Clan D'Alessandro: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
lavoro sporco e fix vari
Nessun oggetto della modifica
Etichette: Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
 
(13 versioni intermedie di 4 utenti non mostrate)
Riga 12:
Parole in codice pronunciate quale testimonianza di una scelta di vita mai rinnegata dal boss a differenza di altri esponenti di spicco della camorra pentitisi all'"occorrenza" e forse "per convenienza". Datosi alla latitanza, venne poi stanato e arrestato in un covo sito a [[Secondigliano]] messogli a disposizione, secondo gli inquirenti, dall'amico e alleato [[Paolo Di Lauro]]. La morte di Michele D'Alessandro, avvenuta in carcere in seguito ad un attacco cardiaco, non determinò la fine dello spessore mafioso della famiglia per il passaggio di consegne alla moglie '''Teresa Martone'''.<ref name="B">[https://www.ilgazzettinovesuviano.com/2017/03/29/michele-dalessandro-affari-eccellenti Il clan da “zio” Michele D’Alessandro agli affari eccellenti in mezza Italia]</ref>
 
'''Luigi D'Alessandro''': Fratello del boss Michele, è stato scarcerato nel 2018, e secondo gli inquirenti, con il suo ritorno in libertà può ancora spostare gli equilibri malavitosi dell'area stabiese. Perché dopo quasi 30 anni di carcere, nelle scorse ore, Gigginiello, cofondatore della cosca di Scanzano, ha potuto rivedere il suo rione e Castellammare. Dove tutto è cominciato, dove gli affari illeciti si fanno ancora per conto e nel nome della medesima organizzazione criminale. Di quel clan, del quale è stato sempre considerato mente economica ed imprenditoriale. Era il 1993 quando i poliziotti bussarono alla porta di un appartamento della cittadina stabiese. In casa insieme a una nipote della coppia c'erano il boss Luigi D'Alessandro e sua moglie Annunziata Napodano. Gigginiello era latitante dal maggio del 1992, perché colpito da una ordinanza di custodia cautelare per inosservanza degli obblighi della sorveglianza speciale e di soggiorno a Camerota, nel Cilento. Il provvedimento era stato emesso nel febbraio dello stesso anno. A Luigi D'Alessandro, secondo quanto fu accertato all'epoca dagli investigatori, era affidata la gestione del clan durante i periodi di detenzione del fratello (Michele, anche lui latitante nel 1993).<ref name="A" /> '''Renato Cavaliere''', ex killer pentito delladel clan non ha dubbi: "Ho saputo che Luigi D'Alessandro è stato scarcerato. Adesso è lui che ha assunto il dominio del clan e decide tutte le strategie di Scanzano."<ref>[http://www.metropolisweb.it/metropolisweb/2018/12/14/castellammare-clan-dalessandro-comanda-solo-luigi Castellammare. Clan D’Alessandro: «Comanda solo Luigi»]</ref>
 
'''Teresa Martone''': Rappresenta la regista di un sodalizio criminale ben ramificato a Castellammare e nei comuni limitrofi: una donna intelligente, capace di stringere alleanze eccellenti con la mala di [[Secondigliano]] e in grado di gestire i gruppi di fuoco con estrema "parsimonia". I killer intervengono solo quando "non se ne può fare a meno" per poi sparire nel nulla: un segnale significativo di come l'intento dei D'Alessandro sia quello di controllare criminalmente parlando la zona senza fare "inutile chiasso", ovvero senza attirare l'attenzione delle forze dell'ordine in modo controproducente.
Riga 21:
'''Umberto Mario Imparato''', allora il cassiere dei D'Alessandro, è stato accusato dal proprio boss Michele di aver sottratto ingenti somme alle casse del clan costringendo l'ex fedelissimo a nascondersi sui monti Lattari per sfuggire alla sentenza di morte emessa nei suoi confronti. Dalle montagne Imparato, grazie ad alleanze con le famiglie malavitose del posto, creò un gruppo criminale autonomo forte del carisma da sempre esercitato sui giovani che vedevano nel ras '''Michele D'Alessandro''' un personaggio estremamente rozzo e violento. Iniziò così una guerra tra i due capi camorra che contò '''oltre settanta morti''' tra i rispettivi schieramenti. Particolare il modus operante dei gruppi di fuoco di Imparato che lasciavano le montagne solo per uccidere per poi sparire rapidamente nel nulla. Imparato capì ben presto che per vincere definitivamente avrebbe dovuto colpire direttamente Michele D'Alessandro: fu così che il "boss della montagna" mise in essere un agguato ben organizzato nei minimi particolari (si parlò addirittura di consiglieri militari per la realizzazione dello stesso) al boss rivale mentre si recava in commissariato per apporre la firma sul registro dei sorvegliati speciali.
 
Era ilvenerdì 21 aprile del 1989 quando nei pressi dell{{'}}'''Hotel dei Congressi''' un commando degli Imparato aprì il fuoco contro D'Alessandro e la sua scorta. Restarono ammazzati sull'asfalto in un mare di sangue quattro affiliatidei d'Alessandro: Pasquale Santarpia, 32 anni; Domenico D'Alessandro, 26, fratello del boss; Giovanni Grieco, di 21 anni, il quale era ancora agonizzanteagonizzava quando sonogli giunteportarono lein ambulanzeospedale, chedove l'hannoarrivò portatodeceduto; inGiuseppe ospedaleSicignano, dove31 ianni, medicimorto non4 hannogiorni potutodopo farein altroospedale cheda constatareun ilproiettile decesso;alla gravissimetesta le(il condizionipadre di Giuseppe Sicignano, 31 anniPasquale, colpitoverrà daanche unmassacrato proiettiledagli allaImparato testanell'eccidio dell'8 luglio 1990). Se la caverà il capoclan Michele D'Alessandro, 44 anni, ferito non gravemente alle gambe e a una spalla. Tra le vittimeferiti, anche una vittimabambino innocente, un bambino7enne, eleggermente ilferito fratelloanche diin Michele D'Alessandro, '''Domenico'''gamba. Il vero obiettivo del raid riportò solo alcune ferite (uno strano particolare che portò poi gli inquirenti a ritenere che D'Alessandro fosse stato volutamente risparmiato dai killer).
L'ira incontenibile di D'Alessandro, scampato miracolosamente all'agguatoalla sparatoria, per la perdital'eccidio del fratello e dei fedelissimi3 guardaspalli non tardò ad arrivare: morti70 ammazzati ovunque a [[Castellammare di Stabia|Castellammare]] e sui Lattari in una faida senza esclusione di colpi (compreso il duplice omicidio dell'innocente spazzino Antonio Longobardi e il figlio 8enne Paolo nel 1990). Una guerra che durò fino alla primavera del 1993: in quel periodo le forze dell'ordine riuscirono a stanare sui Lattari '''Umberto Mario Imparato''' (si parlò di tradimenti all'interno dello stesso clan) e il boss restò ucciso in seguito al conflitto a fuoco ingaggiato con gli agenti insieme ad un suo guardaspalle.
Successivamente perderà la vita anche in un agguato il figlio di Imparato mentre la figlia '''Tatiana''', inizialmente accusata di essere la reggente del clan, verrà assolta da ogni accusa a suo carico.<ref>[https://www.ilgazzettinovesuviano.com/2017/04/08/umberto-mario-imparato-attivista-boss Umberto Mario Imparato, da attivista a feroce boss della camorra. La sanguinosa faida con Scanzano]</ref>