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La '''tecnica narrativa''' utilizzata da [[Giovanni Verga]] nelle opere [[Verismo|veriste]] composte dal [[1978|'78]] in poi, possiede caratteri di originalità innovativi che si distaccano dalla tradizione e anche dalle esperienze contemporanee sia [[Italia|italiane]] che straniere.
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==Tecnica dello straniamento==
La tecnica dello straniamento ''"...consiste nell'adottare, per [[Narratologia|narrare]] un fatto e descrivere una persona, un '' [[punto di vista]] '' completamente estraneo all'oggetto
La definizione di [[straniamento]] venne data dai [[formalismo russo|formalisti russi]] degli [[anni 1920|anni venti]] che adottano, per narrare un fatto e descrivere una persona, un punto di vista completamente diverso. Un esempio è il [[racconto]] di [[Lev Nikolaevic Tolstoj|Tolstoj]], ''"[[Cholstomer]]"'', un bellissimo [[cavallo]], costretto a fare la bestia da soma, che è perplesso sull'uso che gli uomini fanno del linguaggio e soprattutto delle parole ''mio'', ''mia'', ''miei'', giungendo alla conclusione che i cavalli sono superiori agli uomini per la loro capacità di riflettere sui fatti e non sulle parole
Come risultato si ottiene quello di far apparire insolite e incomprensibili cose normali, o viceversa, solo perché presentate attraverso un punto di vista estraneo.<br/>
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La '''tecnica dello straniamento''' che assicura l’[[Giovanni Verga (tecnica dell'impersonalità)|impersonalità]] dell’autore, è necessaria soprattutto per veicolare il [[pessimismo]] che muove la scelta dei contenuti [[Giovanni Verga|verghiani]].
{{vedi anche|Rosso Malpelo}}
Il [[pessimismo]] e lo straniamento si possono ampiamente osservare nella [[Novella (letteratura)|novella]] [[Rosso Malpelo]] che può considerarsi ''"il primo testo della nuova maniera verghiana ad essere pubblicato''":<ref>in ''note'', Guido Baldi,
:''“ Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.''
Da subito, l’inizio evidenzia la rivoluzionaria novità dell’impostazione narrativa verghiana: affermare che Malpelo ha i capelli rossi perché è un ragazzo malizioso e cattivo è una chiara deformazione logica, che palesa un pregiudizio [[Popolo|popolare]]: la [[narratore|voce narrante]] non è identificabile con l’autore reale, non è portavoce della sua [[Weltanschauung|visione del mondo]]; il narratore riflette, invece, la mentalità dei personaggi che si muovono all’interno della storia, il loro mondo di valori e necessità, (come accade nella "[[Lupa (novella)|Lupa]]") anche se non coincide con un ben identificato personaggio.
L’autore si è "eclissato", si è messo nella pelle dei suoi personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole.<br/>
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Nella [[letteratura italiana]], questo tipo di discorso è stato ampiamente utilizzato dal [[Giovanni Verga|Verga]].
====Il discorso indiretto libero in Mastro
{{vedi anche|Mastro-don Gesualdo}}
Nel [[monologo]] interiore al capitolo IV di ''[[Mastro-don Gesualdo]]'', dove Gesualdo rievoca la sua storia, vi è un esempio molto rappresentativo di discorso indiretto libero: "''Egli invece non aveva sonno. Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!''".<ref>Giovanni Verga, ''Mastro Don Gesualdo'', a cura di [[Luigi Russo]], Mondadori, Milano. 1956</ref>
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====Il discorso indiretto libero in I Malavoglia====
{{vedi anche|I Malavoglia}}
Ne ''[[I Malavoglia]]'' il discorso indiretto libero riferisce non solo i discorsi di singoli personaggi ma anche parole di un imprecisato parlante, che coincide con la collettività del paese, con gli occhi del quale sono visti i fatti.
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Il discorso indiretto libero è uno strumento narrativo diffusissimo nell'area del [[romanzo]] [[XIX secolo|otto]]-[[XX secolo|novecentesco]] e viene pertanto a costituire una struttura alternativa rispetto al discorso diretto o indiretto, che ha lo scopo di rendere più vivace lo stile.
==Tecnica del'impersonalità ==
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L'amico Capuana lo rassicura pubblicamente con la sua [[recensione]] e tra le altre cose dice:
:''"... ''I Malavoglia'' si rannodano agli ultimissimi anelli di questa catena dell'arte. L'evoluzione del Verga è completa. Egli è uscito dalla vaporosità della sua prima maniera e si è afferrato alla realtà, solidamente. Questi ''Malavoglia'' e la sua ''Vita dei campi'' saranno un terribile e salutare corrosivo della nostra bislacca letteratura ... Finora nemmeno [[Émile Zola|Zola]] ha toccato una cima così alta in quell'impersonalità che è l'ideale dell'opera d'arte moderna".''<ref>da [[Luigi Capuana]], in "[[Fanfulla della Domenica]]", 1881</ref>
Ancora, in una lettera del [[12 maggio]] [[1881]]<ref>da Giovanni Verga, lettera a [[F. Torraca]] del 12 maggio 1881</ref> inviata a [[Francesco Torraca]] per ringraziarlo dell'articolo scritto sui "Malavoglia"
===La narrazione corale===
Nel romanzo
Ad esempio, nel secondo capitolo de ''I Malavoglia'', significativa è la chiacchierata serotina sul ballatoio tra le donne:
:''"... La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il [[lampada|lume]], e s'era messa coll'[[arcolaio]] sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l'ordito della settimana. Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al [[telaio]] notte e giorno, come Sant'Agata, dicevano le vicine. - Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra: «A donna alla finestra non far festa». - Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dall'uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta. Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada c'era conversazione, si affacciò anch'essa sull'uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l'avessero fatto apposta, come se ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant'oro, ed era morto di una pedata di compare Tino. - I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a scovarli in una cruna di ago ...".''<ref>Giovanni Verga, ''I Malavoglia'', Arnoldo
L'impersonalità dello scrittore si attua - in buona sostanza - in modo ancora più preciso con l’uso attento ed adeguato del [[Lingua (idioma)|linguaggio]].
===Il linguaggio===
I personaggi si esprimono senza il filtro del narratore ''colto, onnisciente''. Nella narrazione delle opere di Verga è presente un [[linguaggio]] povero, semplice, spoglio, intervallato da modi di dire, di imprecazioni popolari, spesso ripetute; è presente una [[sintassi]] elementare
Verga non usa il [[dialetto]] in modo diretto, i tempi non lo consentivano ancora, ogni tanto usa il corsivo ed il virgolettato per inserire un termine o un [[proverbio]] in dialetto, come nella novella ''[[La lupa (novella)|La Lupa]]'': "''In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona'' la gnà Pina era la
==Il metodo naturalistico==
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{{Portale|letteratura}}
<nowiki>[[Categoria:Giovanni Verga]]</nowiki>
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