Anitya: differenze tra le versioni

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== Etimologia ==
La parola ''anitya'' è composta da "''a"'' (non) e "''nitya"'' (costante), e quindi significa letteralmente "non costante", "non permanente", "non eterno".<ref>{{Cita libro|autore=Saverio Sani|anno=2023|titolo=Dizionario Sanscrito-Italiano|città=Pisa|editore=Edizioni ETS|ISBN=9788846721730}}</ref> Indica, dunque, il carattere non permanente dei fenomeni, e l'aspetto transitorio delle cose materiali, ma dal punto di vista buddista anche la "[[Anātman|non sostanzialità dell'io]]", che è un altro concetto fondamentale della dottrina.
 
==Citazioni canoniche ==
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== Rapporti con la filosofia ==
Nell'ambito filosofico il concetto buddista di impermanenza si confronta con la tradizione del pensiero occidentale trovando convergenze, ma più spesso differenze.<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Cristiano Martorella|anno=2006|mese=giugno-agosto|titolo=La Verità e il Luogo. Convergenze e divergenze fra la filosofia occidentale e giapponese|rivista=Diogene Filosofare Oggi|numero=4|pp=14-19}}</ref>
La principale difficoltà risiede nella prevalenza della [[funzione di verità|logica vero-funzionale]] che tende a escludere un mutamento dei fenomeni, e presenta una propensione del pensiero occidentale a indirizzarsi verso una disposizione in categorie, piuttosto che riconoscere il flusso di [[fenomeno (filosofia)|fenomeni]] non stabili.<ref name=":0" /> Inoltre c'è un pregiudizio, abbastanza frequente, che ritiene la [[logica]] esposta dal pensiero occidentale come l'unica corretta, escludendo visioni alternative, come il concetto di impermanenza, e le conseguenze che ne derivano.<ref name=":0" /> Secondo la dottrina buddista gli stessi fenomeni mentali sarebbero transitori, e quindi ciò varrebbe anche per le categorie logiche che sarebbero in ultima istanza soltanto un mero strumento dell'intelletto per organizzare la rappresentazione della realtà.
 
== Note ==