[Val Pusteria]]. Questo teatro di operazioni fu secondario rispetto alla spinta ad est, tuttavia ebbe il merito di bloccare, in seguito, contingenti austro-ungarici: la zona di operazioni si avvicinava infatti più di ogni altro settore del fronte a vie di comunicazione strategiche per l'approvvigionamento del fronte tirolese e trentino<ref>{{cita web|url=http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/Lana/01ColDiLanaAttacchiGiugno.htm|titolo=
I primi attacchi italiani sul col di Lana|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>.
 
Tra il 15 e il 16 giugno partì la prima offensiva verso il Lagazuoi e le zone limitrofe, in un attacco teso a catturare il Sasso di Stria, sulla cui cima era stato installato un osservatorio di artiglieria austriaco<ref>{{cita web|url=http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/Lagazuoi/03RipresaOffensivaValCosteana.htm|titolo=
Conquista della selletta del Sasso di Stria|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>. Poco più a nord, tra giugno e luglio, gli italiani lanciarono i primi attacchi sulle [[Tofane]] e verso la [[val Travenazes]] dove di fronte ad una avanzata iniziale, il 22 luglio furono ricacciati su posizioni sfavorevoli dopo il contrattacco austriaco<ref>{{cita web|url=http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/Tofane/08AttacchiAustriaciValTravenanzes.htm|titolo=
Attacchi austriaci contro la penetrazione italiana|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>.
Dopo aver occupato [[Cortina d'Ampezzo|Cortina]] e [[passo Tre Croci]] il 28 maggio, gli italiani si trovarono dinnanzi a tre ostacoli che gli impedivano di entrare a [[Dobbiaco]] e in [[val Pusteria]]; il [[Son Pauses]], il [[Monte Cristallo]] e il [[Monte Piana]]. Gli italiani in giugno attaccarono tutti e tre i capisaldi, ma senza ottenere il alcun caso risultati di rilievo. Entrambi gli schieramenti furono invece costretti a trincerarsi su posizioni che, in pratica, non sarebbero mai cambiate fino al 1917.
 
Più a est, altri settori furono testimoni dei primi scontri tra italiani e austro-ungarici, il 25 maggio viene bombardato dagli italiani il rifugio Tre Cime alla base delle Tre Cime di Lavaredo<ref>{{cita web|url=http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/TreCime/02TreCimePrimiGiorni.htm|titolo=
Tre Cime, primi giorni|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>, anche se il primo vero attacco italiano si avrà solo in agosto; l'8 giugno la a 96ª compagnia del Pieve di Cadore e la 268ª compagnia del Val Piave occupano il [[passo Fiscalino]]<ref>{{cita web|url=
http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/Fiscalina/01FiscalinaGiugno.htm|titolo=
Fiscalina, gli scontri di giugno|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>, mentre tra luglio e agosto gli italiani occupano la cima di [[monte Popera]], la cresta Zsigmondy, e [[Cima Undici]] in quanto non erano presidiate dagli austriaci<ref>{{cita web|url=http://www.frontedolomitico.it/Fronte/Paesaggi/Popera/02PoperaOccupazioneItaliana.htm|titolo=
Occupazione di Monte Popera, Cresta Zsigmondy, Cima Undici|editore=frontedolomitico.it|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>, mentre più a est per tutta l'estate si susseguirono i tentativi italiani di sfondamento del passo Monte Croce di Comelico che ben presto però si trasformarono in una guerra di posizione che durò fino al 1917.
 
Ad ovest del settore alpino dalla fine di maggio del 1915 all’inizio di novembre del 1917, il possesso del massiccio della Marmolada costituì un elemento strategico particolarmente importante perché controllava la strada alla [[val di Fassa]] e alla [[val Badia]], e quindi al [[Tirolo]] che divenne subito uno dei punti più caldi del fronte alpino occidentale<ref>{{cita web|url=http://www.lagrandeguerra.net/gggallerieghiacciomarmolada.html|titolo=
La guerra bianca, le gallerie nel ghiaccio della Marmolada|editore=lagrandeguerra.net|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>.
Altro settore considerato molto importante dagli italiano era il [[passo del Tonale]], su cui già prima della guerra furono costruiti alcuni settori fortificati in previsione di una guerra tipicamente difensiva. Le disposizioni del Comando Supremo stabilivano infatti che sul fronte Trentino fossero effettuate, ove necessario, solo piccole azioni offensive al fine di occupare posizioni più facilmente difendibili, che consentissero alle truppe italiane di attestarsi in luoghi più facilmente accessibili e rifornibili<ref name="Adamello">{{cita web|url=http://www.lagrandeguerra.net/gggadamello.html|titolo=
Inquadramento storico della guerra sull’Adamello|editore=lagrandeguerra.net|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>.
 
Allo scoppio delle ostilità, i comandi militari italiani si resero conto che la presenza degli austriaci sulle creste dei Monticelli e del Castellaccio-Lagoscuro, rappresentava una seria minaccia per la prima linea sul Tonale. Venne così decisa un’azione per scacciarli da tali posizioni.
La prima operazione di guerra sui ghiacciai fu affidata al [[battaglione alpini "Morbegno"]], ed ebbe luogo il 9 giugno 1915 per concludersi con una tremenda sconfitta: gli alpini, nel tentativo di occupare la Conca Presena e cogliere gli austriaci di sorpresa, effettuarono una vera e propria impresa alpinistica risalendo la Val Narcanello, il ghiacciaio del Pisgana e attraversando la parte alta di Conca Mandrone. Giunti al Passo Maroccaro e iniziata la discesa in Conca Presena, furono avvistati dagli osservatori austriaci e sottoposti, sul candore del ghiacciaio, al preciso tiro della fanteria imperiale che, pur essendo in numero assai inferiore, seppe contrastare l’attacco in modo assai abile e li costrinse alla ritirata, lasciando sul campo 52 morti<ref name="Adamello"/>.
 
Un mese dopo, il 5 luglio, gli austriaci attaccarono a loro volta il presidio italiano attaccando sulle rive del Lago di Campo in alta Val Daone. L’agguato, perfettamente riuscito, evidenziò l'impreparazione tattica italiana, e stimolati dal successo ottenuto, il 15 luglio, gli austriaci tentano un improvviso attacco al Rifugio Garibaldi attraverso la Vedretta del Mandrone. Il piano fallì per l’abilità dei difensori, ma mise nuovamente in risalto la vulnerabilità del sistema difensivo italiano, che per questo motivo venne rafforzato. Per quanto riguarda l'ala destra del fronte del Tonale, le azioni italiane più significative del 1915 si svolsero in agosto con diverse direttrici ma portarono solo alla conquista del Torrione d’Albiolo<ref name="Adamello"/>.
 
Tutte queste offensive però non portarono a nessuno sfondamento, tanto che, come sull'Isonzo, anche la guerra di montagna divenne una guerra di trincea simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle [[Alpi]], fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine.
 
=== La cooperazione con la Regia Marina ===
{{vedi anche|operazioni navali nel Mar Adriatico (1914-1918)}}
La iniziale neutralità italiana influì non tanto sulla [[Regia Marina]] ma soprattutto sui piani difensivi dei suoi alleati. Con la [[Kaiserliche Marine|flotta tedesca]] impegnata nel [[Mare del Nord]], la [[k.u.k. Kriegsmarine|flotta austriaca]] si trovò improvvisamente sola contro le forze navali dell'[[Triplice Intesa|Intesa]], rispetto alle quali, considerando anche solo la flotta francese, era decisamente inferiore.
Così l'Austria decise di richiudersi all'interno dei suoi porti, cercando di mantenere il quanto più possibile intatta la flotta e tenerla pronta contro un possibile scontro con l'Italia. Il fronte marittimo si contrasse così entro la fascia costiera orientale dell'Adriatico fino allo sbocco del [[canale d'Otranto]]<ref>{{cita|F. Favre|p. 32}}.</ref>.
 
Il primo provvedimento a livello operativo allo scoppio del conflitto fu la ridislocazione della flotta nel porto di [[Taranto]] ove assunse la denominazione di "Armata Navale" che il 26 agosto 1914, fu posta al comando di [[Luigi Amedeo di Savoia-Aosta|S.A.R. il Duca degli Abruzzi]], a cui seguirono i primi studi per eventuali operazioni contro l'Austria.
Altra decisione fu quella, in caso di conflitto, di occupare territorialmente una parte della costa nemica per assicurare il sostegno del fianco destro della 3ª armata, di creare un blocco all'imbocco del canale d'Otranto per impedire alle navi austriache di uscire dall'Adriatico, di minare le principali linee di comunicazione nemiche e cercare di assicurare il dominio nell'Alto Adriatico anche per sostenere le operazioni del [[Regio Esercito]] sull'[[Isonzo]]<ref>{{cita|F. Favre|p. 52}}.</ref>.
In quest'ottica, il 24 maggio, siluranti e sommergibili vennero utilizzati per tener sgombro il [[golfo di Trieste]] e proteggere l'avanzata della 3ª armata, che con cavalleria e bersaglieri aveva subito conquistato [[Aquileia]] e [[Belvedere]] ed era entrata nella città di [[Grado]] lasciata abbandonata dalle truppe austro-ungariche. La difesa della zona fu affidata alla Regia Marina che inviò il [[Monitore|pontone armato]] ''Robusto'' armato con tre cannoni da 120&nbsp;mm<ref>{{cita|F. Favre|p. 70}}.</ref>.
 
Fu subito evidente la necessità di uno stretto coordinamento tra esercito e marina e il sottocapo di stato maggiore, C. Amm. [[Lorenzo Cusani]] fu inviato presso il comando supremo dell'esercito per mantenere i contatti tra le due forze armate. Alle forze navali fu richiesto di supportare l'ala destra della 3ª armata, e nell'ambito di questa richiesta, il 29 maggio, una squadriglia di sette [[cacciatorpediniere]] della [[classe Soldato]] bombardò lo stabilimento chimico Adria-Werke di [[Monfalcone]] dove si producevano gas asfissianti. Il 5 giugno, mentre l'esercito si apprestava a passare l'Isonzo, la marina ne assicurò la copertura dell'avanzata con cinque caccia e alcune torpediniere posizionate vicino la foce del fiume, mentre tre caccia e alcuni sommergibili pattugliavano il golfo<ref>{{cita|F. Favre|pp. 70,71}}.</ref>.
 
Un'ulteriore richiesta di supporto a sostegno delle operazioni a terra avvenne durante la conquista di Monfalcone prevista per il giorno 9 giugno, a cui parteciparono tre pontoni armati con cannoni da 152. Conquistata la città, la difesa del porto fu affidata alla marina, che inviò le prime batterie galleggianti che dal 16 iniziarono a battere la zona del Carso. Nei mesi successivi le artiglierie della marina furono più volte chiamate a svolgere operazioni coordinate. La [[batteria Amalfi]] e quelle del basso Isonzo, sia su pontoni che fisse, effettuarono diverse azioni di fuoco contro l'ala sinistra dell'armata austro-ungarica, battendo le postazioni del Carso, quelle di [[Monte San Michele]], [[Duino]], [[Medeazza]] e [[Flondar]]. La marina collaborò costantemente durante le operazioni di terra che si susseguirono fino al 2 dicembre 1915, data in cui si concluse la quarta battaglia dell'Isonzo e l'avanzata italiana si arrestò<ref>{{cita|F. Favre|pp. 74,75,76}}.</ref>.
 
== Il secondo anno di guerra ==
{{vedi anche|sesta battaglia dell'Isonzo}}
Il 1916 sorge per l'Intesa sotto auspici non favorevoli, eccetto il progressivo potenziamento dell'esercito britannico, che a metà dell'anno supera i due milioni di uomini, tutti ancora volontari<ref name="cita|M.Silvestri 2006|p. 18"/>. La durata della guerra sembrava allungarsi oltre ogni previsione, e parallelamente anche l'esercito italiano iniziò un'opera di riordinamento e potenziamento sulla base di un programma concordato tra il Governo e il capo di stato maggiore, presentato in maggio da Cadorna<ref name="CappellanoDiMartino p.97">{{cita|Cappellano-Di Martino|p. 97}}.</ref>. In novembre vennero approntate 12 nuove brigate di fanteria e la formazione di una nuova quarta compagnia per i battaglioni che ne avevano soltanto tre, inoltre in ogni battaglione venne inquadrato un reparto zappatori di 88 uomini tratti dalle compagnie. Le stesse misure vennero adottate per i bersaglieri, mentre per quanto riguarda gli alpini, venne completato il processo di formazione dei 26 battaglioni di Milizia Mobile portando il totale del corpo a 78 battaglioni con 213 compagnie. Altre 4 brigate di fanteria vennero formate tra aprile e maggio attingendo da quanto rimaneva della classe 1896 e gli esonerati sottoposti a nuova visita dal 1892 al 1894, e ancora tra marzo e giugno riunendo alcuni battaglioni provenienti dalla Libia<ref name="CappellanoDiMartino p.97"/>.
 
Dal punto di vista delle operazioni in Italia, l'anno 1916 fu segnato dall'[[battaglia degli Altipiani|offensiva austro-ungarica di maggio]] in Trentino, dalla [[sesta battaglia dell'Isonzo]] in agosto, con la conquista di Gorizia, e dalle tre cosiddette "spallate" carsiche in autunno<ref name="CappellanoDiMartino p.97"/>.
Il 21 febbraio i tedeschi [[battaglia di Verdun|attaccarono la piazzaforte di Verdun]] mentre il capo di stato maggiore austro-ungarico, [[Conrad von Hötzendorf]] invece alleggerì i contingenti schieranti lungo il fronte russo, dove non sospetta sorprese, per concentrare una grossa forza d'urto nelle montagne del Trentino volte verso la pianura vicentina. L'enorme difficoltà di accumulare e manovrare mezzi adeguati in regione tanto aspra è controbilanciata dalla posta in gioco: lo sbocco delle divisioni austriache nella pianura veneta e l'accerchiamento dell'esercito italiano schierato nel Friuli<ref name="Silvetri2006 p. 19"/>.
 
=== La ''Strafexpedition'' ===
{{vedi anche|battaglia degli Altipiani}}
[[File:Guerra Altipiani Dopo Assalto.jpg|thumb|Campo di battaglia devastato dopo la [[battaglia degli Altipiani]].]]
Il 15 maggio, appena il tempo lo permise, scattò la ''[[Strafexpedition]]'', la spedizione "punitiva". La 11ª armata austro-ungarica passò all'attacco fra la [[val d'Adige]] e la [[Valsugana]], spalleggiata dalla 3ª armata, destinata allo sfruttamento del successo.
Se l'offensiva non fu una sorpresa per Cadorna, lo fu per l'opinione pubblica; improvvisamente l'Italia scoprì, dopo un anno di sole offensive e senza che nessuno l'avesse messa in guardia, di trovarsi in grave pericolo. Per i successivi venti giorni formidabili posizioni montane caddero una dopo l'altra, mentre il governo [[Antonio Salandra|Salandra]] sentì ventilare dal generalissimo Cadorna la possibilità che l'esercito dell'Isonzo avrebbe dovuto ripiegare di tutta fretta, abbandonando il Veneto per non cadere nella completa distruzione<ref name="Silvetri2006 p. 19">{{cita|M.Silvestri 2006|p. 19}}.</ref>.
 
L’intera massa di uomini dislocati a difesa del fronte, nonostante una strenua resistenza, dovette necessariamente iniziare la ritirata; Cadorna iniziò quindi a richiamare le divisioni di riserva costituendo una 5ª armata che riuscì a frenare, e quindi arrestare concretamente, l’offensiva sugli Altopiani. Per costituire questa nuova arma d’offesa, Cadorna corse un notevole rischio: dovette infatti alleggerire le truppe dislocate sull’Isonzo, rischiando che un’offensiva nemica contingente gli strappasse di mano anche le poche e sudatissime conquiste di quel fronte.
L’Austria-Ungheria si rese subito conto della minaccia e, dopo un ultimo tentativo di offesa ai danni delle difese del Lemerle e del Magnaboschi, cessò l’offensiva, con relativo importante arretramento delle linee raggiunte<ref name="Altipiani">{{cita web|url=http://www.lagrandeguerra.net/ggstrafe.html|titolo=
La Strafexpedition sugli Altopiani, la prima vittoria difensiva italiana|editore=lagrandeguerra.net|accesso=19 ottobre 2011}}</ref>.
 
Si concluse così la prima grande battaglia difensiva dell’Italia, definitivamente "maturata" per la "guerra di materiali", che l’avrebbe vista impegnare ingenti quantitativi di uomini, mezzi e risorse fino al termine del conflitto.
Purtroppo durante questa sanguinosa e frenetica battaglia, il fatto di aver perduto terreno (la massima penetrazione austriaca si misurò su più di 20 chilometri in profondità verso la pianura vicentina), fatto peraltro intrinseco delle battaglie di materiali, fece scarsamente apprezzare la reale vittoria difensiva italiana<ref name="Altipiani"/>.
 
Solo il 3 giugno il bollettino italiano poté annunciare quella che era solo una mezza verità:
{{quote|L'incessante azione offensiva nel Trentino è stata dalle nostre truppe nettamente arrestata lungo tutta la fronte d'attacco<ref>''I bollettini della guerra'', Alpes, Milano, 1924, p. 124</ref>}}
Il contraccolpo del rischio a malapena sventato fu la caduta di Salandra e l'istituzione di un governo di "unione nazionale" presieduto dall'ottuagenario [[Paolo Boselli]]<ref name="Silvetri2006 p. 19"/>.
 
=== Le successive battaglie dell'Isonzo ===
{{vedi anche|settima battaglia dell'Isonzo|ottava battaglia dell'Isonzo|nona battaglia dell'Isonzo}}
[[File:Útok rakouské pěchoty na Soči.gif|thumb|left|Fanteria austro-ungarica all'attacco sul fronte dell'[[Isonzo]].]]
Nella seconda metà del 1916 gli anglo-franco-italiani ripresero le loro logoranti offensive dalle quali li aveva distratti l'iniziativa nemica. Da luglio a novembre divamparono furiosi i [[battaglia della Somme|combattimenti sulla Somme]], mentre a fine agosto [[Erich von Falkenhayn]] viene liquidato e spedito sul fronte orientale a riscattarsi, sostituito a occidente dal duo [[Erich Ludendorff|Ludendorff]] - [[Paul von Hindenburg|Hindenburg]]. In Italia Cadorna, respinta la ''Strafexpedition'', tenta invano di recuperare il terreno perduto in Trentino. Dopo una breve ritirata gli austro-ungarici si trincerarono su posizioni formidabili, da cui gli attacchi italiani, nonostante sanguinose perdite, non riesco a sloggiarli.
Il comandante dell'esercito italiano decise quindi di dirigere i suoi sforzi verso una nuova offensiva lungo l'Isonzo. Il 6 agosto le truppe italiane passano all'offensiva dal Sabotino al mare, raggiungono e superano l'Isonzo, conquistano Gorizia deserta e costringono l'ala meridionale della 5ª armata austro-ungarica, comandata dal feldmaresciallo Boroević, a ripiegare di alcuni chilometri sul Carso. Ma non è una travolgente vittoria, non l'agognato sfondamento; i nemici hanno ceduto terreno per arroccarsi su una nuova linea già preparata contro la quale si infrangono, fra metà agosto e inizio dicembre, i nuovi assalti italiani<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 21}}.</ref>.
 
Da settembre iniziò quindi una nuova serie di tre "spallate" sempre sul fronte dell'Isonzo per aumentare la superficie conquistata nell’area tra Gorizia e il mare. Le prime due battaglie hanno breve durata, la settima battaglia dell'Isonzo (14-16 settembre) le conquiste italiane sono praticamente nulle ma costarono comunque un gran numero di vittime, mentre l'ottava battaglia (10-12 ottobre) si esaurì il terzo giorno al costo di 24.500 perdite per gli italiani e 40.500 per gli austriaci. Le truppe imperiali dovettero però operare un arretramento di diverse centinaia di metri per rendere la nuova linea più corta quindi meglio difendibile, tale linea andava dal Monte Santo verso il mare passando per le colline dell'[[Hermada]], che diverrà tristemente nota per i sanguinosissimi scontri che vedranno il colle terreno di lotta in quanto ultimo baluardo a difesa di Trieste. Purtroppo per gli italiani però, errori, condizioni meteo avverse, scarsità di materiali, furono fattori impedirono lo sfondamento nel settore che sembrava a portata di mano<ref>{{cita web|url=http://www.luoghistorici.com/index.php?option=com_content&amp;view=article&amp;id=225|titolo=VIIIª battaglia dell’Isonzo, fino alle difese di Trieste|editore=luoghistorici.com|accesso=19 ottobre 2011}}</ref>.
 
L’autunno particolarmente cattivo sul piano meteorologico lasciava pochi dubbi su come sarebbe stato l’inverno, e i comandi italiani già dopo l’ottava offensiva volevano scatenare un nuovo attacco contro le difese carsiche prima che tutto fosse bloccato dalla cattiva stagione. L'attacco ebbe inizio solo il 31 ottobre, la linea da attaccare in questa operazione era quella passante per Colle Grande-Pecinca-Bosco Malo, e possibilmente la linea [[Dosso Faiti]]-[[Castagnevizza]]-[[Sella delle Trincee]].
[[File:ArtiglieriaAlpini.jpg|thumb|Artiglieria alpina sul fronte dell'[[Adamello]], mentre si appresta a fare fuoco con un [[Škoda 7,5 cm Vz. 1915|pezzo da 75/13]].]]
Verso Castagnevizza l'esercito riuscì a ottenere qualche risultato di rilievo, ma a sud l’Hermada si confermava un osso duro, riuscendo a resistere a tutti gli attacchi. Il 2 Cadorna decise di sospendere l’attacco per mancanza di rifornimenti anche se gli scontri ripresero comunque il 3, mentre il 4, in conseguenza ad un arretramento degli austriaci che assunsero posizioni meglio difendibili, le truppe italiane presero le trincee del monte Faiti. Nel complesso si avanzò solo di qualche chilometro, le perdite sofferte ammontarono a 39.000 soldati tra morti, feriti e dispersi per gli italiani e 33.000 per gli imperiali<ref name="9Isonzo">{{cita web|url=http://www.luoghistorici.com/index.php?option=com_content&amp;view=article&amp;id=226|titolo=
IXª battaglia dell’Isonzo, muore l’imperatore|editore=luoghistorici.com|accesso=19 ottobre 2011}}</ref>.
 
Intanto, mentre sul fronte si contavano le perdite di uomini e materiali e ci si preparava ad affrontare l'inverno, a Vienna il 21 novembre morì il vecchio Imperatore [[Francesco Giuseppe I d'Austria|Francesco Giuseppe]] a cui successe il nipote [[Carlo I d'Austria|Carlo I]], che oltre ad un trono in disfacimento, ereditò una guerra che non ebbe voluto. Fa proposte di pace a Francia e Gran Bretagna che cadono nel vuoto, fornendo però il pretesto per declinare a queste ultime le responsabilità sul protrarsi della guerra<ref name="9Isonzo"/>.
 
Nell'inverno 1916-1917 e la primavera successiva, in un periodo in cui le illusioni di una guerra breve erano ormai svanite. Per tutto l'inverno, sul fronte dell'Isonzo tra il [[Carso]] e [[Monfalcone]] la situazione rimase stazionaria, mentre sulle Alpi, il settore del III corpo d'armata comprendente la zona tra lo Stelvio e il lago di Garda, fu caratterizzato da piccole offensive atte a conquistare alcune vette strategicamente importanti, tra cui quella di [[monte Cavento]] che fu attaccato ad inizio inverno. La ''Strefexpedition'' però causò la stasi nelle operazioni per la conquista del monte, che ripresero a maggio 1917 con la "battaglia dei Ghiacci" che consentì alla 242ª compagnia del [[battaglione alpino "Val Baltea"]] la conquista della vetta<ref>{{cita|G.Oliva|pp. 121,122}}.</ref>.
 
== Il terzo anno di guerra ==
L'inizio del 1917 a differenza dell'anno prima, si presentava oscuro per gli Imperi Centrali. Le loro risorse si assottigliavano mentre la Russia si era ricomposta e gli eserciti britannico e italiano erano ancora in lenta ma inesorabile crescita. La Germania, nel tentativo di tagliare i rifornimenti all'Intesa, che succhiava risorse da tutto il mondo, non poté far altro che dichiarare la [[guerra sottomarina indiscriminata]] di fronte alla sempre crescente capacità bellica, anche a costo della rottura con gli Stati Uniti.
Ma ecco che mentre gli Alleati si preparavano ad un attacco concentrico da scatenare nella primavera del 1917, il 15 marzo lo zar abdicò gettando la Russia in una crisi politica dalle enormi conseguenze, e il 6 aprile gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Il 1917 fu quindi caratterizzato da una crisi politica di carattere mondiale. Nonostante il fronte orientale fosse immobile, gli Imperi Centrali spostarono le loro forze dal fronte (140 divisioni in totale) solo con il [[trattato di Brest-Litovsk]] firmato il 5 dicembre. Con la Russia fuori gioco, gli Imperi centrali poterono schierare ad occidente il grosso delle loro forze.<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|pp. 21,22}}.</ref>.
 
Gli anglo-franco-italiani proseguirono tuttavia il loro piano; l'8 aprile i britannici [[battaglia di Arras (1917)|attaccarono ad Arras]], il 17 i francesi attaccarono [[Offensiva Nivelle|sullo ''Chemin-des-Dames'']], mentre il 12 maggio Cadorna scatenò la [[decima battaglia dell'Isonzo]], che consentirà al generale [[Luigi Capello]] di affermarsi sull'orlo occidentale dell'altipiano della Bainsizza<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 23}}.</ref>.
 
=== Dalla decima all'undicesima battaglia dell'Isonzo ===
{{vedi anche|decima battaglia dell'Isonzo|battaglia dell'Ortigara|undicesima battaglia dell'Isonzo}}
[[File:Soldat italien sur le Carso en 1917.jpg|thumb|Soldato italiano tra le rovine della linea difensiva austro-ungarica, nei pressi di [[Selo]] (Carso), dopo la conquista della posizione.]]
[[File:ItalBeuteGesch.jpg|thumb|Pezzi d'artiglieria italiani abbandonati dopo la rotta conseguente lo sfondamento austro-tedesco a Caporetto.]]
In seguito ai modesti guadagni ottenuti nella decima battaglia dell'Isonzo, gli italiani diressero due attacchi contro le linee austriache a nord e a est di [[Gorizia]]. L'avanzata a est venne bloccata senza troppa difficoltà, ma le forze italiane sotto il comando di Capello riuscirono a rompere le linee nemiche e a penetrare nell'altopiano di [[Bainsizza]]. Le truppe italiane erano quasi riuscite a ottenere la vittoria, ma furono costrette alla ritirata perché le linee di rifornimento non riuscivano a stare al passo dei reparti in prima linea.
 
Dopo l'[[undicesima battaglia dell'Isonzo]], gli austriaci, stremati, ricevettero l'ausilio delle divisioni tedesche arrivate dal fronte russo in seguito al fallimento dell'offensiva del generale russo [[Aleksandr Fëdorovič Kerenskij|Kerenskij]] (luglio 1917). I tedeschi introdussero l'utilizzo di tattiche di infiltrazione oltre le linee nemiche e aiutarono gli austriaci a preparare una nuova offensiva. Nel frattempo, le truppe italiane erano decimate dalle diserzioni e il morale era basso: i soldati erano costretti a vivere in condizioni disumane e a ingaggiare sanguinosi combattimenti che portavano ben pochi risultati.
 
=== La disfatta di Caporetto ===
{{vedi anche|battaglia di Caporetto|battaglia di Caporetto (storiografia)}}
Con la linea di fronte austro-ungarica intorno a Gorizia a rischio di collasso a seguito dell'undicesima battaglia dell'Isonzo, i tedeschi decisero di intervenire in aiuto dei loro alleati in modo da alleggerire la pressione italiana. [[Paul von Hindenburg]] ed [[Erich Ludendorff]], comandanti della 3ª armata tedesca, si accordarono con [[Arthur Arz von Straussenburg]] per l'organizzazione dell'offensiva combinata. Cadorna aveva ricevuto rapporti dalla ricognizione aerea che indicavano movimento di truppe tedesche dirette in zona alto Isonzo. Anziché continuare con le offensive egli decise di passare ad una linea difensiva nell'attesa degli eventi<ref>{{cita web|url=http://isonzofront.altervista.org/1917.php|titolo=1917|editore=isonzofront.org|accesso=11 ottobre 2011}}</ref>.
Il generale tedesco [[Konrad Krafft von Dellmensingen]] fu inviato al fronte per un sopralluogo, che durò dal 2 al 6 settembre 1917. Terminate le varie verifiche e dopo aver vagliato le probabilità di vittoria, Dellmensingen tornò in Germania per approvare l'invio degli aiuti, sicuro anche che la Francia, dopo il fallimento della [[seconda battaglia dell'Aisne]] ad aprile, non avrebbe attaccato<ref name="disfatta">{{cita web|url= http://www.lagrandeguerra.net/ggcaporettoriflettere.html|titolo=Novant'anni fa la battaglia di Caporetto - ottobre 1917. Un'occasione per riflettere|accesso= 11 ottobre 2011|editore=lagrandeguerra.net}}</ref>.
 
Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare. Alle 2:00 in punto del 24 ottobre 1917 le artiglierie austro-germaniche iniziarono a colpire le posizioni italiane dal [[monte Rombon]] all'alta Bainsizza alternando lanci di gas a granate convenzionali, colpendo in particolare tra [[Plezzo]] e l'[[Isonzo]]<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 178}}.</ref>. Quello stesso giorno gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su [[Caporetto]] e accerchiarono la 2ª armata italiana, in particolare il IV ed il XXVII corpo d'armata, comandato dal generale [[Pietro Badoglio]]. Durante il primo giorno di battaglia gli italiani persero all'incirca, tra morti e feriti, 40.000 soldati e altrettanti si ritrovarono intrappolati sul monte Nero, mentre i loro avversari dai 6/7.000<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|pp. 165,166}}.</ref>.
 
Da lì gli austriaci avanzarono per 150&nbsp;km in direzione sud-ovest raggiungendo [[Udine]] in soli quattro giorni, con l'esercito italiano in preda ad una ritirata caotica, caratterizzata da diserzioni e fughe. Cadorna, venuto a sapere della caduta di [[Cornino]] il 2 novembre e di [[Codroipo]] il 4, ordinò all'intero esercito di ripiegare sul [[fiume Piave]], sul quale nel frattempo si erano fatti significativi passi avanti nell'impostazione di una linea difensiva grazie agli episodi di resistenza sul [[Tagliamento]].
A questo punto von Below aveva fretta, sia per il timore di ritornare ad una guerra di posizione, sia perché era cosciente che i francesi e gli inglesi avrebbero inviato aiuti militari. I suoi generali sfruttarono tutte le occasioni possibili per accerchiare le truppe italiane in ritirata: a [[Longarone]] il 9 novembre furono catturati 10.000 uomini e 94 cannoni appartenenti alla 4ª Armata del generale [[Mario Nicolis di Robilant]], e in un'altra occasione la 33ª e 63ª Divisione italiana consegnarono, dopo aver tentato di uscire dall'accerchiamento, 20.000 uomini.
In pianura però gli austro-tedeschi non ebbero analogo successo e molte unità italiane si riorganizzarono per raggiungere il Piave, l'ultima delle quali vi si posizionò il 12 novembre. Dall'inizio delle operazioni il 24 ottobre all'8 novembre i bollettini di guerra tedeschi avevano contato un bottino di 250.000 prigionieri e 2.300 cannoni<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 229}}.</ref>.
 
La disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle armate schierate dall'[[Mar Adriatico|Adriatico]] fino alla [[Valsugana]], oltre alle perdite umane e di materiale; in due settimane andarono perduti 350.000 soldati fra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 3}}.</ref>.
[[File:Armando Diaz.jpg|thumb|upright|[[Armando Diaz]], nuovo [[capo di Stato Maggiore]] del [[Regio Esercito]] a partire dall'8 novembre 1917]]
 
=== Cadorna viene sostituito, l'esercito si riorganizza ===
{{vedi anche|prima battaglia del Piave}}
Dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del [[monte Grappa]] e del Piave, Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, per volere del nuovo presidente del consiglio [[Vittorio Emanuele Orlando]] l'8 novembre 1917 venne sostituito dal generale [[Armando Diaz]].
 
Le divisioni francesi inviate in aiuto aumentarono a sei e quelle inglesi a cinque entro l'8 dicembre 1917 e, sebbene non entrarono subito in azione, funsero da riserva permettendo al Regio Esercito di distogliere le proprie truppe da questo compito.
I tedeschi, assolto il proprio obiettivo di aiutare gli austriaci, trasferirono metà dei propri cannoni e tre divisioni nuovamente ad occidente nei primi di dicembre, mentre la ritirata sul fronte del Grappa-Piave consentì all'esercito italiano, ora in mano a Diaz, di concentrare le sue forze su un fronte più breve e soprattutto, con un mutato atteggiamento tattico, più orgoglioso e determinato.
Il primo segno di riscossa avvenne per merito della 4ª armata del generale Mario Nicolis di Robilant, che, stanziata sul Cadore, si era ritirata il 31 ottobre con l'ordine di organizzare la difesa del monte Grappa e di realizzare la saldatura tra le truppe dell'Altopiano di Asiago e quelle schierate lungo il fiume Piave. La nuova posizione da difendere a tutti i costi era di vitale importanza per l'intero esercito, dato che una sua caduta avrebbe trascinato con sé l'intero fronte, e gli uomini di Robilant riuscirono a mantenere la posizione<ref name="disfatta"/>.
 
Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera successiva dove avrebbero preparato un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta, anche se piccole schermaglie si protrassero fino al 23 dicembre. La fine della guerra contro la Russia, consentì poi alla maggior parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale di spostarsi sul fronte italiano<ref>{{cita|M.Silvestri 2006|p. 256,258}}.</ref>.
 
==== La forza aerea ====
{{vedi anche|Regia Aeronautica#La grande guerra}}
Quando allo scoppio del conflitto l'Italia si dichiarò neutrale, ebbe subito inizio un intenso programma di addestramento e riorganizzazione dei reparti aerei, che vennero inquadrati nel [[Corpo Aeronautico Militare]] (CAM), anche se, proprio a causa della sua tardiva entrata in guerra, l'aeronautica non poté beneficiare fin dall'inizio dei progressi tecnici in campo aviatorio che invece avevano interessato gli altri paesi. Le 15 squadriglie divise in tre gruppi che componevano la CAM vennero distribuite tra la 2ª e la 3ª armata e a difesa della città di [[Pordenone]], mentre la sezione idrovolanti in seno alla marina, fu schierata lungo la costa adriatica. Alla data della terza battaglia dell'Isonzo però, la forza aerea subì dei grossi cambiamenti. La crescente necessità di velivoli per ricognizione e bombardamento portò un incremento della forza complessiva del CAM, che arrivò a contare 35 squadriglie dotate dei più moderni aerei di progettazione italiana e francese<ref>{{cita|AA.VV.|pp. 21,22}}.</ref>.
Più o meno verso la fine del 1917 il CAM subì un'ulteriore riorganizzazione dotandosi di una struttura di comando semplificata, che rifletteva le accresciute dimensioni e l'importanza assunte dal servizio aereo. Adesso ciascuna delle armate italiane possedeva un proprio reparto di volo, mentre il comando supremo disponeva di una unità aerea autonoma incaricata di effettuare missioni di ricognizione a lungo raggio e di bombardamento dalla regione di [[Udine]] a supporto delle operazioni di terra sul fronte dell'Isonzo. In termini generali, il CAM, nei primi mesi del 1917, giunse a schierare 62 squadriglie, dodici delle quali erano ora incaricate di compiti da caccia ed equipaggiate con monoposto [[Societe Anonyme des Etablissements Nieuport|Nieuport]] costruiti su licenza dalla [[Alenia Aermacchi|Macchi]]. La forza aerea intervenne in appoggio alle operazioni sull'Isonzo e la Bainsizza, mentre i bombardieri Caproni,attaccarono più volte l'arsenale di Pola in agosto e la base navale di Cattaro in ottobre. Al momento della battaglia di Caporetto erano stati organizzate altre 15 squadriglie caccia, che, nonostante la disfatta che costrinse i reparti dell'aviazione a ripiegare e abbandonare molti mezzi e materiali, crebbero ancora di numero nel corso del conflitto, tanto che al momento dell'armistizio la forza caccia italiana era di 75 squadriglie in tutto (delle quali facevano parte tre squadriglie francesi e quattro britanniche)<ref>{{cita|AA.VV.|pp. 22,23}}.</ref><ref>{{cita web|url=http://www.lagrandeguerra.net/ggaviazione.html|titolo=
L'Aviazione Italiana e Austro-Ungarica nella Grande Guerra|editore=lagrandeguerra.net|accesso=17 ottobre 2011}}</ref>.
Al termine del conflitto, la forza aerea del CAM era in costante aumento, i reparti aerei in prima linea potevano contare su 1.758 velivoli, e mentre nel 1915 l'industria bellica italiana sfornò solo 382 aerei e 606 motori aeronautici, nel 1918 i velivoli prodotti furono 6.488 mentre i motori ben 14.840<ref>{{cita|AA.VV.|p. 24}}.</ref>.
 
== L'ultimo anno di guerra ==
{{vedi anche|battaglia del Solstizio}}
L'offensiva austro-ungarica arrivò il [[15 giugno]]: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta [[battaglia del solstizio]], che vide gli italiani resistere all'assalto e infliggere al nemico pesantissime perdite. Gli austro-ungarici, per i quali la battaglia del solstizio era l'ultima possibilità per dare una svolta al conflitto e ribaltarne le sorti, persero le loro speranze <ref>visto che il paese era ormai a un passo dal baratro, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e soprattutto su quello morale, data l'incapacità della monarchia di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico.</ref>, e con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò ad ottobre l'offensiva prevista per il [[1919]], impedendo la prosecuzione dell'offensiva.
 
=== L'offensiva dell'esercito italiano ===
{{vedi anche|offensiva del Piave}}
A causa della loro veloce avanzata, gli austriaci avevano perso i contatti con le loro linee di rifornimento e furono costretti a fermarsi e a riunirsi. Gli italiani furono costretti a ripiegare fino alle linee difensive presso [[Venezia]], sul [[Piave]], dopo aver subìto perdite per circa 600.000 uomini dall'inizio della guerra. Nel novembre 1917, le truppe francesi e britanniche cominciarono ad affluire sul fronte italiano in maniera consistente. Nella primavera del 1918, la Germania ritirò le proprie truppe per utilizzarle nell'imminente ''offensiva di primavera'' sul [[Fronte occidentale (prima guerra mondiale)|fronte occidentale]]. I comandi austriaci cominciarono allora a cercare un modo per porre fine alla guerra in [[Italia]]. C'era infatti disaccordo tra i generali [[Impero austro-ungarico|austro-ungarici]] su come condurre l'offensiva finale. L'Arciduca [[Giuseppe Augusto d'Asburgo-Lorena]] decise di condurre un attacco su due direttive.
 
L' [[offensiva del Piave]] iniziò con un attacco diversivo presso il [[passo del Tonale]], fu facilmente respinto dagli italiani. Gli obiettivi dell'offensiva erano stati rivelati agli italiani da alcuni disertori austriaci, permettendo ai difensori di spostare due armate direttamente nelle zone prestabilite dal nemico. Gli attacchi sull'altra direttiva, condotti dal generale croato [[Svetozar Boroević von Bojna]], ottennero qualche successo nelle prime fasi finché le linee di rifornimento austriache non furono bombardate e non arrivarono i rinforzi austriaci.
[[File:Battle of Vittorio Veneto.jpg|right|thumb|250px|Il fronte italiano nel 1918 e la battaglia di Vittorio Veneto.]]
 
=== La battaglia decisiva: Vittorio Veneto ===
{{vedi anche|battaglia di Vittorio Veneto}}
La battaglia del Piave non fu seguita da alcuna controffensiva, cosa che irritò gli alleati dell'Italia. L'esercito italiano aveva infatti subito ingenti perdite, e un'offensiva generale era considerata troppo rischiosa. Il nuovo Capo di Stato Maggiore [[Armando Diaz]] decise così di attendere che nuovi rifornimenti arrivassero dal fronte occidentale. Nell'ottobre 1918, l'Italia aveva finalmente abbastanza truppe per scatenare un'offensiva. Gli attacchi vennero concentrati su [[Vittorio Veneto]], oltre il Piave. Le divisioni austriache combatterono coraggiosamente ma furono sopraffatte dalla superiorità numerica degli Alleati. Gli italiani sfondarono le linee nemiche presso [[Sernaglia della Battaglia]], e vi impegnarono i rinforzi che distrussero il fronte difensivo austriaco. Il [[3 novembre]], 300.000 soldati austriaci si arresero. Il giorno seguente l'Austria-Ungheria, sfiancata dalla [[Battaglia di Vittorio Veneto]], firmò l'[[Armistizio di Villa Giusti|armistizio che pose fine alla guerra sul fronte italiano]].
 
=== Il crollo delle forze austro-ungariche ===
Il 28 ottobre l'Austria-Ungheria chiese agli Alleati l'armistizio. L'impero che con tanta baldanza aveva aperto le [[Campagna di Serbia|ostilità contro la Serbia]] nel 1914 era giunto alla fine del suo percorso politico e militare. Quello stesso giorno gli italiani catturarono 3000 austriaci sul Piave. In serata l'esercito asburgico ricevette l'ordine di ritirarsi<ref name="Gilbert588">{{cita|M.Gilbert|p.588}}.</ref>.
L'impero era al collasso, oramai i diversi movimenti indipendentisti stavano facendo di tutto per sfruttare la situazione.
A [[Praga]] la richiesta di armistizio provocò una decisa reazione dei cechi; il Consiglio nazionale cecoslovacco si riunì a palazzo Gregor, dove si era costituito tre mesi prima, e assunse le funzioni di un vero e proprio governo, impartendo l'ordine agli ufficiali austriaci nel [[Castello di Praga|castello di Hradčany]] l'ordine di trasferire i poteri, assumendo il controllo della città e proclamando l'indipendenza dello stato ceco.
Quella sera le truppe austriache nel castello deposero le armi; senza confini, senza riconoscimento internazionale e senza l'approvazione di Vienna, era nata un'entità nazionale ceca<ref name="Gilbert588"/>.
Sempre quello stesso giorno, il Parlamento croato dichiarò che da quel momento, Croazia e Dalmazia avrebbero fatto parte di uno "Stato nazionale sovrano di sloveni, croati e serbi". Analoghe dichiarazioni pronunciate a Laibach e Sarajevo, legavano queste regioni all'emergente Stato slavo meridionale della Jugoslavia<ref name="Gilbert590"/>.
 
Il 29 ottobre le truppe autriache si ritirarono dal Piave al Tagliamento; le lunghe colonne di uomini, rifornimenti e artiglierie in ritirata, furono bersagliate da oltre 600 aerei italiani, francesi e britannici. Fu un bombardamento feroce, e gli uomini in ritirata non avevano modo di difendersi.
{{quote|Lungo la strada c'erano rottami di veicoli, cavalli morti, cadaveri di uomini sulla strada e nei campi dove erano fuggiti per sfuggire alle mitragliatrici e alle bombe degli aerei [...]|Bernard Garside, 19enne ufficiale inglese<ref name="Gilbert588"/>}}
Quello stesso giorno il Consiglio nazionale slovacco si associò in una nuova entità, insistendo sul diritto della regione slovacca alla "libera autodeterminazione".
Il 30 ottobre vennero fatti prigionieri più di 33.000 soldati austriaci, mentre a Vienna, il governo austro-ungarico continuava ad adoperarsi per giungere all'armistizio con gli Alleati<ref name="Gilbert590">{{cita|M.Gilbert|p.590}}.</ref>.
Nel frattempo il porto austriaco di [[Fiume (Croazia)|Fiume]], che due giorni prima era stato dichiarato parte dello stato slavo meridionale, proclamò la propria indipendenza chiedendo di unirsi all'Italia. A Budapest il [[Mihály Károlyi|conte Károlyi]] formò il governo ungherese, e su consenso di [[Carlo I d'Austria|Carlo I]], rescisse i legami che fin dal 1867 avevano tenuto insieme l'Austria e l'Ungheria e intavolò trattative tra l'Ungheria e le forze francesi in Serbia. Quello stesso 30 ottobre Carlo consegnò la flotta austriaca agli slavi meridionali e la [[flottiglia del Danubio]] all'Ungheria. Quella sera una delegazione austriaca per l'armistizio arrivò in Italia, a [[Villa Giusti]] nei pressi di [[Padova]]<ref>{{cita|M.Gilbert|p.591}}.</ref>.
Il 1° novembre Sarajevo si dichiarò parte dello "Stato sovrano degli slavi meridionali". A Vienna e a Budapest era ormai scoppiata la rivoluzione; il giorno precedente il [[István Tisza|conte Tisza]] fu ucciso dalle guardie rosse nella capitale ungherese<ref>{{cita|M.Gilbert|p.593}}.</ref>.
 
=== L'armistizio ===
{{vedi anche|armistizio di Villa Giusti}}
Il 3 novembre l'Austria firmò l'armistizio che sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, mentre a Vienna continuava la rivoluzione rossa. Lo stesso giorno gli italiani entrarono a Trento, mentre sul fronte occidentale gli Alleati accolsero la richiesta formale di armistizio sul fronte francese avanzata dal governo tedesco<ref>{{cita|M.Gilbert|p.595}}.</ref>.
Alle ore 15:00 del 4 novembre sul fronte italiano le armi cessarono di sparare; quella notte, ricordò l'ufficiale d'artiglieria inglese Hugh Dalton:
{{quote|[...] il cielo era illuminato dalla luce dei falò e dagli spari di razzi colorati. [...] Dietro di noi, in direzione di Treviso, si sentiva un lontano ritocco di campane, e canti ed esplosioni di gioia ovunque. Era un momento di perfezione e compimento<ref>{{cita|M.Gilbert|p.595}}.</ref>.}}
 
==== Il bollettino della Vittoria ====
{{vedi anche|bollettino della Vittoria}}
Il Bollettino di Guerra del [[4 novembre]] [[1918]], redatto dal generale Siciliani e firmato da [[Armando Diaz]], Capo di stato Maggiore del [[Regio Esercito]], tra le altre, diceva:
{{quote|Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12<br />
La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il [[Vittorio Emanuele III|Re]], duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il [[24 maggio]] [[1915]] e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. [...]<br />
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.''<br />
Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Diaz}}
 
Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume, quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del [[30 ottobre]] 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia. L'esercito italiano forzò la linea del patto di Londra intendendo occupare anche [[Lubiana]], ma fu fermato poco oltre [[Postumia]] dalle truppe serbe.
 
== Conseguenze ==
==Note==
{{references|3}}
 
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cognome=VV.|nome=AA.|wkautore=|titolo=Gli assi austro-ungarici della Grande Guerra sul fronte italiano|anno=2001|editore=Del Prado|città=Madrid|pagine=|id=ISBN 84-8372-502-9|cid=}}
* {{cita libro|cognome=Albertini|nome=Luigi|wkautore=Luigi Albertini|titolo=Le origini della guerra del 1914 (3 volumi - vol. I: "Le relazioni europee dal Congresso di Berlino all'attentato di Sarajevo", vol. II: "La crisi del luglio 1914. Dall'attentato di Sarajevo alla mobilitazione generale dell'Austria-Ungheria.", vol. III: "L'epilogo della crisi del luglio 1914. Le dichiarazioni di guerra e di neutralità.")|anno=1942-1943|editore=Fratelli Bocca|città=Milano|pagine=|id={{NoISBN}}|cid=L. Albertini}}
* {{cita libro|cognome=Cappellano|nome=Filippo|coautori=Basilio Di Martino|titolo=Un esercito forgiato nelle trincee - L'evoluzione tattica dell'esercito italiano nella Grande Guerra|anno=2008|editore=Gaspari|città=Udine|pagine=|id=ISBN 88-7541-083-6|cid=Cappellano-Di Martino}}
* {{cita libro|cognome=Ferraioli|nome=Giampaolo|wkautore=|titolo=Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914)|anno=2007|annooriginale =|editore=Rubettino|città=Catanzaro|pagine=|id=ISBN 88-498-1697-6|cid=G.Ferraioli}}
* {{cita libro|cognome=Favre|nome=Franco |titolo=La Marina nella Grande Guerra |edizione=2008|editore=Gaspari|città=Udine |id=ISBN 978-88-7541-135-0 |cid=F. Favre}}
* {{cita libro|cognome=Morandi|nome=Giovanni|titolo=Alpini, dalle Alpi all'Afghanistan|anno=2003|editore=Poligrafici editoriali|città=Bologna|pagine=|id=|cid=G.Morandi}}
* {{cita libro|cognome=Oliva|nome=Gianni|wkautore=Gianni Oliva|titolo=Storia degli alpini|anno=2010|editore=Mondadori |città=Milano|pagine=|id=ISBN 978-88-04-48660-2|cid=G.Oliva}}
* {{cita libro|cognome=Vianelli|nome=Mario|wkautore=|coautori= Giovanni Cenacchi|curatore= |altri= |titolo=Teatri di guerra sulle Dolomiti, 1915-1917: guida ai campi di battaglia|annooriginale=|edizione=2006|editore=Oscar storia|città=Milano|lingua= |id=ISBN 978-88-045556-50 |pagine= |capitolo= |citazione=|cid=Vianelli-Cenacchi}}
* {{cita libro|cognome=Silvestri |nome=Mario |wkautore=Mario Silvestri |titolo=Caporetto, una battaglia e un enigma |anno= 2006 |editore=Bur |città=Bergamo |id=ISBN 88-1710-711-5 |cid= M.Silvestri 2006}}
* {{cita libro|cognome=Silvestri |nome=Mario |wkautore= |titolo=Isonzo 1917|anno= 2007 |editore=Bur |città=Bergamo |id=ISBN 88-1712-719-6 |cid=M.Silvestri 2007}}
 
'''Nella letteratura'''<br>
Le opere letterarie riguardanti il fronte italiano sono moltissime, qui di seguito sono elencati alcuni tra gli scritti più famosi:
* ''[[Addio alle armi (romanzo)|Addio alle armi]]'' (''A Farewell to Arms''), è un romanzo basato sulle esperienze personali dello scrittore [[Ernest Hemingway]] che nel 1918 prestò servizio come autista di ambulanze sul fronte di Caporetto.
* ''[[Un anno sull'Altipiano]]'', è un libro di memorie di [[Emilio Lussu]] che racconta la sua esperienza sull'[[Altopiano di Asiago]] nel 1917.
* ''[[La guerra di Joseph]]'', è un libro scritto da [[Enrico Camanni]], che racconta le vicende militari sul fronte delle [[Tofane]] dagli occhi di due combattenti, Ugo Vallepiana e Joseph Gaspard.
* ''[[La rivolta dei santi maledetti]]'', di [[Curzio Malaparte]], è un saggio che racconta le vicende e gli errori degli alti comandi italiani dirante la rotta di Caporetto.
* ''Cola, o ritratto di un italiano'', di [[Mario Puccini]], è un romanzo che racconta il dramma della guerra dal punto di vista di un fante contadino.
* ''Uragano'', romanzo di [[Gino Rocca]]
 
== Filmografia ==
Qui di seguito in ordine cronologico, alcuni dei titoli più significativi:
* ''[[Montagne in fiamme]] (Berge in Flammen)'' (1931), diretto da [[Luis Trenker]] e [[Karl Hartl]], narra la storia del ''Kaiserjäger'' Florian Dimai, guida alpina sudtirolese impegnata contro le truppe italiane.
* ''[[Addio alle armi (film 1932)|Addio alle armi]]'' (1932), diretto da [[Frank Borzage]], tratto dal romanzo omonimo di Hemingway, a cui seguirà nel 1957 un [[Addio alle armi (film 1957)|omonimo film]] diretto da [[John Huston]] e [[Charles Vidor]].
* ''[[La grande guerra]]'' (1959), diretto da [[Mario Monicelli]] e interpretato da [[Alberto Sordi]] e [[Vittorio Gassman]]; è considerato considerato uno dei capolavori della storia del cinema.
* ''[[Uomini contro]]'' (1970), diretto da [[Francesco Rosi]] e liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano".
 
== Voci correlate ==
* [[Fronte occidentale (prima guerra mondiale)]]
* [[Fronte orientale (prima guerra mondiale)]]
* [[Quarta guerra di indipendenza]]
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons=Category:Italian Front theatre of World War I}}
 
== Collegamenti esterni ==
* [http://www.14-18.it/1418 Documenti e vita dei soldati italiani nella prima guerra mondiale]
* [http://isonzofront.altervista.org/leggi_documenti.php?id=4&cat=documenti Il trattato di Londra, un estratto]
 
{{Prima guerra mondiale}}
{{Portale|Grande Guerra|Guerra|storia d'Italia}}
 
[[Categoria:Fronti della prima guerra mondiale|Italiano]]
 
[[ca:Teatre d'operacions d'Itàlia (Primera Guerra Mundial)]]
[[cs:Italská fronta (první světová válka)]]
[[de:Gebirgskrieg 1915–1918]]
[[en:Italian Campaign (World War I)]]
[[es:Frente Italiano (Primera Guerra Mundial)]]
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[[fr:Front italien (Première Guerre mondiale)]]
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[[no:Italiafronten (første verdenskrig)]]
[[pt:Campanha Italiana]]
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[[ru:Итальянский фронт Первой мировой войны]]
[[simple:Italian Campaign (World War I)]]
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[[uk:Італійський фронт Першої світової війни]]
[[vi:Mặt trận Ý (Chiến tranh thế giới thứ nhất)]]
[[zh:意大利战役 (第一次世界大战)]]