Pensiero di Schopenhauer: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Traiano91 (discussione | contributi)
FrescoBot (discussione | contributi)
 
(38 versioni intermedie di 15 utenti non mostrate)
Riga 1:
{{torna a|Arthur Schopenhauer}}
[[File:Arthur Schopenhauer by J Schäfer, 1859b1845.jpg|thumb|Arthur Schopenhauer nel 1845]]
Il '''pensiero di [[Arthur Schopenhauer]]''', caratterizzato dal [[pessimismo]], anticipa motivi della più ampia [[filosofia della vita]] originatasi nel primo [[romanticismo tedesco]] in polemica con il [[positivismo]] e con la corrente dell'[[idealismo tedesco|idealismo "accademico"]] trionfante del [[XIX secolo]] di [[Fichte]], [[Friedrich Schelling|Schelling]] ed [[Hegel]], "i tre ciarlatani" come li definisce il filosofo tedesco,<ref>''Grande antologia filosofica: Il pensiero moderno (prima metà del secolo XIX)'' di Umberto Antonio Padovani, Andrea Mario Moschetti, Pagina 554, Ed. C. Marzorati, 1985</ref> ai quali contrappone un diverso [[idealismo]], a cui dichiarava espressamente di appartenere come filosofo.<ref>Wolfgang Schirmacher, ''La ragione ascetica. Schopenhauer nell'idealismo tedesco'', in "Verifiche", Trento, 1984, pp. 263-279: la polemica di Schopenahuer contro Fichte, Schelling ed Hegel non era tanto rivolta all'idealismo in sé, ma alle premesse da cui costoro partivano, giudicate erronee e fuorvianti.</ref>
 
{{Citazione|La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza: ossia essa è essenzialmente idealistica.|Arthur Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'', II, 1<ref>In ''Grande Antologia Filosofica'', Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pp. 602-3.</ref> }}
 
La sua filosofia parte dal [[Immanuel Kant|kantismo]] (ma giunge a respingere l'[[idealismo assoluto]] di Kant ereditato del [[pensiero di Hegel]]), da alcuni elementi dell'[[illuminismo]], dalla filosofia di [[Platone]] e dal [[romanticismo]], fondendoli con la suggestione esercitata dalle [[filosofie orientali|dottrine orientali]], specialmente quella [[buddhista]] e [[induista]].<ref>Vedi [[Urs App]]: ''Schopenhauer's Compass. An Introduction to Schopenhauer's Philosophy and its Origins''. Wil: UniversityMedia, 2014 (ISBN 978-3-906000-03-9)</ref>
La filosofia di Schopenhauer è molto articolata e complessa ed espressa già in buona parte nella sua opera giovanile, ''[[Il mondo come volontà e rappresentazione]]'', che contiene già gran parte del suo pensiero, poi riedita con aggiunte;. egliEgli sostiene che il [[Mondo (filosofia)|mondo]] è fondamentalmente ciò che ciascuna persona vede (una [[Rappresentazione (filosofia)|rappresentazione]] "[[relativismo|relativa]]") tramite la sua [[volontà]], nella quale consiste il principio [[assoluto]] della realtà, nascosto alla ragione.<ref>Schopenhauer assimila tale principio alla [[cosa in sé]] di [[Kant]], e la sua rappresentazione oggettiva all'[[idea]] di [[Platone]] (''Il mondo come volontà e rappresentazione'', § 31).</ref> La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, attuati sotto la spinta onnipervasiva della volontà, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, e infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente infelice. Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che neghi i desideri, simile agli insegnamenti [[ascetismo|ascetici]] dei [[Vedānta]] e delle [[Upanishad]] dell'[[induismo]] (si fa notare all'autore che i Vedānta e le Upaniṣad sono la stessa cosa), del [[Buddhismo]] delle origini, e dei [[Padri della Chiesa]] del primo [[Cristianesimo]], nonché una morale della [[compassione (filosofia)|compassione]], è quindi l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o, se esistenti, [[reincarnazione#Schopenhauer e la metempsicosi|nelle successive]]. Sull'[[esistenza di Dio]], Schopenhauer è invece sostanzialmente [[ateononteismo|non-teista]], almeno per quanto riguarda la concezione occidentale moderna di una divinità [[persona (filosofia)|personale]]. Egli non nutre né considerazione né fiducia alcuna nella massa degli esseri umani, fatto che lo conduce alla [[misantropia]].<ref>Giuseppe Invernizzi, ''Invito al pensiero di Schopenhauer''</ref>
 
== Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente ==
{{Vedi anche|Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente}}
In questa prima opera, una dissertazione pubblicata nel [[1813]], pronunciata per la tesi di laurea in filosofia che Schopenhauer conseguì a [[Jena]] in quello stesso anno, il filosofo tedesco sostiene che la [[causa (filosofia)|causalità]] rappresenta il [[principio di ragion sufficiente]] (definito per la prima volta da [[Gottfried Wilhelm von Leibniz]]) per il quale si può comprendere come il mondo dei fenomeni<ref>Il principio di ragion sufficiente è quello per cui di ogni cosa si può dare la ragione sufficiente a capirla così com'è mettendo da parte le ragioni che sarebbero necessarie per una comprensione completa.</ref> sia caratterizzato da quel totale [[determinismo]] [[materialismo|materialistico]] che sarà alla base del successivo sviluppo del suo pensiero.
 
Tutto è infatti determinato secondo quattro diverse [[necessità]]: la causalità, infatti con il rigido rapporto che lega l'effetto alla causa, la ritroviamo:
Riga 30:
 
=== Il nuovo significato della rappresentazione ===
La rappresentazione, infatti, non è più intesa in senso kantiano, come l'oggetto di qualsiasi atto conoscitivo, bensì per Schopenhauer è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Rapporto in cui entrambi sono sullo stesso piano. Il soggetto non è prioritario rispetto all'oggetto (come per l'un certo tipo di [[idealismo]] soprattutto fichtiano, che risolve l'oggetto nel soggetto) né l'oggetto è prioritario rispetto al soggetto (come per il [[realismo (filosofia)|realismo]] in cui è la realtà materiale che informa di sé la soggettività).
 
In effetti la realtà del mondo esterno non è stata risolta
* né dal realismo che presume sia la realtà a produrre nel soggetto la rappresentazione
* né dall'[[Idealismo#Idealismo gnoseologico|idealismo (conoscitivo)]] che presume sia il soggetto a produrre le rappresentazioni dell'oggetto.
Ambedue le correnti filosofiche hannosono erratoinesatte: la prima attribuendo la relazione causale, che è valida solo tra gli oggetti rappresentati, a due mondi del tutto diversi tra loro, per cui il materialista fa sorgere dalla [[materia (filosofia)|materia]] lo [[spirito (filosofia)|spirito]], senza accorgersi di operare impropriamente con il principio di causalità, ementre l'idealista ingenuo fa sorgere dallo spirito la materia utilizzando la [[categoria (filosofia)|categoria]] di causalità che serve solo a ordinare i fenomeni.
 
L'assenza di priorità dell'elemento soggettivo fa sì che le [[Funzione trascendentale|forme a priori]] non siano più il dato soggettivo che, secondo il pensiero kantiano, va a sommarsi a quello empirico "costituendo" l'oggetto, bensì che tali forme [[a priori]] siano già implicite, nella rappresentazione, cioè in quell'atto assolutamente primo della [[volontà]] in cui concorrono parimenti soggetto e oggetto.
 
Per Schopenhauer, come per Kant, forme a priori della intuizione sono lo [[Spazio (fisica)|spazio]] e il [[tempo]], che Schopenhauer considera principi di individuazione della materia; ma a queste egli aggiunge la [[causa (filosofia)|causalità]], la sola delle dodici kantiane forme a priori dell'intelletto (categorie) da lui preservate. In realtà, si trova in Schopenhauer una posizione molto diversa da quella kantiana sui rapporti tra intuizione e intelletto. La causalità è, secondo Schopenhauer, più una forma percettiva (cioè della dell'intuizione) che una forma puramente concettuale. Si potrebbe dire che per Schopenhauer la nostra stessa intelligenza opera percettivamente quando individua relazioni causali. Come osserva Dale Jacquette, "A bright person, according to Schopenhauer, is one who can directly perceive that things go together or that causality is at work in a certain way. [...] [Schopenhauer] explains intuitive representation more fully as the perception of causal regularities."<ref>{{Cita libro|autore = Dale Jacquette|titolo = The Philosophy of Schopenhauer|anno = 2005|editore = Routledge|città = London and New York|pp = 48-49|ISBN = 978-1-84465-008-8}}</ref> ("La persona brillante, secondo Schopenhauer, sa percepire direttamente che certe cose vanno insieme o che la causalità è all'opera in un certo modo. [...] [Schopenhauer] spiega in modo più approfondito la rappresentazione intuitiva quale percezione di regolarità causali.")
 
La causalità è considerata da Schopenhauer la vera e propria [[essenza (filosofia)|essenza]] della materia, essa è essenzialmente attività (tant'è che in tedesco ''wirklichkeit'' che significa "realtà" ha la stessa radice di ''wirken'' che vuol dire "agire"). Siccome la materia non è altro che l'agire nello spazio e nel tempo di oggetti su altri oggetti, la materia verrà a coincidere con la causalità.
 
Per Schopenhauer dunque l'[[intelletto]] non è più la facoltà kantiana che opera sulle rappresentazioni immediate (intuizioni) per formare i concetti (rappresentazioni di rappresentazioni) tramite le categorie, ma diviene la facoltà della causalità.
 
In ''Speculazione trascendente sull'apparente disegno intenzionale nel destino dell'individuo'' Schopenhauer analizza casi di nesso acausale che in seguito verrà definito da [[Carl Jung]] come [[sincronicità]].
 
=== Il velo di Maya ===
Schopenhauer riprende da [[Kant]] i concetti di [[fenomeno]] e [[noumeno]]. Il fenomeno è il prodotto della nostra coscienza, esso è il mondo come ci appare, mentre il noumeno è la [[cosa in sé]], fondamento ed essenza vera del mondo. Il fenomeno materiale è dunque per Schopenhauer solo parvenza, illusione, sogno: tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il [[velo di Maya]] di cui parla la [[filosofia indiana]], alla quale Schopenhauer spesso si rifà, pur cogliendone e accettandone solo l'aspetto pessimistico. Da SchopenahauerSchopenhauer questi concetti passeranno a parte della cultura tedesca ed europea successiva, anche con l'incontro con le [[religioni orientali]] vere e proprie; è stata osservata la somiglianza tra i concetti di ''[[Māyā (dottrina)|Māyā]]'' e ''[[Brahman]]'' dell'[[induismo]] con quelli di fenomeno e noumeno tipici dell'[[idealismo tedesco]], ricavati dal [[platonismo]] ([[idea]] e [[forma (filosofia)|forma sensibile]]), ma anche dell'''[[ātman]]'' con l'[[anima del mondo]]; nota è infatti la derivazione del platonismo dal [[pitagorismo]], che secondo alcuni aveva però ascendenze greco-indiane.<ref>[[Massimo Mila]], ''Introduzione a [[Siddharta (romanzo)|Siddharta]] di [[Hermann Hesse]]''; Mila cita anche [[Giacomo Prampolini]] che osserva a proposito delle affinità culturali tra indiani e tedeschi: «Una valutazione obiettiva non può negare che i due popoli hanno comune una spiccata tendenza alla contemplazione, alla speculazione astratta, al panteismo e perciò al ''[[Weltschmerz]]'', cioè a sentire il dolore cosmico» (cfr. anche [[Duḥkha]]) e l'opinione di [[William Walker Atkinson]] noto anche come Yogi [[Ramacharaka]].</ref>
 
Il mondo dunque è una propria rappresentazione, una propria illusione ottica. Schopenhauer ritiene che la rappresentazione, cioè la realtà che ci si para davanti, sia nient'altro che una "fotocopia mal inchiostrata", celante la vera realtà delle cose (da questa asserzione traspare l'influenza dello studio di [[Platone]]).
 
Per poter giungere alla realtà noumenica, quella vera, non si può quindi percorrere la strada della conoscenza razionale, visto che è relegata alla sfera della rappresentazione, che in base al quadruplice principio di ragion sufficiente ci mostrerà sempre un mondo totalmente determinato.
===Contro Hegel===
Come detto Schopenhauer definiva [[Hegel]], [[Fichte]] e [[Schelling]] tre "ciarlatani", e si schierava contro l'[[idealismo tedesco]] e l'[[idealismo assoluto]], pur definendosi egli stesso idealista. In particolare il primo era per lui «un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell'audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificati non-sensi». Schopenhauer sostenne che, se si volesse istupidire un giovane, basterebbe fargli leggere le opere di Hegel per renderlo inetto a pensare<ref>Arthur Schopenhauer, ''Parerga e Paralipomena''</ref>; critica menzionata ironicamente da [[Francesco De Sanctis|Francesco de Sanctis]] nel suo saggio ''[[Schopenhauer e Leopardi]]''.<ref>Francesco De Sanctis, ''Schopenhauer e Leopardi''</ref>
Hegel avrebbe risposto definendo Schopenhauer "ripugnante e ignorante".<ref>Nigel Warburton, ''Breve storia della filosofia'', cap. 22, pp. 142-143</ref>
Alla [[Pensiero di Hegel|rappresentazione hegeliana]] di un mondo retto dalla razionalità e da una finalità interna, Schopenhauer contrappone, infatti, quella di una realtà dominata da un cieco impulso irrazionale e da una pura volontà senza scopo.
 
== Il mondo come volontà ==
Se fossimo ''solo'' esseri conoscenti, rappresentanti, non potremmo mai scoprire la cosa in sé. Ma noi siamo anche corpo, che per il soggetto conoscente non è soltanto un oggetto come gli altri ma esso è «anche qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno e che viene designato con il nome di volontà».<ref>A. Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'',Trad.it. P.Savj-Lopez. Bari 1921, II, 18</ref>
 
La rappresentazione esterna non è solo quella rivolta alle cose esterne ma è anche quella interiore per cui noi cerchiamo di cogliere la [[coscienza (filosofia)|coscienza]] di noi stessi, del nostro io che coincide con la rappresentazione del nostro corpo. Con l'intelletto ciascuno di noi si guarda dal di fuori: non conosce se stesso se non come una cosa tra le altre cose, come un organismo corporeo tra gli altri corpi.
 
Ma se ognuno di noi non fosse che un puro soggetto sensoriale, "una testa d'angelo alata senza corpo",<ref>«In realtà sarebbe impossibile trovare il significato di questo mondo che ci sta dinanzi come rappresentazione, oppure comprendere il suo passaggio da semplice rappresentazione del soggetto conoscente a qualcosa d'altro e di più, se il filosofo stesso non fosse qualcosa di più che un puro soggetto conoscente (una testa d'angelo alata, senza corpo)» Schopenhauer, ''Il mondo...'' libro II, § 18, pp.137-138</ref> non potremo mai uscire dai fenomeni, ma poiché siamo corpo non ci limitiamo a guardarci dal di fuori ma ci ''sentiamo vivere'', sentiamo che il corpo ci appartiene, che è l'oggetto con cui l'io tende a identificarsi e che tutto questo genera dolore.
Riga 66 ⟶ 72:
 
=== La volontà di vivere ===
Proprio attraverso il corpo scopriamo che la realtà delle cose ci concerne, siamo nel mondo come una sua parte; difatti vogliamo, desideriamo certe cose e certe altre le evitiamo, rifuggiamo il dolore e ricerchiamo il piacere. Proprio questo ci permette di squarciare il velo del fenomeno e cogliere la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci in noi stessi, scopriamo che la radice noumenica del nostro io è la ''volontà'': noi siamo volontà di vivere (''Wille zum Leben''), un impulso irrazionale che ci spinge, malgrado noi stessi, a vivere e ad agire.
 
La materialità dell'io, la sua attività («l'azione del corpo non è che l'atto della volontà oggettivato»<ref>Schopenhauer, ''Il mondo...'', Par.18</ref>) ci mostra due facce diverse:
Riga 92 ⟶ 98:
Essendo questo ragionamento valevole per il corpo uomo, Schopenhauer lo estende per [[Analogia (retorica)|analogia]] a tutti gli altri corpi esperibili.
 
Il mondo [[Fenomeno|fenomenico]] risulta quindi l'oggettivazione della volontà ([[Principio di individuazione|individuazione]]), quella volontà che costituisce la [[cosa in sé]] ([[noumeno]]) e che si realizza in differenti gradi:
* forze (impenetrabilità, magnetismo, gravità ecc.)
* vegetali
* animali
* uomo.
Se per piante e animali la volontà si oggettiva nelle loro [[specie]], nell'uomo la volontà si realizza nei singoli [[Individuo|individui]], ognuno con un suo volere.
 
Le [[SostratoForma (filosofia)|specie filosofiche]] non sono altro che rappresentazioni empiriche riunenti tutti gli individui facenti capo a un'[[idea]] ([[Sostanza (filosofia)|sostanza]] o [[Sostrato (filosofia)|sostrato]]). La [[specie]] animale è anch'essa quindi una riproduzione empirica dell'idea. Per Schopenhauer le idee precedono (logicamente) le individualità empiriche come condizione della loro possibilità, perché solo le idee sono onnicomprensive di tutte le infinite e possibili rappresentazioni.
 
La differenza individuale tra gli individui di una medesima specie è attribuibile al [[principio di individuazione]] (quindi a spazio e tempo): la raggruppabilità sotto un'idea prescinde quindi dalle differenze empiriche.
 
Sottratte a spazio, tempo e causalità le idee sono paragonabili alle idee di [[Platone]], [[Ente (filosofia)|enti]] universali rispetto a cui il mondo fenomenico è una copia.<br />
Schopenhauer ricorda però che, a differenza di Platone, le idee non sono ancora la vera realtà (per Schopenhauer il [[nulla]], per cui il suo è un pensiero fondamentalmente [[Nichilismo|nichilistico]]), ma un passaggio intermedio tra il fenomenico e la volontà.<br />
Le idee quindi sono considerabili l'oggettivazione della volontà precedente l'oggettivazione nel mondo fenomenico.
 
Riga 120 ⟶ 126:
La [[legge]] che regola il [[mondo]] è quella del più forte: la lotta per la sopravvivenza spinge a crudeltà ed egoismi che rafforzano in chi li pratica la volontà di vivere e che accrescono nello stesso tempo il loro dolore.
 
«Noi ci illudiamo continuamente che l'oggetto voluto possa porre fine alla nostra volontà. Invece, l'oggetto voluto assume, appena conseguito, un'altra forma e sotto di essa si ripresenta. Esso è il vero demonio che sempre sotto nuove forme ci stuzzica».<ref>''Op.cit.'', pag. 143</ref>
 
In questa prospettiva, ogni potere, ogni prerogativa è sottratta all'uomo: il libero arbitrio, l'esistenza (e la sopravvivenza ''post-mortem'') dell'anima, come spiegato nel paragrafo successivo, e anche l'amore.
 
{{quote|La volontà vuole tutto sempre e di nuovo, la volontà spiega tutto. Una volontà che cessasse di volere non sarebbe più tale<ref>A. Schopenhauer, ''Op.cit.'', pag. 242</ref>}} Infatti è un volere senza posa, insaziabile, infinito, tendere senza scopo e senza possibilità di ottenere appagamento duraturo e il mondo è preda del dolore cosmico (''[[Weltschmerz]]'').
 
=== L'esistenza di Dio ===
Riga 137 ⟶ 143:
 
Schopenhauer nega inoltre che il [[libero arbitrio]] sia davvero completo, e soprattutto afferma l'incompatibilità della libertà di decidere autonomamente in caso di esistenza di un Creatore, in quanto l'uomo reca in sé delle caratteristiche innate, che comunque sono presenti in ogni caso in quanto derivano dalla [[natura]].
{{vedi anche|Pensiero di SchopenhauerPensiero_di_Schopenhauer#Schopenhauer e la metempsicosiSchopenhauer_e_la_metempsicosi}}
 
=== Il piacere come assenza di dolore e la noia ===
Riga 164 ⟶ 170:
Ogni forma di ottimismo è in questa ottica falsa e illusoria: come quello
* ''Cosmico'' ([[Hegel]], le religioni): vedere nel [[mondo]] la perfezione di un sistema, l'organizzazione [[provvidenza|provvidenziale]] di un qualsivoglia [[Dio]], [[Spirito (filosofia)|Spirito]], Sostanza o Ragione, è un'illusione consolatoria; le religioni sono “metafisiche per il popolo”;
* o ''Sociale'' ([[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]]<ref>Schopenhauer apprezza invece Rousseau come scrittore e memorialista, ma non come filosofo</ref>): l'uomo non è buono per natura, e non sono state le leggi imposte dalla [[società umana|società]] a corromperlo; ''[[homo homini lupus]]'', l'unica regola universale è questa, i rapporti umani sono sempre conflittuali perché mossi dal desiderio di sopraffazione reciproca. Riprendendo [[Thomas Hobbes]], Schopenhauer afferma che se gli uomini vivono insieme in società è solo per convenienza.
* o infine quello ''Storico'' ([[concezione romantica della storia]], [[storicismo]], [[positivismo]] e, seppur non nominato direttamente, [[Marx]]): non esiste progresso, la [[storia]] ci insegna solo che l'uomo è sempre uguale, non che egli muterà; la vita è segnata dal ciclo [[Duḥkha|nascita-sofferenza-morte]], non esiste alcun destino, né alcuna missione.
 
====La concezione dell'amore====
Riga 219 ⟶ 225:
 
L'uomo provando ''[[compassione (filosofia)|compassione]]'', nel senso originario del termine, cioè patendo assieme per il dolore degli altri, non solo prende coscienza del dolore ma lo sente e lo fa suo. La momentanea sconfitta della volontà di vivere si realizzerà poiché nella compassione è come se il singolo corpo del singolo uomo si dilatasse nel corpo degli altri uomini. La propria corporeità si assottiglia e la volontà di vivere è meno incisiva. Il dolore unendo gli uomini li accomuna e li conforta. Ma anche questa soluzione è parziale e momentanea.
La compassione è estesa anche [[Arthur Schopenhauer#Schopenhauer e gli animali|agli animali]]: «La pietà per gli animali è talmente legata alla bontà del carattere che si può a colpo sicuro sostenere che un uomo crudele verso gli animali non può essere un uomo buono [...] Bisogna che anche in Europa, finalmente, si imponga una verità [...] che non può essere più a lungo celata: che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti principali ed essenziali sono esattamente la stessa cosa che noi, e che la differenza risiede soltanto nel grado di intelligenza [...] Non già pietà, ma giustizia si deve all'animale...»
 
===L'ascesi===
Riga 232 ⟶ 239:
Questa è la vera soluzione: rendersi trasparenti alla volontà che continuerà ad attraversarci ma non troverà più il corpo. Quindi vivere una non vita con l'estenuazione dell'organismo, raggiungendo la nolontà, cioè la non-volontà, quindi il [[nulla]]. La completa negazione della volontà comporta con sé la negazione del mondo come oggettivazione di essa. In questa fase sono evidenti i riferimenti alla visione [[buddista]] e [[induista]] del [[Nirvana (religione)|Nirvana]] nel significato sia di 'estinzione' (da ''nir'' + √''va'', cessazione del soffio, estinzione) che, secondo una diversa etimologia proposta da un commentario buddhista di scuola [[Theravāda]], 'libertà dal [[Desiderio (filosofia)|desiderio]]' (''nir'' + ''vana'')<ref>Dalla voce ''nibbāna'' del ''Buddhist Dictionary - Manual of Buddhist Terms & Doctrines'' del ven. Ñanatiloka Thera</ref>
Poiché il simile può conoscere solo il simile, il mondo è solo autoconoscenza della volontà: oltre questo limite si sono spinti solo gli asceti, ma la loro esperienza è incomunicabile e la filosofia a questo punto si deve per forza fermare.<ref>A. Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'', I, 71</ref>
 
====La concezione rinunciataria====
Schopenhauer sa però che queste tappe sono estreme per la maggioranza degli uomini e per sé stesso (solo la volontà consapevole può essere annullata, mentre la volontà istintuale è sempre presente, non si può ''volere di non volere'' in maniera ragionata<ref>«Poiché l’auto-superamento della volontà dipende dal conoscere e ogni puro conoscere è indipendente dalla volontà, così anche quella negazione della volontà non può essere frutto della deliberazione, bensì procede dai più intimi nessi del conoscere e del volere, e perciò si produce improvvisamente come piombando dall’esterno». (In [http://www.filosofico.net/schopeemond13.htm ''La negazione della volontà''])</ref>), al limite dell'impraticabilità, e perciò egli conduce una vita appartata e "rinunciataria", anche se non ascetica e nemmeno troppo votata alla rinuncia (nonostante la sua [[misoginia]], ebbe molti rapporti con donne e di certo non praticò mai la castità<ref>Jim Holt, ''Perché il mondo esiste? Una detective-story filosofica'' [https://books.google.it/books?id=ifmkAQAAQBAJ&pg=PT28&lpg=PT28&dq=schopenhauer+ebbe+molte+donne&source=bl&ots=WmNDo2Nkn6&sig=WepAh__69IvGa60tsA_oUitQBek&hl=it&sa=X&ei=61uuVNOYIYfraNytgYAI&ved=0CC4Q6AEwAg#v=onepage&q=schopenhauer%20ebbe%20molte%20donne&f=false], Utet, 2013</ref>), e sostiene l'[[antinatalismo]], la scelta cioè di non avere figli per non perpetuare una discendenza che produca ulteriore dolore ai futuri nati.<ref>A. Schopenhauer, ''Parerga e paralipomena'', cap. 12 "Aggiunte alla dottrina del dolore del mondo"</ref><ref>[http://www.skuola.it/raccolta/0270e.htm ''Schopenhauer - le ascesi e le sue dimensioni'']</ref><ref>[http://www.filosofico.net/schopeemond13.htm ''La negazione della volontà'' (a cura di Diego Fusaro)]</ref>
 
====Schopenhauer e la metempsicosi====
Se l'[[ascetismo|ascesi]] [[mistica]] conduceva a [[Dio]], quella schopenhaueriana conduce al [[nulla]], è un misticismo [[ateismo|ateo]] o meglio [[non-teismo|non-teista]] che rifiuta il mondo giungendo alla pura negatività, anche se, pur essendo un non credente verso la fine della vita scriverà: {{quote|Quando la morte avrà chiuso i nostri occhi, noi ci troveremo in una luce, al cui confronto la nostra luce solare non è che un'ombra.|''Nuovi Paralipomeni''}} Probabilmente aveva una qualche credenza in una forma di [[metempsicosi]] o [[reincarnazione]], anche se mai troppo esplicita: {{quote|Se un asiatico mi domandasse la definizione dell'Europa sarei obbligato a rispondere: è quella parte del mondo infestata dall'incredibile illusione che l'uomo sia stato creato dal nulla e che la sua nascita sia la sua prima venuta nella vita.<ref>Schopenhauer, ''Parerga e Paralipomena'', vol. II, cap. XV</ref>}}{{quote|Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del [[apocatastasi|ritorno di tutte le cose]], quella induista della creazione del mondo che si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.}}
In certi passi fa riferimento al concetto di ''[[karma]]'', probabilmente intentendo metaforicamente come il "cedere alla volontà", autocondannandosi alla sofferenza:
{{quote|Il senso morale della metempsicosi, in tutte le religioni indiane, non è soltanto che dobbiamo espiare ogni torto commesso in una seguente rinascita; ma anche che ogni torto che ci capita di subire, dev'essere considerato da noi come ben meritato a causa delle nostre malefatte in un'esistenza anteriore.|Scritti postumi}}
 
====La concezione rinunciataria====
Schopenhauer sa però che queste tappe sono estreme per la maggioranza degli uomini e per sé stesso (solo la volontà consapevole può essere annullata, mentre la volontà istintuale è sempre presente, non si può ''volere di non volere'' in maniera ragionata<ref>«Poiché l’auto-superamento della volontà dipende dal conoscere e ogni puro conoscere è indipendente dalla volontà, così anche quella negazione della volontà non può essere frutto della deliberazione, bensì procede dai più intimi nessi del conoscere e del volere, e perciò si produce improvvisamente come piombando dall’esterno». (In [http://www.filosofico.net/schopeemond13.htm ''La negazione della volontà''])</ref>), al limite dell'impraticabilità, e perciò egli conduce una vita appartata e "rinunciataria", di [[Semplicità volontaria|volontaria semplicità]], anche se non ascetica e nemmeno troppo votata alla rinuncia (nonostante la sua [[misoginia]], ebbe molti rapporti con donne e di certo non praticò mai la castità<ref>Jim Holt, ''Perché il mondo esiste? Una detective-story filosofica'' [https://books.google.it/books?id=ifmkAQAAQBAJ&pg=PT28&lpg=PT28&dq=schopenhauer+ebbe+molte+donne&source=bl&ots=WmNDo2Nkn6&sig=WepAh__69IvGa60tsA_oUitQBek&hl=it&sa=X&ei=61uuVNOYIYfraNytgYAI&ved=0CC4Q6AEwAg#v=onepage&q=schopenhauer%20ebbe%20molte%20donne&f=false], Utet, 2013</ref>), e sostiene l'[[antinatalismo]], la scelta cioè di non avere figli per non perpetuare una discendenza che produca ulteriore dolore ai futuri nati.<ref>A. Schopenhauer, ''Parerga e paralipomena'', cap. 12 "Aggiunte alla dottrina del dolore del mondo"</ref><ref>[http://www.skuola.it/raccolta/0270e.htm ''Schopenhauer - le ascesi e le sue dimensioni'']</ref><ref>[http://www.filosofico.net/schopeemond13.htm ''La negazione della volontà'' (a cura di Diego Fusaro)]</ref>
 
====Cura di sé====
Per attenuare il dolore umano, Schopenhauer offre quindi una saggezza sofferta e provata su sé stesso, accessibile a tutti in forma aforistica: a corollario del ''Mondo'' e dei ''Parerga e paralipomena'', scrive quindi gli ''Aforismi sulla saggezza del vivere'', al fine di insegnare agli uomini "l'arte di condurre un'esistenza il più possibile piacevole e felice".<ref>A. Schopenhauer, ''Aforismi'', Introduzione</ref> Secondo alcuni, lo Schopenhauer degli ultimi lavori, nonostante il profondo pessimismo teorico, è avvicinabile (come accade per analoghi teorici del pessimismo come, ad esempio [[Leopardi]]), a una sorta di moderno "[[epicureismo]]", dove è teorizzata la ricerca del piacere come assenza di dolore (l'unico piacere che Schopenhauer riconosce tale): quindi non un pensatore cupo e ascetico, come vorrebbero gli assunti filosofici con cui conclude il ''Mondo'', ma un uomo amante della vita, intesa come [[cura di sé]], seppur estremamente disincantato.<ref>[[Michel Onfray]], ''Schopenhauer, Thoreau, Stirner. Le radicalità esistenziali. Controstoria della filosofia. Vol. VI'', Ponte alle Grazie, 2013, Parte II: ''Schopenhauer e la vita felice''</ref>
Riga 250 ⟶ 258:
* [[Romanticismo]]: riprende alcuni temi: l'irrazionalismo, il dolore, l'importanza (catartica) dell'[[arte]] e della [[musica]]. [[Richard Wagner]], in particolare, modificò la sua concezione della musica dopo aver letto ''Il mondo come volontà e rappresentazione'', specie nel testo della tetralogia ''[[L'anello del Nibelungo]]'' (la cessazione della volontà di vivere che accompagna il personaggio di [[Odino|Wotan]] nel secondo capitolo, ''[[La valchiria]]''<ref>«Rinuncio alla mia opera; solo una cosa bramo ancora: la fine! La fine!» (da ''[[La valchiria]]'', atto II)</ref>), nel ''[[Parsifal (opera)|Parsifal]]'' e nel ''[[Tristano e Isotta (opera)|Tristano e Isotta]]''. Nel dramma wagneriano sono presenti la Volontà, il giorno in cui gli amanti non possono realizzare i loro desideri e la Notte in cui la loro unione si compie, superamento della Volontà, anche se "l'ascesi erotica" dei due amanti è destinata a concludersi nella loro tragica fine<ref>F. Bolognesi, ''La vera dottrina dell'amore di Schopenhauer'' capitolo "Il pensiero schopenhaueriano nell'interpretazione di Wagner", Bologna, Barghigiani, 1980</ref>
* [[Idealismo]]: lo stesso idealismo post-kantiano produsse un influsso determinante su Schopenhauer, anche se in forma di reazione.<ref name="ref_A" /> Egli trasse notevoli spunti in particolare da [[Schelling]], in cui da giovane vedeva «molto di buono e di vero», pur restandone in seguito deluso: da lui riprese l'esigenza di non escludere dall'orizzonte filosofico la natura, regno della necessità contrapposto a quello della libertà, così come le riflessioni sull'oggettivazione delle forme, sulla [[polarità]], sull'[[analogia (filosofia)|analogia]] e sul [[finalismo]], sostituendo però l'Assoluto schellinghiano con la [[Volontà]] di vita come principio metafisico.<ref>Marco Segala, ''[http://www.item.ens.fr/index.php?id=577210 Schopenhauer è antischellinghiano?]'', "Rivista di Filosofia", XCII, n. 2, 2001, pp. 235-265.</ref> L'infinito, ovvero l'idea cardine del romanticismo, è d'altronde il perno su cui si fonda sia il pensiero idealistico sia quello di Schopenhauer.<ref>{{Cita libro|autore = Nicola Abbagnano|titolo = La Filosofia del Romanticismo|anno = |editore = Tea|città = }}</ref>
* [[Religioni indiane|Spiritualità indiana]], [[induista]] e [[buddhista]]: Schopenhauer le conosce attraverso l'orientalista Friederich Mayer; ammira molto la [[Filosofie orientali|sapienza orientale]], specialmente l'[[induismo]] tanto da sottintenderla con molte espressioni e immagini nelle sue opere. La [[Buddhismo|filosofia buddhista]] ha grande rilievo in Schopenhauer specialmente per la tematica del ''dolore'' il cui superamento è uno degli assi portanti del pensiero del [[Gautama Buddha|Buddha]], ammirato dal filosofo tedesco al punto da tenerne una statuetta di bronzo in casa<ref>[https://1.bp.blogspot.com/-ZmgIrFTu5iI/WE_YVFJomhI/AAAAAAAAC24/Xz2TGxVn7YY8pzJTipoXt8W_wjO_8Jh_wCEw/s1600/schopenhauerbuddha.jpg Fotografia]</ref>, proveniente con probabilità dalla [[Birmania]]<ref>Arthur Schopenhauer’s Bronze Buddha: Neither Tibetan nor Thai, but Shan by Robert Wicks (Auckland); la statua, di cui restano fotografie in bianco e nero, è stata identificata come arte dell'attuale [[Myanmar]] del periodo Shan, benché Schopenhauer credesse, come colui presso l'aveva acquistata, che provenisse dal [[Tibet]] o dalla [[Impero cinese|Cina]]</ref>, e autodefinirsi "buddhista"<ref>David E. Cartwright, ''Schopenhauer: A Biography'', p. 273</ref>.
{{quote|A diciassette anni, digiuno di qualsiasi istruzione scolastica di alto livello, fui turbato dallo strazio della vita proprio come Buddha in gioventù, allorché prese coscienza della malattia, della vecchiaia, del dolore, della morte. La verità, che mi parlava in modo così chiaro e manifesto del mondo, presto ebbe la meglio sui dogmi [[Rapporti tra cristianesimo ed ebraismo|giudaici]] che erano stati inculcati anche in me...|Il mio Oriente, Introduzione}}
{{quote|In India, le nostre religioni non attecchiranno mai; l'antica saggezza della razza umana non sarà oscurata dagli [[Origini del cristianesimo|eventi in Galilea]]. Al contrario, la saggezza indiana fluirà indietro verso l'Europa, e produrrà cambiamenti fondamentali nel nostro pensiero e nelle nostre conoscenze.}}
{{quote|Il [[bramanesimo]] e il buddismo, fedeli alla verità, riconoscono decisamente la palese parentela dell'uomo, come in generale con l'intera natura, così anzitutto con la natura animale e, mediante la metempsicosi e in altri modi, rappresentano l'essere umano come collegato strettamente con il mondo degli animali.}}
La volontà di Schopenhauer è simile a diversi concetti orientali: [[samsara]], [[karma]], [[coproduzione condizionata]], [[Desiderio (filosofia)|desideri]] (specialmente i [[Tre veleni|negativi]]) e [[Skandha|cinque aggregati]].
 
La sua rielaborazione dei concetti di questa religione è stata in seguito ritenuta superficiale dagli orientalisti moderni, tuttavia è riconosciuto che egli non aveva abbastanza informazioni dirette e precise sulle religioni orientali, in quanto molti testi originali non erano disponibili e molti concetti non ancora approfonditi e studiati.<ref>{{Cita|Vecchiotti (2007)|p. 168}}: «Già pur nell'ambito della filosofia indiana nel suo complesso [...] lo Schopenhauer non ha le conoscenze superiori a quelle degli altri studiosi del tempo, come ad esempio Hegel, né ha conoscenze linguistiche adeguate (ignorò sempre il pāli ed ebbe al massimo qualche modestissima conoscenza di sanscrito). Si pensi poi per quanto riguarda il Buddhismo in particolare, che un'opera come quella di Burnouf, Introduction à l'Histoire du Bouddhisme Indien, uscì almeno qualche anno prima della morte del filosofo, che senza dubbio la lesse ma senza potervi trovare alcun riferimento alla dottrina del dharma, che lo stesso Burnouf ignorò, anche gli interrelati sviluppi del concetto di nirvāṇa, che tanto più furono ignorati dallo stesso Schopenhauer ...»</ref> Schopenhauer, come molti studiosi occidentali precedenti o contemporanei, riteneva il buddhismo una religione ateistica<ref>{{Cita|Hisamatsu (1996)}}.</ref><ref>{{Cita|Obadia (2009)| p. 45}}.: «Dall'Ottocento agli inizi del Novecento uno dei tratti più costanti delle interpretazioni del buddhismo consiste nel non riconoscergli lo statuto di religione. Questo argomento, uno dei temi classici dell'orientalismo erudito ottocentesco, si ripresenta con forza alla fine del Novecento per giustificare il successo del buddhismo nelle società occidentali moderne. La sua trasfigurazione in una "non-religione" si spiega in primo luogo con la conoscenza parziale e selettiva che gli occidentali ne avevano (e ne hanno tuttora) [...]. Per secoli, secondo gli europei, le sole vere religioni sono state le tradizioni del libro (i monoteismi): il cristianesimo, l'islam e il giudaismo. I criteri di definizione delle religioni non si sono mai applicati al buddhismo, allora (e spesso anche oggi) descritto come privo di una figura divina, di un credo, di una dogmatica. Nel pensiero occidentale dell'Ottocento esso non poteva rappresentare una teologia e tuttavia doveva necessariamente essere pensato in termini classificatori, facendo riferimento alle grandi religioni.»</ref> in quanto [[ignosticismo|indifferente]] all'esistenza dei ''[[deva]]'' e per la presenza della dottrina dell'[[anātman]]<ref>La dottrina dell'anatman e della [[vacuità]], mal compresa agli inizi dai missionari che vi videro analogie con il [[nulla]] e il [[non-essere]] non conoscendo la dottrina specifica della [[coproduzione condizionata]], fu all'origine della visione occidentale del buddhismo come una filosofia nichilista, cosa sempre respinta dai buddhisti. Si veda anche: Klaus K. Klostermeier, ''Buddhismo. Una introduzione'', Fazi Editore, 2005, p. 38-39</ref> (inteso come assenza di [[anima]] individuale), pur includendo la dottrina della [[reincarnazione#Reincarnazione nel Buddhismo|rinascita]], fino al raggiungimento del [[nirvana]], di una coscienza individuale che persiste (''[[vijnana]]''). Nel pensiero di Schopenhauer quest'ultimo concetto viene ripreso quando si parla della volontà [[principio di individuazione|individuata]] che si perpetua negli esseri viventi fino al raggiungimento della ''noluntas''.<ref>{{Cita|Grimm| p. 116 e segg.}}</ref><ref>A. Schopenhauer, ''Parerga e paralipomena'', II, p. 301 e segg.</ref>
 
Schopenhauer, inoltre, riteneva le religioni indiane (non considerando eccessivamente importante la religiosità politeista [[Bhakti|devozionale]] indiana - ossia rivolta verso un dio personale - dal punto di vista filosofico, come accade in realtà solo in alcune scuole quali ad esempio l'[[Advaita Vedanta]], che si rivolgono alla ricerca di un ''[[brahman]]'' universale più che ai ''deva'') e specialmente il [[Buddhadharma|pensiero originale del Buddha]], specificatamente [[antiteismo|anti-teiste]]; se la rappresentazione è corrispondente al concetto di velo di Maya, egli identificava discutibilmente il ''brahman'' con la [[volontà]] e la [[cosa in sé]]<ref>A. Borsari, ''Schopenhauer educatore? Storia e crisi di un'idea tra filosofia morale, estetica e antropologia'', p. 52</ref> per cui mentre l'induista aspirerebbe con la [[moksha]] a riunirsi ad esse, il buddhista, com'è descritto nella concezione di Schopenhauer, vorrebbe superarle<ref name=guris>{{Cita libro|autore=Giovanni Gurisatti|capitolo=Schopenhauer e l'India}} Appendice a {{Cita|Gurisatti (2007)|pp. 187-222}}.</ref>.
 
Ma mentre il Buddha ottimisticamente teorizza - dopo aver identificato nel desiderio la sorgente della sofferenza - come possibile il raggiungimento del ''[[nirvana]]'' (superando il ''[[samsara]]'', come indicato nell'ultima delle [[quattro nobili verità]] e nel [[nobile ottuplice sentiero]]) dal filosofo tedesco identificato con il [[nulla]], Schopenhauer pessimisticamente è scettico che si possa conseguire la ''noluntas'' trascendendo la volontà, anche se indica delle vie per attenuare il dolore dell'esistenza.<ref name=guris/>.
Riga 279 ⟶ 287:
La filosofia di Schopenhauer ebbe riflessi significativi nell'arte e nella cultura, non solo filosofica, dell'Ottocento e del Novecento.
 
In campo letterario la visione schopenhaueriana è sottesa nelle opere di [[Lev Tolstoj|Tolstoj]], [[Maupassant]], [[Kafka]], [[Italo Svevo]], [[Thomas Hardy]], [[Hermann Hesse]], [[Thomas Mann]] e forse di [[Giacomo Leopardi]] (anche se non sappiamo con certezza se egli lesse delle pagine di Schopenhauer<ref>Lucio Felici, ''La luna nel cortile: capitoli leopardiani'', Rubbettino, 2006, p.177 e sgg.</ref>), con cui vi sono notevoli analogie.
Scrive [[Francesco De Sanctis]]:
{{Citazione|Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché. [...] Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del Wille.<ref>{{Cita|De Sanctis (1858)|p. 274}} (edizione originale in ''Rivista contemporanea'', 1858 vol.XV, pp.369-408</ref> }}
Ernst Otto Lindner, traduttore dei [[Canti (Giacomo Leopardi)|Canti]] di Leopardi per la ''Vossische Zeitung'', fece leggere l'articolo del De Sanctis a Schopenhauer a cui piacque vedersi accostato a Leopardi, un «più giovane ed infelice fratello che, perdutosi per uno strano destino e sentendo in sé lo spirito del suo possente fratello più anziano si esprime a modo suo tendente a raggiungere la grandezza dell'originale.»<ref>{{Cita|De Lorenzo (1923)|p. 35}}.</ref> e lodò il de Sanctis che pure lo criticava nel finale del dialogo:
{{Citazione|Ho letto quel dialogo due volte attentamente, e debbo stupire nel riconoscere in qual grado [[Francesco de Sanctis|questo italiano]] si sia impossessato della mia filosofia.<ref>[http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/980628b.htm Sito Web Italiano per la Filosofia-IL SOLE 24 ORE-28 GIUGNO 1998] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20070302065914/http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/980628b.htm |data=2 marzo 2007 }}</ref>}}
 
In filosofia si rifarranno all'opera maggiore di Schopenhauer il giovane [[Nietzsche]]<ref>{{Cita|Nietzsche (1874)}}.</ref> che si considerò suo discepolo, [[Bergson]] e, [[Sigmund Freud|Freud]] e [[Carl Gustav Jung|Jung]]; autori molto distanti dalla sua filosofia, come [[Max Horkheimer]] e [[Wittgenstein]], presero alcuni elementi del suo pessimismo considerato filosoficamente come punto di riferimento, nella sua esemplarità, di ogni visione negativa dell'esistenza. In seguito anche [[Heidegger]] ne riprenderà i concetti. Fondamentale fu per la genesi del pensiero di diversi autori quali [[Emil Cioran]], [[Thomas Bernhard]], [[Anacleto Verrecchia]], [[Manlio Sgalambro]] e molti altri.<ref>{{Cita|Sgalambro (1997)|p. 60}} e la prefazione a {{Cita|"La filosofia delle università"|| SchopenhauerU}}</ref>
 
Nella religione influì su una ripresa del [[misticismo]]: «agì soprattutto su quello che può essere chiamato spiritualismo [[Gnosticismo moderno|gnostico]]<ref>cfr. E. von Hartmann, A. Spir e P. Martinetti, in particolare si veda {{Cita|Martinetti (1941)}}</ref> (si veda [[Eduard von Hartmann]]), ma la sua influenza è presente in una mentalità diffusissima nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi del Novecento...», influenzando l'interesse delle classi intellettuali e medie per la [[teosofia]], l'[[Induismo in Occidente|induismo]] e il [[buddhismo in Occidente]].<ref>Perone, Ferretti, Ciancio, ''Storia del pensiero filosofico'', Torino, SEI, 1974 p. 140</ref>
Riga 319 ⟶ 327:
 
== Bibliografia ==
{{Div col}}
* {{Cita libro|autore=[[Friedrich Nietzsche]]|titolo=Schopenhauer come educatore|annooriginale=1874|curatore=G.Colli,|traduttore=[[Mazzino Montinari]]|città=Milano|editore=Adelphi|anno=1985|cid=Nietzsche (1874)}}
* {{Cita libro|autore=[[Piero Martinetti]]|titolo=Schopenhauer|annooriginale=1941|città=Genova|editore=Il nuovo Melangolo|anno=2005|curatore=Mirko Fontemaggi|isbn=88-7018-554-0|cid=Martinetti (1941)}}
Riga 330 ⟶ 337:
* {{Cita libro|autore=Lionel Obadia|titolo=Il buddhismo in Occidente|città=Bologna|editore=il Mulino|anno=2009|isbn= 8815128662|cid=Obadia (2009)}}
* {{Cita libro|autore=Icilio Vecchiotti|titolo=Storia del buddismo indiano|volume=1|città=Roma|editore=Editori Riuniti|anno=2007|isbn=8835959284 |cid=Vecchiotti (2007)}}
* {{Cita libro|autore=[[Francesco De Sanctis]]|titolo=Saggi critici|città=Napoli|editore=[[Antonio Morano]]|anno=1888|cid=De Sanctis (1858)|capitolo=Dialogo tra A. e D.|url=https://archive.org/details/saggicritici00desa/page/274/mode/2up|annooriginale=1858}}
* {{Cita libro|autore=Georg Grimm|titolo=Gli insegnamenti del Buddha|città =Roma|editore=Edizioni Mediterranee|anno=1994|isbn=88-2721-019-9|traduttore=C. Tarantino|cid=Grimm}}
{{Div col end}}
 
==Approfondimenti==
<div class="references-small" style="font-size:90%;">
{{Div col}}
* F. Mei. ''Etica e politica in Schopenhauer''. Padova, Cedam, 1958.
* F. Bolognesi. ''La vera dottrina dell'amore di Schopenhauer''. Roma, Ubaldini, 1969.
Riga 385 ⟶ 387:
* Sartorelli Fausto, ''Il pessimismo di Arturo Schopenhauer'', Giuffrè, 1951
* Yalom Irvin D., ''La Cura di Schopenhauer'', Neri Pozza, 2005
* Hegel, FriedrichG. W. F., ''Fenomenologia della natura''. Con testi di Kant, Schelling, Goethe, Schopenhauer. Unicopli
* I. Vecchiotti, ''Introduzione a Schopenhauer'', Bari, Laterza, 1973;
* idI. Vecchiotti, ''Arthur Schopenhauer: Storia di una filosofia e della sua "fortuna"'', Firenze, La Nuova Italia, 1976.
 
{{Div col end}}
==Voci correlate==
</div>
* [[Schopenhauer e Leopardi]]
 
{{Portale|filosofia}}
 
[[Categoria:Posizioni e teorie filosofiche| Schopenhauer]]
[[Categoria:Arthur Schopenhauer]]