Massimo d'Azeglio: differenze tra le versioni
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== Biografia ==
=== Famiglia e infanzia ===
{{dx|[[File:Camino Palazzo d'Azeglio.jpg|left|thumb|upright=0.9|Giuseppe Camino, ''Palazzo Taparelli d'Azeglio'']]}}
Massimo Taparelli d'Azeglio nacque a Torino, in via del [[teatro d'Angennes]], l'attuale via Principe Amedeo,
Figlio del marchese [[Cesare Taparelli d'Azeglio]], noto esponente della [[Restaurazione]] sabauda e del cattolicesimo subalpino, e di Cristina Morozzo della Rocca dei Marchesi di [[Bianzè]] (5 novembre 1770 - 22 febbraio 1838)<ref>https://gw.geneanet.org/rosatone?n=taparelli+d+azeglio&oc=&p=massimo</ref>, fu tenuto a battesimo da monsignor [[Giuseppe Morozzo Della Rocca]], che sarebbe poi diventato cardinale.<ref>
▲Figlio del marchese [[Cesare Taparelli d'Azeglio]], noto esponente della [[Restaurazione]] sabauda e del cattolicesimo subalpino, e di Cristina Morozzo della Rocca dei Marchesi di [[Bianzè]] (5 novembre 1770 - 22 febbraio 1838), fu tenuto a battesimo da monsignor [[Giuseppe Morozzo Della Rocca]], che sarebbe poi diventato cardinale.<ref>M. d'Azeglio, ''I miei ricordi'' (a cura di Francesco Zublena), Torino, Società Editrice Internazionale, 1923, p. 37</ref> I genitori vissero dapprima nel Castello di [[Azeglio]] (da cui il nome del marchesato), vicino al [[Lago di Viverone]], ma tutti i loro figli nacquero a [[Torino]].
[[File:Arms of the house of Taparelli.svg|thumb|Stemma della famiglia Taparelli d'Azeglio,]]▼
Dei suoi fratelli più noti si ricordano [[Luigi Taparelli d'Azeglio|Luigi]], presbitero [[Compagnia di Gesù|gesuita]] e cofondatore de ''[[La Civiltà Cattolica]]'', e [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto]], politico liberale come Massimo, promotore della campagna di emancipazione delle minoranze religiose del [[Piemonte]] ([[ebrei|giudei]] e [[Valdismo|valdesi]]). Si chiamava Roberto anche il fratello maggiore, che però nacque morto, nel 1789. Gli altri fratelli di Massimo morirono prematuramente: Giuseppe Luigi, subito dopo la nascita, nel 1796, Melania a soli 10 anni di [[tubercolosi|etisia]] (10 luglio 1797 - 15 agosto 1807), Metilde ventiduenne (24 novembre 1791 - 12 agosto 1813) ed Enrico a 30 anni (24 novembre 1794 - 2 settembre 1824).▼
▲Dei suoi fratelli più noti si ricordano [[Luigi Taparelli d'Azeglio|Luigi]], presbitero [[Compagnia di Gesù|gesuita]] e cofondatore de ''[[La Civiltà Cattolica]]'', e [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto]], politico liberale come Massimo, promotore della campagna di emancipazione delle minoranze religiose del [[Piemonte]] ([[ebrei|giudei]] e [[Valdismo|valdesi]]). Si chiamava Roberto anche il fratello maggiore, che però nacque morto
[[File:François-Xavier Fabre - The Holy Family.jpg|thumb|left|180px|[[François-Xavier Fabre]], ''La sacra famiglia'' (1801-02): il modello per Gesù bambino fu il piccolo Massimo d'Azeglio]]
[[File:Busto di Massimo D'Azeglio, Vincenzo Vela.jpg|thumb|Busto di Massimo D'Azeglio, [[Vincenzo Vela]], 1855-1865]]Per via dell'occupazione napoleonica, Massimo da bambino (con la famiglia) fu costretto a vivere per qualche anno a [[Firenze]], dove la domenica mattina si recava in casa della [[contessa d'Albany]] per recitarle i versi che lei gli faceva imparare durante la settimana e dove conobbe [[Vittorio Alfieri]], amante della contessa e caro amico del padre. D'Azeglio stesso racconta un episodio curioso: quando aveva quattro anni Alfieri lo condusse nello studio del pittore [[François-Xavier Fabre]], che usò il piccolo come modello per il Gesù Bambino della ''Sacra Famiglia'' a cui stava lavorando in quel momento. L'opera andò poi ad ornare una chiesa di [[Montpellier]].<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 47</ref> A Firenze ricevette un'educazione severa: in casa i genitori gli imposero un forte senso del dovere e studiò presso le [[Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie|Scuole Pie]] di Via Larga.[[File:Monumento a Massimo d'Azeglio.jpg|thumb|Monumento a Massimo d'Azeglio, [[Parco del Valentino]], [[Torino]]]]
=== L'attività artistica e letteraria ===
Alla fine del [[1810]], i Taparelli tornarono a [[Torino]], dove Massimo frequentò filosofia all'Università, «che cominciai all'età di circa tredici anni».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 75</ref> Il giovane non aveva grande amore per lo studio: seguì i corsi per dovere ma senza brillare, in un'indole vivace e gaudente che caratterizzò la sua giovinezza, riavvicinandolo all'austerità dell'educazione ricevuta solo in epoca più tarda. Il padre, intanto, forgiava nei figli uno spirito forte e pronto per le asperità della vita: «Nostro padre voleva vederci diventar uomini, anche fisicamente parlando».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 77</ref> Fu così che li iniziò al fioretto, al nuoto e all'equitazione, e presto li condusse a fare lunghe escursioni nei boschi simulando situazioni militari.
[[File:Battle of Legnano.png|thumb|left|upright=1.4|
Caduto [[Napoleone]] nel 1814, gli austriaci rientrarono in città tra il giubilo generale. Per [[papa Pio VII]] era possibile tornare a [[Roma]], «ed il re volle che gli giungesse quanto più presto si potesse un ''mi rallegro'' del capo della Casa di Savoia, nella quale era tradizionale lo sfottimento del papa. La scelta dell'inviato cadde sulla persona di mio padre; ed era certo impossibile trovare un più vero rappresentante del principio politico come della fede religiosa dei due principi».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 96</ref> Massimo accompagnò il padre a Roma, dove entrò in contatto con molti scultori e pittori del tempo: [[Antonio Canova|Canova]], [[Bertel Thorvaldsen|Thorvaldsen]], [[Christian Rauch|Rauch]], [[Vincenzo Camuccini|Camuccini]], [[Gaspare Landi|Landi]], tanto per fare qualche nome. Oltre ad approfondire quello che sarebbe rimasto il principale interesse culturale della propria vita, quello della pittura, si appassionò anche alla musica e alla poesia, conoscendo di persona il commediografo [[Gherardo de Rossi]] e il librettista [[Jacopo Ferretti]], nonché il musicista [[Niccolò Paganini]] e il compositore [[Gioachino Rossini]], con i quali condivise una notte di scherzi durante il carnevale romano del 1821.
Entrò quindi come allievo ufficiale militare [[sottotenente]] di Cavalleria ([[Piemonte Cavalleria|Reggimento "Reale Piemonte"]]), sulle orme del padre. Tuttavia, dopo qualche mese, abbandonò la carriera militare per dissensi nei confronti della classe aristocratica, ed entrò nella semplice fanteria (Guardia provinciale) con mansioni di segretariato, presso l'ambasciata sarda di Roma.
[[File:Eliseo Sala (1813-1879) Ritratto della marchesa Luisa d'Azeglio Blondel Maumery (1844 ca.) Galleria d'Arte Moderna di Milano.jpg|thumb|left|La seconda moglie di d'Azeglio, Luisa Maumary, in un ritratto di [[Eliseo Sala]]]]
Rientrato a Torino presso la famiglia, cambiò d'un tratto stile di vita, abbandonando i bagordi e dedicandosi interamente allo studio, continuando a dare la precedenza alla pittura, tanto che dormiva «in mezzo ai colori, agli oli, le vernici». Il mutamento fu tuttavia troppo drastico; la salute di d'Azeglio ne risentì, conducendolo a una sorta di esaurimento nervoso. Costretto a un periodo di riposo, cominciò presto a sentire nostalgia dell'ambiente romano, dove sognava di poter riprendere il proprio apprendistato artistico. I genitori acconsentirono allo spostamento, nella speranza di assistere a un miglioramento del figlio, e fu così che la madre, pur cagionevole di salute, si trasferì con lui e con il fratello Enrico a Roma.<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, pp. 131-133</ref>
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D'Azeglio continuò la propria attività di pittore e letterato, alternandosi tra i salotti intellettuali di Roma, [[Firenze]] e [[Milano]], dove conobbe Giulia, la figlia primogenita di [[Alessandro Manzoni]], sposandola nel maggio del 1831 ma rimanendone presto vedovo, nel 1834, l'anno successivo alla nascita di Alessandra,<ref>Alessandra nacque il 10 gennaio 1833 a Milano. Veniva sempre chiamata Alessandrina (o anche Rina): anche nell'atto di matrimonio che la legò al marchese Matteo Ricci, del 1852, si legge ''Alessandrina Taparelli d'Azeglio''</ref> la loro unica figlia.
Nel [[1828]]-[[1829]] soggiornò per un certo periodo a [[Sant'Ambrogio di Torino]] per dipingere le tavole del libro ''La [[Sacra di San Michele]] illustrata e descritta'' che pubblicò a Torino nel 1829. A Milano giunse due anni più tardi, dopo la morte del padre. Nella città meneghina riscosse grande successo come pittore. Spiegò nei ''Miei ricordi'' come Milano fosse allora culturalmente e artisticamente molto più vivace di Torino. Il clima ambrosiano si confaceva assai meglio al suo spirito libero: vi trovava «un non so che di abbondante, di ricco, di vivace, di attivo, che metteva buon umore a vederlo».<ref>
[[File:D'Azeglio Combattimento di Rinaldo e Gradasso.JPG|thumb|
[[File:D'AZEGLIO-Vita di lago con barca.jpg|thumb|left|
Si cimentò anche come scrittore; in linea con la temperie romantica, a cui si era mostrato fedele già nei quadri, scrisse il romanzo storico ''[[Ettore Fieramosca (romanzo)|Ettore Fieramosca]]'' (1833) ispirandosi quindi anche in letteratura al [[Ettore Fieramosca|famoso protagonista]] della [[Disfida di Barletta|disfida barlettana]]. Nel [[1834]] fu tra i primi frequentatori della casa di [[Clara Maffei|Clara]] e [[Andrea Maffei (poeta)|Andrea Maffei]] in via Tre Monasteri, nel primo embrione del [[Salotto Maffei|salotto]] che avrebbe animato i successivi decenni della vita artistica e politica milanese.<ref>D. Pizzagalli, ''L'amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento'', Milano 2004, pp. 16-17</ref> Il 24 agosto [[1835]] sposò in seconde nozze Luisa Maumary, vedova del proprio zio Enrico Blondel, che era fratello di [[Enrichetta Blondel|Enrichetta]], prima moglie di Manzoni.
Già pittore fin da giovanissimo, «scrittore di poemi cavallereschi e tragedie senza importanza»<ref>{{cita pubblicazione |nome= Elda Di Benedetto (a cura di) |titolo=Massimo D'Azeglio, Ettore Fieramosca |rivista=Narrativa per la scuola media |editore=Giunti Marzocco |città=Firenze |anno= 1986|numero= seconda di copertina |id= |pmid= |url= |lingua= |accesso= |abstract= }}</ref> dopo avere acquistato risonanza notevole con romanzi storici quali ''Ettore Fieramosca'' e ''[[Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni]]'' troviamo, postumo, ''I miei ricordi''. L'ideale politico di D'Azeglio si intravede nelle sue opere e a volte il suo credo riguardo all'Italia nascente come nazione appare ben dichiarato: «abbatter la forza senza la forza, la violenza senza violenza, la frode senza frode», fare un tipo di guerra «senza sparger goccia di sangue».<ref>{{cita pubblicazione |nome=Massimo |cognome=D'Azeglio |titolo= Siamo "nazione" da "Lutti di Lombardia", 1848|rivista=[[Achille Pellizzari]], ''Dai secoli''. Pagine di arte e di vita |editore=F.Perrella |città= Napoli|anno= 1911|mese=Giugno|pp= 774
Tornò poi a Torino, dove cominciò a interessarsi di politica attraverso il re [[Carlo Alberto]], con approccio [[liberalismo|liberale]] moderato.
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=== Gli anni della maturità: le operazioni militari e l'ingresso in politica ===
Al settembre [[1838]] risale il primo soggiorno fiorentino, dove si recò per raccogliere il materiale necessario alla stesura del secondo romanzo storico, ''Niccolò de' Lapi''. Nella città toscana, che d'Azeglio amò fin dall'inizio, entrò in contatto con gli intellettuali liberali del [[Gabinetto Vieusseux]], in particolare con il suo fondatore, [[Giovan Pietro Vieusseux]], e con [[Gino Capponi]]. Lasciò quindi [[Firenze]] per [[Milano]], ma vi tornò nel [[1840]] per un secondo breve soggiorno.<ref>M. de Rubris, ''Confidenze di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti'', Milano 1930, Arnoldo Mondadori, pp. 9-14</ref> Durante tale soggiorno si recò prima a [[Gavinana (San Marcello Piteglio)|Gavinana]], paese ove era stato ucciso [[Francesco Ferrucci]] nella [[Battaglia di Gavinana|battaglia del 1530]], e poi a [[San Marcello Pistoiese]], dove amò ascoltare la dizione di una certa Rosa, contadina nel podere Partitoio (peraltro analfabeta), dizione che definì «la parlata più pura e raffinata d'Italia», per dimostrare come, allora, nella montagna pistoiese si parlasse la vera lingua italiana, senza alcuna influenza dialettale. A San Marcello d'Azeglio soggiornò alla Locanda La Posta situata sulla strada granducale, adesso via Roma.<ref>Rif. "I miei ricordi" 1863 di
Nel 1838, a Firenze, conobbe il marchese [[Carlo Torrigiani]], con i suoi stessi ideali patriottici e con cui strinse una fraterna amicizia. Torrigiani lo introdusse alla frequentazione di casa Targioni, composta dal naturalista [[Antonio Targioni Tozzetti|Antonio]], dalla moglie [[Fanny Targioni Tozzetti|Fanny]], di [[Giacomo Leopardi|leopardiana]] memoria, e dalle loro tre figlie. Strinse un'amicizia particolarmente intensa con la più giovane, [[Teresa Targioni Tozzetti]], come testimonia il ricco carteggio che ci è pervenuto.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 13-24</ref>
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Dopo un viaggio in Romagna, avvenuto nel settembre 1845 con l'intento di raccogliere il consenso dei liberali sulla figura di Carlo Alberto per ottenere l'indipendenza italiana, scrisse ''Degli ultimi casi di Romagna'', in cui critica un'insurrezione che era stata tentata a Rimini.
Nel [[1848]], il colonnello d'Azeglio fu in prima linea nelle operazioni militari che coinvolsero il settentrione orientale della penisola. Si distinse come capo della difesa di [[Vicenza]], in una missione militare condotta con grande coraggio. Il 10 giugno, ripiegando da [[Monte Berico]], ridotto con una manciata di uomini e munizioni a fronte di un esercito austriaco molto più equipaggiato, fu ferito al ginocchio destro.<ref>N. Bianchi, ''Lettere inedite di Massimo d'Azeglio al marchese Emanuele d'Azeglio'', Torino 1883, p. 122</ref> Si diresse in seguito verso [[Ferrara]], sofferente e col timore di essere arrestato e quindi confinato, con ogni probabilità, in [[Moravia]]. Assistito dal Cardinal Legato [[Luigi Ciacchi]], rimase a Ferrara due settimane, prima di recarsi a [[Bologna]], dove soggiornò per tutto il mese di luglio.
Il 26 giugno, intanto, era stato eletto a deputato del [[Parlamento Subalpino]], per il collegio di [[Strambino]]. Ad agosto era a [[Firenze]], presso villa La Scalère. Nonostante fosse ancora convalescente, si impegnò attivamente alla diffusione delle proprie idee scrivendo articoli per ''[[La Patria (1847)|La Patria]]''. Verso la fine di novembre partì per rientrare a Torino, con l'intenzione di partecipare ai lavori del Parlamento. Durante il tragitto fu costretto a fermarsi diversi giorni a [[Genova]], colpito da un attacco di febbre. Il 10 dicembre ricevette una chiamata ufficiale del [[Carlo Alberto di Savoia|Re]], che voleva affidargli la [[Presidenza del Consiglio]] del [[Regno di Sardegna]], ma d'Azeglio declinò l'incarico durante l'udienza regale del 14.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 27-32</ref> Al suo posto fu [[Vincenzo Gioberti]] ad assumere l'incarico.
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Raggiunse quindi [[La Spezia]], in uno stato di profondo rammarico per l'evolversi della situazione italiana e ancora sofferente al ginocchio destro. Il 23 marzo ci fu la [[Battaglia di Novara (1849)|disfatta di Novara]], che gettò il d'Azeglio in uno sconforto ancora maggiore, addolorato inoltre dalla morte del diciottenne [[Ferdinando Balbo]] – il fratello di [[Prospero Balbo|Prospero]] – a cui era legato da sincera amicizia. Inviperito contro gli esponenti della [[Giovine Italia]], contro la Camera e contro lo stesso [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], pensò di ritirarsi a vita privata e ritornò a Sarzana, ma il 25 aprile ricevette la chiamata del nuovo re, [[Vittorio Emanuele II]], e gli fu nuovamente proposta la presidenza del Consiglio.<ref>G. Carcano (a cura di), ''Lettere di Massimo d'Azeglio a sua moglie Luisa Blondel'', Milano 1871, p. 326</ref> Fece di tutto per rifiutare, conscio di dover assumere le redini in un momento estremamente difficile, ma dovette piegarsi alla volontà del sovrano quando questi, il 6 maggio, firmò il decreto di nomina del nuovo Primo Ministro.<ref>M. de Rubris, cit., p. 51</ref>
Divenne
[[File:Camillo Benso Cavour di Ciseri.jpg|thumb|upright|Il [[conte di Cavour]]]]
L'anno successivo d'Azeglio si dimostrò favorevole alle famose [[leggi Siccardi]], che abolirono i privilegi del clero e attirarono sul Gabinetto le pronte risposte della Chiesa, incarnatesi con particolare veemenza negli articoli del sacerdote sanremese [[Giacomo Margotti]] e nell'intransigenza dell'[[arcidiocesi di Torino|arcivescovo di Torino]] [[Luigi Fransoni]], che arrivò a negare, in punto di morte, i sacramenti al ministro dell'Agricoltura [[Pietro De Rossi di Santarosa|Santarosa]], che aveva votato le leggi lesive dei diritti della Chiesa. In sostituzione del Santarosa, d'Azeglio fece il nome di [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], a cui era legato da amicizia dai tempi in cui il conte aveva fondato ''[[Il Risorgimento (Torino)|Il Risorgimento]]''. Nonostante le resistenze di Vittorio Emanuele, Camillo Benso fu nominato ministro con un decreto dell'11 novembre.<ref>M. de Rubris, cit., p. 68</ref>
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Tornata l'estate, d'Azeglio scelse ancora la costa ligure, soggiornando a [[Cornigliano]]. In questa stessa località, il 16 settembre Alessandrina, la sua unica figlia, si unì in matrimonio con il marchese [[Matteo Ricci (politico 1826-1896)|Matteo Ricci]], in una cerimonia a cui fecero da testimoni [[Alessandro Manzoni]] (nonno materno della sposa) e Emanuele d'Azeglio. L'autore dei ''Promessi Sposi'' conservò una viva emozione di quella giornata, felicitandosi con [[Teresa Borri]], sua seconda moglie, per il partito della nipote, che «non poteva essere più fortunata».<ref>G. Gallavresi, ''Manzoni intimo'', vol. III, Milano, Hoepli, 1923, p. 12</ref> Anche Massimo approvava con gioia l'unione, una sorta di toccasana capace di alleviare in parte il peso della carica pubblica, nonostante la separazione dolorosa dalla figlia: «questo matrimonio di Rina, così conveniente per tutt'i versi, mi fa proprio l'effetto di un compenso o di un riposo, che ha voluto accordarmi la Provvidenza [...] Anche a Rina, poverina, rincresce separarsi da me (perdoni la fatuità). Ma la vita è prosa e non romanzo, e bisogna spesso, anzi sempre, sagrificare l'amor che vi contenta all'amor che vi affligge, che è il solo vero e il solo utile»<ref>M. Ricci, ''Scritti postumi di Massimo d'Azeglio'', Firenze, 1871, p. 408</ref>, scrisse il 18 settembre alla marchesa [[Marianna Trivulzio Rinuccini]], con il consueto fiducioso abbandono nella fede cristiana.
[[File:Perrin F. - Vittorio Emanuele II - litografia - 1851.jpg|thumb
Era solo un lampo, la crisi governativa andava nuovamente acuendosi e il Re protestava vivacemente contro le decisioni della Camera, che aveva approvato in una seduta di fine luglio la legge sul [[matrimonio civile]], creando una nuova rottura nei rapporti con lo [[Stato Pontificio]]. D'altra parte, lo stesso d'Azeglio, sempre sofferente per la ferita alla gamba rimediata nella ritirata di Monte Berico ed esausto per il prolungarsi di un ruolo vissuto sin dall'inizio come puro sacrificio, non vedeva «l'ora di mutar mestiere».<ref>G. Carcano, cit., p. 395</ref> Il 22 ottobre prese la decisione definitiva: recatosi a [[Palazzina di caccia di Stupinigi|Stupinigi]], rimise il proprio mandato nelle mani del Re, proponendo Cavour come successore.<ref>M. de Rubris, cit., p. 90</ref>
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Tornato ad essere «un semplice mortale», promise sostegno al suo successore, aspirando soprattutto a tornare ad una vita lontana dai veleni della politica e dedita alla sua vera grande passione: la pittura. Nell'autunno del [[1852]] veniva a sapere dalla moglie Luisa che erano stati ritrovati album e studi di quadri accantonati parecchi anni prima. D'Azeglio chiese con insistenza di riaverli, rivolgendosi anche a quanti ricordava di averne prestati. Poiché il nipote Emanuele si trovava in [[Regno Unito]], gli chiese di ottenere per lui commissioni artistiche, e lo scopo non tardò a realizzarsi. D'Azeglio si recò oltre la Manica per i numerosi lavori che gli erano stati offerti, desideroso di ringraziare inoltre quegli uomini politici che lo avevano sostenuto negli anni trascorsi alla Presidenza del Consiglio. A [[Londra]] fu ricevuto dalla regina [[Vittoria del Regno Unito|Vittoria]] e da [[Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha|Alberto]], che lo invitarono a pranzo a corte.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 93-96</ref>
[[File:Massimo d'Azeglio foto (cropped).jpg|thumb|Massimo d'Azeglio, 1859-1861]]
Rifiutò inoltre tutte le onorificenze di cui voleva insignirlo il sovrano (tra queste, la nomina a generale e quella a cavaliere dell'ordine supremo dell'Annunziata). Tuttavia, pur volendo ritirarsi dalla cosa pubblica, continuava, per necessità e per amor di patria, a seguire da vicino l'evolversi della situazione politica: Cavour lo teneva in grande considerazione e si avvaleva costantemente del suo aiuto. Quando, nel dicembre [[1854]], il Piemonte guadagnò rilevanza internazionale aderendo all'alleanza con [[Francia]] e Inghilterra inviando un proprio contingente in [[Crimea]] – in risposta alle sollecitazioni delle due grandi potenze europee –, d'Azeglio si schierò tra i sostenitori dell'intervento. Il panorama politico era diviso sulla questione, tanto che il Ministro degli Esteri [[Giuseppe Dabormida|da Bormida]] si dimise protestando contro la decisione del governo, ma Cavour, favorevole all'alleanza, riuscì con la consueta abilità a prevalere, proponendo a d'Azeglio un nuovo mandato alla Presidenza del Consiglio.<ref>N. Bianchi, cit., p. 258</ref> D'Azeglio rifiutò l'offerta, ma sostenne Cavour nei propri obiettivi politici, conscio anch'egli dell'importanza decisiva di un futuro apporto francese e inglese per la causa risorgimentale.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 120 e ss.</ref>
L'alleanza fu votata il 10 febbraio alla Camera e il 3 marzo al Senato. Una lettera a Teresa Targioni del 25 gennaio, al pari di quanto scrisse un mese più tardi, certificano come d'Azeglio non avesse lesinato energie per giungere a questo risultato.<ref>La missiva del 25 è riportata in M. de Rubris, cit., pp. 123-124; per il secondo scritto cfr. G. Carcano, cit., p. 423</ref> Nello stesso periodo il clima politico viveva una situazione infuocata anche per l'approvazione della [[Crisi Calabiana#La Legge sui conventi|legge sui conventi]], che prevedeva la soppressione delle corporazioni religiose. La reazione veemente del cardinale segretario di Stato [[Giacomo Antonelli]] chiamava in causa anche d'Azeglio; questi replicò stizzito con l'articolo ''Il Governo di Piemonte e la Corte di Roma'', apparso su ''[[L'Opinione (quotidiano)|L'Opinione]]'' il 16 febbraio.<ref>A questo proposito scrisse lo statista a Teresa Targioni il 20 febbraio: «Ho consegnato a Gualterio alcune copie del mio monitorio al Card. Antonelli. Mi è rincresciuto di doverlo fare; ma dopo che ho usato tutti i riguardi a lui e alla sua curia, dopo che me ne stavo zitto e quieto a casa mia senza dar disturbo a nessuno, venirmi a dar del birbo, e darmelo lui che in compagnia de' fratelli non fa altro che empirsi le tasche da cinque anni in qua, era poi volerne troppo! Sicché ci son volute quattro parole a modo, e se l'è proprio cercate».</ref>
[[File:Franz Xaver Winterhalter Napoleon III.jpg|thumb
L'intervento in Crimea e la legge sui conventi erano per d'Azeglio due decisioni obbligate, anche se non se ne rallegrava: la guerra voleva pur sempre dire morti e lutti, e neppure la legge lo entusiasmava, «mal fatta e inopportuna e, secondo me, poco liberale. Ma anche questa è quasi una necessità farla passare».<ref>Lettera a Teresa Targioni del 10 aprile 1855, in M. de Rubris, cit., p. 127. Nella stessa missiva d'Azeglio annunciava le dimissioni del fratello Roberto da direttore della Reale Galleria (l'odierna [[Galleria Sabauda]]) e il suo subentro nella carica</ref>
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=== Le nuove sfide ===
[[File:Giacinto Provana di Collegno.jpg|thumb
{{Citazione|Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani|Massimo d'Azeglio<ref>https://www.raiscuola.rai.it/raiscuola/articoli/2021/06/1861-fatta-lItalia-bisogna-fare-litaliano-cb792f54-e83b-40d7-92c2-1680d2ab9d78.html</ref><ref>https://almanacco.cnr.it/articolo/678/fare-gli-italiani-furono-gli-scienziati</ref><ref>https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2009/05/24/NZ_26_PIED.html</ref>}}
Gli anni passavano e d'Azeglio, che non era più rivestito di alcun incarico politico, propendeva per una vita sempre più ritirata dalla cosa pubblica, pur continuando a parteciparvi con emozione e interesse. L'estate del [[1856]] lo vide più libero e con maggior tempo a disposizione, sicché riuscì a soggiornare nell'amata Firenze e a rivedervi i numerosi amici che vi abitavano.<ref>M. de Rubris, cit., p. 151</ref>▼
▲Gli anni passavano e d'Azeglio, che non era più rivestito di alcun incarico politico, propendeva per una vita sempre più ritirata dalla cosa pubblica, pur continuando a parteciparvi con emozione e interesse. L'estate del
Intanto, era nata a Torino una rivista, il ''Cronista'', a cui d'Azeglio cominciò a inviare con cadenza regolare i suoi ''Racconti, leggende, ricordi della Vita italiana'', dove ricordava eventi e personaggi a cui era stato legato, abbozzando già un proposito autobiografico che trovò sbocchi ben più importanti negli anni seguenti.
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Venne il Capodanno del [[1859]], e gli eventi che portarono nel giro di due anni all'unità nazionale cominciarono a prendere una direzione precisa. Napoleone III ruppe con l'Austria, suscitando una vasta eco in Italia. D'Azeglio era a Firenze, sempre intenzionato a restare ormai in disparte, ma le novità lo indussero a tornare in azione. Il 13 gennaio [[Francesco Arese Lucini (senatore)|Francesco Arese]] lo avvisò della possibile invasione austriaca del Piemonte.<ref>G. Carcano, cit., p. 457</ref> Il 18 lasciò Firenze, dopo aver scritto a Cavour manifestandogli la propria adesione. Quel giorno, a Torino, la Francia firmava il trattato con cui si impegnava a intervenire in difesa dei piemontesi qualora fossero stati invasi dalle forze austriache. Il Presidente del Consiglio accolse naturalmente con favore le parole di d'Azeglio, e non tardò a fargli sapere in una missiva del 21 come Vittorio Emanuele fosse altrettanto lieto di una sua nuova discesa in campo.<ref>L. Chiala, cit., III, p. 17</ref>
Il pretesto per andare a Roma e sondare segretamente la situazione fu offerto dal conferimento del collare dell'[[Ordine supremo della Santissima Annunziata]] a [[Edoardo VII del Regno Unito|Edoardo]], figlio della regina [[Vittoria d'Inghilterra]] e principe ereditario. Azeglio, che aveva trascorso un mese a Genova, partì alla fine di febbraio. Il 24 giunse a [[Livorno]], poi fece tappa a [[Siena]], quindi arrivò a Roma, ospite dell
A Roma fu ricevuto anche dal pontefice [[Papa Pio IX|Pio IX]], a cui portò i saluti di Vittorio Emanuele, e chiuse così gli impegni ufficiali che lo avevano portato nell'Urbe. Ora, «in visite di società [[...]] andava mascherando la parte del cospiratore». Nel frattempo Napoleone stava perdendo interesse per la causa italiana, e il colloquio che Cavour riuscì a ottenere il 29 marzo con l'imperatore e il ministro degli Esteri [[Alexandre Colonna Walewski|Walewski]] non produsse l'effetto sperato. Cavour, allora, decise di seguire il consiglio del nipote, Emanuele d'Azeglio, allora ambasciatore sardo a Londra, che gli suggerì di inviare lo zio in missione diplomatica a Parigi e Londra.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 188-189</ref> Il 1º aprile d'Azeglio viene raggiunto a Roma da un dispaccio di [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] che «all'una dopo mezzanotte» lo richiamava urgentemente a Torino, dove il sovrano voleva incontrarlo al più presto per comunicargli l'importante incarico.<ref>L. C. Bollea, ''Una silloge di lettere del Risorgimento'', Torino, Bocca, 1919, p. 54</ref>
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La congiuntura politica cominciava a volgere a favore del Regno di Sardegna: il progressivo allentarsi delle diffidenze del Regno Unito e le contemporanee minacce austriache sono viste come buona cosa. Era indubbiamente il momento migliore per essere attaccati, potendo schierare due grandi potenze al proprio fianco. Le parole che d'Azeglio scrive il 23 a Cavour sono in questo senso molto chiare: «La ''sommation'' de l'Autriche, juste au moment où notre conduite nous rendait les Benjamins de l'Angleterre, a été un de ces ternes à la loterie qui n'arrivent qu'une seule fois en un siècle»<ref>N. Bianchi, ''La politique du Comte Camille de Cavour de 1852 à 1861'', Turin, Roux et Favale, 1885, p. 347</ref> (L'intimazione austriaca, contemporanea alle simpatie che la nostra condotta riscuoteva in Inghilterra, è stata una di quelle fortune che capitano una sola volta in un secolo).
[[File:Gonin Massimo d'Azeglio.jpg|thumb|
L'11 luglio [[1859]] ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a [[Bologna]], dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio [[1860]] venne nominato Governatore della [[Provincia di Milano]], carica che tenne fino al 17 marzo [[1861]], allorquando fu nominato prefetto [[Giulio Pasolini]].
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=== Gli ultimi anni ===
[[Massoneria in Italia|Massone]], durante le elezioni massoniche del 23 maggio [[1864]], che ebbero luogo a Firenze nel tempio della [[Loggia massonica|loggia]] ''Concordia'' e che videro [[Giuseppe Garibaldi]] eletto come [[Gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]], con 45 voti su 50 delegati votanti, un voto andò a Massimo D'Azeglio<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori'', Erasmo ed., Roma, 2005, pp. 263-264.</ref>. Nonostante la sua appartenenza alla Massoneria, d'Azeglio rimase sempre convintamente [[Chiesa cattolica|cattolico]]<ref>Fatto comunque non incredibile all'epoca: lo stesso reazionario [[Joseph de Maistre|de Maistre]] fu affiliato ad una loggia massonica conservatrice</ref>.
Durante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul [[lago Maggiore]], si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo ''I miei ricordi'' nel [[1867]]. Massimo D'Azeglio morì in via Accademia Albertina<ref>{{cita libro|capitolo=Nota biografica|nome=Matteo|cognome=Ricci|titolo=I miei ricordi|url=https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog|anno=1899|editore=G. Barbèra|città=Firenze|p=[https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog/page/n119 104]}} Abitava infatti in via Accademia Albertina 2, come rivelato da una lettera alla moglie del 12 ottobre 1865</ref> a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica (porticato) del [[Cimitero monumentale di Torino]].
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== Adattamenti cinematografici ==
Dal suo romanzo ''[[Ettore Fieramosca
* ''[[Ettore Fieramosca (film 1909)|Ettore Fieramosca]]'' di [[Ernesto Maria Pasquali]] ([[1909]])
* ''[[Ettore Fieramosca (film 1915)|Ettore Fieramosca]]'' di [[Domenico Gaido]] e [[Umberto Paradisi]] ([[1915]])
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== Onorificenze ==
Il monumento che lo raffigura nel parco del Valentino reca la seguente iscrizione
<div style="text-align:center">
<small>Per tramandare ai futuri il nome illustre di Massimo d'Azeglio Re Vittorio Emanuele II che l'ebbe ministro in tempi difficilissimi e lo chiamò amico il municipio torinese e molti cittadini italiani innalzarono questo monumento</small></div>
Un altro lato del medesimo riporta una parte del suo testamento politico del 2 luglio 1857
<div style="text-align:center">
<small>Ricordo agl'italiani che l'indipendenza d'un popolo è conseguenza dell'indipendenza dei caratteri chi è servo di passioni municipali e di setta non si lagni di esserlo degli stranieri. Rimanga la mia memoria nel cuore degli uomini onesti e dei veri italiani e sarà questo il maggior onore che le si possa rendere e che io sappia immaginare.</small></div>
=== Onorificenze sabaude ===
{{Onorificenze
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}}
{{Onorificenze
|immagine=
|nome_onorificenza=Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine di Leopoldo (Belgio)
|collegamento_onorificenza=Ordine di Leopoldo
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}}
{{Onorificenze
|immagine=PRT Order of Christ - Grand Cross BAR.
|nome_onorificenza=Gran Croce dell'Ordine del Cristo (Regno del Portogallo)
|collegamento_onorificenza=Ordine del Cristo (Portogallo)
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|tipologia = incarico governativo
|carica = Prefetto della [[Provincia di Milano]]
|immagine = Provincia di Milano-Stemma.
|periodo = [[1860]]-[[1861]]
|precedente = Titolo inesistente
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}}
{{Romanticismo}}
{{Presidente del Consiglio Regno di Sardegna}}
{{Controllo di autorità}}
|