Arbegnuoc: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
 
(23 versioni intermedie di 12 utenti non mostrate)
Riga 1:
{{P|Eccessivo citazionismo a fonti piuttosto controverse, come i libri di Angelo del Boca, autore che ammise di aver dato poca rilevanza alle fonti militari italiane, prediligendo quelle abissine. Cercare di variare maggiormente l'utilizzo delle fonti, così da rendere la pagina più neutrale|colonialismo|Gennaio 2022}}
{{unità militare
<!--template semplificato-->
Riga 23 ⟶ 22:
| Ref = fonti citate nel corpo del testo
}}
Gli '''Arbegnuoc''' ("{{Amarico|ዐርበኞች|3=patriota"}}) è la denominazione assuntaerano daii combattenti etiopici che, dopo la fine ufficiale della [[guerra d'Etiopia]] (maggio 1936) e l'esilio del [[Negus]] [[Hailé Selassié]], continuarono a combattere contro l'[[Regio Esercito|esercito italiano]] per opporsi all'occupazione e alla perdita dell'indipendenza. Nelle fonti sono presenti anche le grafie '''arbegnuocc''' e '''arbegnoch'''.
 
Gli arbegnuoc, guidati da capi abili e determinati, continuarono a battersi con crescente efficacia per tutto il periodo del dominio coloniale italiano e misero in seria difficoltà l'occupante mantenendo il controllo di vaste zone del territorio etiopico. Con l'inizio della [[seconda guerra mondiale]], gli arbegnuoc fornirono un importante aiuto alle [[British Army|truppe britanniche]] contribuendo alla rapida vittoria e alla liberazione del territorio nazionale. Il 6 aprile 1941 le forze britanniche e sudafricane del generale [[Alan Cunningham]] fecero ingresso in [[Addis Abeba]] insieme a 800 arbegnuoc del famoso capo guerrigliero [[Abebe Aregai]].
Riga 40 ⟶ 39:
Il maresciallo [[Rodolfo Graziani]] divenne il primo viceré-governatore con pieni poteri ma egli non condivideva le decisioni provenienti da Roma; isolato con le sue forze ad Addis Abeba, Graziani era in difficoltà e richiedeva una politica più elastica e la presa di contatto con "ex ras e [[Titoli nobiliari etiopici|degiac]]"; il maresciallo riferiva che la sua situazione era critica e che i capi etiopici e la popolazione "sono a noi avversi" e facevano resistenza<ref>{{cita|Rochat|pp. 79-80}}.</ref>. Le sue proposte furono però nettamente respinte; il ministro Lessona confermò le disposizioni del Duce e ordinò al viceré di impiegare "mezzi estremi per stroncare inesorabilmente ogni velleità di ribellione". Lessona in data 10 settembre 1936 autorizzava "ad impiegare i gas, se Vostra Eccellenza lo ritenga utile"<ref>{{cita|Rochat|pp. 80-81}}.</ref>.
 
Alla fine di maggio 1936 vaste regioni aride e inospitali dell'Etiopia sud-occidentale, quasi prive di vie di comunicazione, non erano state ancora occupate dal corpo di spedizione italiano; tutto il territorio compreso tra i laghi [[lago Tana|Tana]] e [[Chew Bahir|Stefania]] e i centri di [[Magalo]] e [[Gambela]] che comprendeva le province del [[Regione degli Amara|Goggiam]], [[Arussi]], [[Gimma]], [[Sidamo]], [[Borana (zona)|Borana]] e parte dello Scioa era ancora libero<ref name="ADB11">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 11}}.</ref>. In questo vasto territorio erano ancora attivi i resti dell'esercito etiopico costituiti da circa 40.000{{M|40000|-50.000|50000}} combattenti; i nuclei principali erano presenti nell'[[Regione di Harar|Harar]], nel Sidamo, dove erano comandati da ras [[Destà Damtù]] e dal degiac [[Gabre Mariam]], nell'Arussi sotto la guida del degiac [[Bejene Merid]], nell'[[Ilubabor]], dove si trovava ras [[Immirù Hailé Selassié|Immirù]]<ref name="ADB11"/>. Il gruppo più pericoloso e più aggressivo era però costituito dai guerriglieri presenti nello Scioa dove aveva avuto inizio il vero e proprio movimento dei cosiddetti ''arbegnuoc'', i "patrioti" della resistenza etiopica.
 
Sembra che il primo ''arbegnuoc'' dello Scioa sia stato il [[Titoli nobiliari etiopici|ligg]] [[Hailè Mariam Mammo]] che guidò un attacco ad un convoglio italiano il 4 maggio 1936, il giorno prima della caduta di Addis Abeba; a questo primo nucleo si unirono ben presto soldati sbandati, giovani volontari decisi ad opporsi all'occupante e una parte dei cadetti dell'accademia militare di Oletta guidati dal giovane [[Negga Haile Selassie]]<ref name="ADB17">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 17}}.</ref>. Entro giugno nelle colline intorno alla capitale erano attivi numerosi gruppi di ribelli guidati da militari o politici come il degiac [[Ficrè Mariam]], il degiac [[Balcià Abba Nefsa]], il [[Titoli nobiliari etiopici|blatta]] [[Tecle Uolde Hawariat]], l'abile e aggressivo [[Titoli nobiliari etiopici|balambaras]] [[Abebe Aregai]], il vecchio comandante della cavalleria [[Aradù Ifrù]]<ref name="ADB17"/>. Gli ''arbegnouc'' dello Scioa in questa fase riconoscevano la guida suprema del degiac [[Aberra Cassa]], figlio di ras [[Cassa Darghiè]], che era sostenuto dal fratello [[Asfauossen Cassa]] e dal prestigioso vescovo di Dessiè l'[[abuna Petros]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 17-18}}.</ref>. I gruppi di guerriglieri dello Scioa a giugno e luglio attaccarono soprattutto la "strada imperiale" e la ferrovia per [[Gibuti]] e misero in seria difficoltà i presidi e le colonne italiane; Ficrè Mariam in particolare guidò il 6 e il 9 luglio 1936 due pericolosi attacchi alle stazioni ferroviarie a 50 chilometri dalla capitale che, pur respinti, causarono gravi perdite agli occupanti<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 18-20}}.</ref>.
Riga 47 ⟶ 46:
[[File:Abune Petros.jpg|thumb|upright=0.8|Il vescovo di Dessiè, l'[[abuna Petros]], fu uno dei capi della resistenza nello [[Scioa]]; venne fucilato dagli italiani il 30 luglio 1936.]]
 
La situazione ad Addis Abeba nelle prime settimane dopo la conquista era difficile per gli italiani; le comunicazioni erano possibili solo attraverso la lunga pista dalla [[Somalia]], la violenza e il disordine erano diffusi dentro la città, mentre il maresciallo Graziani, disponendo inizialmente solo di 9.000{{formatnum:9000}} soldati, temeva un attacco dei guerriglieri etiopici che erano segnalati "tutti intorno Addis Abeba"; correvano voci che molte migliaia di ''arbegnuoc'' fossero pronti all'assalto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 15 e 20}}.</ref>. La situazione degli italiani migliorò alla metà di luglio con l'arrivo di cospicui rinforzi che fecero salire la guarnigione a 35.000 uomini; inoltre da Roma giungevano nuove esortazioni al governatore di estendere l'occupazione e di "essere duro, implacabile con tutti gli abissini...."; Mussolini richiese di instaurare un "regime di assoluto terrore"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 15-16}}.</ref>.
 
Gli ''arbegnuoc'' dello Scioa erano effettivamente decisi ad attaccare Addis Abeba; in un incontro a [[Debre Libanos]], con la presenza di Aberra Cassa, dell'abuna Petros e degli altri capi, venne deciso un piano temerario per assaltare la capitale con cinque colonne separate, contando soprattutto di sfruttare una sollevazione generale della popolazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 20-21}}.</ref>. L'assalto ebbe inizio il 28 luglio 1936 in una mattina nebbiosa ma, nonostante alcuni successi, i guerriglieri non riuscirono a coordinare i loro attacchi; mentre gli uomini di Aberra Cassa giunsero di sorpresa senza incontrare resistenza fin nel centro di Addis Abeba dove scatenarono il panico, Ficrè Mariam venne fermato dal corso di un torrente in piena e poi bloccato da reparti italiani rafforzati da mezzi meccanizzati. Nel frattempo gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai inizialmente avanzarono fino quasi alla residenza di Graziani ma furono poi contrattaccati da [[Camicie Nere|militi delle Camicie Nere]] e da [[àscari]] eritrei; infine le ultime due colonne etiopiche non riuscirono il primo giorno neppure ad entrare in azione a causa della piena di vari corsi d'acqua<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 21-22}}.</ref>.
Riga 53 ⟶ 52:
I combattimenti ad Addis Abeba continuarono fino al 30 luglio 1936; gli ''arbegnuoc'' dei fratelli Aberra e Asfauossen Cassa mantennero coraggiosamente le loro posizioni nonostante i contrattacchi delle forze italo-eritree dei generali [[Italo Gariboldi]], [[Sebastiano Gallina]] e [[Vincenzo Tessitore]]; infine i guerriglieri, colpiti anche dall'aviazione, dovettero cedere; Ficrè Mariam fu l'ultimo a ripiegare con i suoi uomini e con un gruppo di cadetti di Oletta<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 22}}.</ref>. L'assalto era fallito per le difficoltà tattiche, l'indisciplina degli etiopici e soprattutto per lo scarso supporto della popolazione che rimase in maggioranza indifferente; l'influente ras [[Hailu Tekle Haymanot]] rifiutò di aiutare gli ''arbegnuoc'' e invece collaborò con gli italiani e consegnò l'abuna Petros al maresciallo Graziani che effettuò una brutale repressione; il vescovo di Dessiè venne immediatamente fucilato già il 30 luglio e nei giorni seguenti le truppe italiane "passarono per le armi tutti i prigionieri" ed effettuarono "repressioni inesorabili"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 23-25}}.</ref>.
 
Il fallimento dell'attacco ad Addis Abeba scosse il morale di Aberra Cassa che a partire dal mese di agosto assunse un atteggiamento equivoco ed entrò in contatto con il maresciallo Graziani e con i ras collaborazionisti Hailu Tekle e [[Sejum Mangascià]], ma gli altri capi della resistenza scioana non desistettero e, nonostante la repressione, continuarono ad attaccare le linee di comunicazione intorno alla capitale; il 26-27 agosto gli ''arbegnuoc'' sferrarono un nuovo attacco alla città che venne respinto ma la situazione degli occupanti, circondati da circa 20.000{{formatnum:20000}} ribelli, rimase difficile<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 24-25}}.</ref>. Mentre nello Scioa dominavano le bande guerrigliere, a [[Gore (Etiopia)|Gore]] nell'Ilubabor era attivo un secondo centro di resistenza all'occupazione italiana; in questa città fin dall'8 maggio 1936 si era insediato un governo provvisorio in contatto con il Negus che era guidato da [[Uolde Tzadek]] e sostenuto da alcuni esponenti del movimento dei "Giovani etiopici", da una parte dei cadetti di Oletta e da un migliaio di guerrieri di ras Immirù<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 26-27}}.</ref>. Il tentativo di organizzare una struttura di potere solida nell'ovest del territorio abissino tuttavia non ebbe successo a causa dei contrasti tra i dirigenti etiopici, dell'ambiguo comportamento dei rappresentanti sul posto del governo britannico, dell'opposizione dei capi della [[Oromo|popolazione galla]], tradizionalmente ostile agli [[Amhara (popolo)|amhara]]. Il maresciallo Graziani, sollecitato da Mussolini, decise di intervenire subito nell'ovest etiopico inviando a [[Nekemte|Lechemti]] una [[eccidio di Lechemti|piccola spedizione aerea]] che tuttavia venne attaccata e distrutta il 26-27 giugno 1936 dai cadetti etiopici guidati da [[Keflè Nasibù]] e [[Belai Haileab]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 27-32}}; tra i caduti dell'[[eccidio di Lechemti]] si ricordano le medaglie d'oro [[Antonio Locatelli]] e generale dell'aeronautica [[Vincenzo Magliocco]].</ref>
 
Nonostante questo successo il governo provvisorio di Gore si disgregò entro il mese di novembre 1936; la [[Gran Bretagna]], impegnata nel riavvicinamento diplomatico con l'Italia, evitò di impegnarsi a fondo, mentre tra i capi etiopici predominava la discordia e un forte pessimismo; inoltre gli italiani riuscirono a fomentare la rivolta generale delle tribù galla e l'8 ottobre 1936 fecero ritorno a Lechemti dove accolsero la sottomissione di importanti capi locali. Da Londra il Negus fece pressioni per continuare la resistenza e promise aiuti; ras Immirù decise quindi il 10 novembre 1936 di lasciare Gore con 1.200 uomini e marciare contro gli italiani<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 32-38}}.</ref>.
Riga 62 ⟶ 61:
Lessona giunse ad Addis Abeba il pomeriggio del 12 ottobre dopo un viaggio in treno e dopo aver osservato i combattimenti in corso tra guerriglieri e truppe italiane; il ministro entrò subito in contrasto con Graziani e i generali accusati di non agire con la necessaria energia per eliminare la resistenza e assicurare i collegamenti delle capitale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 48-49}}.</ref>. Il governatore diramò quindi nuovi ordini draconiani in cui affermava che era "ora di finirla con le debolezze" e richiedeva di essere informato regolarmente sul "numero dei passati per le armi". Lessona lasciò Addis Abeba il 21 ottobre mentre il maresciallo Graziani diede inizio all'offensiva generale d'autunno contro i guerriglieri dello Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 49-50}}.</ref>. Gli ''arbegnuoc'' di Ficrè Mariam furono attaccati dall'aviazione che il 22 ottobre impiegò anche i gas sulla zona del monte Debocogio; il 27 ottobre 1936 gli italo-eritrei diedero l'assalto alle difese dei guerriglieri; dopo aspri combattimenti i guerrieri di Ficrè Mariam batterono in ritirata lasciando molti morti sul terreno; il famoso e temuto capo etiopico cadde sul campo<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 51-52}}.</ref>. Nelle settimane successive le azioni contro la guerriglia dello Scioa proseguirono nella valle dell'[[Auasc (fiume)|Auasc]] che venne devastata: molti villaggi furono distrutti, si procedette a fuciliazioni sommarie; gli ''arbegnuoc'' dovettero abbandonare i territori intorno alla capitale; il ligg Ababà Dagafous si arrese, altri capi, il fitaurari Scimellis Arti, il [[Titoli nobiliari etiopici|cagnasmach]] Hailè Abbamersà e l'[[Titoli nobiliari etiopici|uizerò]] Belaìyaneh, si nascosero<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 52-53}}.</ref>.
 
Dopo queste operazioni di repressione il maresciallo Graziani, avendo ripreso il controllo delle comunicazioni di Addis Abeba e indebolito la resistenza dello Scioa, poté dare inizio, dopo la fine della stagione delle piogge, alle grandi offensive per completare la conquista del territorio etiopico. Fin dal 15 giugno 1936 il generale [[Guglielmo Nasi]] aveva invaso la vasta regione dell'Harar, Bale e Arussi dove erano ancora presenti circa 20.000{{formatnum:20000}} soldati sbandati del vecchio esercito etiopico; il comandante italiano operò con abilità ed energia alternando il rigore con la clemenza; la campagna militare continuò fino al 31 marzo 1937 e si concluse con successo; il 6 luglio successivo anche il fitaurati Mellion Tedla si sottomise all'occupante<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 12-13}}.</ref>.
 
[[File:Ras Immiru.jpg|thumb|left|upright=1.1|[[Immirù Hailé Selassié|Ras immirù]] si arrese dopo una strenua resistenza il 16 dicembre 1936 e venne deportato in Italia.]]
Riga 74 ⟶ 73:
[[File:La cattura di ras Destà.jpg|thumb|upright=1.4|La cattura di ras Destà (indicato dalla freccia), il 24 febbraio 1937.]]
 
Dopo la morte dei fratelli Cassa e la cattura di ras Immirù, alla fine del 1936 solo [[ras Destà]] rimaneva ancora attivo dopo essersi trasferito con circa 2.000 uomini nella regione del [[Galla e Sidamo|Sidamo]]; egli nel mese di novembre aveva attaccato ripetutamente le forze italiane del generale [[Carlo Geloso]] prima di ripiegare nella regione montuosa di Arbagona<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 68}}.</ref>. Ras Destà sembrò intenzionato a sua volta a cedere le armi ed entrò in trattative con emissari del nemico; impressionato dalle notizie della fine dei fratelli Cassa, allealla fine di dicembre tuttavia decise di rompere i contatti e di combattere ad oltranza insieme ai suoi luogotenenti più combattivi, tra cui Gabre Mariam e [[Bejenè Merid]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 68-70}}.</ref>. Il maresciallo Graziani decise di dirigere personalmente le operazioni contro i guerriglieri di ras Destà a cui venne inviato un ''ultimatum'' in cui veniva richiesto di arrendersi entro sette giorni con la minaccia in caso di rifiuto di essere trattato come "brigante e privato di qualsiasi clemenza"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 69-70}}.</ref>. Il viceré ordinò al generale Geloso di impiegare in massa l'aviazione per snidare i "ribelli" di ras Destà e il 7 gennaio 1937 raggiunse [[Ingalem]] e assunse il comando; tre colonne avanzarono nel territorio occupato dagli ''arbegnuoc'' che si difesero accanitamente prima di sganciarsi e ripiegare. Mentre gli italiani rastrellavano brutalmente tutto l'Alto Sidamo, ras Destà con circa mille superstiti cercò di continuare la resistenza, ma il 18 febbraio 1937 la sua banda venne infine accerchiata dalle colonne Tucci, Ragazzoni, Gallina e Natale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 70-73}}.</ref>. Nei giorni seguenti gli abissini vennero ripetutamente attaccati e sottoposti a pesanti bombardamenti aerei che causarono forti perdite; Gabre Mariam venne gravemente ferito mentre Bejenè Merid fu catturato e fucilato; le truppe italo-eritree devastarono il territorio e incendiarono i villaggi. Infine il 24 febbraio 1937 anche ras Destà, esausto e sfiduciato, cadde prigioniero di collaborazionisti tigrini e consegnato alla colonna Tucci; alle ore 17.30 venne impiccato e il suo corpo rimase esposto per un intero giorno; le autorità italiane e la propaganda esaltarono la vittoria e la macabra esecuzione che sembravano simboleggiare la vittoria definitiva dell'Italia fascista<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 74-76}}.</ref>.
 
=== L'attentato a Graziani e la grande repressione ===
Riga 86 ⟶ 85:
In realtà la vera repressione non era ancora iniziata; il maresciallo Graziani, apparentemente convinto, sulla base delle superficiali indagini giudiziarie svolte in fretta dalle autorità, che l'attentato fosse opera di un vasto gruppo di opposizione etiopico coinvolgente gran parte delle personalità superstiti della dirigenza abissina, diede inizio il 26 febbraio alla sistematica fucilazione degli esponenti più importanti della resistenza già sottomessi o catturati in precedenza<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 89-91}}.</ref>. In pochi giorni furono quindi uccise personalità della cultura, ex-funzionari, gli ultimi cadetti di Oletta, giovani ufficiali ''arbegnuoc'' come Keflè Nasibù, Belai Haileab e Ketema Bechà, capi prestigiosi come [[Bellahu Deggafù]], ritenuto il principale capo del complotto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 92-93}}.</ref>. Subito dopo il maresciallo Graziani, sulla base anche delle direttive provenienti da Roma, estese ulteriormente l'azione di repressione; dal 19 marzo, con l'approvazione del ministro Lessona, il viceré procedette all'arresto di tutti i cantastorie, stregoni e indovini, considerati diffusori di notizie false e suscitatori di idee "pericolose per l'ordine pubblico", che vennero subito brutalmente "passati per le armi"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 98-99}}.</ref>. Il numero dei fucilati crebbe costantemente nei mesi dell'estate 1937; le azioni di violenza spesso si svolsero senza alcuna norma legale, nella confusione, sulla base di direttive generali che disponevano la distruzione dei villaggi e l'eliminazione soprattutto dell'etnia amahra, anche in assenza di segni di ostilità verso l'occupante o della presenza di combattenti ''arbegnuoc''; alcuni ufficiali italiani mostrarono grande durezza nelle operazioni repressive; in particolare il generale [[Pietro Maletti]] che affermò di aver messo "a ferro e fuoco" lo Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 99-102}}.</ref>.
 
Il culmine delle violenze venne raggiunto a maggio 1937 con i tragici eventi del [[massacro di Debre Libanos]]; informato di una presunta collaborazione della [[Copti|chiesa copta]] con gli autori dell'attentato, il maresciallo Graziani decise di colpire il luogo sacro di [[Debre Libanos]] dove il generale Pietro Maletti tra il 20 e il 25 maggio 1937 arrestò e fece fucilare {{M|1500|-|2000}} tra preti, monaci e diaconi; vennero brutalmente uccisi anche giovani di 12-13 anni e il 26 maggio nella vicina Engecha furono fucilati altri 500 ragazzi in un primo tempo risparmiati<ref>{{cita|Dominioni|pp. 179-180}}.</ref>. Oltre alle fucilazioni in massa e alle distruzioni di villaggi, le misure repressive del maresciallo Graziani, pienamente condivise da Mussolini e Lessona, prevedevano anche la deportazione di capi e notabili e l'organizzazione di campi di concentramento e detenzione in Etiopia; furono organizzati cinque viaggi di deportati da [[Massaua]] all'Italia che trasferirono 323 persone tra maggio e dicembre 1937 prima all'isola dell'[[Asinara]] e poi in varie localita italiane tra cui [[Longobucco]], [[Mercogliano]], [[Tivoli]], Roma e [[Firenze]]<ref>{{cita|Dominioni|pp. 180-181}}.</ref>. Nel giugno 1937 venne invece aperto il campo di concentramento di [[Danane]] dove furono imprigionate in condizioni estremamente disagiate per le carenze di assistenza e vettovagliamento, circa 6.500{{formatnum:6500}} persone tra guerriglieri, notabili di medio rango e famigliari, comprese donne e bambini, di combattenti ''arbegnuoc''<ref>{{cita|Dominioni|pp. 181-182}}.</ref>.
 
La violenza della repressione e gli apparenti successi delle operazioni di "polizia coloniale" tuttavia non consolidarono in modo decisivo il dominio italiano in Etiopia; al contrario la crescente brutalità dell'occupante esasperò la popolazione e accrebbe l'ostilità<ref>{{cita|Dominioni|pp. 196-197}}.</ref>. Eventi come le azioni del capitano [[Gioacchino Corvo]] nella regione di [[Bahar Dar]] nella seconda metà del 1937 contribuirono a rafforzare la volontà di resistenza degli ''arbegnuoc''; le impiccagioni pubbliche, le fuciliazioni di "ribelli" e le esecuzioni segrete di notabili locali con metodi barbari come gli annegamenti nelle acque del lago Tana, sollevarono l'indignazione dei civili che avrebbero ben presto sostenuto la rinascita della resistenza dei "patrioti"<ref>{{cita|Dominioni|pp. 197-198}}.</ref>.
Riga 93 ⟶ 92:
La nuova resistenza ebbe inizio nel [[Lasta]] per iniziativa dell'irriducibile Hailù Chebbedè<ref name="DelBoca">{{Cita|Del Boca|vol. III, p. 113}}.</ref>, e si estese progressivamente in gran parte delle regioni etiopiche prendendo sempre più la forma di una lotta indipendentistica patriottica che ottenne sostegno dalla popolazione sollecitata dai proclami dei guerriglieri ad aderire al movimento e aiutare i combattenti<ref>{{cita|Dominioni|pp. 263-264}}.</ref>. La nuova resistenza coinvolse persone di ogni razza e religione e venne combattuta con il favore di buona parte della popolazione, esasperata dal comportamento brutale dell'occupante e timorosa di un vero e proprio sterminio. Nel Goggiam nell'estate 1937 venne proclamata da parte degli ''arbegnuoc'' una guerra santa in risposta alle repressioni seguite all'attentato al governatore Graziani e alle violenze del capitano Gioacchino Corvo a Bahar Dar<ref>{{cita|Dominioni|p. 263}}.</ref>. I comandi italiani non compresero realmente il fenomeno e ancora nei rapporti della fine del 1937 i ribelli venivano considerati poco pericolosi e privi di unità; si parlava di "briganti" (''Shiftà'') che si "accontentano di vivere di razzie"<ref>{{cita|Dominioni|pp. 264-265}}.</ref>. Il maresciallo Graziani rilevò il cambiamento delle tattiche dei resistenti e il passaggio alla guerriglia, ma ritenne che queste innovazioni tattiche fossero suggerite da "mente europea"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 107}}.</ref>.
 
Il governatore quindi espresse ottimismo e non mostrò allarme per gli indizi di una possibile ripresa dell'opposizione armata all'occupante; egli riteneva che la situazione fosse molto favorevole e fosse possibile rimpatriare, accogliendo le pressioni di Lessona e Mussolini, una parte delle sue forze. Il 1 luglio 1937 Graziani disponeva di 177.000{{formatnum:177000}} soldati rispetto al 288.000{{formatnum:288000}} presenti dopo la caduta di Addis Abeba; il maresciallo faceva pieno affidamento sui nuovi collegamenti stradali, aerei e ferroviari aperti negli ultimi mesi e all'inizio di agosto, proprio alla vigilia della rivolta generale, lasciò la capitale per recarsi per via stradale ad [[Asmara]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 110-111}}.</ref>. L'ottimismo del viceré era del resto condiviso dalle altre autorità italiane sul posto compresi l'ammiraglio [[Vincenzo De Feo]], governatore dell'Eritrea, e il generale [[Alessandro Pirzio Biroli]], governatore proprio del territorio [[Amhara (popolo)|Amhara]] dove stava per esplodere la rivolta<ref name="DelBoca" />.
 
Nella primavera del 1937 si era svolto in una località a nord di [[Ambò]], nel [[Ghindeberat]], una riunione dei principali capi della resistenza durante la quale erano state prese le nuove decisioni operative e studiate le tattiche della guerriglia; in questa occasione si cercò anche di organizzare una struttura di comando unificata e venne eletto un comitato dirigente sotto la guida politica del [[Titoli nobiliari etiopici|blatta]] [[Tecle Uolde Hawarit]]; altri dirigenti che ebbero un ruolo fondamentale furono [[Mesfin Scilesci]] e Abebe Aregai che, eletto comandante supremo, preferì tuttavia lasciare il comando nominale degli ''arbegnuoc'' al più anziano [[Auraris Dullu]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 107-108}}.</ref>.
Riga 107 ⟶ 106:
Il viceré venne duramente criticato per questa serie di insuccessi; Mussolini gli propose di inviare ulteriori rinforzi per evitare una disfatta, mentre il ministro Lessona accusò il maresciallo di superficialità e di incapaciatà organizzativa; Graziani era consapevole che la sua autorità era molto scossa e che c'erano voci di una sua sostituzione; egli cercò di ristabilire il suo prestigio ricorrendo alla violenza brutale, ordinando di "non dare tregua", di moltiplicare le distruzioni, di eliminare tutti i prigionieri<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 123-124}}.</ref>. Nel dicembre 1937 il governatore fece un altro tentativo di riprendere il controllo del Goggiam ma la nuova offensiva iniziò subito con un disastro quando il 7 dicembre la colonna del colonnello Barbacini venne attaccata e disgregata dagli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè; due battaglioni coloniali furono accerchiati e distrutti dai guerriglieri<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 124-125}}.</ref>.
 
Fin dal mese di febbraio 1937 a Roma si esercitavano pressioni su Mussolini per rimuovere Graziani e sostituirlo con il [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Duca d'Aosta]]; il Duce rimase incerto per molti mesi; infine il 10 novembre 1937 informò Graziani che riteneva che "il suo compito sia finito" e gli preannunciava il suo richiamo e la nomina del Duca d'Aosta<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 127-128}}.</ref>. Nonostante le proteste del viceré, Mussolini mantenne le sue decisioni, egli informò il Duca d'Aosta del suo prossimo incarico e nominò il generale [[Ugo Cavallero]], comandante superiore militare il Africa orientale; il Duce inoltre sostituì anche il ministro Lessona, nominando al suo posto il generale [[Attilio Teruzzi]]<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 130-132}}.</ref>. Dopo alcuni rinvii infine il maresciallo Graziani cedette il comando e partì da Addis Abeba il 10 gennaio 1938; la sua partenza non suscitò lamentele tra le truppe ma al contrario venne accolta con soddisfazione in Africa orientale; la situazione generale che lasciava non era molto tranquillizzante. Alla fine del 1937 vaste zone dell'Etiopia erano in rivolta; gli ''arbegnuoc'' impiegavano tattiche efficaci ed erano in grado di sfuggire alle operazioni di repressione; la violenza dell'occupante favoriva crescenti adesioni alla resistenza. Il maresciallo Graziani dovette tracciare un bilancio inquietante delle perdite subite durante il suo periodo di comando in Africa orientale: circa 12.600{{formatnum:12600}} morti e feriti tra le truppe, tra cui 2.849{{formatnum:2849}} nazionali, tra il maggio 1936 e il dicembre 1937<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 125-126}}.</ref>.
 
=== Caratteristiche della guerriglia degli ''arbegnuoc'' ===
 
Gli ''arbegnuoc'' dovettero adottare tattiche nuove di guerriglia che si distaccavano profondamente dalla tradizione militare nazionale fondata sul coraggio personale e sullo scontro in campo aperto di fronte al nemico; gli stessi combattenti della resistenza erano consapevoli di impiegare metodi di combattimento estranei al passato bellico abissino<ref>{{cita|Dominioni|p. 265}}.</ref>. Gli ''arbegnuoc'' giunsero al punto di definire la loro guerra di guerriglia una "guerra dei codardi", ma affermarono che "avevano imparato ad essere codardi", che avevano compreso l'efficacia della guerriglia e che solo queste tattiche sarebbesarebbero state "la via che ci permetterà di sconfiggere gli italiani"<ref name="Dominioni">{{cita|Dominioni|p. 277}}.</ref>.
 
[[File:Arbegnuoc.jpg|thumb|upright=1.3|Alcuni guerriglieri ''arbegnuoc'' durante una pausa delle operazioni di resistenza.]]
Riga 132 ⟶ 131:
[[File:Ascari eritrei.jpg|thumb|left|upright=1.3|Reparto di [[àscari]] eritrei; furono le truppe coloniali che, guidate da ufficiali italiani, condussero le operazioni di repressione.]]
 
Nonostante la schiacciante superiorità di mezzi e armamenti l'occupante italiano non riuscì mai a raggiungere un successo definitivo contro la guerriglia ''arbegnuoc''; l'andamento delle operazioni si ripeteva ciclicamente nel corso degli anni; l'insurrezione di una regione iniziava con l'assalto dei guerriglieri ai presidi isolati, alle guarnigioni dei villaggi e alle colonne minori, che aveva spesso successo; gli ''arbegnuoc'' quindi assumevano il controllo del territoriterritorio e respingevano i primi contrattacchi<ref name="GR86"/>. Dopo questa fase iniziale, il comando italiano era in grado di raggruppare le sue forze e di prendere l'iniziativa con il sostegno massiccio dell'aviazione che impiegava anche i gas iprite e fosgene; il territorio veniva quindi riconquistato e si precedeva a rappresaglie, devastazioni ed esecuzioni sommarie che colpivano anche la popolazione civile dei villaggi<ref name="GR86"/>. I capi e gli ''arbegnuoc'' più pericolosi tuttavia riuscivano quasi sempre a sfuggire e disperdersi nelle regioni più inospitali evitando confronti diretti in attesa di riorganizzarsi e riprendere in un secondo momento le operazioni scatenando una nuova insurrezione nelle stesso territorio<ref name="GR86"/>. Gli italiani infatti non erano in grado di presidiare in permanenza con forze sufficienti tutte le regioni e inoltre il loro comportamento brutale accentuava l'ostilità della popolazione e il sostegno alla guerriglia<ref name="GR86"/>.
 
Nonostante il superficiale ottimismo del Duca d'Aosta che, giunto ad Addis Abeba il 22 dicembre 1937 come nuovo viceré, si era affrettato a ringraziare il maresciallo Graziani scrivendo di "situazione generalmente buona", in realtà la guerriglia era in sviluppo e dal Goggiam, descritto in "piena rivolta", si estendeva in pratica all'intero territorio tranne l'Harar e le colonie storiche di Eritrea e Somalia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 313}}.</ref>. Il generale Ugo Cavallero, dal 12 gennaio 1938 il nuovo comandante superiore militare alle dipendenze del viceré, dovette subito ammettere che i "ribelli" erano numerosi, godevano del sostegno della popolazione e mettevano in pericolo la sicurezza delle vie di comunicazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 313-314}}.</ref>. Secondo il rapporto del nuovo comandante superiore, le forze ''arbegnuoc'' erano costituite da circa 20.000{{formatnum:20000}} uomini con i nuclei principali nello Scioa, 11.000{{formatnum:11000}} combattenti, e nell'Amhara, altri 8.000{{formatnum:8000}} guerriglieri; in realtà la guerriglia disponeva di forze variabili nel tempo tra i 40.000{{formatnum:40000}} e i 100.000{{formatnum:100000}} uomini<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 314-316}}.</ref>. Nello Scioa occidentale erano attive le bande del fitaurari [[Zaudiè Asfau]], del degiac [[Destà Isceriè]], di Mesfin Scilesci, Tecle Uolde Hawariat e del balambaras [[Gherarsù Duchì]]; lo Scioa nord-orientale era il territorio di Abebe Aregai con circa 4.000{{formatnum:4000}} uomini, e del degiac Auraris Dulla con 1.000{{formatnum:1000}} combattenti<ref name="DB314">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 314}}.</ref>. Gli altri gruppi principali combattevano nel Goggiam dove i degiac Mangascià Giamberiè, Negasc Bezabè, Belai Zellechè e il ligg Hailù Belau guidavano 5.000{{formatnum:5000}} ''arbegnuoc'', e nelle regioni del [[Belesà]], Beghemeder, [[Dalantà]] e [[Ermacciò]] dove si trovavano circa 6.000 guerriglieri guidati da Ubnè Tesemma, dal fitaurari Mesfin Redda, dal degiac Ghebrè Cassa, dal ligg Johannes<ref name="DB314"/>. Un gruppo di bande di 2.000{{formatnum:2000}} uomini al comando del fitaurari Tafferà era attivo nel territorio del [[Galla e Sidamo]]<ref name="DB314"/>.
 
Mentre il Duca d'Aosta dava prova di attivismo e mostrava un comportamento rigoroso ma apparentemente più moderato nei confronti della popolazione etiopica, il generale Cavallero preparò un ambizioso piano di operazioni globale per schiacciare prima dell'inizio della stagione delle grandi piogge la resistenza abissina<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 317}}.</ref>. Il nuovo ciclo di operazioni ebbe inizio il 19 gennaio 1938 nel Goggiam che venne attaccato da nord e da sud da tre colonne separate mentre altre forze sbarravano i guadi sul [[Nilo]] per impedire ai guerriglieri di sfuggire. Nonostante il notevole spiegamento di forze la campagna non raggiunse risultati definitivi. I presidi assediati dagli ''arbegnuoc'' vennero sbloccati e i prolungati scontri a [[Fagutta]] contro gli uomini di Mangascià Giamberiè, Zaudiè Asfau e Meslin Scilesci si conclusero nel marzo 1938 con la ritirata dei guerriglieri che si dispersero sul territorio<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 317-318}}.</ref>. Nel mese di aprile le colonne italo-eritree si congiunsero a [[Debra Marcos]] e continuarono vaste operazioni di rastrellamento contro gli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè, Negasc Bezabè e Belai Zellechè che ebbero, secondo le fonti italiane, 2.300{{formatnum:2300}} "uccisi accertati", ma riuscirono ancora una volta a sganciarsi<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 318}}.</ref>. Le forze del generale Cavallero poterono occupare il territorio, aumentare i presidi ed estendere le linee di comunicazione ma ebbero a loro volta in cinque mesi nel Goggiam 350 morti e 1.200{{formatnum:1200}} feriti, in grande maggioranza ascari e truppe coloniali<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 318-319}}.</ref>.
 
[[File:Arbegnuoc2.jpg|thumb|upright=1.3|Riunione di capi e guerriglieri ''arbegnuoc''.]]
Riga 142 ⟶ 141:
Nei mesi di giugno e luglio 1938 il generale Cavallero estese le operazioni di repressione della guerriglia anche nell'Ancoberino contro Abebe Aregai, che pur subendo perdite, riuscì sistematicamente a sganciarsi; altri combattimenti ebbero luogo nell'Amhara Nord, nel Beghemeder e nel [[monte Gibatti]] contro bande ''arbegnuoc'' particolarmente attive e pericolose<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 319}}.</ref>. Cavallero, sulla base dei dati statistici e dei risultati apparenti, si mostrò ottimista e comunicò a Mussolini che contava di vincere la ribellione entro Natale, ma in realtà nel Goggiam erano già ripresi gli attacchi dei guerriglieri che, sotto la guida di Mangascià Giamberiè e Negasc Bezabè, continuarono da luglio a settembre<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 319-320}}.</ref>. In particolare Mangascià Giamberiè riuscì ad evitare i rastrellamenti e nonostante la grave carenza di viveri e munizioni, riuscì a sopravvivere con la sua banda agli attacchi e agli inseguimenti degli occupanti; anche molti altri capi ''arbegnuoc'' riuscirono a mantenersi attivi e, senza deprimersi per le difficoltà materiali e la superiorità del nemico, prolungarono ancora la resistenza, riaccendendo continuamente la guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 320-321}}.</ref>.
 
Il 1 ottobre 1938 Cavallero fu costretto a sferrare un nuovo ciclo di operazioni nell'Arcoberino contro Abebe Aregai che stava consolidando il suo potere e la sua influenza sul territorio; tre gruppi di bande irregolari e quattro battaglioni coloniali cercarono di agganciare e bloccare gli ''arbegnuoc'' ma nonostante qualche successo, Abebe Aregai riuscì ancora una volta a sfuggire e rompere l'accerchiamento raggiungendo la sua regione natale del [[Menz (Etiopia)|Menz]] dove, rafforzato dai gruppi di Auraris Dullu, riprese le sue azioni di guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 321-322}}.</ref>. Il generale Cavallero giunse sul posto per dirigere personalmente le operazioni contro il capo abissino, ma nonostante l'impiego di circa 20.000{{formatnum:20000}} uomini, il comandante italiano non raggiunse alcun risultato e dopo quaranta giorni di sterili operazioni fu costretto alla metà del mese di dicembre 1938 ad interrompere l'offensiva contro gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 322}}.</ref>. Ugualmente insoddisfacenti furono le azioni di repressione della guerriglia guidata dal balambaras Gherarsù Duchì, il capo dei resistenti nel [[Guraghé]]; il 23 ottobre 1938 quattro colonne italiane, precedute da violenti bombardamenti aerei, iniziarono una manovra concentrica nella regione del [[Bedachè]] per schiacciare gli ''arbegnuoc'' di Gherarsù Duchì. In un primo momento l'operazione raggiunse qualche risultato; gli italo-eritrei effettuarono vasti rastrellamenti, uccisero 866 "ribelli" e agirono, secondo le direttive del viceré e dello stesso Mussolini, "con la massima energia", ma alla fine anche Gherarsù Duchì sfuggì, insieme ai suoi guerriglieri, alla caccia delle forze occupanti<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 322-325}}.</ref>. Contemporaneamente nel Beghemeder, nell'Amhara settentrionale e nel Goggiam era già ripresa la rivolta; gli ''arbegnuoc'' nel Goggiam colpirono due battaglioni coloniali e nell'Amhara attaccarono gli operai italiani al lavoro sulla strada [[Gondar]]-Debrà Tabor, che rimase permanentemente minacciata dalla guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 325}}.</ref>.
 
=== La guerriglia alla vigilia della seconda guerra mondiale ===
 
Le operazioni di repressione del 1938 non ottennero quindi risultati decisivi; inoltre in questo periodo si accentuarono i contrasti tra il Duca d'Aosta, convinto della necessità di ridurre la violenza e la brutalità della lotta contro la guerriglia, e il generale Cavallero deciso a mantenere il controllo operativo della guerra contro gli ''arbegnuoc''; a Roma Mussolini manifestò il suo scontento per la situazione in Africa orientale. All'inizio del 1939 il comandante superiore in Africa orientale riprese quindi le grandi operazioni militari contro la resistenza organizzando un'ambiziosa operazione contro gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai; il generale Cavallero affidò al colonnello [[Orlando Lorenzini]] cospicue forze coloniali per rastrellare il Menz; i risultati tuttavia non furono conclusivi; i principali capi della guerriglia sfuggirono al rastrellamento che si prolungò fino alla fine di marzo 1939<ref>{{cita|Dominioni|pp. 206-209}}.</ref>. Inoltre il 9-11 aprile 1939 le truppe italo-eritree furono protagoniste di un nuovo episodio di brutale violenza contro i civili, vecchi, donne e bambini, che seguivano le bande ''arbegnuoc'' in fuga; nella [[strage di Gaia-Zeret]] vennero uccisi con l'impiego di gas o con il fuoco delle mitragliatrici circa 1.200{{M|1200|-1.500|1500}} etiopi in grande maggioranza civili rifugiati in una grotta<ref>{{cita|Dominioni|pp. 209-215}}.</ref>. A causa dell'insuccesso della sua strategia globale alla fine il generale Cavallero il 10 aprile 1939 venne richiamato in Italia e sostituito dal generale [[Luigi De Biase]], mentre il generale Nasi, fautore di una politica severa ma corretta verso la popolazione indigena, divenne vicegovernatore generale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 325-326}}.</ref>.
 
Durante il 1939, mentre la situazione politica internazionale degenerava rapidamente verso la guerra generale, in Africa orientale si alternarono fasi di recrudescenza della guerriglia degli ''arbegnuoc'' e della repressione, con fasi di trattative per ottenere la sottomissione pacifica dei capi della guerriglia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 326-327}}.</ref>. I tentativi del Duca d'Aosta e del generale Nasi di ottenere la sottomissione dei capi della guerriglia per mezzo di trattative ottennero alcuni risultati: Zaudiè Asfau e Olonà Dinkel si accordarono con le autorità italiane e rinunciarono alla ribellione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 331}}.</ref>. Non raggiunsero il successo invece i lunghi e complessi tentativi per convincere a rinunciare alla lotta ras Abebe Aregai che ormai era divenuto il vero capo degli ''arbegnuoc'' e manteneva rapporti con i francesi di Gibuti. Sembra che in alcune circostante egli abbia accettato di intavolare trattative soprattutto per guadagnare tempo e ottenere armi e vettovaglie; tutti i contatti con Abebe Aregai ricercati da inviati italiani di alto rango, compreso il generale De Biase terminarono nel nulla; il capo etiope non si presentò all'incontro al vertice programmato per il 14 marzo 1940 cosicché Mussolini ordinò la ripresa delle operazioni di repressione contro i suoi guerriglieri con "azione militare, immediata, dura... non esclusi i gas"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 327-331}}.</ref>.
Riga 154 ⟶ 153:
[[File:Ilio Barontini e arbegnuoc.jpg|thumb|left|upright=1.3|L'esponente del [[Partito Comunista d'Italia]] [[Ilio Barontini]], quarto da sinistra, insieme a guerriglieri ''arbegnuoc'' nel Goggiam nel 1939-40]]
 
In precedenza, nel mese di dicembre del 1938, il [[Partito Comunista d'Italia]], aveva già inviato una sua missione in Etiopia per valutare la situazione, prendere contatti con gli ''arbegnuoc'' e iniziare un programma di addestramento dei guerriglieri. [[Giuseppe diDi Vittorio]] ne parlò per la prima volta con [[Anton Ukmar]] nell'inverno del 1937 e la decisione venne presa l'8 dicembre 1938; il primo a partire ed a raggiungere l'Etiopia passando per [[Khartoum]] fu [[Ilio Barontini]] che a febbraio 1939 poté già mandare un rapporto fiducioso sulle qualità e la determinazione dei combattenti abissini<ref>{{cita|Dominioni|pp. 286-289}}.</ref>. A primavera partirono anche Uckmar e [[Domenico Rolla]], accompagnati dall'agente segreto francese colonnello Paul Robert Monnier e dall'inviato del Negus Lorenzo Taezaz<ref>{{cita|Dominioni|p. 289}}.</ref>. Dopo essersi incontrati a maggio 1939 in territorio abissino, Uckmar e Barontini si divisero per iniziare i loro progetti di collaborazione e addestramento; la missione di Uckmar si stabilì nel Goggiam e nella zona di Gondar, mentre Barontini, che agiva con lo pseudonimo di "Paul Langlois" o di "Paolo De Bargili", entrò in collegamento con Mangascià Giamberiè e i suoi guerriglieri<ref>{{cita|Dominioni|pp. 289-292}}.</ref>.
 
La missione continuò fino al marzo 1940 quando i comunisti italiani e Taezaz iniziarono il viaggio di ritorno in Francia; nel frattempo il colonnello Monnier invece era morto di malattia nel novembre 1939; le autorità fasciste vennero a conoscenza della missione dei comunisti italiani in Etiopia ma le loro notizie erano imprecise; in particolare non identificarono "Langlois-De Bargili" con Barontini<ref>{{cita|Dominioni|pp. 290-292}}.</ref>. La missione non raggiunse grandi risultati pratici anche se in particolare Barontini svolse importanti compiti di addestramento nel campo degli esplosivi e diede utili consigli tattici agli ''arbegnuoc''; fu invece importante dal punto di vista morale e diede la possibilità di entrare in collegamento con i principali capi della resistenza<ref>{{cita|Dominioni|pp. 292-293}}.</ref>. Inoltre al termine della missione Taezaz poté fornire utili informazioni agli alti comandi anglo-francesi sulla reale situazione in Etiopia: gli italiani nonostante la loro apparente superiorità, non avevano il pieno controllo del territorio e la guerriglia ''arbegnuoc'' appariva in grado, se validamente sostenuta da consiglieri, armi ed equipaggiamenti, di sviluppare una rivolta generale e contribuire a disgregare completamente il dominio dell'occupante<ref name="DB338">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 338}}.</ref>.
Riga 180 ⟶ 179:
[[File:Ethiopian men gather in Addis Ababa, heavily armed with captured Italian weapons, to hear the proclamation announcing the return to the capital of the Emperor Haile Selassie in May 1941. K325.jpg|upright=1.2|thumb|Guerriglieri etiopici ad [[Addis Abeba]] liberata nel maggio 1941.]]
 
In realtà fin dal 31 marzo 1941 il Duca d'Aosta aveva deciso che la difesa di Addis Abeba era ormai impossibile e aveva quindi ordinato di ripiegare con le truppe superstiti verso il ridotto difensivo di [[Dessiè]]-[[Amba Alagi]]<ref>{{cita|Mockler|pp. 472-473}}.</ref>; egli intendeva aprire trattative con i britannici per cedere la capitale ordinatamente e salvaguardare la vita dei 35.000{{formatnum:35000}} residenti italiani, tra cui 11.000{{formatnum:11000}} donne e bambini. Nei giorni 1-3 aprile le truppe italiane evacuarono quindi Addis Abeba e si ritirarono, in una atmosfera di disastro e collasso generale, parte nel Galla e Sidamo e parte nel ridotto dell'Amba Alagi; la linea difensiva del fiume Ausc venne superata dai sudafricani del generale Cunningham che il pomeriggio del 5 aprile raggiunsero la periferia della città<ref>{{cita|Mockler|pp. 471-475}}.</ref>. Alle ore 10.30 del 6 aprile le prime truppe britanniche entrarono in Addis Abeba senza incontrare resistenza; alle truppe sudafricane e nigeriane si erano unite le bande ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai e circa 800 guerriglieri, dall'aspetto singolare e caratteristico per le folte capigliature, i vestiti laceri, i piedi scalzi e le armi e parte delle divise sottratte agli italiani, fecero ingresso nella capitale<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 459-460}}.</ref>. L'entrata degli ''arbegnuoc'' fu caratterizzata da manifestazioni di entusiasmo e di rivalsa sull'occupante ma nel complesso i guerriglieri tennero un comportamento corretto e non vi furono esplosioni di violenza incontrollata e di vendetta sanguinosa; la capitale rimase relativamente tranquilla, gli italiani residenti collaborarono subito con le autorità britanniche che sgomberarono il centro cittadino e concentrarono i civili bianchi in aree separate<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 461-462}}.</ref>.
 
Mentre i generali Platt e Cunningham sferravano la loro travolgente offensiva in Eritrea e Somalia, dal 20 gennaio 1941 il negus Hailè Sellasiè, accompagnato da molti dignitari dell'impero, era finalmente rientrato in Etiopia nella regione del Goggiam insieme alla ''Gideon Force'' del colonnello Wingate, costituita da truppe britanniche, soldati sudanesi e un reggimento regolare del nuovo esercito etiopico<ref>{{cita|Mockler|pp. 424-425}}.</ref> L'avanzata della ''Gideon Force'' non fu agevole a causa soprattutto delle difficoltà del territorio e anche per la resistenza italiana; nel Goggiam erano attivi gli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè e Negasc Bezabè, con loro si trovavano anche gli uomini della ''mission 101'' di Sandford che parteciparono alle operazioni; le bande di Mangascià liberarono [[Dangila]] prima dell'arrivo delle forze di Wingate<ref>{{cita|Mockler|pp. 442-443}}.</ref>. Nonostante la debolezza della ''Gideon Force'', il colonnello Wingate e Hailè Sellasiè continuarono l'avanzata; la situazione ebbe una svolta con la defezione di Hailu Tekle Haymanot, il ras collaborazionista che dopo aver ricevuto grande autorità dagli italiani, il 7 aprile decise di cambiare campo e aiutare il Negus<ref>{{cita|Dominioni|pp. 274-276}}.</ref>.
 
Il 6 aprile era già stata raggiunta Debra Marcos e il 5 maggio 1941, a cinque anni esatti dalla caduta di Addis Abeba, Hailè Sellasiè arrivò alla periferia della capitale insieme alla ''Gideon Force'' di Wingate<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 473-475}}.</ref>. Il Negus aveva diffuso fin dal 19 gennaio 1941 un documento in cui invitava alla moderazione ed a perdonare gli italiani per le loro brutali violenze; nel proclama Hailè Sellasiè ordinava di rinunciare alla vendetta, risparmiare la vita di donne e bambini, non punire i prigionieri e dimostrare "senso dell'onore e un cuore umano"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 463-464}}.</ref>. Alle ore 15.30 il Negus fece ingresso nella capitale su un'auto scoperta, accolto dallo straordinario entusiasmo della popolazione; gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai, circa 7.000{{formatnum:7000}} guerriglieri, si fecero intorno e scortarono il corteo imperiale durante il passaggio nelle vie cittadine fino all'incontro con il generale Alan Cunningham<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 475-476}}. I guerriglieri di Abebe Aregai portavano i capelli lunghi sulle spalle perché avevano giurato di non tagliarseli fino alla liberazione di Addis Abeba.</ref>. Non si verificarono incidenti, violenze o rappresaglie verso gli italiani; nel suo discorso il negus parlò di "giorno di felicità per tutti", di "non ripagare il male con il male", e invitò a non macchiarsi di "atti di crudeltà"; nella notte la liberazione fu festeggiata con una grande fiaccolata dei guerriglieri su tutte le colline intorno ad Addis Abeba<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 476-477}}.</ref>.
 
Nei mesi seguenti, dopo la liberazione della capitale e il rientro del Negus, caddero gli ultimi nuclei di resistenza delle forze armate italiane nell'Africa orientale; il 19 maggio 1941 si arrese all'Amba Alagi il Duca d'Aosta insieme al generale [[Claudio Trezzani]]; il generale [[Pietro Gazzera]] cessò la resistenza nel Galla e Sidamo il 3 luglio 1941, mentre il generale Guglielmo Nasi, dopo una prolungata ed accanita resistenza nella regione di Gondar, dovette infine cedere le armi il 27 novembre 1941<ref>{{cita|Dominioni|pp. 259-260}}.</ref>. I guerriglieri abissini ''arbegnuoc'' e i nuovi reparti dell'esercito etiopico organizzati dai britannici presero parte con un ruolo di rilievo anche a queste ultime battaglie, contribuendo alla totale sconfitta dell'occupante; furono i combattenti della resistenza che entrarono per primi a Gondar<ref>{{cita|Dominioni|p. 260}}.</ref>.
Riga 193 ⟶ 192:
La resistenza, iniziata soprattutto come movimento di difesa contro la brutale repressione dell'occupante, si trasformò nel tempo in un movimento popolare di massa privo peraltro di connotazioni rivoluzionarie e di istanze sociali radicali; gli ''arbegnuoc'' combattevano in grande maggioranza per ripristinare la vecchia società feudale etiopica e i dirigenti erano sempre legati al Negus; le popolazioni non espressero richieste di sovvertimento della società anche se in parte il movimento di resistenza sviluppò una prima coscienza democratica antimperialista<ref>{{cita|Dominioni|p. 276}}.</ref>. In questo senso la resistenza ''arbegnuoc'' fu un evento molto importante nella storia dell'Etiopia, favorì la partecipazione del popolo agli eventi politici e sviluppò i sentimenti di indipendenza e coesione nazionale<ref>{{cita|Dominioni|p. 262}}.</ref>.
 
Gli ''arbegnuoc'' impegnati nella guerriglia erano numerosi; un numero variabile nel corso delle stagioni dell'anno tra i 40.000{{formatnum:40000}} e i 100.000{{formatnum:100000}} fu sempre attivo soprattutto nelle regioni dello Scioa e del Goggiam; la popolazione contadina incrementava questo numero partecipando temporaneamente alla lotta e unendosi alle bande; non mancavano peraltro contrasti interni e a volte gli ''arbegnuoc'' ricorrevano alle intimidazioni e alle vendette per ottenere l'appoggio e il sostegno della popolazione<ref name="Dominioni" />. Le perdite dovute alla repressione e alle operazioni di rastrellamento delle forze militari italiane, furono pesanti; secondo i dati ufficiali forniti dal Negus, 75.000{{formatnum:75000}} "patrioti" furono uccisi in combattimento, 24.000{{formatnum:24000}} furono giustiziati dalle autorità nemiche, 35.000{{formatnum:35000}} morirono nei campi di concentramento; inoltre pesanti furono le vittime civili calcolate in oltre 300.000{{formatnum:300000}} persone<ref>{{cita|Dominioni|pp. 270-271}}.</ref>. I dati italiani sono in parte differenti; 76.906{{formatnum:76906}} sarebbero stati gli ''arbegnuoc'' uccisi, 4.437{{formatnum:4437}} i feriti e 2.847{{formatnum:2847}} i prigionieri; il modesto numero dei prigionieri rispetto ai morti conferma la durezza della guerra in Africa orientale nel periodo 1936-1941 e la grande carica di violenza dispiegata dall'apparato repressivo italiano per cercare di sottomettere le popolazioni e schiacciare la resistenza<ref>{{cita|Dominioni|p. 271}}.</ref>.
 
Il 5 maggio, anniversario della liberazione di Addis Abeba, in Etiopia viene festeggiato ogni anno lo ''Arbegnoch Qen'' (የአርበኞች ቀን), il giorno degli ''arbegnuoc'', in onore dei patrioti della resistenza contro l'Italia fascista; i reduci della guerriglia ancora viventi partecipano orgogliosamente alle manifestazioni di ricordo.
 
==Note==
{{Note strette}}
<references/>
 
== Bibliografia ==
*{{cita libro|autore=[[Renzo De Felice|wkautore=Renzo De Felice]]|titolo=Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936|editore=Einaudi|annooriginale=1974|anno=1996|città=Torino|ISBN=88-06-13996-7|cid=De Felice}}
*{{cita libro|autore=[[Angelo Del Boca|wkautore=Angelo Del Boca]]|titolo=Gli italiani in Africa orientale. III. La caduta dell'impero|editore=Mondadori|annooriginale=1982|anno=1992|città=Milano|ISBN=88-04-42283-1|cid=Del Boca}}
*{{cita libro|autore=Matteo Dominioni|titolo=Lo sfascio dell'impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941|editore=Editori Laterza|annooriginale=2008|anno=|città=Roma-Bari|ISBN=978-88-420-8533-1|cid=Dominioni}}
*{{cita libro|autore=Anthony Mockler|titolo=Il mito dell'impero. Storia delle guerre italiane in Abissinia e in Etiopia|editore=Rizzoli|annooriginale=1972|anno=1977|città=Milano|id=no ISBN|cid=Mockler}}
*{{cita libro|autore=[[Giorgio Rochat|wkautore=Giorgio Rochat]]|titolo=Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta|editore=Einaudi|annooriginale=2005|anno=|città=Torino|ISBN=88-06-16118-0|cid=Rochat}}
 
== Voci correlate ==
Riga 213 ⟶ 212:
* [[Guerra d'Etiopia]]
* [[Monumento allo Yekatit 12]]
* [[Massacro di DebreDebra LibanosLibanòs]]
* [[Strage di Addis Abeba]]
* [[Sciftà]]