Pensiero di Schopenhauer: differenze tra le versioni
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[[File:Arthur Schopenhauer 1845.jpg|thumb|Arthur Schopenhauer nel 1845]]
Il '''pensiero di [[Arthur Schopenhauer]]''', caratterizzato dal [[pessimismo]], anticipa motivi della più ampia [[filosofia della vita]] originatasi nel primo [[romanticismo tedesco]] in polemica con il [[positivismo]] e con la corrente dell'[[idealismo tedesco|idealismo "accademico"]] trionfante del [[XIX secolo]] di [[Fichte]], [[Friedrich Schelling|Schelling]] ed [[Hegel]], "i tre ciarlatani" come li definisce il filosofo tedesco,<ref>''Grande antologia filosofica: Il pensiero moderno (prima metà del secolo XIX)'' di Umberto Antonio Padovani, Andrea Mario Moschetti, Pagina 554, Ed. C. Marzorati, 1985</ref> ai quali contrappone un diverso [[idealismo]], a cui dichiarava espressamente di appartenere come filosofo.<ref>Wolfgang Schirmacher, ''La ragione ascetica. Schopenhauer nell'idealismo tedesco'', in "Verifiche", Trento, 1984, pp. 263-279: la polemica di Schopenahuer contro Fichte, Schelling ed Hegel non era tanto rivolta all'idealismo in sé, ma alle premesse da cui costoro partivano, giudicate erronee e fuorvianti.</ref>
{{Citazione|La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza: ossia essa è essenzialmente idealistica.|Arthur Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'', II, 1<ref>In ''Grande Antologia Filosofica'', Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pp. 602-3.</ref> }}
La sua filosofia parte dal [[Immanuel Kant|kantismo]] (ma giunge a respingere l'[[idealismo assoluto]] di Kant ereditato del [[pensiero di Hegel]]), da alcuni elementi dell'[[illuminismo]], dalla filosofia di [[Platone]] e dal [[romanticismo]], fondendoli con la suggestione esercitata dalle [[filosofie orientali|dottrine orientali]], specialmente quella [[buddhista]] e [[induista]].<ref>Vedi [[Urs App]]: ''Schopenhauer's Compass. An Introduction to Schopenhauer's Philosophy and its Origins''. Wil: UniversityMedia, 2014 (ISBN 978-3-906000-03-9)</ref>
La filosofia di Schopenhauer è molto articolata e complessa ed espressa già in buona parte nella sua opera giovanile, ''[[Il mondo come volontà e rappresentazione]]'', che contiene già gran parte del suo pensiero, poi riedita con aggiunte. Egli sostiene che il [[Mondo (filosofia)|mondo]] è fondamentalmente ciò che ciascuna persona vede (una [[Rappresentazione (filosofia)|rappresentazione]] "[[relativismo|relativa]]") tramite la sua [[volontà]], nella quale consiste il principio [[assoluto]] della realtà, nascosto alla ragione.<ref>Schopenhauer assimila tale principio alla [[cosa in sé]] di [[Kant]], e la sua rappresentazione oggettiva all'[[idea]] di [[Platone]] (''Il mondo come volontà e rappresentazione'', § 31).</ref> La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, attuati sotto la spinta onnipervasiva della volontà, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, e infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente infelice. Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che neghi i desideri, simile agli insegnamenti [[ascetismo|ascetici]] dei [[Vedānta]] e delle [[Upanishad]] dell'[[induismo]] (si fa notare all'autore che i Vedānta e le Upaniṣad sono la stessa cosa), del [[Buddhismo]] delle origini, e dei [[Padri della Chiesa]] del primo [[Cristianesimo]], nonché una morale della [[compassione (filosofia)|compassione]], è quindi l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o, se esistenti, [[#Schopenhauer e la metempsicosi|nelle successive]]. Sull'[[esistenza di Dio]], Schopenhauer è invece sostanzialmente [[
== Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente ==
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=== Il nuovo significato della rappresentazione ===
La rappresentazione, infatti, non è più intesa in senso kantiano, come l'oggetto di qualsiasi atto conoscitivo, bensì per Schopenhauer è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Rapporto in cui entrambi sono sullo stesso piano. Il soggetto non è prioritario rispetto all'oggetto (come per
In effetti la realtà del mondo esterno non è stata risolta
* né dal realismo che presume sia la realtà a produrre nel soggetto la rappresentazione
* né dall'[[Idealismo#Idealismo gnoseologico|idealismo (conoscitivo)]] che presume sia il soggetto a produrre le rappresentazioni dell'oggetto.
Ambedue le correnti filosofiche
L'assenza di priorità dell'elemento soggettivo fa sì che le [[Funzione trascendentale|forme a priori]] non siano più il dato soggettivo che, secondo il pensiero kantiano, va a sommarsi a quello empirico "costituendo" l'oggetto, bensì che tali forme [[a priori]] siano già implicite, nella rappresentazione, cioè in quell'atto assolutamente primo della [[volontà]] in cui concorrono parimenti soggetto e oggetto.
Per Schopenhauer, come per Kant, forme a priori della intuizione sono lo [[Spazio (fisica)|spazio]] e il [[tempo]], che Schopenhauer considera principi di individuazione della materia; ma a queste egli aggiunge la [[causa (filosofia)|causalità]], la sola delle dodici kantiane forme a priori dell'intelletto (categorie) da lui preservate. In realtà, si trova in Schopenhauer una posizione molto diversa da quella kantiana sui rapporti tra intuizione e intelletto. La causalità è, secondo Schopenhauer, più una forma percettiva (cioè
La causalità è considerata da Schopenhauer la vera e propria [[essenza (filosofia)|essenza]] della materia, essa è essenzialmente attività (tant'è che in tedesco ''wirklichkeit'' che significa "realtà" ha la stessa radice di ''wirken'' che vuol dire "agire"). Siccome la materia non è altro che l'agire nello spazio e nel tempo di oggetti su altri oggetti, la materia verrà a coincidere con la causalità.
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Se fossimo ''solo'' esseri conoscenti, rappresentanti, non potremmo mai scoprire la cosa in sé. Ma noi siamo anche corpo, che per il soggetto conoscente non è soltanto un oggetto come gli altri ma esso è «anche qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno e che viene designato con il nome di volontà».<ref>A. Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'',Trad.it. P.Savj-Lopez. Bari 1921, II, 18</ref>
La rappresentazione esterna non è solo quella rivolta alle cose esterne ma è anche quella interiore per cui noi cerchiamo di cogliere la [[coscienza (filosofia)|coscienza]] di noi stessi, del nostro io che coincide con la rappresentazione del nostro corpo. Con l'intelletto ciascuno di noi si guarda dal di fuori: non conosce
Ma se ognuno di noi non fosse che un puro soggetto sensoriale, "una testa d'angelo alata senza corpo",<ref>«In realtà sarebbe impossibile trovare il significato di questo mondo che ci sta dinanzi come rappresentazione, oppure comprendere il suo passaggio da semplice rappresentazione del soggetto conoscente a qualcosa d'altro e di più, se il filosofo stesso non fosse qualcosa di più che un puro soggetto conoscente (una testa d'angelo alata, senza corpo)» Schopenhauer, ''Il mondo...'' libro II, § 18, pp.137-138</ref> non potremo mai uscire dai fenomeni, ma poiché siamo corpo non ci limitiamo a guardarci dal di fuori ma ci ''sentiamo vivere'', sentiamo che il corpo ci appartiene, che è l'oggetto con cui l'io tende a identificarsi e che tutto questo genera dolore.
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Essendo questo ragionamento valevole per il corpo uomo, Schopenhauer lo estende per [[Analogia (retorica)|analogia]] a tutti gli altri corpi esperibili.
Il mondo [[Fenomeno|fenomenico]] risulta quindi l'oggettivazione della volontà ([[Principio di individuazione|individuazione]]), quella volontà che costituisce la [[cosa in sé]] ([[noumeno]]) e che si realizza in differenti gradi:
* forze (impenetrabilità, magnetismo, gravità ecc.)
* vegetali
* animali
* uomo.
Se per piante e animali la volontà si oggettiva nelle loro [[specie]], nell'uomo la volontà si realizza nei singoli [[Individuo|individui]], ognuno con un suo volere.
Le [[
La differenza individuale tra gli individui di una medesima specie è attribuibile al [[principio di individuazione]] (quindi a spazio e tempo): la raggruppabilità sotto un'idea prescinde quindi dalle differenze empiriche.
Sottratte a spazio, tempo e causalità le idee sono paragonabili alle idee di [[Platone]], [[Ente (filosofia)|enti]] universali rispetto a cui il mondo fenomenico è una copia.<br />
Schopenhauer ricorda però che, a differenza di Platone, le idee non sono ancora la vera realtà (per Schopenhauer il [[nulla]], per cui il suo è un pensiero fondamentalmente [[Nichilismo|nichilistico]]), ma un passaggio intermedio tra il fenomenico e la volontà.<br />
Le idee quindi sono considerabili l'oggettivazione della volontà precedente l'oggettivazione nel mondo fenomenico.
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====Schopenhauer e la metempsicosi====
Se l'[[ascetismo|ascesi]] [[mistica]] conduceva a [[Dio]], quella schopenhaueriana conduce al [[nulla]], è un misticismo [[
In certi passi fa riferimento al concetto di ''[[karma]]'', probabilmente intentendo metaforicamente come il "cedere alla volontà", autocondannandosi alla sofferenza:
{{quote|Il senso morale della metempsicosi, in tutte le religioni indiane, non è soltanto che dobbiamo espiare ogni torto commesso in una seguente rinascita; ma anche che ogni torto che ci capita di subire, dev'essere considerato da noi come ben meritato a causa delle nostre malefatte in un'esistenza anteriore.|Scritti postumi}}
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{{quote|In India, le nostre religioni non attecchiranno mai; l'antica saggezza della razza umana non sarà oscurata dagli [[Origini del cristianesimo|eventi in Galilea]]. Al contrario, la saggezza indiana fluirà indietro verso l'Europa, e produrrà cambiamenti fondamentali nel nostro pensiero e nelle nostre conoscenze.}}
{{quote|Il [[bramanesimo]] e il buddismo, fedeli alla verità, riconoscono decisamente la palese parentela dell'uomo, come in generale con l'intera natura, così anzitutto con la natura animale e, mediante la metempsicosi e in altri modi, rappresentano l'essere umano come collegato strettamente con il mondo degli animali.}}
La volontà di Schopenhauer è simile a diversi concetti orientali
La sua rielaborazione dei concetti di questa religione è stata in seguito ritenuta superficiale dagli orientalisti moderni, tuttavia è riconosciuto che egli non aveva abbastanza informazioni dirette e precise sulle religioni orientali, in quanto molti testi originali non erano disponibili e molti concetti non ancora approfonditi e studiati.<ref>{{Cita|Vecchiotti (2007)|p. 168}}: «Già pur nell'ambito della filosofia indiana nel suo complesso [...] lo Schopenhauer non ha le conoscenze superiori a quelle degli altri studiosi del tempo, come ad esempio Hegel, né ha conoscenze linguistiche adeguate (ignorò sempre il pāli ed ebbe al massimo qualche modestissima conoscenza di sanscrito). Si pensi poi per quanto riguarda il Buddhismo in particolare, che un'opera come quella di Burnouf, Introduction à l'Histoire du Bouddhisme Indien, uscì almeno qualche anno prima della morte del filosofo, che senza dubbio la lesse ma senza potervi trovare alcun riferimento alla dottrina del dharma, che lo stesso Burnouf ignorò, anche gli interrelati sviluppi del concetto di nirvāṇa, che tanto più furono ignorati dallo stesso Schopenhauer ...»</ref> Schopenhauer, come molti studiosi occidentali precedenti o contemporanei, riteneva il buddhismo una religione ateistica<ref>{{Cita|Hisamatsu (1996)}}.</ref><ref>{{Cita|Obadia (2009)| p. 45}}.: «Dall'Ottocento agli inizi del Novecento uno dei tratti più costanti delle interpretazioni del buddhismo consiste nel non riconoscergli lo statuto di religione. Questo argomento, uno dei temi classici dell'orientalismo erudito ottocentesco, si ripresenta con forza alla fine del Novecento per giustificare il successo del buddhismo nelle società occidentali moderne. La sua trasfigurazione in una "non-religione" si spiega in primo luogo con la conoscenza parziale e selettiva che gli occidentali ne avevano (e ne hanno tuttora) [...]. Per secoli, secondo gli europei, le sole vere religioni sono state le tradizioni del libro (i monoteismi): il cristianesimo, l'islam e il giudaismo. I criteri di definizione delle religioni non si sono mai applicati al buddhismo, allora (e spesso anche oggi) descritto come privo di una figura divina, di un credo, di una dogmatica. Nel pensiero occidentale dell'Ottocento esso non poteva rappresentare una teologia e tuttavia doveva necessariamente essere pensato in termini classificatori, facendo riferimento alle grandi religioni.»</ref> in quanto [[ignosticismo|indifferente]] all'esistenza dei ''[[deva]]'' e per la presenza della dottrina dell'[[anātman]]<ref>La dottrina dell'anatman e della [[vacuità]], mal compresa agli inizi dai missionari che vi videro analogie con il [[nulla]] e il [[non-essere]] non conoscendo la dottrina specifica della [[coproduzione condizionata]], fu all'origine della visione occidentale del buddhismo come una filosofia nichilista, cosa sempre respinta dai buddhisti. Si veda anche: Klaus K. Klostermeier, ''Buddhismo. Una introduzione'', Fazi Editore, 2005, p. 38-39</ref> (inteso come assenza di [[anima]] individuale), pur includendo la dottrina della [[reincarnazione#Reincarnazione nel Buddhismo|rinascita]], fino al raggiungimento del [[nirvana]], di una coscienza individuale che persiste (''[[vijnana]]''). Nel pensiero di Schopenhauer quest'ultimo concetto viene ripreso quando si parla della volontà [[principio di individuazione|individuata]] che si perpetua negli esseri viventi fino al raggiungimento della ''noluntas''.<ref>{{Cita|Grimm| p. 116 e segg.}}</ref><ref>A. Schopenhauer, ''Parerga e paralipomena'', II, p. 301 e segg.</ref>
Schopenhauer, inoltre, riteneva le religioni indiane (non considerando eccessivamente importante la religiosità politeista [[Bhakti|devozionale]] indiana - ossia rivolta verso un dio personale - dal punto di vista filosofico, come accade in realtà solo in alcune scuole quali ad esempio l'[[Advaita Vedanta]], che si rivolgono alla ricerca di un ''[[brahman]]'' universale più che ai ''deva'') e specialmente il [[Buddhadharma|pensiero originale del Buddha]], specificatamente [[antiteismo|anti-teiste]]; se la rappresentazione è corrispondente al concetto di velo di Maya, egli identificava discutibilmente il ''brahman'' con la [[volontà]] e la [[cosa in sé]]<ref>A. Borsari, ''Schopenhauer educatore? Storia e crisi di un'idea tra filosofia morale, estetica e antropologia'', p. 52</ref> per cui mentre l'induista aspirerebbe con la [[moksha]] a riunirsi ad esse, il buddhista, com'è descritto nella concezione di Schopenhauer, vorrebbe superarle<ref name=guris>{{Cita libro|autore=Giovanni Gurisatti|capitolo=Schopenhauer e l'India}} Appendice a {{Cita|Gurisatti (2007)|pp. 187-222}}.</ref>.
Ma mentre il Buddha ottimisticamente teorizza - dopo aver identificato nel desiderio la sorgente della sofferenza - come possibile il raggiungimento del ''[[nirvana]]'' (superando il ''[[samsara]]'', come indicato nell'ultima delle [[quattro nobili verità]] e nel [[nobile ottuplice sentiero]]) dal filosofo tedesco identificato con il [[nulla]], Schopenhauer pessimisticamente è scettico che si possa conseguire la ''noluntas'' trascendendo la volontà, anche se indica delle vie per attenuare il dolore dell'esistenza.<ref name=guris/>.
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Scrive [[Francesco De Sanctis]]:
{{Citazione|Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché. [...] Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del Wille.<ref>{{Cita|De Sanctis (1858)|p. 274}} (edizione originale in ''Rivista contemporanea'', 1858 vol.XV, pp.369-408</ref> }}
Ernst Otto Lindner, traduttore dei [[Canti (Giacomo Leopardi)|Canti]] di Leopardi per la ''Vossische Zeitung'', fece leggere l'articolo del De Sanctis a Schopenhauer a cui piacque vedersi accostato a Leopardi, un «più giovane ed infelice fratello che, perdutosi per uno strano destino e sentendo in sé lo spirito del suo possente fratello più anziano si esprime a modo suo tendente a raggiungere la grandezza dell'originale.»<ref>{{Cita|De Lorenzo (1923)|p. 35}}.</ref> e lodò il de Sanctis che pure lo criticava nel finale del dialogo:
{{Citazione|Ho letto quel dialogo due volte attentamente, e debbo stupire nel riconoscere in qual grado [[Francesco de Sanctis|questo italiano]] si sia impossessato della mia filosofia.<ref>[http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/980628b.htm Sito Web Italiano per la Filosofia-IL SOLE 24 ORE-28 GIUGNO 1998] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20070302065914/http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/980628b.htm |data=2 marzo 2007 }}</ref>}}
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* {{Cita libro|autore=Lionel Obadia|titolo=Il buddhismo in Occidente|città=Bologna|editore=il Mulino|anno=2009|isbn= 8815128662|cid=Obadia (2009)}}
* {{Cita libro|autore=Icilio Vecchiotti|titolo=Storia del buddismo indiano|volume=1|città=Roma|editore=Editori Riuniti|anno=2007|isbn=8835959284 |cid=Vecchiotti (2007)}}
* {{Cita libro|autore=[[Francesco De Sanctis]]|titolo=Saggi critici|città=Napoli|editore=
* {{Cita libro|autore=Georg Grimm|titolo=Gli insegnamenti del Buddha|città =Roma|editore=Edizioni Mediterranee|anno=1994|isbn=88-2721-019-9|traduttore=C. Tarantino|cid=Grimm}}
* F. Mei. ''Etica e politica in Schopenhauer''. Padova, Cedam, 1958.
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