Discesa di Carlo VIII in Italia: differenze tra le versioni

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[[File:Arms of the house of Este (5).svg|20px|border]] [[Ducato di Ferrara]] (ufficialmente neutrale)
|Schieramento2 = '''[[1494]]''':<br />
[[File:Bandera de Nápoles - Trastámara.svg|20px|border]] [[Regno di Napoli]]<br />[[File:Siñal d'AragónVexillum2.svg|20px|border]] [[RegnoStato d'AragonaPontificio]]<br />
<hr/>'''[[1495]]'''<br /> Lega Santa:<br />[[File:Vexillum2.svg|20px|border]] [[Stato Pontificio]]<br />[[File:Flag of the Republic of Venice.svg|20px|border]] [[Repubblica di Venezia]]<br />[[File:Mantua Flag 1328-1575.jpg|20px|border]] [[Marchesato di Mantova]] <br />[[File:Flag of the Duchy of Milan.png|20px|border]] [[Ducato di Milano]]<br />• [[File:Flag of the Duchy of Milan.png|15px|border]] [[File:Bandiera di Genova (3-2).svg|15px|border]] <small>[[Repubblica di Genova|Genova]]</small><br/>[[File:Bandera de Nápoles - Trastámara.svg|20px|border]] [[Regno di Napoli]]<br/>[[File:Siñal d'Aragón.svg|20px|border]] [[Regno d'Aragona]]
|Comandante1 = {{simbolo|Bannière de France style 1500.svg}} [[Carlo VIII di Francia]]<br/>
{{simbolo|ProposedCultural flag of Île-de-France.svg}} [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]]<br/>{{simbolo|ProposedCultural flag of Île-de-France.svg}} [[Louis de la Trémoille]]<br/>
[[File:Arms of the house of Este (5).svg|20px|border]] [[Ferrante d'Este]]
|Comandante2 = {{simbolo|Bandera de Nápoles - Trastámara.svg}} [[Ferdinando II di Napoli]]<br/> [[File:Siñal d'Aragón.svg|20px|border]] [[Gonzalo Fernández de Córdoba]]<br/>{{simbolo|Mantua Flag 1328-1575.jpg}} [[Francesco II Gonzaga]]<br/>
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La cosiddetta '''discesa di Carlo VIII in Italia''' ([[1494]]-[[1495]]), a cui talvolta ci si riferisce con l'espressione "'''guerra del gesso'''", fu la fase di apertura delle [[guerre d'Italia del XVI secolo]].
 
Una prima fase (settembre 1494 - febbraio 1495) vide [[Carlo VIII di Francia]], alleato del [[Ducato di Milano]], percorrere senza troppe difficoltà l'intera Penisola italiana fino alla conquista del [[Regno di Napoli]], con la conseguente fuga degli Aragona a Messina.
 
Una seconda fase (marzo-ottobre 1495) ebbe inizio con la formazione della '''Lega Santa''': la preoccupazione che l'Italia fosse trasformata in una provincia francese, nonché l’inusitata violenza e le stragi perpetrate dai transalpini e dai mercenari [[svizzeri]] al loro soldo, favorì un'alleanza tra i maggiori stati italiani dell'epoca, ossia la [[Repubblica di Venezia]], lo [[Stato Pontificio]], il [[Regno di Napoli]] e il [[Ducato di Milano]], staccatosi dall'alleanza francese, mentre nella [[Repubblica di Firenze]] si instaurava un controverso regime [[teocrazia|teocratico]].
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Mentre Carlo VIII risaliva frettolosamente la Penisola, un nuovo fronte di guerra fu aperto, a [[Assedio di Novara (1495)|Novara]], dal cugino [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orleans]], con lo slittamento degli obiettivi dalla conquista di Napoli alla conquista di Milano. Evento risolutivo del conflitto fu la [[battaglia di Fornovo]], che vide la vittoria dell'esercito della Lega, con la susseguente stipula della Pace di Vercelli e la momentanea deposizione delle ostilità.
 
Questa guerra segnò un cambiamento epocale: non solo il declino delle piccole realtà italiane che, fino ad allora indipendenti, nel giro di pochi decenni si trovarono soggette alle grandi potenze europee, Francia o Spagna, ma anche il tramonto della concezione di guerra all'italiana (senza stragi e cavalleresca, che valorizzava il valore individuale), soppiantata dal predominio delle armi da fuoco.<ref name=":16">Centro di studi Matteo Maria Boiardo, Studi boiardeschi 4, Il principe e la storia. Atti del convengo, Scandiano 18-20 settembre 2003, a cura di Tina Matarrese e Cristina Montagnani, Interlinea edizioni, pp. 224-226 e 234.</ref> "Tutta la violenza del trauma" è espressa nell'ottava conclusiva dell'[[Orlando innamorato|''Orlando Innamorato'']] di [[Matteo Maria Boiardo|Mattea Maria Boiardo]],<ref>Leggere l'Orlando furioso, Sergio Zatti, il Mulino, 2016, pp. 21-22.</ref> bruscamente interrotto proprio a causa della guerra, ma anche in una famosa ottava di [[Ludovico Ariosto]]:<ref name=":16" />
 
{{Citazione|Troppo fallò chi le spelonche aperse,<br />
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è dopo stata, et è per star molt’anni.|Ludovico Ariosto, [[Orlando Furioso]], Canto XXXIV, ottava seconda.}}
 
Gli eventi di questa guerra, e specialmente la conflittualità tra Aragona di Napoli e Sforza di Milano, ispirarono poi il dramma di Shakespeare ''[[La tempesta|La Tempesta]]''.<ref>[https://www.google.it/books/edition/La_tempesta/zaOgkczIGYQC?hl=it&gbpv=0 La tempesta], William Shakespeare, 2011, Newton Compton Editori, Nota al testo: La storia e le fonti; [[La tempesta]], William Shakespeare, 2014, E-text, Nota introduttiva. </ref>
 
== Antefatti ==
=== Mire di Carlo sul Regno di Napoli ===
Il poco più che ventenne re di Francia [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]], attraverso la nonna paterna, [[Maria d'Angiò]] (1404-1463), rivendicava un lontano diritto ereditario alla corona del [[Regno di Napoli]]. Nel 1492 indirizzò le risorse cisalpine verso la conquista di quel reame, incoraggiato da [[Ludovico Sforza]], detto Il Moro, all'epoca [[Ducato di Bari|duca di Bari]], e sollecitato dai suoi consiglieri, [[Guillaume Briçonnet]] e de Vers. Anche il Principe di Salerno, [[Antonello Sanseverino]], riparato in Francia dal 1486 dopo la [[congiura dei Baroni]], spingeva Carlo a rivendicare il regno di Napoli.<ref>{{cita|Sanudo|p. 23}}.</ref>
La riconquista del regno più grande della Penisola, già governato dalla Casata degli [[Angioini]] (dal 1282 al 1442), non comprendeva, nei progetti di Carlo, anche la Sicilia. Quest'ultimo fatto depone a favore della tesi secondo la quale Carlo VIII non intendesse accrescere semplicemente i domini della sua Casata, ambizione comune a molte case regnanti di area [[mitteleuropea]] o [[anglosassoni|anglosassone]], ma farne piuttosto la base di partenza per quelle [[Crociate]] la cui eco era stata rinvigorita dalla cacciata degli [[arabi]] dall'ultimo possedimento spagnolo, il [[Regno di Granada]] ([[1492]]). Il progetto politico della ''Res Publica Christiana Pro Recuperanda Terra Sancta'' aveva ancora presa nelle aristocrazie europee, nonostante le otto Crociate che miravano a realizzarlo si fossero alla fine risolte in un disastro.
 
=== Il controllo di Ludovico il Moro sul Ducato di Milano ===
 
[[Casus belli]] del conflitto fu la rivalità sorta tra la duchessa di Bari, [[Beatrice d'Este]], moglie di Ludovico, e la duchessa di Milano, [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]], moglie di [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo]], che aspiravano ambedue al controllo del ducato di Milano e al titolo ereditario per i propri figli: fin dal 1480 Ludovico Sforza governava quel ducato in qualità di reggente del piccolo nipote Gian Galeazzo, non essendo dunque duca di diritto, ma solo ''de facto''. La situazione si mantenne tranquilla fino al 1489, quando ebbero effetto le nozze tra Gian Galeazzo e Isabella d'Aragona, nipote di re [[Ferdinando I di Napoli|Ferrante]] di Napoli in quanto figlia di [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]], [[duca di Calabria]]. Isabella si rese subito conto che tutto il potere era ridotto nelle mani di Ludovico e soffriva per l'inettitudine del marito, svogliato e totalmente disinteressato al governo; nondimeno sopportò in silenzio fino a quando, nel gennaio 1491, Ludovico non prese in moglie Beatrice d'Este, figlia del duca di Ferrara [[Ercole I d'Este]] e cugina di Isabella per parte materna. Giovane determinata e ambiziosa, Beatrice fu ben presto associata dal marito al governo dello stato, né Isabella, "rabiosa et disperata de invidia", poté sopportare di vedersi superata in tutti gli onori dalla cugina.<ref name=":3" />[[File:Grandi_Casate_Italiane_nel_1499.png|sinistra|miniatura|L'Italia rinascimentale prima e dopo la prima invasione Francese. La linea tratteggiata in giallo rappresenta il confine tra [[Stato Pontificio#Il Patrimonium Sancti Petri|Patrimonio di San Pietro]] e [[Sacro Romano Impero Germanico]]. Delle casate regnanti in Italia, quella Aragonese costituiva un ramo cadetto della monarchia Spagnola.]]
 
Il ducato di Milano era all'epoca lo stato più ricco d'Italia dopo la Repubblica di Venezia e il suo [[tesoro]] ammontava a ben un milione e mezzo di [[Ducato (moneta)|ducati]].<ref>[[Francesco Malaguzzi Valeri]], ''La corte di Lodovico il Moro: la vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento'', vol. 1, Milano, Hoepli, 1913, p. 488.</ref> Nel dicembre Ludovico condusse la moglie a vederlo e le promise che, se gli avesse dato un figlio maschio, l'avrebbe resa signora e padrona di tutto; viceversa, morendo lui, le sarebbe rimasto ben poco.<ref>Luisa Giordano, Beatrice d'Este (1475-1497), vol. 2, ETS, 2008, pp. 76-77.</ref> Già nel gennaio 1492 Beatrice predisse all'ambasciatore fiorentino che entro un anno lei e il marito sarebbero stati duchi di Milano, e l'ostilità fra le due cugine si fece così intensa che nel febbraio Ludovico, forte di alcune voci giunte dalla Francia, accusò re Ferrante di aver spronato Carlo VIII a muovere guerra contro di lui, onde liberare Gian Galeazzo dalla sua tirannia; inoltre rifiutava di incontrare l'oratore napoletano, se non dietro nutritissima scorta armata, sostenendo che fosse mandato dal duca di Calabria per assassinarlo.<ref name=":3">Studi sulla crisi italiana alla fine del secolo XV, Paolo Negri, in [https://archive.org/details/archiviostoricolombars5v50/page/24/mode/2up?q Archivio storico lombardo], Società storica lombarda, 1923, pp. 20-26.</ref> L'intenzione di Alfonso d'Aragona era appunto di deporre il Moro per governare egli stesso Milano attraverso la figlia Isabella.<ref name=":3" /> A rendere più concreti i sospetti si aggiunse, sul finire dell'anno, il tentato avvelenamento, perpetrato da Isabella d'Aragona rea confessa, ai danni di [[Galeazzo Sanseverino]], carissimo genero e [[capitano generale]] del Moro, nonché il pericolo che ciò fosse ripetuto nei confronti di qualche altro membro della famiglia ducale.<ref>Studi sulla crisi italiana alla fine del secolo XV, Paolo Negri, in [https://archive.org/details/archiviostoricolombars5v50/page/24/mode/2up?q Archivio storico lombardo], Società storica lombarda, 1923, pp. 35-37.</ref><ref>{{Cita|Biancardi|pp. 53-60}}.</ref>
 
Il punto di definitiva rottura si ebbe però nel gennaio 1493, con la nascita di [[Massimiliano Sforza|Ercole Massimiliano]], primogenito del Moro e di Beatrice: il possesso di una discendenza legittima era ciò che ancora mancava ai coniugi per poter aspirare al titolo ducale. Si diffuse la voce che Ludovico fosse intenzionato a nominare il figlio conte di Pavia - titolo spettante esclusivamente all'erede al ducato - in luogo del figlio di Isabella, [[Francesco Maria Sforza|Francesco]].<ref name="Corio, p. 1029">{{Cita|Corio|p. 1029}}.</ref> Quest'ultima, sentendosi minacciata, domandò l'intervento del padre [[Alfonso II di Napoli|Alfonso d'Aragona]]:{{Citazione|[...] Lodovico non più zio, ma crudele e spietato nemico, pure ora apertamente quello che molti anni inanzi, tirato dalla lunga usanza di governare, desiderosissimamente aspirò sempre, solo possiede lo Stato di Milano, e insieme con la moglie governa ogni cosa a suo modo. A lui obbediscono i guardiani delle rocche, i capitani degli eserciti, i magistrati e tutte le città delle provincie [...] e finalmente ha suprema autorità della morte e della vita, dell'entrate e delle rendite tutte, e noi, miseri, assediati da lui, abbandonati da tutti, non avendo altro che l'ornamento di un titolo vano, oscuramente viviamo una vita lagrimosa e dolente, e in dubbio ancora della vita la quale, perduto lo Stato e gli onori, sola ci rimane; e se tosto voi non ci soccorrete, dopo molti travagli, ogni dì ci aspettiamo di peggio. [...]|Lettera di Isabella d'Aragona ad Alfonso suo padre, s.d.<ref>'The Gentlest Art' in Renaissance Italy, An Anthology of Italian Letters 1459-1600, Cambridge University Press, 2013, pp. 32-33; Lettere di donne italiane del secolo decimosesto, 1832, Alvisopoli, pp. 9-10; {{Cita|Biancardi|p. 201}}.</ref>}}L'impeto di Alfonso fu tuttavia frenato dal più saggio re [[Ferdinando I di Napoli|Ferrante]], il quale ripudiò la guerra dichiarando ufficialmente: "se la mogliera del Duca de Milano me è nepota, ne è anco nepota la mogliera del Duca de Bari".<ref>{{Cita|Biancardi|p. 287}}.</ref> Egli, del resto, era stato affettivamente molto legato a Beatrice, che fino al 1485 aveva cresciuto come una figlia; dichiarava di amare entrambe le nipoti alla stessa maniera e le invitava alla prudenza, cosicché la situazione rimase stabile sino a che il re fu in vita.<ref>{{Cita|Dina|p. 328}}.</ref> Nondimeno l'accordo stretto - nel gennaio o maggio 1492 - tra Papa [[Papa Innocenzo VIII|Innocenzo VIII]] e Ferrante denotava, secondo l'opinione pubblica, l'intenzione di togliere Ludovico dal governo. Morto Innocenzo, Ludovico ottenne - tramite i maneggi del fratello e cardinale [[Ascanio Maria Sforza|Ascanio]] - che ascendesse al soglio pontificio [[Papa Alessandro VI|Rodrigo Borgia]] col nome di Alessandro VI. Con questi e con la Repubblica di Venezia egli strinse, il 25 aprile 1493, una lega alla quale si aggiunsero poi il [[Ducato di Ferrara]] e il [[Marchesato di Mantova]].<ref name=":11" /> Alfonso d'Aragona avrebbe subito voluto marciare su Roma, ma fu frenato dal padre Ferrante, che iniziò a tentare il Papa con accordi di pace e parentela. Ludovico, temendo che questi non abbandonasse la Lega, e che i veneziani non vacillassero, escogitò di chiamare in Italia re Carlo VIII di Francia, solleticandolo nel suo desiderio di conquista del regno di Napoli, affinché disperdesse le forze aragonesi, che non avrebbero così potuto marciare su Milano.<ref name=":11" />
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Nel maggio Ludovico inviò la moglie Beatrice quale sua ambasciatrice a Venezia e comunicò alla Signoria, per tramite di lei, certe sue pratiche segrete con l'imperatore [[Massimiliano I d'Asburgo]] per l'ottenimento dell'investitura al ducato di Milano, nonché la notizia segretissima appena comunicatagli che [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]], firmata la pace con l'imperatore, era risoluto a compiere la sua impresa contro il regno di Napoli e a nominare Ludovico capo e conduttore di detta impresa.<ref>Die Beziehungen der Mediceer zu Frankreich, während der Jahre 1434-1490, in ihrem Zusammenhang mit den allgemeinen Verhältnissen Italiens, di B. Buser, 1879, pp. 540-543.</ref> Si trattava dell'annuncio ufficiale e definitivo.<ref>{{Cita|Biancardi|pp. 254-256}}.</ref> I coniugi desideravano dunque conoscere il parere della Signoria a questo riguardo, e ne chiedevano indirettamente l'appoggio, forse sperando così di evitare una discesa dei francesi in Italia.<ref>Giovanni Soranzo, ''Una missione segreta a Venezia di Beatrice d'Este'', in ''Rendiconti dell'Istituto lombardo'', classe di lettere e scienze morali e storiche, 94, 2 [1960], pp. 467-478.</ref> I veneziani risposero che quanto riferito era assai grave e si limitarono a vaghe rassicurazioni, tenendosi fuori da queste manovre.<ref name=":42">{{Cita libro|autore=Samuele Romanin|titolo=Strenna Italiana|url=https://books.google.it/books?id=K9VUAAAAcAAJ&pg=PA131&dq|pp=137-139|volume=19}} {{Cita|Biancardi|p. 256}}.</ref> A dispetto della richiesta segretezza, il Senato s'affrettò a comunicare le rivelazioni della duchessa al re di Napoli, sollecitandolo alla pace col Papa.<ref>{{Cita libro|autore=[[Samuele Romanin]]|titolo=Storia documentata di Venezia|url=https://www.google.it/books/edition/Storia_documentata_di_Venezia_di_S_Roman/0l4JE_LSM5AC?hl=it&gbpv=0|anno=1856|editore=tipografia di Pietro Naratovich|pp=23-25|cid=Romanin}} Histoire de Charles VIII, roi de France, d'apre̲s des documents diplomatiques, Volume 1, Claude Joseph de Cherrier, Didier, 1870, pp. 356-357.</ref>
 
Tornato a Milano da Ferrara (dove si era abboccato col suocero), Ludovico scoprì che durante la loro assenza Isabella aveva congiurato con [[Boccolino di Guzzone|Boccalino Guzzoni da Osmo]], condottiero napoletano assai vicino al duca di Calabria, per togliergli lo Stato e uccidere lui, la moglie e i figli. Boccalino fu arrestato, torturato e impiccato,<ref>Vita e fatti di Boccolino Guzzoni da Osimo capitano di ventura del secolo XV: narrati con documenti inediti ed editi rarissimi, Giosuè Cecconi, Rossi, 1889, pp. 156-160.</ref> mentre Isabella ricevette un rimprovero da parte dell'ambasciatore napoletano.<ref>Guido Lopez, ''Moro! Moro! Storie del Ducato Sforzesco'', Camunia, 1992, pp. 205-207.</ref> Il [[Guicciardini]] parlò a questo punto di un certo viaggio progettato da re Ferrante verso Genova e poi Milano, dove avrebbe dovuto incontrare Ludovico e Beatrice per persuaderli alla pace e ricondurre a Napoli Isabella, ma infermatosi proprio in quei giorni, morì il 25 gennaio 1494, secondo alcuni più di dispiacere che di malattia.<ref>{{Cita|Dina|p. 344}}.</ref> Asceso al trono, Alfonso III accolse le preghiere della figlia Isabella e occupò, come primo atto di ostilità, la città di [[Bari]]. Da ciò derivò la reazione di Ludovico che, per rispondere alle sue minacce, lasciò mano libera al monarca francese di scendere in Italia.<ref name="Corio, p. 1057">{{Cita|Corio|p. 1057}}.</ref>
 
La riconquista del regno più grande della Penisola, già governato dalla Casata degli [[Angioini]] (dal 1282 al 1442), non comprendeva, nei progetti di Carlo, anche la Sicilia. Quest'ultimo fatto depone a favore della tesi secondo la quale Carlo VIII non intendesse accrescere semplicemente i domini della sua Casata, ambizione comune a molte case regnanti di area [[mitteleuropea]] o [[anglosassoni|anglosassone]], ma farne piuttosto la base di partenza per quelle [[Crociate]] la cui eco era stata rinvigorita dalla cacciata degli [[arabi]] dall'ultimo possedimento spagnolo, il [[Regno di Granada]] ([[1492]]). Il progetto politico della ''Res Publica Christiana Pro Recuperanda Terra Sancta'' aveva ancora presa nelle aristocrazie europee, nonostante le otto Crociate che miravano a realizzarlo si fossero alla fine risolte in un disastro.
 
== Prima fase ==
 
[[File:Charles VIII (KHM Vienne).jpg|sinistra|miniatura|[[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] re di Francia. Copia del XVI secolo da un originale perduto.]]
Nell'aprile 1494 Ludovico Sforza inviò a [[Lione]] il genero e capitano generale [[Galeazzo Sanseverino]], col compito di prendere gli ultimi accordi e di accompagnare il re nel corso del suo viaggio.<ref>François Tommy Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chute de la république (1434-1531), pp. 47-48; {{Cita|Sanudo|pp. 48-49}}.</ref>
{{Citazione|Mentre che io canto, o Iddio redentore,<br />
 
Vedo la Italia tutta a fiama e a foco<br />
Per questi Galli, che con gran valore<br />
Vengon per disertar non so che loco [...]|[[Matteo Maria Boiardo]], [[Orlando Innamorato]], Libro terzo, Canto IX, Ottava 26.}}
 
=== La discesa didell'avanguaria Carlofrancese VIIIguidata da Luigi d'Orléans ===
Nell'aprile 1494 Ludovico Sforza inviò a [[Lione]] il genero e capitano generale [[Galeazzo Sanseverino]], col compito di prendere gli ultimi accordi e di accompagnare il re nel corso del suo viaggio.<ref>François Tommy Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chute de la république (1434-1531), pp. 47-48; {{Cita|Sanudo|pp. 48-49}}.</ref> Carlo si fece precedere in Italia dal cugino [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]], che nel luglio giunse nei territori del ducato di Milano con le avanguardie dell'esercito francese, benevolmente accolto a [[Vigevano]] dai duchi di Bari [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]] e [[Beatrice d'Este]], quindi si acquartierò nel proprio feudo d'[[Asti]]. Intanto c'erano già molti malcontenti, e non si capiva la ragione di questa guerra, talché era nato un motto: ''el non è'' [non c'è] ''ni savio ni matto che intendi la guerra dil nonantaquattro.''<ref>{{Cita|Sanudo|p. 71}}.</ref>
[[File:Charles VIII (KHM Vienne).jpg|sinistra|miniatura|[[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] re di Francia. Copia del XVI secolo da un originale perduto.]]
Nell'aprile 1494 Ludovico Sforza inviò a [[Lione]] il genero e capitano generale [[Galeazzo Sanseverino]], col compito di prendere gli ultimi accordi e di accompagnare il re nel corso del suo viaggio.<ref>François Tommy Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chute de la république (1434-1531), pp. 47-48; {{Cita|Sanudo|pp. 48-49}}.</ref> Carlo si fece precedere in Italia dal cugino [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]], che nel luglio giunse nei territori del ducato di Milano con le avanguardie dell'esercito francese, benevolmente accolto a [[Vigevano]] dai duchi di Bari [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]] e [[Beatrice d'Este]], quindi si acquartierò nel proprio feudo d'Asti. Intanto c'erano già molti malcontenti, e non si capiva la ragione di questa guerra, talché era nato un motto: ''el non è'' [non c'è] ''ni savio ni matto che intendi la guerra dil nonantaquattro.''<ref>{{Cita|Sanudo|p. 71}}.</ref>
 
Carlo VIII era consapevole che il suo esercito, inoltrandosi nella lunga penisola italiana alla volta di Napoli, necessitava di un aiuto navale che gli assicurasse un supporto logistico dal mare. La manovra aragonese era invece proprio quella d'impedirgli libertà di manovra nel Tirreno; già nel mese di luglio una flotta napoletana bombarda la genovese [[PortoBattaglia Veneredi Portovenere|Portovenere]] cercando inutilmente d'impadronirsi della base.
Soltanto il 3 settembre [[1494]] re Carlo mosse verso l'Italia attraverso il [[Monginevro]], con un esercito di circa {{formatnum:30000}} effettivi, dei quali {{formatnum:5000}} erano [[mercenari svizzeri]], dotato di un'artiglieria moderna. Giunto in Piemonte venne accolto festosamente dai duchi di [[Ducato di Savoia|Savoia]], per poi raggiungere il cugino nella controllata [[Contea di Asti (età moderna)|Contea di Asti]].
 
==== Prima battaglia di Rapallo ====
{{Vedi anche|Battaglia di Rapallo (1494)}}
Il 5 settembre 1494, la città di [[Rapallo]] in Liguria venne raggiunta dalla flotta navale aragonese che vi sbarcò {{formatnum:4000}} soldati napoletani comandati da [[Giulio Orsini]], [[Ibleto Fieschi|Obietto Fieschi]] e Fregosino Campofregoso: l'intenzione era di sollevare la popolazione rapallese contro [[Genova]] che in quel tempo era soggetta alla signoria sforzesca.
Carlo VIII era consapevole che il suo esercito, inoltrandosi nella lunga penisola italiana alla volta di Napoli, necessitava di un aiuto navale che gli assicurasse un supporto logistico dal mare. La manovra aragonese era invece proprio quella d'impedirgli libertà di manovra nel Tirreno; già nel mese di luglio una flotta napoletana bombarda la genovese [[Porto Venere]] cercando inutilmente d'impadronirsi della base.
 
Il 5 settembre 1494, la città di [[Rapallo]] in Liguria venne raggiunta dalla flotta navale aragonese che vi sbarcò {{formatnum:4000}} soldati napoletani comandati da [[Giulio Orsini]], Obietto Fieschi e Fregosino Campofregoso: l'intenzione era di sollevare la popolazione rapallese contro [[Genova]] che in quel tempo era soggetta alla signoria sforzesca.
 
Tre giorni dopo, giunse in città un esercito francese comandato da [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]], composto da soldati francesi, da {{formatnum:3000}} mercenari svizzeri e da contingenti milanesi. Gli Svizzeri attaccarono i Napoletani ma la maggior parte dei combattimenti coinvolse Milanesi e Napoletani. L'artiglieria francese concentrando poi il tiro sugli Aragonesi li sconfisse, costringendoli a fuggire o ad arrendersi. L'Orsini e il Campofregoso furono fatti prigionieri. Gli Svizzeri fecero massacro anche di coloro che intendevano arrendersi e persino dei feriti, saccheggiando poi la città di Rapallo. Questa battaglia annientò la flotta napoletana e aprì la via della Liguria e del centro Italia all'esercito di Carlo VIII.
 
==== Accampamento di Carlo VIII ad Asti ====
 
Soltanto il 3 settembre [[1494]] re Carlo mosse verso l'Italia attraverso il [[Monginevro]], con un esercito di circa {{formatnum:30000}} effettivi, dei quali {{formatnum:5000}} erano [[mercenari svizzeri]], dotato di un'artiglieria moderna. Giunto in Piemonte venne accolto festosamente dai duchi di [[Ducato di Savoia|Savoia]], per poi raggiungere il cugino nella controllata [[Contea di Asti (età moderna)|Contea di Asti]].
 
L'esercito francese si accampò ad [[Asti]] l'11 settembre, dove Carlo VIII ricevette l'omaggio dei suoi sostenitori: primi fra tutti il duca Ludovico Sforza con la moglie Beatrice d'Este, che era incinta, e il suocero [[Ercole d'Este]], duca di [[Ferrara]]. Egli richiamò subito ad Asti da Genova il cugino Luigi d'Orleans, il quale giunse il 15 settembre.<ref name=":6">{{Cita|Sanudo|pp. 85-90}}.</ref> La duchessa aveva condotto con sé le ottanta più belle dame di Milano: il re, come già il cugino d'Orléans, volle baciarle tutte sulla bocca, a cominciare dalla stessa Beatrice e da [[Bianca Giovanna Sforza]], giovanissima figlia del Moro, quindi s'intrattenne a vederle ballare. Con alcune di quelle dame egli prese poi piacere, offrendo loro in cambio degli anellini d'oro.<ref name="Malaguzzi Valeri, p. 48 e 564">{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 48 e 564}}.</ref><ref name=":15">{{Cita|Biancardi|pp. 386-393}}.</ref>
 
[[File:Miniatura_di_Beatrice_d'Este_(1475-1497).jpg|sinistra|miniatura|[[Beatrice d'Este]] all'età di 18 anni (1494).]]
Il 13 settembre la duchessa [[Beatrice d'Este|Beatrice]] aveva ordinato una splendida festa per compiacerlo, ma in quello stesso giorno Carlo cadde gravemente ammalato e Ludovico ne approfittò per rimandare la moglie nel loro castello di [[Annone di Brianza|Annone]],<ref name=":6" /> forse perché geloso dei corteggiamenti del [[Bertrando di Beauvau|barone di Beauvau]] nei suoi confronti.<ref>{{Cita|Maulde|83 e 84}}; {{Cita|Sanudo|pp. 87 e 90}}.</ref> L'[[archiatra]] milanese [[Ambrogio da Rosate]], venuto a curare il re, gli diagnosticò il [[vaiolo]], ma si trattava forse piuttosto di una prima manifestazione della [[sifilide]], di cui il re fu affetto in seguito e i cui sintomi potevano facilmente essere scambiati per vaiolo.<ref>''Ambrogio Varese: un rosatese alla corte di Ludovico il Moro'', Alberto M. Cuomo, Amministrazione comunale di Rosate, 1987.</ref> Per questo evento la stessa prosecuzione della guerra fu messa in dubbio: molti membri del seguito del re desideravano ritornare in Francia. L'indisposizione tuttavia fu di breve durata: già il 21 settembre re Carlo si levò dal letto, e Luigi d'Orleans cadde viceversa ammalato di [[Malaria|doppia febbre quartana]].<ref name=":6" /><ref name=":15" />
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Partito da Asti, Carlo si recò a [[Casale Monferrato|Casale]] su invito del marchese [[Guglielmo IX del Monferrato|Guglielmo IX di Monferrato]], desideroso di conoscere la di lui madre [[Maria Branković (1466-1495)|Maria]], che si diceva una bellissima donna.<ref name=":6" /> Di lì passò nei territori del ducato di Milano e per vari giorni fu ospitato a [[Vigevano]] dai duchi di Bari. Ludovico tollerò senza opporsi che il re si impossessasse del castello, pretendendo le chiavi di ogni porta, sebbene i francesi si comportassero "molto bestialmente et con gran superbia", sia ammazzando e ferendo gli italiani, e addirittura cacciandone alcuni di casa a bastonate, sia dando luogo a risse mortali fra loro stessi all'interno degli alloggiamenti. L'ambasciatore estense [[Giacomo Trotti]] li definiva "insolenti, bestiali et superbi".<ref>Archivio storico per le province napoletane, Volume 4, 1879, pp. 787 e 789.</ref>
 
=== Morte di Gian Galeazzo Sforza ===
[[File:L'incontro_di_Carlo_VIII_e_Gian_Galeazzo_Sforza_a_Pavia_nel_1494,_Pelagio_Pelagi.jpeg|miniatura|L'incontro di Carlo VIII e [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Sforza]] a Pavia nel 1494, [[Pelagio Palagi]]. Davanti al letto del marito morente, la duchessa Isabella supplica in ginocchio il sovrano [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] di non voler proseguire la guerra contro [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]] suo padre e gli affida il figlioletto [[Francesco Maria Sforza|Francesco]]. Accanto al re, con viso losco, sta il duca Ludovico, presunto responsabile dell'avvelenamento.]]
Il re si recò quindi a [[Pavia]], dove volle incontrare il duca [[Gian Galeazzo Sforza]] moribondo in letto. La moglie [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]] dapprima rifiutò con assoluto rigore d'incontrare il re, minacciando il [[suicidio]] con un coltello di fronte agli allibiti Ludovico Sforza e Galeazzo Sanseverino, nel caso in cui l'avessero voluta costringere, dicendo: "prima mi amazerò mi medesima, che mai vadi a la sua presentia de chi va a la ruina dil Re mio padre!";<ref name=":7">{{Cita|Sanudo|p. 672}}.</ref> in un secondo momento si recò di sua spontanea volontà nella camera del marito, si gettò in ginocchio ai piedi di re Carlo e, mostrandogli il figliolo [[Francesco Maria Sforza|Francesco Maria]], unico erede maschio, lo scongiurò di proteggere la sua famiglia dalle mire di Ludovico Sforza e di rinunciare alla conquista del regno di suo padre, il tutto alla presenza dello stesso Ludovico. Il re si commosse per quella scena, e promise di proteggerne il figlio, ma rispose che non avrebbe potuto interrompere una guerra ormai incominciata.<ref>{{Cita|Dina|pp. 350-352}}.</ref>
 
Da Pavia, il 17 ottobre Carlo partì con tutto l'esercito alla volta di [[Piacenza]], accompagnato da Ludovico.<ref name=":7" /> Militavano già tra i francesi, per parte lombarda, i due rinomati condottieri [[Gianfrancesco Sanseverino d'Aragona|Gian Francesco]] e [[Gaspare Sanseverino|Fracasso Sanseverino]], ma Carlo volle avere ugualmente con sé anche il loro fratello [[Galeazzo Sanseverino|Galeazzo]] che, oltre a essere fine cortigiano, gli era garante delle intenzioni del Moro. Il 21 ottobre, aggravatosi, Gian Galeazzo Sforza morì, secondo alcuni avvelenato dallo zio, secondo altri per debolezza intrinseca, per gli eccessi e per disturbi di stomaco che si trascinava fin dall'adolescenza. Ludovico ricevette la notizia immediatamente e quel giorno stesso partì di corsa da Piacenza, raggiungendo nel giro di pochissime ore Milano, dove riuscì a farsi proclamare duca al posto del piccolo Francesco Maria.<ref name=":10">{{Cita|Sanudo|pp. 100-105}}.</ref> Tre giorni dopo, il 25, ripartì per Piacenza insieme alla moglie Beatrice, ormai al sesto mese di gravidanza, e raggiunse il re che si era nel mentre spostato a [[Fornovo di Taro|Fornovo]], accompagnandolo fino in Toscana. Tuttavia la loro permanenza presso l'esercito francese fu breve poiché, sdegnato dall'alterigia del re, che non gli mostrava il rispetto dovuto, Ludovico deliberò il 13 novembre di tornare a Milano.<ref name=":10" /> In questo frangente maturò in sostanza la decisione, messa in atto pochi mesi dopo, di staccarsi dall'alleanza del re per formare una lega antifrancese.<ref>{{Cita|Biancardi|p. 469}}.</ref>
[[File:L'incontro_di_Carlo_VIII_e_Gian_Galeazzo_Sforza_a_Pavia_nel_1494,_Pelagio_Pelagi.jpeg|miniatura|L'incontro di Carlo VIII e [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Sforza]] a Pavia nel 1494, [[Pelagio Palagi]]. Davanti al letto del marito morente, la duchessa Isabella supplica in ginocchio il sovrano [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] di non voler proseguire la guerra contro [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]] suo padre e gli affida il figlioletto [[Francesco Maria Sforza|Francesco]]. Accanto al re, con viso losco, sta il duca Ludovico, presunto responsabile dell'avvelenamento.]]
 
=== Discesa in Toscana ===
Il re di Napoli Alfonso d'Aragona affidò il comando generale dell'esercito napoletano al figlio [[Ferdinando II di Napoli|Ferrandino]], duca di Calabria, che, per quanto giovane, era dotato di eccezionali qualità sia belliche che politiche. Questi nel settembre-ottobre sostò con le truppe in Romagna, dove ricercò - con espedienti non meno seduttivi che politici - l'alleanza di [[Caterina Sforza]], signora di [[Forlì]] e [[Imola]], essendo lo stato di costei luogo importante di transito verso Napoli.<ref name=":02">{{Cita libro|autore=conte Pier Desiderio Pasolini|titolo=Caterina Sforza|url=https://archive.org/details/caterinasforza00pasouoft|anno=1913}}</ref>
 
==== Il sacco di Mordano ====
{{Vedi anche|Sacco di Mordano}}
Ferrandino sfidò più volte apertamente i francesi a venire alle mani, o in duello singolo o con tutto l'esercito, ma questi non vollero mai accettare battaglia né campale né singola, sicché gli scontri constarono di sole scaramucce.<ref>{{Cita|Sanudo|p. 77}}.</ref><ref name=":12">{{Cita libro|autore=Benedetto Croce|titolo=Storie e leggende napoletane|anno=1990|editore=Gli Adelphi|pp=157-179}}</ref> Nel frattempo i francesi andavano accrescendosi di numero e decisero di attirare il duca di Calabria in una trappola: tra il 20 e il 21 ottobre attorno alla cittadina di [[Mordano]] si radunarono tra i quattordicimila ai sedicimila francesi per cingerla d'assedio. Caterina chiese il soccorso dei napoletani per difenderla, ma Ferrandino, disponendo di molti meno uomini e prevedendo una sconfitta, su consiglio dei propri generali decise di non rispondere alle richieste di aiuto della contessa. Ne seguì una [[Sacco di Mordano|strage]] di civili solo in parte mitigata dalle premure del capitano [[Gaspare Sanseverino|Fracasso]].<ref>Bernardino Zambotti, Diario Ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504, in Giuseppe Pardi (a cura di), Rerum italicarum scriptores, p. 236.</ref> Caterina, adiratissima, passò dalla parte dei francesi, rompendo l'alleanza coi napoletani; pertanto Ferrandino lasciò [[Faenza]] per dirigersi verso [[Cesena]]. Stando ai cronisti coevi, il sacco non avvenne per negligenza di Ferrandino, ma per una sua effettiva impossibilità di sconfiggere i francesi, fortificati in "boni bastioni".<ref>{{Cita libro|titolo=Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, vol. 1, Cronaca di Antonio Grumello Pavese|editore=Giuseppe Muller|p=5}}</ref> Egli lasciò comunque presso i forlivesi il ricordo di sé come capitano onorato, onesto e rispettoso dei civili.<ref name=":0302">{{Cita libro|autore=conte Pier Desiderio Pasolini|titolo=Caterina Sforza|url=https://archive.org/details/caterinasforza00pasouoft|anno=1913}}</ref>
 
=== Passaggio in Toscana ===
Carlo, dapprima intenzionato a percorrere la via Emilia fino alla Romagna, mutò proposito e, dopo una tappa a [[Piacenza]], si diresse verso [[Firenze]]. La città era tradizionalmente filofrancese, ma la politica incerta del suo signore, [[Piero di Lorenzo de' Medici]], figlio di [[Lorenzo il Magnifico]], l'aveva schierata in difesa degli [[Aragonesi]] di [[Napoli]].
 
Il pericolo incombente di saccheggi e di violenze dell'esercito francese (enfatizzati dalle violente prediche di [[Girolamo Savonarola]]) accentuò il rancore della maggior parte dei cittadini contro i Medici. Le violenze si verificarono puntualmente quando Carlo VIII entrò il 29 ottobre a [[Fivizzano]]. Scrive al riguardo [[Francesco Guicciardini]] nella sua ''[[Storia d'Italia (Guicciardini)|Storia d'Italia]]'': «… e accostatosi a Fivizano, castello de' fiorentini, dove gli condusse [[Gabriele II Malaspina|Gabriello Malaspina]] [[Marchesi di Fosdinovo|marchese di Fosdinuovo]] loro raccomandato, lo presono per forza e saccheggiorno, ammazzando tutti i soldati forestieri che vi erano dentro e molti degli abitatori: cosa nuova e di spavento grandissimo a Italia, già lungo tempo assuefatta a vedere guerre più presto belle di pompa e di apparati, e quasi simili a spettacoli, che pericolose e sanguinose».[[File:Francesco granacci, entrata di Carlo VIII a Firenze.jpg|thumb|left|Ingresso trionfale di Carlo VIII a [[Firenze]], 17 novembre 1494, di [[Francesco Granacci]].]]Successivamente Carlo pose l'assedio alla rocca di [[Fortezza di Sarzanello|Sarzanello]], chiedendo che gli fosse lasciato il passo per Firenze. Piero, mutato consiglio, si recò ad incontrare il re per trattare, ma dovette invece concedergli le fortezze di Sarzanello, di [[Sarzana]] e di [[Pietrasanta]], le città di [[Pisa]] e di [[Livorno]] con i loro porti utili alle navi francesi in appoggio all'esercito, e il libero passaggio per la Toscana, più la somma di {{M|120000}} fiorini.<ref name=":72">{{Cita libro|autore=Bernardino Corio|titolo=Storia di Milano}}</ref>
 
Tornato a Firenze l'8 novembre, Piero ne fu costretto a fuggire dai fiorentini, che approfittarono di accusarlo di atteggiamento vile e servile e proclamarono la Repubblica. Allo stesso tempo i fiorentini agevolarono l'invasione di Carlo VIII, considerandolo restauratore della loro libertà e riformatore della Chiesa (il cui [[Papa Alessandro VI]], salito al soglio pontificio il 26 agosto 1492, era considerato indegno dal [[Savonarola]]).
Il 9 novembre [[Pisa]] cacciò i fiorentini e si rese [[Seconda Repubblica Pisana|indipendente]].
 
In Firenze però sorse subito un contrasto quando il liberatore Carlo pretese da Firenze un'ingente donazione di denaro che il governo fiorentino rifiutò. Alla minaccia del re francese di ordinare con le trombe il saccheggio della città il gonfaloniere [[Pier Capponi]] rispose che Firenze avrebbe risposto suonando a distesa le campane cittadine per chiamare il popolo a resistere. Alla pericolosa minaccia di una sommossa il re preferì proseguire verso Roma.
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Fremono l'ombre, e gridano: « vergogna! »<br />
Si fa più grave all'ossa lor la terra<br />
Or che calca le tombe un piè nemico.|[[Giovanni Battista Niccolini]], Ludovico Sforza detto il Moro.}}Timoroso di inimicarsi le potenze europee, Carlo non intendeva deporre [[Papa Alessandro VI|Alessandro VI]] dal papato. Marciò verso [[Roma]] e prese dapprima [[Civitavecchia]]. Il Papa, non potendo resistere con le armi, attuò l'espediente di imprigionare i cardinali [[Ascanio Maria Sforza|Ascanio Sforza]], fratello del Moro, e [[Federico Sanseverino]]. Quando ricevette questa notizia, Galeazzo Sanseverino, che aveva accompagnato il re fino a Viterbo, immediatamente partì per Milano onde avvisare il suocero.<ref>{{Cita|Sanudo|pp. 149-153}}.</ref> Ludovico, furibondo, a furia di minacce ne ottenne infine dal Papa la liberazione.<ref name=":9">{{Cita pubblicazione|autore=Laura Malinverni|titolo=La difficile vita della duchessa vedova Isabella d'Aragona
nella Milano del Moro e di Beatrice|url=https://lauramalinverni.net/pdf/isabella_aragona_vedova.pdf#:~:text=Il%20duca%20Gian%20Galeazzo%20Sforza%20mor%C3%AC%20a%2025,in%20una%20stanza%20oscura%20e%20parata%20a%20lutto.}}</ref>
 
Dopo avere lasciato la [[Romagna]], Ferrandino d'Aragona s'era recato a [[Roma]] ad esortare papa Alessandro VI "a star costante et saldo, et a non abbandonar el re suo padre". Ma il Papa, riluttante, cedette infine ai francesi, e se non altro offrì al giovane principe un salvacondotto col quale avrebbe potuto attraversare indisturbato l'intero [[Stato Pontificio]] così da tornarsene a Napoli. Ferrandino rifiutò sdegnato il salvacondotto e l'ultimo giorno dell'anno, 31 dicembre 1494, se ne uscì per la [[Porta San Sebastiano|porta di San Sebastiano]], proprio mentre da quella di [[Porta del Popolo|Santa Maria del Popolo]] entrava re Carlo VIII con l'esercito francese.<ref name=":12" /> L'accordo non risparmiò tuttavia Roma dai saccheggi delle truppe francesi, che si comportarono molto incivilmente, riempiendo gli appartamenti papali di "immunditie et paglia et molti tristi fetori". Erano ritenuti peggiori dei turchi, infatti avevano saccheggiato "e depredato tutto il mondo", non risparmiando neppure le chiese col bruciare i tetti e ogni tipo di legni, e devastato le campagne in modo che "mai fu visto la magiore crudelità".<ref>Archivio storico per le province napoletane, Volume 4, 1879, pp. 793-794.</ref>
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Per evitarne un'ulteriore permanenza in città, il 6 gennaio 1495 Alessandro VI accolse Carlo VIII e ne autorizzò il passaggio negli Stati pontifici verso [[Napoli]], affiancandogli come cardinale legato il figlio [[Cesare Borgia]]. Carlo VIII assediò ed espugnò il castello di [[Monte San Giovanni Campano|Monte San Giovanni]], trucidando 700 abitanti, e [[Tuscania]] ([[Viterbo]]), distruggendone due terzieri e uccidendone 800 abitanti.<ref>L'amante del papa, [[Giulia Farnese]], moglie del suo alleato [[Orsino Orsini (nobile)|Orsino Orsini]], e la suocera, [[Adriana Mila]], in viaggio da [[Bassanello]] verso il [[Vaticano]], caddero prigioniere dei soldati francesi. Carlo le usò come merce di scambio: le donne vennero liberate nel giro di un mese e l'esercito francese poté entrare sfilando in [[Roma]].</ref>
 
==== Abdicazione di Alfonso II ====
[[File:Ferrandino_d'Aragona.jpeg|miniatura|Presunto ritratto di re Ferrandino.|sinistra]]
Con l'avvicinarsi delle truppe nemiche, il re di Napoli [[Alfonso II di Napoli|Alfonso II]], conoscendo di essere profondamente odiato dal popolo napoletano per le proprie angherie e dalla nobiltà per le uccisioni perpetrate a seguito della [[congiura dei baroni]], pensò di assicurare maggiore stabilità al trono e alla discendenza abdicando in favore del giovane Ferrandino, viceversa amatissimo per le proprie virtù sia dal popolo sia dalla nobiltà, ed egli ritirarsi a vita monastica presso il monastero di Mazzara in [[Sicilia]]. Questa decisione sarebbe stata maturata a seguito dell'apparizione del fantasma del padre Ferrante I a un suo medico, al quale il defunto re avrebbe detto di abbandonare ogni speranza, perché la casa d'Aragona era destinata a estinguersi per l'enormità dei propri peccati.<ref name=":12" /><ref>Vite de' re di Napoli con lo stato delle scienze, delle arti, della navigazione, del commercio e degli spettacoli sotto ciascuno sovrano per Niccolo Morelli, 1849, p. 205.</ref><ref name=":12" />
 
Il 22 gennaio 1495 Alfonso II cedette la corona a [[Ferdinando II di Napoli|Ferrandino]], ma nonostante l'impegno profuso dal nuovo re, che cercò in breve di rimediare a tutti gli errori commessi dai propri predecessori, ciò non servì comunque ad evitare la conquista francese di Napoli. Tradito dai propri capitani e dalle città che si andavano dando al nemico, Ferrandino prese la drastica decisione di allontanarsi da Napoli in cerca di rinforzi. Prima d'imbarcarsi alla volta di Ischia con la famiglia, convocò però l'intero popolo e promise loro che sarebbe tornato nel giro di 15 giorni e che, se così non era, potevano considerarsi tutti quanti sciolti dal giuramento di fedeltà e di obbedienza fatto nei suoi confronti. Prima di rifugiarsi a [[Messina]], passò così con la famiglia reale ad Ischia, dove famoso rimase il tradimento del castellano Justo della Candida, che gli fece trovare le porte sbarrate. Ferrandino riuscì, con un pretesto, a farsi introdurre da Justo all'interno della fortezza e, appena se lo trovò di fronte, lo pugnalò "con tanto impeto che con la ferocia e con la memoria dell'autorità regia spaventò in modo gli altri che in potestà sua ridusse subito il castello e la rocca".<ref name=":12" /><ref name=":24">{{Cita libro|autore=Francesco Guicciardini|titolo=Storia d'Italia|anno=2000|url=https://archive.org/details/storiaditaliafrancescoguicciardini}}</ref><ref name=":12" />
 
=== Conquista di Napoli ===
[[File:French troops and artillery entering Naples 1495.jpg|thumb|upright=1.4|Ingresso delle truppe francesi a Napoli, il 22 febbraio 1495, dalla ''[[Cronaca figurata del Quattrocento]]'' di [[Melchiorre Ferraiolo]]]]
 
Il 22 febbraio re Carlo occupò Napoli senza combattere, dove i nobili napoletani gli aprirono le porte e lo incoronarono [[Regno di Napoli|re di Napoli]]. Egli prese dimora in [[Castel Capuano]], l'antica reggia fortificata dei [[SovraniNormanni di Sicilia#Re|re normanni di Sicilia (1130 - 1282)|sovrani normanni]]; qui si trattenne oziosamente per qualche mese, dilettandosi con le proprie amanti, e specialmente con la favorita Eleonora Piccolomini d'Aragona, figlia del defunto [[Antonio Piccolomini d'Aragona|duca di Amalfi]].<ref>Biblioteca dell'"Archivum Romanicum.": Storia, letteratura, paleografia, Volumi 44-45, L.S. Olschki, 1955, p. 163.</ref><ref>{{Cita|Sanudo|pp. 261-262.}}.</ref> Ormai padrone di Napoli, Carlo chiese di incontrare in colloquio il principe [[Federico I di Napoli|Federico]] e per tramite suo offrì a Ferrandino dei larghi possedimenti in Francia, a patto che rinunciasse a ogni pretesa sul regno di Napoli e alla dignità regale. Federico, il quale conosceva bene le intenzioni del nipote, subito rispose che Ferrandino non avrebbe mai accettato una simile offerta, poiché "era deliberato a vivere e morire da re, com'era nato".<ref>{{Cita libro|autore=Niccola Morelli|titolo=Vite de' re di Napoli|url=https://books.google.it/books?id=BqtEAQAAMAAJ&pg=PA196&dq=era+deliberato+a+vivere+e+morire+da+re,+com%27era+nato&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiqpfimiMr1AhUaR_EDHYvqBrYQ6AF6BAgCEAI#v=onepage&q=era%20deliberato%20a%20vivere%20e%20morire%20da%20re%2C%20com'era%20nato&f=false|p=196}}</ref> Pur avendo molti sostenitori fra i nobili napoletani, in gran parte nostalgici del [[Regno di Napoli#L'amministrazione angioina|periodo angioino]], e il controllo quasi totale del regno, Carlo non seppe sfruttare tali condizioni a suo favore e impose funzionari francesi ai vertici di tutte le amministrazioni. La debolezza delle sue scelte, dettate dall'arrogante convinzione di essere padrone indiscusso del reame e magari dell'intera Penisola, diede tempo e forza agli altri [[Antichi Stati italiani|stati italiani]] di coalizzarsi contro lui. Lo stesso Ludovico il Moro non aveva mai avuto intenzione di favorirlo realmente nella conquista, bensì aveva contato sul fatto che i signori d'Italia, e soprattutto Firenze, non lo avrebbero lasciato passare.<ref name=":72" />
 
La dominazione francese entrò subito in odio ai napoletani, che ne subivano i continui soprusi, tra stupri e saccheggi, per cui già nel maggio, forte di nuove truppe e del sostegno degli alleati, Ferrandino poté tornare nella penisola, acclamato al grido di "Ferro! Ferro!", e intraprendere la difficoltosa riconquista del regno a partire dalla [[Calabria]].<ref name=":12" />
 
== Seconda fase ==
 
=== La Lega di Venezia ===
La velocità e la violenza della campagna e la facilità con cui era avvenuta preoccupavano intanto i principati italiani. Specialmente i [[Repubblica di Venezia|Veneziani]] e il nuovo duca di Milano, [[Ludovico il Moro]], compresero che se Carlo non fosse stato fermato, la penisola italiana sarebbe presto diventata un'altra provincia della Francia:
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{{Vedi anche|Battaglia di Seminara (1495)}}
Nel maggio una pesante sconfitta navale ad opera della flotta genovese ([[Battaglia di Rapallo (1495)|seconda battaglia di Rapallo]]) privò quasi totalmente Carlo del supporto navale necessario al trasporto delle pesanti artiglierie e alla logistica dell'esercito. Nello stesso mese il re di Francia, in seguito alle pulsioni filo-aragonesi del popolo napoletano e all'avanzare delle armate di Ferrandino nel Regno, comprese la necessità di lasciare Napoli e si avviò per rientrare in patria.
Ferrandino si unì a suo cugino, [[Ferdinando II d'Aragona]], [[re di Sicilia]] e [[Spagna]], che gli offrì assistenza nella riconquista del Regno.<ref>Nicolle, ''Fornovo'', 7-11.; Prescott, ''Reign of Ferdinand and Isabella'', 265-6.</ref> Il 24 maggio il generale spagnoloaragonese [[Gonzalo Fernández de Córdoba]] giunse al [[porto di Messina]] con un piccolo esercito composto da 600 lancieri della cavalleria spagnola e 1.500{{formatnum:1500}} fanti, solo per scoprire che Ferrandino era già passato in [[Calabria]] con l'esercito, portando con sé la flotta dell'ammiraglio Requesens, e aveva rioccupato [[Reggio Calabria|Reggio]]. Anche da Córdoba passò in Calabria due giorni dopo.<ref>{{en}} [[William H. Prescott]]. ''History of the Reign of Ferdinand and Isabella, the Catholic, of Spain.'' Volume II. London: Bradbury and Evans, 1854, p. 272.</ref>
[[File:Adriano fiorentino, medaglia di ferdinando d'aragona principe di capua.JPG|sinistra|miniatura|Medaglia raffigurante Ferrandino duca di Calabria, [[Adriano Fiorentino]], 1494 circa.]]
Il re condusse l'esercito alleato fuori dall'abitato di [[Seminara]] il 28 giugno e prese posizione lungo un torrente. Inizialmente il [[Battaglia di Seminara (1495)|combattimento]] volse a favore degli alleati e Ferrandino combatté con grande valore, tanto che "parea fosse risuscitato quillo grande [[Ettore (mitologia)|Ettore]] de Troia",<ref>Archivio storico per le province napoletane, Volume 53, 1928, p. 147.</ref> però la milizia calabrese, presa dal panico, tornò indietro; sebbene Ferrandino tentasse di arrestare la loro fuga, i calabresi in ritirata furono attaccati dai ''gendarmi'' franco-svizzeri che erano riusciti ad attraversare il corso d'acqua trionfando.<ref>{{en}} [[William H. Prescott]]. ''History of the Reign of Ferdinand and Isabella, the Catholic, of Spain.'' Volume II. London: Bradbury and Evans, 1854, p. 277.</ref> La situazione divenne presto disperata per le forze alleate: il re, facilmente riconosciuto dal lussuoso abbigliamento, fu duramente attaccato, disarcionato e minacciato dalle forze nemiche e sfuggì solo grazie al sacrificio di [[Giovanni di Capua]], fratello del Conte di Altavilla, che gli cedette la propria cavalcatura.<ref name="Francesco Guicciardini">{{Cita|Francesco Guicciardini|p. 226}}.</ref><ref>{{Cita|Sigismondo Conti|p. 153}}.
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Citazione: «''in mea animula parva iactura est, in regum vita multorum populorum vita, salusque continetur''».</ref>
 
Nonostante la vittoria delle forze francesi e svizzere, Ferrandino, grazie alla lealtà del popolino, fu presto in grado di riprendere Napoli. De Córdoba, usando delle tattiche di [[guerriglia]], lentamente riconquistò il resto della Calabria. Molti dei mercenari al servizio dei francesi si [[Ammutinamento|ammutinarono]] a causa del mancato pagamento del soldo e ritornarono in patria, le rimanenti forze francesi furono intrappolate ad [[Atella (comune)|Atella]] dalle forze riunite di Ferdinando e del Cordova e costrette ad arrendersi. Già il 7 luglio 1495 Ferrandino poté rientrare a Napoli, accolto dalla popolazione festante.<ref name=":12" /><ref name=":8">{{Cita libro|autore=Notar Giacomo|titolo=Cronica di Napoli|p=198}}</ref><ref name=":12" />
 
L'insolenza e la crudeltà dei francesi resero ancor più grato ai napoletani il suo ritorno. Infatti Ferrandino usava "humanità, piacevolenza et liberalità con generosità di animo con ognuno, perdona a tutti, né mai alcune de luy se parte mal contento, né vole intendere alcuna offesa, né che li sia parlato de vendeta". Diverse città, monasteri, università, ma anche nobili e cittadini privati, gli offrirono spontaneamente soldati, denaro e gioielli per sostenere la sua causa: egli ricevette così circa 50.000{{formatnum:50000}} ducati, di cui 10.000{{formatnum:10000}} racimolati solo dal popolo di Napoli. Si aveva l'assoluta certezza che sarebbe riuscito in breve a liberare l'intero regno, sia perché non gli mancava il sostegno della potenza veneziana, sia perché, dovendo riscuotere tasse, non avrebbe incontrato alcuna opposizione da parte del popolo, "per essere non solum amato, ma adorato da ciascuno".<ref>Archivio storico per le province napoletane, Volume 4, 1879, p. 802.</ref>
 
=== L'assedio di Novara ===
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Ludovico si rifugiò allora con la propria famiglia nella Rocca del Castello di Milano ma, non sentendosi ugualmente al sicuro, meditò di abbandonare il ducato per rifugiarsi in Spagna. La ferma opposizione della moglie [[Beatrice d'Este]] e di alcuni membri del consiglio lo convinsero tuttavia a desistere.<ref name="Corio, p. 10772" /> Lo stato soffriva comunque di una grave crisi finanziaria, non v'era denaro per pagare l'esercito e il popolo, esasperato dalle tasse, minacciava la rivolta. Scrive il [[Filippo de Commynes|Comines]] che, se il duca d'Orleans avesse avanzato solo di cento passi, l'esercito milanese avrebbe ripassato il Ticino, ed egli sarebbe riuscito ad entrare a Milano, poiché alcuni nobili cittadini si erano offerti di introdurvelo.<ref name=":2">{{Cita|Dina|p. 366}}.</ref>
Secondo il cronista veneziano [[Domenico Malipiero|Malipiero]], Ludovico non resse alla tensione e cadde ammalato, forse a causa di un [[ictus]] (secondo l'ipotesi di alcuni storici), poiché era divenuto paralitico di una mano, non usciva mai dalla camera da letto e si faceva vedere raramente, dubitando che il popolo gli si rivoltasse contro: "El Duca de Milan ha perso i sentimenti; se abandona sé mede[s]mo; no fa le provision a tempo".<ref name=":2" /><ref>Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, Domenico Malipiero, Francesco Longo (Senatore.), Agostino Sagredo, 1843, pp. 347 e 351.</ref><ref name=":22" />
 
Malipiero è tuttavia il solo a riferire di questa sua strana malattia, inoltre la sua cronologia è discordante da quella del [[Sanudo]], il quale non vi fa alcun accenno. L'anonimo cronista ferrarese si limita a dire che "il duca de Milano era amalato in questo tempo in Milano";<ref>{{Cita|Anonimo ferrarese|p. 162}}.</ref> ma la malattia era forse una scusa per giustificare il fatto che la moglie Beatrice d'Este avesse, come in una sorta di [[reggenza]], preso in mano il governo dello stato e della guerra al suo posto e che, come riferisce Bernardino Zambotti, fosse stata nominata [[Governatore|governatrice]] di Milano insieme al fratello [[Alfonso I d'Este|Alfonso]],<ref>{{Cita|Zambotti|p. 252}}.</ref> il quale tuttavia cadde ben presto ammalato di [[sifilide]]. Ella si assicurò l'appoggio e la fedeltà dei nobili milanesi, prese i necessari provvedimenti per la difesa e abolì alcune tasse in odio al popolo.<ref name=":222">{{Cita|Dina|p. 366}}.</ref> Una lettera di Beatrice del 17 luglio testimonia in effetti di una malattia piuttosto grave di Ludovico,<ref>L'Orlando furioso e la rinascenza a Ferrara, Giulio Bertoni, Modena U. Orlandini, 1919, p. 344.</ref> ma non è chiaro quando fosse cominciata, poiché fonti milanesi, fra cui l'ambasciatore [[Giacomo Trotti]], risulta che ancora alla fine di giugno Ludovico fosse attivo e in salute, riunisse il consiglio, visitasse gli ambasciatori veneziani e prendesse provvedimenti di natura militare e sociale, quali appunto lo sgravio delle tasse, sebbene fosse a dir poco disperato.<ref name=":13">Gli Sforza a Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1978, pp. 85-88.</ref>
 
L'esercito sforzesco si era nel mentre spostato nei pressi di Vigevano, sotto il comando del capitano generale [[Galeazzo Sanseverino]], mentre la Serenissima inviò in soccorso di Milano [[Bernardo Contarini]], [[Provveditore (Repubblica di Venezia)|provveditore]] degli [[Stradioti|stradiotti]]. L'esercito della Lega, guidato da Francesco Gonzaga, non si unì se non dopo la [[Battaglia di Fornovo]], il 19 luglio. A giugno la Signoria di Venezia - stando a Malipiero - aveva nel frattanto scoperto che il [[Ercole I d'Este|duca di Ferrara]], padre di Beatrice, assieme ai fiorentini riforniva in segreto il duca d'Orléans a Novara e teneva quotidianamente avvisato re Carlo di tutte le operazioni belliche a Venezia come in Lombardia, poiché il re gli aveva promesso in cambio di fargli recuperare il [[Polesine|Polesine di Rovigo]],<ref>{{Cita web|url=https://www.google.it/books/edition/Annali_veneti_dall_anno_1457_al_1500/QNQFAAAAQAAJ|titolo=Annali veneti dall'anno 1457 al 1500|autore=Domenico Malipiero|editore=Francesco Longo|volume=1|p=352}}</ref> territorio sottrattogli dai veneziani al tempo della [[Guerra di Ferrara (1482-1484)|Guerra del Sale]]. In aggiunta, il condottiero [[Gaspare Sanseverino|Fracasso]], fratello di Galeazzo, venne accusato di doppio gioco col re di Francia.<ref name=":0">Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, Domenico Malipiero, Francesco Longo (Senatore.), Agostino Sagredo, 1843, p. 389.</ref>
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Beatrice d'Este fin dal maggio aveva, con suppliche e con minacce, richiesto invano aiuti economici e militari al padre Ercole il quale, per non esporsi, acconsentì a mandare soltanto il denaro, ma rifiutò d'inviare i suoi uomini d'arme.<ref name=":14">Maria Serena Mazzi, Come rose d'inverno, Nuovecarte, 2004, pp. 68-70.</ref> Il 14 giugno ella ripeté un'ultima disperata richiesta, scongiurandolo che "per viscera Virginis Marie" volesse mandarle "tuti li [[Cavalleggero|cavali legeri]] et de magiore numero che la pote", ma anche stavolta inutilmente.<ref name=":14" />
 
Non potendo contare, dunque, sull'aiuto paterno, la notte del 27 giugno Beatrice si recò da sola, senza il marito, al [[Accampamento|campo militare]] di [[Vigevano]], sia per supervisionarne l'ordine sia per animare i suoi capitani a muovere contro il duca d'Orleans, che in quei giorni faceva continuamente scorrerie in quella zona. Il mattino seguente Galeazzo e Bernardo Contarini finalmente decisero di avanzare con l'esercito schierato in ordine da battaglia e recuperarono le posizioni perdute nei giorni precedenti. Fondamentale fu ferocia degli stradiotti di Bernardo, che infusero un grande terrore nei nemici, portandone le teste mozzate alla duchessa e al capitano.<ref name="Sanudo, p. 4382" /> L'opinione del [[Francesco Guicciardini|Guicciardini]] è che se il duca d'Orléans avesse tentato subito l'assalto, avrebbe preso Milano, poiché la difesa risiedeva nel solo Galeazzo,<ref name=":17">{{Cita libro|titolo=Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini|url=https://books.google.it/books?id=RAM7bcDTdyEC&pg=PA191&dq|pp=10, 191}}</ref> ma la dimostrazione di forza voluta da Beatrice valse a confonderlo nel fargli credere le difese superiori a quel che erano, cosicché egli non osò tentare la sorte e si ritirò dentro Novara. L'esitazione gli fu fatale, poiché permise a Galeazzo di riorganizzare le truppe e di circondarlo, costringendolo così a un lungo e logorante assedio.<ref name="Sanudo, p. 4382">{{Cita|Sanudo|pp. 425, 438-441}}. {{Cita|Maulde|221-224}}.</ref><ref>{{Cita libro|autore=Yvonne Labande-Mailfert|titolo=Charles VIII: Le vouloir et la destinée|anno=2014|editore=Fayard|citazione=Ludovic a été si terrifié par la prise de Novare qu'il annonce à l'ambassadeur espagnol son intention de se retirer en Espagne. Seule, la très jeune Béatrice d'Este son épouse a l'énergie de réunir quelques troupes qui vont arrêter la marche esquissée seulement par ses adversaires sur Vigevano.}}</ref>
 
{{Citazione|Luigi duca d'Orleans [...] in pochi giorni preparò un abbastanza bell'esercito, con il quale entrò a Novara e quella prese, e in pochi giorni parimenti ebbe il castello, la quale cosa arrecò grande paura a Ludovico Sforza e fu poco presso alla disperazione per la sua sorte, se non fosse stato riconfortato da Beatrice sua moglie [...] O poca gloria di un principe, al quale bisogna che la virtù di una donna gli doni il coraggio e gli faccia la guerra, per la salvezza del dominio!|Cronaca di Genova scritta in francese da Alessandro Salvago<ref>Cronaca di Genova scritta in francese da Alessandro Salvago e pubblicata da Cornelio Desimoni, Genova, tipografia del R. Istituto de' sordo-muti, 1879, pp. 71-72.</ref>|Loys duc d'Orleans [...] en peu de jours mist en point une assez belle armée, avecques la quelle il entra dedans Noarre et icelle print, et en peu de jours pareillement eut le chasteau, laquelle chose donna grant peur à Ludovic Sforce et peu près que desespoir à son affaire, s'il n'eust esté reconforté par Beatrix sa femme [...] O peu de gloire d'un prince, à qui la vertuz d'une femme convient luy donner couraige et faire guerre, à la salvacion de dominer!|lingua=fr}}[[File:Statua_di_San_Vittore_dal_basso_museo_del_Duomo_di_Milano.jpg|miniatura|Probabile ritratto di [[Galeazzo Sanseverino]], statua nella collezione del [[Grande Museo del Duomo di Milano]]]]Il 29 giugno il campo si spostò a [[Cassolnovo]], possesso diretto di Beatrice. La donna supervisionò l'ordine delle truppe e del campo, quindi tornò a Vigevano, dove rimase alloggiata, in modo tale da tenersi subito informata delle operazioni. A detta del [[Marin Sanudo il Giovane|Sanudo]] era però malvista da ognuno per l'odio che portavano al marito Ludovico, il quale stava al sicuro nel castello di Milano e da lì faceva i suoi provvedimenti.<ref name="Sanudo, p. 4382" /> Ripresosi infine dalla presunta malattia, ai primi di agosto quest'ultimo si recò insieme alla moglie all'accampamento di Novara, dove risiedettero nelle successive settimane.<ref>''Il fatto d'arme del Tarro'', Alessandro Benedetti, Lodovico Domenichi, A. Crosa e C. Moscotti, 1863, pp. 153-162.</ref>
 
Nel frattempo la città era falcidiata da carestia ed epidemie che decimavano l'esercito nemico. Il duca d'Orleans, ammalato anch'egli di febbri malariche, esortava i suoi uomini a resistere con la falsa promessa che gli aiuti del re sarebbero presto giunti. Fu infine costretto a cedere la città su imposizione di re Carlo, che faceva ritorno in Francia, e l'impresa si risolse in un nulla di fatto.<ref name="Corio, pp. 1095-1099">{{Cita|Corio|pp. 1095-1099}}.</ref>
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=== La pace di Vercelli ===
È nota come pace di Vercelli poiché i capitoli furono firmati a [[Vercelli]], dove si trovava il re, ma fu in verità discussa nel [[Assedio di Novara (1495)|campo di Novara]]: per parte francese intervennero come oratori [[Filippo de Commynes|Filippo di Comines]], il presidente di Ganay e Morvilliers balivo di Amiens; per parte degli alleati un inviato del re dei Romani, l'ambasciatore di Spagna Juan Claver, il marchese Francesco Gonzaga, i provveditori [[Melchiorre Trevisan]] e Luca Pisani con l'ambasciatore veneziano, Ludovico Sforza con la moglie Beatrice e infine un ambasciatore del duca di Ferrara. Le trattative durarono più di quindici giorni e l'accordo fu firmato il 9 ottobre. Fu stabilito un salvacondotto per il duca d'Orleans, che fu tratto da Novara e andò a Vercelli, nonostante l'opposizione di quest'ultimo, che non voleva la pace. Anche il duca Ercole d'Este sembrava del medesimo parere: egli mandò, a detta del Comines, il conte [[Albertino V Boschetti|Albertino Boschetti]] a Vercelli, con la scusa di chiedere il salvacondotto per il marchese di Mantova e altri che dovevano venire a discutere la pace. Ricevuto dal re, il conte gli suggerì invece di resistere, «dicendo che tutto il campo era in grande paura e che presto se ne sarebbero andati». A dispetto dei molti pareri discordi, i francesi accettarono la pace per necessità, per mancanza di denaro e per altre ragioni, pur essendo consapevoli che avrebbe avuto breve durata. Ai veneziani furono poi concessi due mesi di tempo per accettare la pace, ma essi la rifiutarono.<ref>{{Cita libro|autore=[[Filippo di Commynes]]|traduttore=Maria Clotilde Daviso di Charvensod|titolo=Memorie|anno=1960|editore=Giulio Einaudi|pp=507-517}}</ref>
 
Il Monarca francese si ritirò in Francia passando attraverso la Lombardia: negli anni seguenti meditò una nuova campagna in Italia, ma la prematura morte per aver battuto la testa contro una porta gli impedì di attuarla. Il duca d'Orleans, dal canto suo, non smise un istante di minacciare una seconda spedizione contro il ducato di Milano, che fu in allarme fin dal 1496. La cosa ebbe seguito però solamente nel 1499, con la [[Guerra d'Italia del 1499-1504|seconda discesa dei francesi in Italia]], quando egli divenne re col nome di [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]], e Ludovico Sforza si ritrovò senza più alleati.
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{{Citazione|Stete alquanto quieta Italia, doppoi el stabilimento de Ferdinando primo Re de Sicilia [...], havendo Francesco Sforza inclito ducha de Milano data per mogliere Hippolyta sua figliola ad Alphonso ducha de Calabria [...] la quale fu de tanta virtù che non solamente da li Nobili Neapolitani, ma da tutto el Regno era reputata piissima madre. Questa donna prudente [...] operò fosse data per mogliere Isabella sua figliola ad Joann Galeaz duca, suo nepote, parendogli dovesse essere causa de perpetua pace et pubblica salute, et benché el pensiero suo paresse pieno de ogni prudentia et circumspectione, nondimeno, come volse el fato, successe de directo contrario, perhoché non più presto condutta a Milano venne in controversia cum Beatrice Duchessa de Barri, essendo Ludovico Sforza suo marito, tutore et Governatore de quello Stato che Joann Galeaz era molto giovene et pocho apto a dominare, et tanto crebbe l'odio et ambitione fra loro, che Alfonso per vendicare le ingiurie de la figliola cercava deponere Ludovico dal Governo, et che Isabella fosse vera Duchessa de Milano; unde Ludovico, accorgendose dil tracto, dubitando molto de Alphonso, determinò de prevenire et cazarlo prima del Regno, che essere privo del suo loco, et tanto seppe fare che Karlo VIII, Re de Franza, in persona fece venire in Italia [...]|Jacopo d'Atri, Croniche del marchese di Mantova.<ref>Deputazione di storia patria per la Lombardia, ''Archivio storico lombardo'', Società storica lombarda, 1874, pp.&nbsp;40-41).</ref>}}
[[File:Isabella d'Aragona di Napoli, lunetta.jpg|sinistra|miniatura|Lunetta di [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]] nella casa degli Atellani, Milano.]]
Altri invece, quali [[Carlo Rosini|Carlo Rosmini]] e [[Paolo Giovio]], ne scaricano la colpa interamente su Beatrice, assolvendo in ciò Isabella:<ref name=":11">{{Cita libro|titolo=Dell'istoria di Milano del cavaliere Carlo de' Rosmini roveretano. Tomo 1, 1820|url=https://www.google.it/books/edition/Dell_istoria_di_Milano_del_cavaliere_Car/cZn2lXYM4DgC?hl=it&gbpv=0|pp=148-149 e 155-156}}</ref>{{Citazione|Beatrice, giovinetta altiera e ambiziosa, veggendo il marito governar dispoticamente lo Stato, accordar le grazie, dispensar gli onori e gli ufizj, e non lasciare al Nipote che il solo e nudo titolo di Duca, si avvisò essa pur d'imitarlo, e, già in possesso del cuore di lui, volle aver parte eziando nella pubblica amministrazione degli affari. [...] Soffrì alcun tempo Isabella tanta insolenza, ma pur finalmente dallo sdegno mossa e dalle suggestioni sospinta de' suoi famigliari, si diede ad altamente lagnarsi dell'ingiustizia [...]|Dell'istoria di Milano del cavaliere Carlo de' Rosmini roveretano. Tomo 1}}
Né l'uno né l'altro riconoscono però l'importanza dell'intervento di Beatrice nel respingere i francesi dalla Lombardia, né la sua positiva influenza nel governo dello stato milanese, alla qual cosa accennarono invece già alcuni autori coevi, quali [[Marin Sanudo il Giovane|Marin Sanudo]], Alessandro Salvago, [[Vincenzo Calmeta]], pur non essendo pienamente riconosciuta fino all'avvento degli storici ottocenteschi, e dimenticata da quelli successivi. [[Ludovico Ariosto]], considerato "il terzo grande pensatore politico del suo tempo, accanto a Machiavelli e Guicciardini",<ref>L'Orlando furioso, l'Italia (e i Turchi), note su identità, alterità, conflitti, Matteo di Gesù, Quodlibet Elements, 2020. pp. 9 e 83-84.</ref> legò anzi la presenza di Beatrice al destino dell'Italia intera: «Beatrice bea, vivendo, il suo consorte / e lo lascia infelice alla sua morte; / anzi tutta l'Italia, che con lei / fia [sarà] triunfante, e senza lei, captiva [prigioniera]»;<ref name="a 3">[[Orlando Furioso]], canto 42, ottave 91-92 ({{Cita libro|autore=Ludovico Ariosto|wkautore=Ludovico Ariosto|titolo=L'Orlando furioso|url=https://www.google.it/books/edition/L_Orlando_furioso_di_Lodovico_Ariosto/42lJAAAAMAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1839|editore=Lefevre|pp=280-281}})</ref> e ancora: «E Moro e Sforza e Viscontei [[Biscione (araldica)|colubri]], / lei viva, formidabili saranno / [...] lei morta, andran col [[Insubria|regno]] degl’[[Insubri]], / e con grave di tutta Italia danno, / in servitute; e fia stimata, senza / costei, ventura la somma prudenza».<ref>Orlando Furioso, canto 13, ottava 63 ({{Cita|Dina|p. 383}}).</ref>{{Citazione|E se non si può dar la colpa ad una donna dei grossi avvenimenti di poi, forse necessari in quel momento storico, è però vero che, se vi fosse stato bisogno di qualcuno che spingesse il Moro a chiamare gli stranieri in Italia per schiacciare e disperdere l'odiata dinastia aragonese, non si sarebbe potuto trovare nessuno più adatto di Beatrice. Ella era l'anima, ed un'indemoniata anima, della lotta che gli Sforza avevano impegnato contro il regno napoletano [...]|[[Maria Bellonci]], Lucrezia Borgia, Edizioni Mondadori, 2019.}}In un'ottica che tende però a occultare le presenze femminili nella storia, la colpa fu tradizionalmente attribuita al solo [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]], come fecero ad esempio [[Niccolò Machiavelli]]<ref>Niccolò Machiavelli, <nowiki>''Istorie Fiorentine''</nowiki>, p. 432</ref> e [[Francesco Guicciardini]], che lo chiama "autore e motore di tutto il male",<ref>{{Cita libro|titolo=Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini|url=https://books.google.it/books?id=RAM7bcDTdyEC&pg=PA191&dq|p=42}}</ref> e addirittura "causa della rovina del mondo".<ref>[https://www.google.it/books/edition/Rassegna_Italiana/mwJbfcZGmuIC?hl=it&gbpv=0&bsq=per%20acquistarlo%20fu%20causa%20della%20rovina%20del%20mondo Rassegna Italiana politica, letteraria and artistica], 1932, p. 391; Studi in onore di Pietro Silva, Pietro Silva, Università di Roma, Facoltà di magistero, 1957, F. Le Monnier, p. 296.</ref>{{Citazione|Se bene e' fu signore di grande ingegno e valente uomo, e così mancassi di crudeltà e di molti vizii che sogliono avere i tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtù furono oscurate e coperte da molti vizii; [...] ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale, per essere arbitro di Italia, lo constrinsecostrinse a fare passare il re Carlo e empiere Italia di barbari|[[Francesco Guicciardini]], Storia fiorentina.<ref>[https://www.google.it/books/edition/Opere_inedite_di_Francesco_Guicciardini/LHt5ZdCCkD8C?hl=it&gbpv=0 Opere inedite di Francesco Guicciardini] etc, Storia fiorentina, dai tempi di Cosimo de' Medici a quelli del gonfaloniere Soderini, 3, 1859, p. 217</ref> }}
{{Citazione|Beatrice, giovinetta altiera e ambiziosa, veggendo il marito governar dispoticamente lo Stato, accordar le grazie, dispensar gli onori e gli ufizj, e non lasciare al Nipote che il solo e nudo titolo di Duca, si avvisò essa pur d'imitarlo, e, già in possesso del cuore di lui, volle aver parte eziando nella pubblica amministrazione degli affari. [...] Soffrì alcun tempo Isabella tanta insolenza, ma pur finalmente dallo sdegno mossa e dalle suggestioni sospinta de' suoi famigliari, si diede ad altamente lagnarsi dell'ingiustizia [...]|Dell'istoria di Milano del cavaliere Carlo de' Rosmini roveretano. Tomo 1}}
Né l'uno né l'altro riconoscono però l'importanza dell'intervento di Beatrice nel respingere i francesi dalla Lombardia, né la sua positiva influenza nel governo dello stato milanese, alla qual cosa accennarono invece già alcuni autori coevi, quali [[Marin Sanudo il Giovane|Marin Sanudo]], Alessandro Salvago, [[Vincenzo Calmeta]], pur non essendo pienamente riconosciuta fino all'avvento degli storici ottocenteschi, e dimenticata da quelli successivi. [[Ludovico Ariosto]], considerato "il terzo grande pensatore politico del suo tempo, accanto a Machiavelli e Guicciardini",<ref>L'Orlando furioso, l'Italia (e i Turchi), note su identità, alterità, conflitti, Matteo di Gesù, Quodlibet Elements, 2020. pp. 9 e 83-84.</ref> legò anzi la presenza di Beatrice al destino dell'Italia intera: «Beatrice bea, vivendo, il suo consorte / e lo lascia infelice alla sua morte; / anzi tutta l'Italia, che con lei / fia [sarà] triunfante, e senza lei, captiva [prigioniera]»;<ref name="a 3">[[Orlando Furioso]], canto 42, ottave 91-92 ({{Cita libro|autore=Ludovico Ariosto|wkautore=Ludovico Ariosto|titolo=L'Orlando furioso|url=https://www.google.it/books/edition/L_Orlando_furioso_di_Lodovico_Ariosto/42lJAAAAMAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1839|editore=Lefevre|pp=280-281}})</ref> e ancora: «E Moro e Sforza e Viscontei [[Biscione (araldica)|colubri]], / lei viva, formidabili saranno / [...] lei morta, andran col [[Insubria|regno]] degl’[[Insubri]], / e con grave di tutta Italia danno, / in servitute; e fia stimata, senza / costei, ventura la somma prudenza».<ref>Orlando Furioso, canto 13, ottava 63 ({{Cita|Dina|p. 383}}).</ref>{{Citazione|E se non si può dar la colpa ad una donna dei grossi avvenimenti di poi, forse necessari in quel momento storico, è però vero che, se vi fosse stato bisogno di qualcuno che spingesse il Moro a chiamare gli stranieri in Italia per schiacciare e disperdere l'odiata dinastia aragonese, non si sarebbe potuto trovare nessuno più adatto di Beatrice. Ella era l'anima, ed un'indemoniata anima, della lotta che gli Sforza avevano impegnato contro il regno napoletano [...]|[[Maria Bellonci]], Lucrezia Borgia, Edizioni Mondadori, 2019.}}In un'ottica che tende però a occultare le presenze femminili nella storia, la colpa fu tradizionalmente attribuita al solo [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]], come fecero ad esempio [[Niccolò Machiavelli]]<ref>Niccolò Machiavelli, <nowiki>''Istorie Fiorentine''</nowiki>, p. 432</ref> e [[Francesco Guicciardini]], che lo chiama "autore e motore di tutto il male",<ref>{{Cita libro|titolo=Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini|url=https://books.google.it/books?id=RAM7bcDTdyEC&pg=PA191&dq|p=42}}</ref> e addirittura "causa della rovina del mondo".<ref>[https://www.google.it/books/edition/Rassegna_Italiana/mwJbfcZGmuIC?hl=it&gbpv=0&bsq=per%20acquistarlo%20fu%20causa%20della%20rovina%20del%20mondo Rassegna Italiana politica, letteraria and artistica], 1932, p. 391; Studi in onore di Pietro Silva, Pietro Silva, Università di Roma, Facoltà di magistero, 1957, F. Le Monnier, p. 296.</ref>{{Citazione|Se bene e' fu signore di grande ingegno e valente uomo, e così mancassi di crudeltà e di molti vizii che sogliono avere i tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtù furono oscurate e coperte da molti vizii; [...] ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale, per essere arbitro di Italia, lo constrinse a fare passare il re Carlo e empiere Italia di barbari|[[Francesco Guicciardini]], Storia fiorentina.<ref>[https://www.google.it/books/edition/Opere_inedite_di_Francesco_Guicciardini/LHt5ZdCCkD8C?hl=it&gbpv=0 Opere inedite di Francesco Guicciardini] etc, Storia fiorentina, dai tempi di Cosimo de' Medici a quelli del gonfaloniere Soderini, 3, 1859, p. 217</ref> }}
 
Ludovico stesso si pentiva delle proprie azioni, ammettendo di avere "fatto gran male all'Italia", seppure al solo scopo di conservare la propria posizione, ma ne dava la colpa al re di Napoli e in parte anche alla Signoria di Venezia:<ref name=":26">{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/ludovico-sforza-detto-il-moro-duca-di-milano_%28Dizionario-Biografico%29/|titolo=LUDOVICO Sforza, detto il Moro, duca di Milano|autore=Gino Benzoni}}</ref>
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{{Citazione|Confesso che ho fatto gran male all' Italia; ma l'ho fatto per conservarmi nel loco in cui mi trovo. L' ho fatto mal volentieri; ma la colpa è stata del re Ferdinando: ed anche, voglio dirlo, in qualche parte, della Illustrissima Signoria [di Venezia]; perché mai si volle lasciare intendere. Ma dipoi, non ha ella veduto le continue operazioni mie, rivolte alla liberazione d'Italia? E siate certo che, se differiva più a far la pace di Novara, actum erat [era la fine] de Italia; perché le cose nostre erano costituite in pessimi termini.|Parole di Ludovico Sforza all'oratore veneziano Francesco Foscari.<ref>Archivio storico italiano, 1844, G. P. Vieusseux, pp. 843-844.</ref>}}
 
Anche [[Domenico Malipiero]] imputa indirettamente la colpa a Ludovico, riportando nei suoi "Annali" il suo atteggiamento ambiguo e ostile nei confronti dei suoi stessi alleati, nonché le voci che circolavano sulla reputazione del duca anche tra gli ambasciatori, e dunque le corti, stranieri:<ref>{{Cita web|url=https://www.google.it/books/edition/Annali_veneti_dall_anno_1457_al_1500/QNQFAAAAQAAJ|titolo=Annali veneti dall'anno 1457 al 1500|autore=Domenico Malipiero|curatore=Francesco Longo|volume=1|p=395}}</ref>
 
{{Citazione|A' 2 d'Ottubrio. L'Ambassador del Re de Napoli se ha lamentà in Corte del palazzo con l'Ambassador de Milan, che'l so Duca habbia concluso la pase senza partecipazion de i principi della ligha: e ghe ha ditto, che l'ha rotto la so parola; e l'Ambassador de Milan ghe ha dà una mentia: e soranzose l'Ambassador de Spagna, e disse: ''Se l'ha fatto morir so nevodo, el puol anche no osservar la so parola.''|Domenico Malipiero "Annali Veneti"}}[[File:7580 - Ludovico il Moro - Museo del Paesaggio (Verbania) - Foto Giovanni Dall'Orto, 8-Jan-2012a.jpg|miniatura|[[Ludovico il Moro]]. Tondo dal fregio rinascimentale strappato dal castello visconteo di [[Invorio|Invorio Inferiore]],]]Ciò ebbe molto seguito nella corrente [[Romanticismo|romantica]]. [[Giovanni Battista Niccolini|Giovan Battista Niccolini]], nella propria tragedia, metterà infatti in bocca al conte Belgioioso parole di duro biasimo per il Moro:
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Oggi questa opinione tende ad essere rivista, ricordando come anche il principe [[Antonello Sanseverino]] e il cardinale [[Papa Giulio II|Giuliano della Rovere]], entrambi rifugiati alla corte di Francia, avessero avuto considerevole parte nell'incitare Carlo VIII a discendere in Italia, sperando così di recuperare i propri possessi rispettivamente contro gli [[Alfonso II di Napoli|Alfonso d'Aragona]] e Papa [[Papa Alessandro VI|Alessandro VI]].<ref name=":1">Bernardino Zambotti, Diario Ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504, in Giuseppe Pardi (a cura di), Rerum italicarum scriptores, p. XXIII</ref>
Una simile accusa fu rivolta anche ad [[Ercole I d'Este]], suocero del Moro, sebbene fosse tardivamente attenuata dagli storici favorevoli alla sua casa.<ref name=":18" /> Egli fu tra gli incitatori e poi sostenitori di Carlo VIII come del suo successore [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]], allo scopo di riacquistare, con l'aiuto francese, i territori che i veneziani gli avevano sottratto nel corso della [[Guerra di Ferrara (1482-1484)|Guerra del Sale]]. Il Guicciardini giudicò che dietro le sue manovre vi fosse anche un'ulteriore motivazione: una "squisita vendetta dantesca" (come la definisce lo storico Paolo Negri) ai danni del genero Ludovico, che l'aveva tradito ai tempi della Guerra del Sale. Dando al genero il "perfido consiglio" di chiamare in Italia i francesi, Ercole avrebbe mirato a uno sconvolgimento generale d'Italia in cui sarebbe sta punita non solo Venezia ma anche il Moro stesso.<ref name=":18" /> Questo malgrado l'apparente politica di neutralità, che ne fece un vero e proprio giudice fra le due parti, al momento di decidersi la pace.<ref name=":1" /> Neutralità esplicata dal fatto che avesse un figlio, [[Alfonso I d'Este|Alfonso]], che combatteva per gli italiani, e uno, [[Ferrante d'Este|Ferrante]], al soldo dei francesi, tuttavia contestata sia da Malipiero sia da Sanudo, che non solo riportano episodi di spionaggio da parte del duca, ma anche di aperta ostilità nei confronti dei veneziani da parte di Ferrara, la cui popolazione "vestiva a la franzese cridando: Franza! Franza!" e aveva assalito sulla strada per Bologna un servitore del visdomino Giovan Francesco Pasqualigo, picchiandolo ferocemente.<ref name=":5">{{Cita|Sanudo|pp. 484-486}}.</ref> [[File:Sperandio_savelli,_ercole_I_d'este,_1475_ca._01.JPG|sinistra|miniatura|[[Ercole I d'Este|Ercole d'Este]], in una scultura di [[Sperandio (medaglista)|Sperandio Savelli]]]]Stando ai due cronisti veneziani, il duca Ercole avrebbe avvisato Carlo degli spostamenti dei Collegati sul Taro, favore per il quale suo figlio F stato investito dal Re del Ducato di Melfi;<ref>{{Cita web|url=https://www.google.it/books/edition/La_Spedizione_di_Carlo_VIII_in_Italia_ra/nz1aAAAAcAAJ|titolo=La Spedizione di Carlo VIII in Italia|autore=Marin Sanudo|curatore=Rinaldo Fulin|p=517}}</ref> inoltre sarebbe stato il mandante del tentato assassinio delerrante sarebbe genero [[Francesco II Gonzaga|Francesco Gonzaga]] cinque giorni prima della battaglia di Fornovo: Sanudo vi allude solamente, dicendo che il marchese Francesco, invitato da alcuni ferraresi ad assistere a un [[duello]], vi trovò quattro [[Balestriere|balestrieri]] con le balestre cariche, di cui uno rifiutò di scaricare l'arma e per questo fu decapitato; in seguito a ciò decretò che più nessun ferrarese potesse abitare in territorio mantonavo e che entro tre ore dovessero sgomberare il paese: "quale fusse la cagion, lasso considerar a li Savij [che] lezerano".<ref name=":5" /> Malipiero invece lo dice chiaramente, sostenendo che pochi mesi dopo, trovandosi gravemente ammalato a Fondi, il marchese Francesco avesse raccomandato la famiglia e lo stato alla Signoria di Venezia, dicendo di non potersi fidare di nessun altro, poiché "el Duca de Ferrara, so suocero, ha tentà de farlo venenar [avvelenare]".<ref>{{Cita|Malipiero|p. 469}}.</ref> Ma secondo il medesimo cronista il duca Ercole avrebbe altrettanto avvelenato la moglie [[Eleonora d'Aragona (1450-1493)|Eleonora d'Aragona]], poiché a sua volta la donna aveva ricevuto commissione dal padre Ferrante di avvelenare il marito.<ref>{{Cita|Malipiero|p. 319}}.</ref> I sospetti di connivenza e le palesi simpatie filofrancesi di Ferrara compromisero per i mesi a seguire i rapporti tra il Ducato e la Serenissima. All'annuncio della vittoria di Fornovo, nella città lagunare era scoppiato un vero e proprio sentimento anti-ferrarese, chiedendo a gran voce il popolo veneziano alla Signoria di dichiarare guerra ad Ercole, mentre per tutta [[Rialto (Venezia)|Rialto]] circolava questa canzonetta: "Marchexe di Ferrara, di la caxa di Maganza, tu perderà 'lo stado, al dispetto dil Re di Franza!" Il Doge [[Agostino Barbarigo (doge)|Agostino Barbarigo]] rifiutò di ricevere l'ambasciatore ferrarese, venuto a congratularsi per il successo, fino al giorno successivo, riservandogli in Collegio aspre parole di accusa e rimprovero, sia per il comportamento ambiguo del suo signore sia del popolo ferrarese nei confronti del visdomino Pasqualigo, congedandolo poi in fretta.<ref name=":5" /> Rendendosi forse conto della sua posizione compromessa, il 9 ottobre 1495 Ercole scriveva infine alla Signoria per "darghe [dargli] pace de sua reputazion, e farghe [fargli] cognoscer che l'è bon servidor".<ref name=":4">{{Cita web|url=https://www.google.it/books/edition/Annali_veneti_dall_anno_1457_al_1500/QNQFAAAAQAAJ|titolo=Annali veneti dall'anno 1457 al 1500|autore=Domenico Malipiero|editore=Francesco Longo|volume=1|p=396}}</ref>
 
Anche Firenze giudicò Ercole il principale istigatore della calata dei francesi, tuttavia più colpevole di lui apparve il genero duca di Milano.<ref name=":1" /> Ma simili accuse furono rivolte anche alla stessa Repubblica di Venezia che, col suo atteggiamento incerto e chiuso, dette l'impressione di voler approfittare della guerra per realizzare quella conquista di Ferrara fallita una decina di anni prima.<ref name=":18" />{{Citazione|È giusto, per altro, riconoscere che non furon essi [Lodovico il Moro ed Ercole d'Este] la causa principale della nostra rovina, perché in fondo l'impresa di Carlo VIII, riuscita dapprima felicemente, fallì per aver subito il Moro compreso l'errore commesso e stretta rapidamente una Lega contro quel Sovrano; bensì i Veneziani, i quali, come si esprime il Machiavelli, "per acquistare dua terre in Lombardia feciono Signore el Re [Luigi XII] del terzo di Italia". Né Venezia poteva addurre a scusa un odio inestinguibile contro il duca di Milano, come divampava tra questo e il Re di Napoli, perché anzi poco prima era stata sua alleata contro Carlo VIII, avendo allora compreso quello che più tardi, accecata da un'ambizione sfrenata, disconobbe: l'interesse maggiore d'Italia consistere nell'unione di tutti gli Stati della penisola contro i troppo potenti Sovrani stranieri.|Giuseppe Pardi, Prefazione al Diario ferrarese di Bernardino Zambotti.<ref name="ref_A" />}}Bisogna, infine, osservare che i veneziani si rivelarono buoni alleati per Ludovico almeno finché quest'ultimo, sotto la benigna influenza della moglie filoveneziana, si mantenne nella loro amicizia. Con la [[morte di Beatrice d'Este]] nel 1497 si temette un rivolgimento di alleanze,<ref>{{Cita|Sanudo, Diarii|p. 462}}.</ref> quale poi in effetti accadde con la guerra di Pisa del 1498, quando Ludovico abbandonò l'alleata Venezia per Firenze, mossa che segnò poi la sua rovina, in quanto gli alienò i favori dell'unica potenza che avrebbe potuto soccorrerlo contro le mire espansionistiche del nuovo re Luigi XII, non potendo certo contare sul suocero Ercole d'Este, ormai palesemente filofrancese, né sui Medici di Firenze, né tantomeno sul nuovo re di Napoli [[Federico I di Napoli|Federico I]], politicamente debole e in una situazione economica precaria. Questa morte segnò in sostanza un declino su tutti i fronti per il Moro, che divenne impopolare e si alienò ad uno ad uno tutti gli alleati. "Ben presto poté contare soltanto su stati anch'essi deboli e minacciati: Napoli, Forlì e Bologna, cioè sul nulla".<ref>[[Robert de La Sizeranne]], Béatrice d'Este et sa cour, 1920, p. 70.</ref> Irrimediabilmente offesi dal voltafaccia del '98, i veneziani non pensarono ad altro che all'annientamento di Ludovico.
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== Le donne nella guerra ==
A partire dall'amante che Carlo VIII donò a [[Galeazzo Sanseverino]] al suo arrivo a Lione, togliendola dal novero delle proprie,<ref name=":102">La spedizione di Carlo VIII in Italia: storia diplomatica e militare. Opera pubblicata sotto la direzione e con l'assistenza di M. Paul d'Albert de Luynes et de Chevreuse, Duc de Chaulnes, Volume 2, Conte Henri François Delaborde, Firmin-Didot et cie, 1888, pp. 341-350.</ref> fino alle giovani dame milanesi che Beatrice d'Este presentò al re ad Asti e alle nobildonne attraverso cui ogni città offriva la propria sottomissione in un cerimoniale ritualizzato, le donne costituirono nel corso della guerra una rete di interscambi volti a cementare alleanze o a manifestare amicizia e benevolenza. Alla base di questo sistema (nel quale rientravano anche i mariti, disposti ad offrire le loro mogli in vista di un guadagno) vi era la ben nota ossessione che [[Carlo VIII di Francia|Carlo]] nutriva nei confronti delle donne.<ref name=":05">{{Cita web|url=https://www.journals.uchicago.edu/doi/full/10.1086/691389|titolo=Collecting Women: Three French Kings and Manuscripts of Empire in the Italian Wars|autore=John Gagné}}</ref><ref name=":19">[https://www.jstor.org/stable/20676584 «PIÚ SIMILE A MOSTRO CHE A UOMO»: LA BRUTTEZZA E L'INCULTURA DI CARLO VIII NELLA RAPPRESENTAZIONE DEGLI ITALIANI DEL RINASCIMENTO], Carlo De Frede, T. 44, No. 3 (1982), pp. 545-585.</ref>
[[File:La_Lombarde,_Les_dictz_des_femmes_de_diverses_nations.jpeg|sinistra|miniatura|''La Lombarda'', dal manoscritto ''Les dictz des femmes de diverses nations''. L'anonimo poeta francese ironizza sulle conquiste amorose dei francesi in Lombardia, che non riuscirono nel loro intento poiché ostacolati dai gelosi mariti:<ref>{{Cita|Maulde|p. 77}}.</ref> "Se donna al mondo ha il cuore franco e gaio, / io milanese in questo fatto ho fama, / più che null'altro ha il mio amico segreto, / ma il geloso mi tiene tanto a bada, / che dei francesi l'attesa è gravata".<ref>«Si femme au monde a le cueur franc et gay, Je mylannoise en ce cas le bruyt ay, Plus que nulle autre a mon amy privée, Mais le jaloux me tient tant en abay, Que des François l'actente en est grevée.»</ref> ]]
Diversi studi sono stati condotti sulla concezione che l'una parte aveva dell'altra. Gli italiani consideravano i francesi alla stregua di maniaci sessuali, il cui unico pensiero fosse sedurre donne. [[Marin Sanudo il Giovane|Marin Sanudo]] infatti dice: "Secondo la consuetudine de Franzesi de voler sopra tutto star a piacer con donne, et el suo clima a Venere è molto dato, cussì questo Re [Carlo] seguiva assà li so piaceri, sì per essere in una età atta a questo, quam perché soa natura cussì richiedeva. Et varie sorte de donne qui in Italia provò, le qual li era portate per li soi Franzesi".<ref name=":19" /><ref>{{Cita|Sanudo|p. 261}}.</ref> D'altra parte l'insistenza dei francesi sui lati mascolini di alcune donne italiane ([[Eleonora Piccolomini d'Aragona|Eleonora Marzano]], amante del re, elogiata per la sua abilità nel cavalcare; [[Beatrice d'Este]] descritta in sella a un [[corsiero]] "tutta dritta, né più né meno di quanto sarebbe un uomo", cioè a cavalcioni) corrisponde a una generale denigrazione della virilità dei loro uomini, considerati imbelli poiché non si opposero inizialmente all'invasione.<ref name=":05" /> Dice infatti il [[Filippo de Commynes|Comines]]: "[noi francesi] a malapena pensavamo che gli italiani fossero uomini".<ref name=":05" />
 
I contemporanei inquadrarono l'invasione come un oltraggio all'onestà delle donne italiane. Già all'inizio della campagna il tentativo di sedurre la duchessa Beatrice da parte del [[Bertrando di Beauvau|barone di Beauvau]] fu percepito come un attacco personale nei confronti Moro, inammissibile poiché minava l'autorità di un uomo che contava già quanto un monarca.<ref name=":82">{{Cita|Maulde|pp. 83 e 84}}; Pierre de Lesconvel, Anecdotes secretes des règnes de Charles VIII et de Louis XII, 1711, p. 50.</ref> [[Pietro Bembo]] nella sua ''Storia di Venezia'' rese esplicito il legame tra donne e bottino di guerra: quando nel 1495 le galee veneziane catturarono alcune navi francesi in partenza da Napoli, "in esse furono trovate un gran numero di prigioniere e un certo numero di suore che erano state portate via dai loro conventi a [[Gaeta]] e violentate". Il Comines respinse categoricamente le accuse di crimini sessuali, sebbene sembrasse abbastanza disposto ad ammettere gli altri, cioè furti, disordini e violenze.<ref name=":05" /> La stessa imposizione dell'usanza francese di "baxare [baciare] et tochare" le donne altrui nei solenni ricevimenti fu d'altronde percepita come una violenza dagli italiani,<ref name=":05" /> che non vi si abituarono mai volentieri.<ref>Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Delle relazioni d'Isabella d'Este Gonzaga con Lodovico e Beatrice Sforza, Milano, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato, 1890, p. 97.</ref>
 
=== Il libro delle donne di Carlo VIII ===
Sintomatico di ciò è il nascere di una serie di manoscritti francesi illustrati che hanno per oggetto donne italiane e riguardanti i tre sovrani protagonisti delle guerre: Carlo VIII, [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]] e [[Francesco I di Francia|Francesco I]]. I contemporanei italiani polemizzarono contro l'esistenza di queste immagini, poiché le intesero come segno della conquista: "tutti raffiguravano le donne italiane come oggetti del desiderio nell'espansionismo francese".<ref name=":05" /> Nel caso di Carlo si trattò soprattutto di un album che il re portava sempre con sé, e che gli fu poi sottratto nel corso della battaglia di Fornovo, rinvenuto nella sua tenda insieme ad altri oggetti di valore.<ref name="Luzio e Renier, p. 87" /> In esso egli raccoglieva i ritratti licenziosi di tutte le amanti avute in Italia. Si trattava, come pare, di donne nude diverse per città e per età, sebbene le fonti non siano concordi nel giudicare se si trattasse di amanti consenzienti o di giovani violentate.<ref name=":05" />
[[File:La_duchesse_de_Bar.jpg|miniatura|''La duchesse de Bar'', probabilmente [[Beatrice d'Este]], accompagnata da una didascalia in rima: "Per portamento fiero e volto allegro / Costume sontuoso nel nuovo stile / Per gentile benvenuto e scelta bellezza / Non c'è nessuno nella memoria / che abbia mai così tanto compiaciuto Carlo il re di Francia."''<ref>“Pour haultain port pour gaye contenance / Riche acoultrure en nouuelle ordonnance / Pour bel acueil et beaulte prinse au chois / Nulle nen est dont on a souuenance / Qui tant pleust onc a Charles roy francoys”</ref>''
 
]]
Per riaverlo Carlo pregò lungamente il marchese [[Francesco II Gonzaga]], che l'aveva inviato alla moglie a Mantova, e sembra infatti che alcuni ritratti gli fossero restituiti.<ref name="Luzio e Renier, p. 87">Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Delle relazioni d'Isabella d'Este Gonzaga con Lodovico e Beatrice Sforza, Milano, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato, 1890, p. 87.</ref> Anche la duchessa Beatrice d'Este insistette col marchese per averlo, sebbene non lo nominasse mai apertamente: chiese infatti di vedere il bottino sottratto al re, per poi restituirlo; quando il marchese le inviò solo una parte, ella insistette che voleva vederlo tutto.<ref>Silvia Alberti de Mazzeri, ''Beatrice d'Este duchessa di Milano'', Rusconi, 1986, p. 164.</ref> Ipotesi è che gli schizzi per il ritratto o il ritratto stesso della duchessa, che re Carlo con un pretesto aveva fatto fare ad Asti, fossero stati inclusi nell'album, e perciò confusi con quelli delle amanti.<ref name=":05" /> Anch'essi, come l'album, sono oggi perduti, ma un esempio se ne può avere in manoscritto risalente ai medesimi anni e contenente ''Les dictz des femmes de diverses nations'', una rassegna di donne di diverse nazionalità, perlopiù italiane, e tutte anonime, fuorché l'ultima: la ''duchesse de Bar'', identificabile quasi sicuramente con Beatrice,<ref>{{Cita|Maulde|pp. 77-78}}.</ref> ma da alcuni commentatori confusa con un'amante del re.<ref name=":05" />
 
Le donne costituirono insomma parte della conquista, una conquista che si rivelò poi fallimentare, ragion per cui è sempre il Comines a dire che "tutto il trionfo di qui non fu che nelle donne".<ref name=":05" />
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* {{Cita libro|autore=René Maulde-La-Clavière|titolo=Histoire de Loius XII: ptie. Louis d'Orléans.|url=https://books.google.it/books?id=yzteAAAAIAAJ&pg=PA53&dq|volume=3|cid=Maulde}}
* {{cita libro|autore=Marco Pellegrini|titolo=Le guerre d'Italia : (1494-1530)|città=Bologna|editore=Il mulino|anno=2009|isbn=978-88-15-13046-4|cid=Pellegrini, 2009}}
* {{Cita libro|autore=Marino Sanuto|wkautore=Marin Sanudo il Giovane|titolo=La spedizione di Carlo VIII in Italia|url=https://archive.org/details/laspedizionedic00sanugoog/page/n5/mode/2up|curatore=[[Rinaldo Fulin]]|città=Venezia|editore=Tipografia del Commercio di Marco Visentini|anno=1883|cid=Sanudo}}
* {{Cita libro|editore= fo impressa per me Christoforo Cremonese|nome= [[Giorgio Summaripa]]|titolo= Chronica vulgare in terza rima de le cose geste nel Regno Napoletano|città= Nel alma citate de Vinesia|accesso= 22 aprile 2015|data= 1496|url= https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=940696&search_terms=DTL5}}
*{{Cita libro|autore=Bernardino Zambotti|curatore=Giuseppe Pardi|titolo=Diario ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1937|opera=Rerum Italicarum scriptores ordinata da Ludovico Antonio Muratori|cid=Zambotti}}
 
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{{Principali battaglie delle guerre d'Italia del XVI secolo}}
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