Giovanni Amendola: differenze tra le versioni

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{{Bio
|Nome = Giovanni Battista
|Cognome = Amendola
|Sesso = M
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|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = italiano
}}<ref>{{Cita libro|titolo=Una battaglia liberale, Amendola, Giovanni, Editore Torino, Gobetti, Piero}}</ref><ref>{{Cita libro|titolo=Sei lettere inedite, Gennaro Corvino, p. 15}}</ref><ref>{{Cita libro|titolo=Archivio storico del movimento liberale italiano|url=https://books.google.it/books?id=fLogAAAAMAAJ&pg=RA6-PA48&dq=giovanni+amendola+7+aprile+1926&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwj2y9eNp5qGAxUh1gIHHa3kBo0Q6AF6BAgJEAI#v=onepage&q=giovanni%20amendola%207%20aprile%201926&f=false|accesso=19 maggio 2024|data=|editore=Forni|lingua=it|p=48|volume=53}}</ref>
}}
 
== Biografia ==
=== Origini e formazione ===
Giovanni Amendola nasce a [[Napoli]]<ref name="Carocci_1960">{{cita|CarocciGennaro 1960}}Corvino, 2005.</ref> nel 1882 da Pietro, originario di [[Sarno]], carabiniere, e Adelaide Bianchi. A due anni è con i genitori a [[Firenze]], dove il padre presta servizio per l'Arma.<ref>Giorgio Amendola, ''Una scelta di vita'', Rizzoli, Milano 1976, p. 12.</ref> Si trasferisce poi a [[Roma]], dove consegue la licenza media. A quindici anni (1897) s'iscrive alla gioventù socialista. L'anno successivo è apprendista al quotidiano del [[Partito Radicale Italiano]] «La Capitale». Nello stesso anno scoppiano a Milano i [[Moti popolari del 1898|moti popolari]]; la repressione ordinata dal governo impone lo scioglimento di molte sedi socialiste in tutta Italia. Amendola viene arrestato per aver voluto impedire la chiusura della sede romana.
 
=== La teosofia e la massoneria ===
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[[File:Albertini-Amendola.jpg|miniatura|Amendola con [[Luigi Albertini]], direttore del «Corriere della Sera»]]
 
Nell'ottobre 1909 si stabilisce con la famiglia a [[Firenze]], dove dirige la Biblioteca filosofica. Tenta di fondare una rivista di studi religiosi d'ispirazione modernista finanziata da [[Alessandro Casati]] (che Amendola aveva conosciuto ai tempi della collaborazione a «Rinnovamento»), ma il progetto non vede la luce. Collabora con «[[La Voce (rivista)|La Voce]]», fondata nel 1908 da Prezzolini.
 
Nel 1911 fonda e dirige una sua rivista assieme a Papini, «L'Anima». In quell'anno si laurea in [[filosofia]] con una tesi su [[Immanuel Kant]] (''La [[Categoria (filosofia)|Categoria]]. Appunti critici sullo svolgimento della critica delle Categorie da Kant a noi''). All'epoca, ispirato specialmente dai racconti fantastici e intimisti di Giovanni Papini, Amendola coltiva la prosa narrativa, con brevi frammenti pubblicati, sulla ''[[La Riviera Ligure|Riviera Ligure]]'', con l'[[Eteronimia|eteronimo]], [[byron]]iano, di ''Manfredo''.<ref>Giovanni Papini, ''Passato Remoto'', Firenze, L'Arco, 1948.</ref> La questione più scottante del dibattito politico italiano è l'utilità di un intervento militare in [[Libia]]. Amendola, critico in un primo tempo verso la [[Guerra italo-turca|campagna coloniale in Africa]], dopo l'inizio del conflitto appoggia lo sforzo bellico dalle colonne della «Voce», contribuendo a far aderire all'impresa libica la rivista stessa.<ref name=":0">{{Cita|Carocci 1956| p. 20.}}.</ref>
 
Collabora con «[[il Resto del Carlino]]» con articoli di carattere culturale, grazie ai buoni uffici di [[Mario Missiroli (giornalista)|Mario Missiroli]]<ref name="Michele Magno, op.cit."/>, per diventare poi (luglio 1912) corrispondente da [[Roma]] del quotidiano. Alla vigilia delle [[Elezioni politiche italiane del 1913|elezioni del 1913]] sollecita i radicali a schierarsi con [[Giovanni Giolitti]] (capo del governo) e a separarsi dai socialisti. Le elezioni, le prime a svolgersi con il [[suffragio universale]] maschile, confermano la maggioranza uscente; i radicali guadagnano 62 seggi sedendosi tra i banchi dell'opposizione. Nello stesso anno Amendola tenta la carriera accademica ottenendo una [[libera docenza]] in Filosofia teoretica all'[[Università di Firenze]], non ottenendo nessuna cattedra. Nell'aprile 1914 è nominato per un anno docente della disciplina all'[[Università di Pisa]], e in giugno viene assunto alla redazione romana del «[[Corriere della Sera]]» (già all'epoca il maggiore quotidiano italiano). Le sue convinzioni liberali e la sua posizione distaccata nei confronti della sinistra parlamentare coincidono con la linea del quotidiano di Albertini.<ref>{{cita|A. Sarubbi|p. 24|Sarubbi, 1986}}.</ref> Amendola rinuncia per sempre all'attività accademica, per rimanere a Roma e avviarsi alla carriera pubblicistica e politica.
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{{citazione|Veramente la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito «totalitario»; il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente dì nutrire anime che non siano piegate nella confessione: «credo». Questa singolare «guerra di religione» che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede (che a voler chiamar fede quella nell’Italia, possiamo rispondere che noi l’avevamo già da tempo quando molti dei suoi attuali banditori non l’avevano ancora scoperta!) ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l’altrui – vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire|G. Amendola, ''Un anno dopo'', 2 novembre 1923.}} A causa delle sue posizioni critiche verso il regime subisce frequenti intimidazioni e aggressioni, che sfociarono nell'aggressione fisica il 26 dicembre 1923 a Roma, quando viene bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa.<ref>{{Cita pubblicazione|data=ottobre 2001|autore= [[Emilio Gentile]]|titolo= Fascismo e antifascismo: I partiti italiani fra le due guerre |collana=Quaderni di Storia (fondata da [[Giovanni Spadolini]])|editore= Firenze: Felice Le Monnier, 2000, p. 545.|accesso=26 gennaio 2019|doi=10.1086/ahr/106.4.1496|url=https://dx.doi.org/10.1086/ahr/106.4.1496}}</ref> La stessa vittima avrebbe poi narrato l’aggressione all’[[Alta Corte di Giustizia]]<ref>[https://patrimonio.archivio.senato.it/tify/SUB01/SER02/VOL02/UACGSL_01SBF_02SR_0257UA_02VL_0003DO_01?tify=%7B%22pages%22%3A%5B2%5D%7D ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 1.2.257.2.3 Verbale della testimonianza dell'onorevole Giovanni Amendola (9 febbraio 1925) p. 2]</ref>:
 
{{quoteCitazione|La mattina del 26 dicembre uscii di casa verso le 10. Guardai l'orologio del palazzo Eden e constatai che erano precisamente le ore 10 e 10. Procedetti per via Francesco Crispi, tenendomi sulla destra. Avevo appena oltrepassato il negozio di cartoline, quando avvertii uno spintone sulla spalla destra, subito dopo seguìto da voci concitate e da colpi alla testa. Cercai di sottrarmi, attraversando la strada, ma fui seguìto dagli aggressori che si tenevano alle mie spalle, fino in vicinanza del negozio Brunner. Mentre l'aggressione si svolgeva, udii un colpo di rivoltella esploso dietro le mie spalle. Ad un certo punto, uno degli aggressori mi venne davanti e mi colpì sulla faccia con un bastone ricoperto di cuoio. Era più basso di me, di corporatura piuttosto tarchiata, roseo nel volto, e con qualche capello grigio. Resistei finché potei, tentando di parare i colpi; ma poi mi mancarono le forze e caddi a terra, senza perdere i sensi, guardando verso [[via Sistina]]. Gli aggressori continuarono ancora a colpirmi; poi mi lasciarono|Verbale della testimonianza dell'onorevole Giovanni Amendola, 9 febbraio 1925}}
 
Nell'aprile 1924 si candida alla Camera nella circoscrizione della [[Campania]]. Viene rieletto, diventando uno degli esponenti più in vista dell'opposizione. Nel mese successivo dà vita all'«Unione meridionale», trasformata in [[Unione Nazionale (Italia)|Unione Nazionale]] nel novembre successivo. Dopo il [[Giacomo Matteotti|delitto Matteotti]] Amendola scrive sul «Mondo» (giugno 1924): “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. […] Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l'illegalismo, esso è soltanto una burla”.<ref name="Michele Magno, op.cit."/> Successivamente coalizza le opposizioni (socialista, cattolica e liberale) in quella che passerà alla storia come «[[Secessione dell'Aventino]]». Annuncia che non avrebbe partecipato alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità. Insieme al socialista [[Filippo Turati]], promuove una linea di opposizione non violenta al governo, confidando che, dinnanzi alle responsabilità del fascismo nella morte di Matteotti, il re si decida a nominare un nuovo governo. È contrario a qualsiasi partecipazione popolare nella lotta per abbattere il governo Mussolini ma, allo stesso tempo, rimane ostile a ricercare accordi con altri oppositori del fascismo che non avevano preso parte alla [[secessione dell'Aventino]] ed erano restati in aula, ovvero i deputati del [[Partito Comunista d'Italia]].
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=== Rapporto con il comunismo ===
DaAmendola, antifascista liberale, Amendola si contrappose anche al comunismo. Rivolse la propria proposta politica ai ceti medi, soprattutto meridionali, offrendo loro una terza soluzione liberaldemocratica al dilemma tra fascismo e comunismo, e tentò di arginare la diffusione di questi movimenti nelle regioni del Mezzogiorno, dove essi erano meno forti<ref name="Carocci_1960:0" />.
 
In un articolo del settembre 1922, Amendola prese le distanze dai comunisti, giudicandoli antinazionali e antidemocratici, ma respinse la tesi fascista per cui il pericolo di una dittatura [[Bolscevismo|bolscevica]] avrebbe reso necessaria l'instaurazione di una dittatura nazionale. Amendola replicò inoltre all'accusa rivolta ai partiti di sinistra di essere antinazionali, sostenendo che tale affermazione valesse solo per i comunisti: «i partiti di sinistra (escludiamo, si capisce, l'estrema bolscevica) in quanto mirano a far entrare nell'orbita del regime le grandi moltitudini, con una concezione integrale delle forze nazionali nelle quali borghesia, piccola borghesia e proletariato coesistano, sono partiti nazionali per eccellenza, in quanto l'idea di nazione, come insegnò [[Giuseppe Mazzini]], coincide meglio col concetto di popolo, risultante di tutte le classi, che col concetto di classe, che non esaurisce il concetto di popolo»{{Efn|Il carattere interclassista del popolo è un elemento ricorrente nel pensiero di Mazzini. Cfr. ad esempio, ''Epistola CXXIV. A Pietro Olivero'', Ginevra, luglio 1833, in ''Scritti editi ed inediti'', vol. V, Imola, Cooperativa tipografico-editrice Paolo Galeati, 1909, p. 354: «la mia repubblica non consiste nell'intolleranza eretta a sistema: la mia repubblica non istà nell'innalzar una classe – e sia qualunque – struggendone un'altra. La mia repubblica basa sul Popolo – per Popolo intendo l'aggregato di tutte le classi – per tutto il Popolo io desidero libertà, progresso, miglioramento»; ''La réforme intellectuelle et morale di Ernest Renan'', 1872, in ''Scritti editi ed inediti'', vol. XCIII (93), Imola, Cooperativa tipografico-editrice Paolo Galeati, 1941, p. 236: «Popolo non è una frazione comunque vasta di popolo, ma l'insieme di tutte le classi, di tutti gli individui associati a formar Nazione sotto la scorta d'una fede e d'un Patto che additino un fine comune; e quel fine è solo sovrano. Le Rivoluzioni sono legittime e sante soltanto quando propongono, sulla via del Progresso, un nuovo fine capace di migliorare le condizioni morali, intellettuali, e materiali di tutti: quelle che tendono a sostituire la supremazia sistematica d'una frazione di popolo sulle altre non sono che ribellioni infruttifere e pericolose».}}. Un governo reazionario sarebbe stato quindi «un governo non di popolo, e perciò non di nazione, ma di casta militare o di oligarchia economica, poco importa, ma certo di minoranza, cioè di compressione della maggioranza: il che repugna [sic] e al principio liberale e al principio democratico, che condannano tutte le dittature d'indole bolscevica o d'indole aristocratica». Perciò era infondata l'affermazione «che l'asserita insufficiente resistenza alla dittatura bolscevica [...] tolga a noi il diritto, come democratici, di reagire a una dittatura nazionale». Al contrario, «come fummo fieramente avversi al bolscevismo, antinazionale ed antidemocratico, così siamo ugualmente avversi alle dittature, che essendo antidemocratiche, ci rifiutiamo di riconoscere come espressione della unitaria volontà nazionale». Amendola auspicò quindi che il fascismo rientrasse nell'alveo della legalità «perché il fascismo sorto per spezzare una schiavitù, non finisca con instaurarne un'altra», non potendo la violenza fascista contro gli esponenti democratici essere giustificata dagli «agguati dei comunisti – verso cui è inutile ripetere che non abbiamo nessuna simpatia, né come idealità né come metodo»<ref>Giovanni Amendola, ''A proposito di partiti nazionali'', in ''Il Mondo'', 28 settembre 1922. Cfr. {{cita|Amendola 1960|pp. 37-39}}. Si fa riferimento alle aggressioni fasciste contro [[Tullio Benedetti]], [[Guido Bergamo]], [[Carlo Torriani]] e [[Antonio Fradeletto]].</ref>.
 
Secondo Amendola, i metodi impiegati dai comunisti italiani seguendo l'esempio bolscevico finivano per legittimare il fascismo: «alla fine, i comunisti sono gli epigoni nostrani dell'esperimento russo [...] e – fanatici delle proprie concezioni fino alle ultime conseguenze – mentre legittimano con la propria adesione la dittatura di [[Lenin]], legittimano pure la dittatura fascista in Italia, pur combattendola»<ref>Giovanni Amendola, ''Fascismo e comunismo'', in ''Il Mondo'', 23 novembre 1923. Cfr. {{cita|Amendola 1960|p 212}}.</ref>.
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=== L'aggressione a Pieve a Nievole, la malattia e la morte ===
{{F|politici italiani|arg2=giornalisti italiani|aprile 2022}}
{{C|Contenuto a tesi, che tende a minimizzare il ruolo avuto da Scorza e dal fascismo nel pestaggio che portò poi alla morte di Amendola. Ciò tra l'altro in assenza di fonti, come segnalato da altro avviso e sulla base di luoghi comuni, dicerie e pseudostoria di un POV revisionista, che contravvengono alla storiografia più autorevole e accreditata, che certificano nel fascismo gli autori e responsabili del pestaggio e della morte.|storia|arg2=biografie|aprile 2024}}
 
Il 19 luglio 1925 Amendola giunse a [[Montecatini Terme]] per la consueta cura delle acque a beneficio del [[fegato]]. Sparsasi la voce del suo arrivo, sin dal mattino successivo davanti all'albergo nel quale alloggiava (l'Hotel La Pace) si formò un assembramento di facinorosi intenti a contestare la presenza del ''leader'' dell'opposizione<ref>Umberto Sereni, “Un’azione fascista: l’aggressione a Giovanni Amendola. Montecatini 20 luglio 1925”, in Giovanni Amendola tra etica e politica, atti del convegno, Montecatini Terme, 25‑27 ottobre 1996.</ref>. Facendosi la dimostrazione sempre più minacciosa e trascorrendo la giornata senza che dal Comando di [[Lucca]] giungessero i rinforzi richiesti dai carabinieri locali, i dirigenti del Fascio montecatinese informarono della situazione il segretario federale di Lucca [[Carlo Scorza]], temendosi cheoffrì ladi follatutelare tumultuante accalcata dinanzi alll'ingressoincolumità principaledi penetrasseAmendola nell'albergofacendolo efuggire mettessedi lenascosto<ref>Per manila sulsmentita parlamentaredi antifascista.Amendola Scorza,in giuntomerito tempestivamentealla dalpresunta capoluogo e preoccupato"cavalleria" di scongiurareScorza, unav. replica[https://www.isreclucca.it/wp-content/uploads/2023/03/DS_27-28-A.pdf?utm_source=chatgpt.com delDocumenti [[delittoe Matteotti]]studi, siIstituto premuròstorico didella tutelareresistenza e ldell'incolumitàetà dicontemporanea Amendolain facendolo fuggireprovincia di nascostoLucca, en. ricorrendo27/28 adel taledicembre scopo a un2006], escamotage<ref name="Alessandri">{{Cita pubblicazione|autore=Gp. Alessandri|titolo=Una126, testimonianzanota sull'aggressione subita da Giovanni Amendola a Pieve a Nievole|rivista=giuseppealessandri258.myblog.it|numero=22 aprile 2014}}</ref>.
 
Secondo quanto [[Giorgio Amendola]] raccontò di aver poi appreso dal padre<ref>Giorgio Amendola, ''Una scelta di vita'' (Rizzoli, 1976).</ref>, la fiducia concessa a Scorza riposava sul fatto che era stato garantito a Giovanni Amendola che sarebbe stato scortato da un contingente di carabinieri: invece, dopo il percorso concordato per l'uscita secondaria dell'albergo<ref>Secondo [https://giuseppealessandri.wordpress.com/2014/04/22/una-testimonianza-sullaggressione-subita-da-giovanni-amendola-a-pieve-a-nievole/ G. Alessandri, ''Una testimonianza sull'aggressione subita da Giovanni Amendola a Pieve a Nievole'', in giuseppealessandri.myblog.it, 22 aprile 2014], l' ''escamotage'' sarebbe stato il seguente. Mentre nella camera da lui occupata veniva posto accanto alla finestra un dipendente dell'albergo, in modo da far credere ai manifestanti che vi fosse ancora presente il politico campano, questi fu fatto uscire dall'ingresso secondario e quindi venne fatto salire sull'automobile (una Fiat 501, messa a disposizione assieme all'autista dal Garage Morescalchi) che avrebbe dovuto condurlo alla [[Stazione di Pistoia|stazione ferroviaria di Pistoia]]. Da qui sarebbe partito per [[Roma]] viaggiando in uno scompartimento riservato e per di più protetto da un tenente della Milizia con due militi. Non essendo alle 19 ancora giunto il contingente di carabinieri che avrebbe dovuto scortare</ref> Amendola lungotrovò ilin tragitto stradale, Scorza dispose che ad accompagnarlo fosseroautomobile tre giovani militanti fascisti locali, dueuno dei quali preseroalla postoguida, nellun secondo all'autointerno della vettura mentre il terzo, salito sul predellino, ne discese all'uscita dalla cittadina termale. Ma una volta superata [[Pieve a Nievole]], poco oltre l'incrocio della Colonna di Monsummano, la macchina fu costretta a fermarsi a causa di un tronco d'albero che ostruiva la strada: sceso per rimuoverlo, uno degli accompagnatori del parlamentare fu ripetutamente colpito con un bastone da un individuo apparso all'improvviso<ref name="Alessandri"/>.
Una volta superata [[Pieve a Nievole]], poco oltre l'incrocio della Colonna di Monsummano, la macchina fu costretta a fermarsi a causa di un tronco d'albero che ostruiva la strada: dal fosso di fianco alla carreggiata che da una stradina adiacente sbucarono vari aggressori, uno dei quali, armato anch'egli di bastone, raggiunto il lato destro della vettura, ne sfondò il finestrino posteriore, in corrispondenza del posto occupato da Amendola; questi fu poi colpito ripetutamente dagli aggressori fino a quando sopraggiunsero una dopo l'altra due automobili, inducendo i criminali - con ogni probabilità [[squadrismo|squadristi]] montecatinesi - a rinunciare definitivamente ai loro propositi e a fuggire.
 
Le lesioni subìte dal parlamentare furono molteplici e non tutte emersero nella concitazione del momento: il referto del pronto soccorso pistoiese, cui il ferito fu condotto, si limitava ad una prognosi di venti giorni, mentre a Roma fu elevata a trenta giorni e fu riservata per quanto atteneva al bulbo oculare<ref>Pietro Cappellari, ''Giovanni Amendola morì di cancro'', L'ultima crociata, 28/7/2022, secondo cui all’ospedale di Pistoia il medico di servizio Dott. Marracini rilasciò questo referto: «Contusioni multiple alla fronte, alla faccia, al ginocchio e al braccio sinistro e ferite lacero contuse al labbro inferiore e alla mano sinistra, contusione alla regione orbitaria sinistra e al globo oculare con emorragia sottocutanea». Invece secondo [https://giuseppealessandri.wordpress.com/2014/04/22/una-testimonianza-sullaggressione-subita-da-giovanni-amendola-a-pieve-a-nievole/ G. Alessandri, ''Una testimonianza sull'aggressione subita da Giovanni Amendola a Pieve a Nievole'', in giuseppealessandri.myblog.it, 22 aprile 2014], al pronto soccorso dell'[[Ospedale del Ceppo|ospedale di Pistoia]] furono medicati sia Amendola, «cui le schegge del vetro avevano provocato delle lesioni alla parte destra del capo», che il suo accompagnatore preso a bastonate.</ref>. Amendola si recò allora una prima volta in Francia, per sottoporsi a un trattamento chirurgico che limitasse i danni riportati al volto e alla testa: "gli hanno rasato i capelli perché si possa lavorare alle ferite", avrebbe ricordato il figlio Pietro<ref>Adducendo, per la datazione, una cartolina da Mont Dore (un paesino della ''Haute Saune''), 30 agosto 1925. C´è una dedica: «Un abbraccio da papà pelato»: {{Cita pubblicazione|autore=N. Ajello|titolo=L'assassinio di Giovanni Amendola|rivista=La Repubblica|numero=Roma, 5 aprile 2006}}.</ref> secondo cui, «tornato a Roma, gli cominciò la febbre. Lo ricordo, con il dolore provato allora, ricoperto di bende, esausto»<ref>{{Cita pubblicazione|autore=N. Ajello|titolo=L'assassinio di Giovanni Amendola|rivista=La Repubblica|numero=Roma, 5 aprile 2006}}</ref>.
Al contempo, sia dal fosso di fianco alla carreggiata che da una stradina adiacente sbucarono altri aggressori, uno dei quali, armato anch'egli di bastone, raggiunto il lato destro della vettura ne sfondò il finestrino posteriore, in corrispondenza del posto occupato da Amendola, il quale fu investito dai frantumi. L'agguato era evidentemente finalizzato a dare una lezione all'esponente antifascista; ma gli assalitori - con ogni probabilità [[squadrismo|squadristi]] montecatinesi - furono impediti nel loro intento delittuoso da due imprevisti verificatisi in rapida successione. Il secondo accompagnatore onorò fino in fondo il proprio ruolo di guardia del corpo, scendendo a sua volta dalla macchina ed esplodendo dei colpi di pistola in aria, a scopo intimidatorio; nello stesso tempo sopraggiunsero una dopo l'altra due automobili, inducendo i criminali a rinunciare definitivamente ai loro truci propositi e a fuggire. Al pronto soccorso dell'[[Ospedale del Ceppo|ospedale di Pistoia]] furono medicati sia Amendola, cui le schegge del vetro avevano provocato delle lesioni alla parte destra del capo, che il suo accompagnatore preso a bastonate. Dopodiché il deputato liberale poté finalmente raggiungere la stazione, ove, prima di salire sul treno, ringraziò calorosamente i due giovani montecatinesi che, con il coraggioso atteggiamento assunto a sua difesa, lo avevano salvato<ref name="Alessandri"/>.
 
PeggiorandoL’indebolimento fisico e lo shock post-traumatico peggiorarono, nei mesi successivi, le sue condizioni di salute, tanto che a fine anno, essendogli stato rilevato un [[ematoma]] all'emitorace sinistro, Amendola decise di andare a curarsi a [[Parigi]]. EssendogliAgli statoinizi rilevatodel un1926 [[ematoma]]venne all'emitoraceoperato sinistroper (un [[tumore]], secondo il figlio Giorgio)<ref>Cfr. Giorgio Amendola, ''Un'isola'', Milano, Rizzoli, 1980.</ref>, agli inizi del 1926 venne operato. Per favorire il decorso post-operatorio i familiari lo trasferirono a [[Cannes]], in [[Provenza]], presso la clinica Le Cassy Fleur: qui egli si spense, all'alba del 7 aprile 1926.<ref>La scelta di evidenziare l'eziologia tumorale come unica causa del decesso emerse sin dalla commemorazione in aula a Montecitorio, in cui lo si disse «Colpitocolpito da un male incurabile», secondo il sarcastico commento di [[Antonio Casertano]], [[Presidenti della Camera dei deputati (Italia)|Presidente della Camera dei deputati]]. Al contrario, sottolineano la concausa fisica e morale dell'aggressione, nel peggioramento delle condizioni di salute del deputato, [[Simona Colarizi]], ''I democratici all’opposizione'' (1973), [[Giampiero Carocci]], ''Giovanni Amendola nella crisi dello Stato italiano'' (1956) e [https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-penale/3056-una-risalente-ma-non-vecchia-vicenda-processuale-il-pestaggio-fascista-in-danno-dellon-giovanni-amendola-del-26-dicembre-1923 Costantino De Robbio, ''Una risalente (ma non vecchia) vicenda processuale: il pestaggio fascista in danno dell’on. Giovanni Amendola del 26 dicembre 1923'', Giustizia Insieme, 24 febbraio 2024].</ref> La salma fu dapprima tumulata a Cannes, sotto una lapide che recitava: «Qui vive Giovanni Amendola...aspettando»; nel 1950 fu traslata in Italia, e collocata nel [[Cimitero di Poggioreale]] a Napoli.
 
===Il processo===
La giustizia di regime non poté esimersi dall'aprire sull'attentato di Pieve a Nievole un procedimento d'ufficio, per quanto rivolto contro ignoti e destinato a finire rapidamente archiviato. L'indagine fu tuttavia riaperta nel 1945, risentendo inevitabilmente del particolare clima politico dell'immediato dopoguerra: nel nuovo impianto accusatorio il capo d'imputazione era omicidio premeditato, il mandante dell'aggressione veniva identificato nello stesso Scorza e i suoi esecutori individuati negli esponenti del Fascio montecatinese - a cominciare dall'ex podestà - compresi i tre accompagnatori di Amendola e a prescindere dal ruolo da ciascuno effettivamente assunto nella vicenda. Grazie a testimonianze emerse a distanza di 20 anni dai fatti venivano così messi sotto accusa non i responsabili dell'agguato (del resto mai identificati) bensì coloro che si erano adoperati per la salvezza del parlamentare; con Scorza giudicato in contumacia essendo nel frattempo riparato in Argentina. Pur essendo l'episodio avvenuto in territorio all'epoca lucchese, il procedimento si tenne presso il tribunale di Pistoia (dal 1927 capoluogo di provincia), andando avanti per tre anni e non modificando il proprio orientamento neppure dopo l'amnistia Togliatti del 1946, finalizzata a risolvere casi di questo genere nel segno della pacificazione nazionale.
 
Grazie all’amnistia a firma [[Alfredo Rocco|Rocco]] di dieci giorni dopo (il [[regio decreto]] 31 luglio 1925 n. 1277), “non venne allora istruito alcun procedimento penale”<ref>[[Archivio di Stato di Roma]], fondo Matteotti, vol. 81, Sentenza della Sezione istruttoria nel processo contro Mussolini e altri, 9 maggio 1946, p. 51; sull'effetto dell'amnistia v. anche Giancarlo Scarpari, ''Giustizia politica e magistratura dalla Grande Guerra al fascismo'', Il Mulino, Bologna, 2019.</ref>. L'indagine fu tuttavia riaperta nel 1945: nel nuovo impianto accusatorio il capo d'imputazione era omicidio premeditato, il mandante dell'aggressione veniva identificato nello stesso Scorza (giudicato in contumacia, essendo nel frattempo riparato in [[Argentina]]) e i suoi esecutori furono individuati negli esponenti del Fascio montecatinese - a cominciare dall'ex podestà - compresi i tre accompagnatori di Amendola.
Latitando non solo le prove, ma pure gli indizi, decisiva ai fini dell'esito del processo risultò la testimonianza dell'autista: il quale dichiarò che a costringerlo a fermarsi nel luogo in cui avvenne l'imboscata era stato l'accompagnatore seduto davanti (ossia quello colpito dal primo degli aggressori), puntandogli contro la pistola per poi immediatamente iniziare a percuotere Amendola con un bastone. Sennonché in un'udienza successiva il medesimo teste, incalzato dalle domande degli avvocati difensori, cadde in contraddizione sia rispetto alle dichiarazioni rilasciate in istruttoria che a quanto affermato in precedenza in aula, al punto di essere incriminato dal presidente della corte per falsa testimonianza; sull'attendibilità della sua deposizione gravò inoltre il fatto di non aver saputo rendere conto del motivo per cui egli avesse modificato a propria discrezione il percorso di fuga dall'albergo rispetto a quello indicatogli da un commissario di polizia<ref>{{Cita pubblicazione|autore=C. Martinelli|titolo=Incriminato l'autista che condusse l'on. Amendola|rivista=La Patria|numero=Firenze, 30 marzo 1947}}</ref>. Nel tentativo di difendersi l'autista sarebbe giunto a sostenere di essere stato costretto a dichiarare il falso dalle minacce ricevute da parte di tre individui penetratigli in casa la notte precedente la sua testimonianza allo scopo di imporgli la versione da sostenere in aula, terrorizzando sia lui che i familiari per mezzo delle armi impugnate.
 
LatitandoPur nonessendo soloil lereato proveavvenuto in territorio all'epoca lucchese, mail pureprocedimento glisi indizitenne a [[Pistoia]] (dal 1927 capoluogo di provincia), decisivain aiassenza di finiapplicabilità dell'esito[[amnistia Togliatti]] del processo1946. risultòDopo laun testimonianzadibattimento delltravagliato<ref>L'autista: il quale dichiarò che a costringerlo a fermarsi nel luogo in cui avvenne l'imboscata era stato l'accompagnatore seduto davanti (ossiache quelloperò parrebbe essere stato colpito dal primo degli aggressori), puntandogli contro la pistola per poi immediatamente iniziare a percuotere Amendola con un bastone. Sennonché in un'udienza successiva il medesimo teste, incalzato dalle domande degli avvocati difensori, cadde in contraddizione sia rispetto alle dichiarazioni rilasciate in istruttoria che a quanto affermato in precedenza in aula, al punto di essere incriminato dal presidente della corte per [[falsa testimonianza]]; sull'attendibilità della sua deposizione gravò inoltre il fatto di non aver saputo rendere conto del motivo per cui egli avesse modificato a propria discrezione il percorso di fuga dall'albergo rispetto a quello indicatogli da un commissario di polizia<ref>: {{Cita pubblicazione|autore=C. Martinelli|titolo=Incriminato l'autista che condusse l'on. Amendola|rivista=La Patria|numero=Firenze, 30 marzo 1947}}</ref>. Nelche tentativoandò diavanti difendersiper l'autistatre sarebbeanni, giuntoi agiudici sostenerepistoiesi diriconobbero esserela statocolpevolezza costrettodi atutti dichiararegli ilimputati falsocondannandoli dallea minacce30 ricevute da parteanni di trereclusione individuiper penetratigliconcorso in casaomicidio lapremeditato, nottea precedentepiena laconferma suadella testimonianzatesi alloaccusatoria scopoche divoleva imporgliun lacollegamento versionetra dail sosteneredecesso indel aula,deputato terrorizzandoliberale siae luile chepercosse ida familiarilui persubìte mezzonel dellecorso armi impugnatedell'agguato.
Nemmeno tale incidente valse tuttavia a modificare il convincimento dei giudici pistoiesi, i quali riconobbero la colpevolezza di tutti gli imputati condannandoli a 30 anni di reclusione per concorso in omicidio premeditato, a piena conferma della tesi accusatoria che voleva un collegamento tra il decesso del deputato liberale e le percosse da lui presuntivamente subite nel corso dell'agguato. Secondo la sentenza, Scorza, di concerto con i dirigenti del Fascio montecatinese, avrebbe tratto volutamente in inganno Amendola, mostrandoglisi preoccupato per la gravità della situazione ma al solo scopo di farlo cadere nel tranello architettato. Nelle motivazioni non venivano tuttavia spiegati diversi punti cruciali: a cominciare dall'aggravante della premeditazione, che se risultava giustificata nei confronti di chi avrebbe organizzato l'attentato appariva meno applicabile a chi, ingaggiato all'ultimo momento per un incarico del tutto inatteso, era rimasto vittima egli stesso della violenza degli aggressori.
 
La Cassazione poi accolse parzialmente il ricorso avanzato dalla difesa degli imputati<ref>Essi criticavano la sentenza nella parte in cui applicava l'aggravante della premeditazione: se risultava giustificata nei confronti di chi aveva organizzato l'attentato, appariva meno applicabile a chi, ingaggiato all'ultimo momento per un incarico del tutto inatteso come quello di autista, era rimasto vittima egli stesso della violenza degli aggressori.</ref>, rinviando il processo dinanzi alla corte d'appello di [[Perugia]]: qui la vicenda giudiziaria giunse a conclusione, nell'ottobre 1950, con l'assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove<ref>[https://giuseppealessandri.wordpress.com/2014/04/22/una-testimonianza-sullaggressione-subita-da-giovanni-amendola-a-pieve-a-nievole/ G. Alessandri, ''Una testimonianza, cit.''].</ref>.
L'incongruenza delle conclusioni della corte d'assise rispetto a quanto emerso in dibattimento indusse la Cassazione ad accogliere parzialmente il ricorso avanzato dalla difesa degli imputati, rinviando il processo dinanzi alla corte d'appello di Perugia: la quale rimediò alle forzature dei giudici di primo grado sia sottoponendo le testimonianze utilizzate a supporto della sentenza di condanna a un esame più scrupoloso, sia attribuendo la giusta rilevanza al referto del pronto soccorso pistoiese. Quest'ultimo infatti limitando i danni riportati da Amendola alle ferite causate dai vetri escludeva che egli fosse stato colpito con corpi contundenti non solo e non tanto dagli ignoti autori dell'aggressione, quanto dall'accompagnatore accusato di averlo percosso. A conferma del fatto che il parlamentare avesse riportato lesioni cutanee e non interne abbiamo inoltre la testimonianza del figlio Pietro, a detta del quale il 30 agosto 1925 il padre si trovava in una clinica francese, "dove è andato a sottoporsi a un trattamento chirurgico che limiti i danni riportati al volto e alla testa nella seconda aggressione, subita a Montecatini (...). Gli hanno rasato i capelli perché si possa lavorare alle ferite". Dalla degenza Amendola aveva difatti inviato alla famiglia una foto che lo ritraeva con la testa rasata<ref>{{Cita pubblicazione|autore=N. Ajello|titolo=L'assassinio di Giovanni Amendola|rivista=La Repubblica|numero=Roma, 5 aprile 2006}}</ref>.
 
La vicenda giudiziaria giunse a conclusione nell'ottobre 1950, con l'assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove<ref>{{Cita pubblicazione|autore=G. Alessandri|anno=|titolo=Una testimonianza, cit|rivista=|numero=|url=https://giuseppealessandri.myblog.it/2014/04/22/testimonianza-sullaggressione-subita-giovanni-amendola-pieve-nievole/}}</ref>.
 
== Gli eredi ==
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== Intitolazioni ==
I giornalisti italiani hanno dedicato alla memoria di Giovanni Amendola il loro [[Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani|Istituto di previdenza]] (INPGI).<ref>{{cita testo|url=https://www.odg.mi.it/memorial_amendola.asp|titolo=Giovanni Amendola, una vita per la democrazia (e il giornalismo)|accesso=11 novembre 2007|dataarchivio=21 ottobre 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20071021155717/https://www.odg.mi.it/memorial_amendola.asp|urlmorto=sì}}, di R.F.C.</ref><ref>{{cita web|url=http://www.inpgi.it/|titolo=INPGI |lingua= |data= |accesso=|}}</ref>
 
Esistono, inoltre, in molte [[città d'Italia]] decine di strade e di piazze a lui dedicate.
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== Note ==
=== Note esplicative e di approfondimento ===
<references />
<references group="N"/>
 
=== Note bibliografiche ===
<references />
 
== Bibliografia ==
* Eva Kühn Amendola, ''Vita con Giovanni Amendola'', Parenti, Firenze 1960.
* Giorgio Amendola, ''Una scelta di vita'', Rizzoli, Milano, 1976 ISBN 88-17-12610-1.
* {{cita libro | Giampiero | Carocci | wkautore = Giampiero Carocci | Giovanni Amendola nella crisi dello stato italiano (1911-1925) | 1956 | Feltrinelli | Milano |cid=Carocci 1956}}
* {{DBI|cid=Carocci 1960}}
* Simona Colarizi, ''I democratici all'opposizione: Giovanni Amendola e l'Unione Nazionale (1922-1926)'', Il Mulino, Bologna, 1973.
* Elio d'Auria (a cura di), ''Giovanni Amendola e la Crisi dello Stato Liberale. Scritti Politici dalla guerra di Libia all'opposizione al Fascismo'', Newton Compton Editori, Roma, 1974.
* Elio d'Auria, ''Liberalismo e democrazia nell'esperienza politica di Giovanni Amendola'', Società Editrice Meridionale, Salerno-Catanzaro, 1978.
* [[Giorgio Amendola]], ''Una scelta di vita'', Rizzoli, Milano, 1976 ISBN 88-17-12610-1.
* {{cita libro| nome= Antonio| cognome= Sarubbi| titolo= «Il Mondo» di Amendola e [[Alberto Cianca|Cianca]] e il crollo delle istituzioni liberali (1922-1926) | anno= 1986| editore= Franco Angeli| città=Milano | ed= | ISBN=|cid=Sarubbi, 1986}}
* Antonio Sarubbi, ''Il Mondo di Amendola e Cianca e il crollo delle istituzioni liberali (1922-1926)'', Milano, nuova ed. 1998 ISBN 978-88-464-0514-2.
* ''Giovanni Amendola tra etica e politica'', Atti del convegno di studi, Montecatini Terme 25-27 ottobre 1996, Pistoia, Edizione C.R.T., 1999
* Elio d'Auria, ''Liberalismo e democrazia nell'esperienza politica di Giovanni Amendola'', Società Editrice Meridionale, Salerno-Catanzaro, 1978.
* Gennaro Corvino, ''Sei lettere inedite'', Nocera Inferiore, 2005.
* Elio d'Auria, ''Giovanni Amendola: Epistolario 1897-1926'', 6 volumi, La Terza e La Caita, Roma-Bari, 1986-2011.
* Elio d'Auria (a cura di), ''Giovanni Amendola e la Crisi dello Stato Liberale. Scritti Politici dalla guerra di Libia all'opposizione al Fascismo'', Newton Compton Editori, Roma, 1974.
* {{cita pubblicazione|autore=Elio d'Auria|titolo=Una interpretazione liberal-democratica del totalitarismo: il problema del fascismo|url=https://revistes.ub.edu/index.php/cercles/article/view/16693/19644|rivista=Cercles. Revista d'Història Cultural|volume=3|anno=2000|pp=74-99|accesso=30 marzo 2022|cid=D'Auria 2000}}
* {{cita libro|Elio|d'Auria|capitolo=Aventino|Dizionario del liberalismo italiano|2011|Rubbettino|Soveria Mannelli|urlcapitolo=https://www.bibliotecaliberale.it/glossario/a/aventino/|isbn=9788849831054|cid=D'Auria 2011}}