Total factor productivity: differenze tra le versioni

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In [[economia]] la '''''Total Factor Productivity''''' (TFP) o '''produttività totale dei fattori''' è definibile come la parte residua di output eccedente gli input di [[Lavoro (economia)|lavoro]] e [[capitale (economia)|capitale]]. La TFP misura, generalmente, il grado di [[Efficienza (economia)|efficienza economica]] e viene calcolata sottraendo il tasso di crescita del lavoro e del capitale rispetto all'output.
 
==La ''Total Factor Productivity'' nell'analisi della produttività==
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====Tassi di variazione degli input di lavoro====
 
Il lavoro (L) è misurato dal numero di lavoratori impiegati o, perferibilmentepreferibilmente, dalle ore totali lavorate nel corso dell'anno nell'intera economia.
 
I tassi di variazione annuali sono dati dalle differenze dei logaritmi: <math>\ \ln \left ( \frac{L_t}{L_{t-1}} \right )</math>.
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Già [[Abramovitz]] (1956) notava come in realtà il residuo così calcolato era alla fine il risultato non solo del cambiamento tecnologico e del miglioramento nell'efficienza produttiva, ma anche di una serie di possibili errori, come quelli di misura, quelli derivanti da aggregazione e quelli di errata specificazione del modello. Il residuo di Solow risultava così, a conti fatti, essere solo la "misura della nostra ignoranza" ("''the measure of our ignorance''").
 
Lo stesso Solow (1987) notava con meraviglia come la TFP non registrasse in alcun modo la [[rivoluzione digitale]], e Nordhaus (1997) osservava come il ''Solow productivity paradox'' non era limitato a questo fenomeno: la TFP non aveva registrato tassi di crescita significativi in corrispondenza di nessuna delle rivoluzioni tecnologiche che si erano succedute nel corso degli anni, compresa quella della scoperta e della diffusione dell'energia elettrica.
 
Negli anni 60, dato il collegamento esplicito posto da Solow (1957) con la funzione di produzione aggregata e con l'ipotesi di [[progresso tecnico]] neutrale ''à la'' [[John Hicks (economista)|Hicks]], la TFP venne investita, in quella che è successivamente divenuta famosa come la ''Cambridge capital controversy'', dalle critiche che colpirono queste ultime. In particolare, da un lato, si negava in nuce la possibilità di utilizzare misure aggregate del capitale e la tendenza all'uguaglianza tra tasso di rendimento del capitale e [[produttività marginale]] dello stesso, e tutto ciò minava alle basi la funzione di produzione aggregata neoclassica formulata in termini di lavoro e capitale; dall'altro, si criticava la concezione del progresso tecnico, propria del primo Hicks (1964) e dei neoclassici, che distingueva spostamenti lungo la funzione di produzione da spostamenti della funzione stessa.