Arbegnuoc: differenze tra le versioni
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| Categoria = Milizie irregolari
| Nome = Arbegnuoc
| Immagine =
| Didascalia = Combattenti etiopici (''arbegnuoc'') durante la guerra contro l'occupante italiano
| Attivo = [[1936]]-[[1941]]
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| Ref = fonti citate nel corpo del testo
}}
Gli '''Arbegnuoc''' (
Gli arbegnuoc, guidati da capi abili e determinati, continuarono a battersi con crescente efficacia per tutto il periodo del dominio coloniale italiano e misero in seria difficoltà l'occupante mantenendo il controllo di vaste zone del territorio etiopico. Con l'inizio della [[seconda guerra mondiale]], gli arbegnuoc fornirono un importante aiuto alle [[British Army|truppe britanniche]] contribuendo alla rapida vittoria e alla liberazione del territorio nazionale. Il 6 aprile 1941 le forze britanniche e sudafricane del generale [[Alan Cunningham]] fecero ingresso in [[Addis Abeba]] insieme a 800 arbegnuoc del famoso capo guerrigliero [[Abebe Aregai]].
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La [[guerra d'Etiopia]] aveva avuto una svolta nel febbraio 1936 con le prime vittorie del corpo di spedizione italiano; dopo la disgregazione delle principali armate etiopiche e il fallimento del [[Battaglia di Mai Ceu|disperato contrattacco]] delle forze regolari del Negus il 31 marzo 1936 a [[Mai Ceu]], le forze italiane, sostenute da una netta superiorità di armamenti e grazie anche all'impiego dei gas, sembrarono aver definitivamente fiaccato la resistenza del nemico; a Roma [[Benito Mussolini]] decise di sfruttare la situazione e accelerare al massimo il prosieguo delle operazioni<ref>{{cita|Rochat|pp. 58-62 e 65-70}}; sull'impiego dei gas.</ref>.
La "[[Occupazione di Addis Abeba|marcia della ferrea volontà]]" condotta dal comandante in capo, maresciallo [[Pietro Badoglio]], aveva avuto inizio da [[Dessiè]] il 24 aprile 1936 e si era conclusa il 5 maggio con l'entrata in [[Addis Abeba]] delle colonne motorizzate italiane; dopo questo clamoroso successo Mussolini poté quindi proclamare enfaticamente il 9 maggio 1936 la fine vittoriosa della guerra d'Etiopia e la ricostituzione dell'[[Africa Orientale Italiana|Impero]]<ref>{{cita|Rochat|pp. 62-64}}.</ref>. Nei giorni seguenti, la partenza per l'esilio del Negus Hailé Sellasié<ref>Il Negus abbandonò Addis Abeba il 1 maggio 1936 e trovò rifugio a [[Gibuti]] da dove proseguì per [[Haifa]] dove navi britanniche lo trasferirono in Europa; in {{cita|De Felice|p. 743}}</ref> e il ritorno in [[Italia]], il 21 maggio, del maresciallo Badoglio per ricevere una trionfale accoglienza, sembrarono confermare la vittoria del regime fascista nella sua audace impresa coloniale<ref>{{cita|Rochat|pp. 64 e 73}}.</ref>.
[[File:SelassieInJerusalem.jpg|thumb|left|upright=1.2|Maggio 1936: il [[Negus]] [[Hailé Selassié]] giunge a [[Gerusalemme]] durante una tappa del suo esilio.]]
[[File:Arbegnuoc 1.jpg|left|thumb|
In realtà se la marcia motorizzata su Addis Abeba si era rivelata un grande successo politico e propagandistico, dal punto di vista strategico non aveva certamente risolto definitivamente la guerra; le truppe italiane che raggiunsero la capitale rimasero praticamente bloccate ad Addis Abeba, mentre la popolazione etiopica interruppe la strada di Dessiè; le comunicazioni divennero precarie con l'inizio della stagione delle grandi piogge, mentre i combattenti etiopici erano attivi nello [[Scioa]] e molte regioni dell'impero del Negus erano ancora da conquistare<ref>{{cita|Rochat|pp. 63-64}}.</ref>. Mussolini non sembrò avere timori; al contrario prese nuove decisioni politiche radicali. Il Duce escluse la ricerca di collaborazione da parte di autorità locali disposte a cooperare con l'occupante ed affermò recisamente di essere "contrario a ridare qualsiasi potere ai [[Titoli nobiliari etiopici|ras]]...niente poteri a mezzadria"; il nuovo ministro delle colonie [[Alessandro Lessona]] condivise pienamente le rigide decisioni di Mussolini e il 1 giugno 1936 venne ufficialmente costituito il dominio diretto italiano con la nomina di un governatore-viceré e la suddivisione del territorio in cinque governatorati<ref>{{cita|Rochat|pp. 75-78}}.</ref>.
Il maresciallo [[Rodolfo Graziani]] divenne il primo viceré-governatore con pieni poteri ma egli non condivideva le decisioni provenienti da Roma; isolato con le sue forze ad Addis Abeba, Graziani era in difficoltà e richiedeva una politica più elastica e la presa di contatto con "ex ras e [[Titoli nobiliari etiopici|degiac]]"; il maresciallo riferiva che la sua situazione era critica e che i capi etiopici e la popolazione "sono a noi avversi" e facevano resistenza<ref>{{cita|Rochat|pp. 79-80}}.</ref>. Le sue proposte furono però nettamente respinte; il ministro Lessona confermò le disposizioni del Duce e ordinò al viceré di impiegare "mezzi estremi per stroncare inesorabilmente ogni velleità di ribellione". Lessona in data 10 settembre 1936 autorizzava "ad impiegare i gas, se Vostra Eccellenza lo ritenga utile"<ref>{{cita|Rochat|pp. 80-81}}.</ref>.
Alla fine di maggio 1936 vaste regioni aride e inospitali dell'Etiopia sud-occidentale, quasi prive di vie di comunicazione, non erano state ancora occupate dal corpo di spedizione italiano; tutto il territorio compreso tra i laghi [[lago Tana|Tana]] e [[Chew Bahir|Stefania]] e i centri di [[Magalo]] e [[Gambela]] che comprendeva le province del [[Regione degli Amara|Goggiam]], [[Arussi]], [[Gimma]], [[Sidamo]], [[Borana (zona)|Borana]] e parte dello Scioa era ancora libero<ref name="ADB11">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 11}}.</ref>. In questo vasto territorio erano ancora attivi i resti dell'esercito etiopico costituiti da circa
Sembra che il primo ''arbegnuoc'' dello Scioa sia stato il [[Titoli nobiliari etiopici|ligg]] [[Hailè Mariam Mammo]] che guidò un attacco ad un convoglio italiano il 4 maggio 1936, il giorno prima della caduta di Addis Abeba; a questo primo nucleo si unirono ben presto soldati sbandati, giovani volontari decisi ad opporsi all'occupante e una parte dei cadetti dell'accademia militare di Oletta guidati dal giovane [[Negga Haile Selassie]]<ref name="ADB17">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 17}}.</ref>. Entro giugno nelle colline intorno alla capitale erano attivi numerosi gruppi di ribelli guidati da militari o politici come il degiac [[Ficrè Mariam]], il degiac [[Balcià Abba Nefsa]], il [[Titoli nobiliari etiopici|blatta]] [[Tecle Uolde Hawariat]], l'abile e aggressivo [[Titoli nobiliari etiopici|balambaras]] [[Abebe Aregai]], il vecchio comandante della cavalleria [[Aradù Ifrù]]<ref name="ADB17"/>. Gli ''arbegnouc'' dello Scioa in questa fase riconoscevano la guida suprema del degiac [[Aberra Cassa]], figlio di ras [[Cassa Darghiè]], che era sostenuto dal fratello [[Asfauossen Cassa]] e dal prestigioso vescovo di Dessiè l'[[abuna Petros]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 17-18}}.</ref>. I gruppi di guerriglieri dello Scioa a giugno e luglio attaccarono soprattutto la "strada imperiale" e la ferrovia per [[Gibuti]] e misero in seria difficoltà i presidi e le colonne italiane; Ficrè Mariam in particolare guidò il 6 e il 9 luglio 1936 due pericolosi attacchi alle stazioni ferroviarie a 50 chilometri dalla capitale che, pur respinti, causarono gravi perdite agli occupanti<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 18-20}}.</ref>.
=== Estensione dell'occupazione ed inizio della guerriglia ===
[[File:Abune Petros.jpg|thumb|upright=0.8|Il vescovo di Dessiè, l'[[abuna Petros]], fu uno dei capi della resistenza nello [[Scioa]]; venne fucilato dagli italiani il 30 luglio 1936.]]
La situazione ad Addis Abeba nelle prime settimane dopo la conquista era difficile per gli italiani; le comunicazioni erano possibili solo attraverso la lunga pista dalla [[Somalia]], la violenza e il disordine erano diffusi dentro la città, mentre il maresciallo Graziani, disponendo inizialmente solo di
Gli ''arbegnuoc'' dello Scioa erano effettivamente decisi ad attaccare Addis Abeba; in un incontro a [[Debre Libanos]], con la presenza di Aberra Cassa, dell'abuna Petros e degli altri capi, venne deciso un piano temerario per assaltare la capitale con cinque colonne separate, contando soprattutto di sfruttare una sollevazione generale della popolazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 20-21}}.</ref>. L'assalto ebbe inizio il 28 luglio 1936 in una mattina nebbiosa ma, nonostante alcuni successi, i guerriglieri non riuscirono a coordinare i loro attacchi; mentre gli uomini di Aberra Cassa giunsero di sorpresa senza incontrare resistenza fin nel centro di Addis Abeba dove scatenarono il panico, Ficrè Mariam venne fermato dal corso di un torrente in piena e poi bloccato da reparti italiani rafforzati da mezzi meccanizzati. Nel frattempo gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai inizialmente avanzarono fino quasi alla residenza di Graziani ma furono poi contrattaccati da [[Camicie Nere|militi delle Camicie Nere]] e da [[àscari]] eritrei; infine le ultime due colonne etiopiche non riuscirono il primo giorno neppure ad entrare in azione a causa della piena di vari corsi d'acqua<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 21-22}}.</ref>.
I combattimenti ad Addis Abeba continuarono fino al 30 luglio 1936; gli ''arbegnuoc'' dei fratelli Aberra e Asfauossen Cassa mantennero coraggiosamente le loro posizioni nonostante i contrattacchi delle forze italo-eritree dei generali [[Italo Gariboldi]], [[Sebastiano Gallina]] e [[Vincenzo Tessitore]]; infine i guerriglieri, colpiti anche dall'aviazione, dovettero cedere; Ficrè Mariam fu l'ultimo a ripiegare con i suoi uomini e con un gruppo di cadetti di Oletta<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 22}}.</ref>. L'assalto era fallito per le difficoltà tattiche, l'indisciplina degli etiopici e soprattutto per lo scarso supporto della popolazione che rimase in maggioranza indifferente; l'influente ras [[Hailu Tekle Haymanot]] rifiutò di aiutare gli ''arbegnuoc'' e invece collaborò con gli italiani e consegnò l'abuna Petros al maresciallo Graziani che effettuò una brutale repressione; il vescovo di Dessiè venne immediatamente fucilato già il 30 luglio e nei giorni seguenti le truppe italiane "passarono per le armi tutti i prigionieri" ed effettuarono "repressioni inesorabili"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 23-25}}.</ref>.▼
Il fallimento dell'attacco ad Addis Abeba scosse il morale di Aberra Cassa che a partire dal mese di agosto assunse un atteggiamento equivoco ed entrò in contatto con il maresciallo Graziani e con i ras collaborazionisti Hailu Tekle e [[Sejum Mangascià]], ma gli altri capi della resistenza scioana non desistettero e, nonostante la repressione, continuarono ad attaccare le linee di comunicazione intorno alla capitale; il 26-27 agosto gli ''arbegnuoc'' sferrarono un nuovo attacco alla città che venne respinto ma la situazione degli occupanti, circondati da circa
▲I combattimenti ad Addis Abeba continuarono fino al 30 luglio 1936; gli ''arbegnuoc'' dei fratelli Aberra e Asfauossen Cassa mantennero coraggiosamente le loro posizioni nonostante i contrattacchi delle forze italo-eritree dei generali [[Italo Gariboldi]], [[Sebastiano Gallina]] e [[Vincenzo Tessitore]]; infine i guerriglieri, colpiti anche dall'aviazione, dovettero cedere; Ficrè Mariam fu l'ultimo a ripiegare con i suoi uomini e con un gruppo di cadetti di Oletta<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 22}}</ref>. L'assalto era fallito per le difficoltà tattiche, l'indisciplina degli etiopici e soprattutto per lo scarso supporto della popolazione che rimase in maggioranza indifferente; l'influente ras [[Hailu Tekle Haymanot]] rifiutò di aiutare gli ''arbegnuoc'' e invece collaborò con gli italiani e consegnò l'abuna Petros al maresciallo Graziani che effettuò una brutale repressione; il vescovo di Dessiè venne immediatamente fucilato già il 30 luglio e nei giorni seguenti le truppe italiane "passarono per le armi tutti i prigionieri" ed effettuarono "repressioni inesorabili"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 23-25}}</ref>.
Nonostante questo successo il governo provvisorio di Gore si disgregò entro il mese di novembre 1936; la [[Gran Bretagna]], impegnata nel riavvicinamento diplomatico con l'Italia, evitò di impegnarsi a fondo, mentre tra i capi etiopici predominava la discordia e un forte pessimismo; inoltre gli italiani riuscirono a fomentare la rivolta generale delle tribù galla e l'8 ottobre 1936 fecero ritorno a Lechemti dove accolsero la sottomissione di importanti capi locali. Da Londra il Negus fece pressioni per continuare la resistenza e promise aiuti; ras Immirù decise quindi il 10 novembre 1936 di lasciare Gore con 1.200 uomini e marciare contro gli italiani<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 32-38}}.</ref>.▼
▲Il fallimento dell'attacco ad Addis Abeba scosse il morale di Aberra Cassa che a partire dal mese di agosto assunse un atteggiamento equivoco ed entrò in contatto con il maresciallo Graziani e con i ras collaborazionisti Hailu Tekle e [[Sejum Mangascià]], ma gli altri capi della resistenza scioana non desistettero e, nonostante la repressione, continuarono ad attaccare le linee di comunicazione intorno alla capitale; il 26-27 agosto gli ''arbegnuoc'' sferrarono un nuovo attacco alla città che venne respinto ma la situazione degli occupanti, circondati da circa 20.000 ribelli, rimase difficile<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 24-25}}</ref>. Mentre nello Scioa dominavano le bande guerrigliere, a [[Gore (Etiopia)|Gore]] nell'Ilubabor era attivo un secondo centro di resistenza all'occupazione italiana; in questa città fin dall'8 maggio 1936 si era insediato un governo provvisorio in contatto con il Negus che era guidato da [[Uolde Tzadek]] e sostenuto da alcuni esponenti del movimento dei "Giovani etiopici", da una parte dei cadetti di Oletta e da un migliaio di guerrieri di ras Immirù<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 26-27}}</ref>. Il tentativo di organizzare una struttura di potere solida nell'ovest del territorio abissino tuttavia non ebbe successo a causa dei contrasti tra i dirigenti etiopici, dell'ambiguo comportamento dei rappresentanti sul posto del governo britannico, dell'opposizione dei capi della [[Oromo|popolazione galla]], tradizionalmente ostile agli [[Amhara (popolo)|amhara]]. Il maresciallo Graziani, sollecitato da Mussolini, decise di intervenire subito nell'ovest etiopico inviando a [[Nekemte|Lechemti]] una [[eccidio di Lechemti|piccola spedizione aerea]] che tuttavia venne attaccata e distrutta il 26-27 giugno 1936 dai cadetti etiopici guidati da [[Keflè Nasibù]] e [[Belai Haileab]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 27-32}}; tra i caduti dell'[[eccidio di Lechemti]] si ricordano le medaglie d'oro [[Antonio Locatelli]] e generale dell'aeronautica [[Vincenzo Magliocco]].</ref>
▲Nonostante questo successo il governo provvisorio di Gore si disgregò entro il mese di novembre 1936; la [[Gran Bretagna]], impegnata nel riavvicinamento diplomatico con l'Italia, evitò di impegnarsi a fondo, mentre tra i capi etiopici predominava la discordia e un forte pessimismo; inoltre gli italiani riuscirono a fomentare la rivolta generale delle tribù galla e l'8 ottobre 1936 fecero ritorno a Lechemti dove accolsero la sottomissione di importanti capi locali. Da Londra il Negus fece pressioni per continuare la resistenza e promise aiuti; ras Immirù decise quindi il 10 novembre 1936 di lasciare Gore con 1.200 uomini e marciare contro gli italiani<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 32-38}}</ref>.
=== Le "operazioni di polizia coloniale" ===
L'11 ottobre 1936 il ministro Lessona era giunto a Gibuti da dove avrebbe dovuto raggiungere Addis Abeba per ferrovia, per conferire personalmente con il maresciallo Graziani; tra i due alti dirigenti erano continuati i contrasti riguardo alla tattica da seguire per schiacciare la resistenza etiopica e assicurare il dominio totale sul territorio; Lessona aveva ordinato inoltre, su indicazione del governo, di "fucilare tutti i cosiddetti Giovani etiopici". Graziani, famoso per la sua durezza in Libia, non era contrario ad usare metodi spietati contro gli ''arbegnuoc'', ma temeva le interferenze da Roma, era intenzionato a mantenere il controllo delle decisioni e riteneva più opportuno impiegare in modo elastico le misure repressive<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 41-47}}.</ref>. Inoltre anche Mussolini faceva pressioni per risolvere al più presto la situazione e rimpatriare la maggior parte delle truppe nazionali. Al momento dell'arrivo di Lessona in Africa orientale la situazione della guarnigione italiana di Addis Abeba rimaneva precaria; gli ''arbegnuoc'' di Ficrè Mariam continuavano ad attaccare le strade e la ferrovia e correvano voci di progetti dei guerriglieri di colpire direttamente il ministro durante il viaggio in treno da [[Dire Daua]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 47-48}}.</ref>.
Lessona giunse ad Addis Abeba il pomeriggio del 12 ottobre dopo un viaggio in treno e dopo aver osservato i combattimenti in corso tra guerriglieri e truppe italiane; il ministro entrò subito in contrasto con Graziani e i generali accusati di non agire con la necessaria energia per eliminare la resistenza e assicurare i collegamenti delle capitale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 48-49}}.</ref>. Il governatore diramò quindi nuovi ordini draconiani in cui affermava che era "ora di finirla con le debolezze" e richiedeva di essere informato regolarmente sul "numero dei passati per le armi". Lessona lasciò Addis Abeba il 21 ottobre mentre il maresciallo Graziani diede inizio all'offensiva generale d'autunno contro i guerriglieri dello Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 49-50}}.</ref>.
Dopo queste operazioni di repressione il maresciallo Graziani, avendo ripreso il controllo delle comunicazioni di Addis Abeba e indebolito la resistenza dello Scioa, poté dare inizio, dopo la fine della stagione delle piogge, alle grandi offensive per completare la conquista del territorio etiopico. Fin dal 15 giugno 1936 il generale [[Guglielmo Nasi]] aveva invaso la vasta regione dell'Harar, Bale e Arussi dove erano ancora presenti circa
[[File:Ras Immiru.jpg|thumb|left|upright=1.1|[[Immirù Hailé Selassié|Ras immirù]] si arrese dopo una strenua resistenza il 16 dicembre 1936 e venne deportato in Italia.]]
Il maresciallo Graziani aveva nel frattempo inviato tre colonne di truppe alla conquista dell'ovest etiopico dove il governo provvisorio di Gore era ormai in disfacimento; il 24 ottobre 1936 venne raggiunta Lechemti, mentre altre truppe marciavano su [[Gimma]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 53}}.</ref>. La colonna Princivalle venne attaccata il 6 novembre dalla banda di guerriglieri del coraggioso degiac [[Balcià Abba]] che tentò inutilmente di fermare gli italo-eritrei; dopo una valorosa resistenza i guerriglieri vennero sconfitti e il degiac rimase ucciso; subito dopo la colonna Princivalle raggiunse Gimma, mentre un altro reparto italiano entrò a Gore il 26 novembre; il governo provvisorio etiopico non esisteva più e Uolde Tzadek fece atto di sottomissione al potere dell'occupante; l'[[abuna Micael]] che tentava ancora di opporsi venne sommariamente fucilato<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 54-55}}.</ref>.
Dopo il crollo dell'effimero governo di Gore e l'occupazione italiana dell'ovest etiopico, rimaneva ancora in armi in questo territorio solo ras Immirù che all'inizio di novembre era partito con le sue deboli forze per affrontare direttamente il nemico; dopo aver superato la resistenza delle tribù Galla ostili al dominio amhara, il ras cercò di suscitare la sollevazione generale delle popolazioni contro l'occupante con una serie di proclami in cui denunciava la brutalità degli italiani che "hanno ucciso i nostri soldati col veleno e con le bombe", e affermava che i nemici "ci vogliono togliere il paese che i nostri avi resero prospero. Cercano ogni pretesto per sterminarci"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 55}}.</ref>. Nonostante la loro eloquenza e il loro realismo i proclami di ras Immirù tuttavia non raggiunsero alcun risultato ed egli fu quindi costretto a ripiegare e cercare aiuti nella regione dell'[[Uollega]]. La sua situazione era senza speranza; accerchiato dalle tre colonne italo-eritree Tessitore, Princivalle e Malta, e bloccato dal corso del fiume [[Gogeb]], ras Immirù decise infine di recarsi al campo del nemico e il 16 dicembre 1936 si arrese insieme ai capi Keflè Nasibù e Belai Haileab, ai cadetti di Oletta e a un gruppo di "Giovani etiopici"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 55-56}}.</ref><ref>{{cita|Dominioni|pp. 157-161}}.</ref>. In questa occasione il maresciallo Graziani decise di risparmiare la vita del capo abissino che, dopo consultazioni con Roma, venne dichiarato prigioniero di guerra e quindi deportato in Italia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 56-58}}.</ref>.
La repressione italiana fu invece spietata e brutale contro i tre fratelli Cassa; [[Uonduossen Cassa]] dopo aver intrapreso inizialmente dei negoziati, decise di rifugiarsi con i suoi fedeli sulle montagne prima di riprendere la guerriglia nel settembre 1936 attaccando il centro di [[Lalibelà]]. Il maresciallo Graziani prese misure brutali contro questo gruppo di resistenza, impiegando anche, secondo le istruzioni del ministro Lessona, i gas che vennero utilizzati ampiamente sui villaggi tra Lalibelà e Bilbolà Ghiorghis. Uonduossen Cassa venne infine intercettato con i suoi uomini al passaggio del fiume [[Tacazzè]] e il 10 dicembre 1936 costretto alla resa dopo un disperato combattimento, dalla colonna del capitano Farello; nella stessa serata venne quindi fucilato<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 59-62}}.</ref>. Pochi giorni dopo subivano una fine ugualmente tragica anche gli altri due fratelli Cassa, Aberrà e Asfauossen, che dopo il fallimento di Addis Abeba si erano rifugiati a [[Ficcè]] dove avevano intrapreso ambigui negoziati con le autorità italiane. Abebe Aregai diffidava dei fratelli Cassa e molti loro seguaci, tra cui gli ultimi cadetti di Oletta, lasciarono il rifugio di Ficcè e si unirono alle bande ancora attive di Hailè Mariam Mammo<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 62-64}}.</ref>. La situazione dei due fratelli Cassa divenne quindi disperata mentre cinque colonne italo-eritree convergevano su Ficcè; il 21 dicembre 1936 Aberra e Asfauossen Cassa, dopo aver accolto inviti alla resa da parte di Graziani e del generale [[Ruggero Tracchia]] e dopo aver ricevuto assicurazione sulle loro vite, si consegnarono alle truppe nemiche<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 64-65}}.</ref>. Il generale Tracchia, nonostante le promesse di salvezza, prese subito l'iniziativa di fucilare i due capi abissini che furono uccisi alle ore 18.35; il maresciallo Graziani si assunse la piena responsabilità dell'accaduto e da Roma, Lessona e Mussolini in pratica approvarono l'operato delle autorità italiane in Etiopia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 65-67}}.</ref>. La drammatica fine dei fratelli Cassa suscitò grande emozione tra la popolazione che considerò l'evento simbolico della fine della gerarchia tradizionale etiope, ed accrebbe l'odio verso l'occupante non più ritenuto degno di alcuna fiducia<ref>{{cita|Dominioni|p. 152}}.</ref>.
[[File:La cattura di ras Destà.jpg|thumb|upright=1.4|La cattura di ras Destà (indicato dalla freccia), il 24 febbraio 1937.]]
Dopo la morte dei fratelli Cassa e la cattura di ras Immirù, alla fine del 1936 solo [[ras Destà]] rimaneva ancora attivo dopo essersi trasferito con circa 2.000 uomini nella regione del [[Galla e Sidamo|Sidamo]]; egli nel mese di novembre aveva attaccato ripetutamente le forze italiane del generale [[Carlo Geloso]] prima di ripiegare nella regione montuosa di Arbagona<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 68}}.</ref>. Ras Destà sembrò intenzionato a sua volta a cedere le armi ed entrò in trattative con emissari del nemico; impressionato dalle notizie della fine dei fratelli Cassa,
=== L'attentato a Graziani e la grande repressione ===
{{vedi anche|Strage di Addis Abeba}}
I ripetuti successi delle cosiddette "grandi operazioni di polizia coloniale" sembrarono concludere definitivamente l'azione di conquista dell'Etiopia e consolidamento del nuovo [[Africa Orientale Italiana|Impero italiano in Africa orientale]]; numerosi notabili fecero atto di sottomissione alle autorità dell'occupante e il viceré Graziani si mostrò ottimista e intraprese un lungo viaggio fino a [[Mogadiscio]], Harar e Dire Daua ritornando ad Addis Abeba solo l'11 febbraio 1937<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 77-78}}.</ref>. In realtà il maresciallo, ritornato nella capitale, rilevò la persistenza di ostilità tra gli indigeni e tra elementi infidi e lamentò una sua perdita di autorità a causa della lunga assenza; tuttavia i dirigenti degli apparati di polizia e informazioni non sembrarono allarmati e trascurarono alcuni segnali di pericolo<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 78-79}}.</ref>. Di conseguenza il 19 febbraio 1937, il ''12 Yekarit'' secondo il calendario etiopico<ref>{{cita|Mockler|p. 221}}.</ref>, durante una cerimonia di elargizioni ai poveri di Addis Abeba con la presenza del maresciallo Graziani e di circa 200 notabili etiopici, i servizi di sicurezza furono colti completamente di sorpresa dall'azione improvvisa di due giovani eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, che lanciarono otto bombe a mano contro le autorità presenti sulla gradinata di accesso al palazzo del governatore<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 81-82 e 91}}.</ref>.
[[File:19 febbraio 1937Graziani con l'abuna Kirillos nel Ghebì poco prima dell'attentato.jpg|thumb|left|upright=1.1|19 febbraio 1937: il maresciallo Graziani assiste insieme ad autorità italiane e notabili locali alla cerimonia poco prima dell'attentato.]]
L'esplosione delle bombe provocò sette morti e circa cinquanta feriti tra cui il maresciallo Graziani che rimase seriamente ferito a causa delle numerose schegge che lo raggiunsero; subito dopo l'attentato si scatenò il panico tra la folla e i militi della sicurezza aprirono il fuoco nella massima confusione contro gli etiopici provocando decine di morti<ref>{{cita|Dominioni|p. 178}}.</ref>. Il drammatico evento innescò l'immediata reazione italiana; la repressione e la rappresaglia ebbero inizio fin dal pomeriggio stesso del 19 febbraio, mentre da Roma Mussolini e Lessona ordinarono subito un "radicale repulisti" e le "più rigorose misure"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 83-84}}.</ref>. L'[[strage di Addis Abeba|azione repressiva]] venne diretta in particolare dal capo della federazione fascista di Addis Abeba [[Guido Cortese (federale)|Guido Cortese]] ed ebbe inizialmente un carattere sommario e brutale: i militari e i fascisti della capitale procedettero ad esecuzioni in massa, distruzione di abitazioni, rastrellamenti di presunti oppositori; alcune migliaia di etiopici furono raccolti in campi improvvisati<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 84-86}}.</ref>. Dopo tre giorni di violenze incontrollate, il 21 febbraio 1937 il maresciallo Graziani diede disposizione a Cortese di arrestare temporaneamente la repressione; sembra che circa 3.000 persone furono uccise dagli italiani durante questa prima fase di rappresaglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 86-88}}.</ref>.
In realtà la vera repressione non era ancora iniziata; il maresciallo Graziani, apparentemente convinto, sulla base delle superficiali indagini giudiziarie svolte in fretta dalle autorità, che l'attentato fosse opera di un vasto gruppo di opposizione etiopico coinvolgente gran parte delle personalità superstiti della dirigenza abissina, diede inizio il 26 febbraio alla sistematica fucilazione degli esponenti più importanti della resistenza già sottomessi o catturati in precedenza<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 89-91}}.</ref>. In pochi giorni furono quindi uccise personalità della cultura, ex-funzionari, gli ultimi cadetti di Oletta, giovani ufficiali ''arbegnuoc'' come Keflè Nasibù, Belai Haileab e Ketema Bechà, capi prestigiosi come [[Bellahu Deggafù]], ritenuto il principale capo del complotto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 92-93}}.</ref>. Subito dopo il maresciallo Graziani, sulla base anche delle direttive provenienti da Roma, estese ulteriormente l'azione di repressione; dal 19 marzo, con l'approvazione del ministro Lessona, il viceré procedette all'arresto di tutti i cantastorie, stregoni e indovini, considerati diffusori di notizie false e suscitatori di idee "pericolose per l'ordine pubblico", che vennero subito brutalmente "passati per le armi"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 98-99}}.</ref>. Il numero dei fucilati crebbe costantemente nei mesi dell'estate 1937; le azioni di violenza spesso si svolsero senza alcuna norma legale, nella confusione, sulla base di direttive generali che disponevano la distruzione dei villaggi e l'eliminazione soprattutto dell'etnia amahra, anche in assenza di segni di ostilità verso l'occupante o della presenza di combattenti ''arbegnuoc''; alcuni ufficiali italiani mostrarono grande durezza nelle operazioni repressive; in particolare il generale [[Pietro Maletti]] che affermò di aver messo "a ferro e fuoco" lo Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 99-102}}.</ref>.
Il culmine delle violenze venne raggiunto a maggio 1937 con i tragici eventi del [[massacro di Debre Libanos]]; informato di una presunta collaborazione della [[Copti|chiesa copta]] con gli autori dell'attentato, il maresciallo Graziani decise di colpire il luogo sacro di [[Debre Libanos]] dove il generale Pietro Maletti tra il 20 e il 25 maggio 1937 arrestò e fece fucilare {{M|1500|-|2000}} tra preti, monaci e diaconi; vennero brutalmente uccisi anche giovani di 12-13 anni e il 26 maggio nella vicina Engecha furono fucilati altri 500 ragazzi in un primo tempo risparmiati<ref>{{cita|Dominioni|pp. 179-180}}.</ref>. Oltre alle fucilazioni in massa e alle distruzioni di villaggi, le misure repressive del maresciallo Graziani, pienamente condivise da Mussolini e Lessona, prevedevano anche la deportazione di capi e notabili e l'organizzazione di campi di concentramento e detenzione in Etiopia; furono organizzati cinque viaggi di deportati da [[Massaua]] all'Italia che trasferirono 323 persone tra maggio e dicembre 1937 prima all'isola dell'[[Asinara]] e poi in varie localita italiane tra cui [[Longobucco]], [[Mercogliano]], [[Tivoli]], Roma e [[Firenze]]<ref>{{cita|Dominioni|pp. 180-181}}.</ref>. Nel giugno 1937 venne invece aperto il campo di concentramento di [[Danane]] dove furono imprigionate in condizioni estremamente disagiate per le carenze di assistenza e vettovagliamento, circa
La violenza della repressione e gli apparenti successi delle operazioni di "polizia coloniale" tuttavia non consolidarono in modo decisivo il dominio italiano in Etiopia; al contrario la crescente brutalità dell'occupante esasperò la popolazione e accrebbe l'ostilità<ref>{{cita|Dominioni|pp. 196-197}}.</ref>. Eventi come le azioni del capitano [[Gioacchino Corvo]] nella regione di [[Bahar Dar]] nella seconda metà del 1937 contribuirono a rafforzare la volontà di resistenza degli ''arbegnuoc''; le impiccagioni pubbliche, le fuciliazioni di "ribelli" e le esecuzioni segrete di notabili locali con metodi barbari come gli annegamenti nelle acque del lago Tana, sollevarono l'indignazione dei civili che avrebbero ben presto sostenuto la rinascita della resistenza dei "patrioti"<ref>{{cita|Dominioni|pp. 197-198}}.</ref>.
=== La nuova resistenza ===
La nuova resistenza ebbe inizio nel [[Lasta]] per iniziativa dell'irriducibile Hailù Chebbedè<ref name="DelBoca">{{
Il governatore quindi espresse ottimismo e non mostrò allarme per gli indizi di una possibile ripresa dell'opposizione armata all'occupante; egli riteneva che la situazione fosse molto favorevole e fosse possibile rimpatriare, accogliendo le pressioni di Lessona e Mussolini, una parte delle sue forze. Il 1 luglio 1937 Graziani disponeva di
Nella primavera del 1937 si era svolto in una località a nord di [[Ambò]], nel [[Ghindeberat]], una riunione dei principali capi della resistenza durante la quale erano state prese le nuove decisioni operative e studiate le tattiche della guerriglia; in questa occasione si cercò anche di organizzare una struttura di comando unificata e venne eletto un comitato dirigente sotto la guida politica del [[Titoli nobiliari etiopici|blatta]] [[Tecle Uolde Hawarit]]; altri dirigenti che ebbero un ruolo fondamentale furono [[Mesfin Scilesci]] e Abebe Aregai che, eletto comandante supremo, preferì tuttavia lasciare il comando nominale degli ''arbegnuoc'' al più anziano [[Auraris Dullu]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 107-108}}.</ref>.
Dopo la ripresa della guerriglia di Hailù Chebbedè nel Lasta, la rivolta degli ''arbegnuoc'' interessò rapidamente il [[Beghemeder]] dove gli uomini di [[Ghebrè Cassa]] e [[Asfau Boccalè]] sbaragliarono due colonne italiane, il Goggiam dove [[Belai Zellechè]] attaccò con successo reparti coloniali, l'Uolla, guidata da Mangascià Abuiè e Hailù Belau che attaccarono la residenza di [[Albucò]]. Entro il mese di agosto 1937 divennero sempre più numerosi e pericolosi i focolai di rivolta; la colonna del maggiore Liverani venne distruttà dai guerrieri di Destà Iscetiè; entrò in azione Haile Mariam Mammo, mentre nel [[Ancoberino]] gli ''arbegnuoc'' erano guidati da Abebe Aregai, Mesfin Scilesci, Zaudiè Asfau e la vedova di Aberra Cassa, Chebbedesh<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 113-114}}.</ref>. Haiulù Chebbedè soprattutto nel mese di agosto raggiunse importanti successi; i suoi ''arbegnuoc'' attaccarono e distrussero la residenza di Amba Uoc e annientarono numerosi altri presidi, mentre in settembre inflissero pesanti perdite ad un battaglione coloniale e devastarono il centro di comunicazioni di [[Quoram]] lungo la strada principale Asmara-Addis Abeba<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 117}}.</ref>.
Il maresciallo Graziani, sorpreso e sconvolto dalle improvvise cattive notizie, sembrò incapace di controllare la situazione e si abbandonò a recriminazioni, soprattutto verso il generale Pirzio Biroli, e a un comportamento violento, ordinando una repressione brutale; il viceré affermò che "ogni falsa pietà è delitto" e richiese alle sue truppe "l'eliminazione di tutti i capi, impostori, stregoni, falsi profeti...non rimane che la legge del taglione"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 114-115}}.</ref>. Le notizie della rivolta etiopica suscitarono viva emozione anche in Italia; Mussolini sollecitò il ritorno di Graziani ad Addis Abeba e inviò rinforzi, mentre il ministro Lessona autorizzò l'impiego di "ogni mezzo" contro i ribelli, "compresi i gas"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 117-118}}.</ref>. Il 19 settembre il maresciallo Graziani riuscì finalmente a concentrare ingenti forze nel Lasta e diede inizio alla repressione contro le bande di Hailù Chebbedè che subirono attacchi dall'aviazione e lanci di iprite; gli ''arbegnuoc'' abbandonarono [[Socotá]] e furono accerchiati; Chebbedè dopo una dura resistenza venne infine catturato da bande irregolari il 24 settembre 1937 e brutalmente ucciso; il cadavere venne decapitato<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 118-119}}.</ref>.
Il maresciallo Graziani fece ritorno nella capitale il 3 ottobre 1937 ma, nonostante la fine della rivolta del Lasta, la guerriglia si stava diffondendo nel Beghemeder, nel Goggiam, nel [[Monti Semien|Semien]]; molti presidi e residenze isolate italiane vennero attaccate e distrutte; i capi Iman e Dagnò Tesselmà, [[Asfau Boccalè]] e Ghebrè Cassa guidavano la ribellione nel Beghemeder dove la residenza di [[Arbì Gherbià]] venne annientata, la residenza di [[Debre Tabor]] assediata e una colonna di soccorso quasi distrutta; il generale Pirzio Biroli non fu in grado di ristabilire la situazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 119-120}}.</ref>. Gli ''arbegnuoc'' ottennero importanti successi nel Goggiam sotto la guida di [[Negasc Bezabè]], Belai Zellechè e soprattutto di [[Mangascià Giamberiè]]; il 13 e 14 settembre vennero attaccati e accerchiati molti presidi italiani e il 3 novembre i capi della rivolta diffusero un proclama in cui affermavano che "tutta l'Etiopia è in rivolta per cacciare gli italiani"; i tentativi di Graziani di favorire la pacificazione facendo intervenire il collaborazionista ras Hailu fallirono completamente; Negasc Bezabè respinse bruscamente gli inviti alla resa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 120-121}}.</ref>. Il 29 ottobre gli ''arbegnuoc'' riuscirono ad attaccare e distruggere un reparto italiano a [[Medani Alem]], nelle vicinanze della stessa Addis Abeba e il 7 novembre Gherarsù Duchì sbaragliò un'altra colonna nemica a [[Uolisò]], nei pressi della capitale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 122}}.</ref>.
[[File:Arbegnoch 2.jpg|thumb
Il viceré venne duramente criticato per questa serie di insuccessi; Mussolini gli propose di inviare ulteriori rinforzi per evitare una disfatta, mentre il ministro Lessona accusò il maresciallo di superficialità e di incapaciatà organizzativa; Graziani era consapevole che la sua autorità era molto scossa e che c'erano voci di una sua sostituzione; egli cercò di ristabilire il suo prestigio ricorrendo alla violenza brutale, ordinando di "non dare tregua", di moltiplicare le distruzioni, di eliminare tutti i prigionieri<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 123-124}}.</ref>. Nel dicembre 1937 il governatore fece un altro tentativo di riprendere il controllo del Goggiam ma la nuova offensiva iniziò subito con un disastro quando il 7 dicembre la colonna del colonnello Barbacini venne attaccata e disgregata dagli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè; due battaglioni coloniali furono accerchiati e distrutti dai guerriglieri<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 124-125}}.</ref>.
Fin dal mese di febbraio 1937 a Roma si esercitavano pressioni su Mussolini per rimuovere Graziani e sostituirlo con il [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Duca d'Aosta]]; il Duce rimase incerto per molti mesi; infine il 10 novembre 1937 informò Graziani che riteneva che "il suo compito sia finito" e gli preannunciava il suo richiamo e la nomina del Duca d'Aosta<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 127-128}}.</ref>. Nonostante le proteste del viceré, Mussolini mantenne le sue decisioni, egli informò il Duca d'Aosta del suo prossimo incarico e nominò il generale [[Ugo Cavallero]], comandante superiore militare il Africa orientale; il Duce inoltre sostituì anche il ministro Lessona, nominando al suo posto il generale [[Attilio Teruzzi]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 130-132}}.</ref>. Dopo alcuni rinvii infine il maresciallo Graziani cedette il comando e partì da Addis Abeba il 10 gennaio 1938; la sua partenza non suscitò lamentele tra le truppe ma al contrario venne accolta con soddisfazione in Africa orientale; la situazione generale che lasciava non era molto tranquillizzante. Alla fine del 1937 vaste zone dell'Etiopia erano in rivolta; gli ''arbegnuoc'' impiegavano tattiche efficaci ed erano in grado di sfuggire alle operazioni di repressione; la violenza dell'occupante favoriva crescenti adesioni alla resistenza. Il maresciallo Graziani dovette tracciare un bilancio inquietante delle perdite subite durante il suo periodo di comando in Africa orientale: circa
=== Caratteristiche della guerriglia degli ''arbegnuoc'' ===
Gli ''arbegnuoc'' dovettero adottare tattiche nuove di guerriglia che si distaccavano profondamente dalla tradizione militare nazionale fondata sul coraggio personale e sullo scontro in campo aperto di fronte al nemico; gli stessi combattenti della resistenza erano consapevoli di impiegare metodi di
[[File:Arbegnuoc.jpg|thumb
La nuova organizzazione degli ''arbegnuoc'' comprendeva le forze combattenti regolari, il cosiddetto ''Dereq'', che erano il nucleo più agguerrito e attivo in permanenza sul territorio, e una milizia irregolare, il ''Mededè'', arruolata tra la popolazione contadina che veniva mobilitata per periodi limitati per rafforzare i combattenti del ''Dereq''<ref name="DB108">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 108}}.</ref>. Questa struttura organizzativa permetteva agli ''arbegnuoc'' di
L'attività della guerriglia si sviluppava soprattutto durante la stagione delle grandi piogge nel corso della quale gli ''arbegnuoc'' si impegnavano in numerosi, piccoli attacchi, diffusi sul territorio, contro vie di comunicazione, presidi militari e colonne isolate del nemico<ref name="MD268"/>. I guerriglieri disponevano di buone e numerose armi individuali, fucili e pistole, ma mancavano completamente di artiglieria e mitragliatrici; erano diffuse anche le armi bianche tradizionali che venivano impiegate negli scontri ravvcinati<ref name="Dominioni_A">{{
In battaglia gli ''arbegnuoc'' erano combattenti disciplinati e aggressivi che mostravano notevoli qualità combattive e una naturale abilità nelle manovre di infiltrazione e accerchiamento; agendo in gruppi autonomi, i comandanti delle bande più piccole eseguivano spontaneamente le manovre sul campo, seguendo le direttive generali dei grandi capi<ref name="DB108"/>. I guerriglieri abissini erano estremamente mobili e molto coraggiosi; inoltre non necessitavano di grandi apparati logistici<ref name=
Gli ''arbagnuoc'' combattenti potevano sfruttare il sostegno presente in gran parte della popolazione; in particolare era attivo un vasto apparato di spionaggio e cospirazione che aiutava la resistenza; i cosiddetti ''ya west arbagnoch'' erano militanti che agivano nella massima segretezza dall'interno e fornivano informazioni e aiuti di personale specializzato e materiali; i ''qafir'' invece erano resistenti che individuavano tempestivamente i movimenti delle truppe italiane e avvertivano in anticipo i reparti combattenti<ref>{{cita|Dominioni|pp. 268-269}}.</ref>. I contadini infine sostenevano la resistenza con l'erogazione di tributi e la distribuzione di vettovaglie; in caso di azioni repressive nemiche queste persone, esposte alla rappresaglia, abbandonavano i villaggi e seguivano gli ''arbagnuoc''. I patrioti etiopi cercavano in ogni modo di stimolare la resistenza nelle campagne e di estendere il consenso alla loro lotta; spesso ricorrevano alla propaganda organizzando missioni improvvise nei mercati dei villaggi per illustrare le loro azioni e leggere i proclami dei grandi capi della resistenza<ref>{{cita|Dominioni|pp. 269-270}}.</ref>.
Anche le donne parteciparono attivamente al movimento di resistenza; all'interno delle bande erano sempre presenti le cosiddette ''gambogna'', le portatrici che svolgevano un fondamentale compito logistico trasportando i viveri e le bevande lungo le interminabili marce negli altopiani; esse inoltre alleggerivano la tensione della guerriglia allietando i combattenti durante gli spostamenti con canti di elogio o ironia verso i guerrieri<ref
Il principale elemento di debolezza della guerriglia degli ''arbegnuoc'' fu costituito dall'insufficiente coordinamento e dalla mancanza di una reale dirigenza centralizzata in grado di sviluppare un progetto strategico unitario; le insurrezioni si svilupparono a livello territoriale in modo autonomo sotto la guida dei capi locali senza un collegamento con rivolte in altre zone del territorio etiopico<ref>{{cita|Rochat|pp. 85-86}}.</ref>. Questa mancanza di coordinamento era dovuta in parte alle oggettive difficoltà di comunicazione ma anche alla tendenza, tradizionale nella cultura etiopica, all'autonomia locale. Inoltre i grandi capi della rivolta generale iniziata nel 1937 non erano più i vecchi ras e la gerarchia tradizionale dell'impero ma elementi nuovi provenienti da livelli medio-bassi della dirigenza che assunsero prestigio e potere sulla base della loro capacità e del loro coraggio sul campo<ref
=== Le operazioni del 1938 ===
L'occupante italiano affidava le operazioni antiguerriglia prevalentemente alle brigate coloniali di ascari, inquadrate da ufficiali e sottufficiali italiani e costituite da truppe indigene resistenti e frugali abituate a muovere e combattere in Africa orientale; i reparti nazionali invece, provenienti dall'esercito del 1935-36 che avevano accettato di rimanere in servizio, erano impiegati nei presidi delle città ma non erano ritenuti in grado di affrontare gli ''arbegnuoc'' nel difficile territorio dell'altipiani<ref>{{cita|Rochat|p. 89}}.</ref>. Oltre alle brigate coloniali, gli italiani impiegavano anche bande irregolari indigene guidate da ufficiali italiani, a cui venivano affidati i compiti repressivi più violenti. Queste truppe, in particolare i reparti ascari di nuova costituzione, mostrarono debolezze di inquadramento e di coesione e ci furono fenomeni di sbandamento e diserzione<ref>{{cita|Rochat|pp. 90-91}}.</ref>.
[[File:Ascari eritrei.jpg|thumb|left|upright=1.3|Reparto di [[àscari]] eritrei; furono le truppe coloniali che, guidate da ufficiali italiani, condussero le operazioni di repressione.]]
Nonostante la schiacciante superiorità di mezzi e armamenti l'occupante italiano non riuscì mai a raggiungere un successo definitivo contro la guerriglia ''arbegnuoc''; l'andamento delle operazioni si ripeteva ciclicamente nel corso degli anni; l'insurrezione di una regione iniziava con l'assalto dei guerriglieri ai presidi isolati, alle guarnigioni dei villaggi e alle colonne minori, che aveva spesso successo; gli ''arbegnuoc'' quindi assumevano il controllo del
Nonostante il superficiale ottimismo del Duca d'Aosta che, giunto ad Addis Abeba il 22 dicembre 1937 come nuovo viceré, si era affrettato a ringraziare il maresciallo Graziani scrivendo di "situazione generalmente buona", in realtà la guerriglia era in sviluppo e dal Goggiam, descritto in "piena rivolta", si estendeva in pratica all'intero territorio tranne l'Harar e le colonie storiche di Eritrea e Somalia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 313}}.</ref>. Il generale Ugo Cavallero, dal 12 gennaio 1938 il nuovo comandante superiore militare alle dipendenze del viceré, dovette subito ammettere che i "ribelli" erano numerosi, godevano del sostegno della popolazione e mettevano in pericolo la sicurezza delle vie di comunicazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 313-314}}.</ref>. Secondo il rapporto del nuovo comandante superiore, le forze ''arbegnuoc'' erano costituite da circa
Mentre il Duca d'Aosta dava prova di attivismo e mostrava un comportamento rigoroso ma apparentemente più moderato nei confronti della popolazione etiopica, il generale Cavallero preparò un ambizioso piano di operazioni globale per schiacciare prima dell'inizio della stagione delle grandi piogge la resistenza abissina<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 317}}.</ref>. Il nuovo ciclo di operazioni ebbe inizio il 19 gennaio 1938 nel Goggiam che venne attaccato da nord e da sud da tre colonne separate mentre altre forze sbarravano i guadi sul [[Nilo]] per impedire ai guerriglieri di sfuggire. Nonostante il notevole spiegamento di forze la campagna non raggiunse risultati definitivi. I presidi assediati dagli ''arbegnuoc'' vennero sbloccati e i prolungati scontri a [[Fagutta]] contro gli uomini di Mangascià Giamberiè, Zaudiè Asfau e Meslin Scilesci si conclusero nel marzo 1938 con la ritirata dei guerriglieri che si dispersero sul territorio<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 317-318}}.</ref>. Nel mese di aprile le colonne italo-eritree si congiunsero a [[Debra Marcos]] e continuarono vaste operazioni di rastrellamento contro gli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè, Negasc Bezabè e Belai Zellechè che ebbero, secondo le fonti italiane,
[[File:Arbegnuoc2.jpg|thumb
Nei mesi di giugno e luglio 1938 il generale Cavallero estese le operazioni di repressione della guerriglia anche nell'Ancoberino contro Abebe Aregai, che pur subendo perdite, riuscì sistematicamente a sganciarsi; altri combattimenti ebbero luogo nell'Amhara Nord, nel Beghemeder e nel [[monte Gibatti]] contro bande ''arbegnuoc'' particolarmente attive e pericolose<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 319}}.</ref>. Cavallero, sulla base dei dati statistici e dei risultati apparenti, si mostrò ottimista e comunicò a Mussolini che contava di vincere la ribellione entro Natale, ma in realtà nel Goggiam erano già ripresi gli attacchi dei guerriglieri che, sotto la guida di Mangascià Giamberiè e Negasc Bezabè, continuarono da luglio a settembre<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 319-320}}.</ref>. In particolare Mangascià Giamberiè riuscì ad evitare i rastrellamenti e nonostante la grave carenza di viveri e munizioni, riuscì a sopravvivere con la sua banda agli attacchi e agli inseguimenti degli occupanti; anche molti altri capi ''arbegnuoc'' riuscirono a mantenersi attivi e, senza deprimersi per le difficoltà materiali e la superiorità del nemico, prolungarono ancora la resistenza, riaccendendo continuamente la guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 320-321}}.</ref>.
Il 1 ottobre 1938 Cavallero fu costretto a sferrare un nuovo ciclo di operazioni nell'Arcoberino contro Abebe Aregai che stava consolidando il suo potere e la sua influenza sul territorio; tre gruppi di bande irregolari e quattro battaglioni coloniali cercarono di agganciare e bloccare gli ''arbegnuoc'' ma nonostante qualche successo, Abebe Aregai riuscì ancora una volta a sfuggire e rompere l'accerchiamento raggiungendo la sua regione natale del [[Menz (Etiopia)|Menz]] dove, rafforzato dai gruppi di Auraris Dullu, riprese le sue azioni di guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 321-322}}.</ref>. Il generale Cavallero giunse sul posto per dirigere personalmente le operazioni contro il capo abissino, ma nonostante l'impiego di circa
=== La guerriglia alla vigilia della seconda guerra mondiale ===
Le operazioni di repressione del 1938 non ottennero quindi risultati decisivi; inoltre in questo periodo si accentuarono i contrasti tra il Duca d'Aosta, convinto della necessità di ridurre la violenza e la brutalità della lotta contro la guerriglia, e il generale Cavallero deciso a mantenere il controllo operativo della guerra contro gli ''arbegnuoc''; a Roma Mussolini manifestò il suo scontento per la situazione in Africa orientale. All'inizio del 1939 il comandante superiore in Africa orientale riprese quindi le grandi operazioni militari contro la resistenza organizzando un'ambiziosa operazione contro gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai; il generale Cavallero affidò al colonnello [[Orlando Lorenzini]] cospicue forze coloniali per rastrellare il Menz; i risultati tuttavia non furono conclusivi; i principali capi della guerriglia sfuggirono al rastrellamento che si prolungò fino alla fine di marzo 1939<ref>{{cita|Dominioni|pp. 206-209}}.</ref>. Inoltre il 9-11 aprile 1939 le truppe italo-eritree furono protagoniste di un nuovo episodio di brutale violenza contro i civili, vecchi, donne e bambini, che seguivano le bande ''arbegnuoc'' in fuga; nella [[strage di Gaia-Zeret]] vennero uccisi con l'impiego di gas o con il fuoco delle mitragliatrici circa
Durante il 1939, mentre la situazione politica internazionale degenerava rapidamente verso la guerra generale, in Africa orientale si alternarono fasi di recrudescenza della guerriglia degli ''arbegnuoc'' e della repressione, con fasi di trattative per ottenere la sottomissione pacifica dei capi della guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 326-327}}.</ref>. I tentativi del Duca d'Aosta e del generale Nasi di ottenere la sottomissione dei capi della guerriglia per mezzo di trattative ottennero alcuni risultati: Zaudiè Asfau e Olonà Dinkel si accordarono con le autorità italiane e rinunciarono alla ribellione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 331}}.</ref>. Non raggiunsero il successo invece i lunghi e complessi tentativi per convincere a rinunciare alla lotta ras Abebe Aregai che ormai era divenuto il vero capo degli ''arbegnuoc'' e manteneva rapporti con i francesi di Gibuti. Sembra che in alcune circostante egli abbia accettato di intavolare trattative soprattutto per guadagnare tempo e ottenere armi e vettovaglie; tutti i contatti con Abebe Aregai ricercati da inviati italiani di alto rango, compreso il generale De Biase terminarono nel nulla; il capo etiope non si presentò all'incontro al vertice programmato per il 14 marzo 1940
Nonostante il fallimento delle trattative con Abebe Aregai, gli italiani ottennero alcuni successi anche nel Goggiam dove furono indebolite le bande di Negasc Bezabè e Mangascià Giamberiè; il viceré nel 1939 manifestò fiducia e ottimismo riguardo alla situazione in Africa orientale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 332-333}}.</ref>. In realtà l'evoluzione della politica internazionale stava già influendo negativamente sul dominio italiano; dal 1938 la [[Francia]] e la [[Regno Unito|Gran Bretagna]] avevano iniziato a supportare concretamente la guerriglia etiopica per minare dall'interno la precaria autorità dell'occupante. In Francia il governo approvò un programma di "guerra sovversiva" e prese contatti con Abebe Aregai e Gherarsù Duchì; ufficiali superiori francesi e britannici nel giugno 1939 si incontrarono ad [[Aden]] e stabilirono un preciso programma militare contro l'Italia in Africa orientale che prevedeva tra l'altro il "sostegno ad una rivolta generale in Etiopia" fornendo armi e munizioni e sviluppando la propaganda<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 333-334}}.</ref>.
[[File:Ilio Barontini e arbegnuoc.jpg|thumb|left|upright=1.3|L'esponente del [[Partito Comunista
In precedenza, nel mese di dicembre del 1938, il [[Partito Comunista
La missione continuò fino al marzo 1940 quando i comunisti italiani e Taezaz iniziarono il viaggio di ritorno in Francia; nel frattempo il colonnello Monnier invece era morto di malattia nel novembre 1939; le autorità fasciste vennero a conoscenza della missione dei comunisti italiani in Etiopia ma le loro notizie erano imprecise; in particolare non identificarono "Langlois-De Bargili" con Barontini<ref>{{cita|Dominioni|pp. 290-292}}.</ref>. La missione non raggiunse grandi risultati pratici anche se in particolare Barontini svolse importanti compiti di addestramento nel campo degli esplosivi e diede utili consigli tattici agli ''arbegnuoc''; fu invece importante dal punto di vista morale e diede la possibilità di entrare in collegamento con i principali capi della resistenza<ref>{{cita|Dominioni|pp. 292-293}}.</ref>. Inoltre al termine della missione Taezaz poté fornire utili informazioni agli alti comandi anglo-francesi sulla reale situazione in Etiopia: gli italiani nonostante la loro apparente superiorità, non avevano il pieno controllo del territorio e la guerriglia ''arbegnuoc'' appariva in grado, se validamente sostenuta da consiglieri, armi ed equipaggiamenti, di sviluppare una rivolta generale e contribuire a disgregare completamente il dominio dell'occupante<ref name="DB338">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 338}}.</ref>.
Nella primavera 1939 i britannici, confortati dalle notizie provenienti dall'Etiopia, presero finalmente le prime misure operative: il generale [[William Platt]], comandante superiore in [[Sudan]], richiese finanziamenti a [[Londra]] per fornire armi alla resistenza, mentre il generale [[Archibald Wavell]], comandante supremo del teatro del [[Medio Oriente]], decise di affidare al brigadier generale [[Daniel Arthur Sandford]] un progetto organico per aiutare gli ''arbegnuoc''<ref name="DB338"/>. Il generale Sandford raggiunse Khartoum nell'ottobre 1939 e prese le prime misure concrete organizzando depositi di armi alla frontiera tra Sudan ed Etiopia ed entrando in contatto con alcuni capi della resistenza tra cui Mangascià Giamberiè e Taffere Zellechè<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 338-339}}.</ref>. Nella primavera 1940 il maggiore Robert Cheesman attivò a Khartoum una centrale di informazioni e spionaggio, la ''Ethiopian Intelligence Bureau'', e in maggio, ancor prima dell'entrata in guerra ufficiale dell'Italia, i primi agenti britannici sconfinarono in Abissinia per incontrare i nove principali capi della guerriglia in Goggiam e nel Beghemeder; essi portavano un messaggio del generale Platt che affermava che l'Impero britannico aveva deciso "di aiutarvi con ogni mezzo a distruggere il comune nemico" e garantiva forniture di armi, munizioni ed equipaggiamenti di ogni tipo per combattere l'occupante<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 339-340}}.</ref>.
=== La campagna dell'Africa orientale ===
{{vedi anche|Campagna dell'Africa Orientale Italiana}}
L'inizio della seconda guerra mondiale in Africa orientale fu caratterizzato da una serie di effimeri successi italiani nella [[Somalia britannica]], nel [[Kenya]] e nel Sudan che tuttavia non poterono cambiare la situazione complessiva strategica che era chiaramente favorevole alla Gran Bretagna<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 355-372}}.</ref>. Privi di aiuti e rifornimenti dall'Italia, il Duca d'Aosta e i capi militari dell'impero compresero ben presto che in breve tempo avrebbero dovuto affrontare la potente offensiva generale del nemico che stava metodicamente rinforzando il suo schieramento<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 373-374}}.</ref>. Dopo pochi mesi dall'inizio della guerra inoltre la resistenza degli ''arbegnuoc'' riprese, con accresciuta pericolosità, le sue azioni di guerriglia e l'attività di resistenza si estese progressivamente anche in aree ritenute pacificate, come il Galla e Sidamo, dove iniziarono gli attacchi dei "patrioti". Gli ''arbegnuoc'' furono inoltre finalmente aiutati con l'invio da oltre confine di armi e emissari etiopici incaricati dai britannici di stimolare l'intensificazione della guerriglia; nuovi capi, come [[Sciacca Becchelè]], si unirono ai veterani della resistenza e inflissero una serie di sconfitte locali alle colonne italo-eritree<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 374-375}}.</ref>. Ben presto i coloni italiani, richiamati alle armi e minacciati dall'attività degli ''arbegnuoc'', dovettero abbandonare tutte le aree recentemente abitate e coltivate nel territorio e ripiegare nei grandi centri urbani<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 375}}.</ref>.
[[File:Haile Selassie, Emperor of Abyssinia, with Brigadier Daniel Arthur Sandford (left) and Colonel Wingate (right) in Dambacha Fort, after it had been captured, 15 April 1941. E2462.jpg|thumb
Il Duca d'Aosta fece alcuni tentativi per fermare l'estensione della guerriglia; il generale Nasi venne inviato nel Goggiam per controllare la situazione ma l'ufficiale italiano dovette rilevare che il territorio era in aperta rivolta e che tutti i presidi erano sotto assedio degli ''arbegnuoc''; i tentativi del generale per aprire trattative con i capi della resistenza non condussero a nulla. I capi della guerriglia come Mangascià Giamberiè rifiutarono ogni accordo con l'occupante e affermarono la loro volontà di continuare la resistenza fino alla liberazione del paese<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 375-376}}.</ref>. Le tardive proposte concilianti italiane apparvero invece segnali di forte difficoltà dell'occupante e diffusero la sensazione di un grave indebolimento della potenza dell'invasore, risollevando il morale degli ''arbegnuoc''<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 376-377}}.</ref>.
Mentre la situazione degli italiani in Africa orientale diveniva sempre più difficile, la dirigenza politico-militare britannica dopo alcune incertezze iniziali aveva finalmente preso la decisione di supportare energicamente la guerra insurrezionale in Etiopia autorizzando il negus Heilè Selassiè a rientrare nel teatro di operazioni; egli prima venne trasferito in [[Egitto]] dove giunse in incognito con lo pseudonimo di ''mister Strong'' il 25 giugno 1940 e quindi arrivò a Khartoum il 2 luglio accompagnato da pochi fedeli e dai funzionari britannici George Steer ed Edwin Chapman-Andrews<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 377-379}}.</ref>. Nella capitale del Sudan, il negus, ora identificato come ''mister Smith'', entrò in contatto con emissari dei capi della resistenza ''arbegnuoc'' ed emise un primo proclama alla popolazione abissina l'8 luglio 1940 in cui esaltava il coraggio dei "capi e guerrieri d'Etiopia", rendeva noto che le loro sofferenza stavano per finire grazie all'aiuto dell'"incomparabile potenza militare" della Gran Bretagna che avrebbe permesso di riconquistare l'indipendenza; il negus faceva appello anche alle popolazioni eritree perché si unissero ai "fratelli etiopici" nella lotta contro gli italiani<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 379-380}}.</ref>. Il 6 agosto 1940 i britannici iniziarono operazioni più attive: il generale Sandford, a capo della cosiddetta ''mission 101'', entrò in Etiopia insieme a fuociusciti abissini ed ufficiali britannici e a settembre giunse nell'area del lago Tana dove entrò in collegamento con Mangascià Giamberiè e Ayelu Maconnen<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 380-381}}.</ref>. Sandford, sostenuto da giovani capi come [[Chebbedè Tesemmà]] e [[Merid Mangascià]], riuscì a rafforzare l'organizzazione e la coesione dei gruppi ''arbegnuoc'' del Goggiam e favorì la riconciliazione tra alcuni capi rivali che il 24 ottobre conclusero un accordo generale fino alla "totale liberazione del paese"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 381}}.</ref>.
L'impegno britannico a favore della resistenza etiopica venne ulteriormente rafforzato dopo la visita del ministro degli esteri [[Anthony Eden]] a Khartoum; durante la conferenza del 28 ottobre 1940 con i generale Wavell e Alan Cunningham e con il maresciallo [[Jan Smuts]], venne presa la decisione definitiva di sostenere il ritorno del Negus, di considerare la guerriglia una "guerra di liberazione", soprattutto di rifornire di armi ed equipaggiamenti i combattenti; inoltre la ''mission 101'' sarebbe stata rafforzata con l'invio dell'eccentrico e capace colonnello [[Orde Wingate]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 382-383}}.</ref>. In breve tempo iniziarono le consegne di armi agli ''arbegnuoc'' e furono aperti centri di addestramento al confine del Sudan, mentre il colonnello Wingate si recò nel Goggiam dove prese accordi con il generale Sandford prima di ritornare al [[Il Cairo|Cairo]] per costituire la cosiddetta [[Gideon Force]], incaricata di penetrare in Etiopia e riportare in patria Hailè Sellasiè<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 383-385}}.</ref>. La resistenza degli ''arbegnuoc'' trasse immediatamente vantaggio dagli aiuti dall'esterno e dalle forniture britanniche; le autorità italiane identificarono la presenza di emissari stranieri sul territorio e segnalarono l'estensione della ribellione. I guerriglieri migliorarono le loro tecniche di combattimento; disponendo finalmente di sufficienti quantità di esplosivi, organizzarono una serie di attentati dinamitardi per interrompere in modo prolungato le principali vie di comunicazione stradale e ferroviaria, intralciando i movimenti delle truppe italiane<ref>{{cita|Dominioni|pp. 266-268}}.</ref>. [[Winston Churchill]] in persona fece riferimento in un suo discorso alla [[Camera dei Comuni]] nel febbraio 1941 alla resistenza etiopica; il primo ministro riferì che i "patrioti etiopi, ai quali l'indipendenza venne sottratta cinque anni or sono, hanno preso le armi..." e che era in corso in Africa orientale "un processo di riparazione e di punizione dei torti"<ref>{{cita|Mockler|p. 430}}.</ref>.
Effettivamente fin dal gennaio 1941 l'alto comando britannico in Medio Oriente del generale Wavell aveva completato il rafforzamento del suo schieramento e costituito potenti raggruppamenti strategici in Sudan e Kenya; i generali Platt e Cunningham avevano quindi potuto dare inizio alle loro offensive contro il dominio italiano contando anche sul crescente sostegno della guerriglia ''arbegnuoc'' sempre più attiva ed organizzata all'interno del paese<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 389-390}}.</ref>. La doppia offensiva britannica raggiunse subito successi tattici decisivi che dimostrarono la netta inferiorità e la debolezza delle forze italiane. Nel settore settentrionale il generale Platt dopo l'avanzata iniziale nel bassopiano fino ad [[Agordat]], dovette combattere duramente per superare l'accanita resistenza italo-eritrea nella prolungata [[battaglia di Cheren]], ma dopo aver sopraffatto quello sbarramento le divisioni anglo-indiane non incontrarono altri ostacoli e invasero completamente l'Eritrea occupando il 1 aprile [[Asmara]] e l'8 aprile [[Massaua]]<ref>{{cita|Mockler|pp. 417-423 e 433-440}}.</ref>. Più agevole fu l'avanzata nel settore meridionale del generale Alan Cunningham che disponeva di truppe sudafricane e di reparti africani di colore reclutati nelle colonia britanniche. Le difese italiane organizzate sulla linea del [[Giuba (fiume)|fiume Giuba]] furono facilmente superate e fin dal 25 febbraio 1941 i britannici entrarono a [[Mogadiscio]]; le forze italo-coloniali si disgregarono rapidamente e, prive di mezzi motorizzati adeguati, non riuscirono ad organizzare nuove linee di resistenza; la Somalia venne completamente evacuata<ref>{{cita|Dominioni|p. 258}}.</ref>. Il generale Cunningham decise di sfruttare la favorevole situazione e riprese subito l'avanzata direttamente verso la capitale Addis Abeba attraverso la strada per Harar<ref>{{cita|Dominioni|pp. 258-259}}.</ref>.
=== Vittoria e liberazione ===
Il dominio italiano in Africa orientale stava crollando rapidamente; mentre le truppe davano segni di demoralizzazione e alcuni reparti coloniali defezionavano, la resistenza abissina intensificò la sua attività e nello Scioa la sollevazione della popolazione divenne generale in coincidenza con il diffondersi delle notizie dell'avanzata britannica. Gli ''arbegnuoc'' attaccarono i reparti italiani in ritirata dal fronte meridionale che cercavano di raggrupparsi per difendere la capitale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 454 e 456}}.</ref>. Mentre si ribellava anche la popolazione dell'Arussi, i guerriglieri etiopici ottennero numerosi successi contro reparti isolati del nemico. Intorno ad Addis Abeba gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai, Sciacca Becchelè, Gherarsu Duchì e Shoareghed Ghedle, presidiavano il territorio; la loro presenza e i timori di una ribellione generale della popolazione indigena cittadina, provocarono il panico tra gli italiani residenti ad Addis Abeba<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 458}}. Shoareghed Ghedle era una donna e guidò l'attacco al presidio di [[Addis Alem]].</ref>. Effettivamente dal mese di marzo tutto lo Scioa era ormai dominato dalle bande "ribelli"; nei primi giorni di aprile gli ''arbegnuoc'' intensificarono la loro attività nell'area della capitale; numerosi presidi italiani vennero attaccati e travolti; piccoli gruppi si infiltrarono anche all'interno della grande città<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 458-459}}.</ref>.
[[File:Ethiopian men gather in Addis Ababa, heavily armed with captured Italian weapons, to hear the proclamation announcing the return to the capital of the Emperor Haile Selassie in May 1941. K325.jpg
In realtà fin dal 31 marzo 1941 il Duca d'Aosta aveva deciso che la difesa di Addis Abeba era ormai impossibile e aveva quindi ordinato di ripiegare con le truppe superstiti verso il ridotto difensivo di [[Dessiè]]-[[Amba Alagi]]<ref>{{cita|Mockler|pp. 472-473}}.</ref>; egli intendeva aprire trattative con i britannici per cedere la capitale ordinatamente e salvaguardare la vita dei
Mentre i generali Platt e Cunningham sferravano la loro travolgente offensiva in Eritrea e Somalia, dal 20 gennaio 1941 il negus Hailè Sellasiè, accompagnato da molti dignitari dell'impero, era finalmente rientrato in Etiopia nella regione del Goggiam insieme alla ''Gideon Force'' del colonnello Wingate, costituita da truppe britanniche, soldati sudanesi e un reggimento regolare del nuovo esercito etiopico<ref>{{cita|Mockler|pp. 424-425}}.</ref> L'avanzata della ''Gideon Force'' non fu agevole a causa soprattutto delle difficoltà del territorio e anche per la resistenza italiana; nel Goggiam erano attivi gli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè e Negasc Bezabè, con loro si trovavano anche gli uomini della ''mission 101'' di Sandford che parteciparono alle operazioni; le bande di Mangascià liberarono [[Dangila]] prima dell'arrivo delle forze di Wingate<ref>{{cita|Mockler|pp. 442-443}}.</ref>. Nonostante la debolezza della ''Gideon Force'', il colonnello Wingate e Hailè Sellasiè continuarono l'avanzata; la situazione ebbe una svolta con la defezione di Hailu Tekle Haymanot, il ras collaborazionista che dopo aver ricevuto grande autorità dagli italiani, il 7 aprile decise di cambiare campo e aiutare il Negus<ref>{{cita|Dominioni|pp. 274-276}}.</ref>.
Il 6 aprile era già stata raggiunta Debra Marcos e il 5 maggio 1941, a cinque anni esatti dalla caduta di Addis Abeba, Hailè Sellasiè arrivò alla periferia della capitale insieme alla ''Gideon Force'' di Wingate<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 473-475}}.</ref>. Il Negus aveva diffuso fin dal 19 gennaio 1941 un documento in cui invitava alla moderazione ed a perdonare gli italiani per le loro brutali violenze; nel proclama Hailè Sellasiè ordinava di rinunciare alla vendetta, risparmiare la vita di donne e bambini, non punire i prigionieri e dimostrare "senso dell'onore e un cuore umano"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 463-464}}.</ref>. Alle ore 15.30 il Negus fece ingresso nella capitale su un'auto scoperta, accolto dallo straordinario entusiasmo della popolazione; gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai, circa
Nei mesi seguenti, dopo la liberazione della capitale e il rientro del Negus, caddero gli ultimi nuclei di resistenza delle forze armate italiane nell'Africa orientale; il 19 maggio 1941 si arrese all'Amba Alagi il Duca d'Aosta insieme al generale [[Claudio Trezzani]]; il generale [[Pietro Gazzera]] cessò la resistenza nel Galla e Sidamo il 3 luglio 1941, mentre il generale Guglielmo Nasi, dopo una prolungata ed accanita resistenza nella regione di Gondar, dovette infine cedere le armi il 27 novembre 1941<ref>{{cita|Dominioni|pp. 259-260}}.</ref>. I guerriglieri abissini ''arbegnuoc'' e i nuovi reparti dell'esercito etiopico organizzati dai britannici presero parte con un ruolo di rilievo anche a queste ultime battaglie, contribuendo alla totale sconfitta dell'occupante; furono i combattenti della resistenza che entrarono per primi a Gondar<ref>{{cita|Dominioni|p. 260}}.</ref>.
== Bilancio e conclusione ==
La guerriglia degli ''arbegnuoc'' fu un movimento di grandi proporzioni che interessò gran parte del territorio etiopico e continuò praticamente senza interruzioni per tutto il periodo dell'occupazione italiana; si trattò di uno dei primi movimenti popolari anticolonialistici dell'Africa e del primo avversario in grado di mettere in difficoltà e sconfiggere il fascismo<ref name="MD261">{{cita|Dominioni|p. 261}}.</ref>. In questo senso la resistenza etiopica ha una grande importanza storica anche se gli autori occidentali in generale non hanno mostrato molto interesse a questi avvenimenti che preclusero alla seconda guerra mondiale<ref name="MD261"/>.
La resistenza, iniziata soprattutto come movimento di difesa contro la brutale repressione dell'occupante, si trasformò nel tempo in un movimento popolare di massa privo peraltro di connotazioni rivoluzionarie e di istanze sociali radicali; gli ''arbegnuoc'' combattevano in grande maggioranza per ripristinare la vecchia società feudale etiopica e i dirigenti erano sempre legati al Negus; le popolazioni non espressero richieste di sovvertimento della società anche se in parte il movimento di resistenza sviluppò una prima coscienza democratica antimperialista<ref>{{cita|Dominioni|p. 276}}.</ref>. In questo senso la resistenza ''arbegnuoc'' fu un evento molto importante nella storia dell'Etiopia, favorì la partecipazione del popolo agli eventi politici e sviluppò i sentimenti di indipendenza e coesione nazionale<ref>{{cita|Dominioni|p. 262}}.</ref>.
Gli ''arbegnuoc'' impegnati nella guerriglia erano numerosi; un numero variabile nel corso delle stagioni dell'anno tra i
Il 5 maggio, anniversario della liberazione di Addis Abeba, in Etiopia viene festeggiato ogni anno lo ''Arbegnoch Qen'' (የአርበኞች ቀን), il giorno degli ''arbegnuoc'', in onore dei patrioti della resistenza contro l'Italia fascista; i reduci della guerriglia ancora viventi partecipano orgogliosamente alle manifestazioni di ricordo.
==Note==
{{Note strette}}
== Bibliografia ==
*{{cita libro|autore=[[Renzo De Felice
*{{cita libro|autore=[[Angelo Del Boca
*{{cita libro|autore=Matteo Dominioni|titolo=Lo sfascio dell'impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941|editore=Editori Laterza|annooriginale=2008|anno=|città=Roma-Bari|ISBN=978-88-420-8533-1|cid=Dominioni}}
*{{cita libro|autore=Anthony Mockler|titolo=Il mito dell'impero. Storia delle guerre italiane in Abissinia e in Etiopia|editore=Rizzoli|annooriginale=1972|anno=1977|città=Milano|id=no ISBN|cid=Mockler}}
*{{cita libro|autore=[[Giorgio Rochat
== Voci correlate ==
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* [[Guerra d'Etiopia]]
* [[Monumento allo Yekatit 12]]
* [[Massacro di
* [[Strage di Addis Abeba]]
* [[Sciftà]]
▲{{colonialismo italiano}}
{{Seconda guerra mondiale}}
{{Portale|Africa Orientale|fascismo|guerra}}
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[[Categoria:Guerra d'Etiopia]]
[[Categoria:Etiopia italiana]]
[[Categoria:Guerriglia]]
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