Caduta dell'Impero romano d'Occidente: differenze tra le versioni
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Se la struttura politica, economica e sociale dell'[[Impero romano d'Occidente]] era già sgretolata e pericolante da secoli (almeno a partire dalla [[crisi del III secolo]]), a mandarla in frantumi del tutto con la spallata decisiva furono comunque le invasioni barbariche che imperversarono dalla fine del IV secolo.<ref>Celebre la sentenza finale dello storico Santo Mazzarino: certo, sono stati i barbari a travolgere l'Impero romano, ma «solo le strutture cigolanti cadono sotto l'urto che le colpisce con violenza» (Santo Mazzarino, ''Fine del mondo antico'', Rizzoli, 1988)</ref>
Tali nuove e fatali invasioni furono la conseguenza della migrazione degli [[Unni]] nella grande pianura ungherese. Il contributo degli Unni nelle invasioni barbariche si può dividere in tre fasi:<ref>{{cita|Heather|pp. 414-415}}.</ref>
# gli Unni, migrando verso la pianura ungherese, spingono numerose popolazioni barbariche a invadere l'Impero (376-408).
# gli Unni, una volta terminata la migrazione, aiutano l'Impero a combattere i gruppi barbari entrati all'interno dell'Impero (410-439).
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Se la prima "crisi" provocata dagli Unni portò solo i Visigoti a penetrare e a ottenere uno stanziamento permanente nell'Impero, lo spostamento degli Unni dal nord del Mar Nero alla grande pianura ungherese, avvenuta agli inizi del V secolo, portò a una "crisi" ben più grave: tra il 405 e il 408 l'Impero fu invaso dagli Unni di Uldino, dai Goti di Radagaiso (405) e da Vandali, Alani, Svevi (406) e Burgundi (409), spinti all'interno dell'Impero dalla migrazione unna. Se i Goti di Radagaiso (che invasero l'Italia) e gli Unni di Uldino (che colpirono l'Impero d'Oriente) furono respinti, non fu lo stesso per gli [[attraversamento del Reno|invasori del fiume Reno del 406]].
In quell'anno, un numero mai visto prima di tribù barbariche approfittò del gelo per attraversare in massa la superficie ghiacciata del [[Reno]]: [[Franchi]], [[Alemanni]], [[Vandali]], [[Suebi|Svevi]], [[Alani]] e [[Burgundi]] sciamarono [[Attraversamento del Reno|attraverso il fiume]], incontrando una debole resistenza a ''[[Battaglia di Magonza|Moguntiacum]]'' ([[Magonza]]) e a [[Treviri]], che furono messe a sacco.<ref>Grant, ''The History of Rome'', p. 324</ref> Le porte per la completa invasione della [[Gallia]] erano aperte. Nonostante questo grave pericolo, o forse proprio a causa di esso, l'Impero romano continuò a essere dilaniato da lotte intestine, in una delle quali Stilicone, principale difensore di Roma in quel periodo, fu [[Pena di morte|messo a morte]].<ref name="historyP327">Grant, ''The History of Rome'', p. 327</ref> Fu in
Privato di molte delle sue precedenti [[provincia romana|province]], con un'impronta germanica sempre più spiccata, l'Impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli precedenti. Nel 410 la [[Britannia (provincia romana)|Britannia]] era ormai quasi del tutto sguarnita di truppe romane<ref>{{cita|Gibbon|p. 560}}.</ref><ref>Churchill, ''A History of the English-Speaking Peoples'', p. 16</ref> e già nel [[425]] non faceva ormai più parte dell'Impero, invasa com'era da [[Angli]], [[Sassoni]], [[Pitti (popolo)|Pitti]] e [[Scoti]].<ref name="historyofwarsB3P1C2"/> Gran parte dell'[[Europa occidentale]] era ormai messa alle strette "''da ogni genere di calamità e disastri''",<ref>Churchill, ''A History of the English-Speaking Peoples'', p. 17</ref> e alla fine venne divisa fra i [[Regni romano-barbarici]] dei [[Vandali]] in Africa, degli [[Suebi|Svevi]] nella Spagna nord occidentale, dei [[Visigoti]] in Spagna e nella Gallia meridionale, dei [[Burgundi]] tra la Svizzera e la Francia e dei [[Franchi]] nella Gallia settentrionale.<ref name="stormingP187">Santosuosso, ''Storming the Heavens'', p. 187</ref> Non si trattò, comunque, di una catastrofe subitanea, ma piuttosto di un lungo trapasso: infatti gli eserciti-popoli barbarici si insediarono nelle loro terre chiedendo però l'approvazione formale dell'imperatore d'Oriente, se non di quello d'Occidente.
==== Rapporti tra Unni e Impero ====
Dopo il 410 la difesa di quel che restava del territorio imperiale, se non dell'impronta romana, fu portata avanti dai ''[[magister militum|magistri militum]]'' [[Costanzo III|Flavio Costanzo]] (410-421) ed [[Flavio Ezio|Ezio]] (425-454), che riuscirono a fronteggiare efficacemente gli invasori barbarici facendoli combattere l'uno con l'altro. Costanzo riuscì a sconfiggere i vari usurpatori che si erano rivoltati contro l'imbelle Onorio e a rioccupare temporaneamente parte della Spagna spingendo i Visigoti di re Vallia a combattere per l'Impero contro Vandali, Alani e Svevi. Ezio, suo successore, dopo una lunga lotta per il potere, ottenne vari successi contro gli invasori barbari. Ai limitati successi di Costanzo ed Ezio contribuirono certamente gli Unni, lo stesso popolo che aveva provocato indirettamente le crisi del 376-382 e del 405-408. Infatti, gli Unni, ormai stanziati stabilmente in Ungheria, arrestarono il flusso migratorio ai danni dell'Impero, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedirono ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse. Inoltre aiutarono l'Impero d'Occidente a combattere i gruppi invasori: nel 410 alcuni mercenari unni furono inviati a Onorio per sostenerlo contro Alarico, mentre Ezio dal 436 al 439 impiegò mercenari unni per sconfiggere in Gallia Burgundi, Bagaudi e Visigoti, ottenendo delle vittorie contro questi ultimi nella [[battaglia di Arles]] e nella [[battaglia di Narbona (436)|battaglia di Narbona]]; poiché però nessuna delle minacce esterne fu annientata definitivamente nemmeno con il sostegno degli Unni, questo aiuto compensò solo minimamente gli effetti nefasti provocati dalle invasioni del 376-382 e del 405-408.<ref>{{cita|Heather|p. 415}}.</ref> Nel [[439]], anzi, fu perduta [[Cartagine]], seconda città dell'impero d'Occidente per grandezza, in favore dei [[Vandali]], insieme a buona parte del [[Africa (provincia romana)|Nordafrica]].<ref>{{cita|Gibbon|p. 618}}.</ref><ref name="historyofwarsB3P1C4">Procopio, ''Storia delle guerre di Giustiniano'', III.1.4</ref>
{| class="toccolours" style="float: left; margin-left: 1em; margin-right: 2em; font-size: 85%; background:#c6dbf7; color:black; width:30em; max-width: 40%;" cellspacing="5"
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Considerando che le parti ancora controllate da Ravenna in Gallia e in Italia erano state devastate dagli Unni di Attila e non erano dunque più in grado di versare le tasse ai livelli di prima, il gettito fiscale dell'Impero d'Occidente si era davvero ridotto ai minimi termini.]]
Le incursioni unne, però, danneggiarono soprattutto indirettamente l'Impero, distogliendolo dalle lotte contro gli altri barbari penetrati all'interno dell'Impero nel 376-382 e nel 405-408, che in questo modo ne approfittarono per espandere ulteriormente la propria influenza.<ref>{{cita|Heather|p. 416}}.</ref> Per esempio, le [[campagne balcaniche di Attila]] impedirono all'Impero d'Oriente di aiutare l'Impero d'Occidente in Africa contro i Vandali: una poderosa flotta romano-orientale di 1100 navi che era stata inviata in Sicilia per riconquistare Cartagine fu richiamata precipitosamente perché Attila minacciava di conquistare persino Costantinopoli (442). Anche la [[Britannia]], abbandonata definitivamente dai Romani attorno al 407-409, fu invasa, attorno alla metà del secolo da genti germaniche ([[Sassoni]], [[Angli]] e [[Juti]]) che dettero vita a molte piccole entità territoriali autonome ([[Sussex]], [[Anglia orientale]], [[Kent]], ecc.), spesso in lotta fra di loro; il generale Ezio nel 446 ricevette un disperato appello dai romano-britanni contro i nuovi invasori, ma, non potendo distogliere forze dalla frontiera confinante con l'Impero unno, il generale declinò la richiesta. Ezio dovette rinunciare anche a inviare forze consistenti in Spagna contro gli Svevi, che, sotto re Rechila, avevano sottomesso quasi interamente la [[Spagna romana]], con l'eccezione della [[Tarraconense]].
L'Impero romano d'Occidente fu dunque costretto a rinunciare al gettito fiscale della Spagna e soprattutto dell'Africa, con conseguenti minori risorse a disposizione per mantenere un esercito efficiente da utilizzare contro i Barbari. Man mano che le entrate fiscali diminuivano a causa delle invasioni, l'esercito romano si indeboliva sempre di più, agevolando un'ulteriore espansione a scapito dei Romani da parte degli invasori. Nel 452 l'Impero d'Occidente aveva perso la Britannia, una parte della Gallia sud-occidentale ceduta ai Visigoti e una parte della Gallia sud-orientale ceduta ai Burgundi, quasi tutta la Spagna passata agli Svevi e le più prospere province dell'Africa, occupate dai Vandali; le province residue erano o infestate dai ribelli separatisti [[bagaudi]] o devastate dalle guerre del decennio precedente (ad esempio le campagne di Attila in Gallia e in Italia) e dunque non potevano più fornire un gettito fiscale paragonabile a quello precedente alle invasioni.<ref>{{cita|Heather|p. 420}}.</ref> Si può concludere che gli Unni contribuirono alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, non tanto direttamente (con le campagne di Attila), quanto indirettamente, giacché, causando la migrazione di Vandali, Visigoti, Burgundi e altre popolazioni all'interno dell'Impero, avevano danneggiato l'Impero romano d'Occidente molto più delle stesse campagne militari di Attila.
==== L'ultimo ventennio dell'Impero (455-476) ====
[[File:MajorianEmpire.png|upright=1.4|thumb|sinistra|Le campagne dell'Imperatore d'Occidente Maggioriano. Durante un regno di quattro anni, Maggioriano riconquistò la maggior parte della Hispania e la Gallia meridionale.]]
Il rapido collasso dell'Impero unno dopo il decesso di Attila nel 453 privò l'Impero di un possibile valido alleato (gli Unni), che tuttavia si poteva anche trasformare in una temibile minaccia, da contrapporre ai Barbari stanziati all'interno dell'Impero. Ezio aveva ottenuto le sue vittorie militari soprattutto grazie all'utilizzo degli Unni: senza il sostegno degli Unni, ora l'Impero era impossibilitato a combattere con efficacia i gruppi immigrati ed era dunque costretto a incorporarli nel governo romano. Il primo ad attuare questa politica fu l'Imperatore [[Avito]] (succeduto a [[Petronio Massimo]] dopo il [[sacco di Roma (455)|sacco di Roma del 455)]], che riuscì a essere incoronato a imperatore proprio grazie al sostegno militare dei Visigoti; il re visigoto [[Teodorico II (Visigoti)|Teodorico II]], però, pur essendo filo-romano, si attendeva qualcosa in cambio dell'appoggio ad Avito e ottenne quindi dal nuovo imperatore l'autorizzazione di condurre campagne in Spagna a danni degli Svevi; gli Svevi alla fine furono annientati ma la Spagna venne devastata dalle truppe visigote che ottennero quindi un ricco bottino.<ref name=autogenerato2>{{cita|Heather|pp. 458-459}}.</ref>
Un secondo problema conseguente a questa politica di accomodamento con i Barbari era che l'inclusione delle potenze barbare nella vita politica dell'Impero aumentava il numero di forze che dovevano riconoscere l'Imperatore, rendendo maggiore il rischio di instabilità interna: infatti, se prima di allora, le forze da cui l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento, erano le aristocrazie terriere di Italia e Gallia e gli eserciti campali di Italia, Gallia e Illirico, oltre all'Impero d'Oriente, ora l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento anche dei gruppi barbari incorporati nell'Impero (Visigoti, Burgundi, ecc.), aumentando il rischio di instabilità politica.<ref name=autogenerato2 />
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Il governo di Avito durò poco: approfittando dell'assenza dei Visigoti partiti per la Spagna, nel 457 i generali dell'esercito italico [[Maggioriano]] e [[Ricimero]] deposero Avito. Il nuovo imperatore Maggioriano non ottenne però il riconoscimento in Gallia e in Ispania: Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri, essendo seguaci di Avito, si rivoltarono infatti a Maggioriano. Il nuovo imperatore, reclutati forti contingenti di mercenari barbari, riuscì, con la forza del suo esercito, a ottenere il riconoscimento di Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri gallici, recuperando per l'Impero la Gallia e la Hispania. Il piano di Maggioriano era però recuperare l'Africa ai Vandali, che nel 455 si erano impadroniti degli ultimi territori ivi controllati dall'Impero; Maggioriano era infatti conscio che senza il gettito fiscale dell'Africa, l'Impero non avrebbe potuto riprendersi. A tal fine, allestì una potente flotta per invadere l'Africa, ma questa, ancorata nei porti della Spagna, fu distrutta dai Vandali con l'aiuto di traditori. Maggioriano dovette dunque rinunciare alla spedizione e, tornato in Italia, fu detronizzato per volere di Ricimero (461).
Ricimero impose come imperatore fantoccio [[Libio Severo]], ma questi non fu riconosciuto né da Costantinopoli, né dai comandanti di Gallia e Illirico (rispettivamente Egidio e Marcellino). Per ottenere l'appoggio dei Visigoti e Burgundi contro Egidio, Ricimero dovette cedere ai Visigoti Narbona (462) e permettere ai Burgundi di occupare la valle del Rodano. Ben presto si rese conto dell'errore commesso eleggendo imperatore Severo e lo fece uccidere (465). La mancanza di stabilità politica a causa delle troppe forze in gioco stava portando a un deterioramento della situazione e a un rapido susseguirsi di imperatori; sarebbero dovute accadere tre cose per evitare la caduta finale dell'Impero:<ref>{{cita|Heather|p. 471}}.</ref>
# la restaurazione del potere legittimo
# la riduzione delle forze in gioco che qualsiasi nuovo regime avrebbe dovuto tenere in equilibrio
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[[File:Reino de los visigodos-it.svg|upright=1.4|thumb|sinistra|Il Regno visigoto in seguito alle conquiste di Eurico]]
Il fallimento della spedizione determinò la rapida caduta dell'Impero romano d'Occidente nel giro di otto anni, giacché non solo il gettito fiscale dell'Impero non era più sufficiente per difenderlo dagli invasori, ma le grandi cifre spese mandarono in rosso il bilancio dell'Impero d'Oriente, impedendogli di aiutare ulteriormente quello d'Occidente.<ref>{{cita|Heather|pp. 488-489}}.</ref> A causa della carenza di denaro, lo Stato, ad esempio, non poté più garantire alle guarnigioni che difendevano il Norico una paga regolare né equipaggiamenti sufficienti a respingere con efficacia i predoni barbari, come narrato dalla ''Vita di San Severino''; a un certo punto, con l'interruzione della paga, le guarnigioni del Norico sbandarono, anche se continuarono per qualche tempo a difendere la regione dai predoni come milizie cittadine.<ref>{{cita|Heather|p. 495}}.</ref>
In Gallia, invece, il re visigoto [[Eurico]], resosi conto dell'estrema debolezza dell'Impero e constatando che la spedizione contro i Vandali era fallita, tra il 469 e il 476 conquistò tutta la Gallia che ancora rimaneva ai Romani a Sud della Loira, sconfiggendo sia gli eserciti inviati dall'Italia da [[Antemio]] sia le guarnigioni locali. Nel 475 l'Imperatore [[Giulio Nepote]] riconobbe i Visigoti come stato indipendente dall'Impero e tutte le conquiste di Eurico. Con l'Impero praticamente ridottosi alla sola Italia (con [[Dalmazia]] e [[Regno di Soissons|Gallia settentrionale]] ancora romane ma secessioniste), il gettito fiscale si era ridotto a tal punto da non essere nemmeno sufficiente a pagare l'esercito romano d'Italia stesso, costituito ormai quasi totalmente da barbari provenienti da oltre Danubio e un tempo sudditi dell'Impero unno. Queste truppe di ''[[Socii e foederati|foederati]]'' germanici, guidati da [[Odoacre]], erano state reclutate da Ricimero intorno al 465 e avevano partecipato alla guerra civile tra Ricimero e Antemio, che si era conclusa con l'uccisione di Antemio e il [[sacco di Roma (472)|sacco di Roma del 472]]. Queste truppe di ''foederati'', avendo l'Impero ormai difficoltà a pagarle, si rivoltarono nel 476, determinando alla fine la caduta dell'Impero in Italia.
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== Cause ==
{{Vedi anche|Caduta dell'Impero romano d'Occidente (storiografia)}}
Alcuni storici hanno individuato nelle invasioni o migrazioni barbariche la ragione principale del crollo finale dell'Impero romano d'Occidente, pur riconoscendo i limiti interni dello Stato romano che agevolarono la caduta.<ref>Cfr. ad esempio {{cita|Heather|pp. 537-540}}.</ref> Altri studiosi, invece, hanno ritenuto che la decadenza e la rovina della ''pars occidentalis'' sia dipesa da cause interne, ovvero dalle grandi correnti profonde del mutamento sociale che investirono le strutture economico-sociali e le istituzioni politiche del Tardo Impero romano, fino a provocarne la caduta; tuttavia, secondo alcuni studiosi, ciò non spiegherebbe perché l'Impero romano d'Oriente, pur avendo gli stessi problemi interni di quello d'Occidente (fiscalismo opprimente, l'impatto culturale dovuto all'espansione del cristianesimo, dispotismo), sia riuscito a sopravvivere fino al XV secolo.<ref name="Heather 2005, p. 532">{{cita|Heather|p. 532}}.</ref> Altri studiosi ancora (come Peter Brown) hanno, invece, negato il declino e il crollo dell'Impero, affermando che più che una caduta era avvenuta una grande trasformazione, iniziata con le invasioni barbariche e proseguita dopo la conclusione formale dell'Impero d'Occidente con i regni romano-barbarici. Brown ha sostenuto che tale trasformazione sarebbe avvenuta senza rotture brusche, in un clima di sostanziale continuità. Tale tesi è sostenuta attualmente da numerosi storici, tra cui Walter Goffart.
=== Esterne ===
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Per altri storici ancora, infine, fu la degenerazione burocratica, caratterizzata dall'endemica corruzione e dall'eccessivo peso fiscale sui ceti medi, a produrre quella profonda frattura sociale tra una ristretta casta di privilegiati (aristocratici latifondisti e vertici della gerarchia burocratica e militare) che vivevano nel lusso estremo e la grande massa dei contadini e dei proletari urbani costretti alla quotidiana sopravvivenza, che alla fine fece perdere all'Impero la compattezza necessaria per evitare il crollo del V secolo.
Recenti scavi archeologici (ad Antiochia) e rilevamenti aerei, tuttavia, hanno dimostrato, afferma Heather, che l'economia del Tardo Impero subì una netta ripresa nel IV secolo, sia in Occidente sia in Oriente (anche se l'Oriente era più prospero).<ref>{{cita|Heather|p. 533}}.</ref> Tuttavia, questa ripresa economica era limitata da un "tetto" piuttosto rigido oltre il quale la produzione non poteva crescere: nella maggior parte delle province i livelli di produzione erano già al massimo per le tecnologie dell'epoca.<ref>{{cita|Heather|p. 537}}.</ref> Le finanze dell'Impero e la connessione tra il centro amministrativo e le varie realtà locali si basavano inoltre sulla protezione, con l'esercito e con le leggi, di una cerchia ristretta di proprietari terrieri, i quali ricambiavano l'Impero pagando le tasse. L'arrivo dei barbari portò a forze centrifughe che separarono le realtà locali dal centro dell'Impero. Quando i barbari occuparono le zone interne all'Impero, i proprietari terrieri - sentendosi indifesi e non potendo lasciare la zona occupata dal nemico perché la loro preminenza si basava sulle loro terre (beni immobili) che quindi non potevano abbandonare - si trovarono costretti ad appoggiare i nuovi padroni, nel tentativo di conservare le proprie terre scongiurando una possibile confisca.<ref>{{cita|Heather|p. 538}}.</ref> Inoltre, i ceti inferiori - oppressi dal fiscalismo tardo-imperiale - appoggiarono gli invasori barbari.
Le [[invasioni barbariche del V secolo]] provocarono, conseguentemente, una crisi economica nella parte occidentale dell'Impero. La sottrazione di diversi territori al controllo dell'Impero da parte dei barbari e la momentanea devastazione di quelli solo momentaneamente occupati provocarono un repentino crollo del gettito fiscale (fino a 1/8 della quota normale) - dato che le province colpite dalle invasioni, con i campi devastati, non erano più in grado di versare le tasse ai livelli di prima. Nel 450 l'Impero aveva perso il 50% della sua base imponibile e per la carenza di denaro non poteva più schierare un esercito in grado di opporsi con successo alle spinte centrifughe dei ''foederati'' germanici, provocando la caduta finale dell'Impero e la formazione dei regni romano-barbarici.
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Un'ipotesi interessante è quella prospettata dallo storico Santo Mazzarino e ripresa dall'economista Giorgio Ruffolo<ref>Santo Mazzarino, ''Fine del mondo antico'', Rizzoli, 1988</ref><ref>{{cita|Ruffolo|}}.</ref>: sotto la superficie apparentemente omogenea della civiltà ellenistico-romana, in realtà emersero progressivamente le antiche nazionalità compresse. Gli effetti di questa spinta si sarebbero manifestati soprattutto nel V secolo in Occidente (in Gallia, in Spagna, in Africa) e soltanto nel VII secolo in Oriente (in Siria e in Egitto). In questo modo si spiegherebbe la facilità con cui le popolazioni romanizzate si fusero con i conquistatori germanici in Occidente e con i conquistatori arabi in Oriente.
Secondo Heather, per sedare le rivolte interne erano in genere sufficienti pochi reggimenti (il [[Flavio Teodosio|Conte Teodosio]] riuscì a sedare una rivolta in Britannia nel 368 con solo quattro reggimenti), quindi, senza un massiccio attacco esterno, le spinte autonomistiche non avrebbero mai potuto portare al crollo dell'Impero; solo se tutte le province dell'Impero si fossero rivoltate tutte insieme, un crollo di questo tipo sarebbe stato plausibile.<ref>{{cita|Heather|p. 539}}.</ref>
==== Cristianesimo ====
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La città di Roma, che aveva ancora tra i {{formatnum:600000}} e il milione di abitanti nel IV secolo, era drammaticamente scesa a {{formatnum:100000}} abitanti all'inizio del regno di Teodorico, il quale, tutto preso dalla missione di restaurare le glorie romane, aveva disposto una serie di grandi opere nell'Urbe: mura, granai, acquedotti e lo stesso palazzo imperiale, abbandonato, sul Palatino. Il sogno di Teodorico, però, venne vanificato appunto dalla guerra gotica, durante la quale Roma venne assediata tre volte e due volte conquistata dagli eserciti avversari. Negli anni intorno al [[540]], dopo la riconquista di [[Totila]], la città fu praticamente abbandonata e avviata alla desolazione: molti dei suoi dintorni si erano trasformati in paludi insalubri, la popolazione ormai non raggiungeva più di {{formatnum:20000}} abitanti, addensati per lo più attorno alla [[Antica basilica di San Pietro in Vaticano|basilica di San Pietro]]. Una fine ingloriosa per la ''[[caput mundi]]'' che aveva dominato su molta parte del [[ecumene|mondo conosciuto]].
Se alcune fonti propagandistiche parlano di un'Italia florida e rinata dopo la conclusione del conflitto,<ref>{{CIL|6|1199}}; ''Liber Pontificalis'', p. 305 («Erat tota Italia gaudiens»); Auct Haun. 2, p. 337 («(Narses) Italiam romano imperio reddidit urbes dirutas restauravit totiusque Italiae populos expulsis Gothis ad pristinum reducit gaudium»)</ref> la realtà doveva essere ben diversa.<ref name=Rav64>{{cita|Ravegnani|p. 64}}.</ref> I tentativi di Giustiniano di combattere gli abusi fiscali in Italia risultarono vani e, nonostante Narsete e i suoi sottoposti avessero ricostruito, in tutto o in parte, numerose città distrutte dai Goti,<ref>Secondo Mario Aventicense, s.a. 568, Narsete ricostruì Milano, distrutta dagli Ostrogoti nel 539, e numerose altre città. Un'epigrafe ({{CIL|6|1199}}) attesta la ricostruzione, per merito di Narsete, di un ponte di Roma, distrutto dagli Ostrogoti. Narsete, inoltre, secondo la cronaca dei vescovi di Napoli, riparò le mura della città partenopea, che erano state danneggiate dagli Ostrogoti di Totila, ampliandole in direzione del porto (Vita di Atanasio Vescovo di Napoli).</ref> l'Italia non riuscì a recuperare la sua antica prosperità.<ref name=Rav64/> Nel 556 papa Pelagio si lamentò in una lettera al [[Arcidiocesi di Arles|vescovo di Arles]] delle condizioni delle campagne, «così desolate che nessuno è in grado di recuperare»;<ref name=Rav66>{{cita|Ravegnani|p. 66}}.</ref> proprio a causa della situazione critica in cui versava l'Italia, Pelagio fu costretto a chiedere al vescovo in questione di inviargli i raccolti dei patrimoni pontefici nella Gallia meridionale, oltre a una fornitura di vesti, per i poveri della città di Roma.<ref>Papa Pelagio, Epistola 4.</ref> A peggiorare le condizioni del paese, già provato dal fiscalismo bizantino, contribuì inoltre un'epidemia di peste che spopolò l'Italia dal 559 al 562; a essa, inoltre, fece poi seguito anche una carestia.<ref>Paolo Diacono, II, 4.</ref>
Anche Roma faticò, nonostante i fondi promessi, a riprendersi dalla guerra e l'unica opera pubblica riparata nella città di cui si ha notizia è il [[ponte Salario]], distrutto da Totila e ricostruito nel 565.<ref name=Rav65>{{cita|Ravegnani|p. 65}}.</ref> La guerra rese Roma una città spopolata e in rovina: molti monumenti si deteriorarono e dei 14 acquedotti che prima della guerra fornivano acqua alla città ora solo uno, secondo gli storici, rimase in funzione, l{{'}}''Aqua Traiana'' fatto riparare da Belisario.<ref name=Rav65/> Anche per il [[Senato romano]] iniziò un irreversibile processo di declino che si concluse con il suo scioglimento verso l'inizio del VII secolo: molti senatori si trasferirono a Bisanzio o vennero massacrati nel corso della guerra.<ref name=IlmondobizantinoI34/><ref name=Rav65/> Roma, alla fine della guerra, contava non più di {{formatnum:30000}} abitanti (contro i {{formatnum:100000}} di inizio secolo) e si avviava alla completa ruralizzazione, avendo perduto molti dei suoi artigiani e commercianti e avendo accolto al contempo numerosi profughi provenienti dalle campagne.<ref name=IlmondobizantinoI34/> Il declino non coinvolse, tuttavia, tutte le regioni: quelle meno colpite dalla guerra, come la Sicilia o Ravenna, non sembrano aver risentito in misura rilevante degli effetti devastanti del conflitto, mantenendo la propria prosperità.<ref name=IlmondobizantinoI34/>
Anche i patrimoni della Chiesa subirono le conseguenze della guerra: nel 562 papa Pelagio si lamentava, scrivendo al prefetto del pretorio d'Africa Boezio, del fatto che a causa delle devastazioni provocate dalla lunga e distruttiva guerra ormai riceveva proventi solo dalle isole e dalle zone al di fuori dell'Italia, essendo impossibile, dopo venticinque anni continui di guerra, ricavarli dalla penisola desolata; e, essendo i proventi della Chiesa necessari per sfamare la popolazione povera di Roma, anch'essa ne avrebbe fatto le spese;<ref>Papa Pelagio, Epistola 85.</ref> tuttavia Pelagio e la Chiesa riuscirono a superare la crisi e a riprendersi, anche grazie alla confisca dei beni della Chiesa ariana che passarono alla Chiesa cattolica.<ref name=Rav66/>
Il 13 agosto [[554]], con la promulgazione a [[Costantinopoli]] da parte di Giustiniano di una ''[[pragmatica sanctio]] pro petitione Vigilii'' ("Prammatica sanzione sulle richieste di [[papa Vigilio]]"), l'Italia veniva fatta rientrare, sebbene non ancora del tutto pacificata, nel dominio "romano";<ref>{{cita|Ravegnani|p. 63}}.</ref> con essa Giustiniano estese la legislazione dell'Impero all'Italia, riconoscendo le concessioni attuate dai re goti fatta eccezione per l'"immondo" Totila (la cui politica sociale fu quindi annullata portando alla restaurazione dell'aristocrazia senatoriale e costringendo i servi affrancati da Totila a ritornare a servire i loro padroni), e promise fondi per ricostruire le opere pubbliche distrutte o danneggiate dalla guerra, garantendo inoltre che sarebbero stati corretti gli abusi nella riscossione delle tasse e sarebbero stati forniti fondi per promuovere la rifioritura della cultura.<ref name=Rav63-64>{{cita|Ravegnani|pp. 63-64}}.</ref>
Narsete rimase ancora in Italia con poteri straordinari e riorganizzò l'apparato difensivo, amministrativo e fiscale; a difesa della penisola furono stanziati quattro comandi militari, uno a ''[[Cividale del Friuli|Forum Iulii]]'', uno a [[Trento]], uno presso i laghi [[Lago Maggiore|Maggiore]] e [[Lago di Como|di Como]] e infine uno presso le [[Alpi Graie]] e [[Alpi Cozie|Cozie]].<ref name=Rav62>{{cita|Ravegnani|p. 62}}.</ref> L'Italia fu organizzata in [[prefettura del pretorio d'Italia|Prefettura]] e suddivisa in due [[diocesi (storia romana)|diocesi]], a loro volta suddivise in [[Provincia romana|province]].<ref name=Rav62/> La Sicilia e la Dalmazia vennero però separate dalla prefettura d'Italia: la prima non entrò a far parte di nessuna prefettura, venendo governata da un pretore dipendente da Costantinopoli, mentre la seconda venne aggregata alla [[Prefettura del pretorio dell'Illirico|Prefettura dell'Illirico]];<ref name=Rav62/> la Sardegna e la Corsica facevano già parte, fin dai tempi della [[guerra vandalica]] ([[533]]-[[534]]), della [[Prefettura del pretorio d'Africa]]. Secondo la "Prammatica Sanzione" i governatori provinciali sarebbero stati eletti dalle popolazioni locali, ovvero i notabili e i vescovi; tuttavia sull'effettiva applicazione di tale principio sono emersi dubbi, dato che da tempo i governatori provinciali erano controllati dall'autorità centrale.<ref name=Rav63-64/>
Se si presta fede alla "Prammatica Sanzione", le tasse non furono incrementate rispetto all'epoca gotica, ma evidentemente i danni provocati dalle devastazioni belliche resero molto difficile pagarle e, del resto, sembra che Narsete non ricevesse sussidi da Costantinopoli, ma dovesse provvedere da sé per il mantenimento dell'esercito e dell'amministrazione. Nel [[568]] [[Giustino II]], in seguito alle proteste dei Romani per l'eccessiva pressione fiscale,<ref>I Romani chiesero all'Imperatore di rimuovere Narsete dal governo dell'Italia in quanto si stava meglio sotto i Goti che sotto il suo governo, minacciando di consegnare l'Italia e Roma ai barbari. Cfr. P. Diacono, ''Historia Langobardorum'', II, 5 e {{cita|Ravegnani|p. 69}}.</ref> rimosse dall'incarico di governatore Narsete sostituendolo con [[Longino (prefetto)|Longino]].
Con la vittoria bizantina nella guerra gotica l'Italia non ebbe, comunque, l'auspicata stabilità né venne riformato l'Impero romano d'Occidente: la penisola venne infatti invasa nel [[568]] da una nuova popolazione germanica, i [[Longobardi]], che determinerà una profonda spaccatura storica del paese, diviso in aree sotto il dominio longobardo e territori ancora in mano bizantina. Si giunse così a un'epoca in cui rimase in piedi il solo [[Impero romano d'Oriente]], da allora definito dalla storiografia moderna come [[Impero bizantino]] più che come Impero romano d'Oriente.
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