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Il '''setter inglese''' è una [[razza (zootecnia)|razza]] [[cane|canina]] originaria dell'[[Inghilterra]], affinata intorno al [[1838]] da sir [[Edward Laverack]] ([[1798]]-[[1877]]) dopo un'accurata selezione a partire da vari ceppi genetici preesistenti in terra d'albione. In seguito la razza venne conservata e ne venne promossa la diffusione ad opera di sir Purcell Llewellin e di William Humphrey. È un cane molto dolce e mite, adatto alla compagnia ed eccellente per la [[caccia]] (sia da riporto che da ferma). Infatti, il nome stesso deriva dal verbo inglese ''to set'', cioè ''puntare'' (la [[Predazione|preda]]) o ''guardare fissamente''.
 
Caratterizzata grazie anche alla sbavatura precoce emittente dall'animale
 
== Storia ==
Le sue antiche origini risalgono addirittura al [[1500]], periodo in cui il conte Leicester adoperò il setter in battute di [[caccia]]. Successivamente, la sua particolare attitudine ad acquattarsi e strisciare in presenza della preda fu considerata una delle caratteristiche che interessarono Laverack a questa [[razza]].
Laverack, rimasto orfano a 14 anni, venne adottato da uno zio, ricco industriale di [[Manchester]], che morendo, quattro anni dopo, gli lasciò in eredità un ingente patrimonio. Il giovane decise di abbandonare la carriera industriale, per la quale non si sentiva affatto portato, e si trasferì in [[campagna]] cominciando ad allevare cani.
Nel [[1825]] acquistò dal reverendo Harrison una coppia di setters (Ponto e Old Moll), cui si aggiunsero poi altri due soggetti. Questi quattro esemplari, però, si dimostrarono poco prolifici e, a causa della loro consanguineità, eccessivamente nervosi. Purcell Llewellin, amico e collaboratore di Laverack, tentò di diminuire tali difetti mediante immissioni di incroci di setters provenienti da altri allevamenti (setter nero focati, setter irlandese).
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== Bibliografia ==
* ''La forma è solo l'espressione plastica della funzione?'' [https://web.archive.org/web/20110907141117/http://www.fongaros.it/libro.phpultima-pubblicazione/ "]. Autore: Renato Fongaro.
 
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