Cecco Angiolieri: differenze tra le versioni

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|Nome = Francesco
|Cognome = Angiolieri
|PostCognomeVirgolaSoprannome = detto '''Cecco'''
|Sesso = M
|LuogoNascita = Siena
Riga 15:
|Epoca2 = 1300
|Attività = poeta
|Attività2 = scrittore
|Nazionalità = italiano
}}
 
Contemporaneo di [[Dante Alighieri]] e, appartenente alla storica casata [[nobile|nobiliare]] degli [[Angiolieri]], non si hanno però molte notizie certe sulla sua biografia. Si sa che ebbe una vita molto avventurosa, fu dedito al gioco e ai vizi, subì processi per disturbo della quiete pubblica e dilapidò il patrimonio che gli aveva lasciato il padre. Nelle sue poesie, circa 110 sonetti, non tutti di certa attribuzione, ci ha lasciato l'immagine di personaggio inquieto e ribelle che si accanisce contro la miseria e la sfortuna. Con i suoi modi sarcastici e dissacranti si prende gioco del [[Dolce stil novo]]; in altre poesie, più originali, esalta goliardicamente il gioco, il vino e maledice la famiglia, il mondo e la gente. Celebri sono i sonetti ''[[S'i' fosse foco]]'', ''[[Tre cose solamente mi so 'n grado]]'' e ''La mia malinconia è tanta e tale''.<ref>La Nuova Enciclopedia della Letteratura, Garzanti Editore, Milano, 1985</ref>
 
== Biografia ==
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== Poetica ==
{{vedi anche|Rime (Cecco Angiolieri)}}
La poetica di Cecco Angiolieri rispetta tutti i canoni della tradizione comica toscana. I suoi sonetti da parte della critica sono generalmente considerati, specie dopo gli studi di [[Mario Marti]], la caricaturale rifrazione del [[Dolce stil novo]]: questa posizione antistilnovistica emerge specialmente nella poesia dialogata ''Becchin' amor'', dove si narra di un'amante sensuale e meschina, con dei connotati certamente antitetici a quelli angelici della [[Beatrice Portinari|Beatrice]] di dantesca memoria. Questa sua polemica contro i ''poetae novi'' del dolce stile, attuata con uno smodato uso della mimesi caricaturale e con uno stile tagliente e impetuoso, viene inoltre calata nei vicoli tumultuosi della sua [[Siena]] natia, tanto da far esclamare a Marti «quante figure di scorcio nei suoi sonetti!».<ref name=DBI/>