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La '''tecnica narrativa''' utilizzata da [[Giovanni Verga]] nelle opere [[Verismo|veriste]] composte dal [[1978|'78]] in poi, possiede caratteri di originalità innovativi che si distaccano dalla tradizione e anche dalle esperienze contemporanee sia [[Italia|italiane]] che straniere.
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==Introduzione==
Nelle opere di Giovanni Verga non si avverte mai il punto di vista dello [[scrittore]] e la voce che racconta è allo stesso livello dei personaggi. Infatti non capita nei romanzi di Verga che a raccontare sia il narratore "Paradosso teologico|onnisciente" tradizionale come nei [[Romanzo|romanzi]] di [[Alessandro Manzoni|Manzoni]], [[Honoré de Balzac|Balzac]] o [[William Makepeace Thackeray |Thackeray]] che intervengono in continuazione nel racconto a commentare o giudicare i comportamenti dei personaggi.
Nelle opere di Verga a raccontare non è un personaggio in particolare ma è il [[narratore]] che, mimetizzandosi negli stessi personaggi, pensa e sente come loro e adotta il loro stesso modo di esprimersi. Chi racconta potrebbe essere uno dei personaggi che però non appare mai direttamente nella vicenda e rimane nell'[[Anonimo|anonimato]].
Un chiaro esempio che inaugura il nuovo modo di narrare di Verga lo troviamo nell'[[incipit]] della sua prima [[novella]] [[Verismo|verista]], [[Rosso Malpelo]], pubblicata nel [[1878]]: ''"Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo
Da queste parole si rivela una visione primitiva e [[Superstizione|superstiziosa]] della realtà e tutta la vicenda viene narrata da questo [[punto di vista]], cioè non quello del narratore colto ma da uno qualunque dei vari [[minatore|minatori]] della cava in cui lavora Malpelo.
Se capita che la voce narrante commenti e giudichi i fatti
Di conseguenza anche il [[Lingua (idioma)|linguaggio]] non è quello che potrebbe essere dello [[scrittore]], ma è un linguaggio carente, intermezzato da modi di dire, paragoni, [[Proverbio|proverbi]] e imprecazioni .
La [[sintassi]] è elementare e a volte scorretta e in essa appare la struttura dialettale, anche se il Verga non usa mai direttamente il [[dialetto]] e se deve citare un termine dialettale lo isola per mezzo del [[corsivo]].
Verga afferma di aver cercato, nelle sue opere,
Egli nelle sue dichiarazioni teoriche sembra dunque propenso verso una tecnica narrativa in cui la psicologia dei personaggi emerga solo dai dialoghi e dalle azioni, ma in realtà non tutti i suoi personaggi sono visti dall'esterno e non sempre si conoscono i pensieri e i sentimenti solamente attraverso i gesti e le parole.</br>
Capita anzi spesso che il punto di vista del [[racconto]] coincida con quello di un personaggio, in modo che il lettore, vedendo le cose con i suoi [[Occhio|occhi]], le interpreti attraverso i suoi giudizi e venga posto al centro della sua [[Psiche (psicologia)|psiche]].
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==Tecnica dello straniamento==
La tecnica dello straniamento ''"...consiste nell'adottare, per [[Narratologia|narrare]] un fatto e descrivere una persona, un '' [[punto di vista]] '' completamente estraneo all'oggetto''"<ref>Guido Baldi, ''Verga e il verismo. Sperimentalismo formale e critica del progresso'', Paravia, Torino, 1980, pag.219</ref> e questo procedimento narrativo lo troviamo usato in larga misura nelle opere [[Verismo|veriste]] del [[Giovanni Verga|Verga]].
La definizione di [[straniamento]] venne data dai [[formalismo russo|formalisti russi]] degli [[anni 1920|anni venti]] che adottano, per narrare un fatto e descrivere una persona, un punto di vista completamente diverso. Un esempio è il [[racconto]] di [[Lev Nikolaevic Tolstoj|Tolstoj]], ''"[[Cholstomer]]"'', un bellissimo [[cavallo]], costretto a fare la bestia da soma, che è perplesso sull'uso che gli uomini fanno del linguaggio e soprattutto delle parole ''mio'', ''mia'', ''miei''
Come risultato si ottiene quello di far apparire insolite e incomprensibili cose normali, o viceversa, solo perché presentate attraverso un punto di vista estraneo.<br/>
===Tecnica dello straniamento nelle opere di Giovanni Verga===
Verga, per [[eclissi|eclissarsi]] dalla vicenda narrata, evitando di dare un qualsivoglia giudizio, utilizza una tecnica molto efficace, quella dello [[Tecnica dello straniamento nelle opere di Giovanni Verga|straniamento]].
In una lettera del [[12 maggio]] [[1881]]<ref>da Giovanni Verga, lettera a [[F. Torraca]] del 12 maggio 1881</ref> inviata a [[Francesco Torraca]] per ringraziarlo dell'articolo scritto sui "Malavoglia",<ref>[[Francesco Torraca]], ''I Malavoglia'', in "Rassegna", 9 maggio 1881</ref> il Verga scrive'':..."Sì, il mio ideale artistico è che l'autore s'immedesimi talmente nell'opera d'arte da scomparire in essa".''▼
====Tecnica delo straniamento nei I Malavoglia====
Molti esempi di straniamento si trovano nel romanzo ''[[I Malavoglia]]'' dove tutto quello che provano i protagonisti di vero e disinteressato viene visto dal punto di vista della gente del paese che, non avendo gli stessi valori, è portata a dare giudizi solamente in base all'interesse economico e al diritto di chi è più forte facendo così apparire "strano" ciò che, secondo la scala dei valori universalmente accettata, è "normale" .
Così, ad esempio, l'onestà di padron 'Ntoni, che pur
Verga vuole pertanto dimostrare, con questo effetto di "straniamento", come sia impossibile praticare valori puri e disinteressati in un mondo regolato dalla [[legge]] della lotta per la [[vita]] e mettere in evidenza il prevalere dei principi dell'[[interesse]] e della [[forza]], a cui non è possibile contrapporre nessuna alternativa.
Questo tipo di straniamento compare quando sono in [[scena]] personaggi puri e onesti come i Malavoglia, ma quando si presentano i personaggi del villaggio gretti e meschini, si assiste ad una forma di straniamento che si può definire "rovesciata", dove ciò che è "strano" appare "normale" dal momento che il punto di vista di chi racconta è perfettamente in [[armonia]] con quello dei personaggi.<ref>[[Romano Luperini]], ''L'orgoglio e la disperata rassegnazione'', Roma, La nuova sinistra-Savelli, 1974, pp. 47</ref>
====Tecnica dello straniamento in La roba====
Nella [[novella]] ''La roba'', ad esempio, il "narratore" non dimostra mai riprovazione nei confronti di Mazzarò e dei metodi da lui usati per arricchire, anzi il comportamento di Mazzarò non solo appare "normale", ma degno di lode.
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====Pessimismo e straniamento nella novela Rosso Malpelo====
La '''tecnica dello straniamento''' che assicura l’[[Giovanni Verga (tecnica dell'impersonalità)|impersonalità]] dell’autore, è necessaria soprattutto per veicolare il [[pessimismo]] che muove la scelta dei contenuti [[Giovanni Verga|verghiani]].
Il [[pessimismo]] e lo straniamento si possono ampiamente osservare nella [[Novella (letteratura)|novella]] [[Rosso Malpelo]] che può considerarsi ''"il primo testo della nuova maniera verghiana ad essere pubblicato''":<ref>in ''note'', Guido Baldi,
:''“ Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.''
Da subito, l’inizio evidenzia la rivoluzionaria novità dell’impostazione narrativa verghiana: affermare che Malpelo ha i capelli rossi perché è un ragazzo malizioso e cattivo è una chiara deformazione logica, che palesa un pregiudizio [[Popolo|popolare]]: la [[narratore|voce narrante]] non è identificabile con l’autore reale, non è portavoce della sua [[Weltanschauung|visione del mondo]]; il narratore riflette, invece, la mentalità dei personaggi che si muovono all’interno della storia, il loro mondo di valori e necessità, (come accade nella "[[Lupa (novella)|Lupa]]") anche se non coincide con un ben identificato personaggio.
L’autore si è "eclissato", si è messo nella pelle dei suoi personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole.<br/>
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Il carattere di Rosso Malpelo viene sempre visto in modo distorto, quando viene rinvenuto il cadavere del padre si scopre che il pover’uomo aveva scavato nel senso opposto a quello dove scavava il figlio, ma nessuno disse niente al ragazzo non certo per pietà ma perché temevano che Rosso potesse pensare a chissà quale vendetta generalizzata.
Ed ancora quando Malpelo si attacca alle [[reliquia|reliquie]] del padre e dimostra così l’attaccamento filiale che egli nutriva, il suo comportamento è considerato incomprensibile dal coro che gli sta intorno:
:''“Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l'una accanto all'altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. …”.''<ref>op. cit., pag., 183</ref>
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Anche la famiglia di Malpelo si disinteressa di lui; quando la sorella si sposa la madre va via con lei e lascia il ragazzo da solo senza alcun rammarico dando per scontato che un ''Malpelo'' non possa avere sentimenti di nessun genere.
Nella seconda parte del racconto emerge la visione del protagonista, il punto di vista impercettibilmente cambia ed ecco che affiora la visione cupa e pessimistica di Rosso. Il ragazzo ha compreso la legge che regola la vita, la lotta per l’esistenza quella sociale e quella naturale, comprende che sopravvive il più forte e che il debole rimane schiacciato. Questa consapevolezza lo ha indurito, egli non tenta rivolte di nessun genere perché sa che quella realtà è immodificabile e vi si rassegna in modo disperato. Egli ha saputo dunque interpretare la realtà ed è orgoglioso di aver capito ed agisce in modo consapevole, non come gli altri che vivono inconsapevolmente la realtà in cui sono costretti dal [[fato]].
In Rosso Malpelo si proietta dunque
Verga così dà voce ad un mondo popolare aspro ed a tratti disumano o meglio: il mondo popolare di Verga è fuori dal [[mito]] della povera ma buona gente custode di valori genuini, antichi e sovrani.<br/>
Non c’è alcuna visione nostalgica del mondo popolare, nel mondo contadino vigono le stesse leggi crudeli che regolano la vita degli strati più ricchi ed evoluti. Nessuna [[illusione]] pertanto di trovare lontano dalle luci e dal caos cittadino un genuino e bucolico mondo contadino dove rifugiarsi e dove trovare brava e buona gente.
==Il discorso indiretto libero==
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Nella [[letteratura italiana]], questo tipo di discorso è stato ampiamente utilizzato dal [[Giovanni Verga|Verga]].
====Il discorso indiretto libero in Mastro
{{vedi anche|Mastro-don Gesualdo}}
Nel [[monologo]] interiore al capitolo IV di ''[[Mastro-don Gesualdo]]'', dove Gesualdo rievoca la sua storia, vi è un esempio molto rappresentativo di discorso indiretto libero: "''Egli invece non aveva sonno. Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!''".<ref>Giovanni Verga, ''Mastro Don Gesualdo'', a cura di [[Luigi Russo]], Mondadori, Milano. 1956</ref>
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====Il discorso indiretto libero in I Malavoglia====
{{vedi anche|I Malavoglia}}
Ne ''[[I Malavoglia]]'' il discorso indiretto libero riferisce non solo i discorsi di singoli personaggi ma anche parole di un imprecisato parlante, che coincide con la collettività del paese, con gli occhi del quale sono visti i fatti.
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Il discorso indiretto libero è uno strumento narrativo diffusissimo nell'area del [[romanzo]] [[XIX secolo|otto]]-[[XX secolo|novecentesco]] e viene pertanto a costituire una struttura alternativa rispetto al discorso diretto o indiretto, che ha lo scopo di rendere più vivace lo stile.
==Tecnica del'impersonalità ==
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L'amico Capuana lo rassicura pubblicamente con la sua [[recensione]] e tra le altre cose dice:
:''"... ''I Malavoglia'' si rannodano agli ultimissimi anelli di questa catena dell'arte. L'evoluzione del Verga è completa. Egli è uscito dalla vaporosità della sua prima maniera e si è afferrato alla realtà, solidamente. Questi ''Malavoglia'' e la sua ''Vita dei campi'' saranno un terribile e salutare corrosivo della nostra bislacca letteratura ... Finora nemmeno [[Émile Zola|Zola]] ha toccato una cima così alta in quell'impersonalità che è l'ideale dell'opera d'arte moderna".''<ref>da [[Luigi Capuana]], in "[[Fanfulla della Domenica]]", 1881</ref>
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===La narrazione corale===
Nel romanzo
Ad esempio, nel secondo capitolo de ''I Malavoglia'', significativa è la chiacchierata serotina sul ballatoio tra le donne:
:''"... La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il [[lampada|lume]], e s'era messa coll'[[arcolaio]] sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l'ordito della settimana. Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al [[telaio]] notte e giorno, come Sant'Agata, dicevano le vicine. - Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra: «A donna alla finestra non far festa». - Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dall'uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta. Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada c'era conversazione, si affacciò anch'essa sull'uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l'avessero fatto apposta, come se ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant'oro, ed era morto di una pedata di compare Tino. - I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a scovarli in una cruna di ago ...".''<ref>Giovanni Verga, ''I Malavoglia'', Arnoldo
L'impersonalità dello scrittore si attua - in buona sostanza - in modo ancora più preciso con l’uso attento ed adeguato del [[Lingua (idioma)|linguaggio]].
===Il linguaggio===
I personaggi si esprimono senza il filtro del narratore ''colto, onnisciente''. Nella narrazione delle opere di Verga è presente un [[linguaggio]] povero, semplice, spoglio, intervallato da modi di dire, di imprecazioni popolari, spesso ripetute; è presente una [[sintassi]] elementare
Verga non usa il [[dialetto]] in modo diretto, i tempi non lo consentivano ancora, ogni tanto usa il corsivo ed il virgolettato per inserire un termine o un [[proverbio]] in dialetto, come nella novella ''[[La lupa (novella)|La Lupa]]'': "''In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona'' la gnà Pina era la
==Il metodo naturalistico==
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{{Portale|letteratura}}
<nowiki>[[Categoria:Giovanni Verga]]</nowiki>
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