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La '''tecnica narrativa''' utilizzata da '''Giovanni Verga''' nelle opere [[Verismo|veriste]] composte dal [[1978|'78]] in poi, possiede caratteri di originalità innovativi che si distacca dalla tradizione e anche dalle esperienze contemporanee sia [[Italia|italiane]] che straniere.▼
▲La '''tecnica narrativa''' utilizzata da
Nelle opere di Verga non si avverte mai il punto di vista dello [[scrittore]] e la voce che racconta è allo stesso livello dei personaggi. Infatti non capita nei romanzi di Verga che a raccontare sia il narratore "onnisciente" tradizionale come nei [[Romanzo|romanzi]] di [[Alessandro Manzoni|Manzoni]], [[Honoré de Balzac|Balzac]] o [[William Makepeace Thackeray |Thackeray]] che interviengono in continuazione nel racconto a commentare o giudicare i comportamenti dei personaggi.▼
Tra le tecniche narrative utilizzate dal Verga si ricordano:
* '''La tecnica dello straniamento'''
* '''L'utilizzo del discorso indiretto libero'''
*'''La tecnica dell'impersonalità'''
==Introduzione==
▲Nelle opere di Giovanni Verga non si avverte mai il punto di vista dello [[scrittore]] e la voce che racconta è allo stesso livello dei personaggi. Infatti non capita nei romanzi di Verga che a raccontare sia il narratore "Paradosso teologico|onnisciente" tradizionale come nei [[Romanzo|romanzi]] di [[Alessandro Manzoni|Manzoni]], [[Honoré de Balzac|Balzac]] o [[William Makepeace Thackeray |Thackeray]] che
Nelle opere di Verga a raccontare non è un personaggio in particolare ma è il [[narratore]] che, mimetizzandosi negli stessi personaggi, pensa e sente come loro e adotta il loro stesso modo di esprimersi. Chi racconta potrebbe essere uno dei personaggi che però non appare mai direttamente nella vicenda e rimane nell'[[Anonimo|anonimato]].
Un chiaro esempio che inaugura il nuovo modo di narrare di Verga lo troviamo
Da queste parole si rivela una visione primitiva e [[Superstizione|superstiziosa]] della realtà e tutta la vicenda viene narrata da questo [[punto di vista]], cioè non quello del narratore colto ma da uno qualunque dei vari [[minatore|minatori]] della cava in cui lavora Malpelo.
Se capita che la voce narrante commenti e giudichi i fatti
Di conseguenza anche il [[Lingua (idioma)|linguaggio]] non è quello che potrebbe essere dello [[scrittore]], ma è un linguaggio carente, intermezzato da modi di dire, paragoni, [[Proverbio|proverbi]] e imprecazioni .
La [[sintassi]] è elementare e a volte scorretta e in essa appare la struttura dialettale, anche se il Verga non usa mai direttamente il [[dialetto]] e se deve citare un termine dialettale lo isola per mezzo del [[corsivo]].
Verga afferma di aver cercato, nelle sue opere,
Egli nelle sue dichiarazioni teoriche sembra dunque propenso verso una tecnica narrativa in cui la psicologia dei personaggi emerga solo dai dialoghi e dalle azioni, ma in realtà non tutti i suoi personaggi sono visti dall'esterno e non sempre si conoscono i pensieri e i sentimenti solamente attraverso i gesti e le parole.</br>
Capita anzi spesso che il punto di vista del [[racconto]] coincida con quello di un personaggio, in modo che
Se la riproduzione sincera della realtà oggettiva con l'esclusione di ogni intervento giudicante dall'esterno possono condurre all'annullamento di ogni rapporto critico tra l'autore e la materia, Verga riesce, proprio grazie alla sua particolare ''tecnica narrativa'' ad evitare questo rischio.Perché,
Viene così spesso, nei racconti di Verga, ad opporsi un punto di vista alternativo che è interno alla realtà come nel caso di ''Rosso Malpelo'', dove al mondo della miniera che accetta in modo passivo i meccanismi della lotta per la [[vita]], viene a contrapporsi il punto di vista del protagonista che è illuminato da una sua consapevolezza critica.
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In tutti questi casi il Verga, pur restando fedele al principio della impersonalità, non accetta, grazie alla tecnica dello straniamento, il lato negativo della realtà in modo acritico, ma fa scaturire dalle cose stesse il giudizio.
==Tecnica dello straniamento==
La
La definizione di [[straniamento]] venne data dai [[formalismo russo|formalisti russi]] degli [[anni 1920|anni venti]] che adottano, per narrare un fatto e
Come risultato si ottiene quello di far apparire insolite e incomprensibili cose normali, o viceversa, solo perché presentate attraverso un punto di vista estraneo.<br/>
===Tecnica dello straniamento nelle opere di Giovanni Verga===
Verga, per [[eclissi|eclissarsi]] dalla vicenda narrata, evitando di dare un qualsivoglia giudizio, utilizza una tecnica molto efficace, quella dello [[Tecnica dello straniamento nelle opere di Giovanni Verga|straniamento]].▼
====I Malavoglia====▼
====Tecnica delo straniamento nei I Malavoglia====
Molti esempi di straniamento si trovano nel romanzo ''[[I Malavoglia]]'' dove tutto quello che provano i protagonisti di vero e disinteressato viene visto dal punto di vista della gente del paese che, non avendo gli stessi valori, è portata a dare giudizi solamente in base all'interesse economico e al diritto di chi è più forte facendo così apparire "strano" ciò che, secondo la scala dei valori universalmente accettata, è "normale" .
Così, ad esempio, l'onestà di padron 'Ntoni, che pur
Verga vuole pertanto dimostrare, con questo effetto di "straniamento", come sia impossibile praticare valori puri e disinteressati in un mondo regolato dalla [[legge]] della lotta per la [[vita]] e mettere in evidenza il prevalere dei principi dell'[[interesse]] e della [[forza]], a cui non è possibile contrapporre nessuna alternativa.
Questo tipo di straniamento compare quando sono in [[scena]] personaggi puri e onesti come i Malavoglia, ma quando si presentano i personaggi del villaggio gretti e meschini, si assiste ad una forma di straniamento che si può definire "rovesciata", dove ciò che è "strano" appare "normale" dal momento che il punto di vista di chi racconta è perfettamente in [[armonia]] con quello dei personaggi.<ref>[[Romano Luperini]], ''L'orgoglio e la disperata rassegnazione'', Roma, La nuova sinistra-Savelli, 1974, pp. 47</ref>
====La roba====▼
====Tecnica dello straniamento in La roba====
Nella [[novella]] ''La roba'', ad esempio, il "narratore" non dimostra mai riprovazione nei confronti di Mazzarò e dei metodi da lui usati per arricchire, anzi il comportamento di Mazzarò non solo appare "normale", ma degno di lode.
Questo secondo tipo di straniamento genera un forte contrasto tra la deformazione che viene operata e il modo "giusto" di vedere le cose che è assente dalla narrazione, ma che è introdotto con immediatezza da chi legge.<
{{vedi anche|Giovanni Verga (darwinismo sociale)}}
Pertanto esso ha la funzione di mettere in evidenza come sia cruda la realtà della [[Giovanni Verga (darwinismo sociale)|lotta
====Pessimismo e straniamento nella novela Rosso Malpelo====
La '''tecnica dello straniamento''' che assicura l’[[Giovanni Verga (tecnica dell'impersonalità)|impersonalità]] dell’autore, è necessaria soprattutto per veicolare il [[pessimismo]] che muove la scelta dei contenuti [[Giovanni Verga|verghiani]].
{{vedi anche|Rosso Malpelo}}
Il [[pessimismo]] e lo straniamento si possono ampiamente osservare nella [[Novella (letteratura)|novella]] [[Rosso Malpelo]] che può considerarsi ''"il primo testo della nuova maniera verghiana ad essere pubblicato''":<ref>in ''note'', Guido Baldi, ''Verga e il verismo. Sperimentalismo formale e critica del progresso'', Paravia,Torino, 1980, pag.122</ref>
:''“ Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.''
Da subito, l’inizio evidenzia la rivoluzionaria novità dell’impostazione narrativa verghiana: affermare che Malpelo ha i capelli rossi perché è un ragazzo malizioso e cattivo è una chiara deformazione logica, che palesa un pregiudizio [[Popolo|popolare]]: la [[narratore|voce narrante]] non è identificabile con l’autore reale, non è portavoce della sua [[Weltanschauung|visione del mondo]]; il narratore riflette, invece, la mentalità dei personaggi che si muovono all’interno della storia, il loro mondo di valori e necessità, (come accade nella "[[
L’autore si è "eclissato", si è messo nella pelle dei suoi personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole.<br/>
Nell’apertura del racconto si procede subito con la “regressione” con la quale si attua il basilare principio dell’impersonalità.
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Ciò che si dice di Malpelo non è attendibile: il narratore non capisce l’agire del protagonista e quindi interpreta le azioni deformandole con il suo punto di vista, ad esempio è narrata in modo distorto la reazione che ha Rosso quando il padre muore nell’incidente della cava di rena rossa:
:''“Malpelo non rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà, nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s'era accorto di lui; e quando si accostarono col lume, gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati, e la schiuma alla bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pendevano dalle mani tutte in sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo più graffiare, mordeva come un cane arrabbiato, e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo via a viva forza.''<ref>op.cit.,pag., 176</ref>
È facile intuire che il comportamento del ragazzo è dovuto alla speranza di poter salvare il padre, ma il narratore non comprende i suoi sentimenti, e attribuisce il suo agire al pregiudizio che Malpelo è strano e cattivo, tanto da pensare che un
Il carattere di Rosso Malpelo viene sempre visto in modo distorto, quando viene rinvenuto il cadavere del padre si scopre che il pover’uomo aveva scavato nel senso opposto a quello dove scavava il figlio, ma nessuno disse niente al ragazzo non certo per pietà ma perché temevano che Rosso potesse pensare a chissà quale vendetta generalizzata
Ed ancora quando Malpelo si attacca alle reliquie del padre e dimostra così l’attaccamento filiale che egli nutriva, il suo comportamento è considerato incomprensibile dal coro che gli sta intorno:▼
:''“Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l'una accanto all'altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. …”.''▼
▲Ed ancora quando Malpelo si attacca alle [[reliquia|reliquie]] del padre e dimostra così l’attaccamento filiale che egli nutriva, il suo comportamento è considerato incomprensibile dal coro che gli sta intorno:
▲:''“Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l'una accanto all'altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. …”.''<ref>op. cit., pag., 183</ref>
Egli sceglie il punto di vista dei lavoranti della cava per descrivere un mondo brutale in cui non c’è alcuno spazio per i sentimenti più disinteressati. In questo mondo i [[pregiudizio|pregiudizi]] hanno la meglio, quindi uno con i capelli rossi deve essere cattivo per forza e quando fa qualcosa che dovrebbe apparire sano e buono le sue azioni vengono stravolte ed incomprese.<br/>▼
Anche la famiglia di Malpelo si disinteressa di lui
Nella seconda parte del racconto emerge la visione del protagonista, il punto di vista impercettibilmente cambia ed ecco che affiora la visione cupa e pessimistica di Rosso. Il ragazzo ha compreso la legge che regola la vita, la lotta per l’esistenza quella sociale e quella naturale, comprende che sopravvive il più forte e che il debole rimane schiacciato. Questa consapevolezza lo ha indurito, egli non tenta rivolte di nessun genere perché sa che quella realtà è immodificabile e vi si rassegna in modo disperato. Egli ha saputo dunque interpretare la realtà ed è orgoglioso di aver capito ed agisce in modo consapevole, non come gli altri che vivono inconsapevolmente la realtà in cui sono costretti dal [[fato]].
▲In questo mondo i pregiudizi hanno la meglio, quindi uno con i capelli rossi deve essere cattivo per forza e quando fa qualcosa che dovrebbe apparire sano e buono le sue azioni vengono stravolte ed incomprese.<br/>
▲Anche la famiglia di Malpelo si disinteressa di lui, quando la sorella si sposa la madre va via con lei e lascia il ragazzo da solo senza alcun rammarico dando per scontato che un ''Malpelo'' non possa avere sentimenti di nessun genere.
In Rosso Malpelo si proietta dunque
▲In Rosso Malpelo si proietta dunque, tutto il pessimismo dell’autore reale, la sua visione lucida ma disperatamente rassegnata di tutta la realtà negativa [[Società|sociale]] e naturale.
Verga così dà voce ad un mondo popolare aspro ed a tratti disumano o meglio: il mondo popolare di Verga è fuori dal [[mito]] della povera ma buona gente custode di valori genuini, antichi e sovrani.<br/>
Non c’è alcuna visione nostalgica del mondo popolare, nel mondo contadino vigono le stesse leggi crudeli che regolano la vita degli strati più ricchi ed evoluti. Nessuna [[illusione]] pertanto di trovare lontano dalle luci e dal caos cittadino un genuino e bucolico mondo contadino dove rifugiarsi e dove trovare brava e buona gente.
Il''' discorso indiretto libero ''' (o ''erlebte Rede'', dal tedesco) è una variante del [[discorso indiretto]] che fonde le modalità del [[discorso diretto]] e di quello indiretto in una forma ibrida. Esso è discorso indiretto in quanto passa attraverso la mediazione del soggetto riferente che però mantiene [[stilema|stilemi]], cioè quegli elementi caratteristici che sono il tratto distintivo dello stile di uno scrittore o di un [[testo]], e [[grammatica|strutture grammaticali]] del discorso diretto.
Esso era ben noto sin dagli scrittori classici e viene chiamato libero perché non viene in esso utilizzato quel legame tra discorso del narratore e discorso del personaggio che è il [[verbo]] di "dire" o "pensare".
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Maestri di questo stile sono stati nella letteratura europea gli scrittori [[Gustave Flaubert]] e [[Jane Austen]].
====Il discorso indiretto libero nelle opere di Giovanni Verga====▼
Nella [[letteratura italiana]], questo tipo di discorso è stato ampiamente utilizzato dal [[Giovanni Verga|Verga]].
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{{vedi anche|Mastro-don Gesualdo}}
Nel [[monologo]] interiore al capitolo IV di ''[[Mastro-don Gesualdo]]'', dove Gesualdo rievoca la sua storia, vi è un esempio molto rappresentativo di discorso indiretto libero: "''Egli invece non aveva sonno. Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!''".<ref>Giovanni Verga, ''Mastro Don Gesualdo'', a cura di [[Luigi Russo]], Mondadori, Milano. 1956</ref>
In questa parte del testo, fino a "gli venivano tanti ricordi piacevoli", il discorso è del narratore che descrive, rimanendo all'esterno, lo stato d'animo di Gesualdo, mentre subito dopo inizia, pronunciato mentalmente, il discorso del personaggio con un passaggio che non si avverte ed che è talmente vicino al discorso diretto da conservarne tutte le sfumature e i modi di dire caratteristici del personaggio.
Ne ''[[I Malavoglia]]'' il discorso indiretto libero riferisce non solo i discorsi di singoli personaggi ma anche parole di un imprecisato parlante, che coincide con la collettività del paese, con gli occhi del quale sono visti i fatti.
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Il discorso indiretto libero è uno strumento narrativo diffusissimo nell'area del [[romanzo]] [[XIX secolo|otto]]-[[XX secolo|novecentesco]] e viene pertanto a costituire una struttura alternativa rispetto al discorso diretto o indiretto, che ha lo scopo di rendere più vivace lo stile.
==Tecnica del'impersonalità ==
Nell'ambito delle [[Verismo|poetiche del vero]] la posizione di [[Giovanni Verga|Verga]] è quella della necessità di usare la '''tecnica dell'impersonalità''', lasciare cioè che sia "il fatto nudo e schietto" e non le valutazioni dell'autore, il centro della [[Narratologia|narrazione]], come egli stesso scrive nella premessa alla [[novella]] ''L'amante di Gramigna''.<br/>
Sarà proprio su questa impostazione che lo scrittore [[Sicilia|siciliano]] imposterà la parte più alta della sua produzione novellistica.
Lo scrittore, per dare energia e spessore alla sua ideologia, ritiene confacente la tecnica verista dell'impersonalità dell'autore. Se l'autore, dall'alto della sua visione onnisciente, fosse lì: a sentenziare, a giudicare, a portare il lettore alla riflessione ora su un argomento, ora su un personaggio; a guidare il lettore nel valutare positivo o negativo qualcuno o qualcosa, egli sarebbe un [[giudice]], applicherebbe le sue regole [[Morale|morali]], [[Politica|politiche]] o [[Religione|religiose]]. ▼
Giovanni Verga ''non'' vuole giudicare; considera lo scrittore uno strumento tecnico che documenta e non interviene nel [[documento]] che trasmette; ''non'' crede che la [[letteratura]] possa contribuire a modificare la realtà, quindi deve trarsi fuori dal campo e studiare senza passione i personaggi e gli eventi. Il lettore, dal canto suo, deve ''sentire'', percepire con evidenza ''il parlare'' dei soggetti che sono rappresentati e deve ''vedere'' i comportamenti.
{{Quote|Il lettore deve vedere il personaggio, per servirmi del gergo, l'uomo secondo me, qual'è, dov'è, come pensa, come sente, da dieci parole e dal modo di soffiarsi il naso..<ref>da Giovanni Verga, lettera a felice Cameroni del 19 marzo 1881</ref>}}
Come la pensasse il Verga riguardo il metodo dell'impersonalità è chiaro nella lettera che lo scrittore inserisce come dedicatoria a [[Salvatore Farina]], quasi una [[prefazione]] alla [[novella (letteratura)|novella]] "l' Amante di Gramigna", dove vengono messi a fuoco i principi fondamentali della poetica verghiana e nelle lettere a [[Luigi Capuana]] e a [[Felice Cameroni]].<br/>
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Verga parla della ''lente dello scrittore'' ed è palese il riferimento al metodo che vuole adottare lo scrittore come "[[Narratore#Il narratore nelle opere letterarie|narratore onnisciente]]"; ma Verga rifiuta l'onniscienza; anzi adotterà nella sua opera verista più compiuta, qual' è la novella ''[[Rosso Malpelo]]'', la tecnica più pura dello [[Giovanni Verga (tecnica dello straniamento)|straniamento]].
Nella lettera a Felice Cameroni,che aveva recensito il romanzo, del [[27 febbraio]] 1881 l'autore siciliano si premura di ringraziarlo per il giudizio scritto su il "Sole" riguardo ai [[Malavoglia]] perché gli aveva fatto un gran piacere. Aggiunge poi che anche lui sapeva bene che il suo lavoro non avrebbe avuto "successo di lettura" ma che comunque doveva provare a rappresentare la realtà anche se era d'accordo con l'amico che in Italia, a questo proposito, c'era ancora molto da fare.''"Io mi son messo in pieno, e fin dal principio, in mezzo ai miei personaggi e ci ho condotto il lettore come ei li avesse conosciuti diggià, e più vissuto con loro e in quell’ambiente sempre. Parmi questo il modo migliore per darci completa l'illusione della realtà; ecco perché ho evitato studiatamente quella specie di profilo che tu mi suggerivi pei personaggi principali"''<ref>''Lettera a Felice Cameroni'', 27 febbraio 1881, in ''Lettere sparse'', a c. di G. Finocchiaro, Chimirri, Bulzoni, Roma, 1979</ref>
Nella lettera a Capuana del 25 febbraio 1881 egli però esprime dubbi sulla validità dell'opera pienamente consapevole di andare contro corrente e di rischiare, ma sa anche che ormai non avrebbe potuto impostare un romanzo tradizionale con presentazioni canoniche senza rinunciare al suo principio verista:''"Avevo un bel dirmi che quella semplicità di linee, quell'uniformità di toni, quella certa fusione dell'insieme che doveva servirmi a dare nel risultato l'effetto più vigoroso che potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gli avvenimenti più umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non erano certo fatte per destare l’interesse ad ogni pagina del racconto, ma l'interesse doveva risultare dall'insieme, a libro chiuso, quando tutti quei personaggi si fossero affermati sì schiettamente da riapparirvi come persone conosciute, ciascuno nella sua azione. Che la confusione che dovevano produrvi in mente alle prime pagine tutti quei personaggi messivi faccia a faccia senza nessuna presentazione, come se li aveste conosciuti sempre, e foste nato e vissuto in mezzo a loro, doveva scomparire mano a mano col progredire nella lettura, a misura che essi vi tornavano davanti, e vi si affermavano con nuove azioni ma senza messa in scena, semplicemente, naturalmente, era artificio voluto e cercato anch'esso, per evitare, perdonami il bisticcio, ogni artificio letterario, per darvi l'illusione completa della realtà. Tutte buone ragioni, o scuse di chi non si sente sicuro del fatto suo; e sai che l'inferno è lastricato di buone intenzioni. Capirai dunque com'ero inquieto non solo sul valore che avrebbe accordato il pubblico a queste intenzioni artistiche, giacché le intenzioni non valgono nulla, ma sul risultato che avrei saputo cavarne nell'ottenere dal lettore l'impressione che volevo".'' <ref>''Lettera a Capuana del 25 febbraio 1881'' in ''Lettere a Luigi Capuana'', a c, di G, Raja, Le Monnier, Firenze,, 1975</ref>
L'amico Capuana lo rassicura pubblicamente con la sua [[recensione]] e tra le altre cose dice:
:''"... ''I Malavoglia'' si rannodano agli ultimissimi anelli di questa catena dell'arte. L'evoluzione del Verga è completa. Egli è uscito dalla vaporosità della sua prima maniera e si è afferrato alla realtà, solidamente. Questi ''Malavoglia'' e la sua ''Vita dei campi'' saranno un terribile e salutare corrosivo della nostra bislacca letteratura ... Finora nemmeno [[Émile Zola|Zola]] ha toccato una cima così alta in quell'impersonalità che è l'ideale dell'opera d'arte moderna".''<ref>da [[Luigi Capuana]], in "[[Fanfulla della Domenica]]", 1881</ref>
Ancora, in una lettera del [[12 maggio]] [[1881]]<ref>da Giovanni Verga, lettera a [[F. Torraca]] del 12 maggio 1881</ref> inviata a [[Francesco Torraca]] per ringraziarlo dell'articolo scritto sui "Malavoglia", il Verga scrive'':..."Sì, il mio ideale artistico è che l'autore s'immedesimi talmente nell'opera d'arte da scomparire in essa".''<ref>[[Francesco Torraca]], ''I Malavoglia'', in "Rassegna", 9 maggio 1881</ref>
===La narrazione corale===
Nel romanzo
:''"... La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il [[lampada|lume]], e s'era messa coll'[[arcolaio]] sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l'ordito della settimana. Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al [[telaio]] notte e giorno, come Sant'Agata, dicevano le vicine. - Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra: «A donna alla finestra non far festa». - Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dall'uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta. Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada c'era conversazione, si affacciò anch'essa sull'uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l'avessero fatto apposta, come se ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant'oro, ed era morto di una pedata di compare Tino. - I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a scovarli in una cruna di ago ...".''<ref>Giovanni Verga, ''I Malavoglia'', Arnoldo
L'impersonalità dello scrittore si attua - in buona sostanza - in modo ancora più preciso con l’uso attento ed adeguato del [[Lingua (idioma)|linguaggio]].
===Il linguaggio===
I personaggi si esprimono senza il filtro del narratore ''colto, onnisciente''. Nella narrazione delle opere di Verga è presente un [[linguaggio]] povero, semplice, spoglio, intervallato da modi di dire, di imprecazioni popolari, spesso ripetute; è presente una [[sintassi]] elementare
Verga non usa il [[dialetto]] in modo diretto, i tempi non lo consentivano ancora, ogni tanto usa il corsivo ed il virgolettato per inserire un termine o un [[proverbio]] in dialetto, come nella novella ''[[La lupa (novella)|La Lupa]]'': "''In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona'' la gnà Pina era la
==Il metodo
▲Lo scrittore, per dare energia e spessore alla sua ideologia, ritiene confacente la tecnica verista dell'impersonalità dell'autore. Se l'autore, dall'alto della sua visione onnisciente, fosse lì: a sentenziare, a giudicare, a portare il lettore alla riflessione ora su un argomento, ora su un personaggio; a guidare il lettore nel valutare positivo o negativo qualcuno o qualcosa, egli sarebbe un [[giudice]], applicherebbe le sue regole [[Morale|morali]], [[Politica|politiche]] o [[Religione|religiose]].
▲Giovanni Verga ''non'' vuole giudicare; considera lo scrittore uno strumento tecnico che documenta e non interviene nel [[documento]] che trasmette; ''non'' crede che la [[letteratura]] possa contribuire a modificare la realtà, quindi deve trarsi fuori dal campo e studiare senza passione i personaggi e gli eventi. Il lettore, dal canto suo, deve ''sentire'', percepire con evidenza ''il parlare'' dei soggetti che sono rappresentati e deve ''vedere'' i comportamenti.
L'autore verista, di conseguenza, cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana, muovendo dalle forme sociali più basse verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
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In tal modo il lettore ''sente'' letteralmente la gente, vede e percepisce un determinato personaggio o un particolare evento.
Nella novella ''La Lupa'', il personaggio è così presentato :
:''"Era alta e magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai di - nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figlioli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di santa Agrippina"''.<ref>op.cit., pag. 197</ref>
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L'evento particolare, e soprattutto l'evento vero, diventa qui la materia dell'opera d'[[arte]].<br/>
Lo scrittore, quindi, privilegia gli avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, si limita a ricostruirli obiettivamente ovvero rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti.
▲Verga, per eclissarsi dalla vicenda narrata, evitando di dare un qualsivoglia giudizio, utilizza una tecnica molto efficace, quella dello [[Tecnica dello straniamento nelle opere di Giovanni Verga|straniamento]].
==Note==
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{{Portale|letteratura}}
<nowiki>[[Categoria:Giovanni Verga]]</nowiki>
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