Dialetto tergestino: differenze tra le versioni
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Il '''tergestino''' era
== Storia ==
Il tergestino era parlato a Trieste dalla maggior parte della popolazione fino alla fine del [[XVIII secolo|Settecento]]. A partire
Muovendosi nel solco di una tradizione inaugurata da Pier Gabriele Goidanich<ref name="ReferenceA">{{cita pubblicazione | autore= P. G. Goidànich |titolo= Intorno alle reliquie del dialetto tergestino-muglisano |rivista= Atti della Accademia scientifica veneto-trentino-istriana. Classe di scienze storiche, filologiche e filosofiche | volume= I| anno= 1903 | pp= 39-52}}</ref> e ripresa più di recente da Mario Doria<ref>{{cita libro | autore= Mario Doria |titolo= Introduzione a “I dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino, edizione critica a cura di Mario Doria” |editore= Italo Svevo |città=Trieste|anno= 1972 | pp=VII-XII}}</ref>, nella storia del
=== Fase antica ===
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=== Fase moderna ===
La seconda fase inizia con il periodo in cui la città, in seguito alla concessione della prerogativa di porto franco da parte dell'imperatore d'Austria Carlo VI avvenuta nel 1719, conosce un periodo di rapida espansione demografica e una parallela restrizione dell'ambito di diffusione del
Si potrebbe in qualche modo parlare quindi di una fase caratterizzata all'inizio da resistenza della parlata originaria (fino a fine ‘700) e poi da un rapido cedimento (primi decenni dell'800).
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In una nota ad un sonetto scritto in italiano da Pietro Bachiocco (''All'ingresso della Milizia imperiale regia in Muggia – Castello distante cinque miglia da Trieste'') nel 1797, compare la frase: ''"La vernacola favella triestina e muglense si assomigliano moltissimo"''<ref>{{cita pubblicazione | autore=Baccio Ziliotto |titolo= Tergestino e muglisano : noterelle storiche |rivista= Ce Fastu?| volume= 20 | anno= 1944 | p= 232}}</ref>.
Antonio Cratey nella “Perigrafia di Trieste”<ref>{{cita libro | autore= Antonio Cratey |titolo= Perigrafia dell' origine dei nomi imposti alle androne, contrade e piazze di Trieste, che puo servir d'aggionta alla "cronica" del P. Ireneo Della Croce |editore= Tipografia di G. Weis |città=Trieste|anno= 1808 | p= 147}}</ref>, pubblicata nel 1808, scrive: ''“si dirà, che Trieste confina col Friuli e Stato fu veneto, e che perciò il proprio dialetto, benché da pochi oggidì usitato, sia un misto friulano e veneziano.”''. L'autore registra inoltre nella
Nella nota sui dialetti italiani aggiunta da Francesco Cherubini alla traduzione del “Prospetto nominativo di tutte le lingue note e dei loro dialetti” di Federico Adelung, pubblicata nel 1824, si legge ''“Anche nel triestino (Illiria) parlasi un dialetto italiano che trae al friulano”''.
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Il 22 giugno del 1845 la rivista “Il Caleidoscopio”<ref>{{cita pubblicazione | autore=G.M.B. |titolo=Sonetto |rivista= Il Caleidoscopio | volume= 4 | numero=XXVI| anno= 1845| p=246}}</ref> pubblica un sonetto risalente al 1796 (Il sonet del ver Triestin di cui si è detto poco sopra). Il redattore del giornale, Adalberto Thiergen (celato sotto lo pseudonimo di Tito Delaberrenga), annota: ''"L'antico dialetto triestino, omai pressoché perduto negli scritti, e adulterato nella favella comune, era composto in gran parte di veneziano, con qualche frase o desinenza del limitrofo Friuli e dell'Istria"''.
Un'attenzione particolare merita la posizione di [[Pietro Kandler]], sia per l'autorevolezza del personaggio che per l'evoluzione nel tempo della sua opinione sul
Nel 1859 [[Jacopo Pirona]], nelle sue “Attenenze della lingua friulana date per chiosa ad una iscrizione del MCIII” scrive<ref>{{cita libro | autore= Jacopo Pirona | titolo= Attenenze della lingua friulana date per chiosa ad una iscrizione del MCIII |editore=Vendrame|anno= 1859|città=Udine| p= 8}}</ref>: ''Parrà strano alla massima parte degli abitatori di Trieste il trovarsi compresi sotto l'aspetto etnografico nella regione del Friuli. Egli è però certo che a memoria nostra nelle famiglie triestine originarie si parlava il Friulano; e chi nol creda vegga il libro del triestino Mainati "Dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino", Trieste 1828. Gli abitatori originarj però sono ormai pochi e i non originarj usando la comune lingua italiana, non si accorgono pure di essere in terra friulana''.
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Nel XXI secolo c'è stato un tentativo di rivitalizzazione del tergestino, con scopi puramente poetico-letterari, da parte di [[Ivan Crico]], che ha composto alcune liriche in tergestino raccolte nel 2008 nel volume ''De arzént zù'' ("D'argento scomparso") edito dall'[[Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione]] con contributi di Gianfranco Scialino e [[Pavle Merkù]].
== Gli studi sul
Il termine
In una lettera del 6 ottobre 1877<ref>{{cita web|url= http://schuchardt.uni-graz.at/id/letter/1101|titolo= Hugo Schuchardt Archiv - Brief 6. Okt. 1877|accesso=19 agosto 2021}}</ref> l'illustre romanista tedesco [[Hugo Schuchardt]] invia ad Ascoli un nuovo testo segnalatogli da Vincenzo Joppi, dichiarando esplicitamente ''“Quei dubbi si sono dileguati, avendo io dietro all'indicazione del Joppi letto e copiato un altro saggio dell'antico triestino”''. Il breve componimento, conosciuto come ''Sonet del ver triestin'', descrive la consacrazione del vescovo Ignazio Gaetano de Buset di Fraistemberg avvenuta a Trieste il 23 ottobre del 1796.
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L'intervento di Ascoli, per quanto autorevole, non chiude tuttavia la polemica (si veda ad esempio la Provincia d'Istria del 16 settembre 1889)<ref>{{cita pubblicazione | autore= Paolo Tedeschi |titolo= Il dialetto tergestino |rivista= La provincia dell’Istria | città= Capodistria | giorno= 16 | mese = 9 | anno= 1889 | pp= 137-140 | url= http://www.dlib.si/details/URN:NBN:SI:DOC-19JUTFUD}}</ref> che prosegue anche negli anni successivi: non a caso nel volumetto ''“Avanzi dell'antico dialetto triestino cioè i sette dialoghi piacevoli pubblicati dal Mainati: un sonetto ed altri cimeli linguistici con prefazione”'' pubblicato nel 1891 da Emilio Schatzmayr, compare anche, accanto ad un sunto dell'articolo di Ascoli, uno scritto di Giovanni Loser in cui vengono riprese le posizioni di Zenatti.
Nel 1893 Jacopo Cavalli, in appendice alle ''Reliquie ladine raccolte a Muggia d'Istria''<ref>{{cita pubblicazione | autore= J. Cavalli |titolo= Reliquie ladine raccolte a Muggia d’Istria con un’appendice sul dialetto tergestino |rivista= Archeografo Triestino (estratto dall’Archivio Glottologico Italiano vol. XII 1893 con aggiunta) | volume= XIX| anno= 1894 | pp= 5-208}}</ref> pubblica una nuova serie di spogli documentali, avuti da Attilio Hortis, che coprono il periodo compreso fra il 1550 (epoca a cui giungevano i cimeli del 1878) e il 1796 (anno di pubblicazione del sonetto). Cavalli ha inoltre la fortuna di poter raccogliere alcune preziose testimonianze di persone viventi che avevano ancora memoria del tergestino e che forniscono, oltre alla conferma del fatto che il
Gli studi degli anni successivi, che danno ormai per assodata la veridicità dei Dialoghi del Mainati e degli altri reperti, si muoveranno in due direzioni: la ricerca di ulteriori prove documentali, dirette o indirette, e una sistematizzazione degli elementi noti.
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Originale la posizione di [[Carlo Battisti]], noto per aver sostenuto l'evoluzione indipendente delle lingue ladine in opposizione alla teoria unitaria dell'Ascoli, che in alcuni scritti usciti tra il 1963 e il 1964<ref>{{cita pubblicazione |autore=Carlo Battisti |titolo=Per la storia linguistica di Trieste |rivista=Atti del 41º congresso della Società Filologica Friulana |editore =Società filologica friulana |volume=unico | anno= 1964 |pp=105-108}}</ref> afferma che tergestino e muglisano, malgrado le somiglianze col friulano, costituiscono uno sviluppo autoctono di un “latino altomedievale” e vanno eventualmente collegati con le forme romanze preveneziane diffuse lungo la costa istriana. La principale motivazione addotta da Battisti è la precoce interruzione della continuità linguistica tra il Friuli e l'area triestina, dovuta al formarsi di un cuneo veneto-sloveno sul Carso. Mario Doria interverrà sull'argomento nel 1969 con uno studio sulla toponomastica del Carso<ref>{{cita pubblicazione |autore=Mario Doria |titolo= Alla ricerca di tracce di friulanità nella toponomastica del Carso Triestino |rivista= Studi Linguistici Friulani | anno= 1969 |pp=223-256}}</ref>, in cui dimostra che in realtà tergestino e muglisano si saldavano con il friulano della zona monfalconese attraverso la fascia più occidentale dell'altipiano carsico.
A partire dagli anni ‘70 gli studi sul
== Classificazione ==
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=== Fonetica e fonologia ===
Il vocalismo di base del
Per quanto riguarda il trattamento delle consonanti si nota la presenza regolare di una delle principali caratteristiche delle lingue retoromanze, e del friulano in particolare: la palatalizzazione delle velari (c e g) davanti ad a (da tener presente che, come segnala Mario Doria nella sua edizione critica dei Dialoghi<ref>{{cita libro | autore= Mario Doria | autore2= Giuseppe Mainati |titolo= I dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino, edizione critica a cura di Mario Doria |editore= Italo Svevo |città= Trieste|anno= 1972 | pp= XII-XIII}}</ref> nella forma –chia- la c va pronunciata come palatale [tʃa], interpretazione avvalorata anche dalla trascrizione fonetica del Cavalli nelle Reliquie). Il trattamento palatale di GA è in realtà scarsamente attestato e sembra evidenziare un'ulteriore evoluzione della consonante palatale come approssimante [dʒ]>[j] (''jata''=gatta, presente sia nei Dialoghi che nelle testimonianze raccolte dal Cavalli).
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Per quanto riguarda la morfologia nominale si può notare che il tratto più caratteristico del friulano, la terminazione in –s del plurale (plurale sigmatico), si conserva solo al femminile (terminazione in –is) mentre scompare quasi completamente nel maschile (con l'eccezione dei nomi che terminano in –n per cui sono attestate nei frammenti più antichi diverse forme –ns). In generale il plurale maschile è privo di desinenza con alcuni casi di terminazione in –i (non necessariamente per influsso veneto, come per esempio in ''anemai''=animali o ''chei''=quelli, dove anche il friulano ha un –i finale derivato da una palatalizzazione). In generale il numero può essere desunto solo dall'articolo o, in mancanza di questo, dal contesto.
Nell'ambito della morfologia verbale troviamo diversi fenomeni interessanti, ad esempio la terminazione consonantica della prima persona singolare dell'indicativo: è noto che in friulano la caduta della –o finale ha portato a una prima fase di terminazione consonantica a cui è seguita, verso il XV secolo, l'aggiunta di una –i finale. Nel
Un altro tratto caratteristico è la aggiunta del –to finale (enclisi) nella seconda persona singolare dell'indicativo presente e futuro (''disto bem''=dici bene, ''savarasto''=saprai). Questo fenomeno non è legato, come accade in friulano, all'inversione della forma interrogativa (''ce fastu?'') che in
Un'ulteriore peculiarità, evidenziata già da Ascoli nei Saggi Ladini, è l'estensione, nel congiuntivo presente, della terminazione in -s dalla seconda alla prima e terza persona (''che el'seis''=che egli sia, ''che possis uiue''=che io possa vivere). In quest'ultimo esempio si nota anche la conservazione di –e negli infiniti sdruccioli dove il friulano ha l'innalzamento ad –i (''vivi'').
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== Reliquie ==
Il termine reliquie viene utilizzato dai glottologi per indicare i frammenti lessicali di una lingua estinta, raccolti dalla bocca delle ultime persone che ne serbano una memoria diretta o indiretta. Come spesso avviene per le lingue estinte, anche nel caso del
=== Jacopo Cavalli ===
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Dopo aver letto le "Reliquie ladine" l'archeologo triestino [[Dante Vaglieri]] (1865-1913) scrive da Roma a Jacopo Cavalli una lettera<ref name="ref_A" /> in cui riporta i ricordi della propria famiglia sul dialetto tergestino e in particolare quelli della madre. Nella lettera, di cui vengono riportati di seguito i passi più significativi, vengono citate anche alcune espressioni in tergestino, evidenziate in corsivo nel testo.
“Io ignorava che Ella raccogliesse da persone viventi ricordi dell'antico dialetto triestino, altrimenti Le avrei scritto prima. Lontano dagli studi linguistici, non mi sono immischiato nella questione sollevata dal mio ex condiscepolo al Ginnasio Comunale di Trieste, prof. Oddone Zenatti. Avrei potuto dire che in mia famiglia c'erano sempre vividi dei ricordi di un dialetto
“Ora la mamma – appena cinquantenne – ricorda benissimo, che suo zio Giovanni Castellitz, nato circa il 4 o il 5, e morto non molti anni fa – cioè ancora a mio ricordo – usava nel parlare certe frasi e parole
=== Lorenzo Lorenzutti ===
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== Altri progetti ==
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