Storia del Regno d'Italia (1861-1946): differenze tra le versioni
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[[File:Flag of Italy (1861-1946).svg|thumb|[[Bandiera d'Italia|Bandiera nazionale del Regno d'Italia dal 1861 al 1946]]]]
La '''storia del Regno d'Italia''' ha inizio nel 1861 con [[proclamazione del Regno d'Italia|la sua proclamazione]] e termina nel 1946 con la nascita della [[Repubblica Italiana]].
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Le paure di Cavour non erano ingiustificate. Se i democratici avessero conquistato Roma, avrebbero imposto la linea unitaria contro quella annessionista di marca piemontese. Non solo: essi avrebbero anche potuto – in ciò anche incontrando il desiderio di Mazzini – convocare un'[[assemblea costituente]] e imprimere all'unificazione un carattere repubblicano e federalistico. I radicali, però, non colsero l'opportunità, decidendo di non appoggiare la rivolta sociale in Sicilia. La spedizione garibaldina, al suo passaggio, era interpretata dai contadini siciliani come occasione di sovvertimento degli ordinamenti tradizionali e aveva infatti sollevato in tutta la Sicilia moti di violenza e di acquisizione delle terre, nelle forme tipiche della [[rivolta agraria]]. I radicali settentrionali, però, erano latori di un discorso essenzialmente politico, estraneo a quelle istanze sociali.<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 805}}.</ref> Pur mettendo in campo misure di alleggerimento fiscale per i più poveri, contrastarono fermamente ogni episodio di ''[[jacquerie]]'' e appoggiarono notabili, borghesi liberali e aristocratici (in tal senso, i [[fatti di Bronte]] sono l'esempio più noto di repressione contadina da parte dei garibaldini).<ref name=guarracino806>{{cita|Guarracino et al.|p. 806}}.</ref>
Il timore che la Francia o l'Austria potessero intervenire per proteggere [[papa Pio IX]] e così vanificare quanto già fatto per l'unificazione spinse Cavour ad intervenire. Con il benestare francese, l'[[esercito piemontese]] occupò Marche e Umbria. Quando Garibaldi ottenne la sua più grande vittoria ([[battaglia del Volturno]]) ai primi di ottobre del 1860, le forze sabaude intervennero nel Regno delle Due Sicilie, mentre Cavour faceva approvare una legge per annettere i nuovi territori.<ref name=villani135/><ref name="treccani.
Con la prima convocazione del [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 18 febbraio [[1861]] e la successiva proclamazione del [[Regno d'Italia]] il 17 marzo [[1861]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele di Savoia]] divenne il primo [[Re d'Italia (1861-1946)|re d'Italia]]. Diversi passaggi istituzionali destarono però sconcerto: il nuovo regno non si dotò di una propria costituzione, ma ereditò quella del Regno di Sardegna, cioè lo [[Statuto albertino]]; la nuova legislatura apertasi il 18 febbraio non fu la I, ma l'VIII, seguendo la numerazione del Regno di Sardegna; il nuovo re mantenne la numerazione dinastica dei Savoia del tempo del Regno di Sardegna, quindi Vittorio Emanuele continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II. Il tenore di questi atti è da imputare alla volontà dei liberali piemontesi di cancellare il contributo dei radicali all'avvenuta unificazione. Ciò avvenne anche attraverso lo scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], la forza armata costituita da Garibaldi tra Sicilia e Calabria a partire dai Mille originari. Tale forza armata, fu deciso, non sarebbe stata integrata nel nuovo esercito nazionale, per evitare che vi accedessero elementi democratici e repubblicani. Non solo: diversi garibaldini, negli anni successivi, rimarranno osservati speciali dalla polizia.<ref name="treccani.
=== Le condizioni dell'Italia all'unità ===
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Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], continuando nella tradizione della [[monarchia costituzionale]]. {{sf|La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò.}} Il neonato Stato si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica e di un mercato unico e, più in generale, di gestione di tutte le terre acquisite. A tutto ciò si aggiungevano altre carenze strutturali, come ad esempio l'analfabetismo, la povertà diffusa, la mancanza di infrastrutture e le gravi tensioni politiche e sociali.
[[File:The Italian Royal Family in 1867.jpg|thumb|upright=1.5|La famiglia reale italiana nel 1867]]
Il primo censimento della popolazione venne fatto tra il 31 dicembre 1861 e il 1º gennaio 1862, e costò {{formatnum:640000}} lire ({{formatnum:29.38}} lire ogni {{formatnum:1000}} abitanti). I residenti assommavano a {{formatnum:22182377}} (circa 26 milioni, se si considerano i confini attuali), mentre i presenti erano in numero inferiore ({{formatnum:405000}} di meno) per via degli emigrati temporaneamente all'estero. I maschi rappresentavano il 51%. L'età media era di 27 anni. I bambini con meno di 10 anni rappresentavano il 24% della popolazione. Ogni nucleo familiare era in media composto da 4 elementi. Il territorio considerato misurava {{formatnum:258608}} km² (nel 1951 la misura fu ricalcolata, tenendo conto delle superfici comunali corrette, con uno scarto al ribasso di circa {{formatnum:10000}} km², cioè del 4%); risultò dunque una densità di 86 abitanti per km².<ref>{{cita web|url=https://www.istat.it/it/censimenti/censimenti-precedenti|titolo=I CENSIMENTI PRECEDENTI: LA STORIA DAL 1861 FINO AI CENSIMENTI PERMANENTI|24 febbraio 2023}}</ref><ref name=treccani.demo>{{treccani|statistica-e-demografia_%28L%27Unificazione%29/|L'unificazione. Statistica e demografia|24 febbraio 2023|autore=[[Antonio Golini]]}}</ref>
Al momento dell'unificazione, circa il 70% della popolazione attiva era impegnata nell'agricoltura e dall'agricoltura derivava circa il 60% del [[prodotto nazionale lordo]]. L'industria, che incideva per circa il 20% del prodotto, impiegava circa il 20% della manodopera. Il Paese contava con solo {{M|1707|u=km}} di ferrovie (850 nell'ex Regno di Sardegna, 483 nell'ex [[Regno Lombardo-Veneto]] e 225 nell'ex [[Granducato di Toscana]]).<ref name=guarracino819>{{cita|Guarracino et al.|p. 819}}.</ref> Il reddito nazionale era pari a 1/3 di quello francese e a 1/4 di quello britannico. Circa l'80% della popolazione era analfabeta e circa il 2,5% parlava l'italiano. La gran parte della produzione era destinata all'autoconsumo. Del resto, i contadini, in genere, ricorrevano al lavoro domestico e non al mercato per ottenere i manufatti tessili o gli attrezzi agricoli di cui avevano bisogno. Il rapporto tra città e campagna era dunque assai ridotto.<ref name=guarracino819/>
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== La Destra storica (1861-1876) ==
{{Vedi anche|Destra storica}}Nei primi decenni del nuovo regno, i liberali al governo godettero di una preminenza politica incontrastata, basata su un suffragio estremamente ridotto (solo il 2% della popolazione, circa {{formatnum:600000}} persone, aveva diritto al voto). Si formarono comunque due ali del raggruppamento liberale, la [[Destra storica]] e la [[Sinistra storica]], eredi del confronto politico preunitario tra chi era di orientamento recisamente monarchico e chi era più sensibile alle istanze democratico-repubblicane. Dato il limitato suffragio, i membri delle due ali vantavano le stesse origini in termini di classe e vanno intesi come partiti "di notabilato", cioè partiti privi di un'[[ideologia]], di un programma preciso, di un'organizzazione e di un rapporto con un base.<ref name="cento40.41">{{cita|Cento Bull|pp. 40-41}}.</ref><ref name="treccani.
Le questioni che tennero banco nei primi anni dopo l'unificazione d'Italia furono la disastrosa situazione economica del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] e il brigantaggio che infestava l'area (soprattutto tra il [[1861]] e il [[1869]]): il problema divenne noto come la "[[questione meridionale]]". Ulteriore elemento di fragilità per il neonato regno italiano fu l'ostilità della [[Chiesa cattolica]] e del clero nei suoi confronti, soprattutto dopo la nascita della "[[questione romana]]". Gli orientamenti federalisti e le proposte relative alle autonomie regionali, con fautori come il democratico [[Carlo Cattaneo]] e il moderato [[Marco Minghetti]], furono messi da parte e si procedé alla cosiddetta "[[piemontesizzazione]]", cioè, secondo i suoi avversari, all'estensione di carattere accentratore dell'assolutismo piemontese a tutto il nuovo regno.<ref name="villani136">{{cita|Villani|p. 136}}.</ref> Altro punto dolente per il nuovo regno era l'incompletezza del processo unitario: il Veneto e soprattutto Roma, con tutto il Lazio, non ne facevano ancora parte. Per i democratici, la conquista di Roma rimaneva imperativa e lo stesso Cavour comprendeva l'obbligatorietà di un simile passo. Prima di morire, il 6 giugno 1861, Cavour enunciò il principio "[[Libera Chiesa in libero Stato]]".<ref name="villani136" /> Eredi politici di Cavour furono i liberali della cosiddetta "Destra storica", cioè la destra dello schieramento parlamentare. Sindaci e prefetti rappresentarono la mano operativa della volontà unificatrice di quella classe politica.<ref name="treccani.
[[File:Sinking of the italian ironclad Re d'Italia.jpg|thumb|L'affondamento della fregata ''[[Re d'Italia (pirofregata)|Re d'Italia]]'' alla [[battaglia di Lissa]], episodio delle [[Terza guerra d'indipendenza italiana]] (1866)]]
[[File:Michelina de Cesare.jpg|thumb|upright=0.8|La brigantessa [[Michelina Di Cesare]] (1841-1868)]]
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La cosiddetta "Destra storica" espresse gran parte dei governi del periodo 1861-1875. Tale ala del parlamento italiano ebbe origine dal raggruppamento del [[Parlamento del Regno di Sardegna]] del 1852, ai tempi del [[Connubio Rattazzi-Cavour]]. Alle file delle origini si erano poi aggiunte varie personalità liberali e democratiche: tra i piemontesi, l'economista [[Quintino Sella]], il militare [[Giovanni Lanza]], il conte [[Gustavo Ponza di San Martino]]; tra i lombardi, il conte [[Gabrio Casati]], il diplomatico [[Emilio Visconti Venosta]], l'economista [[Stefano Jacini]]; tra gli emiliani, il diplomatico [[Marco Minghetti]] e lo storico [[Luigi Carlo Farini]]; tra i toscani, il barone [[Bettino Ricasoli]], [[Ubaldino Peruzzi]], [[Luigi Guglielmo Cambray-Digny]]; tra i meridionali, il filologo napoletano [[Ruggiero Bonghi]], l'abruzzese [[Silvio Spaventa]], l'economista campano [[Antonio Scialoja]], il giurista pugliese [[Giuseppe Pisanelli]].<ref name=treccani.destra>{{treccani|destra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|destra storica italiana}}</ref>
La formazione culturale del gruppo era assai eterogenea, mentre omogenea era la provenienza sociale (alta borghesia terriera, alta finanza, industriali, aristocrazia imprenditrice imborghesita, liberi professionisti e intellettuali), come omogenea era l'idea di Stato e di società da costruire. Radicalmente [[liberisti]] in economia, tanto all'interno quanto verso l'estero, i rappresentanti della Destra storica intendevano difendere l'unità conquistata e ammodernare il Paese, inserendolo nell'area di libero scambio franco-inglese quale fornitore di prodotti agricoli e di semilavorati. Il centralismo amministrativo adottato fu di ispirazione francese.<ref name=treccani.destra/> A tale centralismo gli esponenti liberali si orientarono con riluttanza, innanzitutto per contrastare il brigantaggio meridionale, che rischiava di trasformarsi in una rivolta politicamente finalizzata alla restaurazione dei Borbone.<ref name=
I primi obbiettivi dei liberali della Destra storica furono il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo Stato (per il quale si scelse un modello centralista con l'estensione della normativa del Regno di Sardegna al nuovo Stato, fenomeno noto come ''[[piemontesizzazione]]'') e il risanamento finanziario, attuato mediante il [[pareggio di bilancio]] e l'introduzione di nuove tasse, che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.
Il primo governo dopo la morte di Cavour fu il [[Governo Ricasoli I]], che cercò invano di far accettare alla Chiesa la linea cavouriana di libera Chiesa in libero Stato.<ref name="treccani.
Il 29 agosto 1862, si consumò la cosiddetta "[[Giornata dell'Aspromonte]]": l'esercito regio si scontrò con i volontari garibaldini per impedire a Garibaldi di marciare verso Roma, da cui l'Eroe dei due mondi intendeva scacciare Pio IX.<ref name=treccani.destra/> L'evento determinò la crisi del [[Governo Rattazzi I]], che pensava di approfittare delle iniziative di Garibaldi senza compromettere l'esecutivo.<ref name="treccani.
Il [[Governo Minghetti I]] concertò con la [[Secondo Impero francese|Francia]] la cosiddetta "[[Convenzione di settembre]]": il Regno d'Italia si impegnava ad assicurare l'integrità dello [[Stato Pontificio]]; la Francia si impegnava, dal canto suo, a ritirare le truppe poste a difesa del Pontefice entro due anni. Napoleone III chiese che la capitale venisse spostata da Torino ad altra sede, come segno della rinuncia italiana a Roma. Fu così che si ebbe per 6 anni [[Firenze capitale]] (1865-1871).<ref name="treccani.
La questione del [[Brigantaggio postunitario italiano|brigantaggio meridionale]] fu strumentalizzata da legittimisti borbonici e clericali. Il nuovo regno affrontò la questione con una durissima repressione. Nel 1863 erano impegnati su tale fronte {{formatnum:120000}} soldati, metà dell'intero [[Regio Esercito]]. Il conflitto poté dirsi concluso nel 1865, ma le rivolte contadine nel sud non si placarono del tutto e l'avversione verso lo Stato centrale fu aggravata dalla coscrizione obbligatoria e dalla pesante fiscalità. L'incameramento dei beni ecclesiastici ([[Eversione dell'asse ecclesiastico]]) e la loro liquidazione non favorì la costituzione di uno strato di piccoli e medi agricoltori e beneficiò piuttosto i latifondisti.<ref name="treccani.
Nello stesso periodo si ebbe la [[Codificazione del 1865]] (detto anche "Risorgimento giuridico"), con il completamento dell'unificazione giuridico-amministrativa del Regno.<ref name="treccani.
L'8 aprile 1866, il [[Governo La Marmora III]] siglò un trattato con la [[Prussia]] di [[Otto von Bismarck]]. Secondo il trattato, il Regno d'Italia avrebbe dovuto dichiarare guerra all'Impero austriaco se questo si fosse trovato in stato di guerra con la Prussia entro l'8 luglio.<ref>{{treccani|bismarck-schonhausen-otto-principe-di_%28Enciclopedia-Italiana%29/|BISMARCK-SCHÖNHAUSEN, Otto, principe di|autore=Giuseppe Gallavresi|anno=1930}}</ref> L'[[alleanza italo-prussiana]] condusse alla partecipazione del Regno d'Italia alla [[Guerra austro-prussiana]], il cui fronte meridionale è ricordato come la [[Terza guerra d'indipendenza italiana]]. La guerra andò bene ai prussiani, ma non agli italiani, che incapparono in due rilevanti sconfitte ([[Battaglia di Custoza (1866)|a Custoza]] e [[Battaglia di Lissa|a Lissa]]). Analogamente a quanto accaduto nel 1859, l'Austria, sconfitta, cedé il Veneto alla Francia, che lo girò all'Italia ([[trattato di Vienna (1866)|trattato di Vienna]]).<ref name="treccani.
Il costo della guerra del 1866 andò a sommarsi alle spese sostenute in un ventennio di ammodernamento e armonizzazione delle strutture del nuovo regno: per mettervi riparo si ricorse all'indebitamento pubblico, compensato dalla pressione fiscale, la liquidazione dei beni ecclesiastici, l'introduzione del [[corso forzoso]].<ref name=treccani.destra/> Nel 1868 fu introdotta la [[tassa sul macinato]], forse il dispositivo più noto di una forte pressioni fiscale e di una politica economica tutta tesa all'ottenimento del [[pareggio di bilancio]], raggiunto infine nel 1876.<ref name="treccani.
Con il tracollo di [[Napoleone III]] alla [[battaglia di Sedan]], gli italiani ebbero mano libera per chiudere la "[[questione romana]]". La "[[breccia di Porta Pia]]" (20 settembre 1870) pose fine al [[potere temporale dei papi]].<ref name="treccani.
La caduta della Destra storica, comunque ormai impopolare tra le masse,<ref name=treccani.destra/> fu dovuta ad una frattura tra i parlamentari piemontesi e quelli toscani (capeggiati da [[Ubaldino Peruzzi]]<ref name="treccani.
== La Sinistra storica (1876-1887) ==
=== I governi Depretis ===
{{Vedi anche|Sinistra storica|Agostino Depretis}}
[[File:Agostino Depretis 4.jpg|miniatura|verticale|[[Agostino Depretis]] nel 1865]]
La cosiddetta "Sinistra storica" sorse dall'unione tra membri della sinistra del [[Parlamento subalpino]] e membri del [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]], cui si aggiunse la cosiddetta "Sinistra giovane", formata soprattutto da meridionali dopo l'Unità. I più importanti esponenti della Sinistra storica furono [[Agostino Depretis]], [[Benedetto Cairoli]], [[Francesco Crispi]], [[Giovanni Nicotera]] e [[Giuseppe Zanardelli]].<ref name="treccani.sinistra2"
Di fronte al malcontento del Paese verso la politica fiscale dei governi della Destra storica, il re affidò il compito di formare un nuovo governo all'ex mazziniano Depretis. Il [[Governo Depretis I|nuovo governo]] aveva in programma la difesa della laicità dello Stato, l'istruzione elementare obbligatoria, il decentramento amministrativo, un alleggerimento fiscale per il Mezzogiorno. Si parlerà di "rivoluzione parlamentare", ma il passaggio di consegna fu nel segno della continuità. Per circa 11 anni, tra il 1876 e il 1887, Depretis fu quasi ininterrottamente alla guida del Paese, moderando sensibilmente il programma riformista della Sinistra. In tal modo, riuscì a far convergere verso la propria maggioranza elementi di destra e ad isolare l'opposizione di sinistra, composta da repubblicani, radicali e dai primi socialisti.<ref name="treccani.italia2"
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del [[pareggio di bilancio]] e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica, allargando il suffragio e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale con l'intervento diretto dello Stato nell'economia. Si trattava di misure costose: dal pareggio di bilancio si passò quindi ad un disavanzo permanente, con il debito che assorbiva quasi la metà delle entrate.<ref>{{cita|Marinelli e Politi|pp. 15-16}}.</ref>
Depretis coniò la pratica del cosiddetto "[[Trasformismo (politica)|trasformismo]]", un metodo di composizione della maggioranza parlamentare che si fondava su accordi con singoli parlamentari o gruppi parlamentari, teso a superare la tradizionale opposizione tra Destra e Sinistra, e a superare le divisioni socio-culturali all'interno del Paese.<ref name="cento412"
I governi Depretis furono caratterizzati da un forte riformismo, teso ad allargare il consenso nel Paese e a mettere il Regno d'Italia alla pari con gli altri paesi europei. È in questo contesto che vennero approvate la cosiddetta [[legge Coppino]], che nel 1877 impose l'[[obbligo scolastico]] di almeno due anni a tutti i bambini, e una riforma elettorale ("[[Legge elettorale italiana del 1882|legge Zanardelli]]"), che nel 1882 portò gli aventi diritto al voto a 2 milioni di persone (il 6% della popolazione<ref name="treccani.sinistra2" />). Nel 1884, il ministro delle finanze [[Agostino Magliani]] abolì la [[tassa sul macinato]], che fu comunque sostituita da altre imposte, tra cui una sullo [[zucchero]].<ref>{{cita|Marinelli e Politi|p. 16}}.</ref> Depretis avviò anche una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l'[[inchiesta Jacini]]. Tali iniziative rivelarono una grande miseria e pessime condizioni [[Igiene|igieniche]]; l'infanzia era spesso vittima della difterite mentre gli adulti soffrivano di [[pellagra]] per [[malnutrizione]]; l'epidemia di colera del 1884-1885 causò in Italia quasi {{formatnum:18000}} vittime. La miseria dei braccianti provocò così i primi scioperi agricoli. Con la [[Grande depressione (1873-1895)|crisi economica]] in Europa, nel 1878 il governo approvò una serie misure [[Protezionismo|protezionistiche]] in favore dell'industria settentrionale e della cerealicoltura meridionale.<ref name="treccani.italia2" /> L'intervento dello Stato in economia, aggiunto ai dazi doganali, che limitavano le importazioni e favorivano il commercio interno favorirono la nascita di grandi aziende nazionali come le [[Acciaierie di Terni]] nel 1884 e la [[Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche|Società di Costruzioni Meccaniche Ernesto Breda]] nel 1886, inoltre si svilupparono le infrastrutture e la produzione industriale aumentò.
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La città di [[Massaua]] diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli [[Anni 1880|anni ottanta]] questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, [[Afar (popolo)|dancale]], somale e [[oromo]], autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del [[mar Rosso]]), alcuni [[Sultano|sultanati]] (i più importanti furono gli [[Harar]], gli [[Obbia]], e i [[Zanzibar]]), [[Emirato|emiri]] o capi tribali. Diverso il caso dell'[[Etiopia]], allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè [[Imperatore]]) [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]], ma con la presenza di uno Stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da [[Menelik II]]. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di [[Harar]], l'acquisto di [[Zeila]] dai britannici e l'affitto del porto di [[Chisimaio]], posto alla foce del [[Giuba (fiume)|Giuba]], in [[Somalia]]. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente. Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo Stato italiano cercò di occupare il porto di [[Zeila]], a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo.
== La crisi di fine secolo (1887-1901) ==
=== L'autoritarismo di Crispi ===
{{Vedi anche|Francesco Crispi|Guerra di Abissinia}}
[[File:Francesco Crispi (ritratto).jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Francesco Crispi]] nel 1890]] Dopo la scomparsa di Depretis nel 1887, assunse la guida del governo [[Francesco Crispi]]. Appena divenuto presidente del consiglio, Crispi istituì al ministero dell'Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale. Una specifica legge del 1888, inoltre, trasformò il Consiglio superiore di sanità in un organo di medici specialisti anziché di amministratori e creò la figura del medico provinciale. La norma stabilì il principio che lo Stato dovesse essere responsabile della salute dei suoi cittadini. Con Crispi però la Sinistra prese una deriva autoritaria. Nel 1889 il movimento dei [[fasci siciliani]] diede inizio a una serie di proteste che videro migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia dell'isola, battersi per una [[riforma agraria]]. Il governo decretò l'occupazione militare della Sicilia e la condanna a morte dei capi sindacali. Parallelamente una forte collusione tra potere economico e potere politico (si ricordi anche lo [[Scandalo della Banca Romana]]) paralizzava lo sviluppo del Paese e soprattutto del Mezzogiorno. Alcuni economisti ritengono che l'economia sia stata in questo periodo "un processo artificioso" prodotto dallo [[statalismo]] economico e non dalla libera iniziativa privata. Nel 1892 fu fondato a Genova da [[Filippo Turati]] il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI), diventando in breve tempo il principale referente del movimento operaio.
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== L'età giolittiana (1901-1914) ==
{{vedi anche|Età giolittiana}}
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Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la [[Basilicata]], la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il [[Stabilimento siderurgico di Bagnoli|centro siderurgico di Bagnoli]]. Un altro importante progetto portò alla statalizzazione delle [[ferrovie]] approvata dal Parlamento nel 1905, che metteva l'Italia al passo con gli altri paesi europei in un settore essenziale allo sviluppo. Nel [[1912]] una legge per finanziare le pensioni di invalidità e [[Pensione di vecchiaia|di vecchiaia]] per i lavoratori inaugurava la moderna legislazione sociale in Italia.
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani, avvicinandosi ai paesi più moderni. Ebbe inizio un ciclo di rapida [[industrializzazione]]; si affermò il [[movimento operaio]]; l'economia progredì, favorita dall'adozione di misure protezionistiche e dai finanziamenti concessi dallo Stato e da alcune importanti banche ([[Banca Commerciale Italiana]], [[Credito Italiano]]). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella [[siderurgia]] (gli operai del settore tra il 1902 e il 1914 aumentarono da {{formatnum:15000}} a {{formatnum:50000)}} e nella nuova industria [[Energia idroelettrica|idroelettrica]]. Quest'ultima sembrava risolvere una delle debolezze dell'Italia, Paese privo di materie prime essenziali come il [[carbone]] e il [[ferro]]. Utilizzando l'acqua dei laghi alpini e dei fiumi fu possibile ottenere energia senza dipendere dall'estero per l'acquisto del carbone: la produzione di [[energia idroelettrica]], tra il 1900 e il 1914, salì da 100 a {{formatnum:4000}} milioni di kWh. L'[[industria tessile]] mantenne una posizione di rilievo con prodotti venduti sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Anche l'[[industria meccanica]] cominciò ad affermarsi nel settore dei trasporti (auto, treni) e delle macchine utensili. Ciononostante l'economia conservava forti squilibri tra il Nord del Paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e prevalentemente agricolo. La modernizzazione si manifestò anche nelle forme della vita politica e del conflitto sociale. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il Paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra nord e sud e tra città e campagna.
L'Italia, alleata con la Germania, le cui ambizioni coloniali erano osteggiate da Gran Bretagna e Francia, trovò il pretesto per agire al di fuori dei vincoli della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]] (Germania, Italia, Austria-Ungheria) per avvicinarsi alla [[Triplice intesa]] di [[Francia]], [[Regno Unito]] e [[Russia]]. Favorevoli alla campagna furono i grandi gruppi finanziari, come il [[Banco di Roma]] e la Banca Commerciale, ed esponenti della corrente nazionalista. Contrari erano i socialisti e alcuni rappresentanti del movimento democratico. Avanzata, il 29 settembre 1911, la dichiarazione di guerra alla [[Impero ottomano|Turchia]], i {{formatnum:100000}} uomini del generale [[Carlo Caneva]] occuparono [[Cirenaica]] e [[Tripolitania]] in ottobre, dichiarandole territorio italiano il 5 novembre. Nel maggio 1912 truppe italiane agli ordini del generale [[Giovanni Ameglio]] occuparono [[Rodi]] e il [[Dodecaneso]]. La Turchia, incapace di rispondere efficacemente alle manovre italiane, accettò i termini stabiliti nella [[Trattato di Losanna (1912)|pace di Losanna]] (18 ottobre [[1912]]), in cui si stabiliva che l'Italia doveva ritirare le truppe dalle isole egee, mentre la Turchia cedeva la Libia al Governo italiano. Dato che la Turchia si rifiutava di cedere la Libia, l'Italia non ritirò il contingente dal [[Dodecaneso]], dove rimase invece per tutta la durata della prima guerra mondiale. A seguito della partecipazione italiana nella repressione della [[ribellione dei Boxer]] con l'invio di un [[corpo di spedizione italiano in Cina]], il 7 settembre 1901 venne istituita la [[concessione italiana di Tientsin]]: la superficie concessa misurava {{M|458000|u=m²}} ed era una delle più piccole concessioni territoriali cinesi alle potenze straniere ottenute al termine della rivolta: la zona consisteva nell'immediata [[Concessione italiana di Tientsin|periferia orientale di Tientsin]] (dalla quale prende il nome) e da un terreno lungo la riva sinistra del fiume [[Hai He|Hai-He]] (conosciuto precedentemente con il nome di Pei Ho), ricco di saline, comprensivo di un villaggio e di un'ampia area paludosa adibita a cimitero.<ref>{{Cita web|url=http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=185|titolo=Tientsin e dintorni|sito=trentoincina.it|accesso=11 giugno 2018}}</ref><ref name=":12">{{Cita news|nome=Alberto Alpozzi|url=https://italiacoloniale.com/2015/03/19/cina-la-concessione-italiana-dimenticata-a-tien-tsin-seconda-parte/|titolo=Cina, la concessione italiana dimenticata a Tien-Tsin – Seconda parte|pubblicazione=L'Italia coloniale|data=19 marzo 2015|accesso=18 settembre 2017}}</ref>
== La
{{Vedi anche|Italia nella prima guerra mondiale|fronte italiano (1915-1918)|Movimenti rivoluzionari in Italia nel Primo Novecento}}
=== La neutralità ===
{{Vedi anche|Neutralità italiana (1914-1915)}}
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Nella [[prima guerra mondiale]] l'Italia rimase inizialmente neutrale. L'azione austro-ungarica contro la Serbia era contraria agli interessi italiani. Roma non desiderava l'egemonia asburgica nella regione balcanica, ma ammetteva pure l'ipotesi di fornire all'alleata sostegno contro la Serbia, in cambio di compensi territoriali, ai sensi dell'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza. Per Roma, tali compensi territoriali dovevano consistere nelle province italiane dell'impero asburgico. Il governo asburgico concesse la legittimità dell'interpretazione italiana dell'articolo VII, ma respinse seccamente l'idea che i compensi potessero consistere in territori del suo impero (come il Trentino). Ciò persuase il governo italiano che gli eventuali compensi concessi non sarebbero stati tali da giustificare lo sforzo bellico, né a convincere l'opinione pubblica italiana dell'opportunità di scendere in guerra con Vienna e Berlino. La neutralità fu dunque il risultato di una situazione in cui l'Italia aveva molto da rischiare, e poco da guadagnare, dalla partecipazione alla guerra al fianco di Vienna e Berlino.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Giordano Merlicco|titolo=La crisi di luglio e la neutralità italiana: l'impossibile conciliazione tra alleanza con l'Austria e interessi balcanici|rivista=Itinerari di ricerca storica|volume=XXXII|numero=2/2018|pp=13-26|url=http://siba-ese.unisalento.it/index.php/itinerari/article/view/20146}}</ref>
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Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di [[Guerra di trincea|posizione]] simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul [[Fronte occidentale (1914-1918)|fronte occidentale]] le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino e oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.
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L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla [[quinta battaglia dell'Isonzo]] che non portò ad alcun risultato. Negli scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], occupando l'[[Altopiano dei Sette Comuni|altopiano di Asiago]]. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'[[Carso|altopiano del Carso]]. Lo scontro fu chiamato [[battaglia degli Altipiani]].
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=== Lo sfondamento degli austriaci ===
{{vedi anche|Battaglia di Caporetto}}
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Nell'ottobre 1917 la [[Russia]] abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione [[Comunismo|comunista]]. Le truppe degli [[Imperi centrali]] furono spostate dal [[Fronte orientale (1914-1918)|fronte orientale]] a quello occidentale. Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª [[Armata]] comandata dal generale [[Luigi Capello]]. I generali Luigi Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per {{M|150|u=km}} in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro<ref>Puntata di "La grande storia" dal titolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre</ref> fu la 3ª, guidata da [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto di Savoia]], cugino di re [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]].
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'[[Mare Adriatico|Adriatico]] fino alla [[Valsugana]], in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume [[Tagliamento]], con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al [[Mincio]].[[File:
=== La vittoria ===
{{Vedi anche|Battaglia del solstizio|Battaglia di Vittorio Veneto}}
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La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò determinò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 fu chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “[[Ragazzi del '99]]”).
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L'ultimo caduto italiano è stato il [[sottotenente]] [[Alberto Riva Villa Santa]] di 19 anni, appartenente all'[[8º Reggimento bersaglieri]], caduto poco prima delle ore 15 del 4 novembre 1918 a [[Paradiso (Pocenia)|Paradiso]] poco distante da [[Udine]].
=== La vittoria mutilata e l'impresa di Fiume ===
{{Vedi anche|Vittoria mutilata|Impresa di Fiume}}
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Alla [[Conferenza di pace di Parigi (1919)|conferenza di pace di Parigi]] le richieste territoriali italiane stabilite col [[patto di Londra]] non furono accettate dagli [[Alleati della prima guerra mondiale|Alleati]], in particolare si oppose il presidente statunitense [[Thomas Woodrow Wilson]], che in base al principio dell'[[autodeterminazione dei popoli]] riteneva l'annessione della Dalmazia all'Italia lesiva nei confronti delle popolazioni slave che vi risedevano. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal [[Danubio]]. La "[[questione adriatica]]" provocò la protesta dell'Italia: [[Vittorio Emanuele Orlando]]<nowiki/>
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni e alla propaganda nazionalista si infiammò il mito della ''[[vittoria mutilata]]'', emersero le organizzazioni di reduci e in particolare quelle che raccoglievano gli ex-''[[arditi]]'' (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte. Il 12 settembre 1919 [[Gabriele D'Annunzio]], contando sulla complicità dei comandi militari, [[Impresa di Fiume|occupò la città di Fiume]] inaugurando la [[reggenza italiana del Carnaro]] e aprendo una crisi internazionale.
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{{Vedi anche|Biennio rosso in Italia|Fasci italiani di combattimento}}
Il prezzo delle annessioni fu però altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.<ref>G. Mortara, ''La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra'', Yale University Press, New Haven, 1925.</ref><ref>D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, ''The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt'' (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo)
Nel giugno del 1920 fece ritorno alla [[Governo Giolitti V|presidenza del consiglio Giolitti]], che per esperienza e prestigio si pensava potesse comporre i contrasti politici. Egli risolse la [[questione adriatica]], firmando con la [[Jugoslavia]] il [[Trattato di Rapallo (1920)|trattato di Rapallo]] (12 novembre 1920), che riconosceva all'Italia [[Zara]] e le [[Cherso (isola)|isole di Cherso]], Lussino, Pelagosa, Lagosta e Cazza. Le legioni fiumane furono cacciate dalla città dal Regio Esercito nel cosiddetto "[[natale di sangue]]" e fu istituito lo [[Stato libero di Fiume]] (riaccorpato all'Italia nel 1924 col [[Trattato di Roma (1924)|trattato di Roma]]). l 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese ([[Trattati di Tirana|accordo di Tirana]] del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su [[Valona]]) e ad un accordo con la [[Grecia]], l'isola di [[Saseno]] entrò a far parte dell'Italia, la quale la voleva per la sua posizione strategica all'imbocco del [[Mare Adriatico]]. Nel [[1923]] il [[Trattato di Losanna (1923)|trattato di Losanna]] assegnava ufficialmente il Dodecaneso e Rodi all'Italia; sarebbero rimaste sue colonie fino al 1945. Le difficoltà per Giolitti vennero dalla situazione interna, perché cresceva nei ceti medi e nei possidenti, allarmati dalle vittorie socialiste alle [[Elezioni amministrative in Italia del 1920|elezioni amministrative]], l'attesa di una risposta autoritaria, mentre l'opinione pubblica moderata era turbata dal disordine e dalle violenze generate dai tumulti del movimento operaio da quanti speravano di innescare una situazione rivoluzionaria, a somiglianza di quanto era da poco accaduto in Russia, e che stava accadendo in quegli anni in altri paesi dell'Europa centrale come, ad esempio, nell'effimero caso della [[Repubblica Bavarese dei Consigli]]. Giolitti decise così di evitare di reprimere le rivolte del "[[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]", che culminarono con l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920 per poi terminare. Dal timore di una possibile rivoluzione comunista sull'esempio russo, scaturì l'inizio della reazione della piccola e media borghesia, che decise di fare affidamento ai [[Fasci italiani di combattimento]], [[Fondazione dei Fasci italiani di combattimento|fondati]] da [[Benito Mussolini]] il 19 marzo 1919. Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "[[Terza via (fascismo)|terza via]]". Nel movimento confluirono arditi, futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena venti giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate [[Squadrismo|squadre d'azione]] si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista ''[[L'Avanti!]]'', devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra [[Squadrismo|squadrista]].
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=== Lo squadrismo fascista ===
{{Vedi anche|Squadrismo}}
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Nel giro di qualche mese le [[Squadre d'azione|squadre fasciste]] si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze fasciste con la sostanziale inazione da parte delle istituzioni. I fascisti espressero la volontà di «trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana» autodefinendosi "partito dell'ordine" riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei fasci si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari. Mussolini riuscì così a catalizzare sia le ambizioni di crescita sinora frustrate della piccola borghesia, disposta persino all'uso della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo, a questi si aggiungevano, come "cani sciolti", i molti studenti universitari affascinati dalla carica eversiva e rivoluzionaria dell'[[
Il 12 novembre 1921 il movimento fascista fu trasformato nel [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il [[Partito Socialista Italiano|PSI]] aveva superato di poco i 270.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti [[Emilia-Romagna|emiliani]] e [[Toscana|toscani]]. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ''ras'' furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del [[manganello]] e dell'[[olio di ricino]], o addirittura commettendo [[Omicidio|omicidi]] che restavano il più delle volte impuniti. Nel frattempo il fronte socialista andava sfaldandosi, nel 1921 a Livorno con una [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|scissione]] in seno al PSI [[I Congresso del Partito Comunista d'Italia|nacque]] il [[Partito Comunista d'Italia]] (PCd'I) con [[Antonio Gramsci]] come leader. Di fronte alla situazione politica mutata Giolitti convocò nuove elezioni alleandosi con i fascisti. Alle [[Elezioni politiche in Italia del 1921|elezioni politiche del 1921]] ci fu un lieve arretramento dei socialisti, mentre i fascisti ottennero 35 seggi.
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=== Il fascismo al governo ===
{{Vedi anche|Governo Mussolini|Marcia su Roma|Delitto Matteotti|Secessione dell'Aventino}}
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Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1922 le [[squadre d'azione]] del [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), capeggiate da un quadrumvirato composto da [[Italo Balbo]], [[Cesare Maria De Vecchi]], [[Emilio De Bono]] e [[Michele Bianchi]], cominciarono ad affluire in massa verso Roma, esercitando sulle istituzioni una pressione di tipo paramilitare per favorire l'ascesa al potere di [[Benito Mussolini]]. Le avvisaglie della "[[marcia su Roma]]" provocarono la crisi del [[Governo Facta II|secondo governo Facta]], che rassegnò definitivamente le dimissioni la mattina del 28 ottobre in seguito al rifiuto di [[Re d'Italia (1861-1946)|re]] [[Vittorio Emanuele III]] di firmare il decreto sullo [[stato d'assedio]] della capitale. Sfumata l'ipotesi di un governo guidato da [[Antonio Salandra]] che includesse anche ministri fascisti, il 29 ottobre il re conferì a Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo. Il [[governo Mussolini]] nacque quindi come un governo di coalizione, comprendendo oltre ai ministri fascisti, anche quelli di area liberale e popolare, ottenendo la maggioranza nel voto parlamentare. Nel [[Discorso del bivacco|discorso d'insediamento]] mussolini tranquillizzò la classe dirigente economica e liberale. Fra le prime iniziative intraprese dal governo vi fu il tentativo di istituzionalizzare le squadre fasciste, che continuavano a commettere violenze, con la creazione della [[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale]] (MVSN). Il governo inoltre introdusse provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche [[Riforme De' Stefani|riduzioni della spesa pubblica]], la [[riforma Gentile]], che gerarchizzò il corpo scolastico istituì l'[[Insegnamento della religione cattolica in Italia|insegnamento della religione cattolica]] nelle scuole, la firma degli accordi di [[Washington]] sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di [[Jugoslavia]] circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in [[Dalmazia]].
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In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale, la cosiddetta "[[Legge Acerbo]]", che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse raccolto il 25% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. La [[Lista Nazionale]] guidata da Mussolini ottenne il 60,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla Camera [[Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924|contestando i risultati delle elezioni]]. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. L'opposizione rispose al [[delitto Matteotti]] sospendendo i lavori parlamentari, la cosiddetta "[[secessione dell'Aventino]]", ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di [[Roma]]. I maggiori esponenti dell'area liberale come [[Ivanoe Bonomi]], [[Antonio Salandra]] e [[Vittorio Emanuele Orlando]] esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito, ma [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] appellandosi allo [[Statuto Albertino]] replicò: ''«''Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato''»'' e quindi non intervenne. Per risolvere la crisi, il [[Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925|3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera]], Mussolini si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti, dando di fatto inizio alla dittatura.
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=== L'instaurazione della dittatura ===
{{Vedi anche|Politica economica fascista|Politica agraria del fascismo italiano|Propaganda fascista|Tassa sul celibato}}
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Nel biennio tra il 1925 e il 1926 il governo emanò una serie di provvedimenti liberticidi, le cosiddette [[leggi fascistissime]]: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato il ''[[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale]]'' con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime. Nel 1928 fu introdotta la [[Legge elettorale italiana del 1928|legge elettorale pelebiscitaria]].
Il primo grosso problema che la [[dittatura]] dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della [[prima guerra mondiale]] portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e a un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo Stato. Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i [[debiti di guerra]] contratti con [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e [[Gran Bretagna]]. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla [[Lira italiana|lira]], che si svalutò pesantemente nei confronti di [[dollaro]] e [[sterlina britannica]]. Tra le mosse per contrastare la crisi ci furono l'aumento delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la [[tassa sul celibato]], vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli. Nel 1929 l{{'}}''[[autarchia]]'' entrò anche nel linguaggio comune: furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta e orale: ad esempio [[Chiave (meccanica)|chiave inglese]] diventò ''chiave morsa'', [[Cognac (distillato)|cognac]] diventò ''arzente'', [[Traghetto|ferry-boat]] diventò ''treno-battello pontone''. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome [[Lingua francese|francofono]] dell'[[Italia nord-occidentale]] e con nome [[Lingua tedesca|tedescofono]] dell'[[Italia nord-orientale]]: secondo la [[toponomastica]] fascista, per fare un paio di esempi, [[Courmayeur]] diventò ''Cormaiore'' e [[Caldaro sulla Strada del Vino|Kaltern]] diventò ''Caldaro''. Inoltre si scoprì che anche l'uso del ''lei'' aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del ''lei'' con il ''voi'', capeggiata dal segretario del partito [[Achille Starace]].
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L'11 febbraio 1929 furono firmati i [[Patti Lateranensi]], che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il [[Regno d'Italia]] e lo Stato della [[Città del Vaticano]]. Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla cosiddetta [[legge delle Guarentigie]] approvata unilateralmente dal [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 13 maggio 1871 dopo la [[presa di Roma]], questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici. Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in [[Italia]] non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista. Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di Stato in Italia e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della [[Santa Sede]].
All'inizio degli [[Anni 1930|anni trenta]] la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide, e in questo periodo l'aeronautica ricevette un forte impulso e furono organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel Mediterraneo e la prima trasvolata dell'[[Oceano Atlantico|Atlantico meridionale]] (1931), nel 1933 il quadrumviro della [[marcia su Roma]], [[Italo Balbo]], organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della [[Regia Aeronautica]] il 28 marzo 1923. A bordo di 24 [[Idrovolante|idrovolanti]] [[Savoia-Marchetti S.55|SIAI-Marchetti S.55X]] dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a [[New York]] e ritorno attraversando tutte le maggiori nazioni europee e buona parte degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. L'impresa, al tempo rilevante per il numero di velivoli che la portarono a termine e il basso tasso di problemi tecnici, diede al ferrarese notevole fama, tanto che a Chicago (tappa finale in quanto sede dell'[[Expo 1933|Esposizione universale]]) gli venne subito dedicata un'importante arteria stradale, ''Balbo Avenue''.<ref>{{cita news|lingua=
L'[[Eritrea]] fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore [[Jacopo Gasparini]], che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. Il [[governo Mussolini]] cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'[[Etiopia]] cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente [[Hailé Selassié]]. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore [[Jacopo Gasparini]] cercò di ottenere un protettorato sullo [[Yemen]] e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma [[Benito Mussolini|Mussolini]] non volle inimicarsi la [[Gran Bretagna]] e fermò il progetto. Negli [[Anni 1920|anni venti]] e [[Anni 1930|trenta]] l'amministrazione del [[Dodecaneso]] da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di [[lingua greca]], con la presenza di una minoranza [[Lingua turca|turca]] ed [[Lingua ebraica|ebraica]]. Durante il regime fascista furono ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a [[Eritrea]], [[Somalia]], [[Libia]], [[Dodecaneso]] e la [[Concessione italiana di Tientsin|concessione di Tientsin]], entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata [[Etiopia]] e l'[[Albania]]. Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in [[Etiopia]], divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a [[Incidente di Ual Ual|Ual Ual]], nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo Stato etiopico.
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{{Vedi anche|Africa Orientale Italiana|Guerra d'Etiopia|Crimini di guerra italiani|Sanzioni economiche all'Italia fascista}}
[[File:Soldatietiopia.jpg|sinistra|miniatura|Coloni e soldati italiani in partenza per conquistare e colonizzare l'Abissinia nel 1935]]
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A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli [[Anni 1920|anni venti]], [[Benito Mussolini|Mussolini]] manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto ''libero'' da ingerenze straniere era l'[[Impero d'Etiopia]], nonostante fosse membro della [[Società delle Nazioni]]. Mussolini nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esteri francese, [[Pierre Laval]] per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.<ref>Langer, William L. ed., ''An Encyclopaedia of World History''. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.</ref> Pochi mesi più tardi la [[Società delle Nazioni]] riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a [[Cagliari]] non erano soddisfatti. Il 2 ottobre [[Benito Mussolini|Mussolini]] dichiarò guerra all'Etiopia e il giorno successivo ebbero inizio le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di [[Emilio De Bono|De Bono]], sia da quelle somale, sotto il comando di [[Rodolfo Graziani]]. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno Stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana.<ref>
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Il progetto d'invasione ebbe inizio all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine; gli scontri terminarono con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. A novembre [[Pietro Badoglio]] sostituì De Bono al comando delle truppe. Dopo la [[Guerra d'Etiopia|guerra del 1935-1936]], l'Etiopia era stata conquistata quindi dalle truppe italiane, comandate dal generale [[Pietro Badoglio]]. L'Italia era quindi divenuta impero come da progetto del regime. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il [[Re d'Italia (1861-1946)|Re d'Italia]] [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] assunse il titolo di [[Imperatore d'Etiopia]] (con il titolo di ''[[Qesar]]'', anziché quello di [[Negus|Negus Neghesti]]), Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a [[Pietro Badoglio|Badoglio]] fu concesso il titolo di Duca di [[Addis Abeba]]. La colonia [[Eritrea]] venne inglobata nell'[[Africa Orientale Italiana]] nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di ''Libia''. A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia,<ref>Antonicelli, Franco. ''Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945'' p. 67</ref> durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi<ref>Mockler, Anthony. ''Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941''p. 48</ref>) alcune atrocità e crimini contro l'umanità.<ref>Angelo Del Boca. ''Italiani, brava gente?'', Editore Neri Pozza, 2005.</ref><ref>Angelo Del Boca. ''A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini'', Baldini Castoldi Dalai, 2007</ref>
L'11 ottobre [[1935]] l'[[Italia]] venne sanzionata per la guerra d'[[Etiopia]]. Le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] in vigore dal 18 novembre consistevano in: embargo sulle armi e sulle munizioni; divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia; divieto di importare merci italiane; divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica. Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte a embargo mancavano [[petrolio]] e i semilavorati. In realtà fu soltanto la [[Gran Bretagna]] a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La [[Germania]] hitleriana così come gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La [[Russia]] rifornì di [[nafta]] l'[[Esercito Italiano]] per tutta la durata del conflitto, e anche la [[Polonia]] si dimostrò piuttosto aperta. In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La [[Gran Bretagna]] venne etichettata col termine di ''perfida Albione'', e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un ''posto al sole''. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'[[autarchia]], secondo la quale ''tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato''. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il [[carcadè]], il [[carbone]] con la [[lignite]], la [[lana]] con il [[lanital]] (la lana di caseina), la [[benzina]] con il ''carburante nazionale'' (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché ''«fa male»'' e sostituito con il "caffè" d'orzo.
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=== L'alleanza con la Germania nazista e le leggi razziali ===
{{Vedi anche|Asse Roma-Berlino|Leggi razziali fasciste|Guerra civile spagnola}}
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▲[[File:Benito_Mussolini_and_Adolf_Hitler.jpg|miniatura|verticale|[[Benito Mussolini]] con [[Adolf Hitler]] nel 1937]]
Il 18 luglio 1936 scoppiò in [[Spagna]] la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la [[Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista|Falange]], una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di [[Francisco Franco]]. Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e [[Adolf Hitler|Hitler]] fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la [[Seconda repubblica spagnola]] erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.
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==== La "guerra parallela" ====
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Così nel 10 Giugno 1940 l'Italia entrò in guerra ufficialmente e già tra il 21 e il 24 Giugno le truppe italiane si scontrarono contro l'esercito francese sulle Alpi occidentali (la Francia si arrese il 22 ai nazisti, Parigi conquistata il 14). Ciò portò allo Stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di [[Nizza]]. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni in [[Africa]]. Il 3 agosto venne attaccata la [[Somalia Britannica]], che venne conquistata il 19 agosto.
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==== La "guerra subalterna" ====
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Nell'aprile 1941 l'Italia partecipò all'[[Invasione della Jugoslavia|invasione del Regno di Jugoslavia]] assieme alle altre Potenze dell'Asse e alla relativa spartizione del paese balcanico: nelle aree annesse dall'Italia furono istituiti la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia del Carnaro]], e il [[Governatorato di Dalmazia]]; inoltre all'Italia fu concesso anche di mettere nominalmente a capo del neo costituito [[Stato Indipendente di Croazia]] un rappresentante di [[Casa Savoia]] - l'influenza italiana sullo Stato Indipendente di Croazia si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato [[Ante Pavelić]], l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della [[Croazia]].<ref name="Repubblica" />
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=== Il Regno del Sud e la Repubblica Sociale Italiana ===
{{Vedi anche|Resistenza Italiana|Repubblica Sociale Italiana|Regno del Sud|}}
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In breve tempo nelle città principali e nelle valli dei territori controllati dai tedeschi si costituirono le [[Resistenza italiana|prime formazioni partigiane]], che si organizzarono nel [[Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia]] (CLNAI) e nel [[Corpo volontari della libertà]] (CVL). Nella guerra partigiana contro le forze nazifasciste ci furono più aspetti contemporaneamente presenti: la "[[Resistenza italiana|guerra patriottica e lotta di liberazione]]" da un invasore straniero, [[Insurrezione|insurrezione popolare]] spontanea, "[[guerra civile]]" tra [[Antifascismo|antifascisti]] e [[Fascismo|fascisti]], "[[Lotta di classe|guerra di classe]]" con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte dei gruppi partigiani [[Socialismo|socialisti]] e [[Comunismo|comunisti]].<ref>C. Pavone, ''Una guerra civile'', pp. 169-412; G. Oliva, ''La resistenza'', ''passim''.</ref> Tra il 28 settembre e il 1º ottobre 1943 a Napoli i partigiani combatterono le [[quattro giornate di Napoli]]. Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani effettuarono lo [[sbarco di Anzio]] allo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla [[Linea Gustav]] e di liberare Roma. Il 15 febbraio 1944 dei bombardamenti danneggiarono gravemente l'[[abbazia di Montecassino]]. Nel frattempo in tutta la penisola alle azioni guerra partigiana seguirono le [[Crimini di guerra nazisti in Italia|rappresaglie nazifasciste]], come l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], reazione all'[[attentato di via Rasella]]. Nell'agosto 1944 i partigiani liberarono [[Firenze]], mentre nel novembre dello stesso anno il fronte si stabilizzò lungo la [[Linea Gotica]], ai piedi dell'[[Appennino tosco-emiliano]]. A partire dall'estate del 1944 nacquero diverse [[repubbliche partigiane]]: tra luglio e agosto la [[Repubblica di Montefiorino]]; tra agosto e settembre la [[Repubblica libera della Carnia]]; il 10 settembre si formò la [[Repubblica dell'Ossola]], che terminerà il 10 ottobre 1944 (i "40 giorni di libertà"); ad [[Alba (comune italiano)|Alba]] i partigiani presero il potere fra l'ottobre e il novembre del 1944.
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Nel Regno del Sud, l'ostilità verso Badoglio e il re delle forze politiche antifasciste venne superata dal segretario del [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) [[Palmiro Togliatti]], che nell'aprile del 1944 con la "[[svolta di Salerno]]" acconsentì alla nascita di un [[Governo Badoglio II|secondo governo Badoglio]] sostenuto da tutti i partiti. Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la [[liberazione di Roma]], [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] nominò il figlio [[Umberto II di Savoia|Umberto]] ''Luogotenente Generale del Regno'', nel vano tentativo di ritardare il più possibile il momento dell'[[abdicazione]], e in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]] (CLN), che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto dunque poteva di fatto esercitare le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimaneva a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a [[Salerno]]. Con le dimissioni di Badoglio, il [[Governo Bonomi II|governo Bonomi]] dovette gestire i rapporti col CLNAI e il e il CVL, che il 24 agosto accettarono di rispettare le disposizioni alleate e di sottostare alle autorità del Regno del Sud. Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 e il 1945 in primavera gli alleati lanciarono l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la [[Linea Gotica]] portando gli alleati alla [[liberazione di Bologna]] il 21 aprile 1945. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il [[Anniversario della liberazione d'Italia|25 aprile]], due giorni dopo Mussolini cercò la fuga in Svizzera con [[Claretta Petacci]], ma venne riconosciuto dai partigiani a [[Dongo]] e [[Morte di Benito Mussolini|giustiziato il giorno dopo]] a [[Giulino di Mezzegra]], sul [[lago di Como]]. Le [[potenze dell'Asse]] in Italia capitolarono il 29 aprile 1945, e il 2 maggio il comando tedesco firmò la [[resa di Caserta]] delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI. Il 1º maggio, truppe partigiane jugoslave occupavano [[Trieste]], anticipando le truppe inglesi, che giunsero il 3 maggio. Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto il 9 maggio 1946, per ritirarsi in esilio ad [[Alessandria d'Egitto]], dove morì il 28 dicembre 1947.
=== La riorganizzazione dello Stato ===
{{Vedi anche|Periodo costituzionale transitorio|Nascita della Repubblica Italiana}}
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Con la fine della guerra l'Italia sottoscrisse il [[Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate|trattato di Parigi]] acconsentendo a cedere l'[[Istria]] e la [[Dalmazia]] alla [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia]], inoltre fu creato il [[Territorio Libero di Trieste]] uno stato indipendente suddiviso in due aree: una anglo-americana e l'altra jugoslava. L'occupazione delle forze jugoslave provocò l'[[esodo giuliano dalmata]] della popolazione italiana durante il quale oltre il 90% della popolazione di [[lingua italiana]], in quantità stimata tra un minimo {{M|250000}} e un massimo {{formatnum:350000}} persone,<ref>A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi
La seconda guerra mondiale lasciò l'Italia con un'economia notevolmente compromessa ed una popolazione politicamente divisa. La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i combattimenti e i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe alleate. Il numero di [[Conteggio delle vittime della seconda guerra mondiale per nazione|italiani morti]] a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili)<ref>Giulio De Martino, ''La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale'', Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4</ref> e 443.000 morti,<ref>Secondo il rapporto ''Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45'', compilato nel 1957 da ''Roma: Istituto Centrale Statistica'' i morti militari furono 291.376, di cui 204.346 prima dell'armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 111.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l'armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153.147 (123.119 dopo l'armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda
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Dopo la fine della guerra si cominciò a mettere in discussione la [[forma di Stato]] monarchica. Il re Vittorio Emanuele III tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del [[Umberto II d'Italia|figlio Umberto II]], tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della [[monarchia]] e la [[nascita della Repubblica Italiana]]; in contemporanea vennero eletti i delegati a un'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]], col compito di redigere una nuova Costituzione. Per la prima volta nella storia italiana, anche le donne ebbero il [[Suffragio universale|diritto al voto]]. Dalle elezioni emersero tre principali partiti di massa la [[Democrazia Cristiana]] (DC), il [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) e il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI). I risultati furono proclamati dalla [[Corte di cassazione (Italia)|Corte di cassazione]] il 10 giugno 1946, mentre il giorno successivo tutta la stampa dette ampio risalto alla notizia. Nella notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente [[Alcide De Gasperi]], prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di [[Capo provvisorio dello Stato]]. Re Umberto lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno 1946, diretto a [[Cascais]], una città nel sud del [[Portogallo]], senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946, passando così alla storia come il "Re di maggio". Nel lasciare l'Italia, l'ex re lanciò un proclama agli italiani, in cui denunciava "l'atto rivoluzionario" del Governo.<ref name=":0">Senato della Repubblica, ''<span class="plainlinks">{{cita testo|titolo=Proclama di Umberto II agli Italiani|url=http://www.senato.it/documenti/repository/leggi_e_documenti/approfondimenti/RASSEGNE/Storia/Articoli/a021.pdf}}</span>'', ("L'esortazione del Re ad evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese", Roma, 13 giugno 1946 - rassegna storica)</ref> Il 1º luglio [[Enrico De Nicola]] venne eletto dall'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] [[capo provvisorio dello Stato]]. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] con [[Giuseppe Saragat]] alla presidenza; la nuova [[Costituzione della Repubblica Italiana|costituzione repubblicana]] entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
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== Bibliografia ==
* {{cita libro|curatore=Zygmunt G. Baranski|curatore2=Rebecca J. West|titolo=The Cambridge Companion to Modern Italian Culture|autore-capitolo=Anna Cento Bull|capitolo=Social and political cultures from 1860 to the present|editore=Cambridge University Press|anno=2006|url=https://www-cambridge-org.wikipedialibrary.idm.oclc.org/core/books/cambridge-companion-to-modern-italian-culture/social-and-political-cultures-in-italy-from-1860-to-the-present-day/FFAEF5115DD4EDFF0EA87C3BE7ECB1F7|pp=35-62|lingua=en|cid=Cento Bull}}
* {{cita libro|autore=Franco Favre|titolo=La Marina nella Grande Guerra|edizione=2008|editore=Gaspari|città=Udine|cid=Favre}}
* {{cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | wkautore=Guido Crainz|titolo=Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta | anno=2003 | editore=[[Donzelli Editore]] | città=Roma | isbn=88-7989-989-9 }}
* {{
* {{cita libro|autore=[[Scipione Guarracino]]|autore2=[[Peppino Ortoleva]]|autore3=[[Marco Revelli]]|titolo=Storia dell'età moderna. Dall'assolutismo alla nascita delle nazioni|editore=Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori|anno=1993|cid=Guarracino et al.}}
* {{cita libro|autore=Fabrizio Marinelli|autore2=Fabrizio Politi|titolo=Fisco e Stato moderno|editore=Giappichelli|anno=2022|cid=Marinelli e Politi}}
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* [[Storia d'Italia]]
* [[Storia economica d'Italia]]
* [[Storia delle religioni in Italia]]
* [[Storia militare dell'Italia durante la seconda guerra mondiale]]
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