Storia del Regno d'Italia (1861-1946): differenze tra le versioni

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{{torna a|Regno d'Italia (1861-1946)}}
[[Immagine:Flag of Italy (1861-1946).svg|right|180px|thumb|[[Bandiera italiana|Bandiera nazionale del Regno d'Italia]]]]
{{F|storia d'Italia|ottobre 2024}}
[[File:Flag of Italy (1861-1946).svg|thumb|[[Bandiera d'Italia|Bandiera nazionale del Regno d'Italia dal 1861 al 1946]]]]
La '''storia del Regno d'Italia''' ha inizio nel 1861 con [[proclamazione del Regno d'Italia|la sua proclamazione]] e termina nel 1946 con la nascita della [[Repubblica Italiana]].
 
== L'unificazione italiana (1848-1861) ==
Lo [[Italia|stato italiano]] nacque nel [[1861]] dopo l'esito della [[Seconda guerra di indipendenza italiana|seconda guerra di indipendenza]] e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] del [[18 febbraio]] [[1861]] e la successiva proclamazione del [[17 marzo]], [[Vittorio Emanuele II]] fu il primo [[re d'Italia]] ([[1861]]-[[1878]]).
 
=== Il risorgimento ===
La popolazione, rispetto l'originario [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], quintuplicò.
{{vedi anche|Risorgimento}}
Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], esso fu infatti una [[monarchia costituzionale]].
Alla [[Rivoluzione francese]] e agli eventi occorsi nel contesto dell'[[Età napoleonica]] vanno attribuiti gli inizi della questione nazionale italiana e il risveglio politico che fu premessa alla sua discussione. Nel periodo della [[Restaurazione]], le inquietudini degli intellettuali e di una certa parte della nobiltà e della borghesia non erano dirette all'impostazione di un programma di unificazione nazionale, quanto piuttosto ad una serie di istanze liberali e costituzionali. La classe dirigente italiana, che aveva attraversato l'età napoleonica e le sue riforme, era ormai piuttosto sensibile ai temi dell'organizzazione dello Stato, della selezione della pubblica amministrazione, alla codificazione della giustizia. Queste esperienze si sommavano a quelle dell'[[assolutismo illuminato]].<ref>{{cita|Villani|p. 128}}.</ref> Le nuove generazioni, cresciute nella sensibilità [[Romanticismo|romantica]] e in qualche caso aderenti a [[società segrete]], come la [[Carboneria]], erano latrici di istanze più radicali, di stampo democratico. Tali istanze, però, erano poco circostanziate, perché provenivano da sezioni della società con scarsa disponibilità economica e quindi minore capacità di aggiornamento culturale. Tale radicalismo riusciva a penetrare la piccola e media borghesia dei centri urbani, mentre nelle campagne era assai attivo il filtro operato dal [[clero]] e dai notabili.<ref>{{cita|Villani|pp. 128-129}}.</ref>
Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica per tutta la penisola e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite.
[[File:Giuseppe Mazzini – Garibaldi's defence of the Roman Republic (1907) (14765049845).jpg|thumb|upright=0.8|[[Giuseppe Mazzini]]]]
A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l'analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.
Il tema dell'unificazione fu esplicitamente posto da [[Giuseppe Mazzini]] (1805-1872) negli anni trenta. L'organizzazione [[Giovane Italia (1831)|Giovane Italia]], da lui fondata, rappresentava un superamento della dimensione settaria espressa dalle precedenti organizzazioni segrete, profilandosi quasi come un partito democratico e repubblicano. L'operato di Mazzini ebbe scarso impatto sul piano numerico, ma assai forte sul piano simbolico.<ref>{{cita|Villani|p. 129}}.</ref> Agli inizi degli anni quaranta, la prospettiva di unificazione nazionale appariva irrealistica, tanto che [[Cesare Balbo]] la giudicava, nel 1843, una "puerilità, sogno tutt'al più da scolaruzzi di retorica, da poeti dozzinali, da politici di bottega". Un obbiettivo ritenuto realistico era una confederazione o federazione di Stati. I liberali moderati avevano in genere un atteggiamento più pragmatico, teso a trovare soluzioni di compromesso con gli enti statuali ospitati dalla penisola. Essi erano peraltro assai sensibili al tema economico e prospettavano un ampliamento del mercato, analogamente a quanto accadeva con lo ''[[Zollverein]]'' tedesco.<ref>{{cita|Villani|p. 130}}.</ref> A differenza del processo unitario tedesco, in Italia il contributo dei democratici fu assai significativo, anche se minoritario negli esiti. Le azioni di parte democratica furono anzi spesso di tale portata che in molti casi "obbligarono il recalcitrante Stato piemontese a spingersi ben oltre le proprie reali intenzioni". Il processo unitario italiano va dunque letto come la somma di istanze in parte inconciliabili, quelle del "partito dell'ordine" e quelle del "partito d'azione".<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 793}}.</ref>
 
L'elezione al soglio pontificio di [[Pio IX]], con le sue riforme, consentì la circolazione di istanze patriottiche e liberali anche nelle campagne e fra il clero, ma la frammentazione della società italiana confinò la questione nazionale ai centri urbani e ai ceti colti.<ref>{{cita|Villani|pp. 130-131}}.</ref>
La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d'Italia fu la [[questione meridionale]] ed il [[brigantaggio]] antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il [[1861]] e il [[1869]]). Il problema era noto come la "[[questione meridionale]]". Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della [[Chiesa cattolica]] e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il [[1870]] e la [[presa di Roma]] ([[questione romana]]).
[[File:Cavour engraving-detail.jpg|thumb|upright=0.8|[[Camillo Benso]]]]
Una base di consenso tra i diversi fronti politici italiani si fondava su due elementi: il superamento dell'[[Monarchia assoluta|assolutismo]] e l'indipendenza dallo straniero. Determinante fu lo scoppio di un'insurrezione anti-austriaca a Milano (le [[Cinque giornate di Milano|Cinque giornate]], 18-22 marzo 1848), con l'intervento del re sabaudo [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]]. La guerra contro l'Austria ([[Prima guerra d'indipendenza italiana]]), che vide per breve tempo la partecipazione dello [[Stato Pontificio]] e del [[Regno delle Due Sicilie]], mise allo scoperto la fragilità del fronte moderato e [[Neoguelfismo|neoguelfo]]. Carlo Alberto fu sconfitto nella [[Battaglia di Custoza (1848)|battaglia di Custoza]] e poi nella [[Battaglia di Novara (1849)|battaglia di Novara]], e dovette abdicare in favore di [[Vittorio Emanuele II]].<ref>{{cita|Villani|pp. 131-132}}.</ref> Di fronte a questi fallimenti, Mazzini rientrò dall'esilio e contribuì alla formazione dell'effimera [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]], che pure ebbe alto valore simbolico, come anche la vigorosa resistenza della neo-costituita [[Repubblica di San Marco]]. Il nuovo re decise comunque di mantenere il regime costituzionale. La libertà di stampa e di opinione garantita dal Regno fece sì che a Torino confluissero molti patrioti perseguitati dopo il '48. Il Piemonte, prima con [[Massimo D'Azeglio]], poi con [[Camillo Benso, conte di Cavour]], si affermò come l'unico Stato italiano capace di contrastare la dominazione austriaca, nonché esempio di progresso economico e civile.<ref>{{cita|Villani|pp. 132-133}}.</ref> Come nota [[Rosario Romeo]], la politica cavouriana riuscì ad avvicinare anche "quei ceti della minore borghesia di piccoli proprietari e imprenditori, di fittavoli, mezzadri e professionisti, che finora erano rimasti diffidenti e ostili davanti all'aristocratico progressismo dei moderati".<ref>Citato in {{cita|Villani|p. 133}}.</ref>
 
Inizialmente, Cavour era orientato a nient'altro che l'espansione del Regno di Sardegna nel settentrione. Pur se rappresentante, nello schema storiografico, della ragion di stato, in opposizione agli ideali democratici e popolari di Mazzini, in realtà Cavour seppe leggere con duttilità il dipanarsi degli eventi, non esitando ad intervenire fattivamente quando si trattò di invadere il Regno di Napoli. Cavour e Mazzini, pur se inconciliabili sul piano ideologico, furono entrambi determinanti nel promuovere il processo unitario.<ref>{{cita|Villani|pp. 133-134}}.</ref> Un passaggio fondamentale fu la partecipazione del Regno di Sardegna alla [[Guerra di Crimea]]: Cavour ottenne di porre all'attenzione del consesso internazionale la questione nazionale italiana ([[Congresso di Parigi]] del 1856).<ref name=villani134>{{cita|Villani|p. 134}}.</ref> A Parigi, Cavour poté registrare la benevolenza o almeno la tollerenza con cui Regno Unito e Francia guardavano ai liberali italiani, nonché l'ostilità verso i [[Borbone di Napoli]] e il loro Regno delle Due Sicilie, percepito come retrogrado, in particolare da [[William Gladstone]], e indicato da Cavour come causa diretta di instabilità e dei pericoli rivoluzionari.<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 799}}.</ref>
===La destra storica ===
[[File:Napoléon III par Jean Hippolyte Flandrin.jpg|thumb|upright=0.8|[[Napoleone III]]]]
{{vedi anche|Destra storica}}
[[Immagine:Riccio G. - ritratto di Marco Minghetti.jpg|right|thumb|200 px|Ritratto di [[Marco Minghetti]]]]
La Destra storica, composta principalmente dall'[[alta borghesia]] e dai [[proprietari terrieri]], formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il [[brigantaggio]], represso con la forza.
 
Dopo l'attentato di [[Felice Orsini]] (14 gennaio 1858), Cavour riuscì anche ad ottenere l'appoggio di [[Napoleone III]] in una eventuale guerra dichiarata dall'Austria. Il 20 luglio 1858, Cavour e Napoleone III si incontrarono segretamente a [[Plombières-les-Bains|Plombières]] e stilarono i termini di una soluzione della questione italiana; tali "[[accordi di Plombières]]" prevedevano la creazione di tre regni, uno al settentrione, comprendente Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna, sotto i Savoia; un regno dell'Italia centrale da affidare ad un principe francese ([[Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte|Gerolamo Napoleone]], nelle speranze dell'imperatore francese); un regno meridionale, che Napoleone avrebbe volentieri affidato ad un figlio di [[Joachim Murat]].<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 800}}.</ref> Una manovra diplomatico-militare (con l'ultimatum austriaco del 23 aprile 1859) consentì a Cavour di scatenare la [[Seconda guerra d'indipendenza italiana]]. I franco-piemontesi vinsero la [[battaglia di Magenta]] e già l'Italia centrale, dalla Toscana all'Umbria, si era sollevata, spingendo Napoleone III a firmare l'[[armistizio di Villafranca]]. Solo la [[Lombardia (regione storica)|Lombardia]] fu ceduta al Regno di Sardegna e Cavour si dimise.<ref name=villani134/>
In [[politica estera]], la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la [[Francia]], anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del [[Veneto]] e la presa di [[Roma]].
 
Con il ritiro unilaterale di Napoleone III, la Toscana, Parma e Modena dovevano riaccogliere le autorità legittime di cui si erano liberate. I governi provvisori dell'Italia centrale, che avevano nel frattempo organizzato un proprio esercito, comandato da [[Giuseppe Garibaldi]] e [[Manfredo Fanti]], vennero però spinti da [[Bettino Ricasoli]] e chiedere l'annessione al Piemonte. Napoleone III non era in grado di intervenire. Gran Bretagna e Prussia vedevano di buon occhio il formarsi di uno Stato italiano capace di sottrarsi all'influenza francese. Nel marzo 1860, Cavour tornò al governo, su pressioni britanniche e francesi, e contro il desiderio di Vittorio Emanuele. Si prospettò la soluzione dei [[plebisciti risorgimentali]] in Toscana ed Emilia, di cui Napoleone III accettò l'esito; alla Francia furono cedute, anche qui con lo strumento del [[plebiscito]], [[Nizza]] e [[Savoia (regione storica)|Savoia]].<ref>{{cita|Villani|pp. 134-135}}.</ref><ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 801}}.</ref>
Nel [[1876]] il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (''rivoluzione parlamentare''). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da [[Agostino Depretis]].
[[File:Gustave-Le-Gray Giuseppe-Garibaldi Palermo-1860 1-1000x1500.jpg|thumb|upright=0.8|[[Giuseppe Garibaldi]] fotografato da [[Gustave Le Gray]] a Palermo nel 1860]]
Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] morì, e sul trono gli successe [[Umberto I di Savoia|Umberto I]].
Dopo Villafranca, gli agitatori mazziniani concentrarono la propria azione al sud, soprattutto attraverso l'operato di [[Rosolino Pilo]] e [[Francesco Crispi]]. Dopo la rivolta di Palermo dell'aprile 1860 ("[[Rivolta della Gancia]]"), il [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]] convinse Garibaldi a condurre un esercito di un migliaio di volontari in Sicilia.<ref name="Guarracino_et_al">{{cita|Guarracino et al.|p. 804}}.</ref> L'iniziativa democratica ebbe dunque un'ulteriore importante affermazione: tra il 5 e il 6 marzo 1860, partì da [[Quarto al Mare|Quarto]] (Genova), la cosiddetta [[Spedizione dei Mille]], alla volta della [[Sicilia (isola)|Sicilia]]. Garibaldi, a capo della spedizione, sbarcò a [[Marsala]], assunse la dittatura dell'isola in nome di Vittorio Emanuele, sconfisse in più scontri l'[[Esercito delle Due Sicilie]], passò lo [[Stretto di Messina]] e ai primi di settembre era già alle porte di [[Napoli]], capitale del regno borbonico.<ref name=villani135>{{cita|Villani|p. 135}}.</ref>
 
La Spedizione dei Mille ottenne la "segreta benevolenza" di Vittorio Emanuele, ma tutta l'ostilità di Cavour e dei moderati. La fulminante iniziativa di marca democratica rischiava di ipotecare l'esito costituzionale del regno a venire e Roma, la cui conquista era ritenuta dai democratici obbiettivo di immediata importanza, poteva diventare motivo per un incidente internazionale.<ref name=villani135/> Cavour era peraltro contrario ad un'unificazione completa in tempi stretti: egli avrebbe preferito, almeno per un certo tempo, una soluzione che vedesse i Savoia al nord e i Borbone al sud, in modo da consolidare quanto ottenuto ed evitare eventuali contrasti con le maggiori potenze europee. [[Giuseppe La Farina]], spedito al sud per contrastare i piani democratici, giunse ad organizzare un moto di marca moderata a Napoli prima dell'arrivo dei garibaldini, moto che però fallì.<ref name="Guarracino_et_al" />
===La sinistra storica ===
{{vedi anche|Sinistra storica}}
[[Immagine:Agostino Depretis.jpg|left|thumb|200 px|[[Agostino Depretis]]]]
 
Le paure di Cavour non erano ingiustificate. Se i democratici avessero conquistato Roma, avrebbero imposto la linea unitaria contro quella annessionista di marca piemontese. Non solo: essi avrebbero anche potuto – in ciò anche incontrando il desiderio di Mazzini – convocare un'[[assemblea costituente]] e imprimere all'unificazione un carattere repubblicano e federalistico. I radicali, però, non colsero l'opportunità, decidendo di non appoggiare la rivolta sociale in Sicilia. La spedizione garibaldina, al suo passaggio, era interpretata dai contadini siciliani come occasione di sovvertimento degli ordinamenti tradizionali e aveva infatti sollevato in tutta la Sicilia moti di violenza e di acquisizione delle terre, nelle forme tipiche della [[rivolta agraria]]. I radicali settentrionali, però, erano latori di un discorso essenzialmente politico, estraneo a quelle istanze sociali.<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 805}}.</ref> Pur mettendo in campo misure di alleggerimento fiscale per i più poveri, contrastarono fermamente ogni episodio di ''[[jacquerie]]'' e appoggiarono notabili, borghesi liberali e aristocratici (in tal senso, i [[fatti di Bronte]] sono l'esempio più noto di repressione contadina da parte dei garibaldini).<ref name=guarracino806>{{cita|Guarracino et al.|p. 806}}.</ref>
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del [[pareggio di bilancio]] e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia.
 
Il timore che la Francia o l'Austria potessero intervenire per proteggere [[papa Pio IX]] e così vanificare quanto già fatto per l'unificazione spinse Cavour ad intervenire. Con il benestare francese, l'[[esercito piemontese]] occupò Marche e Umbria. Quando Garibaldi ottenne la sua più grande vittoria ([[battaglia del Volturno]]) ai primi di ottobre del 1860, le forze sabaude intervennero nel Regno delle Due Sicilie, mentre Cavour faceva approvare una legge per annettere i nuovi territori.<ref name=villani135/><ref name="treccani.italia2">{{Treccani|italia|Italia|accesso=23 febbraio 2023}}</ref> I democratici dovettero rinunciare alla marcia su Roma ed accettare gli immediati plebisciti del 21 ottobre (vedi [[Plebiscito delle province siciliane del 1860]] e [[Plebiscito delle province napoletane del 1860]]).<ref name=villani135/> Opporsi ai plebisciti avrebbe a quel punto significato per i radicali opporsi all'unificazione. Garibaldi dovette accettare la sconfitta politica: dopo l'[[incontro di Teano]] (26 ottobre), si ritirò nei terreni che aveva acquistato nel 1855 a [[Caprera]], isola nel nord della Sardegna.<ref name=guarracino806/> Il 4 novembre furono annesse tramite plebiscito Marche e Umbria.<ref name="treccani.italia2"/>
Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la [[Francia]], a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della [[Tunisia]]. L'Italia entrò quindi nella [[Triplice Alleanza (1882)|Triplice Alleanza]], alleandosi con la [[Germania]] e l'[[Impero austro-ungarico]]. Favorì lo sviluppo del [[Impero coloniale italiano|colonialismo italiano]], innanzitutto con l'occupazione di [[Massaua]] in [[Eritrea]].
 
Con la prima convocazione del [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 18 febbraio [[1861]] e la successiva proclamazione del [[Regno d'Italia]] il 17 marzo [[1861]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele di Savoia]] divenne il primo [[Re d'Italia (1861-1946)|re d'Italia]]. Diversi passaggi istituzionali destarono però sconcerto: il nuovo regno non si dotò di una propria costituzione, ma ereditò quella del Regno di Sardegna, cioè lo [[Statuto albertino]]; la nuova legislatura apertasi il 18 febbraio non fu la I, ma l'VIII, seguendo la numerazione del Regno di Sardegna; il nuovo re mantenne la numerazione dinastica dei Savoia del tempo del Regno di Sardegna, quindi Vittorio Emanuele continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II. Il tenore di questi atti è da imputare alla volontà dei liberali piemontesi di cancellare il contributo dei radicali all'avvenuta unificazione. Ciò avvenne anche attraverso lo scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], la forza armata costituita da Garibaldi tra Sicilia e Calabria a partire dai Mille originari. Tale forza armata, fu deciso, non sarebbe stata integrata nel nuovo esercito nazionale, per evitare che vi accedessero elementi democratici e repubblicani. Non solo: diversi garibaldini, negli anni successivi, rimarranno osservati speciali dalla polizia.<ref name="treccani.italia2"/><ref name=treccani.unificazione>{{treccani|l-unificazione-italiana_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/|L'unificazione italiana|autore=[[Alberto Mario Banti]]|anno=2014|accesso=23 febbraio 2023}}</ref>
===L'epoca giolittiana===
{{vedi anche|Età giolittiana}}
[[Immagine:Giolitti1.jpg|thumb|right|200 px|[[Giovanni Giolitti]]]]Dal [[1901]] al [[1914]] la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da [[Giovanni Giolitti]].
 
=== Le condizioni dell'Italia all'unità ===
Come neo-[[presidente del Consiglio]] si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica [[Francesco Crispi|Crispina]] aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il [[XIX secolo|XIX]] ed il [[XX secolo]]. Non più [[repressione]] autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.
{{Doppia immagine|right|Italia 1861 03 17.JPG|240|Italia 1870 09 20 Unificazione.JPG|240|Regno d'Italia il 17 marzo 1861, data di proclamazione del regno|Il Regno d'Italia dopo la [[Presa di Roma]], avvenuta il 20 settembre 1870, fino alla [[Prima guerra mondiale]]}}
Nel complesso, il passaggio dal periodo preunitario a quello unitario fu nel segno della continuità. Fatta eccezione per la spinta modernizzatrice di parte della classe dirigente, le divisioni regionali preunitarie, un tempo individuate da confini tra Stato e Stato, continuarono all'interno del nuovo regno. Oltre alla tipica opposizione socio-culturale tra città e campagna, il nuovo regno patì divisioni tra differenti culture territorialmente radicate e in diretta opposizione alle istanze unitarie; tali divisioni furono sempre a rischio di irrigidirsi in divisioni politico-ideologiche. L'Italia visse insomma un cambiamento politico radicale che si innestò su un generale immobilismo delle realtà statuali preunitarie.<ref>{{cita|Cento Bull|p. 37}}.</ref> La classe dirigente liberale dei primi anni del regno, ideologicamente assai omogenea, si trovò ad inseguire la costruzione di un'identità nazionale in una realtà territoriale fortemente disomogenea. Tale costruzione era peraltro ostacolata dal fatto di essere perpetrata da una ristretta minoranza, protagonista del processo politico e dell'elezione dei rappresentanti: le classi medie e gli artigiani dei centri urbani parteciparono solo in parte a tale processo, mentre il contributo delle masse rurali, per quanto sporadico, non era nemmeno gradito dalla classe dirigente.<ref name=cento38>{{cita|Cento Bull|p. 38}}.</ref>
 
Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], continuando nella tradizione della [[monarchia costituzionale]]. {{sf|La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò.}} Il neonato Stato si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica e di un mercato unico e, più in generale, di gestione di tutte le terre acquisite. A tutto ciò si aggiungevano altre carenze strutturali, come ad esempio l'analfabetismo, la povertà diffusa, la mancanza di infrastrutture e le gravi tensioni politiche e sociali.
Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il [[suffragio universale]] maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del [[debito statale]], lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria.
[[File:The Italian Royal Family in 1867.jpg|thumb|upright=1.5|La famiglia reale italiana nel 1867]]
Il primo censimento della popolazione venne fatto tra il 31 dicembre 1861 e il 1º gennaio 1862, e costò {{formatnum:640000}} lire ({{formatnum:29.38}} lire ogni {{formatnum:1000}} abitanti). I residenti assommavano a {{formatnum:22182377}} (circa 26 milioni, se si considerano i confini attuali), mentre i presenti erano in numero inferiore ({{formatnum:405000}} di meno) per via degli emigrati temporaneamente all'estero. I maschi rappresentavano il 51%. L'età media era di 27 anni. I bambini con meno di 10 anni rappresentavano il 24% della popolazione. Ogni nucleo familiare era in media composto da 4 elementi. Il territorio considerato misurava {{formatnum:258608}} km² (nel 1951 la misura fu ricalcolata, tenendo conto delle superfici comunali corrette, con uno scarto al ribasso di circa {{formatnum:10000}} km², cioè del 4%); risultò dunque una densità di 86 abitanti per km².<ref>{{cita web|url=https://www.istat.it/it/censimenti/censimenti-precedenti|titolo=I CENSIMENTI PRECEDENTI: LA STORIA DAL 1861 FINO AI CENSIMENTI PERMANENTI|24 febbraio 2023}}</ref><ref name=treccani.demo>{{treccani|statistica-e-demografia_%28L%27Unificazione%29/|L'unificazione. Statistica e demografia|24 febbraio 2023|autore=[[Antonio Golini]]}}</ref>
 
Al momento dell'unificazione, circa il 70% della popolazione attiva era impegnata nell'agricoltura e dall'agricoltura derivava circa il 60% del [[prodotto nazionale lordo]]. L'industria, che incideva per circa il 20% del prodotto, impiegava circa il 20% della manodopera. Il Paese contava con solo {{M|1707|u=km}} di ferrovie (850 nell'ex Regno di Sardegna, 483 nell'ex [[Regno Lombardo-Veneto]] e 225 nell'ex [[Granducato di Toscana]]).<ref name=guarracino819>{{cita|Guarracino et al.|p. 819}}.</ref> Il reddito nazionale era pari a 1/3 di quello francese e a 1/4 di quello britannico. Circa l'80% della popolazione era analfabeta e circa il 2,5% parlava l'italiano. La gran parte della produzione era destinata all'autoconsumo. Del resto, i contadini, in genere, ricorrevano al lavoro domestico e non al mercato per ottenere i manufatti tessili o gli attrezzi agricoli di cui avevano bisogno. Il rapporto tra città e campagna era dunque assai ridotto.<ref name=guarracino819/>
In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla [[Triplice intesa]] di [[Francia]], [[Regno Unito]] e [[Russia]]. Fu continuata la politica coloniale nel [[Corno d'Africa]], e dopo la [[guerra italo-turca]], furono occupate [[Libia]] e [[Dodecaneso]].
[[File:Dritto 1 centesimo Italia 1861.jpg|thumb|Il dritto di un centesimo di lira del 1861]]
Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il [[nazionalismo]] come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella [[prima guerra mondiale]] e quindi l'ascesa del fascismo.
La nascita di un mercato nazionale dipendeva quindi dall'iniziativa del governo. C'era il problema dell'unificazione giuridico-amministrativa e quello dell'abolizione delle barriere doganali di cui si erano dotati gli Stati preunitari. La circolazione delle merci e delle informazioni doveva essere garantita dallo sviluppo di un sistema infrastrutturale (ferrovie, poste, telegrafi) che in gran parte mancava. Occorreva poi combattere l'analfabetismo, creando un sistema scolastico nazionale, con caratteristiche adeguate alle forme moderne di economia. Le spese della guerra del 1859 (263 milioni di lire), cui andavano aggiunti 180 milioni di indennità all'Austria, concorrevano a comporre un deficit di oltre 500 milioni. Il debito pubblico degli Stati preunitari, di cui il nuovo regno aveva dovuto farsi carico, ammontava a 2200 milioni.<ref name=guarracino820/>
 
Il regno era caratterizzato da rilevanti differenze economiche, sociali e culturali, al livello regionale e subregionale. Nelle aree collinari settentrionali e centrali, si faceva esperienza delle prime forme di penetrazione [[Capitalismo|capitalistica]] nelle campagne: si andava formando, cioè, un ceto di imprenditori agricoli, in grado di investire nel fondo da loro condotto, migliorandone la gestione e la dotazione, in particolare nell'[[allevamento]] e nella [[risicoltura]].<ref name=guarracino819/> La più diffusa forma legale di conduzione dei terreni era la [[mezzadria]]. La famiglia colonica (cioè la famiglia del mezzadro) era generalmente [[famiglia estesa|di tipo esteso]] e il maschio era il capofamiglia. A complemento del lavoro agricolo, la famiglia colonica si sostentava con emigrazioni stagionali all'estero e l'impiego nel settore tessile per donne e bambini. Come scrive Anna Cento Bull, "Il principale tratto culturale della classe contadina [nel contesto della mezzadria era] la stabilità sociale centrata sulla famiglia".<ref name=cento38/> L'atteggiamento dei proprietari fondiari verso i mezzadri era sostanzialmente [[paternalista]] e si appoggiava all'operato del [[clero]] per garantire pace sociale e regolarità della produzione (tessile e agraria).<ref>{{cita|Cento Bull|pp. 38-39}}.</ref> La crisi della piccola proprietà a conduzione familiare, incapace di tali investimenti, aveva inoltre reso disponibile un buon numero di [[braccianti]] da impiegare a salario.<ref name=guarracino819/>
== L'avventura coloniale ==
{{vedi anche|Impero coloniale italiano}}
=== Il Corno d'Africa ===
{{Vedi anche| Colonialismo italiano| Campagna d'Africa orientale }}
L'inizio del [[Regno (regime politico)|regno]] vide l'[[Italia]] impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre [[1869]] con il padre [[san Lazzaro mendicante|lazzarista]] [[Giuseppe Sapeto]] che avviò le trattative per l'acquisto della [[Baia di Assab]]. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L'iniziativa fu appoggiata dai governi di [[Sinistra storica|sinistra]] di [[Agostino Depretis]] e da una compagnia private guidata da [[Raffaele Rubattino]]. Il [[10 marzo]] [[1882]] il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il [[5 luglio]] dello stesso anno diventò ufficialmente italiano.
 
[[File:Giovanni Fattori 053.jpg|thumb|upright=2.0|''Carro e contadini nella campagna romana'', dipinto di [[Giovanni Fattori]], olio su tela, 1879]]
Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo stato italiano cercò di occupare il porto di [[Zeila]], a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo. Quando gli egiziani si ritirarono dal [[Corno d'Africa]] nel [[1884]], i diplomatici italiani fecero un accordo con la [[Gran Bretagna]] per l'occupazione del porto di [[Massaua]] che assieme ad Assab formò i cosiddetti ''possedimenti italiani nel mar Rosso''. Dal [[1890]] assunsero la denominazione ufficiale di [[Eritrea (governo)|Colonia Eritrea]].
La mezzadria era diffusa anche intorno al [[Po]], ma in quest'area, dove si andava sviluppando un modello di agricoltura intensiva e modernizzante, di marca capitalista, era in corso un processo di proletarizzazione, in cui i [[fittavoli]] assumevano braccianti nullatenenti. I mezzadri di quest'area si fecero promotori di strategie economiche collettive, che andavano al di là di quelle interne al nucleo familiare, creando le basi delle future organizzazioni di lavoratori e caratterizzandosi come fattori di instabilità sociale. Per i braccianti e per i mezzadri impoveriti, la pace sociale offriva pochi vantaggi: fino agli anni ottanta dell'Ottocento, l'[[anarchismo]] rappresentò la loro espressione politica più tipica, con ribellioni spontaneistiche contro la proprietà e lo Stato.<ref name=cento39>{{cita|Cento Bull|p. 39}}.</ref>
 
Al centro e in particolare nei territori dell'ex [[Stato della Chiesa]], la situazione era più arretrata. A dispetto delle riforme di [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo II]], vanificate dall'opposizione della nobiltà terriera, anche in Toscana prevaleva la mezzadria e la piccola azienda familiare.<ref name=guarracino820>{{cita|Guarracino et al.|p. 820}}.</ref>
L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di [[Francesco Crispi]]. La città di [[Massaua]] diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, [[Dancali|dancale]], somale e [[oromo]], autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del [[mar Rosso]]), alcuni [[Sultano|sultanati]] (i più importanti furono gli [[Harar]], gli [[Obbia]], e i [[Zanzibar]]), [[emirato|emiri]] o capi tribali. Diverso il caso dell'[[Etiopia]], allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè [[Imperatore]]) [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]], ma con la presenza di un stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da [[Menelik II d'Etiopia|Menelik II]].
 
Al sud, l'arretratezza del mondo agricolo, caratterizzato dal [[latifondo]], con fondi assai estesi e proprietari assenti, era drammatica.<ref name=guarracino820/> In genere, i contadini meridionali non erano nullatenenti e possedevano piccoli appezzamenti, insufficienti al sostentamento. Per questa ragione, essi erano impiegati nei latifondi, ma senza regolarità. L'impiego nei latifondi comportava lunghi spostamenti quotidiani, l'utilizzo di attrezzi antiquati e l'isolamento. I tratti culturali del contadino meridionale erano caratterizzati dal senso di instabilità, da una socialità che non andava oltre la dimensione di villaggio, un contesto sociale estremamente ristretto, in cui uomini e animali vivevano a stretto contatto e l'igiene era scarsa.<ref name=cento39/> Il tasso di produttività della terra era bassissimo, a motivo dell'utilizzo di tecniche arcaiche. Il popolo, stremato da povertà e oppressione, lottava, già prima della discesa di Garibaldi, per la redistribuzione delle [[terre demaniali]], che erano spesso oggetto degli appetiti della bassa nobiltà o dei nuovi ricchi borghesi.<ref name=guarracino820/> Il desiderio continuamente insoddisfatto di una riforma agraria e di una redistribuzione delle terre spingeva i contadini meridionali ad un radicalismo spesso violento e distruttivo, quasi pre-moderno, privo di una reale strategia politica. Il [[brigantaggio postunitario italiano]] sarà una degli esempi più significativi di queste espressioni violente.<ref>{{cita|Cento Bull|pp. 39-40}}.</ref>
Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli [[anni 1860|anni sessanta]], l'[[Italia]] cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, prima politicamente e poi militarmente, all'interno dell'Etiopia. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di [[Harar]], l'acquisto di [[Zeila]] dai britannici e l'affitto del porto di [[Chisimaio]], posto alla foce del [[Giuba (fiume)|Giuba]], in [[Somalia]]. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente.
[[Immagine:Umberto I di Savoia.jpg|thumb|left|200 px|[[Umberto I di Savoia|Umberto I]], Re d'Italia dal 1878 al 1900]]
Nel [[1889]] l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di [[Aden]] con i i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su [[Migiurtina]]. Nel [[1892]] il [[Sultano]] di [[Zanzibar]] concesse in affitto i porti del [[Benadir]] (fra cui [[Mogadiscio]] e [[Brava (Somalia)|Brava]]) alla società commerciale "Filonardi". Il [[Benadir]], sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'[[Omo]], e per ottenere il protettorato sulla città di [[Lugh]].
 
Nel complesso, non è possibile parlare di un'unica classe contadina e di un'unica classe fondiaria per l'Italia del 1860, tante e tali erano le differenze al livello regionale e subregionale. La classe dirigente dovette affrontare il divario tra il "paese reale", cioè la gran massa di popolo escluso dall'esercizio attivo dei diritti di cittadinanza, e il "paese legale", cioè il sistema di Stato che una sparuta minoranza aveva concepito da sé e per sé. In ogni caso, le differenze socio-culturali tra le masse non ebbero espressione politica nei primi decenni del regno, fase in cui la divisione più lacerante era quella tra Stato e Chiesa.<ref name=cento40>{{cita|Cento Bull|p. 40}}.</ref> La Chiesa, che aveva un forte ascendente in tutti i gruppi sociali, avrebbe potuto decidere di organizzare una forza politica alternativa ai liberali, ma optò invece, con la disposizione ''[[Non expedit]]'', per l'isolazionismo politico dei cattolici. Peraltro, il conflitto tra Stato e Chiesa nell'Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento privò il processo costitutivo della nazione di un importante fattore unificante (al contrario di quanto accaduto con la [[Chiesa protestante]] nel nord Europa).<ref name=cento40/>
A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i [[dervisci]] sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di [[Asmara]], sulla base di precedenti accordi fatti con [[Menelik II d'Etiopia|Menelik]] il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere [[Negus]] Neghesti, cioè “Re di Re” (“Imperatore”). Con il trattato che seguì, [[Menelik II d'Etiopia|Menelik]] accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un [[protettorato]] e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.
 
== La Destra storica (1861-1876) ==
La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la [[campagna d'Africa Orientale]] (1895-1896) e terminò con la [[battaglia di Adua|sconfitta di Adua]] ([[1º marzo]] [[1896]]). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al [[colonialismo]] europeo del [[XIX secolo]]. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica coloniale nel Corno d'africa continuò con il protettorato sulla [[Somalia]], dichiarata colonia nel [[1905]].
{{Vedi anche|Destra storica}}Nei primi decenni del nuovo regno, i liberali al governo godettero di una preminenza politica incontrastata, basata su un suffragio estremamente ridotto (solo il 2% della popolazione, circa {{formatnum:600000}} persone, aveva diritto al voto). Si formarono comunque due ali del raggruppamento liberale, la [[Destra storica]] e la [[Sinistra storica]], eredi del confronto politico preunitario tra chi era di orientamento recisamente monarchico e chi era più sensibile alle istanze democratico-repubblicane. Dato il limitato suffragio, i membri delle due ali vantavano le stesse origini in termini di classe e vanno intesi come partiti "di notabilato", cioè partiti privi di un'[[ideologia]], di un programma preciso, di un'organizzazione e di un rapporto con un base.<ref name="cento40.41">{{cita|Cento Bull|pp. 40-41}}.</ref><ref name="treccani.sinistra2">{{treccani|sinistra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|sinistra storica italiana}}</ref> Esse, semmai, esprimevano una divisione territoriale, con la Destra a rappresentare le classi proprietarie del Nord e del Centro e la Sinistra (o "Nuova Sinistra", per distinguerla dai democratici mazziniani) a rappresentare i proprietari fondiari del Sud e i professionisti.<ref name="cento40.41" />
 
Le questioni che tennero banco nei primi anni dopo l'unificazione d'Italia furono la disastrosa situazione economica del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] e il brigantaggio che infestava l'area (soprattutto tra il [[1861]] e il [[1869]]): il problema divenne noto come la "[[questione meridionale]]". Ulteriore elemento di fragilità per il neonato regno italiano fu l'ostilità della [[Chiesa cattolica]] e del clero nei suoi confronti, soprattutto dopo la nascita della "[[questione romana]]". Gli orientamenti federalisti e le proposte relative alle autonomie regionali, con fautori come il democratico [[Carlo Cattaneo]] e il moderato [[Marco Minghetti]], furono messi da parte e si procedé alla cosiddetta "[[piemontesizzazione]]", cioè, secondo i suoi avversari, all'estensione di carattere accentratore dell'assolutismo piemontese a tutto il nuovo regno.<ref name="villani136">{{cita|Villani|p. 136}}.</ref> Altro punto dolente per il nuovo regno era l'incompletezza del processo unitario: il Veneto e soprattutto Roma, con tutto il Lazio, non ne facevano ancora parte. Per i democratici, la conquista di Roma rimaneva imperativa e lo stesso Cavour comprendeva l'obbligatorietà di un simile passo. Prima di morire, il 6 giugno 1861, Cavour enunciò il principio "[[Libera Chiesa in libero Stato]]".<ref name="villani136" /> Eredi politici di Cavour furono i liberali della cosiddetta "Destra storica", cioè la destra dello schieramento parlamentare. Sindaci e prefetti rappresentarono la mano operativa della volontà unificatrice di quella classe politica.<ref name="treccani.italia2"/>[[File:Riccio G. - ritratto di Marco Minghetti.jpg|thumb|upright=0.8|Ritratto di [[Marco Minghetti]]|sinistra]]
=== Dalla Sirte al Ciad ===
[[File:Sinking of the italian ironclad Re d'Italia.jpg|thumb|L'affondamento della fregata ''[[Re d'Italia (pirofregata)|Re d'Italia]]'' alla [[battaglia di Lissa]], episodio delle [[Terza guerra d'indipendenza italiana]] (1866)]]
Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal [[mare Mediterraneo]] al [[golfo di Guinea]]. Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il [[Trattato di Versailles (1919)]], dopo la [[prima guerra mondiale]], che causò frizioni diplomatiche con la [[Francia]]. Per realizzare questa intenzione, avendo già formale possesso della [[Libia]], il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del [[Camerun]] e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla [[Francia]] e l'Italia ottenne solamente l'[[Oltregiuba]], oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il [[Ciad]], possedimento francese.
[[File:Michelina de Cesare.jpg|thumb|upright=0.8|La brigantessa [[Michelina Di Cesare]] (1841-1868)]]
[[File:BrecciaPortaPia.jpg|thumb|La [[breccia di Porta Pia]], sulla destra della [[Porta Pia]], in una foto di [[Lodovico Tuminello]]]]
La cosiddetta "Destra storica" espresse gran parte dei governi del periodo 1861-1875. Tale ala del parlamento italiano ebbe origine dal raggruppamento del [[Parlamento del Regno di Sardegna]] del 1852, ai tempi del [[Connubio Rattazzi-Cavour]]. Alle file delle origini si erano poi aggiunte varie personalità liberali e democratiche: tra i piemontesi, l'economista [[Quintino Sella]], il militare [[Giovanni Lanza]], il conte [[Gustavo Ponza di San Martino]]; tra i lombardi, il conte [[Gabrio Casati]], il diplomatico [[Emilio Visconti Venosta]], l'economista [[Stefano Jacini]]; tra gli emiliani, il diplomatico [[Marco Minghetti]] e lo storico [[Luigi Carlo Farini]]; tra i toscani, il barone [[Bettino Ricasoli]], [[Ubaldino Peruzzi]], [[Luigi Guglielmo Cambray-Digny]]; tra i meridionali, il filologo napoletano [[Ruggiero Bonghi]], l'abruzzese [[Silvio Spaventa]], l'economista campano [[Antonio Scialoja]], il giurista pugliese [[Giuseppe Pisanelli]].<ref name=treccani.destra>{{treccani|destra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|destra storica italiana}}</ref>
 
La formazione culturale del gruppo era assai eterogenea, mentre omogenea era la provenienza sociale (alta borghesia terriera, alta finanza, industriali, aristocrazia imprenditrice imborghesita, liberi professionisti e intellettuali), come omogenea era l'idea di Stato e di società da costruire. Radicalmente [[liberisti]] in economia, tanto all'interno quanto verso l'estero, i rappresentanti della Destra storica intendevano difendere l'unità conquistata e ammodernare il Paese, inserendolo nell'area di libero scambio franco-inglese quale fornitore di prodotti agricoli e di semilavorati. Il centralismo amministrativo adottato fu di ispirazione francese.<ref name=treccani.destra/> A tale centralismo gli esponenti liberali si orientarono con riluttanza, innanzitutto per contrastare il brigantaggio meridionale, che rischiava di trasformarsi in una rivolta politicamente finalizzata alla restaurazione dei Borbone.<ref name="cento412">{{cita|Cento Bull|p. 41}}.</ref>
Una delle richieste italiane durante il [[Trattato di Versailles (1919)|Trattato di Versailles]] dopo la [[prima guerra mondiale]] fu quella di annettere la [[Somalia Francese]] e il [[Somaliland]] in cambio della rinuncia alla partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'[[Intesa]]. Il tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello “stato liberale”, prima del [[fascismo]], relativa alla penetrazione nel [[Corno d'Africa]].
 
I primi obbiettivi dei liberali della Destra storica furono il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo Stato (per il quale si scelse un modello centralista con l'estensione della normativa del Regno di Sardegna al nuovo Stato, fenomeno noto come ''[[piemontesizzazione]]'') e il risanamento finanziario, attuato mediante il [[pareggio di bilancio]] e l'introduzione di nuove tasse, che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.
=== Colonie italiane ===
==== Eritrea (1884 - 1941) ====
{{Vedi anche|Eritrea italiana}}
[[Immagine:Menelik II.jpg|200px|right|thumb|Menelik II, [[imperatore]] d'[[Abissinia]] (oggi [[Etiopia]]) dal [[1889]] al [[1913]]]]L'area del [[mar Rosso]] fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della [[Sinistra storica|Sinistra]] italiana.
 
Il primo governo dopo la morte di Cavour fu il [[Governo Ricasoli I]], che cercò invano di far accettare alla Chiesa la linea cavouriana di libera Chiesa in libero Stato.<ref name="treccani.italia2"/>
Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società [[Rubattino]] nel [[1870]] presso la baia di [[Assab]]. Abbandonata per quasi dieci anni, fu poi acquistata dallo stato italiano agli inizi degli [[Anni 1880|anni ottanta]] e assieme al porto di [[Massaua]], occupato nel [[1884]], compose i possedimenti italiani del mar Rosso.
 
Il 29 agosto 1862, si consumò la cosiddetta "[[Giornata dell'Aspromonte]]": l'esercito regio si scontrò con i volontari garibaldini per impedire a Garibaldi di marciare verso Roma, da cui l'Eroe dei due mondi intendeva scacciare Pio IX.<ref name=treccani.destra/> L'evento determinò la crisi del [[Governo Rattazzi I]], che pensava di approfittare delle iniziative di Garibaldi senza compromettere l'esecutivo.<ref name="treccani.italia2"/>
Con il [[Trattato di Uccialli]] i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume [[Mareb]]. Di conseguenza il [[1º gennaio]] [[1890]] fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un Governatore e avente capoluogo la città di [[Asmara]] (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).
 
Il [[Governo Minghetti I]] concertò con la [[Secondo Impero francese|Francia]] la cosiddetta "[[Convenzione di settembre]]": il Regno d'Italia si impegnava ad assicurare l'integrità dello [[Stato Pontificio]]; la Francia si impegnava, dal canto suo, a ritirare le truppe poste a difesa del Pontefice entro due anni. Napoleone III chiese che la capitale venisse spostata da Torino ad altra sede, come segno della rinuncia italiana a Roma. Fu così che si ebbe per 6 anni [[Firenze capitale]] (1865-1871).<ref name="treccani.italia2"/>
La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del [[1896]], quando il Governatore della colonia, [[Oreste Baratieri]] dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel [[1894]] aveva fatto occupare la città sudanese di [[Kassala|Cassala]], allora possedimento [[derviscio]], mentre nel [[1895]] durante la [[campagna d'Africa Orientale]], occupò ampie zone del Tigray, comprendenti la città di [[Axum]]. A seguito della sconfitta nella battaglia di [[Adua]], i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla guerra d'Etiopia.
 
La questione del [[Brigantaggio postunitario italiano|brigantaggio meridionale]] fu strumentalizzata da legittimisti borbonici e clericali. Il nuovo regno affrontò la questione con una durissima repressione. Nel 1863 erano impegnati su tale fronte {{formatnum:120000}} soldati, metà dell'intero [[Regio Esercito]]. Il conflitto poté dirsi concluso nel 1865, ma le rivolte contadine nel sud non si placarono del tutto e l'avversione verso lo Stato centrale fu aggravata dalla coscrizione obbligatoria e dalla pesante fiscalità. L'incameramento dei beni ecclesiastici ([[Eversione dell'asse ecclesiastico]]) e la loro liquidazione non favorì la costituzione di uno strato di piccoli e medi agricoltori e beneficiò piuttosto i latifondisti.<ref name="treccani.italia2"/>
Primo governatore non militare fu [[Ferdinando Martini]] a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.
 
Nello stesso periodo si ebbe la [[Codificazione del 1865]] (detto anche "Risorgimento giuridico"), con il completamento dell'unificazione giuridico-amministrativa del Regno.<ref name="treccani.italia2"/>
==== La Somalia (1890 - 1941) ====
{{Vedi anche|Somalia Italiana}}
{{S sezione|storia|Italia}}
La prima penetrazione italiana in [[Somalia]] fu stabilita nel sud del paese africano tra il [[1889]] e il [[1890]] come [[protettorato]]. Fu dichiarata colonia nel [[1905]]. Nel [[giugno]] [[1925]] la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'[[Oltregiuba]] e le [[isole Giuba]], fino ad allora parte del [[Kenya]] inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli [[Alleati]] durante la [[prima guerra mondiale]].
 
L'8 aprile 1866, il [[Governo La Marmora III]] siglò un trattato con la [[Prussia]] di [[Otto von Bismarck]]. Secondo il trattato, il Regno d'Italia avrebbe dovuto dichiarare guerra all'Impero austriaco se questo si fosse trovato in stato di guerra con la Prussia entro l'8 luglio.<ref>{{treccani|bismarck-schonhausen-otto-principe-di_%28Enciclopedia-Italiana%29/|BISMARCK-SCHÖNHAUSEN, Otto, principe di|autore=Giuseppe Gallavresi|anno=1930}}</ref> L'[[alleanza italo-prussiana]] condusse alla partecipazione del Regno d'Italia alla [[Guerra austro-prussiana]], il cui fronte meridionale è ricordato come la [[Terza guerra d'indipendenza italiana]]. La guerra andò bene ai prussiani, ma non agli italiani, che incapparono in due rilevanti sconfitte ([[Battaglia di Custoza (1866)|a Custoza]] e [[Battaglia di Lissa|a Lissa]]). Analogamente a quanto accaduto nel 1859, l'Austria, sconfitta, cedé il Veneto alla Francia, che lo girò all'Italia ([[trattato di Vienna (1866)|trattato di Vienna]]).<ref name="treccani.italia2"/>
==== Tientsin, Cina (1901 - 1943) ====
{{Vedi anche|Concessione italiana di Tientsin}}
Nel [[1901]], come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una [[Concessione cinese|concessione]] commerciale nell'area della città di [[Tianjin|Tientsin]] (l'odierna [[Tianjin]]) in [[Cina]]. La concessione italiana, di 46 [[ettari]], fu una delle minori concessioni concesse dal [[Impero Cinese|Celeste impero]] alle potenze europee. Dopo la fine della [[prima guerra mondiale]] la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la [[Repubblica Sociale Italiana]] e il governo filo-giapponese della [[Repubblica di Nanchino]] (che inglobò la concessione) nel [[1943]]. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in [[Corea]]. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a [[Shanghai]], [[Hankow]] e [[Pechino]], furono formalmente soppressi con il [[trattato di pace del 1947]].
 
Il costo della guerra del 1866 andò a sommarsi alle spese sostenute in un ventennio di ammodernamento e armonizzazione delle strutture del nuovo regno: per mettervi riparo si ricorse all'indebitamento pubblico, compensato dalla pressione fiscale, la liquidazione dei beni ecclesiastici, l'introduzione del [[corso forzoso]].<ref name=treccani.destra/> Nel 1868 fu introdotta la [[tassa sul macinato]], forse il dispositivo più noto di una forte pressioni fiscale e di una politica economica tutta tesa all'ottenimento del [[pareggio di bilancio]], raggiunto infine nel 1876.<ref name="treccani.italia2"/>
==== Libia (1911 - 1943) ====
{{Vedi anche|Libia italiana}}
Dopo una breve [[guerra italo-turca|guerra]] contro l'[[Impero ottomano]] nel [[1911]], l'Italia acquisì il controllo della [[Tripolitania]] e della [[Cirenaica]], ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del [[Trattato di Losanna (1912)|Trattato di Losanna]]. Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla [[Francia]], che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il [[fascismo]], alla Libia venne attribuito l'appellativo di ''quarta sponda'', quando in realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia (durante la quale si fece ricorso ai gas asfissianti e alle deportazioni di massa).
 
Con il tracollo di [[Napoleone III]] alla [[battaglia di Sedan]], gli italiani ebbero mano libera per chiudere la "[[questione romana]]". La "[[breccia di Porta Pia]]" (20 settembre 1870) pose fine al [[potere temporale dei papi]].<ref name="treccani.italia2"/> Nel 1871, il regno italiano regolò unilateralmente la questione romana con la cosiddetta "[[Legge delle guarentigie]]".<ref name=treccani.destra/>
==== Il Dodecaneso (1912 - 1943) ====
{{Vedi anche|Dodecaneso}}
Tra l'aprile e l'agosto del [[1912]], durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'[[Impero Ottomano]], l'Italia decise di occupare dodici isole del [[mar Egeo]] sottoposte al dominio turco: il cosiddetto [[Dodecaneso]]. A seguito del [[Trattato di Losanna (1912)|Trattato di Losanna]], l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al [[21 agosto]] [[1915]], giorno in cui l'Italia, entrata nella [[prima guerra mondiale]] assieme le forze dell'[[Intesa]], riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.
 
La caduta della Destra storica, comunque ormai impopolare tra le masse,<ref name=treccani.destra/> fu dovuta ad una frattura tra i parlamentari piemontesi e quelli toscani (capeggiati da [[Ubaldino Peruzzi]]<ref name="treccani.sinistra2"/>), che si consumò a partire dal 1874.<ref name="cento412"/> Nel [[1876]] il governo, presieduto da Marco Minghetti, venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento. Ebbe così inizio l'epoca della [[Sinistra storica]], guidata da [[Agostino Depretis]]. Nel [[1878]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele II]] morì e sul trono gli succedette [[Umberto I d'Italia|Umberto I]].
Durante la guerra e l'[[occupazione italiana di Adalia]] l'isola di [[Rodi]] fu sede di un'importante base navale per le forze [[Royal Navy|marine britanniche]] e [[Marine Nationale|francesi]].
 
== La Sinistra storica (1876-1887) ==
Dopo la vittoria nella [[prima guerra mondiale]], il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del [[Trattato di Sèvres]] del [[1919]], si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia ([[Occupazione italiana di Adalia]]), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di [[Antalia|Adalia]]. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel [[1922]], rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il [[Trattato di Losanna (1923)|Trattato di Losanna]] del [[1923]], l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.
=== I governi Depretis ===
{{Vedi anche|Sinistra storica|Agostino Depretis}}
[[File:Agostino Depretis 4.jpg|miniatura|verticale|[[Agostino Depretis]] nel 1865]]
La cosiddetta "Sinistra storica" sorse dall'unione tra membri della sinistra del [[Parlamento subalpino]] e membri del [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]], cui si aggiunse la cosiddetta "Sinistra giovane", formata soprattutto da meridionali dopo l'Unità. I più importanti esponenti della Sinistra storica furono [[Agostino Depretis]], [[Benedetto Cairoli]], [[Francesco Crispi]], [[Giovanni Nicotera]] e [[Giuseppe Zanardelli]].<ref name="treccani.sinistra2"/>
 
Di fronte al malcontento del Paese verso la politica fiscale dei governi della Destra storica, il re affidò il compito di formare un nuovo governo all'ex mazziniano Depretis. Il [[Governo Depretis I|nuovo governo]] aveva in programma la difesa della laicità dello Stato, l'istruzione elementare obbligatoria, il decentramento amministrativo, un alleggerimento fiscale per il Mezzogiorno. Si parlerà di "rivoluzione parlamentare", ma il passaggio di consegna fu nel segno della continuità. Per circa 11 anni, tra il 1876 e il 1887, Depretis fu quasi ininterrottamente alla guida del Paese, moderando sensibilmente il programma riformista della Sinistra. In tal modo, riuscì a far convergere verso la propria maggioranza elementi di destra e ad isolare l'opposizione di sinistra, composta da repubblicani, radicali e dai primi socialisti.<ref name="treccani.italia2"/>
====Saseno (1914-1920)====
L'isola di [[Saseno]] fu occupata il [[30 ottobre]] [[1914]] dal [[Regno d'Italia]], fino a quando, dopo la [[prima guerra mondiale]], il [[18 settembre]] [[1920]], grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di [[Tirana]] del [[2 agosto]] [[1920]], in cambio delle pretese italiane su [[Valona]]) e ad un accordo con la [[Grecia]], entrò a far parte dell'[[Italia]] che la voleva per la sua posizione strategica.
 
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del [[pareggio di bilancio]] e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica, allargando il suffragio e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale con l'intervento diretto dello Stato nell'economia. Si trattava di misure costose: dal pareggio di bilancio si passò quindi ad un disavanzo permanente, con il debito che assorbiva quasi la metà delle entrate.<ref>{{cita|Marinelli e Politi|pp. 15-16}}.</ref>
Fece prima parte della [[provincia di Zara]] (dal 1920 al [[1941]]), poi nel 1941 entrò a far parte della [[provincia italiana di Cattaro|provincia di Cattaro]] ([[Dalmazia]]). Occupata dai tedeschi nel settembre del [[1943]] e dai partigiani albanesi nel maggio del [[1944]], l'isola venne restituita all'Albania per effetto del [[Trattato di Parigi (1947)|Trattato di Parigi]] del [[10 febbraio]] ([[1947]]).
 
Depretis coniò la pratica del cosiddetto "[[Trasformismo (politica)|trasformismo]]", un metodo di composizione della maggioranza parlamentare che si fondava su accordi con singoli parlamentari o gruppi parlamentari, teso a superare la tradizionale opposizione tra Destra e Sinistra, e a superare le divisioni socio-culturali all'interno del Paese.<ref name="cento412"/><ref>{{treccani|trasformismo|trasformismo}}</ref> L'espressione fu coniata dalla pubblicistica e deriva dall'invito a "trasformarsi" e a divenire progressisti, fatto da Depretis nel 1882 ai parlamentari di Destra.<ref name="treccani.italia2" /> La politica trasformista fu una diretta conseguenza del carattere frammentario della classe dirigente e della classe media in Italia, che richiedeva un'arte politica tesa al compromesso. In questo periodo mutò la composizione sociale del Parlamento: i proprietari terrieri e le ''élite'' militari vennero via via sostituite da politici di professione (in particolare giornalisti e avvocati).<ref>{{cita|Cento Bull|p. 42}}.</ref>
Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della [[Guardia Costiera]] aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'[[Italia]] e l'[[Albania]] e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.
 
I governi Depretis furono caratterizzati da un forte riformismo, teso ad allargare il consenso nel Paese e a mettere il Regno d'Italia alla pari con gli altri paesi europei. È in questo contesto che vennero approvate la cosiddetta [[legge Coppino]], che nel 1877 impose l'[[obbligo scolastico]] di almeno due anni a tutti i bambini, e una riforma elettorale ("[[Legge elettorale italiana del 1882|legge Zanardelli]]"), che nel 1882 portò gli aventi diritto al voto a 2 milioni di persone (il 6% della popolazione<ref name="treccani.sinistra2" />). Nel 1884, il ministro delle finanze [[Agostino Magliani]] abolì la [[tassa sul macinato]], che fu comunque sostituita da altre imposte, tra cui una sullo [[zucchero]].<ref>{{cita|Marinelli e Politi|p. 16}}.</ref> Depretis avviò anche una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l'[[inchiesta Jacini]]. Tali iniziative rivelarono una grande miseria e pessime condizioni [[Igiene|igieniche]]; l'infanzia era spesso vittima della difterite mentre gli adulti soffrivano di [[pellagra]] per [[malnutrizione]]; l'epidemia di colera del 1884-1885 causò in Italia quasi {{formatnum:18000}} vittime. La miseria dei braccianti provocò così i primi scioperi agricoli. Con la [[Grande depressione (1873-1895)|crisi economica]] in Europa, nel 1878 il governo approvò una serie misure [[Protezionismo|protezionistiche]] in favore dell'industria settentrionale e della cerealicoltura meridionale.<ref name="treccani.italia2" /> L'intervento dello Stato in economia, aggiunto ai dazi doganali, che limitavano le importazioni e favorivano il commercio interno favorirono la nascita di grandi aziende nazionali come le [[Acciaierie di Terni]] nel 1884 e la [[Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche|Società di Costruzioni Meccaniche Ernesto Breda]] nel 1886, inoltre si svilupparono le infrastrutture e la produzione industriale aumentò.
==== Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano ====
{{Vedi anche|crimini di guerra italiani}}
A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia <ref>Antonicelli, Franco. ''Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945'' p. 67</ref>, durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi<ref>Mockler, Anthony. ''Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941''pag. 48</ref>) alcune atrocità e crimini contro l'umanità<ref>Angelo Del Boca. ''Italiani, brava gente?'', Editore Neri Pozza, 2005.</ref><ref>Angelo Del Boca. ''A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini'', Baldini Castoldi Dalai, 2007</ref>.
 
=== L'inizio del colonialismo ===
== L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918) ==
{{Vedi anche|prima guerra mondiale|fronteColonialismo italiano (prima guerra mondiale)|Battaglia dell'Isonzo}}
===L'iniziale neutralità===
{{Vedi anche|Neutralità italiana (1914-1915)}}
[[Immagine:Armando Diaz.jpg|right|thumb|150px|[[Armando Diaz]]]]
Nella [[prima guerra mondiale]] l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il [[23 maggio]] [[1915]] dopo la firma del segreto [[Patto di Londra]].
 
Nel 1878 l'equilibrio europeo concordato a Vienna rischiò di essere sconvolto dagli esiti della [[Guerra russo-turca (1877-1878)|guerra russo-turca]] e dai successivi accordi di pace che fecero crescere la sfera di influenza russa nella [[penisola balcanica]]. Il [[cancelliere]] [[Otto von Bismarck|Bismarck]], preoccupato di questo, convocò d'urgenza [[Congresso di Berlino|una conferenza a Berlino]] alla quale partecipò, come rappresentante del Regno d'Italia, il Ministro degli Esteri [[Luigi Corti]].<ref>{{cita|Favre|p. 14}}.</ref> Da questo congresso, l'[[Impero russo]] vide praticamente annullati i vantaggi ottenuti con il trattato, e all'[[Austria-Ungheria]] fu assegnata la Bosnia-Erzegovina, all'[[Inghilterra]] l'isola di [[Cipro]] e alla [[Francia]] fu assicurato l'appoggio per l'occupazione della Tunisia.<ref name="favre15">{{cita|Favre|p. 15}}.</ref>
L'accordo prevedeva che l'[[Italia]] entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il [[Trentino]], il [[Tirolo]] fino al [[Passo del Brennero|Brennero]] ([[Alto Adige]]), la [[Venezia Giulia]], l'intera [[penisola istriana]], con l'esclusione di [[Fiume]], una parte della [[Dalmazia]].
 
Dallo [[Schiaffo di Tunisi]] l'Italia non ottenne alcun vantaggio di nessun genere e la delusione che ne susseguì fu grande; ma ancora più gravi furono le conseguenze che ne derivarono, prima di tutte la [[Conquista francese della Tunisia|conquista della Tunisia]] nel 1881 da parte della Francia.<ref name="favre15" />
Per quanto riguarda i possedimenti coloniale l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del [[Dodecaneso]] (occupato, ma non annesso a colonia dopo la [[guerra italo-turca]]), la base di [[Valona]] in [[Albania]] , il bacino carbonifero di [[Antalia|Adalia]] in [[Turchia]], nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già [[Libia]], [[Somalia italiana|Somalia]] ed [[Colonia Eritrea|Eritrea]]).
 
{{Citazione|Era stata bruscamente troncata un'altra speranza italiana, quella della Tunisia, che è di fronte alla Sicilia, che i suoi figli avevano quasi colonizzata, e che pareva spettarle come campo di attività in Africa e per la sua stessa sicurezza nel Mediterraneo... [...] eppure l'Italia non poté se non sdegnarsi e gridare, non essendo nemmen da pensare [...] una guerra contro la Francia.<ref>Benedetto Croce, ''Storia d'Italia dal 1871 al 1915'', Giuseppe Laterza e figli, Bari, 1962, p. 114.</ref>}}
===1915===
Lo stato italiano decise di entrare in guerra il [[24 maggio]] [[1915]].
[[Immagine:Soca Kobarid.jpg|thumb|left|200 px|L'[[Isonzo]] vicino a [[Caporetto]]]]
Il comando dell'esercito venne affidato al generale [[Luigi Cadorna]], che aveva come obiettivo il raggiungimento di [[Vienna]] passando per [[Lubiana]]<ref>{{cite book | last = | first = | title = L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale | publisher = La biblioteca di Repubblica|date=2004| pages = p.683| isbn =}}</ref>. All'alba del [[24 maggio]] il [[Esercito|Regio Esercito]] sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a [[Cervignano del Friuli]] che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di [[Manfredonia]]; alle 23:56, bombardò [[Ancona]]. Lo stesso [[24 maggio]] cadde il primo soldato italiano, [[Riccardo di Giusto]].
 
Ora la vicinanza alla Sicilia della Repubblica transalpina rappresentava la più grave minaccia per il territorio italiano e principale avversario per gli interessi del Regno.<ref name="favre15" /> Nei confronti della Francia si venne a creare un sentimento di timore che fece passare in secondo piano il vecchio rancore verso Vienna, nonostante questa occupasse ancora terre italiane.<ref name="favre16">{{cita|Favre|p. 16}}.</ref> Così il Regno andò a cercare un suo posto tra le potenze europee dalle quali sarebbe risultato più forte, tanto più forti sarebbero stati i suoi alleati; guardò così alla Germania, alleata all'Austria-Ungheria. Il 20 maggio 1882 si concluse il primo trattato della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]], un accordo di natura ''difensiva'' di valore quinquennale che fu rinnovato una prima volta il 20 febbraio 1887, anche se furono siglati due distinti accordi bilaterali Italia-Austria e Italia-Germania che stabilivano l'impegno dei firmatari a mantenere lo ''status quo'' nei Balcani.<ref name="favre16" /> L'ultimo rinnovo del trattato avvenne il 5 dicembre 1912, a seguito di altri due rinnovi precedenti.<ref>{{cita libro|autore=Antonello Battaglia|titolo=I rapporti italo-francesi e le linee d'invasione transalpina, 1859-1881|url=https://books.google.it/books?id=R9xwqAYAXIkC|anno=2013|editore=Edizioni Nuova Cultura|p=101}}</ref>
Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale [[Luigi Cadorna]]. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le [[Alpi]], dallo [[Stelvio]] al mare [[Adriatico]]. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli [[Isonzo]], in direzione di [[Lubiana]]. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra [[Guerra di trincea|posizione]] simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul [[Fronte occidentale (Prima guerra mondiale)|fronte occidentale]] le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.
 
Depretis avviò il [[colonialismo italiano]], innanzitutto in [[Eritrea]], con l'occupazione di [[Massaua]] e l'[[Contratto di acquisto della Baia di Assab|acquisto di Assab]].<ref name="treccani.sinistra2" /> L'occupazione della [[Baia di Assab]] cominciò nel novembre 1869 con il padre [[Lazzaristi|lazzarista]] [[Giuseppe Sapeto]] che avviò le trattative per l'acquisto. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L'iniziativa fu appoggiata da [[Agostino Depretis|Depretis]] e da una compagnia privata guidata da [[Raffaele Rubattino]]. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano. Quando gli egiziani si ritirarono dal [[Corno d'Africa]] nel 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la [[Gran Bretagna]] per l'occupazione del porto di [[Massaua]] che assieme ad Assab formò i cosiddetti ''possedimenti italiani nel mar Rosso'', che dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di [[Colonia eritrea]].
===1916===
[[Immagine:Postcard from WWI Italian front.JPG|thumb|200px|La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia]] L'inizio del [[1916]] fu caratterizzato dalla [[quinta battaglia dell'Isonzo]] che non portò ad nessun risultato. In scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in [[Trentino]], occupando l'[[Altopiano dei sette comuni|altopiano di Asiago]]. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'[[Carso|altopiano del Carso]]. Lo scontro fu chiamato [[battaglia degli Altipiani]].
 
La città di [[Massaua]] diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli [[Anni 1880|anni ottanta]] questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, [[Afar (popolo)|dancale]], somale e [[oromo]], autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del [[mar Rosso]]), alcuni [[Sultano|sultanati]] (i più importanti furono gli [[Harar]], gli [[Obbia]], e i [[Zanzibar]]), [[Emirato|emiri]] o capi tribali. Diverso il caso dell'[[Etiopia]], allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè [[Imperatore]]) [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]], ma con la presenza di uno Stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da [[Menelik II]]. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di [[Harar]], l'acquisto di [[Zeila]] dai britannici e l'affitto del porto di [[Chisimaio]], posto alla foce del [[Giuba (fiume)|Giuba]], in [[Somalia]]. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente. Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo Stato italiano cercò di occupare il porto di [[Zeila]], a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo.
Il [[4 agosto]] [[1916]] fu conquistata [[Gorizia]] che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.
 
== La crisi di fine secolo (1887-1901) ==
Oltre la conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino.
 
=== L'autoritarismo di Crispi ===
===1917===
{{Vedi anche|Francesco Crispi|Guerra di Abissinia|Fasci siciliani|Scandalo del Monopolio dei Tabacchi|Scandalo della Banca Romana}}
[[Immagine:Flitscher Klause 01.jpg|right|thumb|200px|Un bastione eretto durante la guerra nei pressi di [[Plezzo]]]]Il [[18 agosto]] [[1917]] iniziò la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto territoriale né tantomeno alla conquista di postazioni strategie. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).
[[File:Francesco Crispi (ritratto).jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Francesco Crispi]] nel 1890]]
 
Dopo la scomparsa di Depretis nel 1887, assunse la guida del governo [[Francesco Crispi]]. Appena divenuto presidente del consiglio, Crispi istituì al ministero dell'Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale. Una specifica legge del 1888, inoltre, trasformò il Consiglio superiore di sanità in un organo di medici specialisti anziché di amministratori e creò la figura del medico provinciale. La norma stabilì il principio che lo Stato dovesse essere responsabile della salute dei suoi cittadini. Con Crispi però la Sinistra prese una deriva autoritaria. Nel 1889 il movimento dei [[fasci siciliani]] diede inizio a una serie di proteste che videro migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia dell'isola, battersi per una [[riforma agraria]]. Il governo decretò l'occupazione militare della Sicilia e la condanna a morte dei capi sindacali. Parallelamente una forte collusione tra potere economico e potere politico (si ricordi anche lo [[Scandalo della Banca Romana]]) paralizzava lo sviluppo del Paese e soprattutto del Mezzogiorno. Alcuni economisti ritengono che l'economia sia stata in questo periodo "un processo artificioso" prodotto dallo [[statalismo]] economico e non dalla libera iniziativa privata. Nel 1892 fu fondato a Genova da [[Filippo Turati]] il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI), diventando in breve tempo il principale referente del movimento operaio.
Nell'[[ottobre]] [[1917]] la [[Russia]] abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione [[Comunismo|comunista]]. Le truppe degli [[Imperi Centrali]] furono spostate dal [[Fronte orientale (Prima guerra mondiale)|fronte orientale]] a quello occidentale.
[[File:Italian prisoners Ethiopia 1897 (cropped).jpg|miniatura|Soldati italiani prigionieri in Etiopia in seguito alla [[sconfitta di Adua]]]]
L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di [[Francesco Crispi]]. Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di [[Aden]] con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su [[Migiurtinia]]. Nel 1892 il [[Sultano]] di [[Zanzibar]] concesse in affitto i porti del [[Benadir]] (fra cui [[Mogadiscio]] e [[Brava (Somalia)|Brava]]) alla società commerciale "Filonardi". Il [[Benadir]], sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'[[Omo]], e per ottenere il protettorato sulla città di [[Lugh (Somalia)|Lugh]]. A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]] in una guerra contro i [[Derviscio|dervisci]] sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di [[Asmara]], sulla base di precedenti accordi fatti con [[Menelik II]] il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere [[Negus]] Neghesti, cioè "Re dei Re", Imperatore. Con il trattato che seguì, [[Menelik II]] accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un [[protettorato]] e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi. La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la [[guerra di Abissinia]] (1895-1896) e terminò con la [[Battaglia di Adua|sconfitta di Adua]] (1º marzo 1896) dove si contarono circa cinquemila morti. Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al [[colonialismo]] europeo del [[XIX secolo]]. La sconfitta militare provocò le dimissioni le dimissioni di Crispi e l'iniziativa coloniale italiana non aveva cambiato la posizione del Paese sullo scacchiere internazionale.
 
=== Il militarismo ===
Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata.
{{vediVedi anche|BattagliaMoti di CaporettoMilano|Regicidio di Umberto I}}
[[File:Milano, largo San Babila 04.jpg|sinistra|miniatura|Lo stato d'assedio durante i [[moti di Milano]] del 1898]]
Il [[24 ottobre]] gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2<sup>a</sup> [[Armata]] comandato dal generale [[Luigi Capello]]. Il generale Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro<ref>Puntata del "La grande storia" dal tiolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre</ref> fu la 3<sup>a</sup>, guidata da [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto di Savoia]], cugino di Re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]].
[[File:The story of the greatest nations, from the dawn of history to the twentieth century - a comprehensive history, founded upon the leading authorities, including a complete chronology of the world, and (14591829237).jpg|miniatura|verticale|Il [[regicidio di Umberto I]] il 29 luglio 1900]]
[[Immagine:Battle of Caporetto IT.svg|200px|thumb|left|Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana]]
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'[[Mare Adriatico|Adriatico]] fino alla [[Valsugana]], in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume [[Tagliamento]], con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di Re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al [[Mincio]].
 
Le forze che avevano sostenuto Crispi desideravano il proseguimento della politica autoritaria<ref>"Le norme dello Stato liberale in materia di libertà di associazione erano ancor più esili di quelle in materia di stampa. Il codice penale sardo del 1839 assoggettava tutte le associazioni ad autorizzazioni. Lo Statuto albertino non menzionava la libertà di associazione, secondo i contemporanei perché lo Stato liberale aveva sempre guardato l'associazionismo con sospetto. In mancanza di un'espressa menzione, la libertà di [[Associazione (diritto)|associazione]] si traeva per alcuni dai principi, discendeva, per altri, da norma consuetudinaria. Era prevalente, comunque, l'idea che ci si potesse associare senza bisogno di comunicazione all'autorità o di autorizzazione di quest'ultima. In queste condizioni, la libertà di associazione era molto fragile. Essa era un fatto, e poteva essere limitata. Si ammetteva che potessero essere sciolte le associazioni pericolose per la sicurezza dello Stato. Molte associazioni «sovversive» furono effettivamente sciolte. Il r.d. (Pelloux) del 22 giugno 1899, n. 227, consentiva al ministro dell'interno di sciogliere le associazioni «dirette a sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali o la costituzione dello Stato» (art. 3)": [[Sabino Cassese]], ''Lo Stato fascista'', Bologna, [[Il Mulino]], 2016, pp. 52-53.</ref>. Lo stesso [[Sidney Sonnino|Sonnino]] voleva che il regime liberale spostasse il proprio baricentro dal [[parlamentarismo]] ad un rafforzamento dell'esecutivo e del ruolo regio, secondo l'esempio [[Impero tedesco|prussiano]]. Il successo conseguito dai socialisti e dall'opposizione radicale e repubblicana nelle [[Elezioni politiche in Italia del 1897|elezioni del marzo 1897]] non fece che accrescere l'irritazione dei conservatori. La situazione precipitò nel corso del 1898, quando scoppiarono agitazioni nel Sud, a [[Milano]], [[Parma]], [[Firenze]] e in altre località. Furono operati centinaia di arresti, e a Milano avvenne l'[[Moti di Milano|eccidio dei dimostranti]] ad opera delle truppe comandate dal generale [[Fiorenzo Bava Beccaris|Bava Beccaris]], che tra il 6 e il 7 maggio 1898 fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava pane e lavoro. Con la proclamazione dello stato d'assedio, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali di opposizione e le sedi dei partiti operai. La situazione si era talmente deteriorata che all'interno del Ministero scoppiarono nuovi contrasti. [[Antonio di Rudinì]] chiese al re [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] di sciogliere la [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]] ed indire nuove elezioni, ma il re rifiutò, determinando le dimissioni del di Rudinì nel giugno 1898, ed incaricò il generale [[Luigi Pelloux]] di formare il governo. In questo periodo milioni di contadini emigrarono nelle Americhe e in altri stati europei.
A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico.
In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.
 
Pelloux dapprima operò in modo da ricreare una certa condizione di normalità togliendo lo [[stato d'assedio]]. Ben presto, però, divenne lo strumento di quella corrente reazionaria che desiderava porre fine al [[regime parlamentare]] ed instaurare un regime alla [[Otto von Bismarck|prussiana]]. Per riuscire in questo piano era necessario limitare le opposizioni e a questo scopo vennero proposti una serie di [[Progetto di legge|progetti di legge]] che ponevano sotto controllo la stampa, limitavano strettamente il diritto di riunione, colpivano il diritto di associazione, vietavano lo [[sciopero]] nei servizi pubblici. Di fronte a questa svolta reazionaria si determinò una opposizione che andava dai [[socialisti]] fino a quella [[borghesia]] [[Liberali|liberale]] che, ad una politica di conservatorismo autoritario, preferiva una politica di apertura democratica e riformista. Nella discussione parlamentare dei progetti di legge, i socialisti ricorsero all'[[ostruzionismo]]. Pelloux tentò, allora, di dare valore esecutivo ai suoi decreti senza l'approvazione del Parlamento, ma la [[Corte di cassazione]] dichiarò illegittima tale prassi. La grande industria milanese, giudicato troppo pericoloso il tentativo reazionario di fronte alle resistenze emerse, finì per abbandonarlo. Pelloux chiese nuove elezioni, ma i risultati delle elezioni portarono ad un notevole rafforzamento dei [[Partito Socialista Italiano|socialisti]], dei [[Radicalismo|radicali]], dei [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicani]] e della nuova opposizione [[Liberalismo|liberale]]: Pelloux rassegnò le dimissioni.
La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal maresciallo [[Armando Diaz]] nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale [[Luigi Capello]], ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un altro effetto della disfatta l'elevato malcontento nelle truppe. I disordini furono frequenti, e molti si concludevano con sommarie fucilazioni.
 
Il Re Umberto I diede l'incarico del governo al vecchio Senatore Giuseppe Saracco e questo fu il suo ultimo atto, poiché un [[anarchico]], [[Gaetano Bresci]], lo [[Regicidio di Umberto I|assassinò a Monza]], il 29 luglio 1900, per vendicare i morti causati dalla repressione di [[Bava Beccaris]] durante i [[moti di Milano]]. L'episodio più rilevante del ministero Saracco fu uno sciopero generale proclamato a [[Genova]] dopo che il [[prefetto]] aveva decretato, nel dicembre 1900, lo scioglimento della Camera del Lavoro. Saracco, fra molte incertezze, finì per revocare tale scioglimento e dare le dimissioni. Il nuovo Re, [[Vittorio Emanuele III]], nominò Presidente del Consiglio [[Giuseppe Zanardelli]], un [[liberale]] che si era pronunciato contro la repressione, il quale scelse come [[Ministri dell'interno del Regno d'Italia|Ministro dell'interno]] [[Giovanni Giolitti]].
===1918===
{{Vedi anche|Offensiva del Piave|Battaglia di Vittorio Veneto}}
[[Immagine:Battle of Vittorio Veneto.jpg|thumb|left|250px|Schema della [[Battaglia di Vittorio Veneto]] nel [[1918]] risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra]]
La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel [[1917]] furono chiamata alle armi la classe dei nati nel [[1899]] (i cosiddetti “[[Ragazzi del '99]]”).
 
== L'età giolittiana (1901-1914) ==
Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del [[1918]], preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.
{{vedi anche|Età giolittiana}}
[[File:Giolitti ritratto.jpg|miniatura|[[Giovanni Giolitti]].]]Il periodo compreso tra il 1901 e il 1914 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello Stato liberale, insieme con le prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del [[socialismo]], ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le file del partito socialista, che posero in minoranza l'ala [[Massimalismo (politica)|massimalista]], fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel partito socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai.
 
Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la [[Basilicata]], la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il [[Stabilimento siderurgico di Bagnoli|centro siderurgico di Bagnoli]]. Un altro importante progetto portò alla statalizzazione delle [[ferrovie]] approvata dal Parlamento nel 1905, che metteva l'Italia al passo con gli altri paesi europei in un settore essenziale allo sviluppo. Nel [[1912]] una legge per finanziare le pensioni di invalidità e [[Pensione di vecchiaia|di vecchiaia]] per i lavoratori inaugurava la moderna legislazione sociale in Italia.
L'offensiva austro-ungarica arrivò il [[15 giugno]]: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella [[battaglia del solstizio]] ([[15 giugno|15]] - [[23 giugno]] 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.
{{quote|La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. [...] <br />
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.|comunicato del Comando Supremo ("Bollettino della Vittoria")}}
Da [[Battaglia di Vittorio Veneto|Vittorio Veneto]], il [[23 ottobre]] partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il [[29 ottobre]] l'Austria-Ungheria si arrese. Il [[3 novembre]], a [[Villa Giusti (Padova)|Villa Giusti]], presso [[Padova]] l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a [[Trento]] mentre i [[bersaglieri]] sbarcarono a [[Trieste]], chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate [[Rovigno]], [[Parenzo]], [[Zara (Croazia)|Zara]], [[isola di Lissa|Lissa]] e [[Fiume (Croazia)|Fiume]]. Quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del [[30 ottobre]] 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei [[Quattordici punti|principi wilsoniani]], l'unione della città all'[[Italia]].
[[Immagine:Redipuglia 01.jpg|thumb|right|200px|<center>Il [[Sacrario Militare di Redipuglia]]]] L'esercito italiano forzò comunque la linea del Trattato di Londra intendendo occupare anche [[Lubiana]], ma fu fermato poco oltre [[Postumia]] dalle truppe serbe. I cinque reparti della [[Regia Marina|Marina]] entravano a [[Pola]]. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a [[Sebenico]] che diventava la sede principale del [[Governo Militare della Dalmazia]].
 
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani, avvicinandosi ai paesi più moderni. Ebbe inizio un ciclo di rapida [[industrializzazione]]; si affermò il [[movimento operaio]]; l'economia progredì, favorita dall'adozione di misure protezionistiche e dai finanziamenti concessi dallo Stato e da alcune importanti banche ([[Banca Commerciale Italiana]], [[Credito Italiano]]). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella [[siderurgia]] (gli operai del settore tra il 1902 e il 1914 aumentarono da {{formatnum:15000}} a {{formatnum:50000)}} e nella nuova industria [[Energia idroelettrica|idroelettrica]]. Quest'ultima sembrava risolvere una delle debolezze dell'Italia, Paese privo di materie prime essenziali come il [[carbone]] e il [[ferro]]. Utilizzando l'acqua dei laghi alpini e dei fiumi fu possibile ottenere energia senza dipendere dall'estero per l'acquisto del carbone: la produzione di [[energia idroelettrica]], tra il 1900 e il 1914, salì da 100 a {{formatnum:4000}} milioni di kWh. L'[[industria tessile]] mantenne una posizione di rilievo con prodotti venduti sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Anche l'[[industria meccanica]] cominciò ad affermarsi nel settore dei trasporti (auto, treni) e delle macchine utensili. Ciononostante l'economia conservava forti squilibri tra il Nord del Paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e prevalentemente agricolo. La modernizzazione si manifestò anche nelle forme della vita politica e del conflitto sociale. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il Paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra nord e sud e tra città e campagna.
L'ultimo caduto italiano è stato il [[caporalmaggiore]] [[Giuseppe Pezzarossa]] di 19 anni appartenente alla 1º Sezione Mantova, colpito da una pallottola in fronte alle ore 15 del 30 ottobre 1918 a [[sud]] di [[Udine]].
 
L'Italia, alleata con la Germania, le cui ambizioni coloniali erano osteggiate da Gran Bretagna e Francia, trovò il pretesto per agire al di fuori dei vincoli della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]] (Germania, Italia, Austria-Ungheria) per avvicinarsi alla [[Triplice intesa]] di [[Francia]], [[Regno Unito]] e [[Russia]]. Favorevoli alla campagna furono i grandi gruppi finanziari, come il [[Banco di Roma]] e la Banca Commerciale, ed esponenti della corrente nazionalista. Contrari erano i socialisti e alcuni rappresentanti del movimento democratico. Avanzata, il 29 settembre 1911, la dichiarazione di guerra alla [[Impero ottomano|Turchia]], i {{formatnum:100000}} uomini del generale [[Carlo Caneva]] occuparono [[Cirenaica]] e [[Tripolitania]] in ottobre, dichiarandole territorio italiano il 5 novembre. Nel maggio 1912 truppe italiane agli ordini del generale [[Giovanni Ameglio]] occuparono [[Rodi]] e il [[Dodecaneso]]. La Turchia, incapace di rispondere efficacemente alle manovre italiane, accettò i termini stabiliti nella [[Trattato di Losanna (1912)|pace di Losanna]] (18 ottobre [[1912]]), in cui si stabiliva che l'Italia doveva ritirare le truppe dalle isole egee, mentre la Turchia cedeva la Libia al Governo italiano. Dato che la Turchia si rifiutava di cedere la Libia, l'Italia non ritirò il contingente dal [[Dodecaneso]], dove rimase invece per tutta la durata della prima guerra mondiale. A seguito della partecipazione italiana nella repressione della [[ribellione dei Boxer]] con l'invio di un [[corpo di spedizione italiano in Cina]], il 7 settembre 1901 venne istituita la [[concessione italiana di Tientsin]]: la superficie concessa misurava {{M|458000|u=m²}} ed era una delle più piccole concessioni territoriali cinesi alle potenze straniere ottenute al termine della rivolta: la zona consisteva nell'immediata [[Concessione italiana di Tientsin|periferia orientale di Tientsin]] (dalla quale prende il nome) e da un terreno lungo la riva sinistra del fiume [[Hai He|Hai-He]] (conosciuto precedentemente con il nome di Pei Ho), ricco di saline, comprensivo di un villaggio e di un'ampia area paludosa adibita a cimitero.<ref>{{Cita web|url=http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=185|titolo=Tientsin e dintorni|sito=trentoincina.it|accesso=11 giugno 2018}}</ref><ref name=":12">{{Cita news|nome=Alberto Alpozzi|url=https://italiacoloniale.com/2015/03/19/cina-la-concessione-italiana-dimenticata-a-tien-tsin-seconda-parte/|titolo=Cina, la concessione italiana dimenticata a Tien-Tsin – Seconda parte|pubblicazione=L'Italia coloniale|data=19 marzo 2015|accesso=18 settembre 2017}}</ref>
===L'esito del conflitto===
L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il [[Trentino-Alto Adige]], la [[Venezia Giulia]], l'[[Istria]] ed alcuni territori del [[Friuli]] ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della [[Cisleitania]] nell'ambito dell'[[Impero austro-ungarico]] (ad eccezione della città di [[Fiume]], incorporata nel Regno d'Italia nel [[1924]] e posta in [[Transleitania]]).
[[Immagine:Kingdom of Italy 1919 map.svg|thumb|left|300px|L'[[Italia]] nel [[1924]], con [[Fiume (Croazia)|Fiume]], Zara e [[provincia di Zara|la sua provincia]].]]
Inoltre al [[Regno d'Italia]] furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'[[Oltregiuba]] in [[Somalia]].
 
== La Grande guerra e le conseguenze (1914-1922) ==
Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.<ref>G. Mortara, ''La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra'', Yale University Press, New Haven, 1925.</ref><ref>D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, ''The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt'' (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo) [http://www.demographic-research.org/Volumes/Vol13/15/default.htm The effects of war losses on mortality estimates for Italy]</ref><ref>[http://dawinci.istat.it/daWinci/jsp/dawinci.jsp?q=pl01000100112000 Dati Censimento Istat]</ref>
{{Vedi anche|Italia nella prima guerra mondiale|fronte italiano (1915-1918)|Movimenti rivoluzionari in Italia nel Primo Novecento}}
 
=== La neutralità ===
Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie.
{{Vedi anche|Neutralità italiana (1914-1915)}}
[[File:Promised Borders of the Tready of London.png|miniatura|In giallo i territori promessi all'Italia con il [[Patto di Londra]]]]
Nella [[prima guerra mondiale]] l'Italia rimase inizialmente neutrale. L'azione austro-ungarica contro la Serbia era contraria agli interessi italiani. Roma non desiderava l'egemonia asburgica nella regione balcanica, ma ammetteva pure l'ipotesi di fornire all'alleata sostegno contro la Serbia, in cambio di compensi territoriali, ai sensi dell'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza. Per Roma, tali compensi territoriali dovevano consistere nelle province italiane dell'impero asburgico. Il governo asburgico concesse la legittimità dell'interpretazione italiana dell'articolo VII, ma respinse seccamente l'idea che i compensi potessero consistere in territori del suo impero (come il Trentino). Ciò persuase il governo italiano che gli eventuali compensi concessi non sarebbero stati tali da giustificare lo sforzo bellico, né a convincere l'opinione pubblica italiana dell'opportunità di scendere in guerra con Vienna e Berlino. La neutralità fu dunque il risultato di una situazione in cui l'Italia aveva molto da rischiare, e poco da guadagnare, dalla partecipazione alla guerra al fianco di Vienna e Berlino.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Giordano Merlicco|titolo=La crisi di luglio e la neutralità italiana: l'impossibile conciliazione tra alleanza con l'Austria e interessi balcanici|rivista=Itinerari di ricerca storica|volume=XXXII|numero=2/2018|pp=13-26|url=http://siba-ese.unisalento.it/index.php/itinerari/article/view/20146}}</ref>
 
Poi l'Italia scelse di scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto [[Patto di Londra]]. L'accordo prevedeva che l'[[Italia]] entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, e in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], il [[Tirolo]] fino al [[Passo del Brennero|Brennero]] ([[Provincia autonoma di Bolzano|Alto Adige]]), la [[Venezia Giulia]], l'intera [[Istria|penisola istriana]], con l'esclusione di [[Fiume (Croazia)|Fiume]] e la [[Dalmazia]] settentrionale.
Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali acquisiti sulla [[Dalmazia]] con l'intervento a fianco degli alleati: in base al [[Patto di Londra]] con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di [[Zara]], [[Sebenico]] e [[Tenin]].
 
Per quanto riguarda i possedimenti coloniali l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del [[Dodecaneso]] (occupato, ma non annesso a colonia dopo la [[guerra italo-turca]]), la base di [[Valona]] in [[Albania]], il bacino carbonifero di [[Adalia]] in [[Turchia]], nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già [[Libia italiana|Libia]], [[Somalia italiana|Somalia]] ed [[Colonia eritrea|Eritrea]]).
Infatti, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano [[Woodrow Wilson]], la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.
 
=== L'ingresso nella prima guerra mondiale ===
Questo rifiuto degli Alleati di mantenere gli impegni sottoscritti nel Patto di Londra creò numerose tensioni nella politica italiana del primo dopoguerra, ed uno dei maggiori beneficiati fu Benito Mussolini con il suo "Fascismo".
[[File:Italian Front 1915-1917.jpg|sinistra|miniatura|In viola: territori conquistati dall'Italia nella prima offensiva sul fronte dell'Isonzo terminata il 16 giugno 1915]]
Lo Stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915. Il comando dell'esercito venne affidato al generale [[Luigi Cadorna]], che aveva come obiettivo il raggiungimento di [[Vienna]] passando per [[Lubiana]].<ref>{{Cita libro|titolo=L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=683}}</ref> Vittorio Emanuele III si dimostrò ancora una volta favorevole all'entrata in guerra a fianco di [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]]. Allo scoppio della [[prima guerra mondiale]], Il re si recò personalmente al quartier generale in [[Veneto]], lasciando la luogotenenza del Regno allo zio [[Tommaso di Savoia-Genova|Tommaso, duca di Genova]].
 
All'alba del 24 maggio il [[Esercito|Regio Esercito]] sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a [[Cervignano del Friuli]] che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di [[Manfredonia]]; alle 23:56, bombardò [[Ancona]]. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, [[Riccardo Di Giusto]]. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le [[Alpi]], dallo [[Stelvio]] al [[mare Adriatico]]. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli dell'[[Isonzo]], in direzione di [[Lubiana]].
== Il Fascismo ==
===Le origini===
{{Vedi anche|Storia dell'Italia fascista|Vittoria mutilata|Rivoluzione italiana|Movimenti rivoluzionari nell'Italia del Primo Novecento}}
[[Immagine:Fasces lictoriae.svg|thumb|right|100px|Il [[fascio littorio]], simbolo del fascismo.]]Dopo la [[Prima guerra mondiale|Grande Guerra]] la situazione interna italiana era precaria: il [[Trattato di Versailles (1919)|trattato di pace firmato a Versailles]] non aveva portato a nessun vantaggio importante all'Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate.
 
Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di [[Guerra di trincea|posizione]] simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul [[Fronte occidentale (1914-1918)|fronte occidentale]] le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino e oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.
Le casse statali erano quasi vuote anche perché la [[lira italiana|lira]] durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione ''di pace'' e ad assorbire l'abbondanza di [[manodopera]] accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte.
[[File:Flitscher Klause 01.jpg|miniatura|Un bastione austro-ungarico presso [[Plezzo]]]]
L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla [[quinta battaglia dell'Isonzo]] che non portò ad alcun risultato. Negli scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], occupando l'[[Altopiano dei Sette Comuni|altopiano di Asiago]]. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'[[Carso|altopiano del Carso]]. Lo scontro fu chiamato [[battaglia degli Altipiani]].
 
Il 4 agosto 1916 fu conquistata [[Gorizia]] che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.
Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il il timore di una possibile rivoluzione [[comunismo|comunista]], sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.
 
Oltre alla conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino. Il 18 agosto 1917 ebbe inizio la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto territoriale né tanto meno alla conquista di postazioni strategiche. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).
===Nascita del fascismo===
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del [[Conferenza di pace di Parigi (1919)|Trattato di Pace]], si infiammò ed alimentò il mito della ''[[vittoria mutilata]]'', emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-''[[arditi]]'' (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.
 
=== Lo sfondamento degli austriaci ===
Con la fine della Prima guerra mondiale ed essendo l'[[Italia]] risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra, che preveda l'annessione anche della [[Dalmazia]] così non fu a causa del parere contrario del presidente [[Stati uniti d'America|americano]] Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una [[Dalmazia]] italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal [[Danubio]]. Il risultato fu che le potenze dell'[[Intesa]] alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915.[[Immagine:Mussolini and D'Annunzio.jpg|thumb|left|200px|Incontro tra [[Benito Mussolini]] e [[Gabriele D'Annunzio]], il poeta attivo nella [[Prima guerra mondiale]] ed anche nella lotta per l'indipendenza di [[Fiume]]]]
{{vedi anche|Battaglia di Caporetto}}
L'Italia fu divisa sul da farsi, e [[Vittorio Emanuele Orlando]] abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la [[Dalmazia]], che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la [[Jugoslavia]].
[[File:Postcard from WWI Italian front.JPG|miniatura|La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia]]
[[File:Battle of Caporetto IT.svg|sinistra|miniatura|Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana]]
Nell'ottobre 1917 la [[Russia]] abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione [[Comunismo|comunista]]. Le truppe degli [[Imperi centrali]] furono spostate dal [[Fronte orientale (1914-1918)|fronte orientale]] a quello occidentale. Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª [[Armata]] comandata dal generale [[Luigi Capello]]. I generali Luigi Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per {{M|150|u=km}} in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro<ref>Puntata di "La grande storia" dal titolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre</ref> fu la 3ª, guidata da [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto di Savoia]], cugino di re [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]].
 
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'[[Mare Adriatico|Adriatico]] fino alla [[Valsugana]], in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume [[Tagliamento]], con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al [[Mincio]].[[File:Armando Diaz.jpg|miniatura|[[Armando Diaz]]]]A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave. La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal generale [[Armando Diaz]] nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale [[Luigi Capello]], ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un altro effetto della disfatta fu l'elevato malcontento nelle truppe, i disordini furono frequenti, e molti si conclusero con sommarie fucilazioni. Sul piano politico il governo presieduto da [[Paolo Boselli]] fu costretto alle dimissioni per essere subito sostituito da [[Vittorio Emanuele Orlando]],
Fu questo il contesto nel quale il [[23 marzo]] [[1919]] [[Benito Mussolini]] fondò a [[Milano]] il primo [[fascio di combattimento]], adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli [[arditi]], come le camicie nere e il teschio.
=== La vittoria ===
{{Vedi anche|Battaglia del solstizio|Battaglia di Vittorio Veneto}}
[[File:Battle of Vittorio Veneto.jpg|sinistra|miniatura|Schema della [[Battaglia di Vittorio Veneto]] nel [[1918]] risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra]]
La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò determinò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 fu chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “[[Ragazzi del '99]]”).
 
Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.
Il nuovo movimento espresse la volontà di ''"trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana"'' autodefinendosi ''partito dell'ordine'' riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari.
 
L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15-22 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello Stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche e impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.
Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "[[Terza via (fascismo)|terza via]]".
 
Da [[Battaglia di Vittorio Veneto|Vittorio Veneto]], il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a [[Villa Giusti]], presso [[Padova]] l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a [[Trento]] mentre i [[bersaglieri]] sbarcarono a [[Trieste]], chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate [[Rovigno]], [[Parenzo]], [[Zara]], [[Lissa (isola)|Lissa]] e [[Fiume (Croazia)|Fiume]]. Quest'ultima - pur non prevista tra i territori promessi dal Patto di Londra - venne occupata in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi e la presa del potere da parte di truppe croate, aveva proclamato l'unione della città all'[[Italia]] sulla base dei [[Quattordici punti|principi wilsoniani]].
===Gli anni dello [[squadrismo]]===
[[Immagine:Spedizione punitiva a Roma presso una sede sindacale socialista.jpg|thumb|300px|[[Roma]], devastazione di una sede sindacale con falò sulla strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute (1920)]]
Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate [[squadrismo|squadre d'azione]] si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista [[L'Avanti!]], devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra civile.
 
Secondo alcune ricostruzioni, l'esercito italiano avrebbe inteso occupare anche [[Lubiana]], ma fu fermato poco oltre [[Postumia (città)|Postumia]] dalle truppe serbe. Il 5 novembre reparti della [[Regia Marina|Marina]] entravano a [[Pola]], occupata per alcuni giorni da alcuni reparti militari sloveni e croati già facenti parte dell'esercito austriaco, a nome dell'appena costituito (ed effimero) [[Stato degli Sloveni, Croati e Serbi]]. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a [[Sebenico]] che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.
Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi.
 
L'ultimo caduto italiano è stato il [[sottotenente]] [[Alberto Riva Villa Santa]] di 19 anni, appartenente all'[[8º Reggimento bersaglieri]], caduto poco prima delle ore 15 del 4 novembre 1918 a [[Paradiso (Pocenia)|Paradiso]] poco distante da [[Udine]].
Il [[12 novembre]] [[1921]] nasceva il [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il [[Partito Socialista Italiano|PSI]] aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti [[Emilia-Romagna|emiliani]] e [[Toscana|toscani]]. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ''ras'' furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del [[manganello]] e dell'[[olio di ricino]], o addirittura commettendo [[Omicidio|omicidi]] che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del [[15 maggio]] [[1921]] i fascisti ottennero a sorpresa 45 seggi.
 
===Marcia suLa Romavittoria mutilata e primi annil'impresa di governoFiume ===
{{Vedi anche|Vittoria mutilata|Impresa di Fiume}}
[[Immagine:March on rome 1.png|thumb|left|200px|Un momento della marcia su [[Roma]]]]Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono a marciare su Roma, Mussolini diede seguito ai suoi piani insurrezionali contro il debole governo italiano: il momento pareva propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e condotto da un quadrumvirato, composto da [[Italo Balbo]] (uno dei ''[[ras]]'' più famosi), [[Emilio De Bono]] (comandante della Milizia), [[Cesare Maria De Vecchi]] (un generale non sgradito al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]) e [[Michele Bianchi]] (segretario del partito fedelissimo di Mussolini che, invece, rimase prudentemente a Milano), mosse contro la Capitale, il [[26 ottobre]] [[1922]]. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con [[Badoglio]] principale sostenitore della linea dura) il re [[Vittorio Emanuele III]] si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio [[Luigi Facta]] ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il [[28 ottobre]], senza incontrare alcuna resistenza ed effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città.
[[File:Kingdom of Italy 1919 map.svg|miniatura|Il confine italiano nel 1924 stabilito dai trattati di [[Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919)|Saint-Germain-en-Laye (1919)]], [[Trattato di Rapallo (1920)|Rapallo (1920)]] e [[Trattato di Roma (1924)|Roma (1924)]]]]
Alla [[Conferenza di pace di Parigi (1919)|conferenza di pace di Parigi]] le richieste territoriali italiane stabilite col [[patto di Londra]] non furono accettate dagli [[Alleati della prima guerra mondiale|Alleati]], in particolare si oppose il presidente statunitense [[Thomas Woodrow Wilson]], che in base al principio dell'[[autodeterminazione dei popoli]] riteneva l'annessione della Dalmazia all'Italia lesiva nei confronti delle popolazioni slave che vi risedevano. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal [[Danubio]]. La "[[questione adriatica]]" provocò la protesta dell'Italia: [[Vittorio Emanuele Orlando]]<nowiki/> e [[Sidney Sonnino]] abbandonarono la conferenza di pace, mentre le altre potenze vincitrici furono libere di continuare le trattative. Con la firma del [[trattato di Versailles]] l'Italia acquisì dall'[[Impero austro-ungarico]] il [[Trentino-Alto Adige]], la [[Venezia Giulia]], l'[[Istria]] e alcuni territori del [[Friuli]], mentre la Dalmazia fu incorporata nel neonato [[Regno dei Serbi, Croati e Sloveni]] con l'eccezione di [[Zara]], a maggioranza italiana, e dell'isola di [[Lagosta (isola)|Lagosta]]. Sul piano coloniale al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'[[Oltregiuba]] in [[Somalia britannica]], oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e il [[Ciad]], già possedimento francese, anche se di fatto all'Italia non fu concesso partecipare alla ripartizione delle [[colonie tedesche]].
 
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni e alla propaganda nazionalista si infiammò il mito della ''[[vittoria mutilata]]'', emersero le organizzazioni di reduci e in particolare quelle che raccoglievano gli ex-''[[arditi]]'' (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte. Il 12 settembre 1919 [[Gabriele D'Annunzio]], contando sulla complicità dei comandi militari, [[Impresa di Fiume|occupò la città di Fiume]] inaugurando la [[reggenza italiana del Carnaro]] e aprendo una crisi internazionale.
Il [[30 ottobre]], dopo la [[marcia su Roma]], il re incaricò [[Benito Mussolini]] di formare il nuovo [[governo]]. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita.
 
=== Il "biennio rosso" e la nascita del fascismo ===
Il nuovo [[Governo Mussolini|governo]] comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.
{{Vedi anche|Biennio rosso in Italia|Fasci italiani di combattimento}}
 
Il prezzo delle annessioni fu però altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.<ref>G. Mortara, ''La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra'', Yale University Press, New Haven, 1925.</ref><ref>D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, ''The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt'' (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo) {{cita testo|url=http://www.demographic-research.org/Volumes/Vol13/15/default.htm|titolo=The effects of war losses on mortality estimates for Italy}}</ref><ref>{{cita web|url=http://dawinci.istat.it/daWinci/jsp/dawinci.jsp?q=pl01000100112000|titolo=Dati Censimento Istat}}</ref> Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta della sua forza lavoro causando la rovina di moltissime famiglie. Le casse statali erano quasi vuote anche perché la [[Lira italiana|lira]] durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione da bellica a civile e ad assorbire l'abbondanza di [[manodopera]] accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Nella primavera del 1919 gli operai nelle fabbriche e i braccianti nelle campagne scesero in sciopero per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di vita; ma agiva in loro anche il richiamo alla rivoluzione socialista, sull'esempio di [[Rivoluzione russa|quella]] in atto nella Russia di [[Lenin]], iniziava il [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]. Il movimento popolare, indirizzato dai sindacati e dal [[Partito Socialista Italiano]] (PSI) , mancò di una chiara linea di conduzione perché venne disorientato dalle divisioni all'interno della sinistra, in particolare dallo scontro tra massimalisti e riformisti. Nel 1919 fu fondato dal sacerdote [[Luigi Sturzo]] il [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]] (PPI), sotto gli auspici della Chiesa. In queste condizioni si tennero le [[Elezioni politiche in Italia del 1919|elezioni politiche del 1919]] che videro l'affermazione di due maggiori partiti di massa: il PSI e il PPI a dispetto delle liste liberali.
Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola ([[Riforma Gentile]]), la firma degli accordi di [[Washington (distretto di Columbia)|Washington]] sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di [[Iugoslavia]] circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in [[Dalmazia]].
 
Nel giugno del 1920 fece ritorno alla [[Governo Giolitti V|presidenza del consiglio Giolitti]], che per esperienza e prestigio si pensava potesse comporre i contrasti politici. Egli risolse la [[questione adriatica]], firmando con la [[Jugoslavia]] il [[Trattato di Rapallo (1920)|trattato di Rapallo]] (12 novembre 1920), che riconosceva all'Italia [[Zara]] e le [[Cherso (isola)|isole di Cherso]], Lussino, Pelagosa, Lagosta e Cazza. Le legioni fiumane furono cacciate dalla città dal Regio Esercito nel cosiddetto "[[natale di sangue]]" e fu istituito lo [[Stato libero di Fiume]] (riaccorpato all'Italia nel 1924 col [[Trattato di Roma (1924)|trattato di Roma]]). l 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese ([[Trattati di Tirana|accordo di Tirana]] del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su [[Valona]]) e ad un accordo con la [[Grecia]], l'isola di [[Saseno]] entrò a far parte dell'Italia, la quale la voleva per la sua posizione strategica all'imbocco del [[Mare Adriatico]]. Nel [[1923]] il [[Trattato di Losanna (1923)|trattato di Losanna]] assegnava ufficialmente il Dodecaneso e Rodi all'Italia; sarebbero rimaste sue colonie fino al 1945. Le difficoltà per Giolitti vennero dalla situazione interna, perché cresceva nei ceti medi e nei possidenti, allarmati dalle vittorie socialiste alle [[Elezioni amministrative in Italia del 1920|elezioni amministrative]], l'attesa di una risposta autoritaria, mentre l'opinione pubblica moderata era turbata dal disordine e dalle violenze generate dai tumulti del movimento operaio da quanti speravano di innescare una situazione rivoluzionaria, a somiglianza di quanto era da poco accaduto in Russia, e che stava accadendo in quegli anni in altri paesi dell'Europa centrale come, ad esempio, nell'effimero caso della [[Repubblica Bavarese dei Consigli]]. Giolitti decise così di evitare di reprimere le rivolte del "[[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]", che culminarono con l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920 per poi terminare. Dal timore di una possibile rivoluzione comunista sull'esempio russo, scaturì l'inizio della reazione della piccola e media borghesia, che decise di fare affidamento ai [[Fasci italiani di combattimento]], [[Fondazione dei Fasci italiani di combattimento|fondati]] da [[Benito Mussolini]] il 19 marzo 1919. Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "[[Terza via (fascismo)|terza via]]". Nel movimento confluirono arditi, futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena venti giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate [[Squadrismo|squadre d'azione]] si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista ''[[L'Avanti!]]'', devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra [[Squadrismo|squadrista]].
===Il fascismo diventa dittatura===
[[Immagine:Matteotti.jpg|thumb|200px|Giacomo Matteotti]]In vista delle elezioni del [[6 aprile]] [[1924]] Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "[[Legge Acerbo]]") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il ''listone'' guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.
 
=== Lo squadrismo fascista ===
Il [[30 maggio]] [[1924]] il deputato [[socialismo|socialista]] [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla [[Camera dei Deputati|Camera]] contestando i risultati delle elezioni. Il [[10 giugno]] [[1924]] Matteotti venne rapito e ucciso.
{{Vedi anche|Squadrismo}}
[[File:Spedizione punitiva a Roma presso una sede sindacale socialista.jpg|miniatura|Devastazione di una sede sindacale a Roma nel 1920]]
Nel giro di qualche mese le [[Squadre d'azione|squadre fasciste]] si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze fasciste con la sostanziale inazione da parte delle istituzioni. I fascisti espressero la volontà di «trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana» autodefinendosi "partito dell'ordine" riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei fasci si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari. Mussolini riuscì così a catalizzare sia le ambizioni di crescita sinora frustrate della piccola borghesia, disposta persino all'uso della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo, a questi si aggiungevano, come "cani sciolti", i molti studenti universitari affascinati dalla carica eversiva e rivoluzionaria dell'[[arditi]]smo come dall'idealismo e dalla mistica fascista e infine tutti quei nazionalisti declinanti al [[patriottismo]] massimalista. Iniziarono allora le violenze delle squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista.
 
Il 12 novembre 1921 il movimento fascista fu trasformato nel [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il [[Partito Socialista Italiano|PSI]] aveva superato di poco i 270.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti [[Emilia-Romagna|emiliani]] e [[Toscana|toscani]]. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ''ras'' furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del [[manganello]] e dell'[[olio di ricino]], o addirittura commettendo [[Omicidio|omicidi]] che restavano il più delle volte impuniti. Nel frattempo il fronte socialista andava sfaldandosi, nel 1921 a Livorno con una [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|scissione]] in seno al PSI [[I Congresso del Partito Comunista d'Italia|nacque]] il [[Partito Comunista d'Italia]] (PCd'I) con [[Antonio Gramsci]] come leader. Di fronte alla situazione politica mutata Giolitti convocò nuove elezioni alleandosi con i fascisti. Alle [[Elezioni politiche in Italia del 1921|elezioni politiche del 1921]] ci fu un lieve arretramento dei socialisti, mentre i fascisti ottennero 35 seggi.
L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'[[Aventino]] ([[Secessione aventiniana]]), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il [[16 agosto]] il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di [[Roma]]. Uomini quali [[Ivanoe Bonomi]], [[Antonio Salandra]] e [[Vittorio Emanuele Orlando]] esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma [[Vittorio Emanuele III]] appellandosi allo [[Statuto Albertino]] replicò: ''«Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato»'' e quindi non intervenne.
 
== Il regime fascista (1922-1943) ==
Ciò che accadde esattamente la notte di [[San Silvestro]] del [[1924]] non sarà forse mai accertato. Il [[3 gennaio]] [[1925]] alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:
{{Vedi anche|Storia del fascismo italiano}}
{{quote|Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.}}
 
=== Il fascismo al governo ===
Con questo discorso Mussolini si era dichiarato [[Dittatura|dittatore]]. Nel biennio [[1925]]-[[1926]] vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un ''Tribunale speciale'' con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.
{{Vedi anche|Governo Mussolini|Marcia su Roma|Delitto Matteotti|Secessione dell'Aventino}}
[[File:March on Rome 1922 - Quirinale.jpg|sinistra|miniatura|Sfilata delle squadre fasciste il 31 ottobre 1922 in seguito al giuramento del [[governo Mussolini]]]]
 
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1922 le [[squadre d'azione]] del [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), capeggiate da un quadrumvirato composto da [[Italo Balbo]], [[Cesare Maria De Vecchi]], [[Emilio De Bono]] e [[Michele Bianchi]], cominciarono ad affluire in massa verso Roma, esercitando sulle istituzioni una pressione di tipo paramilitare per favorire l'ascesa al potere di [[Benito Mussolini]]. Le avvisaglie della "[[marcia su Roma]]" provocarono la crisi del [[Governo Facta II|secondo governo Facta]], che rassegnò definitivamente le dimissioni la mattina del 28 ottobre in seguito al rifiuto di [[Re d'Italia (1861-1946)|re]] [[Vittorio Emanuele III]] di firmare il decreto sullo [[stato d'assedio]] della capitale. Sfumata l'ipotesi di un governo guidato da [[Antonio Salandra]] che includesse anche ministri fascisti, il 29 ottobre il re conferì a Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo. Il [[governo Mussolini]] nacque quindi come un governo di coalizione, comprendendo oltre ai ministri fascisti, anche quelli di area liberale e popolare, ottenendo la maggioranza nel voto parlamentare. Nel [[Discorso del bivacco|discorso d'insediamento]] mussolini tranquillizzò la classe dirigente economica e liberale. Fra le prime iniziative intraprese dal governo vi fu il tentativo di istituzionalizzare le squadre fasciste, che continuavano a commettere violenze, con la creazione della [[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale]] (MVSN). Il governo inoltre introdusse provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche [[Riforme De' Stefani|riduzioni della spesa pubblica]], la [[riforma Gentile]], che gerarchizzò il corpo scolastico istituì l'[[Insegnamento della religione cattolica in Italia|insegnamento della religione cattolica]] nelle scuole, la firma degli accordi di [[Washington]] sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di [[Jugoslavia]] circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in [[Dalmazia]].
===La crisi economica===
[[Immagine:CoA of the Regia Aeronautica.svg|thumb|200px|left|Stemma di Stato durante il fascismo.]]Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della [[prima guerra mondiale]] portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo stato.
 
[[File:Giacomo Matteotti 3.jpg|miniatura|verticale|[[Giacomo Matteotti]] dopo [[Elezioni politiche in Italia del 1924|elezioni politiche del 1924]]]]
Per risolvere il problema, come in [[Germania]], venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e [[Gran Bretagna]]. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla [[Lira italiana|lira]], che si svalutò pesantemente nei confronti di [[dollaro]] e [[Sterlina britannica|sterlina]].
 
In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale, la cosiddetta "[[Legge Acerbo]]", che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse raccolto il 25% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. La [[Lista Nazionale]] guidata da Mussolini ottenne il 60,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla Camera [[Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924|contestando i risultati delle elezioni]]. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. L'opposizione rispose al [[delitto Matteotti]] sospendendo i lavori parlamentari, la cosiddetta "[[secessione dell'Aventino]]", ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di [[Roma]]. I maggiori esponenti dell'area liberale come [[Ivanoe Bonomi]], [[Antonio Salandra]] e [[Vittorio Emanuele Orlando]] esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito, ma [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] appellandosi allo [[Statuto Albertino]] replicò: ''«''Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato''»'' e quindi non intervenne. Per risolvere la crisi, il [[Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925|3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera]], Mussolini si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti, dando di fatto inizio alla dittatura.
Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto [[alcoli|alcool]] alla [[benzina]], vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.
 
===La conciliazioneL'instaurazione condella ladittatura Chiesa===
{{Vedi anche|Politica economica fascista|Politica agraria del fascismo italiano|Propaganda fascista|Tassa sul celibato}}
[[Immagine:Patti Lateranensi.jpg|thumb|200px|I partecipante e firmatari dei Patti [[Patti lateranensi|lateranensi]]]] L'[[11 febbraio]] [[1929]] furono firmati i [[Patti lateranensi]], che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il [[Regno d'Italia]] e lo Stato della [[Città del Vaticano]].
[[File:Bundesarchiv Bild 102-09844, Mussolini in Mailand.jpg|sinistra|miniatura|Benito Mussolini in Piazza Duomo a Milano, nel maggio 1930]]
Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla così detta [[legge delle Guarentigie]] approvata unilateralmente dal [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il [[13 maggio]] [[1871]] dopo la [[presa di Roma]], questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici.
Nel biennio tra il 1925 e il 1926 il governo emanò una serie di provvedimenti liberticidi, le cosiddette [[leggi fascistissime]]: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato il ''[[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale]]'' con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime. Nel 1928 fu introdotta la [[Legge elettorale italiana del 1928|legge elettorale pelebiscitaria]].
 
Il primo grosso problema che la [[dittatura]] dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della [[prima guerra mondiale]] portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e a un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo Stato. Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i [[debiti di guerra]] contratti con [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e [[Gran Bretagna]]. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla [[Lira italiana|lira]], che si svalutò pesantemente nei confronti di [[dollaro]] e [[sterlina britannica]]. Tra le mosse per contrastare la crisi ci furono l'aumento delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la [[tassa sul celibato]], vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli. Nel 1929 l{{'}}''[[autarchia]]'' entrò anche nel linguaggio comune: furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta e orale: ad esempio [[Chiave (meccanica)|chiave inglese]] diventò ''chiave morsa'', [[Cognac (distillato)|cognac]] diventò ''arzente'', [[Traghetto|ferry-boat]] diventò ''treno-battello pontone''. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome [[Lingua francese|francofono]] dell'[[Italia nord-occidentale]] e con nome [[Lingua tedesca|tedescofono]] dell'[[Italia nord-orientale]]: secondo la [[toponomastica]] fascista, per fare un paio di esempi, [[Courmayeur]] diventò ''Cormaiore'' e [[Caldaro sulla Strada del Vino|Kaltern]] diventò ''Caldaro''. Inoltre si scoprì che anche l'uso del ''lei'' aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del ''lei'' con il ''voi'', capeggiata dal segretario del partito [[Achille Starace]].
Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in [[Italia]] non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.
[[File:Patti Lateranensi.jpg|miniatura|I partecipanti e firmatari dei [[Patti Lateranensi]]]]
L'11 febbraio 1929 furono firmati i [[Patti Lateranensi]], che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il [[Regno d'Italia]] e lo Stato della [[Città del Vaticano]]. Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla cosiddetta [[legge delle Guarentigie]] approvata unilateralmente dal [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 13 maggio 1871 dopo la [[presa di Roma]], questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici. Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in [[Italia]] non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista. Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di Stato in Italia e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della [[Santa Sede]].
 
All'inizio degli [[Anni 1930|anni trenta]] la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide, e in questo periodo l'aeronautica ricevette un forte impulso e furono organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel Mediterraneo e la prima trasvolata dell'[[Oceano Atlantico|Atlantico meridionale]] (1931), nel 1933 il quadrumviro della [[marcia su Roma]], [[Italo Balbo]], organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della [[Regia Aeronautica]] il 28 marzo 1923. A bordo di 24 [[Idrovolante|idrovolanti]] [[Savoia-Marchetti S.55|SIAI-Marchetti S.55X]] dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a [[New York]] e ritorno attraversando tutte le maggiori nazioni europee e buona parte degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. L'impresa, al tempo rilevante per il numero di velivoli che la portarono a termine e il basso tasso di problemi tecnici, diede al ferrarese notevole fama, tanto che a Chicago (tappa finale in quanto sede dell'[[Expo 1933|Esposizione universale]]) gli venne subito dedicata un'importante arteria stradale, ''Balbo Avenue''.<ref>{{cita news|lingua=it|autore=Giordano Bruno Guerri|url=https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/trasvolata-balbo-unimpresa-mediatica-che-mand-orbita-1414096.html|titolo=La trasvolata di Balbo un'impresa mediatica che mandò in orbita l'orgoglio nazionale E ingelosì Mussolini|pubblicazione=il Giornale|data=28 giugno 2017|accesso=30 agosto 2022}}</ref>
Alla soglia del potere Mussolini affermò ([[1921|giugno 1921]]) che «il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla vigilia della [[marcia su Roma]] informò la Santa Sede che non avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.
 
L'[[Eritrea]] fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore [[Jacopo Gasparini]], che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. Il [[governo Mussolini]] cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'[[Etiopia]] cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente [[Hailé Selassié]]. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore [[Jacopo Gasparini]] cercò di ottenere un protettorato sullo [[Yemen]] e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma [[Benito Mussolini|Mussolini]] non volle inimicarsi la [[Gran Bretagna]] e fermò il progetto. Negli [[Anni 1920|anni venti]] e [[Anni 1930|trenta]] l'amministrazione del [[Dodecaneso]] da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di [[lingua greca]], con la presenza di una minoranza [[Lingua turca|turca]] ed [[Lingua ebraica|ebraica]]. Durante il regime fascista furono ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a [[Eritrea]], [[Somalia]], [[Libia]], [[Dodecaneso]] e la [[Concessione italiana di Tientsin|concessione di Tientsin]], entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata [[Etiopia]] e l'[[Albania]]. Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in [[Etiopia]], divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a [[Incidente di Ual Ual|Ual Ual]], nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo Stato etiopico.
Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'[[insegnamento della religione cattolica]] nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della [[Santa Sede]].
 
=== La guerra d'Etiopia e la nascita dell'Impero ===
===Imprese propagandistiche===
{{Vedi anche|Africa Orientale Italiana|Guerra d'Etiopia|Crimini di guerra italiani|Sanzioni economiche all'Italia fascista}}
[[Immagine:Italobalbo.jpg|thumb|left|200px|Italo Balbo]]All'inizio degli [[anni 1930|anni trenta]] la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era profondamente asservita al fascismo.
[[File:Soldatietiopia.jpg|sinistra|miniatura|Coloni e soldati italiani in partenza per conquistare e colonizzare l'Abissinia nel 1935]]
[[File:Italy and Possessions September 1939.png|miniatura|L'Impero coloniale italiano nel 1939, nel momento di massima espansione]]
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli [[Anni 1920|anni venti]], [[Benito Mussolini|Mussolini]] manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto ''libero'' da ingerenze straniere era l'[[Impero d'Etiopia]], nonostante fosse membro della [[Società delle Nazioni]]. Mussolini nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esteri francese, [[Pierre Laval]] per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.<ref>Langer, William L. ed., ''An Encyclopaedia of World History''. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.</ref> Pochi mesi più tardi la [[Società delle Nazioni]] riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a [[Cagliari]] non erano soddisfatti. Il 2 ottobre [[Benito Mussolini|Mussolini]] dichiarò guerra all'Etiopia e il giorno successivo ebbero inizio le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di [[Emilio De Bono|De Bono]], sia da quelle somale, sotto il comando di [[Rodolfo Graziani]]. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno Stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana.<ref>{{cita testo|url=http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=22063|titolo=Da “Tesi on-line}}</ref>
[[File:Rodolfo Graziani 1.jpg|miniatura|[[Rodolfo Graziani]]]]
Il progetto d'invasione ebbe inizio all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine; gli scontri terminarono con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. A novembre [[Pietro Badoglio]] sostituì De Bono al comando delle truppe. Dopo la [[Guerra d'Etiopia|guerra del 1935-1936]], l'Etiopia era stata conquistata quindi dalle truppe italiane, comandate dal generale [[Pietro Badoglio]]. L'Italia era quindi divenuta impero come da progetto del regime. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il [[Re d'Italia (1861-1946)|Re d'Italia]] [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] assunse il titolo di [[Imperatore d'Etiopia]] (con il titolo di ''[[Qesar]]'', anziché quello di [[Negus|Negus Neghesti]]), Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a [[Pietro Badoglio|Badoglio]] fu concesso il titolo di Duca di [[Addis Abeba]]. La colonia [[Eritrea]] venne inglobata nell'[[Africa Orientale Italiana]] nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di ''Libia''. A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia,<ref>Antonicelli, Franco. ''Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945'' p. 67</ref> durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi<ref>Mockler, Anthony. ''Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941''p. 48</ref>) alcune atrocità e crimini contro l'umanità.<ref>Angelo Del Boca. ''Italiani, brava gente?'', Editore Neri Pozza, 2005.</ref><ref>Angelo Del Boca. ''A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini'', Baldini Castoldi Dalai, 2007</ref>
 
L'11 ottobre [[1935]] l'[[Italia]] venne sanzionata per la guerra d'[[Etiopia]]. Le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] in vigore dal 18 novembre consistevano in: embargo sulle armi e sulle munizioni; divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia; divieto di importare merci italiane; divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica. Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte a embargo mancavano [[petrolio]] e i semilavorati. In realtà fu soltanto la [[Gran Bretagna]] a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La [[Germania]] hitleriana così come gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La [[Russia]] rifornì di [[nafta]] l'[[Esercito Italiano]] per tutta la durata del conflitto, e anche la [[Polonia]] si dimostrò piuttosto aperta. In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La [[Gran Bretagna]] venne etichettata col termine di ''perfida Albione'', e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un ''posto al sole''. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'[[autarchia]], secondo la quale ''tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato''. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il [[carcadè]], il [[carbone]] con la [[lignite]], la [[lana]] con il [[lanital]] (la lana di caseina), la [[benzina]] con il ''carburante nazionale'' (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché ''«fa male»'' e sostituito con il "caffè" d'orzo.
Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima trasvolata dell'[[Oceano Atlantico|Atlantico meridionale]] (1931), nel [[1933]] il quadrumviro della [[marcia su Roma]], [[Italo Balbo]], organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della [[Regia Aeronautica]] ([[28 marzo]] [[1923]]). A bordo di 25 [[idrovolante|idrovolanti]] [[SIAI-Marchetti S.55|SIAI-Marchetti S.55X]] dal [[1º luglio]] al [[12 agosto]] [[1933]] Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a [[New York]] e ritorno attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.
 
=== L'alleanza con la Germania nazista e le leggi razziali ===
===Gli anni del consenso===
{{Vedi anche|Asse Roma-Berlino|Leggi razziali fasciste|Guerra civile spagnola}}
Nel [[1929]] l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta ed orale: ad esempio [[chiave inglese]] diventò ''chiave morsa'', [[Cognac (liquore)|cognac]] diventò ''arzente'', [[ferry-boat]] diventò ''treno-battello pontone''. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome [[Lingua francese|francofono]] dell'[[Italia nord-occidentale]] e con nome [[Lingua tedesca|tedescofono]] dell'[[Italia nord-orientale]]: secondo la [[toponomastica]] fascista, per fare un paio di esempi, [[Courmayeur]] diventò ''Cormaiore'' e [[Caldaro sulla strada del vino|Kaltern]] diventò ''Caldaro''. Inoltre si scoprì che anche l'uso del ''lei'' aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del ''lei'' con il ''voi'', capeggiata dal segretario del partito [[Achille Starace]].
[[File:Benito Mussolini and Adolf Hitler.jpg|miniatura|verticale|[[Benito Mussolini]] con [[Adolf Hitler]] nel 1937]]
Il 18 luglio 1936 scoppiò in [[Spagna]] la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la [[Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista|Falange]], una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di [[Francisco Franco]]. Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e [[Adolf Hitler|Hitler]] fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la [[Seconda repubblica spagnola]] erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.
 
Dal 1938 in [[Europa]] si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'[[Austria]] e i [[Sudeti]] e con la successiva [[Conferenza e accordo di Monaco|Conferenza di Monaco]] gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la [[Cecoslovacchia]]. Il 22 maggio 1939 i due ministri degli esteri: [[Galeazzo Ciano]] e il tedesco [[Joachim von Ribbentrop]], firmarono il [[patto d'Acciaio]], un accordo che sanciva aiuto reciproco in caso di un conflitto e si definì così l'[[Asse Roma-Berlino]]. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso [[Galeazzo Ciano]], firmatario per l'Italia, definì il patto una ''«vera e propria dinamite».''
L'[[11 ottobre]] [[1935]] l'[[Italia]] venne sanzionata per l'invasione dell'[[Etiopia]]. Le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] in vigore dal [[18 novembre]] consistevano in:
*Embargo sulle armi e sulle munizioni
*Divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia
*Divieto di importare merci italiane
*Divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica
Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo mancano [[petrolio]] e i semilavorati.
 
Il 14 luglio 1938 fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il ''[[Manifesto degli scienziati razzisti]]''. In questa sorta di ''tavola'' redatta da cinque cattedratici ([[Arturo Donaggio]], [[Franco Savorgnan]], [[Edoardo Zavattari]], [[Nicola Pende]] e [[Sabato Visco]]) e da cinque assistenti universitari ([[Leone Franci]], [[Lino Businco]], [[Lidio Cipriani]], [[Guido Landra]] e [[Marcello Ricci]]) venne fissata la ''«posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza»''. Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle [[Leggi razziali fasciste|leggi razziali]].
In realtà fu soltanto la [[Gran Bretagna]] a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La [[Germania]] hitleriana così come gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La [[Russia]] rifornì di [[nafta]] l'[[esercito italiano]] per tutta la durata del conflitto, ed anche la [[Polonia]] si dimostrò piuttosto aperta.
 
Nell'aprile del 1939 l'Albania fu [[Invasione italiana dell'Albania|occupata militarmente]] e fu imposto come sovrano [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]], che assunse anche il titolo di [[Re d'Albania]].
In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La [[Gran Bretagna]] venne etichettata col termine di ''perfida Albione'', e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un ''posto al sole''. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'[[autarchia]], secondo la quale ''tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato''. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il [[carcadè]], il [[carbone]] con la [[lignite]], la [[lana]] con il [[lanital]] (la lana di caseina), la [[benzina]] con il ''carburante nazionale'' (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché ''«fa male»'' e sostituito con il "caffè" d'orzo.
 
=== Il fascismo nella seconda guerra mondiale ===
===La guerra civile in Spagna===
{{vedi anche|guerra civile spagnola}}
[[Immagine:Savoia-Marchetti SM.81.jpg|thumb|200px|FIAT C.R.32 del XVI Gruppo Autonomo "cucaracha" scortano un S.M.81 in una missione di bombardamento.]]Il [[18 luglio]] [[1936]] scoppiò in [[Spagna]] la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del [[1936]], e la [[Falange spagnola|Falange]], una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di [[Francisco Franco]].
 
==== La non belligeranza ====
Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e [[Adolf Hitler|Hitler]] fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la [[Seconda Repubblica Spagnola]] erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.
{{Vedi anche|Entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale|Italia nella seconda guerra mondiale}}L'Italia non navigava in buone acque, non c'era stato il tempo per recuperare e riorganizzare dalle campagne d'Etiopia e di Spagna, nonché dalla Grande Guerra; i fucili erano vecchi, logori e antiquati, così come l'Aviazione, mentre la marina disponeva di navi moderne. Il dislivello con le altre potenze europee (e più in là extra europee) non era ignorabile, così si decise per non intervenire, una decisione di non belligeranza, comunicata alla Germania il 26 Giugno 1939. Anche Vittorio Emanuele III era personalmente contrario all'entrata in guerra al fianco della Germania.
 
Ciò non durò molto, innanzitutto perché la non belligeranza non era in linea con l'ideologia e la propaganda fascista, fortemente bellica e nazionalista. Altro motivo fu che Mussolini, viste le vittorie rapide ottenute dai nazisti, che avevano già conquistato Lussemburgo, Belgio, Olanda, Francia e Polonia grazie alla tattica della [[guerra lampo]] (''blitzkrieg''), valutò che la guerra sarebbe giunta rapidamente alla vittoria dei nazisti, e non poteva lasciare la gloria e l'egemonia dell'Europa ai tedeschi, doveva esserne partecipe da alleato di [[Adolf Hitler|Hitler]]. Inoltre diversi territori del bacino mediterraneo e dei Balcani, che non interessavano ai nazisti, erano d'interesse del regime fascista e per citare una dichiarazione di Mussolini "un pungo di morti da usare al tavolo delle trattative" avrebbe fatto da aiuto per perseguire gli obbiettivi dell'espansionismo fascista. Ricordiamo inoltre che l'economia italiana era strettamente legata alla Germania (il 60 % del carbone combustibile arrivava dalla Germania nazista).
===L'Italia si scopre ''francamente razzista''===
Il [[14 luglio]] [[1938]] il fascismo scrisse una delle pagine più vergognose della [[storia d'Italia]]: in quel giorno infatti fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il ''"[[Manifesto della razza]]"''. In questa sorta di ''tavola'' redatta da cinque cattedratici ([[Arturo Donaggio]], [[Franco Savorgnan]], [[Edoardo Zavattari]], [[Nicola Pende]] e [[Sabato Visco]]) e da cinque assistenti universitari ([[Leone Franci]], [[Lino Businco]], [[Lidio Cipriani]], [[Guido Landra]] e [[Marcello Ricci]]) venne fissata la ''«posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza»''.
 
==== La "guerra parallela" ====
I dieci imperativi categorici erano:
[[File:Nave Conte di Cavour Taranto.jpg|miniatura|La corazzata Cavour parzialmente affondata nella [[Notte di Taranto]] dall'aviazione inglese]]
#Le razze umane esistono
Così nel 10 Giugno 1940 l'Italia entrò in guerra ufficialmente e già tra il 21 e il 24 Giugno le truppe italiane si scontrarono contro l'esercito francese sulle Alpi occidentali (la Francia si arrese il 22 ai nazisti, Parigi conquistata il 14). Ciò portò allo Stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di [[Nizza]]. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni in [[Africa]]. Il 3 agosto venne attaccata la [[Somalia Britannica]], che venne conquistata il 19 agosto.
#Esistono grandi razze e piccole razze
#Il concetto di razza è un concetto puramente biologico
#La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
#È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici
#Esiste ormai una pura ''"razza italiana"''
#È tempo che gli italiani si proclamino ''francamente razzisti''
#È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli Orientali e gli Africani dall'altra
#Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
#I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo
 
Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale [[Rodolfo Graziani]] attaccarono gli inglesi stanziati in [[Egitto]] e si spinsero fino a [[Sidi Barrani]]. Nello stesso momento lo Stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in [[Grecia]]. Più volte bloccati dalla [[Germania]] durante l'estate nell'ottobre del 1940 gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in [[Albania]]. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della ''Corazzata Cavour'' e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al [[porto di Taranto]]. Intanto la situazione peggiorò anche in [[Africa]].
Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle [[leggi razziali fasciste|leggi razziali]].
 
Gli insuccessi in [[Grecia]] portarono, il 4 dicembre 1940, alle dimissioni di [[Pietro Badoglio]] dal ruolo di [[Capo di stato maggiore dell'Esercito italiano|capo di Stato Maggiore]] che venne sostituito dal [[generale]] [[Ugo Cavallero]]. Pochi giorni dopo, tra il 6 e l'16 dicembre gli inglesi intrapresero un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi [[Sidi Barrani]] e la [[Baia di Sollum]].
===L'alleanza con la Germania Nazista===
Dal [[1938]] in [[Europa]] si iniziò a respirare aria di guerra: [[Adolf Hitler|Hitler]] aveva già annesso l'[[Austria]] e i [[Sudeti]] e con la successiva [[Conferenza di Monaco]] gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la [[Cecoslovacchia]], mentre [[Benito Mussolini|Mussolini]] dopo l'[[Etiopia]] stava cercando nuove prede per non perdere il passo dell'alleato d'oltralpe.
 
Nel febbraio 1941 gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in [[Egitto]] penetrando anche in [[Libia]] nella regione della [[Cirenaica]]. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il 20 maggio con la resa del [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Duca d'Aosta]] dopo la [[Seconda battaglia dell'Amba Alagi|battaglia sull'Amba Alagi]]. In questa occasione all'[[Regio Esercito|esercito italiano]] fu reso l'[[onore delle armi]] da parte dei britannici.
La vittima designata venne trovata nell'[[Albania]]. In due soli giorni ([[7 aprile|7]]-[[8 aprile]] [[1939]]) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati [[Tirana]] fu conquistata.
 
Nel marzo ripresero poi le operazioni in [[Grecia]], ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della ''Guerra parallela'', così chiamata da [[Benito Mussolini|Mussolini]].<ref name="Repubblica">{{Cita libro|titolo=La seconda guerra mondiale e il dopoguerra|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=147}}</ref>
Il [[22 maggio]] tra [[Germania]] e [[Italia]] venne firmato il [[Patto d'acciaio]]. Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia in una alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso [[Galeazzo Ciano]], firmatario per l'Italia, definì il patto una ''«vera e propria dinamite»''
 
==== La "guerra subalterna" ====
==L'Impero==
[[File:Kingdom of Italy 1942 with provinces.svg|miniatura|Il Regno d'Italia tra il 1941 e il 1943, con la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia di Cattaro]] e il [[Governatorato di Dalmazia]]]]
{{Vedi anche|Africa Orientale Italiana}}[[Immagine:Italian empire 1940.PNG|300px|right|thumb|L'Impero coloniale italiano nel [[1940]], nel momento di massima espansione.]]A partire dal [[1926]]-27 l'[[Albania]] entrò gradualmente nella sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del [[1939]] fu occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano [[Vittorio Emanuele III]].
[[File:Bundesarchiv Bild 183-B27180, Russland, italienische Soldaten mit Mauleseln.jpg|sinistra|miniatura|Soldati dell'ARMIR in [[Unione Sovietica|URSS]] nel 1942]]
Nell'aprile 1941 l'Italia partecipò all'[[Invasione della Jugoslavia|invasione del Regno di Jugoslavia]] assieme alle altre Potenze dell'Asse e alla relativa spartizione del paese balcanico: nelle aree annesse dall'Italia furono istituiti la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia del Carnaro]], e il [[Governatorato di Dalmazia]]; inoltre all'Italia fu concesso anche di mettere nominalmente a capo del neo costituito [[Stato Indipendente di Croazia]] un rappresentante di [[Casa Savoia]] - l'influenza italiana sullo Stato Indipendente di Croazia si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato [[Ante Pavelić]], l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della [[Croazia]].<ref name="Repubblica" />
 
L'intervento tedesco nei [[Penisola balcanica|Balcani]] fece rinviare la campagna in [[Russia]], che venne intrapresa nel giugno [[1941]], con l'[[Operazione Barbarossa]]. Il governo italiano decise un'ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il [[CSIR|Corpo di Spedizione Italiano in Russia]] al comando del generale [[Giovanni Messe]]. Contemporaneamente l'arrivo di [[Erwin Rommel]] in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a [[Malta]] fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.
Nel [[1928]], inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in [[Etiopia]], divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a [[Incidente di Ual Ual|Ual Ual]], nel [[1934]], e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato etiopico.
 
Nel [[1942]] le operazioni italiane si concentrarono in [[Unione Sovietica]] e in [[Africa]]. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche [[Volgograd|Stalingrado]], mentre nel Nordafrica Rommel si spinse in [[Egitto]], conquistando varie città, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò a una sconfitta nella battaglia di [[Seconda battaglia di El Alamein|El Alamein]], che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto e i campi petroliferi del [[Medio Oriente]]. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci, vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni [[Divisione Ariete|Ariete]] e [[Divisione Littorio|Littorio]] che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.
Mussolini, quindi, nel gennaio [[1935]] prese accordi con il ministro degli esterni francese, [[Pierre Laval]] per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.<ref>Langer, William L. ed., ''An Encyclopaedia of World History''. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.</ref> Pochi mesi più tardi la [[società delle nazioni]] riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a [[Cagliari]] non erano soddisfatti.
 
La situazione peggiorò poi anche in [[Russia]] con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'[[Reparti italiani al fronte orientale|ARMIR]],<ref>{{Cita libro|titolo=La seconda guerra mondiale e il dopoguerra|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=194}}</ref> ex [[CSIR]]. Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre [[1942]] cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.
Il [[2 ottobre]] del [[1935]], poi [[Benito Mussolini|Mussolini]] dichiarò guerra all'Etiopia ([[Guerra d'Etiopia]]) e il giorno successivo iniziarono le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di [[Emilio De Bono|De Bono]], che da quelle somale, sotto al guida di [[Rodolfo Graziani|Graziani]]. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana<ref>[http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=22063 Da “Tesi on-line]</ref>.
In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine. A novembre [[Pietro Badoglio]] sostituì De Bono e il [[7 maggio]] [[1936]] l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. [[Vittorio Emanuele III]] assunse infatti il titolo di “Imperatore d'Etiopia”.
 
=== La guerra d'Etiopia e lacaduta nascitadel dell'Imperofascismo ===
{{Vedi anche|GuerraCaduta d'Etiopiadel fascismo|||}}
[[File:SC180476.jpg|miniatura|Lo sbarco [[sbarco in Sicilia]] a [[Gela]] nel luglio 1943]]
Il [[fascismo]] cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'[[Etiopia]] cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente [[Haile Selassie]]. Tale accordo si concretizzò nel [[1928]]. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore [[Jacopo Gasparini]] cercò di ottenere un protettorato sullo [[Yemen]] e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma [[Benito Mussolini|Mussolini]] non volle inimicarsi la [[Gran Bretagna]] e fermò il progetto.
Le sconfitte sia sul fronte africano sia su quello russo causarono in Italia gli [[scioperi antifascisti]] e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. A maggio venne presa [[Tunisi]], ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di [[Isola di Lampedusa|Lampedusa]] e [[Pantelleria]], dando inizio allo [[Sbarco in Sicilia]]. Il 10 luglio alcune armate anglo-americane sbarcano in Sicilia, che fu liberata il 17 agosto.
 
Le difficoltà militari colpirono anche [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Il 24 luglio si riunì il [[Gran consiglio del fascismo]] e il mattino seguente, con la votazione dell'[[ordine del giorno Grandi]], il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con [[Pietro Badoglio]]. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini fu arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il 26 luglio il duce venne portato a [[Ponza]], in carcere. Successivamente fu trasferito a [[La Maddalena]] e quindi il 27 agosto sul [[Gran Sasso]] a [[Campo Imperatore]]. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio, il cui mandato iniziò ufficialmente il 26 luglio 1943, annunciò la continuazione della guerra al fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente cominciò a trattare l'[[armistizio]] con gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], che venne firmato a [[Armistizio di Cassibile|Cassibile]] il 3 settembre 1943.
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli [[anni 1920|anni venti]], [[Benito Mussolini|Mussolini]] manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto ''libero'' da ingerenze straniere era l'[[Abissinia]], nonostante fosse membro della [[Società delle Nazioni]]. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il [[5 maggio]] [[1936]]. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di [[Vittorio Emanuele III]] come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di ''[[Qesar]]'', anziché quello di [[Negus Neghesti]]).
 
== Il crollo dello Stato monarchico (1943-1946) ==
Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del [[Corno d'Africa]]. [[Somalia]], [[Eritrea]] ed [[Abissinia]] vennero riunite nel vicereame dell'[[Africa Orientale Italiana]] (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel [[1941]].
 
=== Il Regno del Sud e la Repubblica Sociale Italiana ===
===Le colonie durante il fascismo ===
{{Vedi anche|Resistenza Italiana|Repubblica Sociale Italiana|Regno del Sud|}}
[[Immagine:Victor Emmanuel III of Italy.jpg|thumb|left|200 px|[[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]], Re d'Italia dal 1900 al 1946 ed Imperatore d'Etiopia dal 1936 al 1943]]Durante il [[fascismo]] l'[[Eritrea]] fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore [[Jacopo Gasparini]], che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. La colonia [[Eritrea]] venne inglobata nell'[[Africa Orientale Italiana]] nel [[1936]], diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel [[1941]] la colonia venne occupata, insieme al resto dell'[[Africa Orientale Italiana]], dalle truppe britanniche.
[[File:Bundesarchiv Bild 101I-567-1503C-18, Gran Sasso, Mussolini vor Hotel.jpg|sinistra|miniatura|Mussolini con i militari tedeschi durante l'[[operazione Quercia]] il 12 settembre 1943]][[File:Repubblica Sociale Italiana 1943 Mappa.png|miniatura|Repubblica Sociale Italiana: le aree segnate in marrone facevano ufficialmente parte della R.S.I. ma erano considerate dalla Germania zone di operazione militare e sottoposte a diretto controllo tedesco.]]l'[[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|8 settembre 1943]] Badoglio annunciò la firma dell'[[Armistizio di Cassibile|armistizio con le forze Alleate]], e il giorno successivo insieme a re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] [[Fuga di Vittorio Emanuele III|abbandonò la capitale]] per fuggire a [[Brindisi]], che divenne sede provvisoria del governo, mentre alcune armate alleate giunsero a [[Taranto]] e a [[Salerno]]. I tedeschi allora per mantenere il controllo dell'Italia centro settentrionale attuarono l'[[operazione Achse]], catturando {{M|815000}} soldati italiani privi di ordini e destinandoli a diversi lager con la qualifica di IMI ([[Internati Militari Italiani]]). Il 12 settembre con l'[[operazione Quercia]] i tedeschi liberarono Mussolini dal confino, che fu prima condotto a [[Monaco di Baviera|Monaco]] da Hitler e poi riaccompagnato in Italia, dove il 23 settembre costituì la [[Repubblica Sociale Italiana]] (RSI), o Repubblica di [[Salò]], centro amministrativo della RSI. Nel frattempo con l'[[operazione Nubifragio]] assunsero il controllo della [[Venezia Giulia]] stabilendo la [[Zona d'operazioni del Litorale adriatico]], la stessa sorte toccò anche al [[Trentino-Alto Adige]] che fu inserito nella [[Zona d'operazioni delle Prealpi]]. L'Italia si trovò così divisa in due: la Repubblica Sociale Italiana sostenuta dai tedeschi al nord, e un [[Regno del Sud]] sostenuto dagli Alleati, che il 13 ottobre 1943 aveva dichiarato guerra alla Germania. Nel gennaio del 1944 la sede provvisoria del governo fu trasferita a [[Salerno]]. Nella RSI l'11 gennaio 1944 furono fucilati a [[Verona]], dopo un [[Processo di Verona|drammatico processo pubblico]], gli ex gerarchi fascisti [[Galeazzo Ciano]], [[Emilio De Bono]], [[Luciano Gottardi]], [[Giovanni Marinelli]], [[Carluccio Pareschi]], a seguito della condanna a morte che il tribunale decretò a tutti coloro che avevano votato la sfiducia a Mussolini.
 
In breve tempo nelle città principali e nelle valli dei territori controllati dai tedeschi si costituirono le [[Resistenza italiana|prime formazioni partigiane]], che si organizzarono nel [[Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia]] (CLNAI) e nel [[Corpo volontari della libertà]] (CVL). Nella guerra partigiana contro le forze nazifasciste ci furono più aspetti contemporaneamente presenti: la "[[Resistenza italiana|guerra patriottica e lotta di liberazione]]" da un invasore straniero, [[Insurrezione|insurrezione popolare]] spontanea, "[[guerra civile]]" tra [[Antifascismo|antifascisti]] e [[Fascismo|fascisti]], "[[Lotta di classe|guerra di classe]]" con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte dei gruppi partigiani [[Socialismo|socialisti]] e [[Comunismo|comunisti]].<ref>C. Pavone, ''Una guerra civile'', pp. 169-412; G. Oliva, ''La resistenza'', ''passim''.</ref> Tra il 28 settembre e il 1º ottobre 1943 a Napoli i partigiani combatterono le [[quattro giornate di Napoli]]. Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani effettuarono lo [[sbarco di Anzio]] allo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla [[Linea Gustav]] e di liberare Roma. Il 15 febbraio 1944 dei bombardamenti danneggiarono gravemente l'[[abbazia di Montecassino]]. Nel frattempo in tutta la penisola alle azioni guerra partigiana seguirono le [[Crimini di guerra nazisti in Italia|rappresaglie nazifasciste]], come l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], reazione all'[[attentato di via Rasella]]. Nell'agosto 1944 i partigiani liberarono [[Firenze]], mentre nel novembre dello stesso anno il fronte si stabilizzò lungo la [[Linea Gotica]], ai piedi dell'[[Appennino tosco-emiliano]]. A partire dall'estate del 1944 nacquero diverse [[repubbliche partigiane]]: tra luglio e agosto la [[Repubblica di Montefiorino]]; tra agosto e settembre la [[Repubblica libera della Carnia]]; il 10 settembre si formò la [[Repubblica dell'Ossola]], che terminerà il 10 ottobre 1944 (i "40 giorni di libertà"); ad [[Alba (comune italiano)|Alba]] i partigiani presero il potere fra l'ottobre e il novembre del 1944.
All'inizio della seconda guerra mondiale, nel maggio [[1940]] le truppe italiane occuparono la Somalia britannica ([[Somaliland]]), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana. Nei primi mesi del [[1941]] le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il [[Somaliland]]. Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella [[seconda guerra mondiale]] la [[Somalia Italiana]] fu consegnata all'[[Italia]] in amministrazione fiduciaria decennale nel [[1950]].
[[File:Wkroczenie oddziałów 2 Korpusu Polskiego do Bolonii Rudnicki Bohusz-Szyszko NAC 24-515-7.jpg|miniatura|Le truppe alleate a Bologna durante la liberazione il 21 aprile 1945]]
Nel Regno del Sud, l'ostilità verso Badoglio e il re delle forze politiche antifasciste venne superata dal segretario del [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) [[Palmiro Togliatti]], che nell'aprile del 1944 con la "[[svolta di Salerno]]" acconsentì alla nascita di un [[Governo Badoglio II|secondo governo Badoglio]] sostenuto da tutti i partiti. Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la [[liberazione di Roma]], [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] nominò il figlio [[Umberto II di Savoia|Umberto]] ''Luogotenente Generale del Regno'', nel vano tentativo di ritardare il più possibile il momento dell'[[abdicazione]], e in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]] (CLN), che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto dunque poteva di fatto esercitare le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimaneva a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a [[Salerno]]. Con le dimissioni di Badoglio, il [[Governo Bonomi II|governo Bonomi]] dovette gestire i rapporti col CLNAI e il e il CVL, che il 24 agosto accettarono di rispettare le disposizioni alleate e di sottostare alle autorità del Regno del Sud. Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 e il 1945 in primavera gli alleati lanciarono l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la [[Linea Gotica]] portando gli alleati alla [[liberazione di Bologna]] il 21 aprile 1945. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il [[Anniversario della liberazione d'Italia|25 aprile]], due giorni dopo Mussolini cercò la fuga in Svizzera con [[Claretta Petacci]], ma venne riconosciuto dai partigiani a [[Dongo]] e [[Morte di Benito Mussolini|giustiziato il giorno dopo]] a [[Giulino di Mezzegra]], sul [[lago di Como]]. Le [[potenze dell'Asse]] in Italia capitolarono il 29 aprile 1945, e il 2 maggio il comando tedesco firmò la [[resa di Caserta]] delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI. Il 1º maggio, truppe partigiane jugoslave occupavano [[Trieste]], anticipando le truppe inglesi, che giunsero il 3 maggio. Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto il 9 maggio 1946, per ritirarsi in esilio ad [[Alessandria d'Egitto]], dove morì il 28 dicembre 1947.
 
=== La riorganizzazione dello Stato ===
Nel [[1934]], Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di ''Libia'', nome utilizzato 1.500 anni prima da [[Diocleziano]] per indicare quei territori. L'Italia perse il controllo sulla Libia, quando le forze italo-tedesche si [[Campagna di Tunisia|ritirarono in Tunisia]] nel [[1943]]. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla [[Gran Bretagna]] fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel [[1951]].
{{Vedi anche|Periodo costituzionale transitorio|Nascita della Repubblica Italiana}}
[[File:Umberto II, 1944.jpg|miniatura|verticale|sinistra|[[Umberto II di Savoia|Umberto II]], ultimo re d'Italia]]
Con la fine della guerra l'Italia sottoscrisse il [[Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate|trattato di Parigi]] acconsentendo a cedere l'[[Istria]] e la [[Dalmazia]] alla [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia]], inoltre fu creato il [[Territorio Libero di Trieste]] uno stato indipendente suddiviso in due aree: una anglo-americana e l'altra jugoslava. L'occupazione delle forze jugoslave provocò l'[[esodo giuliano dalmata]] della popolazione italiana durante il quale oltre il 90% della popolazione di [[lingua italiana]], in quantità stimata tra un minimo {{M|250000}} e un massimo {{formatnum:350000}} persone,<ref>A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi {{cita testo|url=http://www.adesonline.com/recensionelibroermannomattioli.htm|titolo=Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli}} e {{cita testo|url=http://www.istoreto.it/pubblicazioni/studi_documenti/marenegliocchi.htm|titolo=Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto|postscript=nessuno|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110722040237/http://www.istoreto.it/pubblicazioni/studi_documenti/marenegliocchi.htm}}</ref> abbandonò i territori [[istria]]ni e [[Dalmazia|dalmati]]; una parte degli esuli emigrò in seguito nelle Americhe o in Australia. L'Italia cedette anche il colle di [[Briga Marittima|Briga]] e il [[colle di Tenda]] alla [[Francia]], che durante la guerra aveva [[Tentativo di annessione della Valle d'Aosta alla Francia|tentato di annettere la Valle d'Aosta]], riaccorpata il 7 settembre 1945 alla [[provincia di Torino]],<ref>{{Cita legge italiana|tipo=DLL|anno=1945|mese=09|giorno=07|numero=545|titolo=Ordinamento amministrativo della Valle d'Aosta.|articolo=1|originale=si}}</ref> e poi ricostituita nella forma di [[Regione italiana a statuto speciale|regione autonoma a statuto speciale]].<ref>{{Cita legge italiana|tipo=LC|anno=1948|mese=02|giorno=26|numero=4|titolo=Statuto speciale per la Valle d'Aosta.|articolo=1|originale=si}}</ref> L'Isola di [[Saseno]] fu restituita all'Albania, il [[Isole italiane dell'Egeo|Dodecaneso]] alla Grecia e furono persi tutti i [[Colonialismo italiano|possedimenti coloniali in Africa]], da cui furono rimpatriati oltre 100.000 italiani.
 
La seconda guerra mondiale lasciò l'Italia con un'economia notevolmente compromessa ed una popolazione politicamente divisa. La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i combattimenti e i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe alleate. Il numero di [[Conteggio delle vittime della seconda guerra mondiale per nazione|italiani morti]] a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili)<ref>Giulio De Martino, ''La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale'', Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4</ref> e 443.000 morti,<ref>Secondo il rapporto ''Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45'', compilato nel 1957 da ''Roma: Istituto Centrale Statistica'' i morti militari furono 291.376, di cui 204.346 prima dell'armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 111.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l'armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153.147 (123.119 dopo l'armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda {{cita testo|url=http://www.demographic-research.org/|titolo=qui|postscript=nessuno}}. A questi vanno aggiunti 15.000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64.000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30.000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5.927 schierati con gli alleati, 17.166 partigiani e 13.000 della [[Repubblica Sociale Italiana]]. {{formatnum:1000}} persone del [[Rom (popolo)|popolo rom]] e 8.562 ebrei morirono.</ref> stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di {{formatnum:43800000}} persone si arriva conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani. In queste condizioni nacque il [[governo Parri]], che dopo pochi mesi fu sfiduciato dalla [[Democrazia Cristiana]] (DC) e dal [[Partito Liberale Italiano]] (PLI) e sostituito dal [[Governo De Gasperi I|governo di Alcide De Gasperi]], segretario della DC. Il governo De Gasperi sospese la [[commissione di epurazione]] mentre il ministro della giustizia, il segretario del PCI [[Palmiro Togliatti]] dispose l'[[Amnistia Togliatti|amnistia verso i crimini fascisti]].
Negli [[anni 1920|anni venti]] e [[anni 1930|trenta]] l'amministrazione del [[dodecaneso]] da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di [[lingua greca]], con la presenza di una minoranza [[Lingua turca|turca]] ed [[lingua ebraica|ebraica]]. Nel settembre [[1943]] dopo l'[[Armistizio di Cassibile]], i soldati del [[Terzo Reich]] occuparono le isole. L'[[8 maggio]] del [[1945]] le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il [[Trattato di Parigi (1947)]], gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel [[1948]].
 
[[File:Corriere repubblica 1946.jpg|miniatura|Prima pagina del ''[[Corriere della Sera]]'' del 6 giugno 1946]]
Durante il regime fascista fu ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a [[Eritrea]], [[Somalia]], [[Libia]], [[dodecaneso]] e la [[Concessione italiana di Tientsin|concessione di Tientsin]], entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata [[Etiopia]], l'[[Albania]].
 
Dopo la fine della guerra si cominciò a mettere in discussione la [[forma di Stato]] monarchica. Il re Vittorio Emanuele III tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del [[Umberto II d'Italia|figlio Umberto II]], tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della [[monarchia]] e la [[nascita della Repubblica Italiana]]; in contemporanea vennero eletti i delegati a un'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]], col compito di redigere una nuova Costituzione. Per la prima volta nella storia italiana, anche le donne ebbero il [[Suffragio universale|diritto al voto]]. Dalle elezioni emersero tre principali partiti di massa la [[Democrazia Cristiana]] (DC), il [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) e il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI). I risultati furono proclamati dalla [[Corte di cassazione (Italia)|Corte di cassazione]] il 10 giugno 1946, mentre il giorno successivo tutta la stampa dette ampio risalto alla notizia. Nella notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente [[Alcide De Gasperi]], prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di [[Capo provvisorio dello Stato]]. Re Umberto lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno 1946, diretto a [[Cascais]], una città nel sud del [[Portogallo]], senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946, passando così alla storia come il "Re di maggio". Nel lasciare l'Italia, l'ex re lanciò un proclama agli italiani, in cui denunciava "l'atto rivoluzionario" del Governo.<ref name=":0">Senato della Repubblica, ''<span class="plainlinks">{{cita testo|titolo=Proclama di Umberto II agli Italiani|url=http://www.senato.it/documenti/repository/leggi_e_documenti/approfondimenti/RASSEGNE/Storia/Articoli/a021.pdf}}</span>'', ("L'esortazione del Re ad evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese", Roma, 13 giugno 1946 - rassegna storica)</ref> Il 1º luglio [[Enrico De Nicola]] venne eletto dall'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] [[capo provvisorio dello Stato]]. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] con [[Giuseppe Saragat]] alla presidenza; la nuova [[Costituzione della Repubblica Italiana|costituzione repubblicana]] entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
==== Etiopia (1936 - 1941) ====
{{Vedi anche|Impero Italiano d'Etiopia}}
{{S sezione|storia|Italia}}
L'Abissinia (l'odierna [[Etiopia]]) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal generale [[Pietro Badoglio]] dopo la [[Guerra d'Etiopia|guerra del 1935-1936]]. La vittoria fu annunciata il [[9 maggio]] [[1936]], il [[Elenco dei Re d'Italia|Re d'Italia]] [[Vittorio Emanuele III]] assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a [[Pietro Badoglio|Badoglio]] fu concesso il titolo di Duca di [[Addis Abeba]].
 
== Note ==
Con la conquista dell'Etiopia, i possedimenti italiani in africa orientale (Etiopia, [[Somalia]] ed [[Eritrea]]) furono unificati sotto il nome di [[Africa Orientale Italiana]] A.O.I., e posti sotto il governo di un Viceré.
<references/>
 
== Bibliografia ==
* {{cita libro|curatore=Zygmunt G. Baranski|curatore2=Rebecca J. West|titolo=The Cambridge Companion to Modern Italian Culture|autore-capitolo=Anna Cento Bull|capitolo=Social and political cultures from 1860 to the present|editore=Cambridge University Press|anno=2006|url=https://www-cambridge-org.wikipedialibrary.idm.oclc.org/core/books/cambridge-companion-to-modern-italian-culture/social-and-political-cultures-in-italy-from-1860-to-the-present-day/FFAEF5115DD4EDFF0EA87C3BE7ECB1F7|pp=35-62|lingua=en|cid=Cento Bull}}
* {{cita libro|autore=Franco Favre|titolo=La Marina nella Grande Guerra|edizione=2008|editore=Gaspari|città=Udine|cid=Favre}}
* {{cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | wkautore=Guido Crainz|titolo=Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta | anno=2003 | editore=[[Donzelli Editore]] | città=Roma | isbn=88-7989-989-9 }}
* {{cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | titolo=Autobiografia di una repubblica. Le radici dell'Italia attuale | anno=2009 | editore=[[Donzelli Editore]] | città=Roma | isbn=978-88-6036-384-8 }}
* {{cita libro|autore=[[Scipione Guarracino]]|autore2=[[Peppino Ortoleva]]|autore3=[[Marco Revelli]]|titolo=Storia dell'età moderna. Dall'assolutismo alla nascita delle nazioni|editore=Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori|anno=1993|cid=Guarracino et al.}}
* {{cita libro|autore=Fabrizio Marinelli|autore2=Fabrizio Politi|titolo=Fisco e Stato moderno|editore=Giappichelli|anno=2022|cid=Marinelli e Politi}}
* {{cita libro|autore=[[Pasquale Villani]]|titolo=L'età contemporanea|editore=il Mulino|anno=1993|annooriginale=1983|cid=Villani}}
 
== Voci correlate ==
L'Etiopia fu la colonia italiana, insieme all'Eritrea, più interessata dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano. Tuttavia, quale membro della [[Lega delle Nazioni]], l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.
* [[Brigantaggio postunitario italiano]]
 
* [[Entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale]]
Nei primi mesi del [[1941]] le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del [[1941]]. Inoltre si ebbe anche una [[Guerriglia italiana in Africa Orientale|guerriglia italiana]] durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto [[Negus]], [[Haile Selassie]], esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.
* [[Evoluzione territoriale dell'Italia]]
 
* [[Guerre di indipendenza italiane]]
====Albania (1939 - 1943) ====
* [[Italia]]
{{Vedi anche|Occupazione italiana del Regno di Albania}}
* [[Questione meridionale]]
L'[[Albania]] era sotto la [[sfera di influenza]] italiana dagli anni venti, e l'isola di [[Saseno]] davanti [[Valona]] era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della Pace di Parigi ([[1919]]). Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel [[1939]]. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di [[Benito Mussolini|Mussolini]] di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente [[Germania nazista]] di [[Adolf Hitler|Hitler]], dopo l'[[Anschluss|occupazione dell'Austria]] e della [[Cecoslovacchia]]. L'invasione dell'Albania, iniziata il [[7 aprile]] [[1939]] fu completata in cinque giorni. Il re [[Zog I di Albania|Zog]] si rifugiò a [[Londra]].
* [[Regno d'Italia (1861-1946)]]
 
* [[Repubblica italiana]]
[[Vittorio Emanuele III]] ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da [[Shefqet Verlaci]]. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.
* [[Rinascimento italiano]]
 
* [[Risorgimento]]
Nel [[1941]] vennero uniti all'[[Albania]] il [[Kosovo]], alcune piccole aree del [[Montenegro]] ed una parte della [[Macedonia (regione storica)|Macedonia]] (territori già [[Regno di Jugoslavia|iugoslavi]]).
* [[Risorgimento giuridico]]
 
* [[Rivoluzione italiana]]
La resistenza contro l'occupazione italiana inizió nell'estate [[1942]] e si fece più violenta e organizzata nel [[1943]]: nell'estate del [[1943]] le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da [[Enver Hoxha]]. Nel [[settembre]] [[1943]] dopo la caduta di [[Benito Mussolini|Mussolini]], il controllo sull'Albania venne assunto dalla [[Germania nazista]].
* [[Storia d'Italia]]
 
* [[Storia economica d'Italia]]
== L'Italia nella Seconda guerra mondiale (1940-1945)==
* [[Storia delle religioni in Italia]]
{{Vedi anche|Seconda guerra mondiale|Storia militare dell'Italia durante la seconda guerra mondiale}}
* [[Storia militare dell'Italia durante la seconda guerra mondiale]]
===1940===
 
Nel [[1940]] l'Italia fu alleata con la [[Germania nazista]] nella [[Seconda guerra mondiale]] contro [[Francia]] e [[Regno Unito]], dichiarando nel [[1941]] guerra alla [[Unione Sovietica]] e con l'[[Impero giapponese]] agli [[Stati Uniti d'America]]. Mussolini credeva infatti in una guerra lampo a favore della [[Germania]] di [[Adolf Hitler|Hitler]] da cui poter trarre vantaggi come alleato. Il [[10 giugno]] [[1940]] l'[[Italia]] entrò quindi in guerra. I primi scontri ebbero luogo il [[21 giugno]] sulle [[Alpi]], contro la [[Francia]], ormai attacatta dai tedeschi con la tattica del [[blitzkrieg]], che portò allo stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del [[1850]], con l'esclusione di [[Nizza]]. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni nell'[[Africa]]. Il [[3 agosto]] venne attaccata la [[Somalia britannica]], che venne conquistata il [[19 agosto]]. Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale [[Rodolfo Graziani]] attaccarono gli inglesi stanziati in [[Egitto]] e si spinsero fino a [[Sidi el Barrani]]. Nello stesso momento lo stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in [[Grecia]]. Più volte bloccati dalla [[Germania]] durante l'estate nell'ottobre del [[1940]] gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in [[Albania]]. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della ''Corazzata Cavour'' e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al porto di [[Taranto]]. Intanto la situazione peggiorò anche in [[Africa]].
[[Immagine:Nave Conte di Cavour Taranto.jpg|thumb|right|200px|La corazzata Cavour parzialmente affondata nella [[Notte di Taranto]] dall'aviazione inglese]]
Gli insuccessi in [[Grecia]] portarono poi, il [[4 dicembre]] alle dimissioni dal ruolo di [[Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano|capo di Stato Maggiore]] [[Pietro Badoglio]], che venne sostituito dal [[generale]] [[Ugo Cavallero]]. Pochi giorni dopo, tra il [[6 dicembre|10]] e l'[[16 dicembre]] gli inglesi iniziarono un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi [[Sidi el Barrani]] e la [[Baia di Sollum]].
 
===1941===
Nel febbraio [[1941]] gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in [[Egitto]] penetrando anche in [[Libia]] nella regione della [[Cirenaica]]. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il [[20 maggio]] con la resa del [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Duca d'Aosta]] dopo la [[Seconda battaglia dell'Amba Alagi|battaglia sull'Amba Alagi]]. In questa occasione all'[[Regio Esercito|esercito italiano]] fu reso l'[[onore delle armi]] da parte dei britannici.
Nel marzo ripresero poi le operazioni in [[Grecia]], ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della ''Guerra parallela'', così chiamata da [[Benito Mussolini|Mussolini]].<ref name="Repubblica">{{cite book | last = | first = | title = La seconda guerra mondiale e il dopoguerra| publisher = La biblioteca di Repubblica|date=2004| pages = p.147| isbn =}}</ref>
Nell'aprile, quindi gli sforzi militari italiani si diressero verso la [[Jugoslavia]] al fine di anticipare i nazisti, senza ottenere grandi risultati. L'[[11 aprile]] i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo stato fascista di mettere nominalmente a capo dello stato croato un rappresentante di [[casa Savoia]]. L'influenza italiana si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato [[Ante Pavelic]], l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della [[Croazia]].<ref>{{cite book | last = | first = | title = La seconda guerra mondiale e il dopoguerra| publisher = La biblioteca di Repubblica|date=2004| pages = p.147| isbn =}}</ref>
 
L'intervento tedesco nei [[Balcani]] fece rinviare la campagna in [[Russia]], in quanto i nazisti avevano interesse a proteggere dagli inglesi gli stati satelliti. Nel giugno [[1941]], comunque venne intrapresa la campagna militare, con l'[[Operazione Barbarossa]].
Il governo italiano decise un'ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il [[CSIR]] al comando del generale [[Giovanni Messe]]. Contemporaneamente l'arrivo di [[Erwin Rommel]] in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a [[Malta]] fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.
 
===1942===
[[Immagine:Granatieri Roma.jpg|thumb|left|200px|I granatieri difendono [[Roma]] il [[9 settembre]] del [[1943]]]]
Nel [[1942]] le operazioni italiane si concentrarono in [[Unione Sovietica]] e [[Africa]]. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche [[Stalingrado]], mentre nel nord Africa Rommel si spinse in [[Egitto]], conquistò varie città, più importante delle quali [[Tobruch]], facendo prigionieri molti inglesi, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò ad una sconfitta nella battaglia di [[Seconda battaglia di El Alamein|El Alamein]], che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto ed i campi petroliferi del [[Medio Oriente]]. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni [[Divisione Ariete|Ariete]] e [[Divisione Littorio|Littorio]] che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.
 
La situazione peggiorò poi anche in [[Russia]] con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'[[ARMIR]],<ref>{{cite book | last = | first = | title = La seconda guerra mondiale e il dopoguerra| publisher = La biblioteca di Repubblica|date=2004| pages = p.194| isbn =}}</ref> ex [[CSIR]]. Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre [[1942]] cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.
 
===1943===
{{vedi anche|Repubblica Sociale Italiana}}
[[Immagine:SC180476.jpg|thumb|right|200px|Lo sbarco americano a [[Gela]] nel contesto dell'[[Operazione Husky]]]]
[[Image:Bundesarchiv Bild 101I-468-1419-26A, Zwei Frauen transportieren Krüge auf dem Kopf.jpg|thumb|right|250px|[[1943]]: due donne, nell'[[Italia meridionale]], che trasportano brocche d'acqua sulla testa]]
Le sconfitte sia sul fronte africano che su quello russo causarono in [[Italia]] vari [[scioperi]] e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. Intanto, in [[Africa]], proseguì la resistenza delle truppe italiane, mentre in [[Russia]] procedeva la ritirata.
A maggio venne presa [[Tunisi]], ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di [[Lampedusa]] e [[Pantelleria]], dando inizio all'[[Operazione Husky]].
 
Le difficoltà militari colpirono anche [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Il [[24 luglio]] si riunì il [[Gran Consiglio del Fascismo]] e il mattino seguente il duce venne sfiduciato. [[Vittorio Emanuele III]] decise quindi di sostituirlo a capo del governo con [[Pietro Badoglio]]. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini venne arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il duce viene portato a [[Ponza]], in carcere. Successivamente fu trasferito a [[La Maddalena]] e sul [[Gran Sasso]]. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio annunciò il continuo della guerra a fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente stava trattando l'[[armistizio]] con gli [[Alleati]], che venne firmato il [[3 settembre]] e reso pubblico l'[[8 settembre|8]].
 
Il giorno successivo [[Fuga del re Vittorio Emanuele III|il re e Badoglio fuggirono da Roma]], andando in [[Puglia]], sotto la protezione di inglesi e americani. Sempre in questi giorni le truppe italiane, che non avevano ordini precisi (e nella coscienza popolare l'8 settembre viene ricordato come il giorno del "Tutti a casa"), vennero catturate dai soldati tedeschi e molti componenti dell'esercito finirono prigionieri.
 
Il [[12 settembre]] un reparto speciale tedesco liberò Mussolini, che venne incaricato di formare un nuovo regno nel nord Italia.
 
Il Paese si trovò così diviso in due: il [[Regno del Sud]] a fianco degli alleati contro la [[Germania]] e la [[Repubblica Sociale Italiana]], formata dai reduci fascisti. Di fatto, erano entrambi due stati-fantoccio, rispettivamente degli anglo-americani e dei tedeschi. In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni partigiane, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera; tutte le formazioni si schierarono contro i fascisti, responsabili della guerra, ma non tutte contro la monarchia. Gli stessi partigiani si divisero, dando inizio così alla guerra civile italiana.
 
===Nascita dei partigiani ===
{{vedi anche|Brigata partigiana}}
I partigiani della [[resistenza italiana]] si divisero in tre grandi gruppi:
* i partigiani azzurri
* i partigiani rossi
* i partigiani verdi
Gli altri gruppi minori furono le [[Brigate bianche]] e le [[Brigate Matteotti]].
 
Tutte le formazioni partigiane riconobbero, nella diversità dei loro ideali (da ex-ufficiali a comunisti, da cattolici a monarchici), l'obiettivo comune di cacciare dalla Penisola Mussolini ed il fascismo, considerati i responsabili del disastro che aveva colpito la nazione.
 
===La Resistenza ===
{{vedi anche|Resistenza Italiana}}
 
Con un paese troncato in due, occupato da diversi eserciti impegnati in una lotta all'ultimo sangue, gli [[italia]]ni si ritrovarono in una posizione decisamente difficile.
 
Nel [[Italia meridionale|Sud]], la situazione era leggermente migliore perché gli anglo-americani lasciarono un minimo di libertà alle popolazioni, seppur litigando continuamente sulle azioni da intraprendere nei confronti del paese a guerra finita.
 
Al Nord, la situazione era difficile ed ingarbugliata: da un lato c'era uno stato fantoccio della [[Germania nazista]] (la [[Repubblica Sociale Italiana]]), che di libertà non ne lasciava neppure a [[Benito Mussolini|Mussolini]], dall'altro i partigiani, che al di là delle ideologie, lottano per l'obbiettivo comune che era la fine del fascismo prima e della guerra poi. Ma quando questi si trovarono a combattere contro altri italiani, mandati da [[Benito Mussolini|Mussolini]] a fianco dei tedeschi per frenare l'avanzata alleata, nacque una vera e propria guerra civile che ha avuto forti strascichi anche molti anni dopo la fine della guerra.
 
Sicuramente, è indubbio che chi combatté nelle file della [[Repubblica Sociale Italiana]] era dalla parte dei nazisti, ma bisogna ricordare che, di quei giovani, molti non avevano semplicemente "aderito" al [[fascismo]] ma vi erano "nati" dentro. Non avevano mai conosciuto altro regime che quello fascista, e si trovarono, così, plasmati dalla [[Fascismo|propaganda nera]], e dunque senza scelta. È in quest'ottica che si parla di "Guerra Civile".
 
===1944===
[[Immagine:Umberto4.jpg|thumb|right|[[Umberto II di Savoia|Umberto di Savoia]], "Luogotenente del Regno" dal [[5 giugno]] [[1944]]. Fu Re d'Italia dal [[9 maggio]] [[1946]] al [[13 giugno]] dello stesso anno]]L'[[11 gennaio]] [[1944]] furono fucilati a [[Verona]], dopo un [[Processo di Verona|drammatico processo pubblico]], degli ex gerarchi fascisti [[Galeazzo Ciano]], [[Emilio De Bono]], [[Luciano Gottardi]], [[Giovanni Marinelli]], [[Carluccio Pareschi]], a seguito della condanna a morte che il tribunale decretatò a tutti coloro che il [[25 luglio]] [[1943]] avevano votato la sfiducia a Mussolini nell'ordine del giorno proposto da [[Dino Grandi]] al [[Gran Consiglio del Fascismo]].
 
Il [[22 gennaio]] [[1944]] gli anglo-americani sbarcarono nell'[[Italia centrale]], nella zona compresa tra [[Anzio]] e [[Nettuno (Italia)|Nettuno]]. L'attacco, comandato dal [[maggior generale]] [[John P. Lucas]], aveva lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla [[Linea Gustav]] e di liberare [[Roma]]. La lunga battaglia che ne derivò è comunemente conosciuta come [[battaglia di Anzio]].
 
Il [[24 marzo]] i nazisti compirono l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]]. Fu un massacro, eseguito a [[Roma]] ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per un attacco eseguito da [[Resistenza italiana|partigiani]] contro le truppe germaniche ed avvenuto il giorno prima in [[via Rasella]]. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "[[Fosse Ardeatine]]", antiche cave di [[pozzolana]] site nei pressi della [[via Ardeatina]], sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili.
 
Nel [[maggio]] [[1944]] si accresce la sottomissione della [[Repubblica Sociale Italiana]] nei confronti della [[Germania nazista]]. Il [[Trentino-Alto Adige]], la [[provincia di Belluno]] e [[Tarvisio]] sono annesse al [[Terzo Reich]].
 
Il [[5 giugno]] [[1944]], il giorno dopo la [[liberazione di Roma]], [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] nomina il figlio ''Luogotenente Generale del Regno'' in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]], che prevedono di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercita di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimane a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a [[Salerno]].
 
===1945===
Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il [[1944]] ed il [[1945]] in primavera gli alleati poterono lanciare l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la [[linea gotica]] portando gli alleati alla liberazione il [[21 aprile]] [[1945]] di [[Bologna]]. L'arrivo degli alleati a [[Milano]] fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal [[CLN]] il [[25 aprile]], questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la [[Resistenza italiana|liberazione]].
 
Le truppe nazi-fasciste capitolarono il [[29 aprile]] [[1945]], ed il [[2 maggio]] il comando tedesco firmò a [[Caserta]] la resa delle sue truppe in [[Italia]] e per procura anche la resa formale dei reparti della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]].
 
=== Epilogo del conflitto e costo della guerra===
Nell'aprile del [[1945]] le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il consistente contributo delle forze [[partigiani|partigiane]], formate da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi ed anziani, e con un forte supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti.
 
La fine della guerra vide l'[[Italia]] in condizioni critiche: i combattimenti risalendo la penisola ed i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe angloamericane, ad eccezione dell'[[Trieste|area triestina]] che venne velocemente occupata dai partigiani [[Josip Broz Tito|titini]] per un periodo di sei mesi, ritirandosi solo a seguito di un ultimatum alleato. Durante questo periodo i partigiani [[Jugoslavia|jugoslavi]] massacrarono le minoranze etniche italiane presenti nell'[[Istria]] e, per nascondere il crimine, gettarono gli innumerevoli cadaveri nelle [[foibe]] [[Carso|carsiche]].
 
Il numero di [[Conteggio delle vittime della seconda guerra mondiale per nazione|italiani morti]] a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili) <ref>Giulio De Martino, ''La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale'', Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4</ref> e 443.000 morti <ref>Secondo il rapporto ''Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45'',compilato nel 1957 da ''Roma: Istituto Centrale Statistica'' i morti militari furono 291.376, di cui 204.346 prima dell'armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 111.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l'armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153.147 (123.119 dopo l'armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda [http://www.demographic-research.org/ qui]. A questi vanno aggiunti 15.000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64.000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30.000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5.927 schierati con gli alleati, 17.166 partigiani e 13.000 della [[Repubblica Sociale Italiana]]. 1.000 persone del popolo [[rom (popolo)|rom]] e 8.562 ebrei morirono.</ref>, stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di 43.800.000 persone si arriva conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani.
 
Dalla fine della guerra fino agli [[Anni 1950|anni cinquanta]] avvenne anche l'[[esodo istriano]] durante il quale circa gran parte della popolazione di [[lingua italiana]] (in quantità stimata tra un minimo 200.000 e un massimo 350.000 persone,
<ref>A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi [http://www.adesonline.com/recensionelibroermannomattioli.htm Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli] e [http://www.istoreto.it/pubblicazioni/studi_documenti/marenegliocchi.htm Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto]</ref>) abbandonò i territori [[istria]]ni e [[dalmazia|dalmati]], occupati dagli [[Jugoslavia|jugoslavi]], rifugiandosi come profughi in [[Italia]].
 
== L'Italia repubblicana ==
{{vedi anche|Nascita della Repubblica Italiana|Italia repubblicana|Prima Repubblica (Italia)}}
 
===Nascita della repubblica===
Dopo la fine della guerra in Italia lo scontento popolare, soprattutto nell'Italia settentrionale, nei confronti della [[monarchia]], in particolare, di Vittorio Emanuele III era elevatissimo. Questi tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del [[Umberto II di Savoia|figlio Umberto II]], tuttavia il [[2 giugno]] del [[1946]] un [[referendum]] istituzionale sancì la fine della [[monarchia]] e la nascita della [[Repubblica (forma statuale)|Repubblica]] [[Repubblica Italiana|Italiana]]; in contemporanea vennero eletti i delegati all'Assemblea Costituente. Per la prima volta in Italia, per questa occasione, anche la donne ebbero il [[Diritto_di_voto#In_Italia|diritto al voto]].
 
Il 1 luglio Enrico de Nicola viene nominato il primo Presidente della Repubblica Italiana.
[[Immagine:AlcideDeGasperi.jpg|thumb|right|200px|[[Alcide De Gasperi]]]]
Il primo [[Presidente del Consiglio dei ministri]] fu [[Alcide De Gasperi]], della [[Democrazia cristiana]] e, salvo poche eccezioni, dal [[1946]] al [[1993]] la [[Presidenza del Consiglio]] fu [[Democrazia Cristiana|democristiana]].
Il [[25 giugno]] [[1946]] cominciarono ufficialmente i lavori dell'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Assemblea Costituente]] con [[Giuseppe Saragat]] alla presidenza e la nuova [[Costituzione della Repubblica Italiana|costituzione repubblicana]] entrò in vigore il [[1º gennaio]] [[1948]].
 
Nel frattempo erano stati firmati nel [[1947]] i [[Trattati di Parigi (1947)|Trattati di Parigi]] con i quali formalmente e definitivamente fu siglata la pace con le potenze alleate e vennero sancite le conseguenze dell'ingresso e sconfitta nella [[Seconda guerra mondiale]], con mutilazioni nazionali territoriali: l'[[Istria]] e la [[Dalmazia]] cedute alla nascente [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia]], il [[Dodecaneso]] alla [[Grecia]], il colle di [[Briga]] ed il [[colle di Tenda]] alla [[Francia]], l'Isola di Saseno all'Albania, il pagamento dei danni di guerra alla [[URSS]] e la perdita di tutti i [[Colonialismo italiano|possedimenti coloniali italiani]].
 
Tuttavia questo fu un periodo particolarmente felice per la [[letteratura]] italiana ed ancor di più per il [[cinema]] con la nascita del [[neorealismo]].
 
===Gli anni della ricostruzione===
{{Vedi anche|Fronte dell'Uomo Qualunque|Piano Marshall|Legge truffa|Legge Merlin}}
''(Indicativamente dal [[1946]] al [[1958]]).''
[[Immagine:Marshall Plan poster.JPG|thumb|left|Poster del [[Piano Marshall]]]]
In questi anni si tentò di riparare i danni provocati prima dal fascismo e poi dalla guerra. L'Italia diventò un grande cantiere, anche grazie agli aiuti del [[Piano Marshall]]. In contemporanea si verificarono evoluzioni nella politica e nel costume.
 
Nel [[1949]] l'Italia aderì alla [[NATO]] (North Atlantic Treaty Organization).
 
Nel [[1950]] nacque la [[Cassa del Mezzogiorno]], con l'obiettivo di colmare il divario economico tra il nord ed il sud del Paese (la cosiddetta [[Questione meridionale]] era ormai riconosciuta).
 
Nel [[1954]] fu firmato il [[Memorandum di Londra (1954)|Memorandum di Londra]] con il quale il [[Territorio libero di Trieste]] veniva suddiviso in due zone, una assegnata all'Italia ed una alla [[Jugoslavia]].
 
Nel [[1955]] l'Italia venne ammessa alle [[Nazioni Unite]]. Il [[1957]] vide anche la nascita della [[Comunità Economica Europea]], il primo passo verso la realizzazione dell'[[Unione Europea]].
 
===Gli anni del "miracolo economico"===
{{Vedi anche|Strage del Vajont}}
''(Indicativamente dal [[1958]] al [[1963]]).''
 
In questi anni l'economia italiana, insieme alla società ed alla famiglia, fu trasformata dal cosiddetto '''miracolo economico'''.
 
*[[Boom economico|Il boom economico]]
*[[Centrosinistra|I primi governi di centrosinistra]]
 
L'unità nazionale italiana si stava consolidando, ma persistevano episodi di separatismo, tra i quali fu la [[Notte dei fuochi]] del 1961 in [[Alto Adige]].
 
Nel [[1961]], avvennero le celebrazioni del [[Centenario dell'Unità d'Italia|centenario dell'unificazione italiana]]: il presidente degli [[Stati Uniti]] [[John Fitzgerald Kennedy]] disse: "Tutti noi, nel senso più vasto, dobbiamo qualcosa all’esperienza italiana. È un fatto storico straordinario: ciò che siamo e in cui crediamo ha avuto origine in questa striscia di terra che si protende nel Mediterraneo. Tutto quello per la cui salvaguardia combattiamo oggi ha avuto origine in Italia, e prima ancora in Grecia. (...) Il Risorgimento, da cui è nata l’Italia moderna, come la Rivoluzione americana che ha dato le origini al nostro Paese, è stato il risveglio degli ideali più radicati della civiltà occidentale: il desiderio di libertà e di difesa dei diritti individuali. Lo Stato esiste per proteggere questi diritti, che non ci vengono grazie alla generosità dello Stato. Questo concetto, le cui origini risalgono alla Grecia e all’Italia, è stato, secondo me, uno dei fattori più importanti nello sviluppo del nostro Paese. (...) Per quanto l’Italia moderna abbia solo un secolo di vita, la cultura e la storia della penisola italiana vanno indietro di oltre duemila anni. La civiltà occidentale come la conosciamo oggi, le cui tradizioni e valori spirituali hanno dato grande significato alla vita occidentale in Europa dell’Ovest e nella comunità Atlantica, è nata sulle rive del Tevere"<ref>[http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2011/1/28/SCUOLA-Ha-ragione-Obama-c-e-una-crisi-peggiore-di-quella-economica-del-2008/3/145260/].</ref>.
 
==== Le cifre del miracolo economico ====
Tra il 1958 e il 1963 l'[[economia italiana]], ma anche la società e le famiglie italiane si trasformarono completamente in seguito al cosiddetto miracolo economico.
 
In questi anni il [[Prodotto interno lordo]], che fino al 1958 era cresciuto in media del 5.5%, crebbe nei sei anni successivi del 6.3%. Tale crescita rappresentò un record nella storia del paese. Il [[reddito pro-capite]] passò da 350000 lire a 571000 lire. Tra il 1958 e il 1959 gli investimenti lordi crebbero del 10% e tra il 1961 e il 1962 l'incremento fu del 13%. Questi numeri ridussero sensibilmente il divario storico con i grandi Paesi europei: [[Inghilterra]], [[Germania]] e [[Francia]].
 
La crescita del reddito pro capite produsse l'aumento dei consumi individuali che registrarono una crescita media di cinque punti percentuali l'anno. La domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc. ) raggiunse una crescita annua pari al 10.4%.
 
Importanti cambiamenti ci furono anche nell'alimentazione, grazie alla diffusione del [[frigorifero]], che permettendo una prolungata conservazione del cibo modificava anche le abitudini della spesa quotidiana degli italiani. Questo [[elettrodomestico]] fino al 1955 rappresentava un bene di lusso; dieci anni dopo il frigorifero era presente nel 30% delle case degli italiani. Come gli elettrodomestici, anche le automobili e le motociclette divennero beni accessibili per un gran numero di italiani. Si affermarono marchi come: [[Fiat]], [[Lancia (azienda)|Lancia]], [[Alfa Romeo]], [[Autobianchi]], [[Gilera]], e [[Piaggio]].
 
L'industria registrò una crescita pari all'84% tra il 1953 e il 1961. A testimonianza di tale crescita può essere considerato questo dato: nel 1947 [[Candy (azienda)|Candy]] produceva una [[lavatrice]] al giorno, nel 1967 una ogni 15 secondi. La produzione industriale raggiunse tali livelli sia grazie alle nuove tecnologie di produzione che arrivavano in gran parte dagli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]], sia anche grazie ad una manodopera con bassi [[salario|salari]].
 
L'elevata disponibilità di manodopera era dovuta ad un forte flusso di migrazione dalle campagne alle città e dal sud verso il nord. Chi si trasferiva, dal sud al nord o dalle campagne verso le città, spesso si trovava in condizioni economiche disperate. Tali condizioni portavano ad accettare condizioni di lavoro pesanti e mal retribuite.
 
All'aumento dell'[[industrializzazione]] si verificò la diminuzione del peso delle attività agricole nel bilancio globale dell'economia del paese. Tra il 1954 e il 1964 in tutta Italia vi fu una diminuzione di 3 milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. Il peso dell'[[agricoltura]] si ridusse del 10.8% del [[Prodotto interno lordo]].
[[Immagine:AutoSole4X1964Segni335WP.JPG|thumb|right|200px|[[Antonio Segni]] inaugura l'[[Autostrada del Sole]], il 4 ottobre 1964, a bordo della [[Lancia_Flaminia#Flaminia_presidenziali|Lancia Flaminia]] 335 presidenziale.]]
Questo notevole sviluppo fu possibile anche grazie all'intervento dello Stato nell'[[economia]] che intervenne con [[politica economica|politiche economiche]] di stampo [[John Maynard Keynes|Keynesiano]]. L'intervento del governo avvenne soprattutto attraverso l'aumento della spesa pubblica e la creazione di società a partecipazione statale. Fondamentale fu l'intervento dello Stato nella realizzazione di alcune infrastrutture necessarie per lo sviluppo del mercato. In tale ambito un importante ruolo fu ricoperto dall'[[IRI]] <ref>La cui creazione risaliva al 1933</ref> che intervenne sostanzialmente nella costruzione della rete autostradale (costituì la [[Società Autostrade]]) e nel potenziamento del settore dei trasporti, sia automobilistico, sia navale e aereo (costituzione dell'[[Alitalia]]).
 
Infine, contribuì alla crescita dell'Italia un fattore esterno, cioè, la creazione del [[Mercato Europeo Comune|Mercato comune europeo (MEC)]], preceduta dalla creazione nel 1951 della [[Comunità europea del carbone e dell'acciaio]] e la creazione della [[CEE]] nel 1957, a cui l'Italia aderì immediatamente. Con la creazione del MEC vi fu l'apertura delle frontiere europee ai commerci, col conseguente aumento delle esportazionie scambi commerciali europei.
 
Il boom economico provocò, anche, l'aumento del divario economico tra il nord e il sud d'Italia. Il tentativo di ridurre tale squilibrio con la [[Cassa per il Mezzogiorno]] non diede risultati soddisfacenti.
 
In conclusione c'è da dire che, grazie al miracolo economico, l'Italia uscì dall'arretratezza in cui versava. Tuttavia un prezzo alto fu pagato soprattutto da chi, per vivere, fu costretto ad abbandonare la propria terra d'origine per trasferirsi nelle grandi città industriali.
 
===Il sessantotto e la contestazione===
{{Vedi anche|Il Sessantotto|La contestazione}}
''(Indicativamente dal [[1963]] al [[1969]]).''
 
In seguito al boom economico la [[stratificazione sociale]] della popolazione era cambiata, l'[[urbanizzazione]] creata dai [[emigrazione|flussi migratori]] interni aveva aumentato la concentrazione della popolazione, esisteva ormai un [[ceto medio]] e si cominciava a delineare un prototipo di [[italiano medio]].
 
Nel [[1964]] la giovane Repubblica italiana rischiò un [[colpo di stato]] con il [[Piano Solo]].
 
[[Immagine:1968scuola.JPG|thumb|200px|Lavagna in una scuola occupata [[1968]]]]
Il [[1968]] vide l'Italia trasformarsi radicalmente sul piano sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e il sorgere di movimenti radicali, soprattutto comunisti, di giovani e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale e particolarmente alla scuola.
 
Il dualismo dei termini rispecchia la tendenza italiana ad indicare gli eventi con date. Ciò che fuori d'Italia fu ''contestazione'' in Italia viene solitamente definito ''68''.
 
===Gli anni settanta===
{{Vedi anche|anni di piombo}}
 
[[Immagine:Moro e Fanfani.jpg|thumb|200px|left|[[Aldo Moro]] e [[Amintore Fanfani]], definiti i due "cavalli di razza" della [[Democrazia cristiana]].]]
Negli [[anni 1970|anni settanta]] alcuni dei numerosi movimenti politici, sorti negli anni precedenti, si estremizzarono e degenerarono nel [[terrorismo]] ''rosso'' (le [[Brigate Rosse]]), accompagnato da quello ''nero'' (i gruppi [[Neofascismo|neofascisti]] come i ''[[Nuclei Armati Rivoluzionari|NAR]]'').
 
'''Il golpe Borghese'''
 
L'[[8 dicembre]] [[1970]] ci fu ancora un tentativo di colpo di stato da parte dell'[[estrema destra]], il [[Golpe Borghese]], organizzato da gruppi [[Neofascismo|neofascisti]] capitanati da [[Junio Valerio Borghese]], ex pezzo grosso della [[Repubblica Sociale Italiana]]. Il golpe venne progettato nei minimi dettagli: gli uomini di [[Junio Valerio Borghese|Borghese]] avrebbero dovuto occupare il [[Ministero dell'Interno]], il [[Ministero della Difesa]] e le sedi della [[RAI - Radiotelevisione Italiana|RAI]] e rapire il presidente della Repubblica [[Giuseppe Saragat]] e il capo della polizia [[Angelo Vicari]]; i golpisti avevano anche l'appoggio di organi eversivi ed occulti come la [[mafia siciliana]] e la loggia massonica [[P2]].
 
Mentre però l'operazione stava iniziando, [[Junio Valerio Borghese|Borghese]] annullò l'azione misteriosamente, sancendo il fallimento del golpe.
'''Le Brigate Rosse'''
 
Nell'[[estrema sinistra]] rimasero tristemente celebri le [[Brigate Rosse]], dette anche BR, che, sviluppatesi principalmente a [[Milano]] e nel [[Nord Italia]], rapirono, gambizzarono o uccisero numerosi esponenti del mondo culturale e politico italiano considerati "reazionari"; l'episodio più eclatante si ebbe nel [[1978]] quando rapirono e assassinarono il Presidente della [[Democrazia Cristiana]] [[Aldo Moro]], proprio nel momento in cui il [[Presidente del Consiglio dei Ministri|Presidente del Consiglio]] incaricato, [[Giulio Andreotti]], stava tentando di far nascere un governo con l'appoggio del [[Partito Comunista Italiano|PCI]]; l'omicidio e il rapimento gettarono l'[[Italia]] intera nello scompiglio e nel caos, accelerando il lavoro delle [[forze dell'ordine]], che, grazie ad innovativi metodi di indagine, riuscirono ad arrestare i capi delle [[Brigate Rosse]], determinandone la fine.
 
Verso la fine degli [[Anni 1970|anni settanta]] lo [[Scandalo Lockheed]] anticipava un degrado della politica che negli anni successivi avrebbe portato a svariate inchieste giudiziarie.
 
===Gli anni ottanta===
{{Vedi anche|Accordo di villa Madama}}
[[Immagine:Craxi1.jpg|thumb|left|[[Bettino Craxi]] nel [[1979]]]]
Cominciano quelli che [[Indro Montanelli|Montanelli]] chiamerà ''[[anni di fango]]''.
 
Il [[2 agosto]] [[1980]], alcuni terroristi [[neofascismo|neofascisti]] piazzarono una valigia carica di esplosivo alla [[Stazione di Bologna]], facendola esplodere. Questo attentato fu uno degli atti terroristici più gravi del [[dopoguerra]] in [[Italia]], con un bilancio di 85 morti e 200 feriti.
 
Inoltre vi fu la scoperta, all'inizio degli [[anni 1980|anni ottanta]], della [[P2|loggia massonica P2]] che mise in nuova luce molti dei misteri italiani. Il presidente del consiglio [[Arnaldo Forlani]] si dimise per lo scandalo che seguì.
 
In questi anni ci fu anche un declino del potere dei sindacati e del [[Partito Comunista Italiano|PCI]]. Crebbe la disaffezione dei cittadini per la politica.
 
Dal punto di vista sociale furono ''gli anni del riflusso'', con un ritorno delle persone dalle piazze al privato. Aumentò, in altre parole, l'individualismo, unito al [[consumismo]] in un ''edonismo consumista''.
 
Nel febbraio [[1984]] il [[Presidente del Consiglio dei Ministri|Presidente del Consiglio]] [[Bettino Craxi]] firmò con il [[Vaticano]] un protocollo aggiuntivo ai [[Patti lateranensi]] del 1929. Tale protocollo verrà ratificato dalla legge 206 del [[1985]].
 
La caduta del [[Muro di Berlino]] nel [[1989]] ebbe ripercussioni anche in [[Italia]], assumendo il significato di un crollo ideale dell'alternativa al [[capitalismo]]. L'anno successivo il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] deliberò il proprio scioglimento, costituendo una nuova forza politica che abbandonava la tradizione comunista, il [[Partito Democratico della Sinistra]]. Una minoranza del partito, contraria al cambio di linea, costituì invece il [[Partito della Rifondazione Comunista]].
 
===Seconda Repubblica===
{{vedi anche|Seconda Repubblica (Italia)}}
====Mani pulite====
{{vedi anche|Tangentopoli}}
Nel [[1992]] le indagini di [[Mani pulite]] sul fenomeno dilagante delle [[Corruzione|tangenti]] (lo scandalo venne chiamato "[[Tangentopoli]]"), portarono al coinvolgimento di numerosi esponenti nazionali e locali di tutto il [[pentapartito]], che alle elezioni amministrative del [[1994]] fu duramente punito dall'indignazione degli elettori. Lo scandalo decretò la fine dei tradizionali partiti di governo: il [[Partito Socialista Italiano]] collassò sotto il peso delle accuse giudiziarie, la [[Democrazia Cristiana]] si sciolse nel [[gennaio]] del [[1994]], mentre i [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicani]], i [[Partito Socialista Democratico Italiano|socialdemocratici]] e i [[Partito Liberale Italiano|liberali]] agonizzavano o chiudevano la loro parabola politica.
 
====La stagione delle stragi e la lotta alla mafia====
{{vedi anche|Operazione Vespri siciliani|Collusioni tra politica e mafia}}
Dagli anni del [[secondo dopoguerra]] fino ad oggi, [[Cosa nostra]], la più potente [[organizzazione criminale]] presente in [[Sicilia]] e in [[Italia]], ha esteso il suo potere negli ambienti della [[finanza]] e della politica italiana, arrivando addirittura a corrompere uomini politici e banchieri. Per molti anni la [[magistratura italiana|magistratura]] e il parlamento hanno negato l'esistenza della [[Cosa nostra|mafia]], permettendole di agire nell'ombra.
 
Tra gli [[Anni 1980|anni ottanta]] e gli [[Anni 1990|anni novanta]], i giudici [[sicilia]]ni [[Giovanni Falcone]] e [[Paolo Borsellino]], aiutati da valenti uomini della polizia, sono riusciti a fare arrestare i maggiori membri di [[Cosa nostra]], grazie anche alle dichiarazioni dei ''[[collaboratore di giustizia|pentiti]]'' (ex membri dell'organizzazione che hanno accettato di collaborare con la giustizia).
 
Le [[Cosa nostra|cosche mafiose siciliane]], incalzate dalle indagini dei giudici antimafia, ordinarono nel [[1992]] gli assassinii di [[Giovanni Falcone]] e di [[Paolo Borsellino]]. Inoltre nel [[1993]] fecero esplodere [[autobomba|autobombe]] a [[Milano]], [[Firenze]] e [[Roma]], provocando molte vittime e gravi danni al patrimonio artistico italiano. In seguito a questi attentati, il parlamento inviava in [[Sicilia]] contingenti di [[polizia]], [[carabinieri]] e militari per salvaguardare il territorio e i luoghi più a rischio (caserme, tribunali, case dei giudici, ecc...). Inoltre i boss mafiosi più pericolosi che si trovavano in carcere vennero trasferiti in penitenziari siti in località segrete e desolate, per evitare contatti con l'esterno atti ad ordinare omicidi ed intimidazioni.
 
Questi interventi provocarono l'inizio dello smantellamento di [[Cosa nostra]] da parte delle [[forze dell'ordine]]; infatti in seguito a questi fatti venne arrestato nel [[1993]] il boss [[Salvatore Riina]], latitante da 23 anni e sospettato di essere ai vertici della [[mafia siciliana]]. Gli interrogatori dei numerosi pentiti fecero emergere i legami tra mafia e politica, in particolare con l'ex presidente del consiglio [[Giulio Andreotti]], accusato dai collaboratori di giustizia di essere addirittura organico a [[Cosa nostra]]. Questo fece scoppiare uno scandalo che coinvolse i politici [[Marcello Dell'Utri]] e [[Silvio Berlusconi]], accusati di aver favorito i membri della [[mafia]] ed in particolare il boss [[Vittorio Mangano]], coinvolto in grossi affari occulti e segreti. Ci sono poi i casi di [[Vito Ciancimino]], ex sindaco di [[Palermo]], e di [[Salvatore Cuffaro]], ex presidente della [[Regione Siciliana]], indicati come coloro che hanno intrattenuto rapporti "amichevoli" e stretti con le cosche mafiose.
 
====Il nuovo panorama politico====
Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito costituito dall'imprenditore [[Silvio Berlusconi]], [[Forza Italia]], che si poneva come alternativa al vecchio sistema pur inglobando alcuni dei suoi protagonisti, e otteneva un forte successo alle [[Elezioni politiche italiane del 1994|elezioni del 1994]], con due distinte coalizioni, al Nord con la [[Lega Nord]], e al Centro Sud con il [[Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale|MSI]] (non ancora [[Alleanza Nazionale]]). Della coalizione facevano parte anche il [[Centro Cristiano Democratico|CCD]] e partiti minori. Le due coalizioni ottennero la maggioranza assoluta alla [[Camera dei Deputati|Camera]], ma non al [[Senato della Repubblica|Senato]].
 
====Berlusconi e Prodi====
In questa fase, definita "[[Seconda Repubblica (Italia)|Seconda Repubblica]]", si consolida il principio del [[bipolarismo]] e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di [[centrosinistra]] e [[centrodestra]]: dal [[1996]] al [[2001]] i governi del[[l'Ulivo]], dal [[2001]] al [[2006]] quelli della [[Casa delle Libertà]] e dal [[2006]] quello del[[l'Unione]], una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra.
Con le nuove [[Elezioni politiche italiane del 2008|elezioni]] indette dopo la caduta del governo del[[l'Unione]], il [[13 aprile|13]] e il [[14 aprile]] [[2008]] sale al potere la coalizione di [[centro-destra]], composta dal PdL ([[Il Popolo della Libertà|Popolo della Libertà]], risultato della lista unica di candidati tra [[Forza Italia|FI]], [[Alleanza Nazionale|AN]] e altri partiti minori), dalla [[Lega Nord]] e dal [[Movimento per l'Autonomia]].
All'opposizione vi sono solo la coalizione tra PD ([[Partito Democratico (Italia)|Partito Democratico]], nelle cui liste sono inclusi anche i [[Radicali Italiani]]) e [[Italia dei Valori]], e l'UdC ([[Unione di Centro (attuale)|Unione di Centro]], formata dall'[[Unione dei Democratici Cristiani e di Centro|UDC]], dalla [[Rosa per l'Italia]] e da altri partiti minori).
Per la prima volta nella storia dell'[[Italia]] repubblicana non sono presenti in parlamento rappresentanti dei partiti socialisti (riuniti alla vigilia delle elezioni nel [[Partito Socialista (Italia)|Partito Socialista]] unitario) e comunisti (riuniti ne [[La Sinistra L'Arcobaleno]] assieme alla [[Federazione dei Verdi]], anch'essa rimasta fuori dal [[Parlamento]]).
 
==Note==
{{references|2}}
 
== Bibliografia ==
* {{ cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | titolo=Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta | anno=2003 | editore=[[Donzelli]] | città=Roma | id=ISBN 8879899899 }}
* {{ cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | titolo=Autobiografia di una repubblica. Le radici dell'Italia attuale | anno=2009 | editore=[[Donzelli]] | città=Roma | id=ISBN 9788860363848 }}
 
{{portale|storia d'Italia}}
 
[[Categoria:StoriaRegno d'Italia (1861-1946)| ]]