Secessione dell'Aventino: differenze tra le versioni
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Il 30 maggio 1924 il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]] per contestare i risultati delle [[Elezioni politiche italiane del 1924|elezioni]] tenutesi il precedente 6 aprile. Matteotti denunciò apertamente tutta una serie di violenze, illegalità e abusi commessi dai fascisti per condizionare il risultato elettorale e vincere le elezioni.
Il 10 giugno 1924, intorno alle ore 16:15, Giacomo Matteotti uscì a piedi dalla sua abitazione romana per dirigersi verso il Palazzo di [[Montecitorio]], sede della Camera dei deputati. In [[lungotevere Arnaldo da Brescia]], secondo le testimonianze,<ref>ASR, FM, vol. 1, Testimonianze Amilcare Mascagna e Renato Barzotti, vol. 1, fol. 22.</ref> era ferma un'auto con a bordo alcuni individui. Due degli occupanti balzarono addosso al parlamentare socialista. Matteotti riuscì a divincolarsi buttandone uno a terra e rendendo necessario l'intervento di un terzo che lo stordì colpendolo al volto con un pugno. Gli altri due intervennero per caricarlo in macchina. In seguito i testimoni identificarono la vettura, descritta come "un'automobile, nera, elegante, chiusa",<ref>ASR, FM, vol. 1, fol. 8 Testimonianza Giovanni Cavanna.</ref> per una Lancia Lambda.<ref>Gianni Mazzocchi, [[Quattroruote]] Luglio 1984, pag. 54.</ref>
[[Amerigo Dumini]] fu arrestato il 12 giugno 1924 alla [[Stazione di Roma Termini]], mentre si accingeva a partire per il Nord Italia e tradotto nel [[carcere di Regina Coeli]]. Fu però solo il 16 agosto successivo che il cadavere di
Il 13 giugno [[Benito Mussolini]] parlò alla Camera dei deputati affermando di non essere coinvolto nella scomparsa di Matteotti, ma anzi di esserne addolorato.
{{quote|Il giudizio di [[Renzo De Felice|De Felice]] è che il Duce "non era un uomo crudele", che non meditava vendette a sangue freddo e che, infine, era "troppo buon tempista, troppo buon politico" per volere uccidere o rapire Matteotti. Io, al contrario, considero Mussolini un uomo capace di grande crudeltà, non sempre buon tempista e uomo che poteva serbare vivo un rancore per anni. Quindi, anticipando la conclusione, direi che invece del verdetto di "possibile" o di "impossibile", è da preferire quello di una "probabile" istigazione personale di Mussolini|[[Denis Mack Smith]], ''Mussolini e il caso Matteotti'', in ''Studi e ricerche su Giacomo Matteotti'' (a cura di L. Bedeschi), Urbino, Istituto di storia della Università, 1979, p. 69}}
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Nel frattempo, le prime indagini, intentate dal magistrato [[Mauro Del Giudice]], difensore dell'indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo, assieme al giudice Umberto Tancredi, individuò nello [[Squadrismo|squadrista]] [[Amerigo Dumini]] la mano dell'assassino. In breve tutti i rapitori furono identificati come fascisti e arrestati, ma dopo un anno e dietro diretto interesse del [[Duce]], l'incarico gli venne tolto e le indagini vennero fermate.
Il 17 giugno Mussolini impose le dimissioni a [[Cesare Rossi]] e ad [[Aldo Finzi (politico)|Aldo Finzi]] che erano indicati dall'[[opinione pubblica]]<ref>Giuliano Capecelatro, ''La banda del Viminale'', Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 54: "Nelle indiscrezioni di quelle ore, Marinelli e Rossi sono indicati come i mandanti del delitto, su incarico affidato da Mussolini".</ref> e anche dalle indagini del magistrato [[Mauro Del Giudice|Del Giudice]], come i [[Gerarca|gerarchi]] maggiormente coinvolti a causa delle loro relazioni con Dumini e i suoi uomini.<ref>Attilio Tamaro, ''Venti anni di storia'', Roma, Editrice Tiber, pag. 425: "Quel giorno, oltre alle dimissioni imposte a Cesare Rossi e a Finzi, che i noti contatti avuti con Dumini e con altri individui di quella banda designavano ai peggiori sospetti dell'opinione pubblica, furono annunciati altri arresti..."</ref>
== L'avvenimento ==
Nell'imminenza del delitto si costituì un Comitato delle opposizioni, con un esponente per ciascun partito d'opposizione (appartenenti a [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]], [[Partito Socialista Unitario (1922)|Partito Socialista Unitario]], [[Partito Socialista Italiano]], [[Partito Comunista d'Italia]], Opposizione Costituzionale, [[Partito Democratico Sociale Italiano]], [[Partito Repubblicano Italiano]] e [[Partito Sardo d'Azione]]). Gramsci avanzò a questo «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta, soprattutto a causa del pessimo ricordo del clamoroso fallimento dello [[sciopero legalitario]] alla vigilia della [[marcia su Roma]]. I comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».<ref>Lettera a Giulia Schucht, 22 giugno 1924.</ref>
Il
Le motivazioni dell'abbandono erano state spiegate dal deputato liberaldemocratico [[Giovanni Amendola]] su ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]'' (giugno 1924): ''«''Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita.
Non parteciparono invece all'Aventino, oltre ovviamente agli eletti del [[Partito Nazionale Fascista]], il [[Partito Liberale Italiano]], il [[Partito dei Contadini d'Italia]], nonché i deputati delle [[Liste di slavi e di tedeschi]].
== Le prospettive politiche ==
Il 16 agosto 1924 ''[[La Civiltà cattolica]]'' pubblicò un articolo, firmato da padre Rosa ma concordato con lo stesso segretario di Stato della Santa sede, cardinal [[Pietro Gasparri]], in cui si affermava che la collaborazione tra popolari e socialisti - che era lo sbocco politico cui tendevano Filippo Turati e [[Luigi Sturzo]] per dare una prospettiva di governo alla protesta aventiniana - "non sarebbe stata né conveniente, né opportuna, né lecita". Nonostante l'intervento sul ''[[Il Popolo|Popolo]]'' del 6 settembre di Luigi Sturzo, che difese i contatti con quella parte dei socialisti che si erano liberati dei vecchi pregiudizi anticlericali, l'ostacolo frapposto dalle alte gerarchie vaticane si sarebbe rivelato insormontabile, probabilmente perché [[Pio XI]] preferiva confidare nelle reiterate promesse mussoliniane di soluzione della [[questione romana]]<ref>Claudio Besana, ''Il delitto Matteotti, l'Aventino e la mancata collaborazione tra popolari e socialisti riformisti'', in Fondazione Di Vittorio (a cura di), ''Giacomo Matteotti'', Donzelli, 2015, pp. 34-35.</ref>.
Gli "aventiniani" furono sostanzialmente contrari a ordire un'insurrezione popolare per abbattere il governo Mussolini. Allo stesso tempo, le componenti politiche della protesta si riunivano separatamente ed erano contrarie a coordinarsi con altri oppositori del fascismo che non avevano aderito all'Aventino ed erano restati in aula. Confidavano che, dinnanzi all'emersione delle responsabilità del fascismo nella sparizione e ancora presunta morte di Matteotti, il re si decidesse a licenziare Mussolini e a sciogliere la Camera per indire nuove elezioni. Tutto ciò non avvenne<ref>Enzo Biagi, ''Storia del Fascismo'', Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag. 354: "...nella speranza che una tale azione secessionistica getti nella crisi completa il governo fascista e induca il Re a intervenire con un decreto di scioglimento della Camera."</ref>.
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Il 12 settembre 1924, per vendicare la morte di Matteotti, il militante comunista [[Giovanni Corvi]] uccise in un tram il deputato fascista [[Armando Casalini]], provocando un ulteriore irrigidimento della compagine governativa. Il 20 ottobre il leader comunista [[Antonio Gramsci]] propose invano che l'opposizione aventiniana si costituisse in "antiparlamento", in modo da segnare nettamente la distanza tra i secessionisti e un Parlamento composto di soli fascisti. Dinanzi al diniego i comunisti preferirono tornare in aula dal 12 novembre.
Negli ultimi due mesi del 1924, Amendola decise di abbandonare la velleitaria linea insurrezionale, ritornando alla scelta iniziale di confidare sull'appoggio del sovrano per scalzare Mussolini. Tramite il [[gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]] [[Domizio Torrigiani]], Amendola, iscritto alla [[massoneria]], era venuto in possesso di due memoriali che accusavano Mussolini come mandante del delitto Matteotti. Il primo di [[Filippo Filippelli]], coinvolto nel delitto per aver fornito ai sequestratori la [[Lancia Lambda]] su cui il deputato socialista era stato rapito e ucciso.<ref>[http://books.google.it/books?id=k5ElJqytAvUC&pg=PA170&dq=%22Filippo+Filippelli%22&lr=&cd=15#v=onepage&q=%22Filippo%20Filippelli%22&f=false Enzo Magrì] books.google.it.</ref>
L'8 novembre 1924, su impulso di Amendola, un gruppo di "aventiniani" costituì una nuova formazione politica in rappresentanza dei principi di libertà e di democrazia, "fondamento dell'Unità d'Italia e delle lotte risorgimentali, prevaricati e perseguitati dall'insorgente regime fascista" come asserito nel documento sottoscritto dagli aderenti<ref>''Il Mondo'', 18 novembre 1924.</ref>. Al nuovo partito politico, denominato [[Unione Nazionale (Italia)|Unione nazionale delle forze liberali e democratiche]], aderirono undici deputati, sedici ex deputati e undici senatori, che si costituirono in gruppo politico<ref>Manifesto dell'Unione Nazionale di Giovanni Amendola {{cita web|url=http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm|titolo=Copia archiviata|accesso=19 novembre 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121106022930/http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm|dataarchivio=6 novembre 2012|urlmorto=sì}}, e: Francesco Bartolotta, ''Parlamenti e Governi d'Italia'', Vito Bianco Editore, Roma, 1970.</ref>. Ciò favorì il consolidamento della componente "amendoliana" della secessione e il suo allargamento a personalità di diversa estrazione politica quali i liberal-democratici [[Nello Rosselli]] e [[Luigi Einaudi]], i radicali come [[Giulio Alessio]], i socialdemocratici come [[Ivanoe Bonomi]], [[Meuccio Ruini]] e [[Luigi Salvatorelli]], indipendenti come [[Carlo Sforza]] e, in seguito, repubblicani come il giovane [[Ugo La Malfa]].<ref>{{cita libro | cognome=Galante Garrone| nome=Alessandro| titolo=I radicali in Italia (1849-1925)| città=Milano | editore=Garzanti |anno=1973|pagine=405-406}}</ref>
Nonostante l'invito a non rientrare in aula - contenuto in un telegramma del 22 ottobre 1924<ref>Elio d’Auria, ''Il liberalismo di fronte al fascismo: il problema della società civile e della società di massa'', Cercles. Revista d’Història Cultural, {{ISSN
Il 27 dicembre 1924 il quotidiano ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]'', diretto da Giovanni Amendola, pubblicò il memoriale difensivo del Rossi, composto da 18 cartelle di appunti
== La reazione di Mussolini ==
Il timore che [[Vittorio Emanuele III]] potesse prendere in considerazione il suo licenziamento,
L'opposizione aventiniana non riuscì a reagire, sia per le immediate repressioni ordinate da Mussolini, sia per i frazionismi interni.<ref>Ariane Landuyt, ''Le sinistre e l'Aventino'', Milano, F. Angeli, 1973.</ref>
== Le conseguenze e l'instaurarsi della dittatura ==▼
▲L'opposizione aventiniana non riuscì a reagire, sia per le immediate repressioni ordinate da Mussolini, sia per i frazionismi interni<ref>Ariane Landuyt, ''Le sinistre e l'Aventino'', Milano, F. Angeli, 1973.</ref>. Anziché rientrare in Parlamento e dar battaglia tra i banchi della minoranza preferì continuare a perseguire un semplice ruolo morale nei confronti dell'opinione pubblica<ref>Sull'eccessiva fiducia nel potere di ribellione morale della società, v. Tranfaglia, Nicola, ''Rosselli e l'aventino: L'eredità di Matteotti'', in: ''Movimento di Liberazione in Italia'', (1968): 3-34.</ref>.
I gruppi di ''Italia Libera'' furono soppressi già tra il 3 e il 6 gennaio 1925. Il giudizio del Senato come [[Alta corte di giustizia]] su [[Emilio De Bono]], sollecitato solo dalla denuncia di [[Luigi Albertini]] e dei cattolici,<ref>Grasso, Giovanni, ''I Cattolici e l'Aventino'', presentazione di [[Fausto Fonzi]]. n.p.: Roma : Studium, 1994.</ref>
Il 16 gennaio 1926 alcuni popolari e demosociali entrarono a [[Montecitorio]] per assistere alle celebrazioni solenni per la morte della regina [[Margherita di Savoia]], ma poco dopo la violenza repressiva di alcuni parlamentari fascisti li scacciò dall'aula<ref>Luigi Giorgi, ''I popolari, l'Aventino e il rientro nell'Aula di [[Montecitorio]] del 16 gennaio 1926'', Rivista annuale di storia, anno 21, 2017, Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma, DOI: 10.19272/201706601013.</ref> e lo stesso [[Mussolini]] il giorno dopo accusò il comportamento dei deputati aggrediti, accusandoli di indelicatezza nei confronti della sovrana.<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pag. 701, nota 17.</ref>
Tra il 16 e il 24 marzo 1926 si svolse il processo contro Dumini e le altre persone implicate nell'omicidio. La vicenda giudiziaria si chiuse con tre assoluzioni e tre condanne per [[omicidio preterintenzionale]] (tra cui lo stesso Dumini) tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni, di cui quattro condonati in seguito all'[[amnistia]] generale del 1926.
Nei giorni successivi all'[[Anteo Zamboni|attentato contro Mussolini]] del 31 ottobre 1926, si ebbe la soppressione delle libertà costituzionali, con l'approvazione delle [[leggi eccezionali del fascismo]]
Con il Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848
Il [[9 novembre]] [[1926]] la Camera dei deputati, riaperta per ratificare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani: [[Gregorio Agnini]], [[Giuseppe Albanese (politico)|Giuseppe Albanese]], [[Salvatore Aldisio]], [[Gino Alfani]], [[Filippo Amedeo]], [[Giovanni Bacci]], [[Gino Baldesi]], [[Arturo Baranzini]], [[Pietro Bellotti]], [[Roberto Bencivenga]], [[Arturo Bendini]], [[Guido Bergamo]], [[Mario Bergamo]], [[Mario Berlinguer]], [[Alessandro Bocconi]], [[Antonio Boggiano Pico]], [[Igino Borin]], [[Giambattista Bosco Lucarelli]], [[Roberto Bracco]], [[Giovanni Braschi]], [[Alessandro Brenci]], [[Carlo Bresciani (politico)|Carlo Bresciani]], [[Bruno Buozzi]], [[Vittorio Buratti]], [[Emilio Caldara]], [[Romeo Campanini]], [[Giuseppe Canepa]], [[Russardo Capocchi]], [[Paolo Cappa (politico)|Paolo Cappa]], [[Luigi Capra (politico)|Luigi Capra]], [[Luigi Carbonari (politico)|Luigi Carbonari]], [[Giulio Cavina]], [[Eugenio Chiesa]], [[Mario Cingolani]], [[Giovanni Antonio Colonna di Cesarò]], [[Paolo Conca]], [[Giovanni Conti (politico)|Giovanni Conti]], [[Felice Corini]], [[Giovanni Cosattini]], [[Mariano Costa]], [[Onorato Damen]], [[Raffaele De Caro]], [[Alcide De Gasperi]], [[Diego Del Bello]], [[Palmerio Delitala]], [[Luigi Fabbri (politico 1888
▲Con il Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848, tutti i partiti politici con l'eccezione del Partito Nazionale Fascista furono definitivamente soppressi in quanto ai [[prefetto (ordinamento italiano)|prefetti]] venne imposto di sciogliere qualsiasi partito o organizzazione politica contraria al fascismo, dando vita alla dittatura<ref>[[Ruggero Giacomini]], ''Il giudice e il prigioniero: Il carcere di [[Antonio Gramsci]]'', Castelvecchi ed., pag. 32, cita la circolare del Ministero dell'interno n. 27939 dell'8 novembre 1926.</ref>.
In un primo momento la mozione, presentata da [[Roberto Farinacci|Farinacci]], aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che erano rientrati in aula. Poi la mozione fu emendata da [[Augusto Turati]] ed estesa anche ai [[comunisti]]. Come effetto dell'ordine del giorno gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima [[Antonio Gramsci]], in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente,<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pagg. 697-715.</ref>
▲Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per ratificare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani: [[Gregorio Agnini]], [[Giuseppe Albanese (politico)|Giuseppe Albanese]], [[Salvatore Aldisio]], [[Gino Alfani]], [[Filippo Amedeo]], [[Giovanni Bacci]], [[Gino Baldesi]], [[Arturo Baranzini]], [[Pietro Bellotti]], [[Roberto Bencivenga]], [[Arturo Bendini]], [[Guido Bergamo]], [[Mario Bergamo]], [[Mario Berlinguer]], [[Alessandro Bocconi]], [[Antonio Boggiano Pico]], [[Igino Borin]], [[Giambattista Bosco Lucarelli]], [[Roberto Bracco]], [[Giovanni Braschi]], [[Alessandro Brenci]], [[Carlo Bresciani (politico)|Carlo Bresciani]], [[Bruno Buozzi]], [[Vittorio Buratti]], [[Emilio Caldara]], [[Romeo Campanini]], [[Giuseppe Canepa]], [[Russardo Capocchi]], [[Paolo Cappa (politico)|Paolo Cappa]], [[Luigi Capra (politico)|Luigi Capra]], [[Luigi Carbonari (politico)|Luigi Carbonari]], [[Giulio Cavina]], [[Eugenio Chiesa]], [[Mario Cingolani]], [[Giovanni Antonio Colonna di Cesarò]], [[Paolo Conca]], [[Giovanni Conti (politico)|Giovanni Conti]], [[Felice Corini]], [[Giovanni Cosattini]], [[Mariano Costa]], [[Onorato Damen]], [[Raffaele De Caro]], [[Alcide De Gasperi]], [[Diego Del Bello]], [[Palmerio Delitala]], [[Luigi Fabbri (politico 1888-1966)|Luigi Fabbri]], [[Cipriano Facchinetti]], [[Luciano Fantoni]], [[Giuseppe Faranda]], [[Enrico Ferrari]], [[Bruno Fortichiari]], [[Luigi Fulci]], [[Angelo Galeno]], [[Tito Galla]], [[Dante Gallani]], [[Egidio Gennari]], [[Annibale Gilardoni]], [[Vincenzo Giuffrida]], [[Enrico Gonzales]], [[Antonio Gramsci]], [[Achille Grandi]], [[Antonio Graziadei]], [[Ruggero Grieco]], [[Giovanni Gronchi]], [[Leonello Grossi]], [[Ugo Guarienti]], [[Giovanni Guarino Amella]], [[Ferdinando Innamorati]], [[Arturo Labriola]], [[Luigi La Rosa]], [[Costantino Lazzari]], [[Nicola Lombardi (politico)|Nicola Lombardi]], [[Ettore Lombardo Pellegrino]], [[Giovanni Maria Longinotti]], [[Emidio Lopardi]], [[Francesco Lo Sardo]], [[Arnaldo Lucci]], [[Emilio Lussu]], [[Luigi Macchi (politico)|Luigi Macchi]], [[Cino Macrelli]], [[Fabrizio Maffi]], [[Pietro Mancini (politico 1876)|Pietro Mancini]], [[Federico Marconcini]], [[Mario Augusto Martini]], [[Pietro Mastino]], [[Angelo Mauri]], [[Nino Mazzoni]], [[Giovanni Merizzi]], [[Umberto Merlin]], [[Giuseppe Micheli (politico)|Giuseppe Micheli]], [[Fulvio Milani]], [[Giuseppe Emanuele Modigliani]], [[Enrico Molè]], [[Guido Molinelli]], [[Riccardo Momigliano]], [[Giorgio Montini]], [[Alfredo Morea]], [[Oddino Morgari]], [[Elia Musatti]], [[Nunzio Nasi]], [[Tito Oro Nobili]], [[Angelo Noseda]], [[Giovanni Persico (politico 1878)|Giovanni Persico]], [[Guido Picelli]], [[Camillo Prampolini]], [[Enrico Presutti]], [[Antonio Priolo]], [[Luigi Repossi]], [[Ezio Riboldi]], [[Giulio Rodinò]], [[Giuseppe Romita]], [[Francesco Rossi (politico)|Francesco Rossi]], [[Giuseppe Srebrnic]], [[Mario Todeschini]], [[Claudio Treves]], [[Domenico Tripepi]], [[Filippo Turati]], [[Umberto Tupini]], [[Giovanni Uberti]], [[Arturo Vella]], [[Domenico Viotto]], [[Giulio Volpi]].<ref name="decadenza">{{cita web|url=http://storia.camera.it/regno/lavori/leg27/sed160.pdf|formato=PDF|titolo=Tornata di martedì 9 novembre 1926|editore=[[Camera dei deputati (Italia)|Camera dei deputati]]|pagina=6389-6394|accesso=23 marzo 2015}}</ref> A questi fu aggiunto anche il fascista dissidente [[Massimo Rocca]].<ref name="decadenza"/>
===Seguiti===
Filippo Turati riuscì a fuggire a [[Calvi (Francia)|Calvi]] in [[Corsica]], il 12 dicembre 1926, grazie all'aiuto di Carlo Rosselli, [[Sandro Pertini]] e [[Ferruccio Parri]], con un [[motoscafo]] partito da [[Savona]] e guidato da [[Italo Oxilia]].<ref>Antonio Martino: ''Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona'' in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516. e ''Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura'', Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.</ref>
▲In un primo momento la mozione, presentata da [[Roberto Farinacci|Farinacci]], aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che erano rientrati in aula. Poi la mozione fu emendata da [[Augusto Turati]] ed estesa anche ai [[comunisti]]. Come effetto dell'ordine del giorno gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima [[Antonio Gramsci]], in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pagg. 697-715.</ref>, era stato arrestato.
▲Filippo Turati riuscì a fuggire a [[Calvi (Francia)|Calvi]] in [[Corsica]], il 12 dicembre 1926, grazie all'aiuto di Carlo Rosselli, [[Sandro Pertini]] e [[Ferruccio Parri]], con un [[motoscafo]] partito da [[Savona]] e guidato da [[Italo Oxilia]]<ref>Antonio Martino: ''Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona'' in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516. e ''Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura'', Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.</ref>. Morì in esilio a Parigi nel 1932.
Dopo il suo arresto, Gramsci trascorse otto anni nel carcere di [[Turi]]. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in una clinica di Roma, dove venne meno nel 1937.
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== Collegamenti esterni ==
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[[Categoria:Eventi del 1924]]
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