Caduta dell'Impero romano d'Occidente: differenze tra le versioni
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Se la struttura politica, economica e sociale dell'[[Impero romano d'Occidente]] era già sgretolata e pericolante da secoli (almeno a partire dalla [[crisi del III secolo]]), a mandarla in frantumi del tutto con la spallata decisiva furono comunque le invasioni barbariche che imperversarono dalla fine del IV secolo.<ref>Celebre la sentenza finale dello storico Santo Mazzarino: certo, sono stati i barbari a travolgere l'Impero romano, ma «solo le strutture cigolanti cadono sotto l'urto che le colpisce con violenza» (Santo Mazzarino, ''Fine del mondo antico'', Rizzoli, 1988)</ref>
Tali nuove e fatali invasioni furono la conseguenza della migrazione degli [[Unni]] nella grande pianura ungherese. Il contributo degli Unni nelle invasioni barbariche si può dividere in tre fasi:<ref>{{cita|Heather|pp. 414-415
# gli Unni, migrando verso la pianura ungherese, spingono numerose popolazioni barbariche a invadere l'Impero (376-408).
# gli Unni, una volta terminata la migrazione, aiutano l'Impero a combattere i gruppi barbari entrati all'interno dell'Impero (410-439).
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Se la prima "crisi" provocata dagli Unni portò solo i Visigoti a penetrare e a ottenere uno stanziamento permanente nell'Impero, lo spostamento degli Unni dal nord del Mar Nero alla grande pianura ungherese, avvenuta agli inizi del V secolo, portò a una "crisi" ben più grave: tra il 405 e il 408 l'Impero fu invaso dagli Unni di Uldino, dai Goti di Radagaiso (405) e da Vandali, Alani, Svevi (406) e Burgundi (409), spinti all'interno dell'Impero dalla migrazione unna. Se i Goti di Radagaiso (che invasero l'Italia) e gli Unni di Uldino (che colpirono l'Impero d'Oriente) furono respinti, non fu lo stesso per gli [[attraversamento del Reno|invasori del fiume Reno del 406]].
In quell'anno, un numero mai visto prima di tribù barbariche approfittò del gelo per attraversare in massa la superficie ghiacciata del [[Reno]]: [[Franchi]], [[Alemanni]], [[Vandali]], [[Suebi|Svevi]], [[Alani]] e [[Burgundi]] sciamarono [[Attraversamento del Reno|attraverso il fiume]], incontrando una debole resistenza a ''[[Battaglia di Magonza|Moguntiacum]]'' ([[Magonza]]) e a [[Treviri]], che furono messe a sacco.<ref>Grant, ''The History of Rome'', p. 324</ref> Le porte per la completa invasione della [[Gallia]] erano aperte. Nonostante questo grave pericolo, o forse proprio a causa di esso, l'Impero romano continuò a essere dilaniato da lotte intestine, in una delle quali Stilicone, principale difensore di Roma in quel periodo, fu [[Pena di morte|messo a morte]].<ref name="historyP327">Grant, ''The History of Rome'', p. 327</ref> Fu in
Privato di molte delle sue precedenti [[provincia romana|province]], con un'impronta germanica sempre più spiccata, l'Impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli precedenti. Nel 410 la [[Britannia (provincia romana)|Britannia]] era ormai quasi del tutto sguarnita di truppe romane<ref>{{cita|Gibbon|p. 560}}.</ref><ref>Churchill, ''A History of the English-Speaking Peoples'', p. 16</ref> e già nel [[425]] non faceva ormai più parte dell'Impero, invasa com'era da [[Angli]], [[Sassoni]], [[Pitti (popolo)|Pitti]] e [[Scoti]].<ref name="historyofwarsB3P1C2"/> Gran parte dell'[[Europa occidentale]] era ormai messa alle strette "''da ogni genere di calamità e disastri''",<ref>Churchill, ''A History of the English-Speaking Peoples'', p. 17</ref> e alla fine venne divisa fra i [[Regni romano-barbarici]] dei [[Vandali]] in Africa, degli [[Suebi|Svevi]] nella Spagna nord occidentale, dei [[Visigoti]] in Spagna e nella Gallia meridionale, dei [[Burgundi]] tra la Svizzera e la Francia e dei [[Franchi]] nella Gallia settentrionale.<ref name="stormingP187">Santosuosso, ''Storming the Heavens'', p. 187</ref> Non si trattò, comunque, di una catastrofe subitanea, ma piuttosto di un lungo trapasso: infatti gli eserciti-popoli barbarici si insediarono nelle loro terre chiedendo però l'approvazione formale dell'imperatore d'Oriente, se non di quello d'Occidente.
==== Rapporti tra Unni e Impero ====
Dopo il 410 la difesa di quel che restava del territorio imperiale, se non dell'impronta romana, fu portata avanti dai ''[[magister militum|magistri militum]]'' [[Costanzo III|Flavio Costanzo]] (410-421) ed [[Flavio Ezio|Ezio]] (425-454), che riuscirono a fronteggiare efficacemente gli invasori barbarici facendoli combattere l'uno con l'altro. Costanzo riuscì a sconfiggere i vari usurpatori che si erano rivoltati contro l'imbelle Onorio e a rioccupare temporaneamente parte della Spagna spingendo i Visigoti di re Vallia a combattere per l'Impero contro Vandali, Alani e Svevi. Ezio, suo successore, dopo una lunga lotta per il potere, ottenne vari successi contro gli invasori barbari. Ai limitati successi di Costanzo ed Ezio contribuirono certamente gli Unni, lo stesso popolo che aveva provocato indirettamente le crisi del 376-382 e del 405-408. Infatti, gli Unni, ormai stanziati stabilmente in Ungheria, arrestarono il flusso migratorio ai danni dell'Impero, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedirono ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse. Inoltre aiutarono l'Impero d'Occidente a combattere i gruppi invasori: nel 410 alcuni mercenari unni furono inviati a Onorio per sostenerlo contro Alarico, mentre Ezio dal 436 al 439 impiegò mercenari unni per sconfiggere in Gallia Burgundi, Bagaudi e Visigoti, ottenendo delle vittorie contro questi ultimi nella [[battaglia di Arles]] e nella [[battaglia di Narbona (436)|battaglia di Narbona]]; poiché però nessuna delle minacce esterne fu annientata definitivamente nemmeno con il sostegno degli Unni, questo aiuto compensò solo minimamente gli effetti nefasti provocati dalle invasioni del 376-382 e del 405-408.<ref>{{cita|Heather|p. 415
{| class="toccolours" style="float: left; margin-left: 1em; margin-right: 2em; font-size: 85%; background:#c6dbf7; color:black; width:30em; max-width: 40%;" cellspacing="5"
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Considerando che le parti ancora controllate da Ravenna in Gallia e in Italia erano state devastate dagli Unni di Attila e non erano dunque più in grado di versare le tasse ai livelli di prima, il gettito fiscale dell'Impero d'Occidente si era davvero ridotto ai minimi termini.]]
Le incursioni unne, però, danneggiarono soprattutto indirettamente l'Impero, distogliendolo dalle lotte contro gli altri barbari penetrati all'interno dell'Impero nel 376-382 e nel 405-408, che in questo modo ne approfittarono per espandere ulteriormente la propria influenza.<ref>{{cita|Heather|p. 416
L'Impero romano d'Occidente fu dunque costretto a rinunciare al gettito fiscale della Spagna e soprattutto dell'Africa, con conseguenti minori risorse a disposizione per mantenere un esercito efficiente da utilizzare contro i Barbari. Man mano che le entrate fiscali diminuivano a causa delle invasioni, l'esercito romano si indeboliva sempre di più, agevolando un'ulteriore espansione a scapito dei Romani da parte degli invasori. Nel 452 l'Impero d'Occidente aveva perso la Britannia, una parte della Gallia sud-occidentale ceduta ai Visigoti e una parte della Gallia sud-orientale ceduta ai Burgundi, quasi tutta la Spagna passata agli Svevi e le più prospere province dell'Africa, occupate dai Vandali; le province residue erano o infestate dai ribelli separatisti [[bagaudi]] o devastate dalle guerre del decennio precedente (ad esempio le campagne di Attila in Gallia e in Italia) e dunque non potevano più fornire un gettito fiscale paragonabile a quello precedente alle invasioni.<ref>{{cita|Heather|p. 420
==== L'ultimo ventennio dell'Impero (455-476) ====
[[File:MajorianEmpire.png|upright=1.4|thumb|sinistra|Le campagne dell'Imperatore d'Occidente Maggioriano. Durante un regno di quattro anni, Maggioriano riconquistò la maggior parte della Hispania e la Gallia meridionale.]]
Il rapido collasso dell'Impero unno dopo il decesso di Attila nel 453 privò l'Impero di un possibile valido alleato (gli Unni), che tuttavia si poteva anche trasformare in una temibile minaccia, da contrapporre ai Barbari stanziati all'interno dell'Impero. Ezio aveva ottenuto le sue vittorie militari soprattutto grazie all'utilizzo degli Unni: senza il sostegno degli Unni, ora l'Impero era impossibilitato a combattere con efficacia i gruppi immigrati ed era dunque costretto a incorporarli nel governo romano. Il primo ad attuare questa politica fu l'Imperatore [[Avito]] (succeduto a [[Petronio Massimo]] dopo il [[sacco di Roma (455)|sacco di Roma del 455)]], che riuscì a essere incoronato a imperatore proprio grazie al sostegno militare dei Visigoti; il re visigoto [[Teodorico II (Visigoti)|Teodorico II]], però, pur essendo filo-romano, si attendeva qualcosa in cambio dell'appoggio ad Avito e ottenne quindi dal nuovo imperatore l'autorizzazione di condurre campagne in Spagna a danni degli Svevi; gli Svevi alla fine furono annientati ma la Spagna venne devastata dalle truppe visigote che ottennero quindi un ricco bottino.<ref name=autogenerato2>{{cita|Heather|pp. 458-459
Un secondo problema conseguente a questa politica di accomodamento con i Barbari era che l'inclusione delle potenze barbare nella vita politica dell'Impero aumentava il numero di forze che dovevano riconoscere l'Imperatore, rendendo maggiore il rischio di instabilità interna: infatti, se prima di allora, le forze da cui l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento, erano le aristocrazie terriere di Italia e Gallia e gli eserciti campali di Italia, Gallia e Illirico, oltre all'Impero d'Oriente, ora l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento anche dei gruppi barbari incorporati nell'Impero (Visigoti, Burgundi, ecc.), aumentando il rischio di instabilità politica.<ref name=autogenerato2 />
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Il governo di Avito durò poco: approfittando dell'assenza dei Visigoti partiti per la Spagna, nel 457 i generali dell'esercito italico [[Maggioriano]] e [[Ricimero]] deposero Avito. Il nuovo imperatore Maggioriano non ottenne però il riconoscimento in Gallia e in Ispania: Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri, essendo seguaci di Avito, si rivoltarono infatti a Maggioriano. Il nuovo imperatore, reclutati forti contingenti di mercenari barbari, riuscì, con la forza del suo esercito, a ottenere il riconoscimento di Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri gallici, recuperando per l'Impero la Gallia e la Hispania. Il piano di Maggioriano era però recuperare l'Africa ai Vandali, che nel 455 si erano impadroniti degli ultimi territori ivi controllati dall'Impero; Maggioriano era infatti conscio che senza il gettito fiscale dell'Africa, l'Impero non avrebbe potuto riprendersi. A tal fine, allestì una potente flotta per invadere l'Africa, ma questa, ancorata nei porti della Spagna, fu distrutta dai Vandali con l'aiuto di traditori. Maggioriano dovette dunque rinunciare alla spedizione e, tornato in Italia, fu detronizzato per volere di Ricimero (461).
Ricimero impose come imperatore fantoccio [[Libio Severo]], ma questi non fu riconosciuto né da Costantinopoli, né dai comandanti di Gallia e Illirico (rispettivamente Egidio e Marcellino). Per ottenere l'appoggio dei Visigoti e Burgundi contro Egidio, Ricimero dovette cedere ai Visigoti Narbona (462) e permettere ai Burgundi di occupare la valle del Rodano. Ben presto si rese conto dell'errore commesso eleggendo imperatore Severo e lo fece uccidere (465). La mancanza di stabilità politica a causa delle troppe forze in gioco stava portando a un deterioramento della situazione e a un rapido susseguirsi di imperatori; sarebbero dovute accadere tre cose per evitare la caduta finale dell'Impero:<ref>{{cita|Heather|p. 471
# la restaurazione del potere legittimo
# la riduzione delle forze in gioco che qualsiasi nuovo regime avrebbe dovuto tenere in equilibrio
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[[File:Reino de los visigodos-it.svg|upright=1.4|thumb|sinistra|Il Regno visigoto in seguito alle conquiste di Eurico]]
Il fallimento della spedizione determinò la rapida caduta dell'Impero romano d'Occidente nel giro di otto anni, giacché non solo il gettito fiscale dell'Impero non era più sufficiente per difenderlo dagli invasori, ma le grandi cifre spese mandarono in rosso il bilancio dell'Impero d'Oriente, impedendogli di aiutare ulteriormente quello d'Occidente.<ref>{{cita|Heather|pp. 488-489
In Gallia, invece, il re visigoto [[Eurico]], resosi conto dell'estrema debolezza dell'Impero e constatando che la spedizione contro i Vandali era fallita, tra il 469 e il 476 conquistò tutta la Gallia che ancora rimaneva ai Romani a Sud della Loira, sconfiggendo sia gli eserciti inviati dall'Italia da [[Antemio]] sia le guarnigioni locali. Nel 475 l'Imperatore [[Giulio Nepote]] riconobbe i Visigoti come stato indipendente dall'Impero e tutte le conquiste di Eurico. Con l'Impero praticamente ridottosi alla sola Italia (con [[Dalmazia]] e [[Regno di Soissons|Gallia settentrionale]] ancora romane ma secessioniste), il gettito fiscale si era ridotto a tal punto da non essere nemmeno sufficiente a pagare l'esercito romano d'Italia stesso, costituito ormai quasi totalmente da barbari provenienti da oltre Danubio e un tempo sudditi dell'Impero unno. Queste truppe di ''[[Socii e foederati|foederati]]'' germanici, guidati da [[Odoacre]], erano state reclutate da Ricimero intorno al 465 e avevano partecipato alla guerra civile tra Ricimero e Antemio, che si era conclusa con l'uccisione di Antemio e il [[sacco di Roma (472)|sacco di Roma del 472]]. Queste truppe di ''foederati'', avendo l'Impero ormai difficoltà a pagarle, si rivoltarono nel 476, determinando alla fine la caduta dell'Impero in Italia.
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== Cause ==
{{Vedi anche|Caduta dell'Impero romano d'Occidente (storiografia)}}
Alcuni storici hanno individuato nelle invasioni o migrazioni barbariche la ragione principale del crollo finale dell'Impero romano d'Occidente, pur riconoscendo i limiti interni dello Stato romano che agevolarono la caduta.<ref>Cfr. ad esempio {{cita|Heather|pp. 537-540}}.</ref> Altri studiosi, invece, hanno ritenuto che la decadenza e la rovina della ''pars occidentalis'' sia dipesa da cause interne, ovvero dalle grandi correnti profonde del mutamento sociale che investirono le strutture economico-sociali e le istituzioni politiche del Tardo Impero romano, fino a provocarne la caduta; tuttavia, secondo alcuni studiosi, ciò non spiegherebbe perché l'Impero romano d'Oriente, pur avendo gli stessi problemi interni di quello d'Occidente (fiscalismo opprimente, l'impatto culturale dovuto all'espansione del cristianesimo, dispotismo), sia riuscito a sopravvivere fino al XV secolo.<ref name="Heather 2005, p. 532">{{cita|Heather|p. 532
=== Esterne ===
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==== Divisione dell'Impero, guerre civili e imbarbarimento dell'esercito ====
{{vedi anche|Anarchia militare|Esercito romano}}
Secondo diversi storici l'estensione spropositata dell'Impero lo rese ingovernabile dal centro e la conseguente divisione in una ''pars occidentalis'' e una ''pars orientalis'' non fece altro che accelerarne la rovina, favorendo i barbari invasori. Lo storico inglese illuminista [[Edward Gibbon|Gibbon]] sostenne che a causare il definitivo crollo dell'Impero furono i figli e i nipoti di Teodosio: con la loro debolezza, essi abbandonarono il governo agli eunuchi, la Chiesa ai vescovi e
Ma più che la divisione in sé, che finì per rovinare solo la parte occidentale, furono piuttosto i [[guerre civili (storia romana)|conflitti interni]], le continue usurpazioni e lo strapotere politico dell'esercito, che dal III secolo in poi eleggeva e deponeva gli imperatori a proprio piacimento, a minare profondamente la stabilità interna dell'Impero. L'Impero romano d'Occidente, meno coeso socialmente e culturalmente, meno ricco economicamente, meno centralizzato e peggio organizzato politicamente dell'Impero romano d'Oriente, finì alla lunga per pagare questa instabilità di fondo. Fu quindi la mancanza di disciplina dell'esercito, più accentuata nella parte occidentale che in quella orientale, dove il potere centrale era più forte, a risultare una delle cause principali della rovina dell'impero.
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Per altri storici ancora, infine, fu la degenerazione burocratica, caratterizzata dall'endemica corruzione e dall'eccessivo peso fiscale sui ceti medi, a produrre quella profonda frattura sociale tra una ristretta casta di privilegiati (aristocratici latifondisti e vertici della gerarchia burocratica e militare) che vivevano nel lusso estremo e la grande massa dei contadini e dei proletari urbani costretti alla quotidiana sopravvivenza, che alla fine fece perdere all'Impero la compattezza necessaria per evitare il crollo del V secolo.
Recenti scavi archeologici (ad Antiochia) e rilevamenti aerei, tuttavia, hanno dimostrato, afferma Heather, che l'economia del Tardo Impero subì una netta ripresa nel IV secolo, sia in Occidente sia in Oriente (anche se l'Oriente era più prospero).<ref>{{cita|Heather|p. 533
Le [[invasioni barbariche del V secolo]] provocarono, conseguentemente, una crisi economica nella parte occidentale dell'Impero. La sottrazione di diversi territori al controllo dell'Impero da parte dei barbari e la momentanea devastazione di quelli solo momentaneamente occupati provocarono un repentino crollo del gettito fiscale (fino a 1/8 della quota normale) - dato che le province colpite dalle invasioni, con i campi devastati, non erano più in grado di versare le tasse ai livelli di prima. Nel 450 l'Impero aveva perso il 50% della sua base imponibile e per la carenza di denaro non poteva più schierare un esercito in grado di opporsi con successo alle spinte centrifughe dei ''foederati'' germanici, provocando la caduta finale dell'Impero e la formazione dei regni romano-barbarici.
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Un'ipotesi interessante è quella prospettata dallo storico Santo Mazzarino e ripresa dall'economista Giorgio Ruffolo<ref>Santo Mazzarino, ''Fine del mondo antico'', Rizzoli, 1988</ref><ref>{{cita|Ruffolo|}}.</ref>: sotto la superficie apparentemente omogenea della civiltà ellenistico-romana, in realtà emersero progressivamente le antiche nazionalità compresse. Gli effetti di questa spinta si sarebbero manifestati soprattutto nel V secolo in Occidente (in Gallia, in Spagna, in Africa) e soltanto nel VII secolo in Oriente (in Siria e in Egitto). In questo modo si spiegherebbe la facilità con cui le popolazioni romanizzate si fusero con i conquistatori germanici in Occidente e con i conquistatori arabi in Oriente.
Secondo Heather, per sedare le rivolte interne erano in genere sufficienti pochi reggimenti (il [[Flavio Teodosio|Conte Teodosio]] riuscì a sedare una rivolta in Britannia nel 368 con solo quattro reggimenti), quindi, senza un massiccio attacco esterno, le spinte autonomistiche non avrebbero mai potuto portare al crollo dell'Impero; solo se tutte le province dell'Impero si fossero rivoltate tutte insieme, un crollo di questo tipo sarebbe stato plausibile.<ref>{{cita|Heather|p. 539
==== Cristianesimo ====
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La città di Roma, che aveva ancora tra i {{formatnum:600000}} e il milione di abitanti nel IV secolo, era drammaticamente scesa a {{formatnum:100000}} abitanti all'inizio del regno di Teodorico, il quale, tutto preso dalla missione di restaurare le glorie romane, aveva disposto una serie di grandi opere nell'Urbe: mura, granai, acquedotti e lo stesso palazzo imperiale, abbandonato, sul Palatino. Il sogno di Teodorico, però, venne vanificato appunto dalla guerra gotica, durante la quale Roma venne assediata tre volte e due volte conquistata dagli eserciti avversari. Negli anni intorno al [[540]], dopo la riconquista di [[Totila]], la città fu praticamente abbandonata e avviata alla desolazione: molti dei suoi dintorni si erano trasformati in paludi insalubri, la popolazione ormai non raggiungeva più di {{formatnum:20000}} abitanti, addensati per lo più attorno alla [[Antica basilica di San Pietro in Vaticano|basilica di San Pietro]]. Una fine ingloriosa per la ''[[caput mundi]]'' che aveva dominato su molta parte del [[ecumene|mondo conosciuto]].
Se alcune fonti propagandistiche parlano di un'Italia florida e rinata dopo la conclusione del conflitto,<ref>{{CIL|6|1199}}; ''Liber Pontificalis'', p. 305 («Erat tota Italia gaudiens»); Auct Haun. 2, p. 337 («(Narses) Italiam romano imperio reddidit urbes dirutas restauravit totiusque Italiae populos expulsis Gothis ad pristinum reducit gaudium»)</ref> la realtà doveva essere ben diversa.<ref name=Rav64>{{cita|Ravegnani|p. 64
Anche Roma faticò, nonostante i fondi promessi, a riprendersi dalla guerra e l'unica opera pubblica riparata nella città di cui si ha notizia è il [[ponte Salario]], distrutto da Totila e ricostruito nel 565.<ref name=Rav65>{{cita|Ravegnani|p. 65
Anche i patrimoni della Chiesa subirono le conseguenze della guerra: nel 562 papa Pelagio si lamentava, scrivendo al prefetto del pretorio d'Africa Boezio, del fatto che a causa delle devastazioni provocate dalla lunga e distruttiva guerra ormai riceveva proventi solo dalle isole e dalle zone al di fuori dell'Italia, essendo impossibile, dopo venticinque anni continui di guerra, ricavarli dalla penisola desolata; e, essendo i proventi della Chiesa necessari per sfamare la popolazione povera di Roma, anch'essa ne avrebbe fatto le spese;<ref>Papa Pelagio, Epistola 85.</ref> tuttavia Pelagio e la Chiesa riuscirono a superare la crisi e a riprendersi, anche grazie alla confisca dei beni della Chiesa ariana che passarono alla Chiesa cattolica.<ref name=Rav66/>
Il 13 agosto [[554]], con la promulgazione a [[Costantinopoli]] da parte di Giustiniano di una ''[[pragmatica sanctio]] pro petitione Vigilii'' ("Prammatica sanzione sulle richieste di [[papa Vigilio]]"), l'Italia veniva fatta rientrare, sebbene non ancora del tutto pacificata, nel dominio "romano";<ref>{{cita|Ravegnani|p. 63
Narsete rimase ancora in Italia con poteri straordinari e riorganizzò l'apparato difensivo, amministrativo e fiscale; a difesa della penisola furono stanziati quattro comandi militari, uno a ''[[Cividale del Friuli|Forum Iulii]]'', uno a [[Trento]], uno presso i laghi [[Lago Maggiore|Maggiore]] e [[Lago di Como|di Como]] e infine uno presso le [[Alpi Graie]] e [[Alpi Cozie|Cozie]].<ref name=Rav62>{{cita|Ravegnani|p. 62
Se si presta fede alla "Prammatica Sanzione", le tasse non furono incrementate rispetto all'epoca gotica, ma evidentemente i danni provocati dalle devastazioni belliche resero molto difficile pagarle e, del resto, sembra che Narsete non ricevesse sussidi da Costantinopoli, ma dovesse provvedere da sé per il mantenimento dell'esercito e dell'amministrazione. Nel [[568]] [[Giustino II]], in seguito alle proteste dei Romani per l'eccessiva pressione fiscale,<ref>I Romani chiesero all'Imperatore di rimuovere Narsete dal governo dell'Italia in quanto si stava meglio sotto i Goti che sotto il suo governo, minacciando di consegnare l'Italia e Roma ai barbari. Cfr. P. Diacono, ''Historia Langobardorum'', II, 5 e {{cita|Ravegnani|p. 69
Con la vittoria bizantina nella guerra gotica l'Italia non ebbe, comunque, l'auspicata stabilità né venne riformato l'Impero romano d'Occidente: la penisola venne infatti invasa nel [[568]] da una nuova popolazione germanica, i [[Longobardi]], che determinerà una profonda spaccatura storica del paese, diviso in aree sotto il dominio longobardo e territori ancora in mano bizantina. Si giunse così a un'epoca in cui rimase in piedi il solo [[Impero romano d'Oriente]], da allora definito dalla storiografia moderna come [[Impero bizantino]] più che come Impero romano d'Oriente.
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