Vincenzo Monti: differenze tra le versioni

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|Attività2 = scrittore
|Attività3 = traduttore
|AttivitàAltre = ,e [[drammaturgo]] e [[accademico]]
|Nazionalità = italiano
|Immagine = VincenzoMonti.jpg
|Didascalia = [[Andrea Appiani]]:, ''Vincenzo Monti'', 1809, [[Pinacoteca di Brera]], [[Milano]]
|DimImmagine = 210
}}
 
Viene comunemente ritenuto l'esponente per eccellenza del [[Neoclassicismo|Neoclassicismo italiano]], sebbene la sua produzione abbia conosciuto stili mutevoli e sia stata a tratti addirittura vicina alla sensibilità [[Romanticismo|romantica]]. Principalmente ricordato per la notissima [[Iliade (Monti)|traduzione dell<nowiki>{{'</nowiki>}}''Iliade'']], fu al servizio sia della [[Stato Pontificio|corte papale]] chesia di quella [[Napoleone Bonaparte|napoleonica]], ed infine fu vicino agli [[Regno Lombardo-Veneto|austriaci]] dopo il [[Congresso di Vienna]], manifestando spesso diversi cambi di visione politica e religiosa, anche repentini e radicali (ad esempio da [[Reazione (politica)|reazionario]] [[Controrivoluzione|controrivoluzionario]] a [[Illuminismo|illuminista]] [[Giacobinismo#Il giacobinismo italiano|giacobino]] nel periodo [[Rivoluzione francese|rivoluzionario]] del [[1793]]-[[1794]]), sia per l'entusiasmo del momento chesia per motivi di opportunità; pur riconoscendo il suo costante [[patriottismo]] di fondo, per le sue [[Trasformismo (politica)|posizioni camaleontiche]], fu per questo definito da [[Francesco de Sanctis]] "segretario dell'opinione dominante" e ricevette critiche (ad esempio da [[Ugo Foscolo|Foscolo]], inizialmente suo amico, e da [[Giacomo Leopardi|Leopardi]]), sebbene dai più considerato tecnicamente un abile verseggiatore e traduttore, lodato anche da autori come [[Stendhal]], [[Vittorio Alfieri|Alfieri]], [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], [[Giosuè Carducci|Carducci]] e [[Giuseppe Parini|Parini]].
 
== Biografia ==
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=== I primi anni ===
 
Monti nacque ad [[Alfonsine]], [[Romagna|borgo romagnolo]] facente parte dei dominii dello [[Stato Pontificio]] (attualmente in [[provincia di Ravenna]]), il 19 febbraio del [[1754]], figlio di Fedele Maria Monti, un perito agrimensore, e Domenica Maria Mazzari, entrambi proprietari d'un podere nei pressi della zona. Aveva tre fratelli maggiori, Cesare, che fu prete, Giovan Battista, [[Frati Cappuccini|frate cappuccino]], e Francesc'Antonio, oltrechéoltre che cinque sorelle, tre delle quali, Lucia Dorotea, Rosa Geltrude e Maria Maddalena, diventeranno monache. Narrano i biografi che all'età di cinque anni cadde nel fosso del mulino della proprietà, salvandosi miracolosamente.<ref>Quinto Veneri, ''Vincenzo Monti'', Torino, Paravia, 1941, p.15</ref>
[[File:15 Via delle Scienze.jpg|thumb|verticale=0.7|Casa dove visse a Ferrara, in [[via delle Scienze]].]]
Ad otto anni fu condotto nella vicina [[Fusignano]], dove ebbe come maestro don [[Pietro Santoni]] (1736-1823), che era anche un rinomato poeta [[lingua romagnola|dialettale]]. Nel [[1766]] entrò nel [[seminario]] di [[Faenza]], studiando latino con il famoso [[Francesco Contoli]].<ref>[[Guido Bustico]], ''Vincenzo Monti. La vita'', Messina, Principato, [1920], p.10.</ref> Vi rimase dai dodici ai diciassette anni (a tredici prese la [[tonsura]]), e nel [[1771]] manifestò l'intenzione di entrare nell'[[Ordine Francescano]]. Privo però di una vera vocazione, accantonò presto l'idea, trasferendosi con il fratello Francesc'Antonio a [[Ferrara]], dove studiò [[Dirittodiritto]] e [[Medicinamedicina]] presso l'[[Università degli Studi di Ferrara|Università degli Studi]]. Dovette lottare per abbandonare definitivamente il borgo natìo, dove la famiglia, totalmente insensibile alla letteratura, voleva trattenerlo. Molto interessante al proposito appare la lettera che il giovane Monti scrisse, nel [[1773]], all'abate [[Longiano|longianese]] [[Girolamo Ferri]], suo professore nel seminario faentino:
 
{{Citazione|La dittatura è passata ai miei fratelli, che hanno intenzione risoluta di levarmi da Ferrara...<br />Signor Maestro, ... se ella scopre per accidente un nicchio, io sono in caso d'entrarvi dentro<br />a piè pari, e in qualità di quel che si vuole, e presso chiunque.|Lettera a Girolamo Ferri, 1773}}
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Si intravedono subito alcuni elementi chiave della sua personalità, fra cui la tendenza ad accomodarsi a diversi fini a seconda delle esigenze personali. Soprattutto per questo approfondì gli [[studi biblici]], emergenti nella prima parte della sua produzione.
 
Dimostrò comunque un talento sorprendente e precoce per le lettere, e già nel luglio [[1775]] venne ammesso all'[[Accademia dell'Arcadia]] con il soprannome di ''Antonide Saturniano'', ingraziandosi, bello d'aspetto,<ref>Cfr il ritratto che ne dà [[Paride Zajotti]] nell'introduzione alle ''Opere inedite e rare'' (Milano, Società degli Editori, 1832)</ref> le prime protettrici, l'anziana marchesa Trotti Bevilacqua<ref>Fu anche in Arcadia come ''Climene Teutonica''</ref> e la contessa Cicognini. Cominciò a scrivere versi latini di argomento sacro per farsi notare dagli ambienti ecclesiastici (non si dimentichi poi che a Ferrara spopolavano gli apprezzatissimi e pii poeti [[Alfonso Varano]] e [[Onofrio Minzoni]]), ma sin d'ora vi si mescolò il profano, come si evince dal ''Nuovo amore'', canzonetta in quartine dello stesso 1775, in cui con un finto pathos unito a distacco si fa riferimento all'amore per una "bella toscanella" conosciuta nel collegio di Santa Trinita di Firenze, dov'era compagna della sorella.<ref>Carlo Muscetta, ''Introduzione'' in Vincenzo Monti, ''Iliade di Omero'', Milano, Oscar Mondadori, 1995, p.X</ref> Questa infatuazione giovanile evidentemente non fu gran cosa, e, quando arriveranno le pene vere d'amore, più avanti, si noterà la differenza.<ref>Cfr il paragrafo sui ''Pensieri d'amore'' più sotto</ref>
 
Esordì con componimenti di vario tipo, tra cui si possono ricordare i sonetti ''Il matrimonio alla moda'' e ''Il ratto di Orizia'', debitori di [[Giuseppe Parini|Parini]] il primo, di [[Giuliano Cassiani]] (e del suo ''Ratto di Proserpina'') il secondo, in conformità ai fermenti arcadici del periodo. Copiosa fu ai primordi anche la produzione latina, che delizierà [[Niccolò Tommaseo]].
 
Poté pubblicare l'anno successivo il suo primo libro, ''La visione di Ezechiello'' (in onore di don [[Francesco Filippo Giannotti]], [[arcivescovo]] di [[Minerbio]], che aveva visto predicare a Ferrara), impostato sul modello [[Alfonso Varano|varaniano]] delle ''[[Visioni sacre e morali]]'', che godeva di molta fortuna all'epoca, specialmente nell'''entourage'' arcadico.<ref>Enrico Bevilacqua, ''Vincenzo Monti'', Firenze, Le Monnier, 1928, p.15</ref> Di stesso stampo sono altre due ''Visioni'' coeve, dedicate ancora ad alti prelati.
 
Sin dall'inizio si manifesta una tendenza spesso ricorrente nel Monti: la rielaborazione di modelli precedenti. Il poeta non inventa nulla di nuovo, ma nuovo è il modo in cui fonde assieme le fonti, creando così uno stile affatto peculiare. Qui ovviamente è l'Arcadia a dominare (e il suo stile non abbandonerà mai l'ala dell'Accademia), e non si può tacere l'ammirazione nutrita in questo momento per [[Carlo Innocenzo Frugoni|Frugoni]], ma evidenti, come si può intuire già dal titolo, sono anche le citazioni bibliche, come fin dall'inizio [[Dante Alighieri|Dante]] (soprattutto) e [[Francesco Petrarca|Petrarca]] sono nomi imprescindibili del suo repertorio.
 
Nel [[1777]] entrò anche nell'[[Accademia degli Agiati]] di [[Rovereto]] con il nome di ''Archia''.<ref>Bustico, cit. supra, p.11.</ref>
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Il 26 maggio [[1778]], al seguito del legato pontificio a Ferrara - il cardinale [[Scipione Borghese (1734-1782)|Scipione Borghese]] - si recò a [[Roma]], per cercare gloria e fuggire l'angustia di un mondo divenutogli troppo stretto, e vi ottenne l'appoggio del celebre [[archeologo]] [[Ennio Quirino Visconti]], cui dedicò l'anno seguente un saggio di poesie dall'influsso [[Metastasio|metastasiano]] (si consideri solo il titolo dell'ultimo componimento, ''Giunone placata'', che ricorda la ''[[Didone abbandonata]]''). Vide la luce, nello stesso anno del ''Saggio'', anche la ''Prosopopea di Pericle'', poema d'occasione suggerito a Monti da Visconti, in seguito al ritrovamento in marzo, in una villa di [[Tivoli]], di un'erma del [[Pericle|condottiero ateniese]]. Tutto ciò funse da pretesto per glorificare l'età presente, considerata superiore a quella classica.
 
Le opere di questo periodo sono fortemente influenzate dalla necessità di emanciparsi economicamente dalla famiglia, ed è quindi naturale che in esse prevalga il tono adulatorio, all'interno, tuttavia, di una cornice stilistica armoniosa e cristallina, in cui gli stilemi [[neoclassicismo|neoclassici]] predominano, anche se non mancano contaminazioni provenienti dalla letteratura sepolcrale e dall'incipiente gusto [[romanticismo|romantico]]. In ogni caso, come già a Ferrara, l'intento è quello di sfruttare le occasioni contingenti per accattivarsi la protezione dei potenti.
 
Per qualche mese, tuttavia, la produzione poetica fu trascurabile, e Monti si diede alla lettura di alcuni filosofi, tra i quali [[John Locke|Locke]], [[Leibniz]], [[Étienne Bonnot de Condillac|Condillac]] ed [[Helvetius]].<ref>Veneri, p. 24</ref>
 
==== L'ingresso nella corte papale ====
[[File:Pompeo Batoni - Ritratto di Papa Pio VI (National Gallery of Ireland).jpg|thumb|left|upright=0.7|Pio VI ritratto da [[Pompeo Batoni]]]]
 
Nel 1781 il Papapapa romagnolo [[Pio VI]], al secolo Giannangelo Braschi, mecenate e poeta dilettante, aveva chiamato a Roma il nipote [[Luigi Onesti Braschi|Luigi Onesti]], unendolo in matrimonio con la quindicenne [[Costanza Falconieri]], che possedeva una ricca dote. L'evento suscitò un profluvio di componimenti arcadici, tra i quali quello del Monti, il poemetto in terzine ''La bellezza dell'universo'', che incantò la platea del [[Accademia dell'Arcadia|Bosco Parrasio]] e meritò la stima del pontefice, che lo nominò segretario del nipote principe Luigi Onesti (cui era ora stato associato il cognome Braschi), facendolo entrare nelle grazie dell'ambiente papalino.
 
Un cardinale francese, nel frattempo, gli commissionò, dietro lauta ricompensa, l'ennesima prestazione d'occasione; si tratta di due [[Cantata|cantate]] in onore del [[Delfino di Francia]] (una delle quali musicata dal [[Domenico Cimarosa|Cimarosa]]) che era appena venuto alla luce, [[Luigi Giuseppe di Borbone-Francia|Luigi Giuseppe]].
 
Infausto nelle intenzioni e nell'esito fu ''Il Pellegrino Apostolico'' (1782), in cui con tono enfatico, in due canti, celebrò il successo della visita papale a [[Vienna]], dove Pio VI incontrò l'ostile [[Giuseppe II d'Asburgo-Lorena|Giuseppe II]], nella speranza di giungere ad una conciliazione. Il poema celebra il successo della spedizione, ma in realtà ben presto la visita si rivelò un fallimento e valse anche molte critiche al vescovo di Roma.
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==== I ''Pensieri d'amore'', un'apertura romantica? ====
 
Il suo stile abbandonò la fredda adulazione con gli endecasillabi sciolti ''Al principe Sigismondo Chigi'', e ancor più con i celebri ''Pensieri d'Amore'', dove freme di passione disperata per una giovinetta che la critica ha identificato nell'educanda [[Carlotta Stewart]], che Monti aveva conosciuto tra settembre e ottobre a Firenze nella casa della livornese [[Fortunata Sulgher|Fortunata Sulgher Fantastici]]<ref>''Temira Parraside'' in Arcadia</ref> e che aveva pensato di sposare, salvo incontrare il diniego dei parenti di lei, ricchi assai più del poeta, che a Roma viveva ancora miseramente. Fortunata e il principe [[Sigismondo Chigi (principe)|Sigismondo Chigi]] furono confidenti delle pene amorose del poeta. Il Chigi (Roma 1736 - Padova 1793), Custode del Conclave, ebbe fama di liberale e molto amava la poesia, che praticò con successo, ricevendo anche i complimenti del Visconti. Spirito libero e aperto, si sposò due volte e dovette subire l'accusa, falsa, di aver avvelenato un cardinale per gelosia.<ref>Alfonso Bertoldi (a cura di) in Vincenzo Monti, ''Poesie'', Firenze, Sansoni, 1957, pp.28 e segg., cfr. anche E.Q.Visconti, ''Due discorsi inediti'', Milano, Resnati, 1841</ref>
 
Il modello delle due opere è da ricercare senz'altro nel ''[[Werther (opera)|Werther]]'', che Monti lesse nell'anonima traduzione francese, e con cui condivideva il nome della protagonista femminile. I ''Pensieri d'amore'' adottano uno stile più malinconico e sincero, e costituiscono le prime avvisaglie di un avvicinamento, forse non emotivo ma certamente formale, alla [[Romanticismo|poetica romantica]], tanto che lo stesso [[Giacomo Leopardi|Leopardi]] ne trarrà ispirazione per alcuni dei suoi componimenti più famosi,<ref>Bevilacqua, p. 24</ref> come si evince da questi versi:
 
{{Citazione|Alta è la notte, ed in profonda calma<br />dorme il mondo sepolto,<br />...Io balzo fuori dalle piume, e guardo;<br />e traverso alle nubi, che del vento<br />squarcia e sospinge l'iracondo soffio,<br />veggo del ciel per gl'interrotti campi<br />qua e là deserte scintillar le stelle.<br />Oh vaghe stelle!...|''Pensieri d'amore'', VIII, 124-132}}
 
==== Ritorno al Neoclassicismoneoclassicismo ====
[[File:Testa di Feronia - museo civico Pio Capponi di Terracina.jpg|thumb|upright=0.7|Testa di Feronia. Reperto datato ultimo quarto del II secolo a.C. e originario di Punta di Leano, [[Terracina]]]]
Tuttavia è ancora presto, la sua poesia rimane nel solco della tradizione arcadica e in sintonia con la lezione degli [[Illuminismo|illuministi]]. Monti continua a frequentare l'[[Accademia dell'Arcadia|Accademia]], e qui recita le due opere successive, il sonetto ''Sopra la morte'' (alla fine saranno quattro, e vedranno la luce nel 1788), molto popolare all'epoca, e l'ode ''Al signor di Montgolfier'', scritta in quartine. Essa trasse spunto dal secondo volo aerostatico della storia con equipaggio, avvenuto a [[Parigi]] il 1º dicembre [[1783]]. In una comunione stupita col popolo, Monti ne trae un'opera sincera, non commissionata, imbastita sul paragone tra le imprese della nave [[Argonauti|Argo]] e quelle della [[mongolfiera]], in un parallelo volto ad esaltare, come nella ''Prosopopea'', la modernità, e, in un afflato del tutto illuminista, il progresso umano. Benché l'opera sia intitolata ai [[illuministafratelli Montgolfier]], che avevano svolto esperimenti analoghi nei mesi precedenti suscitando grande entusiasmo (tra cui il progressoprimo volo umano del 21 novembre su Parigi), il volo descritto da Monti nell'opera non fu realizzato dai Montgolfier bensì dal loro rivale [[Jacques Alexandre César Charles]], assieme a [[Louis Nicolas Robert]], citati espressamente nel testo assieme a Montgolfier.
[[File:Early flight 02562u (2).jpg|thumb|left|upright=0.7|Prima dimostrazione pubblica del volo ad [[Annonay]], 4 giugno [[1783]], ad opera dei [[fratelli Montgolfier]]]]
Nel 1784 cominciò a metter mano a un testo sul quale sarebbe ritornato per tutta la vita, senza mai riuscire a completarlo. Si tratta de ladella ''[[Feroniade]]'', il cui titolo rimanda alla [[Feronia|ninfa]] amata da [[Zeus]] e perseguitata da [[Giunone]]. Anche qui non manca il pretesto: questa volta si vuole glorificare l'intenzione di Pio VI di bonificare le paludi dell'[[Agro Pontino]], opera che non ebbe lieto esito ma suscitò grande risonanza, e anticipò la famosa bonifica [[mussoliniBenito Mussolini|mussoliniana]]ana. L'opera che ci è stata tramandata conta ben 2000 versi sciolti. L'idea per il tema venne al Monti nel corso delle battute di caccia che conduceva assieme al principe Braschi Onesti nella zona di [[Terracina]], dove vide la fontana Feronia citata da [[Orazio]], e si lavò anch'egli ''ora manusque''<ref>Orazio, ''Sat''. I, V, 24</ref> (''le mani e il volto'', perché qui ''ora'' è naturalmente da intendersi come [[sineddoche]]). La critica ha ravvisato gli innumerevoli rimandi stilistici e tematici a [[Virgilio]], mentre [[Giosuè Carducci|Carducci]] ha parlato di influenza [[Omero|omerica]].<ref>Bertoldi p.397-8</ref> In ogni caso, sono testimonianze che ben rilevano il gusto neoclassico dell'opera.
 
====La parentesi tragica====
[[File:VAlfieriFabre.jpg|thumb|left|upright=0.7|Vittorio Alfieri in un ritratto di [[François-Xavier Fabre|Fabre]]]]
 
Tra il maggio del [[1781]] e quello del [[1783]] [[Vittorio Alfieri]] trascorse il suo secondo soggiorno romano, e nell'Urbe fece conoscere alcune delle sue tragedie (sono in particolare gli anni della composizione del ''[[Saul (Alfieri)|Saul]]'', recitato in Arcadia il 3 giugno 1783 alla presenza delanche di NostroMonti). Monti, che per Alfieri nutriva un'ammirazione mista a invidia,<ref>Bevilacqua, p. 30</ref> pensò di virare verso il genere tragico, cercando di soddisfare il pubblico che per opere di questo tipo chiedeva, come ebbe a rilevare [[Francesco De Sanctis]], uno stile che fosse una via di mezzo tra la durezza alfieriana e l'espressività metastasiana.
 
In questo modo nacque l'''[[Aristodemo (Monti)|Aristodemo]]'', storia dei tormenti di un padre che ha ucciso la figlia per ambizione. La fonte è classica: ci narra la storia in poche righe il greco [[Pausania il Periegeta|Pausania]], e l'argomento era già stato messo in tragedia nel secolo precedente da [[Carlo de' Dottori]], in un'opera che offre alcuni spunti ravvisabili nel testo montiano.<ref>Bevilacqua, p. 31</ref>
L'opera, rappresentata il 16 gennaio [[1787]] al [[teatroTeatro Valle]] (la prima assoluta risale all'anno precedente, a [[Parma]]), riscosse un ampio successo, per quanto non siano poi mancate, in un secondo momento, delle voci critiche. In ogni caso Monti era sempre più protagonista indiscusso della vita letteraria romana. A Parma, inoltre, l'opera fu pubblicata per i tipi di [[Giambattista Bodoni]], editore di prestigio nella città che veniva definita "Atene d'Italia".
 
Nell'''Aristodemo'' il rimorso è il vero protagonista del testo, in un'atmosfera a metà strada tra il ''[[Il racconto d'inverno|Racconto d'inverno]]'' e ''[[Delitto e castigo]]'' (seppur non allo stesso livello di ''pathos'' e di introspezione psicologica, perché Monti è sempre più leggero, anche quando è solenne), e nella compresenza di varie fonti ispiratrici; oltre a [[Dante Alighieri|Dante]], [[Francesco Petrarca|Petrarca]] o lo stesso Alfieri, sono ravvisabili le sirene del Nord, tali da giustificare la definizione, per l'opera, di "tragedia sepolcrale".<ref>Emilio Bertana, ''La tragedia'', Milano, Vallardi, 1905</ref>
 
Fu durante una rappresentazione privata dell'opera, nel 1786, che il poeta si invaghì della sedicenne [[Teresa Pichler]], che aveva recitato assieme a lui. Questo fu il preludio alle nozze di cinque anni più tardi.<ref>Bevilacqua, p.168</ref>
 
Sull'onda del successo scrisse ancora due tragedie, una modesta, ''Galeotto Manfredi'' (1787), e una di maggior spessore, ''Caio Gracco'', che ebbe una gestazione più lunga (1788-1800). La commissione del ''Galeotto'' fu assegnata al poeta da Costanza Falconieri, che desiderava una vicenda "domestica". La trama è tratta dalle ''Istorie Fiorentine'' del [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]], dove si narra di come la moglie di Galeotto, signore di [[Faenza]], e figlia di Bentivoglio, signore di Bologna - corrispondente nella realtà a [[Francesca Bentivoglio]] e portata sulla scena con il nome di Matilde -, avesse ordito e portato a compimento nel [[1488]] un complotto per uccidere il consorte, «o per gelosia, o per essere male dal marito trattata, o per sua cattiva natura».<ref>''Le Istorie Fiorentine di Niccolò Machiavelli'', Firenze, Felice Le Monnier, 1843, p. 396 (VIII, 1488).</ref> Monti, nell<nowiki>{{'</nowiki>}}''Avvertimento'' anteposto al testo, dichiara di aver scelto la prima ipotesi, vista la libertà in cui lo lasciavano le varie teorie di Machiavelli.<ref>Lo si legga, ad esempio, in ''Tragedie di Vincenzo Monti'', Milano, Guigoni, 1870, p. 134.</ref>
 
In una tessitura che richiama un po' troppo da vicino l'''[[Otello]]'' [[William Shakespeare|shakespeariano]], Monti non manca di fare polemica, nascondendosi nel personaggio del fido Ubaldo, cui fa da contraltare il traditore Zambrino, sotto le cui spoglie si cela Lattanzi, rivale del poeta. Nonostante ci siano quindi accenti veritieri, l'opera non riscosse successo e il poeta stesso la definì mediocre.<ref>Veneri, p. 45</ref>
 
Il ''Caio Gracco'', di cui [[Plutarco]] è la fonte principale, riscosse grandi apprezzamenti nella prima milanese del [[1802]], ma già nel 1788 mostrò i primi fermenti giacobini del poeta, poi temporaneamente rinnegati, mentre la [[Rivoluzione francese]] era nell'aria. Si notano però anche tendenze patriottiche, nel riconoscimento della comune origine italica, in un anticipo risorgimentale.
 
==== L'ode introduttiva all'''Aminta'' ====
Nell'aprile 1788 ci fu una nuova collaborazione con [[Giovanni Battista Bodoni|Bodoni]], che voleva ristampare l'[[Aminta (Tasso)|''Aminta'']] di [[Torquato Tasso]] in occasione delle nozze della figlia ultimogenita della marchesa [[Anna Malaspina della Bastia]], Giuseppa Amalia, con il conte Artaserse Bajardi di [[Parma]] (av. 1765-1812). Bodoni chiese al Monti alcuni versi di dedica dell'opera. Nacque così l'ode ''Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia'', dove, oltre alle virtù di bellezza e ingegno della nobildonna, si celebrano i meriti della famiglia [[Malaspina]], che ospitò l'esule [[Dante]] nel 1306 e che come tale è rimasta protettrice della poesia, tanto che la marchesa prese sotto la sua ala [[Carlo Innocenzo Frugoni]]. Questi è qui paragonato a [[Pindaro]] e [[Orazio]], nei consueti toni spropositati che in questo caso, nella denuncia degli imitatori del Frugoni, pare volessero colpire in particolare il poeta [[Angelo Mazza]], che aveva stroncato l'''Aristodemo''.<ref>Bertoldi, p.64;Bevilacqua, p.160</ref> L'ode, composta in endecasillabi sciolti e pubblicata anonima nel 1789, sovrabbonda di riferimenti mitologici ed eleva l'opera tassesca a emblema dell'amore stesso.
 
==== Monti reazionario, la ''Bassvilliana'' ====
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Il 3 luglio 1791 sposò [[Teresa Pichler|Teresa Pikler]] (Roma, 3 giugno 1769 - Milano, 19 maggio 1834), o meglio Pichler<ref>Rodolfo Renier, in ''Fanfulla della domenica'', n. del 15 novembre 1903</ref> figlia di [[Giovanni Pichler]] ([[1734]]-[[1791]]) famoso intagliatore di gemme della città, ma oriundo tirolese, e di Antonia Selli, romana. La celebrazione fu sobria, lontana dai clamori della ribalta, e si tenne nella chiesa di san Lorenzo in Lucina. Dal matrimonio nacquero due figli, [[Costanza Monti|Costanza]]<ref>Così chiamata in onore della protettrice montiana</ref>, che poi sposerà il conte [[Giulio Perticari]] e coltiverà le lettere entrando anche in Arcadia,<ref>Con il nome di Telesilla Meonia; di grande ingegno e cultura, scrisse anche un poemetto in ottava rima, ''L'origine della rosa'', che tanto rese fiero il padre, come si evince dalle lettere al Perticari e al Lampredi</ref> e Giovan Francesco (1794-1796), ma quest'ultimo morirà in tenera età. Alla moglie rimase profondamente fedele per il resto dei suoi giorni.
 
Nel 1793 due artisti [[lione]]si furono arrestati nellaa capitaleRoma e rilasciati dal Pontefice. Da Napoli furono inviati due diplomatici [[Prima Repubblica Francese|francesi]] quali [[Rappresentante in missione|rappresentanti in missione]], Nicolas Hugon detto Bassville (noto come [[Hugo Basseville]]), e La Flotte, per ringraziare il Papa. Tuttavia il 14 gennaio [[1793]] uno di loro, il Basseville, già inviso alla popolazione cattolica, uscì nella pubblica via esibendo il simbolo dei [[Rivoluzione francese|rivoluzionari francesi]], la [[Coccarda tricolore francese|coccarda]], stimolando la reazione della folla e subendo il linciaggio. Le guardie pontificie misero La Flotte in salvo, mentre Bassville, colpito alla gola e sottratto alla folla, morì poche ore dopo, pentendosi e confessandosi. L'episodio esaltò gli impulsi antirivoluzionari che si agitavano in Italia e in particolar modo a Roma. Una miriade di opere fu composta per sottolineare la divina punizione cui la sacrilega Francia era andata incontro. La voce più alta la leva Monti nella celebre ''[[Bassvilliana|Cantica in morte di Ugo di Basseville]]'' (1793), più comunemente nota come ''Bassvilliana'', composta tra il gennaio e l'agosto di quell'anno. Senza contraddire le proprie basi arcadiche, il poeta traspone i ghiribizzi del suo stile elevato ed etereo in un componimento che ha una portata certamente maggiore rispetto a quelli precedenti. Il successo è immediato, tanto da portare a 18 edizioni nel giro di sei mesi.
 
Il modello della ''Bassvilliana'', scritta in terzine e in terza rima, è certamente [[Dante Alighieri|dantesco]], ma non manca l'influenza, a livello schematico, della ''Messiade'' di [[Friedrich Gottlieb Klopstock|Klopstock]], che in quegli anni aveva anche pensato di tradurre dal francese (essendo privo di conoscenze del tedesco).<ref>Bevilacqua, p. 46</ref> Nel nostro «lungo e sproporzionato poema»,<ref>Arturo Pompeati, ''Vincenzo Monti'', Bologna, Zanichelli, 1928</ref> un angelo preleva a Roma l'anima del Bassville appena spirato e la porta in terra di Francia, mostrandole i disastri causati dalla Rivoluzione, e provocandone un pianto dirotto alla vista dell'uccisione di [[Luigi XVI]] (21 gennaio 1793).
[[File:LouisMusée XVIIngres-Bourdelle en- costumePortrait de sacreLouis XVI - Joseph-Siffred Duplessis - Joconde06070000102.jpg|thumb|upright=0.9|Luigi XVI di Francia]]
Vengono attaccati gli illuministi più famosi, le cui ombre appaiono come avversari ([[Voltaire]], [[Diderot]], [[Rousseau]], [[d'Holbach]], [[Pierre Bayle|Bayle]]...) mentre il re, raffigurato come un santo martire, concede il perdono a Basseville. Il poema piacque al mondo cattolico [[Reazione (politica)|reazionario]] e [[Controrivoluzione|controrivoluzionario]]. Monti tuttavia, probabilmente già dubbioso e incline a cambiare il proprio pensiero (come avrebbe fatto appena due anni dopo), si fermò al quarto Canto, e passò alla composizione di un'opera più incline ai suoi favoleggiamenti mitici, ''La Musogonia'' (1793-1797, in ottave), lasciata anch'essa a metà e foriera di spunti per le opere non lontane di [[Manzoni]] (''Urania'') e [[Ugo Foscolo|Foscolo]] (''Le Grazie'').
Indicativa è la chiusa del poema, modificata più volte, indirizzata prima a [[Francesco II d'Asburgo-Lorena|Francesco II d'Austria]] e poi a [[Napoleone]], cui si chiede di intercedere per l'Italia. Monti non ebbe mai tentennamenti nel proprio attaccamento alla patria, anche se si volse a diversi "protettori" a seconda dei momenti storici.[[File:Marmont.jpg|thumb|left|upright=0.7|Il Maresciallo Auguste de Marmont]]
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Quando Napoleone riprese il controllo della Cisalpina, Monti si lasciò andare ad una canzonetta entusiasta, preludio a un prossimo ritorno in Italia e sincero giubilo per le sorti dell'amata patria: si tratta di ''Per la liberazione dell'Italia'', uno dei suoi componimenti più popolari.
 
Dopo la [[battaglia di Marengo]], del 14 giugno [[1800]] Monti si vide infine premiato, e Napoleone ne fece il proprio aedo, il proprio poeta di corte, assegnandogli anche la [[Cattedra (università)|cattedra]] di Eloquenza presso l'[[Università degli Studi di Pavia]], che il 25 giugno 1800 fece riaprire dopo la chiusura imposta dagli Austro-Russi. Monti inizierà l'insegnamento solo nel 1802, in quanto decise di rimanere ancora qualche mese in Francia, dove completò l'ultima tragedia, il ''Caio Gracco'', e dove terminò la traduzione de ''La pucelle d'Orléans'' di [[Voltaire]].
 
==== All'Università di Pavia ====
[[File:Vincenzo Monti targa.jpg|miniatura|destra|Lapide al'interno dell'ateneo]]
 
[[File:Palazzo centrale dell'Università di Pavia (Corso Strada Nuova).jpg|thumb|left|upright=0.8|L'[[Università di Pavia]] dove Monti insegnò tra il 1802 e il 1804]]
Nel [[1802]] Monti si insedia all'Università degli Studi di Pavia con la prolusione del 24 marzo, e vi tiene lezioni tra il 1802 e il novembre 1804, ricevendo in seguito la nomina di poeta del governo italico. In questo periodo delle lezioni pavesi Monti si discosta nettamente dai giovanili ardori per i moderni di marca illuminista. Nelle sue lezioni la capacità di "invenzione", in pratica l'originalità, è accordata solo agli antichi. Il "progresso" concerne le sole scienze; nella poesia non si ha progresso, semmai "regresso" poiché i suoi elementi furono già interamente scoperti dagli antichi.
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[[File:Madamedestael.jpg|thumb|upright=0.7|Madame de Staël]]
 
Alla fine del [[1804]] il Nostro fece una nuova importante conoscenza. Il 30 dicembre giunse a Milano [[Madame de Staël]], accompagnata dai tre figli e dal loro precettore, [[Friedrich Schlegel]]. Mandato un invito a Monti, si conobbero il giorno dopo, e: si legarono subito di una forte amicizia, testimoniata dalla fitta corrispondenza del periodo successivo<ref>I. Morosini, ''Lettres inédites de M.me de Staël a V. Monti, 1805'', in ''Giornale storico della letteratura italiana'', vol. XLVI, 1905, pp. 1-64</ref>, e dalla visita che il poeta farà alla donna a [[Coppet]] nel novembre [[1805]].<ref>M. Borgese, ''Costanza Perticari nei tempi di Vincenzo Monti'', Firenze 1941, pp. 51-55</ref>
 
Dopo che [[Napoleone]] s'incoronò [[Regno d'Italia (1805-1814)|Re d'Italia]] nel 1805 Monti divenne ''Istoriografo del Regno'' e poeta ufficiale di corte, percependo 6000 zecchini annui. Fu anche insignito della [[Legion d'Onore]].<ref>Veneri, p.85</ref> Compose molte opere inneggianti a Bonaparte, alle sue vittorie e alla sua politica. L'incoronazione fu il motivo de ''Il beneficio'' (1805), commissionato dal governo e sorta di investitura a poeta cortigiano, in cui richiama dall'oltretomba lo spirito di alcuni grandi italiani (tra questi Dante) che individuano nel nuovo re l'unica salvezza. Bodoni ne curò quattro edizioni a spese del governo, fra cui una ''in folio''.
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Il poema rimane un abbozzo, e sembra quasi un'accozzaglia di cose che gravitano attorno ad un intreccio amoroso che poco aveva a che spartire con l'intenzione dell'opera.<ref name="Zumbini">Zumbini, p.145</ref> Tuttavia, come sempre, si possono cogliere pregi in singoli passaggi, e la variazione di metro dimostra una volta di più come Monti fosse "davvero il Signore d'ogni metro e d'ogni forma".<ref name="Zumbini"/> Del resto, l'opera piacque a Napoleone, che solo si dolse di non comprendere appieno la lingua italiana per gustarne le meraviglie poetiche.<ref>Bertoldi, p.382,</ref>
 
Nel 1782 fu iniziato in [[Massoneria|Massone]], nella Loggia "La Sincera" di [[Forlì]]. Divenne poi membro della Loggia ''Reale Amalia Augusta'' di Brescia, la stessa loggia di [[Ugo Foscolo]]<ref>[http://www.loggiagaribaldi1436.it/2019/11/10/ugo-foscolo-poeta-massone/Giorgio Nicoletti, "Ugo Foscolo poeta massone"]</ref>, il 5 ottobre 1806, giorno in cui è ufficialmente costituita la loggia massonica ''Reale Eugenio'' a Milano, Vincenzo Monti vi recita la cantata ''L'Asilo della Verità''.<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi muratori'', Roma-Milano, 2005, p. 191.</ref>
 
Quando Napoleone vendicò in [[Prussia]] le sconfitte contro [[Federico II di Prussia|Federico II]], il poeta diede alla luce il breve componimento ''La spada di Federico II'', dove, nel rispetto del vinto sovrano ma sempre nell'adulazione esagerata di Napoleone, il Còrso impugna la spada del nemico e la porta in patria per consegnarla al [[Hôtel des Invalides|Palazzo degli Invalidi]].
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I migliori risultati poetici del Monti sono in realtà costituiti dalle traduzioni, laddove non è frenato dall'esigenza di celebrare o adulare smodatamente, sicché può liberamente mettere in mostra il suo talento dialettico e formale, la sua eleganza compositiva: tra il 1798 e 1799, in una fase di profondo distacco dal suo passato papalino, cura la traduzione in ottave dell'irriverente poema satirico di [[Voltaire]] ''[[La Pulzella d'Orléans (poema)|La Pucelle d'Orléans]]'', sulle vicende di [[Giovanna d'Arco]], in chiave sorprendentemente comica e piena di ritmo (il lavoro sarà poi pubblicato postumo nel 1878).
 
Un'altra prova di virtuosismo è costituita dalla versione delle ''Satire'' di [[Persio]] (1803), ma è la traduzione dell{{'}}''[[Iliade]]'' in endecasillabi sciolti, terminata e pubblicata nel 1810, il suo vero capolavoro. [[File:Aulus Persius Flaccus.jpeg|thumb|left|upright=0.7|Tradusse anche le ''Satire'' di [[Persio]], qui ritratto]]
 
Sin dai primi anni il testo fu per Monti un'ossessione, e già molto tempo addietro, tra il [[1788]] e il [[1790]], aveva fatto una traduzione di alcuni canti.<ref>Leone Vicchi, ''Vincenzo Monti. Le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830. (Decennio 1781-1790)'', Faenza, P. Conti, 1883, p. 506.</ref> Originariamente, aveva adottato l'ottava, che utilizzò per recitare i canti I e VIII in Arcadia,<ref>Muscetta, cit., p.XXVIII</ref> ma nel [[1806]] optò definitivamente per l'endecasillabo sciolto,<ref>Veneri, p.101</ref> in cui, come detto, fu eseguita la traduzione completa.
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Si è molto discusso su quali siano stati i modelli, ma pare che a predominare sia stata la versione latina di [[Raimondo Cunich]], e che una loro importanza abbiano rivestito quelle di [[Anton Maria Salvini]] e [[Melchiorre Cesarotti]].<ref>Veneri p.102; per Cunich cfr. Lettera di V.M. a U.Foscolo del 15 aprile 1807. Nello stesso anno M. inviava a Foscolo la traduzione del Canto I, che quest'ultimo unì alla propria nel celebre ''Esperimento di traduzione dell'Iliade'' (1807)</ref>
 
Il Monti diede alla luce, vivente, altre tre edizioni, nel [[1812]], nel [[1820]] e nel [[1825]], tre anni prima di morire.
 
Negli ultimi anni tradusse anche, per necessità economiche, frammenti dal ''Filottete'' [[sofocle]]o, [[esametri]] latini dell'amico [[Dionigi Strocchi]] e parti della ''Tunisiade'' del prelato [[ungheria|ungherese]] [[Giovanni Ladislao Pyrker]].<ref>Per l'opera di Pyrker si valse della collaborazione di [[Andrea Maffei (poeta)|Andrea Maffei]], suo estimatore e imitatore nei versi che scrisse.</ref>
 
==== Gli ultimi anni ====
Il 23 gennaio [[1812]] fu eletto socio dell'[[Accademia della Crusca]]<ref>{{Accademici della Crusca}}</ref>.
[[File:Pörträt Kaiser Franz I von Österreich.jpg|thumb|190px|''Ritratto dell'imperatore Francesco I d'Asburgo-Lorena con le vesti dell'[[Ordine del Toson d'oro]]'' di [[Joseph Kreutzinger]] ([[Museo di Salisburgo]]). Monti divenne sostenitore degli austriaci dopo la fine dell'epoca napoleonica.]]
Dopo la sconfitta di Napoleone, Monti non si fece scrupoli nel dedicare pari lodi al nuovo sovrano, l'imperatore d'[[Impero austriaco|Austria]] e Re del [[Regno Lombardo-Veneto|Lombardo-Veneto]] [[Francesco I d'Austria|Francesco I]], e ne fu ricompensato conservando il ruolo di poeta di corte, anche se gli zecchini annui si ridussero a 1200. Ci fu tuttavia minore entusiasmo, e tutto ciò che partorì furono due azioni drammatiche rappresentate alla [[Teatro alla Scala|Scala]], rispettivamente il 15 maggio [[1815]] e il 6 gennaio [[1816]], intitolate ''Il mistico omaggio'' e ''Il ritorno di Astrea''.
 
Il Monti di questi anni rivendica il merito di una "riforma" letteraria intervenuta nel ventennio tra la ''Bassvilliana'' e la sua traduzione dell{{'}}''Iliade'', passando per la ''Mascheroniana''; una ripresa dello studio dei classici, e di [[Dante]]. Lo afferma in una lettera del [[1815]], rispondendo all'invito di scrivere lui una prefazione alla ''[[Biblioteca Italiana]]'', periodico voluto dall'[[Impero d'Austria|Austria]].
 
Nella lettera dice anche che due ostacoli lo disturbano: la parte scientifica, per la quale ha bisogno che "altri gli forniscano il materiale", e il suo riconoscersi come personaggio fondamentale per la letteratura di allora, e quindi la prospettiva di ritrovarsi a parlare di sé stesso nella prefazione (non volendosi dare meriti altrui ma nemmeno omettere ciò di cui si crede meritevole). Importante è la parola "Riforma", che veniva utilizzata in origine per il [[Neoclassicismo]]; ma Monti fa partire questa riforma dal 1793 (il Neoclassicismo nasce secondo [[Giosuè Carducci|Carducci]] con la [[Trattato di Aquisgrana (1748)|pace di Aquisgrana]] nel [[1748]] e per gli studiosi più recenti con le scoperte di [[Scavi di Pompei|Pompei]] e gli scritti di [[Winckelmann]]) e la fa concludere al più tardi nel 1812; la descrive come riforma esclusivamente letteraria e quindi in niente debitrice a Winckelmann, alle arti, all'[[archeologia]].
[[File:00 Busto e teca con il cuore di Vincenzo Monti, con dedica. Biblioteca Ariostea, Ferrara.jpg|thumb|left|200px|Busto e teca con il cuore di Vincenzo Monti conservati nella [[Biblioteca comunale Ariostea|Biblioteca Ariostea]], accanto al [[Tomba di Ludovico Ariosto|mausoleo di Ludovico Ariosto]], a Ferrara.]]
"Riforma" è una [[parole d'autore|parola d'autore]]. Questo convalida le tesi di Carducci, sul fatto che quello che noi chiamiamo Neoclassicismo si occupasse non della vecchia letteratura (De Sanctis) ma della nuova letteratura. Monti vede il futuro nel passato: per lui il poeta più attuale è Dante. Spezza così il primato petrarchesco di allora in favore di Dante che era considerato duro, aspro, talvolta sgradevole, affiancandovi [[Omero]], "il più grande dei poeti".
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Nel [[1822]] morì il genero Giulio Perticari, che il poeta considerava come un figlio nonostante un precedente litigio, e a questo dolore si unì la diffamazione cui la figlia Costanza andò incontro, accusata di aver trascurato il marito o addirittura di averlo ucciso. Alcune voci pretesero addirittura l'esistenza di una complicità del padre nel presunto complotto. Addolorata, Costanza tornò a vivere con i genitori.
 
Nel [[1825]] la "tenera amica"<ref>Lettera di V.M. ad [[Antonio Papadopoli]] del 30 agosto 1825</ref> [[Antonietta Costa]], marchesa genovese, chiese a Monti un componimento in occasione delle nozze del figlio Bartolomeo con la marchesa Maria Francesca Durazzo. Da ciò nacque il ''Sermone sulla mitologia'', poemetto in sciolti, feroce invettiva contro le manifestazioni orride e macabre del [[romanticismo]] nordico, colpevole di aver scalzato gli dèi dalla poesia. In particolare depreca la traduzione della ''[[Lenore]]'' di [[Gottfried August Bürger]] fatta da [[Giovanni Berchet]] e il ritorno in auge dei temi [[Ossian|ossianicoossian]]ico-[[Poesia cimiteriale|cimiteriali]] di gusto lugubre [[Preromanticismo|preromantico]]. Evidenti paiono i richiami ad alcune opere critiche di [[Voltaire]]<ref>Così Melchiorre Missirini, in un articolo apparso sulla ''Biblioteca Italiana'' nel 1834, e più recentemente, nel 1905, Bertana, in op.cit.</ref> ma anche all'ode ''Gli Dèi della Grecia'' che [[Friedrich Schiller]] aveva pubblicato nel [[1788]]. Ad avvalorare tale tesi è il poeta stesso, definendoche definì Schiller secondo solo a Shakespeare nella gerarchia delle sue preferenze letterarie.<ref>Lettera a Carlo Tedaldi Fores del 1825</ref> Vanno ravvisati anche rimandi all'inno ''Alla Primavera'' di Leopardi (1824).<ref>Bertoldi, p.125</ref> Monti prende così posizione [[Classicismo (letteratura)|classicista]] nella polemica anti-romanticaantiromantica suscitata da [[Madame de Staël]].
 
Come si può facilmente immaginare, l'opera non lasciò indifferenti, e in parecchi, ritenendo un simile gusto neoclassico ormai fuori dal tempo, scrissero opere polemiche in risposta al ''Sermone'': la più famosa è quella di [[Niccolò Tommaseo]]<ref>Niccolò Tommaseo, ''Della mitologia discorso sopra il sermone del cavalier Monti'', Milano, Rivolta, 1826</ref>.
Può apparire quindi sorprendente che il vecchio Monti si dimostri ancora così chiuso al gusto romantico, dopo certe virate del passato e della stessa senilità, ma intelligentemente [[Cesare Cantù]] dimostrò come fossero qui colpite solo le manifestazioni macabre del Romanticismo (nonostante il montiano ''Aristodemo'' che ricordava direttamente [[Edward Young]]), antitetiche alla concezione "diurna e solare" della poesia montiana.
 
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Contemporaneamente, Monti scriveva anche canzoni più intime e familiari, come il dolcissimo sonetto ''Per un dipinto dell'Agricola'', dedicato alla figlia Costanza, che era stata ritratta dal [[Filippo Agricola|pittore]], o come la [[Canzone leopardiana|canzone libera]] ''Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler'', composta tra il settembre e l'ottobre del 1826. Qui, la moglie e la figlia vengono definite solo conforto alla vecchiaia del poeta, e solo motivo di dispiacere per il prossimo abbandono di un mondo che riserva solo sofferenze. Era come se "la vecchiezza, non che inaridisse la vena dell'affetto, anzi le fece più abbondante. Così, negli ultimi anni del suo vivere, egli era l'aquila che, stanca di tanti arditissimi voli, stanca di alzar le penne fino al sole o di mescersi coi nembi e le procelle, ritornava al nido per riposarvisi, chiudendo le grandi ali sul capo dei suoi cari". Nell'opera Monti ripercorre anche la propria vicenda letteraria e umana.<ref>Zumbini, p.250</ref>
 
Si schierò quindi in difesa dell'uso in letteratura della mitologia e della tradizione classica, ma al tempo stesso mantenne buoni rapporti con gli esponenti delle nuove tendenze romantiche e nel [[1827]] espresse giudizi entusiastici sulla lettura dei ''[[Promessi Sposi]]''. Si inserì nella disputa sulla questione della lingua, ponendosi su posizioni fortemente avverse al padre [[Antonio Cesari]] e ai [[Purismo (letteratura)|puristi]], sminuendo il [[XIV secolo|Trecento]] per passare in rassegna tutti gli uomini di cultura del [[XVIII secolo|Settecento]].<ref>Muscetta, p.XLV-I</ref> In questa linea si situano i sette volumi didella ''ProposteProposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca'', in cui, variando con maestria i toni del discorso, attacca i cruscanti mostrando molti errori da loro commessi in merito a singoli vocaboli.
 
Negli ultimi anni di vita, a partire dal 1816 e fino alla morte, ritornò sul poema in tre canti in endecasillabi sciolti ''La Feroniade'', iniziato già nel periodo romano per esaltare i progetti di bonifica delle paludi pontine, e ora ripreso con ossessiva cura formale, ma comunque non concluso e stampato postumo nel [[1832]]. ''La Feroniade'' è anche un modo di affermare una sua estraneità alla storia e al presente, proprio da parte di uno scrittore che aveva costruito la sua carriera sulla partecipazione della letteratura alle trasformazioni politiche.
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{{Citazione|La mattina del 13 a sette ore e qualche minuto il Monti mandò senz'affanno un facile sospiro, e chinò lievemente la testa; tutti stavano immoti e tacevano: un grido della figlia ruppe quel tetro silenzio. Vincenzo Monti era passato.}}
 
FuLa sepoltosua altomba è nel [[cimitero dimonumentale Sandella GregorioCertosa di Ferrara]]. fuoriAnche dalse Lazzarettonon fu nativo di PortaFerrara Orientale,riposa madella lacella sepolturadei andòferraresi dispersaillustri.<ref>{{cita web|url=https://www.certosadiferrara.it/02-le-sette-arti/|titolo=La Certosa di Ferrara|lingua=|accesso=11 maggio 2024}}</ref> Nella cripta della [[Chiesa di San Gregorio Magno (Milano)|chiesa di San Gregorio Magno]] è custodita la lapide funebre (insieme a quella di altri personaggi illustri) che era posta sul muro di cinta del cimitero oggi non più esistente. Il cuore si trova invece nella [[Biblioteca Ariostea]] di [[Ferrara]]. La [[Casa Monti|casa natale]] di [[Alfonsine]], in [[Romagna]], è attualmente adibita a [[museo]].
 
[[File:Tragedie di Vincenzo Monti.tif|miniatura|''Tragedie di Vincenzo Monti'', 1816. Da [[Biblioteca europea di informazione e cultura|BEIC]], biblitoeca digitale]]
La [[Casa Monti|casa natale]] di [[Alfonsine]], in [[Romagna]], è divenuta un [[casa museo|museo]].<ref>{{Cita web|url=http://www.casemuseoromagna.it/index.php?id=7|titolo=La Casa Museo di Vincenzo Monti|editore=Coordinamento Case Museo dei Poeti e degli Scrittori di Romagna|accesso=2024-08-01|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230621105458/http://www.casemuseoromagna.it/index.php?id=7|urlmorto=no}}</ref>
[[File:Tragedie di Vincenzo Monti.tif|miniatura|''Tragedie di Vincenzo Monti'', 1816. Da [[Biblioteca europea di informazione e cultura|BEIC]], biblitoecabiblioteca digitale]]
È stato intitolato a suo nome il noto [[Liceo Ginnasio Statale Vincenzo Monti|Liceo classico]] di [[Cesena]].
 
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In seguito, all'interno di una critica spesso discorde, si sono levate, a lode convinta del poeta, le voci di [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]] (che definì "immortali" i ''Pensieri d'amore''<ref>Niccolò Tommaseo, ''Dizionario Estetico'', Firenze, Le Monnier, p.692; «I brevi sciolti, amorosi, di dodici o venti versi, che nel fervore della passione sfuggirono al Monti, resteranno, io credo, immortali»</ref>
) e di [[Giosuè Carducci]], che apprezzò in particolar modo i temi classicheggianti e il linguaggio arcadico. Carducci curò, tra il 1858 e il 1885, varie edizioni delle poesie montiane, e sul suo esempio lo studioso reggiano [[Alfonso Bertoldi]], allievo di Carducci all'[[Università di Bologna|Ateneo bolognese]], diede alla luce, anche in collaborazione con [[Giuseppe Mazzatinti]], due edizioni delle poesie e una, monumentale e completa, dell{{'}}''Epistolario'', comprendente lettere scritte tra il 1771 e il 1828.<ref>Alfonso Bertoldi e Giuseppe Mazzatinti (a cura di), ''Lettere inedite e sparse di Vincenzo Monti'', Vol I: 1771-1807, L. Roux e c., Torino - Roma 1893; Vol. II: 1808-1828, Roux Frassati e c., Torino 1896; Alfonso Bertoldi (a cura di), ''Epistolario di Vincenzo Monti'', Firenze, Sansoni, sei volumi tra 1928 e 1931</ref> Bertoldi fu il primo a restituirci nella loro interezza i carteggi del poeta. Inoltre, con la cura propria della critica [[positivista]], diede notizie molto precise sulle varie opere, anteponendo a ciascuna un cappello introduttivo in cui, oltre all'occasione che aveva generato il componimento specifico, forniva un breve quadro della situazione storica.<ref>Vedere la presentazione di Bruno Maier in Vincenzo Monti, ''Poesie'' (a cura di A.Bertoldi), Firenze, Sansoni, 1957</ref> Il lavoro bertoldiano è stato il modello degli studi del secolo successivo.<ref>[[Bruno Maier]], in op.cit.</ref> Si è vista una particolare fioritura delle opere critiche negli anni a cavallo del 1930, per celebrare il centenario della morte di Monti.
 
[[File:Abbondio Sangiorgio (1798-1879) Busto di Vincenzo Monti (1833) di trequarti.jpg|thumb|[[Abbondio Sangiorgio]], Busto di Vincenzo Monti (1833)]]
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== Collegamenti esterni ==
* Edizione Nazionale delle Opere di Vincenzo Monti - https://www.vincenzomonti.org/<nowiki/>{{Collegamenti esterni}}
* {{Treccani|vincenzo-monti_(Enciclopedia-Dantesca)|MONTI, Vincenzo|autore=Febo Allevi}}
* {{Treccani|vincenzo-monti_(Enciclopedia-dell'Italiano)|MONTI, Vincenzo|autore=Maria Maddalena Lombardi}}
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{{Portale|biografie|letteratura|teatro}}
 
[[Categoria:Vincenzo Monti| ]]
[[Categoria:Accademici dell'Arcadia]]
[[Categoria:Accademici italiani del XIX secolo]]
[[Categoria:Drammaturghi italiani del XVIII secolo]]
[[Categoria:Drammaturghi italiani del XIX secolo]]
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[[Categoria:Sepolti nel cimitero di San Gregorio]]
[[Categoria:Neoclassicismo]]
[[Categoria:Accademici italianidella del XIX secoloCrusca]]