Biennio rosso in Italia: differenze tra le versioni
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|Casus = Crisi economica ed elevata povertà causate dalla [[prima guerra mondiale]]
|Esito = Fine pacifica o soppressione violenta delle rivolte
|Schieramento1 = [[File:Red_flag.svg|20px|
|Schieramento2 = {{bandiera|ITA 1861-1946}} Forze dell'ordine<br />Militanti di [[Destra (politica)|destra]]
}}
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== Premesse ==
=== La crisi economica
[[File:I mutilati chiedono il pane al Governo.jpg|
L'economia italiana si trovava in una situazione di grave crisi, iniziata già durante la guerra e che si protrasse a lungo; infatti, nel biennio 1917-1918 il reddito nazionale netto era sceso drasticamente, e rimase, fino a tutto il 1923, ben al di sotto del livello d'anteguerra<ref name="Cande">{{Cita|Candeloro|p. 229}}.</ref>, mentre il tenore di vita delle classi popolari era, durante la guerra, nettamente peggiorato; secondo una statistica, fatto pari a 100 il livello medio dei salari reali nel 1913, questo indice era sceso a 64,6 nel 1918<ref>{{Cita|Candeloro|p. 236}}.</ref>. Nell'immediato dopoguerra si verificarono inoltre un ingentissimo aumento del debito pubblico<ref>{{Cita|Candeloro|p. 225}}.</ref>, un forte aggravio del deficit della bilancia dei pagamenti<ref name="Candeloro">{{Cita|Candeloro|p. 281}}.</ref>, il crollo del valore della [[Lira italiana|lira]]<ref name="Cande" /> e un [[Inflazione|processo inflattivo]] che portò con sé la repentina diminuzione dei salari reali<ref name="Candeloro"/>. Il peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari (già duramente provate dalla guerra) fu la causa immediata dell'ondata di scioperi e di agitazioni, iniziata nella primavera del 1919, alla quale non rimase estranea nessuna categoria di lavoratori, sia nelle città sia nelle campagne, compresi i pubblici dipendenti, cosicché l'anno 1919 totalizzò complessivamente in Italia oltre 1 800 scioperi economici e più di {{formatnum:1500000}} scioperanti<ref name="Candeloro"/>.
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=== I riflessi della rivoluzione russa ===
[[File:Giacinto Menotti Serrati — candidato socialista al iii collegio.png|
La [[Rivoluzione russa]] che nel marzo 1917 aveva portato alla costituzione del [[Governo provvisorio russo|Governo Provvisorio Russo]] sotto la guida di [[Aleksandr Fëdorovič Kerenskij|Aleksandr Kerenskij]] aveva subito ottenuto il sostegno morale dei [[Partito Socialista Italiano|socialisti italiani]] e dell{{'}}''[[Avanti!]]'' che in essa intuivano già gli ulteriori sviluppi<ref>«I socialisti italiani e la classe operaia videro oltre, e quasi anticiparono quello che poi fu realmente lo sviluppo della rivoluzione di marzo, compresero che la lezione della Russia era qualcosa di nuovo.» {{Cita|Vivarelli, I|p. 106}}.</ref>. L{{'}}''Avanti!'' il 19 marzo scrisse: «la bandiera rossa issata dal proletariato di Pietrogrado ha ben altro significato che un'adesione delle masse della Russia lavoratrice alla presente situazione creata dagli imperialismi di tutti i paesi»<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 106}}.</ref>. La notizia degli avvenimenti russi giunse in Italia in un momento particolarmente difficile, sia sul fronte militare sia nel settore economico e già alla fine di aprile in parte ispirarono disordini soprattutto a [[Milano]] causati dalla carenza del riso<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 107}}.</ref>. I socialisti accentuarono la richiesta di arrivare alla pace ma aggiungendo anche espliciti inviti alla ribellione<ref name="Mulino 2012">{{Cita|Vivarelli, I|p. 108}}.</ref>. Ad agosto a [[Torino]], in occasione della visita di una delegazione russa in Italia, vi furono manifestazioni di operai che accolsero i delegati al grido di "''Viva Lenin''"<ref name="Mulino 2012"/> e che in poche settimane raggiunsero il culmine con la più violenta sommossa registrata in Italia durante la guerra<ref>{{Cita|Vivarelli, I|pp. 108-109}}.</ref>. I moti ebbero luogo fra il 22 e il 27 agosto e si chiusero con un bilancio di circa cinquanta morti fra i rivoltosi, circa dieci fra le forze dell'ordine e circa duecento feriti; vi furono un migliaio di arrestati; di essi, varie centinaia furono condannati alla reclusione in carcere<ref>{{Cita|Candeloro|p. 172}}.</ref>. La [[Moti di Torino (1917)|sommossa di Torino]], indubbiamente spontanea in quanto causata dalla contingente mancanza di pane, era comunque frutto della intensa propaganda socialista<ref>{{Cita|Vivarelli, I|pp. 113-114 }}.</ref> e della sconfitta del [[Regio Esercito]] nella [[battaglia di Caporetto]] aprì scenari che avrebbero favorito una rivoluzione in Italia<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 116}}.</ref>.
L'esaltazione di Lenin e della Russia, che fece molta presa sulla classe operaia dell'epoca, fu soprattutto dovuta al direttore dell{{'}}''Avanti!'' [[Giacinto Menotti Serrati]] e la rivoluzione russa, presso i [[Massimalismo (politica)|massimalisti]], fu considerata "uno sbocco necessario della situazione italiana"<ref>{{Cita|Vivarelli, I|pp. 110-111}}.</ref>, ma in realtà i dirigenti socialisti davanti a una massa in parte politicizzata non avevano idea di come dirigerla e dopo averla fomentata tentarono inutilmente di ricondurla alla legalità<ref>«Di fatto, l'iniziativa rivoluzionaria delle masse rimase del tutto abbandonata a se stessa, condannata a estinguersi come un fuoco di paglia, e i dirigenti socialisti, pur senza sconfessare l'azione popolare alla quale anzi concedevano il loro plauso sentimentale, si adoperarono per ricondurre le masse all'ordine.» {{Cita|Vivarelli, I|p. 114}}.</ref>. Inoltre, il Partito Socialista nell'ultimo anno di guerra accentuò le proprie divisioni interne e anche alla sua sinistra nacque una corrente "intransigente rivoluzionaria" che scavalcò anche i [[Massimalismo (politica)|massimalisti]] a sinistra mentre l'ala riformista di destra a seguito di Caporetto sentì il dovere di sostenere lo sforzo bellico contro l'invasione nemica<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 117}}.</ref>. Note sono le parole del ''leader'' riformista [[Filippo Turati]] al Parlamento: «L'onorevole Orlando ha detto: Al Monte Grappa è la Patria. A nome dei miei amici ripeto: Al Monte Grappa è la Patria»<ref name=storiaill>"Monte Grappa tu sei la mia Patria", su ''Storia illustrata'' nº 299, ottobre 1982, p. 13</ref>. La [[Rivoluzione d'ottobre]] in Russia in ogni caso rafforzò la corrente massimalista, ma soprattutto quella intransigente del Partito Socialista che aveva i suoi principali centri a [[Roma]], Torino, Milano, [[Napoli]] e [[Firenze]] e di cui divenne la vera e propria avanguardia<ref>{{Cita|Vivarelli, I|pp. 120-121}}.</ref>.
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=== La reazione antisocialista ===
{{Vedi anche|Squadrismo}}[[File:L'Ardito copia dell' aprile 1919.jpg|
La radicalizzazione delle posizioni politiche socialiste polemiche con la guerra appena conclusa giocava inoltre a favore delle organizzazioni nazionaliste che si ersero a difesa della [[Armistizio di Villa Giusti|vittoria]] e a custodi dell'ordine<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 357}}.</ref>. L'antisocialismo dei nazionalisti, ribattezzato [[anticomunismo|antibolscevismo]], che seppur avesse radici più lontane, trovò nuova linfa nell'ostilità dimostrata dai socialisti nei confronti della "Vittoria" di una Patria definita come un'"inganno borghese"<ref name="ReferenceA">{{Cita|Vivarelli, I|p. 358}}.</ref> rendendo presso i nazionalisti il concetto di patriottismo indissolubilmente legato a quello di antisocialismo<ref name="ReferenceA"/>.
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=== Gli scioperi contro il carovita ===
L'11
Il nuovo presidente del consiglio [[Francesco Saverio Nitti]] cercò di venire incontro alle istanze degli operai e dei contadini operando però un netto discrimine tra le agitazioni sociali. Distinguendo tra agitazioni economiche che le forze dell'ordine avrebbero dovuto mantenere nella legalità ma verso le quali il Governo intendeva cercare una mediazione e le agitazioni politiche considerate "sovversive" che non sarebbero state tollerate<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 471}}.</ref>. L'intendimento di Nitti però si scontrò con il [[Partito Socialista Italiano|Partito Socialista]] che, accusandolo di essere "giolittiano", si rifiutò di scendere a compromessi con rappresentanti della borghesia: «Siamo lieti di trovarci di fronte ad altro governo di coalizione borghese, perché ancora e sempre il nostro bersaglio non sarà l'uno o l'altro partito, ma tutti i partiti borghesi. E faremo altrettanto contro i governi che si ergeranno a sostituire l'attuale...»<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 472n}}.</ref>. L'intransigenza socialista portò il partito a convergere sempre più con gli [[anarchia|anarchici]] ingenerando la convinzione nei contemporanei della nascita di un "bolscevismo italiano"<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 472}}.</ref> in cui le [[bandiera rossa|bandiere rosse]] socialiste si affiancarono sempre più spesso alle rosso-nere anarchiche.
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{{Citazione|La propaganda fatta da parecchi mesi dagli elementi estremisti aveva creato la speranza del prossimissimo fatto rivoluzionario che doveva dare il potere alla dittatura del proletariato. Questo stato d'animo era diffusissimo nelle folle, e poiché a queste non si può attribuire una capacità di valutare in tutta la complessità loro i fatti storici avvenuti o che avvengono, si comprende facilmente il perché l'annuncio dello sciopero di protesta apparve-anche perché da taluno così venne chiamato- lo sciopero "''espropriatore''". Il non avvenuto fatto rivoluzionario portò non diciamo uno scoramento, ma una violenta correzione alle speranze degli operai e, contemporaneamente, rialzò la debole volontà industriale di lanciarsi in una lotta che stroncasse la potenza del sindacato operaio.|[[Ludovico D'Aragona]] segretario della [[Confederazione Generale del Lavoro]]<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 482n}}.</ref>}}
[[File:Nicola Bombacci 3 (cropped).jpg|
Da molte parti si sperava, o all'opposto si temeva, una rivoluzione socialista simile a quella avvenuta in [[Russia]] nel 1917. In particolare, le aspettative si rivolgevano all'opera di [[Nicola Bombacci]]<ref>V. Daniele Dell'Orco, ''Nicola Bombacci. Tra Lenin e Mussolini'', Historica, Roma 2012. ISBN 978-8896656570</ref>, {{
Inoltre l'allarmismo, causato dai continui richiami rivoluzionari e dagli echi della [[Internazionale Comunista|Terza Internazionale]], contribuì a creare in seno alle forze armate e al governo una sostanziale avversione contro le iniziative definite sovversive nelle quali, indistintamente, venivano compresi sia i socialisti che gli anarchici<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 484}}.</ref>. Per di più, proprio in occasione dello sciopero del 20-21 luglio numerose informative riservate segnalavano al Governo intenti rivoluzionari finalizzati alla conquista del potere da parte dei cosiddetti "sovversivi" e una pericolosa propaganda tra le truppe. Oltre a ciò si aggiunsero ulteriori segnalazioni circa l'arrivo in Italia di inviati del [[Comintern]] con il compito di attuare un'insurrezione<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 486}}.</ref>.
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Le manifestazioni e le azioni repressive si moltiplicarono anche nel resto del Paese. Il 7 marzo, durante una manifestazione presso la Casa del Popolo di [[Siena]], i carabinieri spararono e uccisero il ferroviere socialista Enrico Lachi. Il 3 aprile a [[San Costanzo]] ([[Provincia di Pesaro|PS]]) un socialista fu ucciso da un militante popolare. Il 5 aprile una manifestazione sindacale a [[San Matteo della Decima|Decima]] di [[Persiceto]] venne repressa nel sangue dai carabinieri. Nell'[[eccidio di Decima]] si contano otto morti e oltre trenta feriti. Il 7 aprile a [[Modena]], durante lo sciopero generale per i morti di Decima, una manifestazione venne nuovamente repressa brutalmente dai carabinieri: cinque morti. Il 9 aprile [[Nardò]] fu teatro di un'insurrezione contadina scoppiata alla notizia del massacro di Decima. Il giorno seguente reparti dell'esercito e delle forze dell'ordine giunsero in paese per reprimere i tumulti. Tre manifestanti e un poliziotto rimasero uccisi.
Il 18 aprile scoppiarono disordini anche a [[Raiano]] contro l'aumento del costo dell'acqua. Si verificarono scontri tra la folla, che voleva invadere il municipio, e le forze dell'ordine poste a difesa dell'edificio. Morirono un commissario di pubblica sicurezza e tre dimostranti. Il 28 aprile a Roma, al termine di una manifestazione socialista pro [[Unione Sovietica]], le forze dell'ordine caricarono la folla. Davanti al [[Colosseo]] la guardia regia Umberto Basciani venne disarcionata e pugnalata a morte da un dimostrante<ref>[https://www.cadutipoliziadistato.it/caduti/basciani-umberto/ Caduti Polizia di Stato - ''Basciani Umberto'']</ref>. Rimasero feriti anche un poliziotto e una passante. A [[Fiume (Croazia)|Fiume]], il 20 aprile gli autonomisti di [[Riccardo Zanella]], ostili ai [[Impresa di Fiume|legionari dannunziani]], con l'appoggio dei socialisti, proclamarono lo sciopero generale.<ref>{{Cita|Franzinelli e Cavassini|p. 218}}.</ref>.[[File:Napoli il corteo del 1° maggio 1920 è disperso dalle guardie regie.jpg|
Il 1º maggio, in occasione della [[festa dei lavoratori]], furono indetti cortei nelle principali città che in alcuni casi furono dispersi dalla polizia come a Torino e a Napoli. Un nuovo sciopero indetto contro l'aumento del prezzo del pane indebolì il [[Governo Nitti II|secondo governo Nitti]], che si dimise il 9 giugno 1920 per lasciare il posto all'ottantenne [[Giovanni Giolitti]] che formò il suo [[Governo Giolitti V|quinto esecutivo]]. Manifestazioni e cortei proseguirono ininterrotti per lungo tempo con vittime sia tra i militari che tra i manifestanti. Il 1º maggio in [[piazza Statuto]] a Torino la Pubblica Sicurezza caricò i manifestanti, uccidendone due. Un commissario venne ucciso da una bomba. A [[Pola]] i bersaglieri uccisero quattro manifestanti e ne ferirono una trentina. Un morto a [[Vicenza]]. A [[Brendola]] negli scontri con i popolari i socialisti lamentarono un morto. Un morto tra i popolari a [[Paola (Italia)|Paola]] (CS) durante degli incidenti con i socialisti.
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Il 10 maggio le forze dell'ordine spararono e uccisero tre contadini che avevano preso parte all'occupazione di alcune terre a [[Magione (Italia)|Magione]]. L'11 maggio i carabinieri spararono contro dei minatori in sciopero ad [[Iglesias (Italia)|Iglesias]] uccidendone sei e ferendone una quarantina. Il 13 giugno un gruppo di socialisti milanesi giunto a [[Rho]] (MI) aggredì un gruppo di fedeli davanti al [[Santuario dell'Addolorata (Rho)|Santuario dell'Addolorata]]. Rimase ucciso da un colpo di pistola il cattolico Angelo Minotti<ref>[http://www.santiebeati.it/dettaglio/95505 Santi e Beati - ''Angelo Minotti'']</ref>. Il 22 giugno 1920, dopo un comizio indetto alla Camera del Lavoro all'Arena, gli anarchici si scontrarono duramente con la polizia che uccise sei manifestanti. Il giorno seguente, gli operai e i tranvieri scesero in sciopero. A metà mattinata un gruppo di manifestanti bloccò i mezzi pubblici in transito in piazzale Loreto. Il vicebrigadiere dei Carabinieri, in servizio presso la legione Milano, [[Giuseppe Ugolini (militare)|Giuseppe Ugolini]], mentre si trovava a bordo di un tram in corso Buenos Aires, venne intercettato da circa duecento manifestanti anarchici. Circondato dalla folla, rifiutatosi di consegnare il fucile, aprì il fuoco uccidendo l'operaio Alfredo Cappelli e l'ex guardia di finanza Francesco Bonini e ferendo tre persone. Subito dopo venne linciato dai manifestanti<ref>Mimmo Franzinelli, ''Squadristi'', Milano, Oscar Mondadori, 2009, p. 291</ref>. Poche ore dopo venne lanciata una bomba contro le vetrate di un ristorante al cui interno si trovavano alcuni militari. Rimase ferito mortalmente un capitano dell'esercito.
Il 23 giugno a [[Parabita]] i contadini locali in sciopero furono caricati dai carabinieri che spararono e uccisero quattro manifestanti. Lo stesso giorno a [[Mammola (Italia)|Mammola]] i contadini locali che chiedevano lavori pubblici contro la disoccupazione che attanagliava il territorio occuparono il municipio issando la bandiera rossa. Dopo alcuni arresti effettuati dalla forza pubblica i dimostranti organizzarono un corteo di protesta sciolto a fucilate dai carabinieri con il saldo di un morto.
Il 26 giugno a [[Piombino]] scoppiò una rivolta contro il migliaio di licenziamenti annunciato dalla direzione dell'[[Stabilimento siderurgico di Piombino|ILVA]]. Vennero attaccate le proprietà della borghesia e dei ceti più benestanti della cittadina scatenando la durissima reazione delle forze dell'ordine: tre morti, decine di feriti e una ventina di arresti. Il 27 giugno a [[Sarezzo]] un gruppo di socialisti e di anarchici cercò di interrompere una manifestazione sindacale indetta dalle leghe cattoliche. Negli incidenti che ne seguirono rimase ucciso da un colpo di pistola un carabiniere. I commilitoni del caduto aprirono allora il fuoco sui dimostranti uccidendo quattro socialisti<ref>[https://www.valtrompiastorica.it/index.php/avvenimenti-storici/il-novecentpo Val Trompia Storica - ''La prima metà del Novecento'']</ref>.
Il 15 luglio a [[Panicale]], nel corso di una manifestazione sindacale, i [[fatti di Panicale|carabinieri spararono e uccisero sei contadini]]. Il 17 luglio a [[Monterongriffoli]] di [[Montalcino]], l'arresto di tre contadini da parte dei carabinieri, impegnati a proteggere dei crumiri che stavano mietendo il grano, scatenò una rissa. Le forze dell'ordine spararono uccidendo tre manifestanti e ferendone sei<ref>[Toscana Novecento - ''L’eccidio di Monterongriffoli, 17 luglio 1920.'']</ref>.
Il 26 luglio una manifestazione di contadini a [[Randazzo]], indetta per chiedere una distribuzione pubblica di cibo, fu repressa a fucilate dai carabinieri: sette morti e una trentina di feriti. Il giorno seguente a [[Catania]] venne indetto lo sciopero generale e si registrarono scontri tra i manifestanti e la forza pubblica: cinque morti e numerosi feriti.
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=== La rivolta dei Bersaglieri ===
{{vedi anche|Rivolta dei Bersaglieri}}
[[File:Estensione della Rivolta dei Bersaglieri - giugno 1920.jpg|
Nel frattempo, allo scopo di sedare le rivolte nel [[protettorato italiano dell'Albania]], il [[Governo Giolitti V|governo Giolitti]] decise di inviare nuovi reparti militari a supporto del governo locale. L'11 giugno 1920 a [[Storia di Trieste|Trieste]], un gruppo di [[arditi]] di un reggimento d'assalto in attesa di imbarcarsi per l'Albania usò le armi contro gli ufficiali, causando due morti e diversi feriti<ref>Angelo Visintin, ''Una città in grigioverde'', in ''Storia e Dossier'', p. 16, ottobre 1992.</ref>.
Nella notte tra il 25 e il 26 giugno anche un reparto di bersaglieri destinati a partire per l'Albania si ammutinò prendendo il controllo della caserma Villarey ad Ancona. La popolazione locale solidarizzò con gli ammutinati iniziando ad armarsi nonostante l'opposizione dei partiti e dei sindacati. Nel pomeriggio del 26, in seguito a trattative con alti ufficiali dell'esercito, l'ammutinamento dei bersaglieri cessò. Nel frattempo in città furono erette barricate per impedire l'arrivo di militari, carabinieri e guardie regie e la protesta pacifista prese l'aspetto di un'insurrezione armata unita dal motto "Via da Valona", chiedendo la fine del [[protettorato italiano dell'Albania]], visto come un attacco alla libertà dei popoli. Si registrano sparatorie in tutta Ancona tra sovversivi e forze dell'ordine.
La rivolta si espanse anche in altre cittadine marchigiane, come Jesi, Pesaro, Osimo, Fabriano e Porto Civitanova. Disordini si registrano anche in [[Romagna]] ([[Rimini]], [[Cesena]], [[Forlimpopoli]] e [[Forlì]]), in [[Umbria]] ([[Terni]] e [[Narni]]), in [[Lombardia]] ([[Cremona]] e Milano) e a Roma. Negli scontri si registrano complessivamente una trentina di morti. Quando il re ordinò l'invio delle [[Regia guardia per la pubblica sicurezza|guardie regie]] per ristabilire l'ordine, fu indetto uno sciopero nazionale da parte del sindacato dei ferrovieri per impedire che i militi potessero arrivare ad Ancona. Infine il moto fu sedato il 27 giugno solo grazie all'intervento della marina militare, intervenuta per bombardare la città<ref>Ruggero Giacomini, ''La rivolta dei bersaglieri e le giornate rosse. I moti di Ancona dell'estate 1920 e l'indipendenza dell'Albania'', Ancona, Assemblea legislativa delle Marche/ Centro culturale "La Città futura", 2010.</ref>. Il fatto però convinse il governo italiano a rinunciare all'occupazione: con il [[Trattati di Tirana|trattato di Tirana]], siglato il 20 luglio 1920, e il trattato di amicizia con gli albanesi, firmato il successivo 2 agosto 1920, l'Italia riconobbe l'indipendenza e la piena sovranità dello Stato albanese e le truppe italiane lasciarono il Paese. Inoltre il trattato sancì il ritiro italiano da Valona, con il mantenimento dell'isolotto di [[Saseno]], a garanzia del controllo militare italiano sul canale di [[Otranto]]<ref>{{Cita|Sforza|pp. 115-119}}.</ref>.
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===L'inizio della vertenza===
[[File:1920 fabbriche occupate HQ.png|
Il 18 giugno 1920 la [[Federazione Impiegati Operai Metallurgici|FIOM]] presentò alla Federazione degli industriali meccanici e metallurgici un memorandum di richieste, che fu seguito da analoghi memoriali da parte degli altri sindacati operai. Tutti i memoriali concordavano nella richiesta di significativi incrementi salariali volti a compensare l'aumentato costo della vita<ref>{{Cita|Spriano, 1973|pp. 35-37}}.</ref>. L'atteggiamento degli industriali di fronte a tali richieste fu di assoluta e totale chiusura<ref>{{Cita|Spriano, 1973|
Il 13 agosto 1920 gli industriali ruppero le trattative.
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===Le fabbriche occupate===
[[File:Giolitti2.jpg|
Ovunque, la serrata fu puntualmente seguita dall'occupazione degli stabilimenti da parte degli operai. Fra l'1 e il 4 settembre 1920 quasi tutte le fabbriche metallurgiche in Italia furono occupate. Gli operai coinvolti furono più di {{formatnum:400000}} e salirono poi a circa {{formatnum:500000}} quando l'occupazione si estese ad alcuni stabilimenti non metallurgici<ref>{{Cita|Spriano, 1973|p. 63}}.</ref>.
L'occupazione delle fabbriche avvenne (e proseguì) quasi ovunque pacificamente<ref>{{Cita|Spriano, 1973|pp. 56, 63, 66-67,159-159 e ''passim''}}.</ref><ref>«Gli episodi di violenza – ingegneri tenuti a forza nelle officine – son tuttavia minimi e presto frenati; non s'è quasi versato sangue; i morti si contano sulle dita di una sola mano, e son tutti dovuti a iniziative isolate di qualche scalmanato. Poca cosa, se si tien conto dell'estensione e della gravità del sommovimento che si sta producendo, e delle migliaia di officine e dei milioni di operai che l'occupazione ha coinvolto.» {{Cita|Tasca|p. 126}}.</ref>, anche grazie alla decisione, presa dal governo Giolitti, di non tentare azioni di forza; le forze dell'ordine si limitarono a sorvegliare dall'esterno gli stabilimenti senza intervenire<ref>{{Cita|Candeloro|p. 328}}.</ref>. Giolitti intendeva infatti evitare un conflitto armato, che sarebbe potuto sfociare in una guerra civile, e confidava nella possibilità di mantenere il confronto tra operai e imprenditori su di un piano puramente sindacale, in cui il governo avrebbe potuto fungere da mediatore<ref>{{Cita|Spriano, 1973|
Nei primi giorni di occupazione, tuttavia, un fatto di sangue avvenne a Genova; il 2 settembre le guardie regie che presidiavano il [[cantiere della Foce]] spararono contro gli operai che cercavano di occuparlo; il calderaio trentacinquenne Domenico Martelli rimase ucciso e altri due operai furono gravemente feriti. Alcune guardie regie fra quelle che avevano aperto il fuoco furono arrestate, ma vennero scarcerate il giorno successivo<ref>{{Cita|Spriano, 1973|pp. 73-74}}.</ref>.
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===La conclusione della vertenza===
[[File:Togliatti giovane.jpg|
Benché nato come vertenza sindacale, il movimento di occupazione delle fabbriche ebbe fin dall'inizio una tale estensione e una tale risonanza da fare sorgere l'esigenza di una sua soluzione politica<ref name="Candeloro4"/>. Mentre gli industriali ponevano lo sgombero degli stabilimenti come pregiudiziale per una ripresa delle trattative con gli operai<ref>{{Cita|Spriano, 1973|p. 92}}.</ref>, gli organismi dirigenti di questi ultimi decisero sul da farsi in una serie di tese e drammatiche riunioni che ebbero luogo a Milano fra il 9 e l'11 settembre 1920.
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{{Citazione|Ho voluto che gli operai facessero da sé la loro esperienza, perché comprendessero che è un puro sogno voler far funzionare le officine senza l'apporto di capitali, senza tecnici e senza crediti bancari. Faranno la prova, vedranno che è un sogno, e ciò li guarirà da pericolose illusioni.|Giovanni Giolitti<ref>{{Cita|Biagi|p. 108}}.</ref>}}
[[File:Gramsci (cropped).png|
Del tutto opposta la valutazione offerta, alcuni anni dopo i fatti, da un altro protagonista della vicenda, Antonio Gramsci, il quale affermò che, nei giorni dell'occupazione, la classe operaia aveva dimostrato la sua capacità di autogovernarsi, aveva saputo mantenere e superare i livelli produttivi del capitalismo, e aveva dato prova di iniziativa e di creatività a tutti i livelli; la sconfitta era stata determinata, secondo l'opinione di Gramsci, non da una presunta incapacità degli operai, bensì da quella dei loro dirigenti politici e sindacali:
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L'avversione della piccola borghesia verso i moti operai era stata alimentata, fra l'altro, dall'atteggiamento di ostilità del Partito Socialista nei confronti degli [[Ufficiale (forze armate)|ufficiali delle forze armate]]<ref>Candeloro sottolinea l'errore tattico commesso al riguardo dal PSI con questo "atteggiamento che spesso non distingue tra quelli che hanno voluto la guerra e quelli che l'hanno combattuta con la coscienza di compiere un dovere". {{Cita|Candeloro|p. 272}}.</ref>; questi reduci furono spesso insultati per strada, in quanto ritenuti responsabili dello scoppio della guerra<ref>«Nelle città italiane c'è gente che insulta gli ufficiali. "Siete stati voi a volere la guerra, voi siete i responsabili di tutto questo." Nascono frequenti e gravi incidenti.» {{Cita|Biagi|p. 12}}.</ref>. Ad esempio [[Piero Operti]], che nell'ottobre 1920 a Torino era insieme ad altri reduci degenti nel locale ospedale, riferisce di aver subito un'aggressione da parte di militanti socialisti; secondo il suo resoconto, le medaglie gli furono strappate e, gettate al suolo, gli furono calpestate<ref>«Inermi e mancanti chi del braccio, chi della gamba, eravamo nell'impossibilità di opporre qualsiasi reazione: ci strapparono le medaglie; le calpestarono; non fecero di più, soddisfatti del gesto o spenta l'ira dalla nostra passività, e si scostarono. Noi raccogliemmo dalla polvere le nostre medaglie e tornammo all'Ospedale.» {{Cita|Operti|p. 107}}.</ref>. [[Ernesto Rossi]], allora reduce di guerra, tra le cause della sua iniziale vicinanza alle posizioni nazionaliste menziona: «Gli articoli e le vignette dell{{'}}''Avanti!'', in cui tutti gli ufficiali reduci dalla guerra venivano presentati come pretoriani al servizio della borghesia – gli insulti e gli sputacchiamenti da parte dei proletari evoluti e coscienti (i comandi militari per evitare incidenti, erano arrivati a consigliare agli ufficiali di vestire in borghese quando c'erano delle manifestazioni socialiste)»; in proposito, Rossi individua nelle «passioni suscitate dalla bestialità dei socialisti» una delle forze che lo avrebbero probabilmente spinto tra le file dei nascenti Fasci di combattimento, se non fosse intervenuta l'amicizia con [[Gaetano Salvemini]] a condurlo all'antifascismo liberale<ref>Ernesto Rossi, discorso alla manifestazione commemorativa di Gaetano Salvemini tenuta a Roma al [[Ridotto dell'Eliseo]] l'11 dicembre 1966, pubblicato in ''L'Astrolabio'', a. V , n. 1, 1º gennaio 1967, pp. 27-32, citato in {{cita pubblicazione|autore=Gian Paolo Nitti|url=https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1967_86-89_04.pdf#page=50|titolo=Appunti bio-bibliografici su Ernesto Rossi|rivista=Il Movimento di liberazione in Italia|numero=86|data=gennaio-marzo 1967|pp=94-107: 95-96 n}}</ref>.
Secondo [[Angelo Tasca]], all'epoca dirigente socialista, gli episodi di violenza contro i reduci erano in realtà meno gravi e meno frequenti di quanto affermasse la pubblicistica antisocialista dell'epoca, ma cionondimeno essi contribuirono potentemente ad alienare al PSI le simpatie di vasti strati della piccola e media borghesia, da cui
Di fatto, verso la fine del 1920, dopo la conclusione della vicenda dell'occupazione delle fabbriche e dopo le elezioni amministrative, il movimento fascista, che fino ad allora aveva avuto un ruolo piuttosto marginale<ref>{{Cita|Tasca|p. 144}}.</ref><ref>{{Cita|Carocci|p. 16}}.</ref>, iniziò la sua tumultuosa ascesa politica<ref>{{Cita|Tasca|p. 151}}.</ref> che fu caratterizzata dal ricorso massiccio e sistematico alle azioni [[squadrismo|squadristiche]]<ref>{{Cita|Candeloro|p. 345}}.</ref>.
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== Voci correlate ==
* [[Biennio rosso in Europa]]
* [[Biennio nero]]
* [[Bocci-Bocci]]
* [[Fascismo]]
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* [[Storia del Regno d'Italia (1861-1946)]]
* [[Storia dello stato sociale in Italia: l'età liberale (1861-1921)]]
* [[Strage di Marzagaglia]]
* [[Depressione del 1920–1921]]
* [[Giornate rosse di Viareggio]]
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web |url=http://www.storico.org/biennio_rosso.htm |titolo=Breve storia del biennio rosso |accesso=20 marzo 2007 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070320232612/http://www.storico.org/biennio_rosso.htm |urlmorto=sì }}
* Steven Forti, [http://www.storicamente.org/01_fonti/forti.html ''«Tutto il potere ai Soviet!» Il dibattito sulla costituzione dei Soviet nel socialismo italiano del biennio rosso: una lettura critica dei testi''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120604142000/http://storicamente.org/01_fonti/forti.html |
{{Antifascismo}}
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