Pierre-Louis Cavagnari: differenze tra le versioni
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Il 26 maggio dello stesso anno, sfruttando le difficoltà interne del nuovo emiro, Cavagnari gli impose, per conto del governo britannico, il trattato di Gandamak. Nell'occasione il successore di Sher Alì si presentò in uniforme dell'esercito russo accompagnato da Daud Shah, comandante in capo dell'esercito afgano, vestito con la stessa uniforme. Nonostante questa bellicosa presentazione, Yaqub Khan fu costretto a piegarsi alle condizioni del trattato, con il quale cedeva alcuni territori all'[[India]] britannica e accettava la presenza a [[Kabul]] di un rappresentante britannico, circostanza che creò forti malumori nel paese<ref>Peter Hopkirk, ''Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale'', p. 429</ref>.
Nel trattato il residente era identificato nella persona dello stesso Cavagnari, che in seguito a questo successo diplomatico ottenne due importanti onorificenze (cavalierato dell'Ordine del Bagno e di quello della Stella dell'India) e che nell'estate successiva partì per [[Kabul]] ivi stabilendo la sua dimora ufficiale a duecento metri dalla ''Bala Hisar'' dell'emiro (24 luglio 1879)<ref>Peter Hopkirk, ''Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale'', pp. 430-431 e 434</ref>. La posizione della missione, dapprincipio di relativa tranquillità, si fece presto molto difficile per il clima di ostilità che la circondava.
Il 3 settembre 1879, dopo una [[Assedio dell'ambasciata britannica a Kabul|strenua ed eroica resistenza]], Cavagnari, gli altri membri della missione, e le loro guardie indiane (il famoso "Corpo delle Guide"), furono massacrati da una turba di militari afgani ammutinati che protestavano per il mancato ricevimento della paga da tre mesi e per la presenza della missione straniera. Nella vicenda Yaqub Khan assunse un ruolo controverso<ref>Peter Hopkirk, ''Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale'', pp. 431 e 434</ref>. Per contro, l'eroismo mostrato in quella tragica occasione dalle Guide, che dopo l'assassinio dei britannici rifiutarono di arrendersi nonostante la promessa di aver salva la vita in quanto erano indiani e gli afgani non ce l'avevano con loro, portò all'attribuzione al loro corpo del diritto di fregiare in permanenza la bandiera reggimentale di due parole: "Residency, Kabul"<ref>Peter Hopkirk, ''Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale'', p. 435</ref>.
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