Ethica: differenze tra le versioni
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{{libro
|titolo = Etica
|titoloorig = Ethica ordine geometrico demonstrata; Ethica more geometrico demonstrata
|titolialt = Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico; Etica dimostrata con metodo geometrico
|immagine = Spinoza Ethica.jpg
|didascalia = L'
|annoorig = 1677
|annoita = [[1880]]<ref>A cura di Carlo Sarchi, Milano, Bertolotti e C., 1880. Cfr. {{cita libro|autore=Baruch Spinoza |altri=a cura di [[Giovanni Gentile]], Gaetano Durante, Giorgio Radetti|titolo=Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico |editore=Bompiani |città=Milano |anno=2013 |isbn=978-88-452-5898-5 |p=XXVII }}</ref>
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|lingua = la
}}
L
== Struttura dell'opera ==
Organizzata secondo un [[Metodo deduttivo|metodo assiomatico-deduttivo]] volto a garantire la certezza dei risultati
*nella prima, su [[Dio]], l'autore vuole dimostrare che esiste un'unica [[Sostanza (filosofia)|sostanza]] [[Infinito (filosofia)|infinita]] che si manifesta in infiniti [[Attributo (filosofia)|attributi]], che nel loro complesso sono la sostanza stessa;<ref>{{cita libro|autore=Baruch Spinoza |altri=a cura di Emilia Giancotti |titolo=Etica dimostrata con metodo geometrico |editore=PGreco |città=Milano |anno=2010 |isbn=978-88-95563-20-6 |
*nella seconda, sulla [[mente]], viene descritto il parallelismo tra il [[Corpo (filosofia)|corpo]] e la mente dell'[[uomo]] che dà luogo alle nostre [[Conoscenza|conoscenze]] [[Sensibilità (filosofia)|sensibili]] e si mostra come, oltre a queste, è possibile accedere anche a conoscenze adeguate, cioè chiare e distinte e certamente [[Verità|vere]];
*nella terza parte, sugli [[Emotività|affetti]], si mostra come l'intera gamma delle emozioni dell'uomo dipende da un fondamentale impulso all'autoconservazione, all'istinto vitale dal quale, in corrispondenza di un aumento della propria forza, deriva la gioia e in corrispondenza di una sua diminuzione la tristezza;
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== Genesi dell'opera ==
Una stesura provvisoria della prima parte dell{{'}}''Etica'' (la quale nelle intenzioni dell'autore, all'epoca, avrebbe dovuto constare di un totale di tre parti) fu completata da Spinoza nel
Dopo la pubblicazione, nel
[[File:Spinoza Opera Posthuma.jpg|thumb|upright|left|L'edizione latina delle opere di Spinoza, pubblicata dagli amici poco dopo la sua morte, era intitolata ''Opera posthuma''. Per proteggersi dalle reazioni che prevedibilmente sarebbero state scatenate dalle tesi radicali ivi esposte, costoro omisero il nome dell'editore, Jan Rieuwertsz, e il luogo di pubblicazione, Amsterdam, indicando solo le iniziali dell'autore (''Benedictus de Spinoza'').]]
Spinoza tornò a lavorare sull{{'}}''Etica'' nel 1670, rielaborando considerevolmente il testo che cinque anni prima aveva giudicato praticamente definitivo,<ref name=nadler_250>{{cita|Nadler|p. 250
Nonostante l{{'}}''Etica'' di Spinoza sia un'opera estremamente originale e radicale, il suo autore risentiva dell'influenza di diversi pensatori e la sua approfondita conoscenza delle problematiche filosofiche e dei modi in cui erano state affrontate nel passato, anche recente, emerge dai contenuti dell{{'}}''Etica'' stessa. Vale la pena di citare tra i punti di riferimento di Spinoza [[Filosofia antica|filosofi antichi]] come [[Platone]], [[Aristotele]] e gli [[Stoicismo|stoici]], [[Filosofia ebraica|pensatori ebraici]] del [[Medioevo]] come [[Mosè Maimonide]], filosofi della scena europea del [[XVI secolo|XVI]] e [[XVII secolo]] come [[Francesco Bacone]], [[Thomas Hobbes]] e soprattutto [[Cartesio]].<ref>{{cita|Nadler|p. 251
== Il metodo geometrico ==
{{Citazione|L'assiduo manoscritto / aspetta, già pregno d'infinito. / Qualcuno costruisce Dio nella penombra. / Un uomo genera Dio. È un ebreo / di tristi occhi e di pelle olivastra / [...]. Il mago insiste e foggia / Dio con geometria raffinata; / dalla sua debolezza, dal suo nulla, / seguita a modellare Dio con la parola.|da ''Baruch Spinoza'', di [[Jorge Luis Borges]]<ref>Citato in Filippo Mignini, ''Un «segno di contraddizione»'', in {{cita libro|autore=Baruch Spinoza |titolo=Opere |città=Milano |editore=Mondadori |anno=2007 |
L'opera è fortemente sistematica; essa si propone di trattare tutti i campi di indagine della filosofia scandendoli in cinque parti (su Dio, la mente, le passioni, la schiavitù dell'uomo nei loro confronti e la possibilità della sua liberazione da esse) corrispondenti a un percorso che, partendo dalle questioni più fondamentali della metafisica, conduce fino all'etica con il preciso obiettivo di formulare una teoria della beatitudine umana.<ref>{{cita|Scribano|pp.
L'esposizione del contenuto dell{{'}}''Etica'', come specificato sin dal titolo, è poi organizzata secondo un metodo «geometrico» ispirato al modello [[Deduzione|assiomatico-deduttivo]] della [[geometria euclidea]].<ref name=scribano_8>{{cita|Scribano|p. 8
Inoltre, a più riprese Spinoza sembra mostrare delle insofferenze nei confronti della rigidità del metodo euclideo.<ref>{{cita|Scribano|pp. 9, 91.}}</ref> È anche per questo che spesso egli aggiunge alle sue proposizioni degli [[Scolio|scoli]] più estesi e di carattere discorsivo in cui chiarifica i suoi risultati o, anche, si occupa di mostrare come essi confutano le posizioni di alcuni dei suoi avversari; allo stesso scopo sono presenti prefazioni o appendici alle singole parti.<ref name=scribano_8/>
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=== Definizioni e assiomi: la sostanza, Dio, gli attributi ===
Spinoza propone dapprima otto definizioni: in particolare, la «causa di sé» è definita come «ciò la cui [[Essenza (filosofia)|essenza]] implica l'[[esistenza]]» (E I, d1);<ref name=giancotti/> la [[Sostanza (filosofia)|sostanza]] è definita come «ciò che è in sé ed è concepito per sé» (E I, d3),<ref name=giancotti/> ovvero ciò che è autosufficiente quanto alla sua esistenza e non ha bisogno di altro per mezzo del quale possa essere concepito (si è parlato in proposito di «inseità ontologica e perseità concettuale»);<ref>{{cita|Giancotti|p. 321
Spinoza introduce poi sette assiomi, cioè altrettante verità fondamentali considerate evidenti. Egli asserisce in particolare che «da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e, al contrario, se non si dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto» (E I, a3)<ref name=giancotti/> e che «la conoscenza dell'effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica» (E I, a4).<ref name=giancotti/> Spinoza assume con ciò un rigido [[determinismo]], tale per cui il principio che fa seguire a una causa un certo effetto è valido senza eccezioni, e afferma inoltre che il nesso causa-effetto corrisponde al nesso premessa-conseguenza, cioè che la [[Causa (filosofia)|causalità]] nella natura è parallela all'[[implicazione logica]] nella conoscenza della natura:<ref>{{cita|Scribano|p. 15
=== Unicità della sostanza infinita in Dio ===
Poiché sostanze di diversa natura, cioè con diversi attributi, non possono essere conosciute l'una per mezzo dell'altra e dunque non possono essere l'una causa dell'altra, e poiché d'altronde due sostanze con la stessa natura (per un principio assimilabile all'[[identità degli indiscernibili]]) sarebbero la stessa sostanza, ogni sostanza deve essere causa di sé.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Il fatto che non possano darsi due sostanze con lo stesso attributo (o le due sostanze sarebbero la stessa) implica che una sostanza non può essere limitata da una sostanza della sua stessa natura, e ogni sostanza è dunque infinita nel suo genere: per definizione (E I, d2) è infatti infinito nel suo genere qualcosa che non è limitato da qualcosa della sua stessa natura.<ref>{{cita|Scribano|p. 18
=== ''Deus sive Natura'' e il determinismo ===
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[[File:Frans_Hals_-_Portret_van_René_Descartes.jpg|thumb|upright|Cartesio (qui ritratto nel 1649) fu il pensatore da cui Spinoza fu influenzato in modo più diretto<ref name=scribano_143/>]]
Il fatto che Dio sia infinito e che sia l'unica sostanza esistente implica che nulla esiste al di fuori di Dio: «
Un'altra tesi spinoziana che, all'epoca, risultò scandalosa, è quella per cui Dio non è in grado di derogare alla rigidissima necessità causale che regola tutti gli eventi naturali: Dio è detto causa libera dell'universo perché (E I, d7) si è definita la libertà come il fatto di non essere determinati da cause esterne ma solo dalla necessità della propria natura, e Dio (e solo Dio) in quanto causa di sé è determinato per la sua essenza e la sua esistenza solo da sé stesso; ma «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29),<ref name=giancotti/> e Dio, che obbedisce alla necessità della sua natura (sancita dall'assioma 3), non fa eccezione:<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== I modi, infiniti e finiti, della sostanza ===
Dovendo spiegare come gli enti finiti della nostra esperienza derivano dall'infinità di Dio, Spinoza introduce la nozione di «[[Modo (filosofia)|modo]]», che si declina in «modi immediati infiniti», «modi mediati infiniti» e «modi finiti».<ref name=vigorelli_153>{{cita libro|nome=Amedeo |cognome=Vigorelli |capitolo=Baruch Spinoza |altri=a cura di F. Cioffi, F. Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette |titolo=Diálogos |volume=II – La filosofia moderna |anno=2000 |editore=Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori|città= |isbn=88-424-5264-5|p=153}}</ref> Per «modo» si intendono «le affezioni di una sostanza», che sono in altro da sé (cioè sono nella sostanza) e sono concepite per mezzo di altro da sé (cioè sono concepite per mezzo della sostanza) (E I d5).<ref>{{cita|Giancotti|p. 326
I «modi immediati infiniti» sono «tutte le cose che seguono dall'assoluta natura di un certo attributo di Dio» (E I, p21)<ref name=giancotti/> e sono per esempio, rispetto all'attributo dell'estensione, le leggi del movimento e della quiete, e, rispetto all'attributo del pensiero, la volontà e l'intelletto divini;<ref>{{cita|Scribano|p. 39
[[File:Spinoza.jpg|thumb|upright|Baruch Spinoza ritratto intorno al 1665, all'età di circa trentatré anni. Nel 1665 egli fece circolare tra alcuni amici un primo abbozzo di quella che, negli anni seguenti, sarebbe divenuta l{{'}}''Etica'' compiuta.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Un «modo mediato infinito» è «qualunque cosa segue da un certo attributo di Dio in quanto è modificato da una modificazione tale che esiste necessariamente e quale infinita in virtù dello stesso attributo» (E I, p22).<ref name=giancotti/> In quanto modificazione dell'attributo divino dell'estensione da parte delle leggi del movimento e della quiete, che sono un modo immediato infinito, l'universo nel suo complesso è un esempio di modo mediato infinito.<ref>{{cita|Scribano|p. 41
L'introduzione delle nozioni, già scolastiche,<ref>{{cita|Vigorelli|p. 153
=== Temporalità e causalità ===
Con ciò si introduce il tema del [[tempo]]: «Dio, ossia tutti gli attributi di Dio, sono eterni» (E I, p19). Per [[eternità]] (E I, d8) Spinoza intende non una durata infinita, ma l'esistenza indipendente dalla temporalità, con il che è manifesto che Dio e solo Dio – in quanto causa di sé e sostanza la cui essenza implica l'esistenza – esiste senza riferimento al tempo.<ref>{{cita|Scribano|p. 42
Come si vedrà nella parte seconda, «fino a quando le cose singolari non esistono se non in quanto sono comprese negli attributi di Dio [cioè nella dimensione eterna], il loro essere oggettivo, ossia le idee non esistono se non in quanto esiste l'infinita idea di Dio; e quando le cose singolari si dicono esistere non soltanto in quanto sono comprese negli attributi di Dio, ma anche in quanto si dicono durare [cioè nella temporalità], le loro idee implicano anche l'esistenza per la quale si dicono durare» (E II, p8c).<ref name=giancotti/>
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Nell'appendice alla prima parte dell{{'}}''Etica'', Spinoza si propone di mostrare come tutti gli errori della teologia tradizionale – a cominciare dalla credenza superstiziosa in un Dio in gran parte antropomorfo, a cui vengono attribuite passioni umane e per ingraziarsi il quale si cade in un meschino commercio di adorazione per salvezza – derivano da un unico fondamentale pregiudizio, cioè che la natura sia ordinata secondo un [[Finalità|fine]].<ref name=scribano_46/>
Spinoza vuole in primo luogo spiegare la ragione per cui gli uomini condividono questo pregiudizio: «
Dalla credenza nell'esistenza di fini deriva, secondo Spinoza, l'idea che nel mondo esistano valori che rendono le cose (in sé) buone o cattive: mentre in realtà, semplicemente, ciò che giova all'uomo è detto buono o bello, ciò che gli nuoce cattivo o brutto. Il fatto poi che gli uomini, pur simili per molti aspetti, siano tutti diversi, e che dunque agli uni e agli altri paiano buone o cattive cose diverse, genera le aspre controversie che portano allo [[Scetticismo filosofico|scetticismo]]. Secondo Spinoza invece nella natura, dominata com'è da una necessità assoluta, non si danno cose buone in sé o cattive in sé: il [[problema del male]], cioè quello di giustificare l'esistenza del male in un universo dominato da un Dio buono e provvidente, si risolve prima di porsi se si abbandona il finalismo che, di quel problema, era l'origine.<ref>{{cita|Scribano|pp.
== Parte seconda: della natura e dell'origine della mente ==
Nella seconda parte Spinoza espone la sua [[teoria della conoscenza]], che nelle parti successive dell'opera farà da fondamento per la teoria della beatitudine umana.<ref>{{cita|Scribano|p. 49
=== La finitezza dell'uomo e il parallelismo di mente e corpo ===
[[File:Leibniz Hannover.jpg|thumb|upright|Gottfried Wilhelm von Leibniz entrò in contatto diretto con Spinoza e intrattenne con lui un fecondo rapporto epistolare, grazie al quale i due discussero argomenti scientifici e filosofici<ref>{{cita|Nadler|pp. 172, 329.}}</ref>]]
«Dico che appartiene all'essenza di ciascuna cosa [...] ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che senza la cosa non può né essere, né essere concepito» (E II, d2).<ref name=giancotti/> Con questa definizione, Spinoza vuole ribadire la distanza tra le cose finite e Dio, escludendo che qualcuno possa pensare che, poiché tutte le cose singole (non potendo essere concepite per sé) devono essere concepite per mezzo di Dio, Dio debba far parte dell'essenza delle cose singole. Affinché qualcosa faccia parte dell'essenza di qualcosa d'altro, infatti, bisogna che il rapporto di dipendenza sia bidirezionale: ma poiché Dio può essere ed essere concepito anche senza le cose finite, non è contenuto nella loro essenza.<ref name=scribano_50-51>{{cita|Scribano|pp.
Ma «l'uomo pensa» (E II, a2),<ref name=giancotti/> e inoltre «sente che un certo corpo è affetto in molti modi» (E II, a3).<ref name=giancotti/> Spinoza introduce ora i rapporti tra le sfere della corporeità e del pensiero nell'uomo, ma partendo di nuovo da Dio: innanzitutto, «in Dio si dà necessariamente tanto l'idea della sua essenza quanto di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua essenza» (E II, p3);<ref name=giancotti/> però le cose non sono causate dalle idee delle cose presenti in Dio (come avveniva secondo gran parte della tradizione scolastica) né le idee delle cose sono causate dalle cose (poiché, come si è visto nella parte prima, tra enti di natura diversa come sono diversi pensiero ed estensione non si dà causalità). Dunque tra idee e cose vige un rapporto di corrispondenza senza causalità, o, come dirà [[Gottfried Wilhelm von Leibniz|Leibniz]],<ref>{{cita|Scribano|p. 58
Lo stesso vale per l'essere umano: l'uomo è una modificazione della sostanza che partecipa di due soli dei suoi infiniti attributi, pensiero ed estensione. La mente è dunque una modificazione finita dell'attributo del pensiero, il corpo una modificazione finita dell'attributo dell'estensione. Le due modificazioni però si corrispondono strettamente, come è testimoniato dalla consapevolezza che la nostra mente ha delle sensazioni del nostro corpo: la mente è l'idea che ha come oggetto il corpo.<ref>{{cita|Scribano|p. 56
La mente umana, che ha le idee delle cose che conosce, è essa stessa un'idea, e in particolare è l'idea che, nella dimensione intemporale di Dio, corrisponde all'essenza del corpo a cui, nel tempo, quella mente sente di essere legata. C'è però una differenza tra l'idea del corpo di Pietro che costituisce la mente di Pietro e l'idea del corpo di Pietro che ha un altro uomo, per esempio Paolo (come ha notato Scribano resta comune, nelle diverse accezioni della nozione di «idea», che «idea è quella particolare modificazione del pensiero che rappresenta qualcosa»).<ref>{{cita|Scribano|p. 57
=== Conoscenza inadeguata ===
Spinoza ritiene che, poiché «l'oggetto dell'idea che costituisce la mente umana è il corpo [...] e niente altro» (E II, p13),<ref name=giancotti/> «la mente non conosce sé stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo» (E II, p23).<ref name=giancotti/> Dunque, visto che il principio di ogni conoscenza è nelle affezioni del corpo, l'autore inserisce tra la proposizione tredicesima e la quattordicesima una serie di [[Lemma (matematica)|lemmi]] dedicati a delineare una sintetica teoria [[fisica]] e [[Fisiologia|fisiologica]], su base [[Meccanicismo|meccanicista]], il cui scopo è quello di rendere conto del funzionamento della mente umana.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Ne risulta, tra le altre cose, che «l'idea di un qualunque modo in cui il corpo umano è affetto dai corpi esterni deve implicare la natura del corpo umano e, simultaneamente, la natura del corpo esterno» (E II, p16)<ref name=giancotti/> e che quindi gli oggetti esterni ci sono noti attraverso l'inevitabile mediazione (ed, eventualmente, deformazione) del nostro stesso corpo, ovvero «le idee che abbiamo dei corpi esterni indicano più la costituzione del nostro corpo che la natura dei corpi esterni» (E II, p16c2).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 63
Inoltre se, per esempio, un oggetto che si era sempre presentato insieme a un altro si presenta ora da solo, la mente tenderà a pensare ancora a entrambi gli oggetti (si tratta del principio di funzionamento dell'associazione di idee); in generale, «la mente potrà [...] contemplare come se fossero presenti i corpi esterni dai quali il corpo umano è stato affetto una volta, sebbene essi non esistano, né siano presenti» (E II, p17c),<ref name=giancotti/> e questo «fino a quando il corpo [umano] non venga affetto da un affetto che escluda l'esistenza o presenza dello stesso corpo [esterno]». Questi sono tra i fondamenti dell'[[immaginazione]], e dunque dell'inadeguatezza delle idee che abbiamo sul nostro corpo e sulle sue affezioni.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Se nella prima parte si era definita un'idea vera come un'idea corrispondente al suo ideato, cioè al suo oggetto, assumendo una qualificazione estrinseca della [[Teoria corrispondentista della verità|verità come corrispondenza]], nella seconda parte si era definita un'idea adeguata come un'idea dalla quale, a partire da essa sola, possono essere derivate tutte le proprietà del suo oggetto, cioè un'idea chiara e distinta che consente di conoscere di un oggetto le cause e gli effetti.<ref>{{cita|Scribano|p. 66
Avere un'idea adeguata di un corpo finito significa poter ricostruire sia la catena causale che l'ha portato a esistere nel tempo sia la catena causale degli eventi determinati da esso nel tempo; ma tali catene causali, come si è visto, sono infinitamente estese nel passato e nel futuro, e dunque la loro conoscenza non è accessibile a una mente finita come quella umana. In altre parole, tutte le volte che per conoscere qualcosa non è sufficiente la conoscenza di un'affezione del corpo umano, ma è necessario conoscere anche altre cose che l'uomo non conosce, l'uomo ha una conoscenza inadeguata. Dio, in cui sono presenti tutti gli infiniti corpi e le corrispondenti idee, ha una conoscenza adeguata di tutte le cose, alla quale l'uomo nella sua finitezza non può accedere.<ref>{{cita|Scribano|pp. 66-68, 79.}}</ref>
{{q|La mente umana ogni qual volta percepisce le cose secondo il comune ordine della natura non ha una conoscenza adeguata, bensì soltanto confusa e mutilata, di
Da cui la teoria spinoziana dell'errore: la conoscenza inadeguata è tale perché è manchevole, perché cioè non ha le idee che le servirebbero per completare la ricostruzione delle catene causali. Non esiste alcunché di positivo nell'errore: un'idea falsa è semplicemente un'idea parziale, che può diventare vera quando a essa se ne aggiungano altre che la completano.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Un'idea falsa può essere ritenuta vera finché non è soppiantata da un'idea vera (che, come si diceva, «è norma di sé stessa e del falso»), ma non è mai accompagnata dalla certezza che caratterizza le idee chiare e distinte, cioè adeguate, cioè effettivamente vere:<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== Conoscenza adeguata ===
Tuttavia, la conoscenza adeguata è possibile anche per l'uomo. Oltre alla conoscenza basata su immaginazione e sensibilità, la quale è vacillante e parziale per via della sua passività rispetto alle affezioni del corpo (che come si è visto non mettono a disposizione dati diretti sul mondo esterno, ma solo dati spuri che contengono informazioni anche e soprattutto sul corpo stesso) esistono infatti altri due generi di conoscenza: la conoscenza razionale, che prende le mosse da nozioni comuni a tutti e conosciute adeguatamente (per esempio l'estensione) e che le sviluppa secondo un metodo rigorosamente razionale simile a quello della stessa ''Etica'', giungendo ad altre e più estese conoscenze adeguate di carattere universale; e la conoscenza intuitiva, per mezzo della quale si può giungere in modo diretto e immediato (non discorsivo) a nozioni adeguate sugli oggetti individuali.<ref>{{cita|Scribano|pp.
La conoscenza adeguata degli universali della ragione, come appunto l'estensione, è resa possibile dal fatto che essi sono «cose che sono comuni a tutti e che sono parimenti nella parte e nel tutto» (E II, p38);<ref name=giancotti/> le proprietà del corpo esterno che, avendo un effetto sul corpo umano, viene percepito dalla mente umana vengono conosciute in modo deformato nell'esatta misura in cui il corpo esterno e il corpo umano sono diversi l'uno dall'altro; ma le proprietà che essi hanno in comune (per esempio l'estensione) non possono essere deformate dall'interazione dei due corpi, e dunque sono conosciute da tutti gli uomini in modo necessariamente adeguato.<ref>{{cita|Scribano|p. 83
La finitezza dell'uomo gli impedisce di avere una conoscenza adeguata dell'infinita catena causale in cui si inserisce, nel tempo, un oggetto individuale; tuttavia esistono degli universali che sono indipendenti da simili catene causali e che, infatti, si collocano nella dimensione intemporale dell'eternità (l'estensione ne è, di nuovo, un esempio). In altre parole, la mente ha un'idea adeguata quando ha un'idea che non dipende da altre idee per la sua adeguatezza; una simile idea nella mente umana coincide con la stessa idea che è adeguata in Dio, e da entrambi i punti di vista essa ha un carattere intemporale.<ref>{{cita|Scribano|p. 93
«È proprio della natura della ragione contemplare le cose non come contingenti, ma come necessarie» (E II, p44),<ref name=giancotti/> ''[[sub specie aeternitatis]]'', «sotto l'aspetto dell'eternità» (E II, p44c2).<ref name=giancotti/> La ragione conosce le cose (ma non le cose individuali, bensì le proprietà comuni) in quanto derivazioni della necessaria natura divina nella loro dimensione eterna, al di là della temporalità in cui sono immerse quando sono conosciute per via della sensibilità; non «in quanto concepiamo che esse esistono in relazione a un certo tempo e luogo» ma «in quanto sono contenute in Dio e seguono dalla necessità della divina natura» (E V, p29s).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 86
Dalla teoria della conoscenza adeguata di Spinoza discende una delle conclusioni più radicali dell{{'}}''Etica'': «La mente umana ha una conoscenza adeguata dell'essenza eterna e infinita di Dio» (E II, p47).<ref name=giancotti/> L'eterna e infinita essenza di Dio
== Parte terza: della natura e dell'origine degli affetti ==
La terza parte dell{{'}}''Etica'' è dedicata agli affetti e all'[[Emozione|emotività]], tradizionalmente esclusi dal campo di interesse delle indagini votate al rigore formale; nella prefazione, a questo proposito, Spinoza contesta l'atteggiamento dei numerosi filosofi che hanno guardato alle emozioni con disprezzo, considerandole una degenerazione della natura razionale dell'uomo; egli argomenta, al contrario, l'assoluta necessità delle passioni (necessità che le caratterizza alla stregua di ogni altro fenomeno naturale) e quindi rigetta una loro caratterizzazione come intrinsecamente buone o cattive, sostenendo invece la legittimità di un loro studio scientifico.<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== Azioni e passioni ===
Spinoza introduce dapprima la definizione di «causa adeguata», che gli servirà presto per definire la nozione di «azione». Una causa è detta «adeguata» quando il suo effetto «può essere percepito chiaramente e distintamente per mezzo della stessa» (E III, d1),<ref name=giancotti/> e cioè quando (tenendo presente il quarto assioma della prima parte) la sua conoscenza è sufficiente per la conoscenza del suo effetto. Un'«azione», su questa base, è dunque definita come un avvenimento, esterno o interno a noi stessi, «di cui siamo causa adeguata, cioè [...] che può essere compreso chiaramente e distintamente per mezzo della nostra stessa natura» (E III, d2).<ref name=giancotti/> Viceversa siamo passivi quando, fuori di noi o in noi, avviene qualcosa di cui noi stessi non siamo causa adeguata. Dunque gli «affetti», generalmente intesi, derivano dall'unione delle azioni e delle passioni, e sono quindi «le affezioni del corpo con le quali la potenza di agire dello stesso corpo è aumentata o diminuita, favorita o ostacolata e, simultaneamente, le idee di queste affezioni» (E III, d3).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp.
Nella prima parte, Spinoza aveva legato la causalità all'implicazione logica sostenendo che la conoscenza della causa è condizione necessaria per la conoscenza dell'effetto; questa tesi era stata ripresa, nella parte seconda, quando l'autore aveva sostenuto che da idee adeguate conseguono sempre e necessariamente idee adeguate, e che quindi in particolare da conoscenze adeguate delle cause devono seguire conoscenze adeguate degli effetti. Ora, nell'esatta misura in cui conosciamo adeguatamente noi stessi come cause di eventi esterni o interni, noi conosciamo adeguatamente tali eventi; e quindi siamo attivi, cioè siamo cause adeguate, quando abbiamo idee adeguate. Al contrario siamo passivi quando, per spiegare gli eventi di cui siamo causa, dobbiamo fare ricorso ad agenti esterni, dei quali (in quanto sono oggetti individuali) non riusciamo ad avere idee adeguate.<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== La dinamica degli affetti ===
Il principio di finalità applicato a ogni ente, inclusi quelli inanimati, era stato enunciato da [[Leibniz]] e dalla [[Scolastica (filosofia)|Scolastica]].<ref>Leibniz affermava che ogni [[monade]] tende a un determinato fine e possiede una determinata [[Causa (filosofia)|causa]] ([[principio di ragion sufficiente]]); riprendendo il primo libro dell'{{'}}''[[Etica nicomachea]]'' e della ''[[Fisica (Aristotele)|Fisica]]'' di [[Aristotele]], la Scolastica sosteneva che l'appetizione naturale (''appetitus naturalis'') è una tendenza verso ciò che è o appare come bene, e, per chiunque lo riconosce come tale, verso il Sommo Bene infinito. Come citato in [[Sofia Vanni Rovighi]], ''Elementi di Filosofia'', 3. La Natura e l'Uomo, Biblioteca (n. 6), Scholé, 2022, p. 139.</ref>
Spinoza enuncia la legge fondamentale della condotta umana (che comunque, data l'uniformità tra l'uomo e le altre parti della natura, è valida per tutti gli enti naturali) sotto forma di una sorta di [[principio di inerzia]]:<ref>{{cita|Scribano|p. 94.}}</ref>▼
▲In modo originale, Spinoza enuncia la legge fondamentale della condotta umana (che comunque, data l'uniformità tra l'uomo e le altre parti della natura, è valida per tutti gli enti naturali) sotto forma di una sorta di [[principio di inerzia]]:<ref>{{cita|Scribano|p. 94
{{citazione|Ogni cosa, per quanto è in sé, si sforza di perseverare nel suo essere. (E III, p6)<ref name=giancotti/>}}
Questo sforzo di autoconservazione, o ''conatus'', appartiene all'intrinseca natura di tutte le cose singolari, poiché nessuna di esse contiene il principio della propria dissoluzione (pena la contraddittorietà della propria essenza) e può anzi essere distrutta solo da cause esterne. Questo ''conatus'', questa volontà di conservare o aumentare la nostra potenza di perseverare nella nostra esistenza, è il fondamento delle valutazioni morali che applichiamo alle cose: Spinoza asserisce la neutralità morale della natura, che, intesa di per sé, è dominata da una necessità assolutamente cieca e tale da porla al di là dei valori; egli ritiene tuttavia che, in virtù del nostro impulso alla sopravvivenza, noi naturalmente desideriamo ciò che favorisce la nostra conservazione e rifuggiamo ciò che la minaccia, e che quindi «noi non cerchiamo, vogliamo, appetiamo né desideriamo qualcosa perché riteniamo che sia buona; ma, al contrario, noi giudichiamo buona qualcosa perché la cerchiamo, la vogliamo, la appetiamo e la desideriamo» (E III, p9s).<ref name=giancotti/><ref name=scribano_95>{{cita|Scribano|p. 95
Inoltre, poiché continua a valere il principio della corrispondenza (pur senza reciproca causalità) tra modificazioni corporee e modificazioni del pensiero, cioè tra eventi fisici e idee, accade che a un aumento della potenza del nostro corpo (a una modificazione corporea, insomma) corrisponda un affetto (che, si ricordi, è un'idea) di gioia e che simmetricamente a una sua diminuzione corrisponda un affetto di tristezza. Ancora, chiameremo buono ciò che ci provoca gioia e che, quindi, appetiamo, e chiameremo cattivo ciò che ci provoca tristezza e che quindi fuggiamo. Gioia e tristezza costituiscono gli affetti principali tra i quali l'uomo si muove.<ref name=scribano_95/>
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[[File:Spinoza Ethica Pars1 Prop1.jpg|thumb|Due pagine della prima parte del testo originale dell{{'}}''Ethica'']]
La consapevolezza, accanto alla gioia o alla tristezza, degli oggetti che ne sono la causa genera due nuovi affetti, rispettivamente l'amore (che quindi proviamo nei confronti di ciò che ci provoca gioia) e l'odio (che proviamo verso ciò che ci rattrista).<ref>{{cita|Scribano|p. 96
La dinamica generale delle emozioni riguarda, in gran parte, la composizione (per associazione, riflessione o imitazione) dei singoli affetti. L'associazione degli affetti funziona in modo analogo all'associazione di idee descritta nella seconda parte: di fronte a cose, persone o circostanze simili a cose, persone o circostanze che in passato ci hanno provocato una certa emozione, tenderemo a provare di nuovo un'emozione simile; se una cosa, persona o circostanza nuova ci si presenta insieme a una cosa, persona o circostanza che in passato ci ha provocato una certa emozione, tenderemo a provare verso la novità un'emozione simile.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Spinoza aggiunge il principio di imitazione degli affetti, che riguarda i nostri affetti verso coloro ai quali non siamo affettivamente legati. Egli afferma che, nella misura in cui siamo simili a una persona, tendiamo a essere affetti nello stesso modo in cui è affetta quella persona: «Se immaginiamo che una cosa a noi simile, e verso la quale non abbiamo nutrito nessun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò stesso veniamo affetti da un affetto simile» (E III, p27).<ref name=giancotti/> In ragione di questa [[empatia]], tendiamo a rallegrarci della gioia dei nostri simili (tra i quali Spinoza include tutti gli uomini, ma non, per esempio, gli animali) e a compatire la loro tristezza, anche se non siamo legati a essi da rapporti di amore od odio; siamo quindi portati a venire in aiuto di chi soffre, poiché il modo migliore di limitare la tristezza che proviamo nel veder soffrire qualcuno è far cessare questa sua tristezza (il fatto che la tristezza di qualcuno provochi in noi tristezza non può far sì che noi lo odiamo, dal momento che se lo odiassimo la sua tristezza non ci provocherebbe tristezza, bensì gioia, il che è contraddittorio; peraltro la gioia per la tristezza di chi odiamo, che è ad esempio tipica degli [[Invidia|invidiosi]], è sempre inquinata dall'empatia che ci porta a soffrire con chi soffre).<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== Affetti attivi ===
Nelle ultime due proposizioni della terza parte l'autore, che finora si è occupato di un'analisi dei soli affetti passivi, si concentra sugli affetti attivi.
Spinoza riprende l'affermazione, enunciata nella seconda parte, che la conoscenza adeguata rende possibile la nostra attività, e aggiunge ora che la conoscenza adeguata comporta un affetto di gioia; la conoscenza adeguata infatti, dal momento che non dipende da altro oltre che dalla mente che la concepisce (la quale ha un'idea adeguata quando ha un'idea identica alla corrispondente idea che è in Dio), implica da parte della mente la contemplazione di sé stessa; questa contemplazione di sé a sua volta è resa possibile dal venir meno dei condizionamenti delle forze esterne, il che segnala un aumento della potenza della mente. La conoscenza adeguata e la nostra attività, in altre parole, vanno di pari passo con l'aumento della nostra potenza di agire e sono quindi accompagnate da gioia. Al contrario, la tristezza è dovuta a una diminuzione della nostra potenza, e si caratterizza quindi per un prevalere delle cause esterne rispetto alle quali siamo passivi.<ref>{{cita|Scribano|p. 109
D'altro canto, se tutti gli affetti attivi provocano gioia, non tutta la gioia è provocata da affetti attivi: sono possibili anche gioie causate da aumenti parziali, disarmonici e temporanei della nostra potenza di agire, i quali a lungo andare determinano uno squilibrio e provocano una diminuzione della nostra potenza globale, che porta con sé tristezza. «La mente sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse, si sforza di perseverare nel suo essere» (E III, p58d);<ref name=giancotti/> tuttavia solo in quanto ha idee adeguate riesce a essere attiva e ad aumentare quindi sistematicamente la sua potenza, mentre in quanto ha idee inadeguate potrà sì aumentare fortuitamente, parzialmente e a breve termine la sua potenza, ma finirà per essere soverchiata dalle cause esterne.<ref>{{cita|Scribano|pp.
== Parte quarta: della schiavitù umana, ossia delle forze degli affetti ==
La quarta parte introduce alla morale di Spinoza. Rispetto al punto di vista descrittivo che l'autore aveva conservato fino alla terza parte inclusa, ora viene generalizzata la considerazione [[Assiologia|valoriale]] che in precedenza era stata solo accennata con la spiegazione di come nascono le nozioni di buono e cattivo.<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== Bene e male, potenza e impotenza ===
La quarta parte entra nel vivo con le definizioni dei concetti di bene e male: «Per bene intenderò ciò che sappiamo con certezza che ci è utile» (E IV, d1)<ref name=giancotti/> e «per male invece ciò che sappiamo con certezza che ci impedisce di impadronirci di un certo bene» (E IV, d2).<ref name=giancotti/> Inoltre, egli scrive, «per virtù e potenza intendo la stessa cosa, cioè la virtù, in quanto si riferisce all'uomo, è la stessa essenza dell'uomo, ossia la sua natura in quanto ha la capacità di fare certe cose che possono essere comprese mediante le sole leggi della sua natura» (E IV, d8);<ref name=giancotti/> qui Spinoza si richiama alla terza parte (dove aveva sostenuto che «la forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro che la sua attuale essenza», E III, p7)<ref name=giancotti/> per sostenere che la capacità dell'uomo di essere causa adeguata delle sue azioni coincide con il suo essere attivo, cioè con l'aumento della sua potenza di agire rispetto agli agenti esterni, cioè ancora con la sua irriducibile tendenza a conservarsi, e quindi, infine, con la sua virtù, dove il bene e ciò che è utile alla propria conservazione convergono.<ref>{{cita|Scribano|pp.
=== Potenza e limiti della ragione nella motivazione morale ===
Avendo sostenuto che la virtù da perseguire è, per l'uomo, ciò che la sua stessa essenza lo spinge a perseguire, vale a dire ciò che risulta utile all'autoconservazione, resta da capire come la conoscenza adeguata del vero utile da parte della ragione possa tradursi nell'azione pratica con cui l'uomo lo persegue. Spinoza introduce qui il principio per cui ciò che può contrastare un affetto è unicamente un altro affetto, principio con il quale la sua posizione etica viene a trovarsi in un originale punto intermedio tra razionalismo e sentimentalismo.<ref>{{cita|Scribano|pp. 117, 130.}}</ref>
«Un affetto non può né essere ostacolato, né essere tolto se non per mezzo di un affetto contrario e più forte» (E IV, p7).<ref name=giancotti/> La conoscenza del vero utile non basta, di per sé sola, a determinare un uomo a muoversi in vista di esso; al contrario, affinché la considerazione razionale che porta a ritenere veramente utile una cosa si traduca in un'azione volta a perseguire quella cosa è necessario che essa sia accompagnata da un affetto, grazie al quale può nascere il desiderio che effettivamente porta l'uomo ad agire. Ma questo è possibile: «La conoscenza del bene e del male non è altro che l'affetto della gioia o della tristezza in quanto ne siamo consapevoli» (E IV, p8)<ref name=giancotti/> e «dalla vera conoscenza del bene e del male, in quanto questa è un affetto, nasce necessariamente una cupidità, che è tanto maggiore quanto maggiore è l'effetto dal quale trae origine» (E IV, p15).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp.
La ragione, con le sue idee adeguate, può dunque motivare l'uomo ad agire, benché questo richieda l'intervento degli affetti di cupidità che naturalmente accompagnano la conoscenza del proprio utile, e che sono ciò che davvero mette in moto l'azione.<ref>{{cita|Scribano|p. 119
=== Adeguatezza e inadeguatezza nelle società umane ===
Le considerazioni esposte fin qui consentono di identificare ciò che è davvero buono alla luce di ciò che la ragione indica come veramente utile. Secondo Spinoza una delle cose utili, e quindi buone, per l'uomo è l'unione con altri uomini, vale a dire la [[Società (sociologia)|società]].
Spinoza inizia a chiarire che le cose che sono completamente diverse da noi ci sono completamente indifferenti, e che viceversa possiamo trarre utilità o danno dalle cose solo in quanto abbiamo con esse qualcosa in comune; in particolare ci sono utili le cose che concordano con la nostra natura e dannose quelle che sono contrarie alla nostra natura. Ora gli uomini, che ovviamente hanno qualcosa in comune con gli altri uomini, tendono a non concordare tra di loro quando hanno idee inadeguate e sono soggetti alle passioni, e possono dunque essere pericolosi gli uni per gli altri; gli uomini viceversa concordano sempre e necessariamente quando hanno idee adeguate, perché «quel che, secondo il dettame della ragione, giudichiamo buono o cattivo è necessariamente buono o cattivo: gli uomini, dunque, in quanto vivono secondo la guida della ragione, in tanto soltanto fanno necessariamente quelle cose che sono necessariamente buone per la natura umana [...] e cioè quelle cose che concordano con la natura di ogni uomo» (E IV, p35).<ref name=giancotti/> Gli uomini delle passioni possono, in realtà, concordare ed essere di reciproca utilità, ma questo loro accordo resta fortuito ed effimero, perché il giudizio sul bene e sul male determinato dall'immaginazione è sostanzialmente idiosincratico; nella misura in cui gli uomini si conducono secondo ragione, invece, essi sono di somma utilità l'uno per l'altro e lo sono in modo necessario e duraturo, perché il giudizio sul bene e sul male determinato dalla ragione è universale rispetto agli uomini. Inoltre il bene che gli uomini razionali desiderano per sé è la comprensione, che non è un bene competitivo; anzi ognuno, poiché trae vantaggio dalla razionalità degli altri uomini, desidererà il bene (cioè la comprensione, cioè la razionalità) anche per gli altri.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Gli uomini razionali dunque traggono il massimo vantaggio dalla loro unione. Tuttavia anche gli uomini dominati dall'immaginazione constatano, a qualche punto della loro evoluzione, che «con il reciproco aiuto possono molto più facilmente procurarsi le cose di cui hanno bisogno e che solo unendo le forze possono evitare i pericoli che incombono da tutte le parti» (E IV, p35s).<ref name=giancotti/> Spinoza fa sua l'idea che l'uomo sia un animale sociale. Tuttavia la convivenza degli uomini dominati dall'immaginazione è resa complicata dalle loro idiosincrasie: «Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; [...] se gli uomini vivessero secondo la guida della ragione, ognuno godrebbe di questo suo diritto senza alcun danno per l'altro. Ma, poiché sono soggetti agli affetti, che superano di gran lunga la potenza, ossia la virtù umana, per cui sono spesso trascinati in diverse direzioni, e sono l'uno all'altro contrarii, allora hanno bisogno di mutuo aiuto. Per vivere dunque nella concordia e potere essere a vicenda di aiuto, è necessario che gli uomini rinuncino al proprio diritto naturale e assicurino l'uno all'altro che non faranno nulla che possa mutarsi in danno per l'altro» (E IV, p37s2).<ref name=giancotti/> È questo il fondamento dello [[Stato]], un organismo in seno al quale vengono stabiliti convenzionalmente dei criteri di condotta che preservano l'utilità di tutti, e che vengono fatti rispettare grazie alla paura delle pene stabilite per la violazione delle leggi (che a loro volta possono essere applicate grazie alla potenza dello Stato stesso, che supera di molto quella di ogni singolo individuo). Tali punizioni non implicano il riconoscimento negli individui di una libertà di agire che, per il determinismo di Spinoza, è e rimane inconcepibile: esse semplicemente servono allo Stato per difendersi da chi mette in pericolo i suoi membri, e dunque le nozioni di merito e colpa, prive di alcun fondamento naturale, sono determinate solo dall'aderenza o dalla contrarietà di certe azioni alle leggi, senza che in ciò sia implicita l'idea che il colpevole o il meritevole avrebbero potuto agire diversamente da come hanno agito. Comunque, lo Stato è anche il luogo privilegiato dove la convivenza degli uomini può portare a una loro crescita collettiva verso la razionalità (è d'altronde proprio questo ruolo educativo che Spinoza si attribuiva scrivendo l{{'}}''Etica'').<ref>{{cita|Scribano|pp.
C'è una notevole distanza, in Spinoza, tra legalità e moralità. Le leggi che prescrivono la condotta degli uomini nello Stato sono artificiali, e separano l'azione meritevole o colpevole dal suo premio o punizione. Le leggi della moralità sono invece intrinseche alla stessa natura umana, con il suo ''conatus sese conservandi''
=== L'uomo libero e Dio ===
Se un uomo potesse non avere che idee adeguate, allora tutta la sua condotta sarebbe interamente comprensibile in virtù della sua sola essenza; egli sarebbe completamente attivo e determinato solo da sé stesso, e sarebbe dunque libero secondo la definizione di libertà data nella prima parte. Con ciò, egli si renderebbe uguale a Dio. Questo però, come abbiamo già visto, è una sorta di ideale regolativo praticamente irraggiungibile, dal momento che la finitezza dell'uomo implica che in lui permangano sempre un certo numero di nozioni inadeguate.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Comunque, il fatto che l'uomo razionale possieda alcune idee adeguate (e che si collochi così tra gli estremi opposti dell'uomo completamente dominato dalle idee inadeguate e Dio che ha solo idee adeguate) basta già a rasserenarlo nella consapevolezza delle difficoltà dell'universo morale in cui si muove e dell'irraggiungibilità della perfezione assoluta.<ref>{{cita|Scribano|p. 135
== Parte quinta: della potenza dell'intelletto, ossia della libertà umana ==
La quinta e ultima parte dell{{'}}''Etica'' «tratta del modo, ossia della via che conduce alla libertà. In questa parte dunque – scrive Spinoza – tratterò della potenza della ragione, mostrando che cosa la stessa ragione possa sugli affetti e cosa sia la libertà della mente, ossia la beatitudine, onde vedremo quanto il sapiente sia più potente dell'ignorante» (E V, prefazione).<ref name=giancotti/> Si è già visto che secondo Spinoza è impossibile che l'uomo (almeno fintantoché permane nella dimensione della durata) si liberi di tutte le sue idee inadeguate, e che tuttavia egli può avere accesso ad alcune idee adeguate che determinano la sua attività, e non passività, rispetto alle cause esterne; rimanendo all'interno della logica del «parallelismo» per cui a eventi fisici corrispondono eventi mentali e viceversa, e dopo aver evidenziato i limiti che la ragione incontra nel tentativo di liberare l'uomo dalle passioni, l'autore passa a considerare come la mente possa, grazie alla sua sola potenza, avvicinare l'uomo alla beatitudine: «poiché, dunque, come ho dimostrato sopra, la potenza della mente è definita dalla sola intelligenza, determineremo in base alla sola conoscenza della mente i rimedi degli affetti che credo tutti esperiscono, ma non osservano accuratamente né vedono distintamente e dalla sola conoscenza della mente dedurremo tutte quelle cose che riguardano la sua beatitudine» (E V, prefazione).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp.
=== La mente nel tempo ===
La prima metà della quinta parte si pone dalla prospettiva della mente in quanto è idea del corpo nel tempo, e tratta dei rimedi che possono essere usati per minimizzare gli effetti negativi delle passioni. In primo luogo, la conoscenza degli affetti è un fattore che limita la loro pericolosità: avere conoscenza adeguata di un affetto, il che è possibile nella misura in cui quell'affetto è determinato in noi da proprietà comuni a noi e ai corpi esterni, implica già il fatto di renderci attivi nei suoi confronti e, inoltre, di separare l'affetto nella sua generalità dalla causa particolare dell'affetto particolare, venendone quindi turbati in misura minore. In secondo luogo, Spinoza prende in considerazione il fattore tempo: se è vero che le conoscenze adeguate, e quindi generali, della ragione determinano affetti buoni che tendono a essere facilmente sopraffatti dagli affetti cattivi quando questi ultimi sono presenti e concreti, è vero anche che in assenza di ciò che potrebbe determinare un affetto cattivo gli affetti buoni determinati dai precetti della ragione riescono a prevalere; quindi possiamo educare noi stessi a tali precetti della ragione quando siamo meno pressati dalle cause esterne, in modo da coltivare i nostri affetti buoni e da poterli contrapporre con più efficacia a quelli cattivi quando questi, infine, si presentano. In terzo luogo, Spinoza evidenzia che la consapevolezza della necessità di tutte le cose può moderare le passioni che esse determinano in noi: «la tristezza per la perdita di un qualche bene viene mitigata, nel momento che l'uomo che lo ha perso considera che quel bene non avrebbe potuto essere conservato in alcun modo» (E V, p6s).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp.
Più in generale, secondo Spinoza la conoscenza adeguata porta sempre con sé un aumento della nostra capacità di essere attivi e, quindi, è accompagnata da un affetto di gioia. Avere conoscenze adeguate significa avere nella nostra mente, in quanto in essa si esprime l'essenza di Dio, idee che sono uguali alle idee che si trovano in Dio stesso, al di là del tempo; perciò, avere conoscenze adeguate significa sempre avere una conoscenza di Dio, anche se mai esaustiva. Ogni conoscenza adeguata, che in quanto tale provoca gioia, è dunque accompagnata dalla consapevolezza della sua causa, che è Dio, e quindi comporta amore nei suoi confronti. L'[[Amor di Dio|amore di Dio]] è, per Spinoza, un sentimento sommamente positivo, che ci aiuta in misura non trascurabile a far fronte alle passioni. Esso tuttavia comporta implicazioni ancora più radicali quando lo si consideri non in relazione al tempo e al corpo esistente nella durata, bensì dal punto di vista della mente in quanto è l'idea eterna dell'essenza del corpo.<ref name=Scrib148-150>{{cita|Scribano|pp.
=== La mente fuori dal tempo ===
La seconda metà della quinta parte si pone dalla prospettiva della mente in quanto corrisponde non al corpo esistente in atto, ma all'idea dell'essenza del corpo ''sub specie aeternitatis'': dal primo di questi due punti di vista la mente ha una durata finita, esattamente come il corpo al quale corrisponde, e muore con la morte del corpo; dal secondo punto di vista, invece, la mente è eterna esattamente come l'essenza del corpo, poiché l'una e l'altra esistono ''sub specie aeternitatis'' in Dio (rispettivamente nel pensiero e nell'estensione). Mentre le facoltà proprie della mente in quanto si colloca nella durata (la memoria, la sensibilità, l'immaginazione) si dissolvono al momento della morte, le facoltà proprie della mente in quanto è eterna (la ragione e l'intelletto) sono esse stesse eterne. «La parte eterna della mente è l'intelletto, per il quale soltanto si dice che noi agiamo; la parte, invece, che abbiamo mostrato che perisce è la stessa immaginazione, per la quale soltanto si dice che siamo passivi» (E V, p40c).<ref name=giancotti/><ref name=Scrib148-150/>
Il fatto che la memoria faccia capo alla parte della mente che è destinata a morire significa, in primo luogo, che non dobbiamo aspettarci di trovare nella memoria la testimonianza dell'eternità di una parte della nostra mente e, in secondo luogo, che la parte eterna della mente non può ricordare le vicende che essa ha vissuto nel tempo: l'«idea che esprime l'essenza del corpo sotto una specie di eternità è un certo modo del pensare, che appartiene all'essenza della mente e che è necessariamente eterno. Né, tuttavia, può accadere che ci ricordiamo di essere esistiti prima del corpo, poiché non è possibile che nel corpo se ne dia alcun vestigio, né l'eternità può essere definita dal tempo, né può avere alcuna relazione al tempo» (E V, p23s).<ref name=giancotti/> Tuttavia la parte eterna della mente non è solo l'idea che in Dio rappresenta la mente umana: in questo senso infatti tutte le idee delle essenze delle cose individuali che si trovano in Dio sono eterne e ciò che permane al di là del tempo è lo stesso intelletto infinito di Dio; alla mente umana che esiste ''sub specie aeternitatis'', invece, continua a corrispondere l'unità di coscienza che corrispondeva già, nel tempo, a un ben preciso [[Io (filosofia)|io]] individuale. Spinoza sostiene insomma l'eternità delle coscienze personali, e non solo di un intelletto universale.<ref name=scribano_152-156>{{cita|Scribano|pp.
Ciò che egli afferma è che la mente umana, nella durata, fa esperienza dell'eternità di sé stessa, o almeno di una sua parte, nell'esatta misura in cui ha conoscenze adeguate (conoscenze cioè, come si era detto fin dalla seconda parte, che non dipendono dal tempo e che sono accessibili alla mente proprio in quanto una sua parte si colloca al di là del tempo). «Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni. Infatti la mente non sente meno le cose che concepisce con l'intelletto, che quelle che ha nella memoria. Infatti, gli occhi della mente con i quali vede le cose e le osserva, sono le stesse dimostrazioni» (E V, p23s).<ref name=giancotti/> La conoscenza adeguata, insomma, ci rende manifesta la nostra appartenenza anche a un ordine intemporale, cioè eterno; e la parte di noi che, nel tempo, è divenuta cosciente di questa sua intemporalità proprio per il fatto di aver avuto accesso a conoscenze eterne, la parte di noi cioè che si è esercitata nella dimensione eterna, permarrà in tale dimensione che le è propria.<ref name=scribano_152-156/>
La conoscenza adeguata a cui la mente accede in quanto si esercita al di là del tempo appartiene al secondo e al terzo genere, secondo la classificazione dei tipi di conoscenza proposta nella seconda parte. Il terzo genere, in particolare, «procede dall'idea adeguata dell'essenza formale di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell'essenza delle cose» (E II, p40s2);<ref name=giancotti/> ci mette a disposizione insomma idee adeguate di cose individuali e lo fa inoltre in modo intuitivo, laddove la conoscenza di secondo genere ci metteva a disposizione idee generali con un andamento discorsivo. Un esempio di conoscenza di terzo genere è la conoscenza che la mente ha di sé stessa a partire dalla conoscenza che ha di Dio: «Poiché l'essenza della nostra mente consiste nella sola conoscenza, di cui Dio è principio e fondamento, diventa per noi perspicuo in qual modo e per quale ragione la nostra mente, secondo l'essenza e l'esistenza, segua dalla natura divina e continuamente dipenda da Dio» (E V, p36s).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp.
Ora, questo terzo genere di conoscenza è superiore al secondo, che pure è comunque fonte di idee adeguate, per il fatto di riguardare le cose individuali e di essere di tipo intuitivo; alla luce del fatto, già visto, che la conoscenza determina la somma potenza di agire dell'uomo e anche la sua somma gioia, cioè la sua somma virtù, risulta quindi che «il supremo sforzo della mente e la sua somma virtù consistono nel conoscere le cose secondo il terzo genere di conoscenza» (E V, p25).<ref name=giancotti/>
In definitiva, della mente di ogni uomo si conserva solo la parte che si è esercitata nella dimensione eterna, mentre quella che appartiene alla durata perisce. La consistenza della parte eterna rispetto a quella destinata a dissolversi dipende dalla consistenza, nella mente, delle idee adeguate rispetto a quelle inadeguate: «Quante più cose la mente conosce con il secondo e il terzo genere di conoscenza, tanto maggiore è la parte di essa che rimane illesa» (E V, p38d).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 155
=== Amore intellettuale di Dio e beatitudine umana ===
Spinoza è prossimo a delineare la teoria della beatitudine umana che costituisce l'obiettivo che ha animato la stesura dell{{'}}''Etica'' stessa.
Come si è già visto, la conoscenza di terzo genere dipende dalla mente in quanto è eterna, e l'eternità della mente dipende dalla sua appartenenza alla dimensione intemporale di Dio. Perciò «qualunque cosa conosciamo con il terzo genere di conoscenza, ne traiamo diletto in concomitanza con l'idea di Dio come causa» (E V, p32).<ref name=giancotti/> Ma la gioia accompagnata dall'idea della sua causa, per definizione, non è altro che l'amore, e quindi «dal terzo genere di conoscenza nasce necessariamente l'amore intellettuale di Dio» (E V, p32s)<ref name=giancotti/> (dove «intellettuale» significa semplicemente che è un amore riferito alla parte eterna della mente, cioè appunto all'intelletto).<ref>{{cita|Scribano|p. 158
Dio poi, in quanto comprende nel suo intelletto la totalità infinita delle idee, ha una perfetta conoscenza di sé; inoltre, benché (essendo la sua potenza infinita) non gli si possa attribuire la gioia (che per definizione deriva da un aumento di potenza), egli gode di un'assoluta perfezione che determina la sua beatitudine. Pertanto egli è beato con la consapevolezza della causa della sua beatitudine, che è lui stesso, e di conseguenza «Dio ama
«Dalle cose dette comprendiamo chiaramente, in che cosa consiste la nostra salvezza, ossia beatitudine, ossia libertà, e cioè nel costante e eterno amore verso Dio, ossia nell'amore di Dio verso gli uomini» (E V, p36s).<ref name=giancotti/> In quanto la mente conosce Dio nella sua dimensione eterna, in tanto essa è parte di Dio stesso: essa cioè, pur senza perdere la sua finitezza, ha idee che sono le stesse idee che ha Dio; ha solo idee adeguate, benché non ne abbia un'infinità; e quindi è libera come è libero Dio, pur essendo molto meno potente.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Questa è la beatitudine a cui aspira il saggio, nella quale egli trova contemporaneamente il massimo della sua felicità e il massimo della sua potenza; l'uomo non ricerca la virtù per altra ragione che per via del suo ''conatus'' all'autoconservazione e per la gioia che è provocata dall'aumento della sua potenza; cosicché infine «la beatitudine non è premio alla virtù, ma è la virtù stessa» (E V, p42).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 162
== Fortuna dell'opera ==
[[File:Spinoza's seal "Caute".svg|thumb|upright|Il sigillo personale che Spinoza apponeva in calce alle sue lettere, con il motto ''Caute'' («cautamente», «con prudenza» in latino)
Spinoza venne considerato come un pensatore [[Eterodossia|eterodosso]], o addirittura eversivo, già dall'epoca della pubblicazione del ''Trattato teologico-politico'', se non prima.<ref name=scribano_5/> Le prime reazioni suscitate dall{{'}}''Etica'' negli anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione non invertirono la tendenza: esse anzi andavano perlopiù nella direzione di accusare Spinoza di essere un [[ateo]]. Soprattutto il contenuto della prima parte, con la negazione di alcune proprietà fondamentali del Dio delle concezioni tradizionali (come la provvidenza, la bontà, la libertà della volontà), era alla base di queste accuse. Addirittura, l'importanza dell'influenza di [[Cartesio]] su Spinoza e la ripresa da parte di [[Nicolas Malebranche|Malebranche]] di alcune categorie spinoziane fecero sì che questi due filosofi, insieme ad altri, fossero associati a Spinoza stesso nell'accusa di ateismo. [[Gottfried Wilhelm von Leibniz|Leibniz]] studiò approfonditamente Spinoza, dal quale tentò di distaccarsi pur adottando alcuni punti di vista simili ai suoi, per esempio a proposito del determinismo.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Negli ultimi decenni del [[XVII secolo]] l{{'}}''Etica'' fu oggetto di numerosi testi mossi dall'esplicita volontà di confutare le tesi di Spinoza, gli autori dei quali tuttavia, in alcuni casi, finivano per abbracciare alcuni punti della metafisica spinoziana, non ultimo il necessitarismo. L'opera ebbe poi una certa fortuna negli ambienti eterodossi legati al [[libertinismo]], critici nei confronti delle concezioni provvidenzialiste di Dio e scettici rispetto all'esistenza di valori morali assoluti. Una lettura aspramente critica dell{{'}}''Etica'' fu quella esposta da [[Pierre Bayle]] nella voce dedicata a Spinoza del suo ''Dizionario storico-critico'' (''Dictionnaire historique et critique''), pubblicato nel
[[File:Benedictus de Spinoza cover portrait.jpg|left|upright|thumb|Copertina di un'opera di Spinoza con il suo ritratto e l'iscrizione in latino: «Benedictus de Spinoza, iudaeus et atheista»]]
Nel [[XVIII secolo]] si ebbero, sia in [[Francia]] sia in [[Germania]], numerose prese di posizione critiche o apologetiche nei confronti di Spinoza. In [[Italia]] un giudizio [[antispinozismo|antispinozista]] di parte [[Cattolicesimo|cattolica]] fu espresso dall'ecclesiastico letterato [[Giovanni Cristoforo Battelli]] nella sua «censura ecclesiastica» del
▲Nel [[XVIII secolo]] si ebbero, sia in [[Francia]] sia in [[Germania]], numerose prese di posizione critiche o apologetiche nei confronti di Spinoza. In [[Italia]] un giudizio [[antispinozismo|antispinozista]] di parte [[Cattolicesimo|cattolica]] fu espresso dall'ecclesiastico letterato [[Giovanni Cristoforo Battelli]] nella sua «censura ecclesiastica» del [[1707]].<ref name=carella>{{cita libro |url=http://w3.uniroma1.it/episteme/file/Dispense20120928_CarellaAetasGalileana.pdf |altri=a cura di Candida Carella |capitolo=L'aetas galileiana in ‘sapienza’ |titolo=Atti del convegno "Galileo e l'acqua: guardare il Cielo per capire la terra", Roma 17-18 dicembre 2009 |città=Perugia |anno=2010 |pp=47-81, in part. pp. 53-54 |accesso=25 novembre 2013 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131202225549/http://w3.uniroma1.it/episteme/file/Dispense20120928_CarellaAetasGalileana.pdf |dataarchivio=2 dicembre 2013 }}</ref> L'arcivescovo Battelli si riferiva a un testo del teologo protestante Christian Kortholt che nel titolo ''De tribus impostoribus magnis liber'' ([[1701]]) riprendeva quello del mitico ''[[De tribus impostoribus]]'' di tradizione medioevale,<ref>{{cita libro|url=http://books.google.it/books?id=u_5bAAAAQAAJ&dq=De+tribus+impostoribus+magni+liber&hl=it&source=gbs_navlinks_s |autore=Christian Kortholt |titolo=De tribus impostoribus magnis liber |editore=J. Reumannus |anno=1680 |accesso=25 novembre 2013}}</ref> ma indicava come empi non più [[Gesù]], [[Mosè]] e [[Maometto]], ma i tre filosofi moderni [[Edward Herbert di Cherbury]], [[Thomas Hobbes]] e Spinoza.
{{Citazione|Benedetto Spinoza [...] pubblicò molti perniciosissimi libelli nei quali si manifesta più dannoso e più empio di Herbert e di Hobbes. Fa infatti apertamente professione di ateismo e lo insegna. Nega apertamente e irride l'esistenza di Dio e la provvidenza. Nega l'esistenza degli angeli, del diavolo, del paradiso e dell'inferno [...] ritiene che tutto finisca con la stessa vita e che dopo di essa vi sia il nulla. Con pari empietà nega la resurrezione e ascensione al cielo di Cristo. Dice che i profeti [...] scrissero una serie di assurdità [...] e che nelle Sacre Scritture, giunte a noi non integralmente, vi siano molte cose false, fantasiose e contraddittorie [...]; afferma che lo spirito di Cristo sia presente anche presso i Turchi [...] sostiene che al solo potere civile spetti stabilire ciò che è giusto, ingiusto, pio o empio [...]|ACDF, Index, Protocolli, V3, cc. 507 r.-512 v.: 507 r. - v.<ref name=carella/>}}
Battelli concordava dunque con Kortholt nel ritenere il più empio (''deterior et magis impius'') dei tre proprio Spinoza che assieme a [[Lucrezio]], a Hobbes e ai libertini continuerà ad avere fama di assertore di tesi atee nel ''Traité de trois imposteurs'' (altresì noto come ''La Vie et l'esprit de M. Benoit de Spinoza'') di Jean Lucas, pubblicato nel
L'[[Illuminismo]] francese, pur lontano da un interesse per la metafisica come Spinoza l'aveva intesa, si riconobbe (con pensatori come [[Julien Offray de La Mettrie|La Mettrie]], [[Paul Henri Thiry d'Holbach|d'Holbach]] e [[Denis Diderot|Diderot]]) nelle sue teorie razionaliste e deterministe, attribuendogli anche posizioni materialiste.<ref>{{cita libro|autore=Marco Ravera |titolo=Invito al pensiero di Spinoza |editore=Mursia |città=Milano |anno=1987 |pp=201-202 }}</ref> In Germania, in seguito alla ripresa di un testo anti-spinoziano di [[Christian Wolff|Wolff]] da parte di [[Moses Mendelssohn|Mendelssohn]], che era incline a una certa apertura nei confronti delle tesi dell{{'}}''Etica'', si aprì una controversia tra quest'ultimo e [[Friedrich Heinrich Jacobi|Jacobi]] sullo spinozismo di [[Gotthold Ephraim Lessing|Lessing]]; questa determinò una riapertura della discussione sullo spinozismo, sullo sfondo dell'Illuminismo e di un incipiente [[Romanticismo]], la quale a sua volta finì per interessare anche [[Johann Gottfried Herder|Herder]] e, in modo meno diretto, [[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]] e [[Immanuel Kant|Kant]].<ref>{{cita|Scribano|pp.
Sia [[Johann Gottlieb Fichte|Fichte]] sia [[Friedrich Schelling|Schelling]], poco più tardi, ebbero Spinoza tra i loro punti di riferimento, pur modificando in modo sostanziale alcuni contenuti della sua metafisica nell'adattarli alle proprie idee. Spinoza fu una figura importante anche per [[Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]]; questi si schierò in sua difesa contro le accuse di ateismo che gli erano state rivolte, affermando che egli, lungi dal negare Dio, aveva piuttosto sostenuto che esiste ''solo'' Dio, e aveva dunque negato l'effettiva realtà del [[cosmo]]; il suo era dunque, per Hegel, non un ateismo ma un [[acosmismo]], in cui solo Dio (cioè la sostanza con i suoi attributi) ha una realtà affermativa e la natura (cioè l'insieme dei modi, finiti e infiniti) è una determinazione, cioè negazione, di Dio, e non ha quindi un'esistenza autonoma;<ref>{{en}} {{cita libro|titolo=Hegel's Philosophy of Religion |autore=Raymond Keith Williamson |editore=State University of New York Press |città=Albany |anno=1984 |isbn=0-87395-827-6 |pp=237 e segg |url=http://books.google.it/books?id=CvWN_1APPXEC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false |accesso=22 ottobre 2013 }}</ref> Hegel dunque, che pure considerò lo spinozismo il necessario esordio di ogni filosofia, rimproverò a Spinoza il fatto di non aver trovato una [[dialettica]] capace di superare i due momenti dell'affermazione e della negazione e di non aver saputo, quindi, garantire l'autonomia (e dinamicità) del finito rispetto all'infinità (statica) della sostanza divina.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Il necessitarismo e immanentismo di Spinoza, interpretati come [[materialismo]], portarono [[Ludwig Feuerbach|Feuerbach]] e poi [[Friedrich Engels|Engels]] a vedere in lui un precursore delle proprie tesi. L{{'}}''Etica'' fu studiata e apprezzata anche da [[Schopenhauer]], mentre [[Nietzsche]] considerò alcuni dei punti della filosofia di Spinoza (la negazione del libero arbitrio, del finalismo, dell'ordinamento assiologico della natura, del male e di ogni principio non egoistico dell'azione umana) come altrettante acquisizioni di fondamentale importanza.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Di là dalla metafisica e dell'anomala teologia di Spinoza, cioè di là dal primo libro dell{{'}}''Etica'', la teoria spinoziana della conoscenza fu studiata e apprezzata dagli [[Empirismo|empiristi]] del Settecento, e in particolare da [[John Locke|Locke]] e [[David Hume|Hume]]; quest'ultimo riprese inoltre la teoria di Spinoza sul ruolo delle passioni nel motivare gli uomini ad agire secondo quanto la ragione determina come utile e anche la sua teoria dell'imitazione degli affetti, che spiega l'empatia sulla quale, secondo Hume, riposa il senso morale.<ref>{{cita|Scribano|pp.
Tra l'Ottocento e il Novecento, anche per via della riedizione delle opere di Spinoza (e addirittura della riscoperta di una di esse, il ''Breve trattato'', nel
{{Citazione|L{{'}}''Etica'' richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a loro disposizione. Se le si concede tutto questo, in cambio offre molto di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l'enigma di questa nostra vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare.<ref>Giorgio Colli, ''Presentazione'', in {{cita libro|autore=Baruch Spinoza |titolo=Etica |città=Torino |editore=Bollati Boringhieri |anno=1992 |annooriginale=1959 |
== Note ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* ''[https://web.archive.org/web/20120111192543/http://www.ethicadb.org/index.php?lanid=4&lg=it EthicaDB]'', edizione multilingue dell{{'}}''Etica'' di Spinoza.
* ''[http://baptiste.meles.free.fr/spinozabase/index.html SpinozaBase]'', l{{'}}''Etica'' in forma di ipertesto, con informazioni sulla struttura argomentativa e statistiche.
* ''[http://ethics.spinozism.org/ Spinoza's Ethics 2.0]'', ricostruzione schematica, in forma grafica, dell{{'}}''Etica''.
* {{SEP|spinoza|Baruch Spinoza|Steven Nadler}}
* {{cita web|url=
{{Baruch Spinoza}}
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