Storia del Regno d'Italia (1861-1946): differenze tra le versioni
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[[File:Flag of Italy (1861-1946).svg|thumb|[[Bandiera d'Italia|Bandiera nazionale del Regno d'Italia dal 1861 al 1946]]]]
La '''storia del Regno d'Italia''' ha inizio nel 1861 con [[proclamazione del Regno d'Italia|la sua proclamazione]] e termina nel 1946 con la nascita della [[Repubblica Italiana]].
== L'unificazione italiana (1848-1861) ==
=== Il risorgimento ===
{{vedi anche|Risorgimento}}
Alla [[Rivoluzione francese]] e agli eventi occorsi nel contesto dell'[[Età napoleonica]] vanno attribuiti gli inizi della questione nazionale italiana e il risveglio politico che fu premessa alla sua discussione. Nel periodo della [[Restaurazione]], le inquietudini degli intellettuali e di una certa parte della nobiltà e della borghesia non erano dirette all'impostazione di un programma di unificazione nazionale, quanto piuttosto ad una serie di istanze liberali e costituzionali. La classe dirigente italiana, che aveva attraversato l'età napoleonica e le sue riforme, era ormai piuttosto sensibile ai temi dell'organizzazione dello Stato, della selezione della pubblica amministrazione, alla codificazione della giustizia. Queste esperienze si sommavano a quelle dell'[[assolutismo illuminato]].<ref>{{cita|Villani|p. 128}}.</ref> Le nuove generazioni, cresciute nella sensibilità [[Romanticismo|romantica]] e in qualche caso aderenti a [[società segrete]], come la [[Carboneria]], erano latrici di istanze più radicali, di stampo democratico. Tali istanze, però, erano poco circostanziate, perché provenivano da sezioni della società con scarsa disponibilità economica e quindi minore capacità di aggiornamento culturale. Tale radicalismo riusciva a penetrare la piccola e media borghesia dei centri urbani, mentre nelle campagne era assai attivo il filtro operato dal [[clero]] e dai notabili.<ref>{{cita|Villani|pp. 128-129}}.</ref>
[[File:Giuseppe Mazzini – Garibaldi's defence of the Roman Republic (1907) (14765049845).jpg|thumb|upright=0.8|[[Giuseppe Mazzini]]]]
Il tema dell'unificazione fu esplicitamente posto da [[Giuseppe Mazzini]] (1805-1872) negli anni trenta. L'organizzazione [[Giovane Italia (1831)|Giovane Italia]], da lui fondata, rappresentava un superamento della dimensione settaria espressa dalle precedenti organizzazioni segrete, profilandosi quasi come un partito democratico e repubblicano. L'operato di Mazzini ebbe scarso impatto sul piano numerico, ma assai forte sul piano simbolico.<ref>{{cita|Villani|p. 129}}.</ref> Agli inizi degli anni quaranta, la prospettiva di unificazione nazionale appariva irrealistica, tanto che [[Cesare Balbo]] la giudicava, nel 1843, una "puerilità, sogno tutt'al più da scolaruzzi di retorica, da poeti dozzinali, da politici di bottega". Un obbiettivo ritenuto realistico era una confederazione o federazione di Stati. I liberali moderati avevano in genere un atteggiamento più pragmatico, teso a trovare soluzioni di compromesso con gli enti statuali ospitati dalla penisola. Essi erano peraltro assai sensibili al tema economico e prospettavano un ampliamento del mercato, analogamente a quanto accadeva con lo ''[[Zollverein]]'' tedesco.<ref>{{cita|Villani|p. 130}}.</ref> A differenza del processo unitario tedesco, in Italia il contributo dei democratici fu assai significativo, anche se minoritario negli esiti. Le azioni di parte democratica furono anzi spesso di tale portata che in molti casi "obbligarono il recalcitrante Stato piemontese a spingersi ben oltre le proprie reali intenzioni". Il processo unitario italiano va dunque letto come la somma di istanze in parte inconciliabili, quelle del "partito dell'ordine" e quelle del "partito d'azione".<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 793}}.</ref>
L'elezione al soglio pontificio di [[Pio IX]], con le sue riforme, consentì la circolazione di istanze patriottiche e liberali anche nelle campagne e fra il clero, ma la frammentazione della società italiana confinò la questione nazionale ai centri urbani e ai ceti colti.<ref>{{cita|Villani|pp. 130-131}}.</ref>
[[File:Cavour engraving-detail.jpg|thumb|upright=0.8|[[Camillo Benso]]]]
Una base di consenso tra i diversi fronti politici italiani si fondava su due elementi: il superamento dell'[[Monarchia assoluta|assolutismo]] e l'indipendenza dallo straniero. Determinante fu lo scoppio di un'insurrezione anti-austriaca a Milano (le [[Cinque giornate di Milano|Cinque giornate]], 18-22 marzo 1848), con l'intervento del re sabaudo [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]]. La guerra contro l'Austria ([[Prima guerra d'indipendenza italiana]]), che vide per breve tempo la partecipazione dello [[Stato Pontificio]] e del [[Regno delle Due Sicilie]], mise allo scoperto la fragilità del fronte moderato e [[Neoguelfismo|neoguelfo]]. Carlo Alberto fu sconfitto nella [[Battaglia di Custoza (1848)|battaglia di Custoza]] e poi nella [[Battaglia di Novara (1849)|battaglia di Novara]], e dovette abdicare in favore di [[Vittorio Emanuele II]].<ref>{{cita|Villani|pp. 131-132}}.</ref> Di fronte a questi fallimenti, Mazzini rientrò dall'esilio e contribuì alla formazione dell'effimera [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]], che pure ebbe alto valore simbolico, come anche la vigorosa resistenza della neo-costituita [[Repubblica di San Marco]]. Il nuovo re decise comunque di mantenere il regime costituzionale. La libertà di stampa e di opinione garantita dal Regno fece sì che a Torino confluissero molti patrioti perseguitati dopo il '48. Il Piemonte, prima con [[Massimo D'Azeglio]], poi con [[Camillo Benso, conte di Cavour]], si affermò come l'unico Stato italiano capace di contrastare la dominazione austriaca, nonché esempio di progresso economico e civile.<ref>{{cita|Villani|pp. 132-133}}.</ref> Come nota [[Rosario Romeo]], la politica cavouriana riuscì ad avvicinare anche "quei ceti della minore borghesia di piccoli proprietari e imprenditori, di fittavoli, mezzadri e professionisti, che finora erano rimasti diffidenti e ostili davanti all'aristocratico progressismo dei moderati".<ref>Citato in {{cita|Villani|p. 133}}.</ref>
Inizialmente, Cavour era orientato a nient'altro che l'espansione del Regno di Sardegna nel settentrione. Pur se rappresentante, nello schema storiografico, della ragion di stato, in opposizione agli ideali democratici e popolari di Mazzini, in realtà Cavour seppe leggere con duttilità il dipanarsi degli eventi, non esitando ad intervenire fattivamente quando si trattò di invadere il Regno di Napoli. Cavour e Mazzini, pur se inconciliabili sul piano ideologico, furono entrambi determinanti nel promuovere il processo unitario.<ref>{{cita|Villani|pp. 133-134}}.</ref> Un passaggio fondamentale fu la partecipazione del Regno di Sardegna alla [[Guerra di Crimea]]: Cavour ottenne di porre all'attenzione del consesso internazionale la questione nazionale italiana ([[Congresso di Parigi]] del 1856).<ref name=villani134>{{cita|Villani|p. 134}}.</ref> A Parigi, Cavour poté registrare la benevolenza o almeno la tollerenza con cui Regno Unito e Francia guardavano ai liberali italiani, nonché l'ostilità verso i [[Borbone di Napoli]] e il loro Regno delle Due Sicilie, percepito come retrogrado, in particolare da [[William Gladstone]], e indicato da Cavour come causa diretta di instabilità e dei pericoli rivoluzionari.<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 799}}.</ref>
[[File:Napoléon III par Jean Hippolyte Flandrin.jpg|thumb|upright=0.8|[[Napoleone III]]]]
Dopo l'attentato di [[Felice Orsini]] (14 gennaio 1858), Cavour riuscì anche ad ottenere l'appoggio di [[Napoleone III]] in una eventuale guerra dichiarata dall'Austria. Il 20 luglio 1858, Cavour e Napoleone III si incontrarono segretamente a [[Plombières-les-Bains|Plombières]] e stilarono i termini di una soluzione della questione italiana; tali "[[accordi di Plombières]]" prevedevano la creazione di tre regni, uno al settentrione, comprendente Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna, sotto i Savoia; un regno dell'Italia centrale da affidare ad un principe francese ([[Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte|Gerolamo Napoleone]], nelle speranze dell'imperatore francese); un regno meridionale, che Napoleone avrebbe volentieri affidato ad un figlio di [[Joachim Murat]].<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 800}}.</ref> Una manovra diplomatico-militare (con l'ultimatum austriaco del 23 aprile 1859) consentì a Cavour di scatenare la [[Seconda guerra d'indipendenza italiana]]. I franco-piemontesi vinsero la [[battaglia di Magenta]] e già l'Italia centrale, dalla Toscana all'Umbria, si era sollevata, spingendo Napoleone III a firmare l'[[armistizio di Villafranca]]. Solo la [[Lombardia (regione storica)|Lombardia]] fu ceduta al Regno di Sardegna e Cavour si dimise.<ref name=villani134/>
Con il ritiro unilaterale di Napoleone III, la Toscana, Parma e Modena dovevano riaccogliere le autorità legittime di cui si erano liberate. I governi provvisori dell'Italia centrale, che avevano nel frattempo organizzato un proprio esercito, comandato da [[Giuseppe Garibaldi]] e [[Manfredo Fanti]], vennero però spinti da [[Bettino Ricasoli]] e chiedere l'annessione al Piemonte. Napoleone III non era in grado di intervenire. Gran Bretagna e Prussia vedevano di buon occhio il formarsi di uno Stato italiano capace di sottrarsi all'influenza francese. Nel marzo 1860, Cavour tornò al governo, su pressioni britanniche e francesi, e contro il desiderio di Vittorio Emanuele. Si prospettò la soluzione dei [[plebisciti risorgimentali]] in Toscana ed Emilia, di cui Napoleone III accettò l'esito; alla Francia furono cedute, anche qui con lo strumento del [[plebiscito]], [[Nizza]] e [[Savoia (regione storica)|Savoia]].<ref>{{cita|Villani|pp. 134-135}}.</ref><ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 801}}.</ref>
[[File:Gustave-Le-Gray Giuseppe-Garibaldi Palermo-1860 1-1000x1500.jpg|thumb|upright=0.8|[[Giuseppe Garibaldi]] fotografato da [[Gustave Le Gray]] a Palermo nel 1860]]
Dopo Villafranca, gli agitatori mazziniani concentrarono la propria azione al sud, soprattutto attraverso l'operato di [[Rosolino Pilo]] e [[Francesco Crispi]]. Dopo la rivolta di Palermo dell'aprile 1860 ("[[Rivolta della Gancia]]"), il [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]] convinse Garibaldi a condurre un esercito di un migliaio di volontari in Sicilia.<ref name="Guarracino_et_al">{{cita|Guarracino et al.|p. 804}}.</ref> L'iniziativa democratica ebbe dunque un'ulteriore importante affermazione: tra il 5 e il 6 marzo 1860, partì da [[Quarto al Mare|Quarto]] (Genova), la cosiddetta [[Spedizione dei Mille]], alla volta della [[Sicilia (isola)|Sicilia]]. Garibaldi, a capo della spedizione, sbarcò a [[Marsala]], assunse la dittatura dell'isola in nome di Vittorio Emanuele, sconfisse in più scontri l'[[Esercito delle Due Sicilie]], passò lo [[Stretto di Messina]] e ai primi di settembre era già alle porte di [[Napoli]], capitale del regno borbonico.<ref name=villani135>{{cita|Villani|p. 135}}.</ref>
La Spedizione dei Mille ottenne la "segreta benevolenza" di Vittorio Emanuele, ma tutta l'ostilità di Cavour e dei moderati. La fulminante iniziativa di marca democratica rischiava di ipotecare l'esito costituzionale del regno a venire e Roma, la cui conquista era ritenuta dai democratici obbiettivo di immediata importanza, poteva diventare motivo per un incidente internazionale.<ref name=villani135/> Cavour era peraltro contrario ad un'unificazione completa in tempi stretti: egli avrebbe preferito, almeno per un certo tempo, una soluzione che vedesse i Savoia al nord e i Borbone al sud, in modo da consolidare quanto ottenuto ed evitare eventuali contrasti con le maggiori potenze europee. [[Giuseppe La Farina]], spedito al sud per contrastare i piani democratici, giunse ad organizzare un moto di marca moderata a Napoli prima dell'arrivo dei garibaldini, moto che però fallì.<ref name="Guarracino_et_al" />
Le paure di Cavour non erano ingiustificate. Se i democratici avessero conquistato Roma, avrebbero imposto la linea unitaria contro quella annessionista di marca piemontese. Non solo: essi avrebbero anche potuto – in ciò anche incontrando il desiderio di Mazzini – convocare un'[[assemblea costituente]] e imprimere all'unificazione un carattere repubblicano e federalistico. I radicali, però, non colsero l'opportunità, decidendo di non appoggiare la rivolta sociale in Sicilia. La spedizione garibaldina, al suo passaggio, era interpretata dai contadini siciliani come occasione di sovvertimento degli ordinamenti tradizionali e aveva infatti sollevato in tutta la Sicilia moti di violenza e di acquisizione delle terre, nelle forme tipiche della [[rivolta agraria]]. I radicali settentrionali, però, erano latori di un discorso essenzialmente politico, estraneo a quelle istanze sociali.<ref>{{cita|Guarracino et al.|p. 805}}.</ref> Pur mettendo in campo misure di alleggerimento fiscale per i più poveri, contrastarono fermamente ogni episodio di ''[[jacquerie]]'' e appoggiarono notabili, borghesi liberali e aristocratici (in tal senso, i [[fatti di Bronte]] sono l'esempio più noto di repressione contadina da parte dei garibaldini).<ref name=guarracino806>{{cita|Guarracino et al.|p. 806}}.</ref>
Il timore che la Francia o l'Austria potessero intervenire per proteggere [[papa Pio IX]] e così vanificare quanto già fatto per l'unificazione spinse Cavour ad intervenire. Con il benestare francese, l'[[esercito piemontese]] occupò Marche e Umbria. Quando Garibaldi ottenne la sua più grande vittoria ([[battaglia del Volturno]]) ai primi di ottobre del 1860, le forze sabaude intervennero nel Regno delle Due Sicilie, mentre Cavour faceva approvare una legge per annettere i nuovi territori.<ref name=villani135/><ref name="treccani.italia2">{{Treccani|italia|Italia|accesso=23 febbraio 2023}}</ref> I democratici dovettero rinunciare alla marcia su Roma ed accettare gli immediati plebisciti del 21 ottobre (vedi [[Plebiscito delle province siciliane del 1860]] e [[Plebiscito delle province napoletane del 1860]]).<ref name=villani135/> Opporsi ai plebisciti avrebbe a quel punto significato per i radicali opporsi all'unificazione. Garibaldi dovette accettare la sconfitta politica: dopo l'[[incontro di Teano]] (26 ottobre), si ritirò nei terreni che aveva acquistato nel 1855 a [[Caprera]], isola nel nord della Sardegna.<ref name=guarracino806/> Il 4 novembre furono annesse tramite plebiscito Marche e Umbria.<ref name="treccani.italia2"/>
Con la prima convocazione del [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 18 febbraio [[1861]] e la successiva proclamazione del [[Regno d'Italia]] il 17 marzo [[1861]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele di Savoia]] divenne il primo [[Re d'Italia (1861-1946)|re d'Italia]]. Diversi passaggi istituzionali destarono però sconcerto: il nuovo regno non si dotò di una propria costituzione, ma ereditò quella del Regno di Sardegna, cioè lo [[Statuto albertino]]; la nuova legislatura apertasi il 18 febbraio non fu la I, ma l'VIII, seguendo la numerazione del Regno di Sardegna; il nuovo re mantenne la numerazione dinastica dei Savoia del tempo del Regno di Sardegna, quindi Vittorio Emanuele continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II. Il tenore di questi atti è da imputare alla volontà dei liberali piemontesi di cancellare il contributo dei radicali all'avvenuta unificazione. Ciò avvenne anche attraverso lo scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], la forza armata costituita da Garibaldi tra Sicilia e Calabria a partire dai Mille originari. Tale forza armata, fu deciso, non sarebbe stata integrata nel nuovo esercito nazionale, per evitare che vi accedessero elementi democratici e repubblicani. Non solo: diversi garibaldini, negli anni successivi, rimarranno osservati speciali dalla polizia.<ref name="treccani.italia2"/><ref name=treccani.unificazione>{{treccani|l-unificazione-italiana_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/|L'unificazione italiana|autore=[[Alberto Mario Banti]]|anno=2014|accesso=23 febbraio 2023}}</ref>
=== Le condizioni dell'Italia all'unità ===
{{Doppia immagine|right|Italia 1861 03 17.JPG|240|Italia 1870 09 20 Unificazione.JPG|240|Regno d'Italia il 17 marzo 1861, data di proclamazione del regno|Il Regno d'Italia dopo la [[Presa di Roma]], avvenuta il 20 settembre 1870, fino alla [[Prima guerra mondiale]]}}
Nel complesso, il passaggio dal periodo preunitario a quello unitario fu nel segno della continuità. Fatta eccezione per la spinta modernizzatrice di parte della classe dirigente, le divisioni regionali preunitarie, un tempo individuate da confini tra Stato e Stato, continuarono all'interno del nuovo regno. Oltre alla tipica opposizione socio-culturale tra città e campagna, il nuovo regno patì divisioni tra differenti culture territorialmente radicate e in diretta opposizione alle istanze unitarie; tali divisioni furono sempre a rischio di irrigidirsi in divisioni politico-ideologiche. L'Italia visse insomma un cambiamento politico radicale che si innestò su un generale immobilismo delle realtà statuali preunitarie.<ref>{{cita|Cento Bull|p. 37}}.</ref> La classe dirigente liberale dei primi anni del regno, ideologicamente assai omogenea, si trovò ad inseguire la costruzione di un'identità nazionale in una realtà territoriale fortemente disomogenea. Tale costruzione era peraltro ostacolata dal fatto di essere perpetrata da una ristretta minoranza, protagonista del processo politico e dell'elezione dei rappresentanti: le classi medie e gli artigiani dei centri urbani parteciparono solo in parte a tale processo, mentre il contributo delle masse rurali, per quanto sporadico, non era nemmeno gradito dalla classe dirigente.<ref name=cento38>{{cita|Cento Bull|p. 38}}.</ref>
Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], continuando nella tradizione della [[monarchia costituzionale]]. {{sf|La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò.}} Il neonato Stato si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica e di un mercato unico e, più in generale, di gestione di tutte le terre acquisite. A tutto ciò si aggiungevano altre carenze strutturali, come ad esempio l'analfabetismo, la povertà diffusa, la mancanza di infrastrutture e le gravi tensioni politiche e sociali.
[[File:The Italian Royal Family in 1867.jpg|thumb|upright=1.5|La famiglia reale italiana nel 1867]]
Il primo censimento della popolazione venne fatto tra il 31 dicembre 1861 e il 1º gennaio 1862, e costò {{formatnum:640000}} lire ({{formatnum:29.38}} lire ogni {{formatnum:1000}} abitanti). I residenti assommavano a {{formatnum:22182377}} (circa 26 milioni, se si considerano i confini attuali), mentre i presenti erano in numero inferiore ({{formatnum:405000}} di meno) per via degli emigrati temporaneamente all'estero. I maschi rappresentavano il 51%. L'età media era di 27 anni. I bambini con meno di 10 anni rappresentavano il 24% della popolazione. Ogni nucleo familiare era in media composto da 4 elementi. Il territorio considerato misurava {{formatnum:258608}} km² (nel 1951 la misura fu ricalcolata, tenendo conto delle superfici comunali corrette, con uno scarto al ribasso di circa {{formatnum:10000}} km², cioè del 4%); risultò dunque una densità di 86 abitanti per km².<ref>{{cita web|url=https://www.istat.it/it/censimenti/censimenti-precedenti|titolo=I CENSIMENTI PRECEDENTI: LA STORIA DAL 1861 FINO AI CENSIMENTI PERMANENTI|24 febbraio 2023}}</ref><ref name=treccani.demo>{{treccani|statistica-e-demografia_%28L%27Unificazione%29/|L'unificazione. Statistica e demografia|24 febbraio 2023|autore=[[Antonio Golini]]}}</ref>
Al momento dell'unificazione, circa il 70% della popolazione attiva era impegnata nell'agricoltura e dall'agricoltura derivava circa il 60% del [[prodotto nazionale lordo]]. L'industria, che incideva per circa il 20% del prodotto, impiegava circa il 20% della manodopera. Il Paese contava con solo {{M|1707|u=km}} di ferrovie (850 nell'ex Regno di Sardegna, 483 nell'ex [[Regno Lombardo-Veneto]] e 225 nell'ex [[Granducato di Toscana]]).<ref name=guarracino819>{{cita|Guarracino et al.|p. 819}}.</ref> Il reddito nazionale era pari a 1/3 di quello francese e a 1/4 di quello britannico. Circa l'80% della popolazione era analfabeta e circa il 2,5% parlava l'italiano. La gran parte della produzione era destinata all'autoconsumo. Del resto, i contadini, in genere, ricorrevano al lavoro domestico e non al mercato per ottenere i manufatti tessili o gli attrezzi agricoli di cui avevano bisogno. Il rapporto tra città e campagna era dunque assai ridotto.<ref name=guarracino819/>
[[File:Dritto 1 centesimo Italia 1861.jpg|thumb|Il dritto di un centesimo di lira del 1861]]
La nascita di un mercato nazionale dipendeva quindi dall'iniziativa del governo. C'era il problema dell'unificazione giuridico-amministrativa e quello dell'abolizione delle barriere doganali di cui si erano dotati gli Stati preunitari. La circolazione delle merci e delle informazioni doveva essere garantita dallo sviluppo di un sistema infrastrutturale (ferrovie, poste, telegrafi) che in gran parte mancava. Occorreva poi combattere l'analfabetismo, creando un sistema scolastico nazionale, con caratteristiche adeguate alle forme moderne di economia. Le spese della guerra del 1859 (263 milioni di lire), cui andavano aggiunti 180 milioni di indennità all'Austria, concorrevano a comporre un deficit di oltre 500 milioni. Il debito pubblico degli Stati preunitari, di cui il nuovo regno aveva dovuto farsi carico, ammontava a 2200 milioni.<ref name=guarracino820/>
Il regno era caratterizzato da rilevanti differenze economiche, sociali e culturali, al livello regionale e subregionale. Nelle aree collinari settentrionali e centrali, si faceva esperienza delle prime forme di penetrazione [[Capitalismo|capitalistica]] nelle campagne: si andava formando, cioè, un ceto di imprenditori agricoli, in grado di investire nel fondo da loro condotto, migliorandone la gestione e la dotazione, in particolare nell'[[allevamento]] e nella [[risicoltura]].<ref name=guarracino819/> La più diffusa forma legale di conduzione dei terreni era la [[mezzadria]]. La famiglia colonica (cioè la famiglia del mezzadro) era generalmente [[famiglia estesa|di tipo esteso]] e il maschio era il capofamiglia. A complemento del lavoro agricolo, la famiglia colonica si sostentava con emigrazioni stagionali all'estero e l'impiego nel settore tessile per donne e bambini. Come scrive Anna Cento Bull, "Il principale tratto culturale della classe contadina [nel contesto della mezzadria era] la stabilità sociale centrata sulla famiglia".<ref name=cento38/> L'atteggiamento dei proprietari fondiari verso i mezzadri era sostanzialmente [[paternalista]] e si appoggiava all'operato del [[clero]] per garantire pace sociale e regolarità della produzione (tessile e agraria).<ref>{{cita|Cento Bull|pp. 38-39}}.</ref> La crisi della piccola proprietà a conduzione familiare, incapace di tali investimenti, aveva inoltre reso disponibile un buon numero di [[braccianti]] da impiegare a salario.<ref name=guarracino819/>
[[File:Giovanni Fattori 053.jpg|thumb|upright=2.0|''Carro e contadini nella campagna romana'', dipinto di [[Giovanni Fattori]], olio su tela, 1879]]
La mezzadria era diffusa anche intorno al [[Po]], ma in quest'area, dove si andava sviluppando un modello di agricoltura intensiva e modernizzante, di marca capitalista, era in corso un processo di proletarizzazione, in cui i [[fittavoli]] assumevano braccianti nullatenenti. I mezzadri di quest'area si fecero promotori di strategie economiche collettive, che andavano al di là di quelle interne al nucleo familiare, creando le basi delle future organizzazioni di lavoratori e caratterizzandosi come fattori di instabilità sociale. Per i braccianti e per i mezzadri impoveriti, la pace sociale offriva pochi vantaggi: fino agli anni ottanta dell'Ottocento, l'[[anarchismo]] rappresentò la loro espressione politica più tipica, con ribellioni spontaneistiche contro la proprietà e lo Stato.<ref name=cento39>{{cita|Cento Bull|p. 39}}.</ref>
Al centro e in particolare nei territori dell'ex [[Stato della Chiesa]], la situazione era più arretrata. A dispetto delle riforme di [[Leopoldo II di Toscana|Leopoldo II]], vanificate dall'opposizione della nobiltà terriera, anche in Toscana prevaleva la mezzadria e la piccola azienda familiare.<ref name=guarracino820>{{cita|Guarracino et al.|p. 820}}.</ref>
Al sud, l'arretratezza del mondo agricolo, caratterizzato dal [[latifondo]], con fondi assai estesi e proprietari assenti, era drammatica.<ref name=guarracino820/> In genere, i contadini meridionali non erano nullatenenti e possedevano piccoli appezzamenti, insufficienti al sostentamento. Per questa ragione, essi erano impiegati nei latifondi, ma senza regolarità. L'impiego nei latifondi comportava lunghi spostamenti quotidiani, l'utilizzo di attrezzi antiquati e l'isolamento. I tratti culturali del contadino meridionale erano caratterizzati dal senso di instabilità, da una socialità che non andava oltre la dimensione di villaggio, un contesto sociale estremamente ristretto, in cui uomini e animali vivevano a stretto contatto e l'igiene era scarsa.<ref name=cento39/> Il tasso di produttività della terra era bassissimo, a motivo dell'utilizzo di tecniche arcaiche. Il popolo, stremato da povertà e oppressione, lottava, già prima della discesa di Garibaldi, per la redistribuzione delle [[terre demaniali]], che erano spesso oggetto degli appetiti della bassa nobiltà o dei nuovi ricchi borghesi.<ref name=guarracino820/> Il desiderio continuamente insoddisfatto di una riforma agraria e di una redistribuzione delle terre spingeva i contadini meridionali ad un radicalismo spesso violento e distruttivo, quasi pre-moderno, privo di una reale strategia politica. Il [[brigantaggio postunitario italiano]] sarà una degli esempi più significativi di queste espressioni violente.<ref>{{cita|Cento Bull|pp. 39-40}}.</ref>
Nel complesso, non è possibile parlare di un'unica classe contadina e di un'unica classe fondiaria per l'Italia del 1860, tante e tali erano le differenze al livello regionale e subregionale. La classe dirigente dovette affrontare il divario tra il "paese reale", cioè la gran massa di popolo escluso dall'esercizio attivo dei diritti di cittadinanza, e il "paese legale", cioè il sistema di Stato che una sparuta minoranza aveva concepito da sé e per sé. In ogni caso, le differenze socio-culturali tra le masse non ebbero espressione politica nei primi decenni del regno, fase in cui la divisione più lacerante era quella tra Stato e Chiesa.<ref name=cento40>{{cita|Cento Bull|p. 40}}.</ref> La Chiesa, che aveva un forte ascendente in tutti i gruppi sociali, avrebbe potuto decidere di organizzare una forza politica alternativa ai liberali, ma optò invece, con la disposizione ''[[Non expedit]]'', per l'isolazionismo politico dei cattolici. Peraltro, il conflitto tra Stato e Chiesa nell'Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento privò il processo costitutivo della nazione di un importante fattore unificante (al contrario di quanto accaduto con la [[Chiesa protestante]] nel nord Europa).<ref name=cento40/>
== La Destra storica (1861-1876) ==
{{Vedi anche|Destra storica}}Nei primi decenni del nuovo regno, i liberali al governo godettero di una preminenza politica incontrastata, basata su un suffragio estremamente ridotto (solo il 2% della popolazione, circa {{formatnum:600000}} persone, aveva diritto al voto). Si formarono comunque due ali del raggruppamento liberale, la [[Destra storica]] e la [[Sinistra storica]], eredi del confronto politico preunitario tra chi era di orientamento recisamente monarchico e chi era più sensibile alle istanze democratico-repubblicane. Dato il limitato suffragio, i membri delle due ali vantavano le stesse origini in termini di classe e vanno intesi come partiti "di notabilato", cioè partiti privi di un'[[ideologia]], di un programma preciso, di un'organizzazione e di un rapporto con un base.<ref name="cento40.41">{{cita|Cento Bull|pp. 40-41}}.</ref><ref name="treccani.sinistra2">{{treccani|sinistra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|sinistra storica italiana}}</ref> Esse, semmai, esprimevano una divisione territoriale, con la Destra a rappresentare le classi proprietarie del Nord e del Centro e la Sinistra (o "Nuova Sinistra", per distinguerla dai democratici mazziniani) a rappresentare i proprietari fondiari del Sud e i professionisti.<ref name="cento40.41" />
Le questioni che tennero banco nei primi anni dopo l'unificazione d'Italia furono la disastrosa situazione economica del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] e il brigantaggio che infestava l'area (soprattutto tra il [[1861]] e il [[1869]]): il problema divenne noto come la "[[questione meridionale]]". Ulteriore elemento di fragilità per il neonato regno italiano fu l'ostilità della [[Chiesa cattolica]] e del clero nei suoi confronti, soprattutto dopo la nascita della "[[questione romana]]". Gli orientamenti federalisti e le proposte relative alle autonomie regionali, con fautori come il democratico [[Carlo Cattaneo]] e il moderato [[Marco Minghetti]], furono messi da parte e si procedé alla cosiddetta "[[piemontesizzazione]]", cioè, secondo i suoi avversari, all'estensione di carattere accentratore dell'assolutismo piemontese a tutto il nuovo regno.<ref name="villani136">{{cita|Villani|p. 136}}.</ref> Altro punto dolente per il nuovo regno era l'incompletezza del processo unitario: il Veneto e soprattutto Roma, con tutto il Lazio, non ne facevano ancora parte. Per i democratici, la conquista di Roma rimaneva imperativa e lo stesso Cavour comprendeva l'obbligatorietà di un simile passo. Prima di morire, il 6 giugno 1861, Cavour enunciò il principio "[[Libera Chiesa in libero Stato]]".<ref name="villani136" /> Eredi politici di Cavour furono i liberali della cosiddetta "Destra storica", cioè la destra dello schieramento parlamentare. Sindaci e prefetti rappresentarono la mano operativa della volontà unificatrice di quella classe politica.<ref name="treccani.italia2"/>[[File:Riccio G. - ritratto di Marco Minghetti.jpg|thumb|upright=0.8|Ritratto di [[Marco Minghetti]]|sinistra]]
[[File:Sinking of the italian ironclad Re d'Italia.jpg|thumb|L'affondamento della fregata ''[[Re d'Italia (pirofregata)|Re d'Italia]]'' alla [[battaglia di Lissa]], episodio delle [[Terza guerra d'indipendenza italiana]] (1866)]]
[[File:Michelina de Cesare.jpg|thumb|upright=0.8|La brigantessa [[Michelina Di Cesare]] (1841-1868)]]
[[File:BrecciaPortaPia.jpg|thumb|La [[breccia di Porta Pia]], sulla destra della [[Porta Pia]], in una foto di [[Lodovico Tuminello]]]]
La cosiddetta "Destra storica" espresse gran parte dei governi del periodo 1861-1875. Tale ala del parlamento italiano ebbe origine dal raggruppamento del [[Parlamento del Regno di Sardegna]] del 1852, ai tempi del [[Connubio Rattazzi-Cavour]]. Alle file delle origini si erano poi aggiunte varie personalità liberali e democratiche: tra i piemontesi, l'economista [[Quintino Sella]], il militare [[Giovanni Lanza]], il conte [[Gustavo Ponza di San Martino]]; tra i lombardi, il conte [[Gabrio Casati]], il diplomatico [[Emilio Visconti Venosta]], l'economista [[Stefano Jacini]]; tra gli emiliani, il diplomatico [[Marco Minghetti]] e lo storico [[Luigi Carlo Farini]]; tra i toscani, il barone [[Bettino Ricasoli]], [[Ubaldino Peruzzi]], [[Luigi Guglielmo Cambray-Digny]]; tra i meridionali, il filologo napoletano [[Ruggiero Bonghi]], l'abruzzese [[Silvio Spaventa]], l'economista campano [[Antonio Scialoja]], il giurista pugliese [[Giuseppe Pisanelli]].<ref name=treccani.destra>{{treccani|destra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|destra storica italiana}}</ref>
La formazione culturale del gruppo era assai eterogenea, mentre omogenea era la provenienza sociale (alta borghesia terriera, alta finanza, industriali, aristocrazia imprenditrice imborghesita, liberi professionisti e intellettuali), come omogenea era l'idea di Stato e di società da costruire. Radicalmente [[liberisti]] in economia, tanto all'interno quanto verso l'estero, i rappresentanti della Destra storica intendevano difendere l'unità conquistata e ammodernare il Paese, inserendolo nell'area di libero scambio franco-inglese quale fornitore di prodotti agricoli e di semilavorati. Il centralismo amministrativo adottato fu di ispirazione francese.<ref name=treccani.destra/> A tale centralismo gli esponenti liberali si orientarono con riluttanza, innanzitutto per contrastare il brigantaggio meridionale, che rischiava di trasformarsi in una rivolta politicamente finalizzata alla restaurazione dei Borbone.<ref name="cento412">{{cita|Cento Bull|p. 41}}.</ref>
I primi obbiettivi dei liberali della Destra storica furono il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo Stato (per il quale si scelse un modello centralista con l'estensione della normativa del Regno di Sardegna al nuovo Stato, fenomeno noto come ''[[piemontesizzazione]]'') e il risanamento finanziario, attuato mediante il [[pareggio di bilancio]] e l'introduzione di nuove tasse, che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.
Il primo governo dopo la morte di Cavour fu il [[Governo Ricasoli I]], che cercò invano di far accettare alla Chiesa la linea cavouriana di libera Chiesa in libero Stato.<ref name="treccani.italia2"/>
Il 29 agosto 1862, si consumò la cosiddetta "[[Giornata dell'Aspromonte]]": l'esercito regio si scontrò con i volontari garibaldini per impedire a Garibaldi di marciare verso Roma, da cui l'Eroe dei due mondi intendeva scacciare Pio IX.<ref name=treccani.destra/> L'evento determinò la crisi del [[Governo Rattazzi I]], che pensava di approfittare delle iniziative di Garibaldi senza compromettere l'esecutivo.<ref name="treccani.italia2"/>
Il [[Governo Minghetti I]] concertò con la [[Secondo Impero francese|Francia]] la cosiddetta "[[Convenzione di settembre]]": il Regno d'Italia si impegnava ad assicurare l'integrità dello [[Stato Pontificio]]; la Francia si impegnava, dal canto suo, a ritirare le truppe poste a difesa del Pontefice entro due anni. Napoleone III chiese che la capitale venisse spostata da Torino ad altra sede, come segno della rinuncia italiana a Roma. Fu così che si ebbe per 6 anni [[Firenze capitale]] (1865-1871).<ref name="treccani.italia2"/>
La questione del [[Brigantaggio postunitario italiano|brigantaggio meridionale]] fu strumentalizzata da legittimisti borbonici e clericali. Il nuovo regno affrontò la questione con una durissima repressione. Nel 1863 erano impegnati su tale fronte {{formatnum:120000}} soldati, metà dell'intero [[Regio Esercito]]. Il conflitto poté dirsi concluso nel 1865, ma le rivolte contadine nel sud non si placarono del tutto e l'avversione verso lo Stato centrale fu aggravata dalla coscrizione obbligatoria e dalla pesante fiscalità. L'incameramento dei beni ecclesiastici ([[Eversione dell'asse ecclesiastico]]) e la loro liquidazione non favorì la costituzione di uno strato di piccoli e medi agricoltori e beneficiò piuttosto i latifondisti.<ref name="treccani.italia2"/>
Nello stesso periodo si ebbe la [[Codificazione del 1865]] (detto anche "Risorgimento giuridico"), con il completamento dell'unificazione giuridico-amministrativa del Regno.<ref name="treccani.italia2"/>
L'8 aprile 1866, il [[Governo La Marmora III]] siglò un trattato con la [[Prussia]] di [[Otto von Bismarck]]. Secondo il trattato, il Regno d'Italia avrebbe dovuto dichiarare guerra all'Impero austriaco se questo si fosse trovato in stato di guerra con la Prussia entro l'8 luglio.<ref>{{treccani|bismarck-schonhausen-otto-principe-di_%28Enciclopedia-Italiana%29/|BISMARCK-SCHÖNHAUSEN, Otto, principe di|autore=Giuseppe Gallavresi|anno=1930}}</ref> L'[[alleanza italo-prussiana]] condusse alla partecipazione del Regno d'Italia alla [[Guerra austro-prussiana]], il cui fronte meridionale è ricordato come la [[Terza guerra d'indipendenza italiana]]. La guerra andò bene ai prussiani, ma non agli italiani, che incapparono in due rilevanti sconfitte ([[Battaglia di Custoza (1866)|a Custoza]] e [[Battaglia di Lissa|a Lissa]]). Analogamente a quanto accaduto nel 1859, l'Austria, sconfitta, cedé il Veneto alla Francia, che lo girò all'Italia ([[trattato di Vienna (1866)|trattato di Vienna]]).<ref name="treccani.italia2"/>
Il costo della guerra del 1866 andò a sommarsi alle spese sostenute in un ventennio di ammodernamento e armonizzazione delle strutture del nuovo regno: per mettervi riparo si ricorse all'indebitamento pubblico, compensato dalla pressione fiscale, la liquidazione dei beni ecclesiastici, l'introduzione del [[corso forzoso]].<ref name=treccani.destra/> Nel 1868 fu introdotta la [[tassa sul macinato]], forse il dispositivo più noto di una forte pressioni fiscale e di una politica economica tutta tesa all'ottenimento del [[pareggio di bilancio]], raggiunto infine nel 1876.<ref name="treccani.italia2"/>
Con il tracollo di [[Napoleone III]] alla [[battaglia di Sedan]], gli italiani ebbero mano libera per chiudere la "[[questione romana]]". La "[[breccia di Porta Pia]]" (20 settembre 1870) pose fine al [[potere temporale dei papi]].<ref name="treccani.italia2"/> Nel 1871, il regno italiano regolò unilateralmente la questione romana con la cosiddetta "[[Legge delle guarentigie]]".<ref name=treccani.destra/>
La caduta della Destra storica, comunque ormai impopolare tra le masse,<ref name=treccani.destra/> fu dovuta ad una frattura tra i parlamentari piemontesi e quelli toscani (capeggiati da [[Ubaldino Peruzzi]]<ref name="treccani.sinistra2"/>), che si consumò a partire dal 1874.<ref name="cento412"/> Nel [[1876]] il governo, presieduto da Marco Minghetti, venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento. Ebbe così inizio l'epoca della [[Sinistra storica]], guidata da [[Agostino Depretis]]. Nel [[1878]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele II]] morì e sul trono gli succedette [[Umberto I d'Italia|Umberto I]].
== La Sinistra storica (1876-1887) ==
=== I governi Depretis ===
{{Vedi anche|Sinistra storica|Agostino Depretis}}
[[File:Agostino Depretis 4.jpg|miniatura|verticale|[[Agostino Depretis]] nel 1865]]
La cosiddetta "Sinistra storica" sorse dall'unione tra membri della sinistra del [[Parlamento subalpino]] e membri del [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]], cui si aggiunse la cosiddetta "Sinistra giovane", formata soprattutto da meridionali dopo l'Unità. I più importanti esponenti della Sinistra storica furono [[Agostino Depretis]], [[Benedetto Cairoli]], [[Francesco Crispi]], [[Giovanni Nicotera]] e [[Giuseppe Zanardelli]].<ref name="treccani.sinistra2"/>
Di fronte al malcontento del Paese verso la politica fiscale dei governi della Destra storica, il re affidò il compito di formare un nuovo governo all'ex mazziniano Depretis. Il [[Governo Depretis I|nuovo governo]] aveva in programma la difesa della laicità dello Stato, l'istruzione elementare obbligatoria, il decentramento amministrativo, un alleggerimento fiscale per il Mezzogiorno. Si parlerà di "rivoluzione parlamentare", ma il passaggio di consegna fu nel segno della continuità. Per circa 11 anni, tra il 1876 e il 1887, Depretis fu quasi ininterrottamente alla guida del Paese, moderando sensibilmente il programma riformista della Sinistra. In tal modo, riuscì a far convergere verso la propria maggioranza elementi di destra e ad isolare l'opposizione di sinistra, composta da repubblicani, radicali e dai primi socialisti.<ref name="treccani.italia2"/>
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del [[pareggio di bilancio]] e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica, allargando il suffragio e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale con l'intervento diretto dello Stato nell'economia. Si trattava di misure costose: dal pareggio di bilancio si passò quindi ad un disavanzo permanente, con il debito che assorbiva quasi la metà delle entrate.<ref>{{cita|Marinelli e Politi|pp. 15-16}}.</ref>
Depretis coniò la pratica del cosiddetto "[[Trasformismo (politica)|trasformismo]]", un metodo di composizione della maggioranza parlamentare che si fondava su accordi con singoli parlamentari o gruppi parlamentari, teso a superare la tradizionale opposizione tra Destra e Sinistra, e a superare le divisioni socio-culturali all'interno del Paese.<ref name="cento412"/><ref>{{treccani|trasformismo|trasformismo}}</ref> L'espressione fu coniata dalla pubblicistica e deriva dall'invito a "trasformarsi" e a divenire progressisti, fatto da Depretis nel 1882 ai parlamentari di Destra.<ref name="treccani.italia2" /> La politica trasformista fu una diretta conseguenza del carattere frammentario della classe dirigente e della classe media in Italia, che richiedeva un'arte politica tesa al compromesso. In questo periodo mutò la composizione sociale del Parlamento: i proprietari terrieri e le ''élite'' militari vennero via via sostituite da politici di professione (in particolare giornalisti e avvocati).<ref>{{cita|Cento Bull|p. 42}}.</ref>
I governi Depretis furono caratterizzati da un forte riformismo, teso ad allargare il consenso nel Paese e a mettere il Regno d'Italia alla pari con gli altri paesi europei. È in questo contesto che vennero approvate la cosiddetta [[legge Coppino]], che nel 1877 impose l'[[obbligo scolastico]] di almeno due anni a tutti i bambini, e una riforma elettorale ("[[Legge elettorale italiana del 1882|legge Zanardelli]]"), che nel 1882 portò gli aventi diritto al voto a 2 milioni di persone (il 6% della popolazione<ref name="treccani.sinistra2" />). Nel 1884, il ministro delle finanze [[Agostino Magliani]] abolì la [[tassa sul macinato]], che fu comunque sostituita da altre imposte, tra cui una sullo [[zucchero]].<ref>{{cita|Marinelli e Politi|p. 16}}.</ref> Depretis avviò anche una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l'[[inchiesta Jacini]]. Tali iniziative rivelarono una grande miseria e pessime condizioni [[Igiene|igieniche]]; l'infanzia era spesso vittima della difterite mentre gli adulti soffrivano di [[pellagra]] per [[malnutrizione]]; l'epidemia di colera del 1884-1885 causò in Italia quasi {{formatnum:18000}} vittime. La miseria dei braccianti provocò così i primi scioperi agricoli. Con la [[Grande depressione (1873-1895)|crisi economica]] in Europa, nel 1878 il governo approvò una serie misure [[Protezionismo|protezionistiche]] in favore dell'industria settentrionale e della cerealicoltura meridionale.<ref name="treccani.italia2" /> L'intervento dello Stato in economia, aggiunto ai dazi doganali, che limitavano le importazioni e favorivano il commercio interno favorirono la nascita di grandi aziende nazionali come le [[Acciaierie di Terni]] nel 1884 e la [[Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche|Società di Costruzioni Meccaniche Ernesto Breda]] nel 1886, inoltre si svilupparono le infrastrutture e la produzione industriale aumentò.
=== L'inizio del colonialismo ===
{{Vedi anche|
Nel 1878 l'equilibrio europeo concordato a Vienna rischiò di essere sconvolto dagli esiti della [[Guerra russo-turca (1877-1878)|guerra russo-turca]] e dai successivi accordi di pace che fecero crescere la sfera di influenza russa nella [[penisola balcanica]]. Il [[cancelliere]] [[Otto von Bismarck|Bismarck]], preoccupato di questo, convocò d'urgenza [[Congresso di Berlino|una conferenza a Berlino]] alla quale partecipò, come rappresentante del Regno d'Italia, il Ministro degli Esteri [[Luigi Corti]].<ref>{{cita|Favre|p. 14}}.</ref> Da questo congresso, l'[[Impero russo]] vide praticamente annullati i vantaggi ottenuti con il trattato, e all'[[Austria-Ungheria]] fu assegnata la Bosnia-Erzegovina, all'[[Inghilterra]] l'isola di [[Cipro]] e alla [[Francia]] fu assicurato l'appoggio per l'occupazione della Tunisia.<ref name="favre15">{{cita|Favre|p. 15}}.</ref>
Dallo [[Schiaffo di Tunisi]] l'Italia non ottenne alcun vantaggio di nessun genere e la delusione che ne susseguì fu grande; ma ancora più gravi furono le conseguenze che ne derivarono, prima di tutte la [[Conquista francese della Tunisia|conquista della Tunisia]] nel 1881 da parte della Francia.<ref name="favre15" />
{{Citazione|Era stata bruscamente troncata un'altra speranza italiana, quella della Tunisia, che è di fronte alla Sicilia, che i suoi figli avevano quasi colonizzata, e che pareva spettarle come campo di attività in Africa e per la sua stessa sicurezza nel Mediterraneo... [...] eppure l'Italia non poté se non sdegnarsi e gridare, non essendo nemmen da pensare [...] una guerra contro la Francia.<ref>Benedetto Croce, ''Storia d'Italia dal 1871 al 1915'', Giuseppe Laterza e figli, Bari, 1962, p. 114.</ref>}}
Ora la vicinanza alla Sicilia della Repubblica transalpina rappresentava la più grave minaccia per il territorio italiano e principale avversario per gli interessi del Regno.<ref name="favre15" /> Nei confronti della Francia si venne a creare un sentimento di timore che fece passare in secondo piano il vecchio rancore verso Vienna, nonostante questa occupasse ancora terre italiane.<ref name="favre16">{{cita|Favre|p. 16}}.</ref> Così il Regno andò a cercare un suo posto tra le potenze europee dalle quali sarebbe risultato più forte, tanto più forti sarebbero stati i suoi alleati; guardò così alla Germania, alleata all'Austria-Ungheria. Il 20 maggio 1882 si concluse il primo trattato della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]], un accordo di natura ''difensiva'' di valore quinquennale che fu rinnovato una prima volta il 20 febbraio 1887, anche se furono siglati due distinti accordi bilaterali Italia-Austria e Italia-Germania che stabilivano l'impegno dei firmatari a mantenere lo ''status quo'' nei Balcani.<ref name="favre16" /> L'ultimo rinnovo del trattato avvenne il 5 dicembre 1912, a seguito di altri due rinnovi precedenti.<ref>{{cita libro|autore=Antonello Battaglia|titolo=I rapporti italo-francesi e le linee d'invasione transalpina, 1859-1881|url=https://books.google.it/books?id=R9xwqAYAXIkC|anno=2013|editore=Edizioni Nuova Cultura|p=101}}</ref>
Depretis avviò il [[colonialismo italiano]], innanzitutto in [[Eritrea]], con l'occupazione di [[Massaua]] e l'[[Contratto di acquisto della Baia di Assab|acquisto di Assab]].<ref name="treccani.sinistra2" /> L'occupazione della [[Baia di Assab]] cominciò nel novembre 1869 con il padre [[Lazzaristi|lazzarista]] [[Giuseppe Sapeto]] che avviò le trattative per l'acquisto. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L'iniziativa fu appoggiata da [[Agostino Depretis|Depretis]] e da una compagnia privata guidata da [[Raffaele Rubattino]]. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano. Quando gli egiziani si ritirarono dal [[Corno d'Africa]] nel 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la [[Gran Bretagna]] per l'occupazione del porto di [[Massaua]] che assieme ad Assab formò i cosiddetti ''possedimenti italiani nel mar Rosso'', che dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di [[Colonia eritrea]].
La città di [[Massaua]] diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli [[Anni 1880|anni ottanta]] questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, [[Afar (popolo)|dancale]], somale e [[oromo]], autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del [[mar Rosso]]), alcuni [[Sultano|sultanati]] (i più importanti furono gli [[Harar]], gli [[Obbia]], e i [[Zanzibar]]), [[Emirato|emiri]] o capi tribali. Diverso il caso dell'[[Etiopia]], allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè [[Imperatore]]) [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]], ma con la presenza di uno Stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da [[Menelik II]]. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di [[Harar]], l'acquisto di [[Zeila]] dai britannici e l'affitto del porto di [[Chisimaio]], posto alla foce del [[Giuba (fiume)|Giuba]], in [[Somalia]]. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente. Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo Stato italiano cercò di occupare il porto di [[Zeila]], a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo.
== La crisi di fine secolo (1887-1901) ==
=== L'autoritarismo di Crispi ===
{{Vedi anche|Francesco Crispi|Guerra di Abissinia|Fasci siciliani|Scandalo del Monopolio dei Tabacchi|Scandalo della Banca Romana}}
[[File:Francesco Crispi (ritratto).jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Francesco Crispi]] nel 1890]]
Dopo la scomparsa di Depretis nel 1887, assunse la guida del governo [[Francesco Crispi]]. Appena divenuto presidente del consiglio, Crispi istituì al ministero dell'Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale. Una specifica legge del 1888, inoltre, trasformò il Consiglio superiore di sanità in un organo di medici specialisti anziché di amministratori e creò la figura del medico provinciale. La norma stabilì il principio che lo Stato dovesse essere responsabile della salute dei suoi cittadini. Con Crispi però la Sinistra prese una deriva autoritaria. Nel 1889 il movimento dei [[fasci siciliani]] diede inizio a una serie di proteste che videro migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia dell'isola, battersi per una [[riforma agraria]]. Il governo decretò l'occupazione militare della Sicilia e la condanna a morte dei capi sindacali. Parallelamente una forte collusione tra potere economico e potere politico (si ricordi anche lo [[Scandalo della Banca Romana]]) paralizzava lo sviluppo del Paese e soprattutto del Mezzogiorno. Alcuni economisti ritengono che l'economia sia stata in questo periodo "un processo artificioso" prodotto dallo [[statalismo]] economico e non dalla libera iniziativa privata. Nel 1892 fu fondato a Genova da [[Filippo Turati]] il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI), diventando in breve tempo il principale referente del movimento operaio.
[[File:Italian prisoners Ethiopia 1897 (cropped).jpg|miniatura|Soldati italiani prigionieri in Etiopia in seguito alla [[sconfitta di Adua]]]]
L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di [[Francesco Crispi]]. Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di [[Aden]] con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su [[Migiurtinia]]. Nel 1892 il [[Sultano]] di [[Zanzibar]] concesse in affitto i porti del [[Benadir]] (fra cui [[Mogadiscio]] e [[Brava (Somalia)|Brava]]) alla società commerciale "Filonardi". Il [[Benadir]], sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'[[Omo]], e per ottenere il protettorato sulla città di [[Lugh (Somalia)|Lugh]]. A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]] in una guerra contro i [[Derviscio|dervisci]] sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di [[Asmara]], sulla base di precedenti accordi fatti con [[Menelik II]] il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere [[Negus]] Neghesti, cioè "Re dei Re", Imperatore. Con il trattato che seguì, [[Menelik II]] accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un [[protettorato]] e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi. La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la [[guerra di Abissinia]] (1895-1896) e terminò con la [[Battaglia di Adua|sconfitta di Adua]] (1º marzo 1896) dove si contarono circa cinquemila morti. Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al [[colonialismo]] europeo del [[XIX secolo]]. La sconfitta militare provocò le dimissioni le dimissioni di Crispi e l'iniziativa coloniale italiana non aveva cambiato la posizione del Paese sullo scacchiere internazionale.
=== Il militarismo ===
{{
[[File:Milano, largo San Babila 04.jpg|sinistra|miniatura|Lo stato d'assedio durante i [[moti di Milano]] del 1898]]
[[File:The story of the greatest nations, from the dawn of history to the twentieth century - a comprehensive history, founded upon the leading authorities, including a complete chronology of the world, and (14591829237).jpg|miniatura|verticale|Il [[regicidio di Umberto I]] il 29 luglio 1900]]
Le forze che avevano sostenuto Crispi desideravano il proseguimento della politica autoritaria<ref>"Le norme dello Stato liberale in materia di libertà di associazione erano ancor più esili di quelle in materia di stampa. Il codice penale sardo del 1839 assoggettava tutte le associazioni ad autorizzazioni. Lo Statuto albertino non menzionava la libertà di associazione, secondo i contemporanei perché lo Stato liberale aveva sempre guardato l'associazionismo con sospetto. In mancanza di un'espressa menzione, la libertà di [[Associazione (diritto)|associazione]] si traeva per alcuni dai principi, discendeva, per altri, da norma consuetudinaria. Era prevalente, comunque, l'idea che ci si potesse associare senza bisogno di comunicazione all'autorità o di autorizzazione di quest'ultima. In queste condizioni, la libertà di associazione era molto fragile. Essa era un fatto, e poteva essere limitata. Si ammetteva che potessero essere sciolte le associazioni pericolose per la sicurezza dello Stato. Molte associazioni «sovversive» furono effettivamente sciolte. Il r.d. (Pelloux) del 22 giugno 1899, n. 227, consentiva al ministro dell'interno di sciogliere le associazioni «dirette a sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali o la costituzione dello Stato» (art. 3)": [[Sabino Cassese]], ''Lo Stato fascista'', Bologna, [[Il Mulino]], 2016, pp. 52-53.</ref>. Lo stesso [[Sidney Sonnino|Sonnino]] voleva che il regime liberale spostasse il proprio baricentro dal [[parlamentarismo]] ad un rafforzamento dell'esecutivo e del ruolo regio, secondo l'esempio [[Impero tedesco|prussiano]]. Il successo conseguito dai socialisti e dall'opposizione radicale e repubblicana nelle [[Elezioni politiche in Italia del 1897|elezioni del marzo 1897]] non fece che accrescere l'irritazione dei conservatori. La situazione precipitò nel corso del 1898, quando scoppiarono agitazioni nel Sud, a [[Milano]], [[Parma]], [[Firenze]] e in altre località. Furono operati centinaia di arresti, e a Milano avvenne l'[[Moti di Milano|eccidio dei dimostranti]] ad opera delle truppe comandate dal generale [[Fiorenzo Bava Beccaris|Bava Beccaris]], che tra il 6 e il 7 maggio 1898 fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava pane e lavoro. Con la proclamazione dello stato d'assedio, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali di opposizione e le sedi dei partiti operai. La situazione si era talmente deteriorata che all'interno del Ministero scoppiarono nuovi contrasti. [[Antonio di Rudinì]] chiese al re [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] di sciogliere la [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]] ed indire nuove elezioni, ma il re rifiutò, determinando le dimissioni del di Rudinì nel giugno 1898, ed incaricò il generale [[Luigi Pelloux]] di formare il governo. In questo periodo milioni di contadini emigrarono nelle Americhe e in altri stati europei.
Pelloux dapprima operò in modo da ricreare una certa condizione di normalità togliendo lo [[stato d'assedio]]. Ben presto, però, divenne lo strumento di quella corrente reazionaria che desiderava porre fine al [[regime parlamentare]] ed instaurare un regime alla [[Otto von Bismarck|prussiana]]. Per riuscire in questo piano era necessario limitare le opposizioni e a questo scopo vennero proposti una serie di [[Progetto di legge|progetti di legge]] che ponevano sotto controllo la stampa, limitavano strettamente il diritto di riunione, colpivano il diritto di associazione, vietavano lo [[sciopero]] nei servizi pubblici. Di fronte a questa svolta reazionaria si determinò una opposizione che andava dai [[socialisti]] fino a quella [[borghesia]] [[Liberali|liberale]] che, ad una politica di conservatorismo autoritario, preferiva una politica di apertura democratica e riformista. Nella discussione parlamentare dei progetti di legge, i socialisti ricorsero all'[[ostruzionismo]]. Pelloux tentò, allora, di dare valore esecutivo ai suoi decreti senza l'approvazione del Parlamento, ma la [[Corte di cassazione]] dichiarò illegittima tale prassi. La grande industria milanese, giudicato troppo pericoloso il tentativo reazionario di fronte alle resistenze emerse, finì per abbandonarlo. Pelloux chiese nuove elezioni, ma i risultati delle elezioni portarono ad un notevole rafforzamento dei [[Partito Socialista Italiano|socialisti]], dei [[Radicalismo|radicali]], dei [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicani]] e della nuova opposizione [[Liberalismo|liberale]]: Pelloux rassegnò le dimissioni.
Il Re Umberto I diede l'incarico del governo al vecchio Senatore Giuseppe Saracco e questo fu il suo ultimo atto, poiché un [[anarchico]], [[Gaetano Bresci]], lo [[Regicidio di Umberto I|assassinò a Monza]], il 29 luglio 1900, per vendicare i morti causati dalla repressione di [[Bava Beccaris]] durante i [[moti di Milano]]. L'episodio più rilevante del ministero Saracco fu uno sciopero generale proclamato a [[Genova]] dopo che il [[prefetto]] aveva decretato, nel dicembre 1900, lo scioglimento della Camera del Lavoro. Saracco, fra molte incertezze, finì per revocare tale scioglimento e dare le dimissioni. Il nuovo Re, [[Vittorio Emanuele III]], nominò Presidente del Consiglio [[Giuseppe Zanardelli]], un [[liberale]] che si era pronunciato contro la repressione, il quale scelse come [[Ministri dell'interno del Regno d'Italia|Ministro dell'interno]] [[Giovanni Giolitti]].
== L'età giolittiana (1901-1914) ==
{{vedi anche|Età giolittiana}}
[[File:Giolitti ritratto.jpg|miniatura|[[Giovanni Giolitti]].]]Il periodo compreso tra il 1901 e il 1914 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello Stato liberale, insieme con le prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del [[socialismo]], ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le file del partito socialista, che posero in minoranza l'ala [[Massimalismo (politica)|massimalista]], fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel partito socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai.
Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la [[Basilicata]], la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il [[Stabilimento siderurgico di Bagnoli|centro siderurgico di Bagnoli]]. Un altro importante progetto portò alla statalizzazione delle [[ferrovie]] approvata dal Parlamento nel 1905, che metteva l'Italia al passo con gli altri paesi europei in un settore essenziale allo sviluppo. Nel [[1912]] una legge per finanziare le pensioni di invalidità e [[Pensione di vecchiaia|di vecchiaia]] per i lavoratori inaugurava la moderna legislazione sociale in Italia.
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani, avvicinandosi ai paesi più moderni. Ebbe inizio un ciclo di rapida [[industrializzazione]]; si affermò il [[movimento operaio]]; l'economia progredì, favorita dall'adozione di misure protezionistiche e dai finanziamenti concessi dallo Stato e da alcune importanti banche ([[Banca Commerciale Italiana]], [[Credito Italiano]]). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella [[siderurgia]] (gli operai del settore tra il 1902 e il 1914 aumentarono da {{formatnum:15000}} a {{formatnum:50000)}} e nella nuova industria [[Energia idroelettrica|idroelettrica]]. Quest'ultima sembrava risolvere una delle debolezze dell'Italia, Paese privo di materie prime essenziali come il [[carbone]] e il [[ferro]]. Utilizzando l'acqua dei laghi alpini e dei fiumi fu possibile ottenere energia senza dipendere dall'estero per l'acquisto del carbone: la produzione di [[energia idroelettrica]], tra il 1900 e il 1914, salì da 100 a {{formatnum:4000}} milioni di kWh. L'[[industria tessile]] mantenne una posizione di rilievo con prodotti venduti sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Anche l'[[industria meccanica]] cominciò ad affermarsi nel settore dei trasporti (auto, treni) e delle macchine utensili. Ciononostante l'economia conservava forti squilibri tra il Nord del Paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e prevalentemente agricolo. La modernizzazione si manifestò anche nelle forme della vita politica e del conflitto sociale. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il Paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra nord e sud e tra città e campagna.
L'Italia, alleata con la Germania, le cui ambizioni coloniali erano osteggiate da Gran Bretagna e Francia, trovò il pretesto per agire al di fuori dei vincoli della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]] (Germania, Italia, Austria-Ungheria) per avvicinarsi alla [[Triplice intesa]] di [[Francia]], [[Regno Unito]] e [[Russia]]. Favorevoli alla campagna furono i grandi gruppi finanziari, come il [[Banco di Roma]] e la Banca Commerciale, ed esponenti della corrente nazionalista. Contrari erano i socialisti e alcuni rappresentanti del movimento democratico. Avanzata, il 29 settembre 1911, la dichiarazione di guerra alla [[Impero ottomano|Turchia]], i {{formatnum:100000}} uomini del generale [[Carlo Caneva]] occuparono [[Cirenaica]] e [[Tripolitania]] in ottobre, dichiarandole territorio italiano il 5 novembre. Nel maggio 1912 truppe italiane agli ordini del generale [[Giovanni Ameglio]] occuparono [[Rodi]] e il [[Dodecaneso]]. La Turchia, incapace di rispondere efficacemente alle manovre italiane, accettò i termini stabiliti nella [[Trattato di Losanna (1912)|pace di Losanna]] (18 ottobre [[1912]]), in cui si stabiliva che l'Italia doveva ritirare le truppe dalle isole egee, mentre la Turchia cedeva la Libia al Governo italiano. Dato che la Turchia si rifiutava di cedere la Libia, l'Italia non ritirò il contingente dal [[Dodecaneso]], dove rimase invece per tutta la durata della prima guerra mondiale. A seguito della partecipazione italiana nella repressione della [[ribellione dei Boxer]] con l'invio di un [[corpo di spedizione italiano in Cina]], il 7 settembre 1901 venne istituita la [[concessione italiana di Tientsin]]: la superficie concessa misurava {{M|458000|u=m²}} ed era una delle più piccole concessioni territoriali cinesi alle potenze straniere ottenute al termine della rivolta: la zona consisteva nell'immediata [[Concessione italiana di Tientsin|periferia orientale di Tientsin]] (dalla quale prende il nome) e da un terreno lungo la riva sinistra del fiume [[Hai He|Hai-He]] (conosciuto precedentemente con il nome di Pei Ho), ricco di saline, comprensivo di un villaggio e di un'ampia area paludosa adibita a cimitero.<ref>{{Cita web|url=http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=185|titolo=Tientsin e dintorni|sito=trentoincina.it|accesso=11 giugno 2018}}</ref><ref name=":12">{{Cita news|nome=Alberto Alpozzi|url=https://italiacoloniale.com/2015/03/19/cina-la-concessione-italiana-dimenticata-a-tien-tsin-seconda-parte/|titolo=Cina, la concessione italiana dimenticata a Tien-Tsin – Seconda parte|pubblicazione=L'Italia coloniale|data=19 marzo 2015|accesso=18 settembre 2017}}</ref>
== La Grande guerra e le conseguenze (1914-1922) ==
{{Vedi anche|Italia nella prima guerra mondiale|fronte italiano (1915-1918)|Movimenti rivoluzionari in Italia nel Primo Novecento}}
=== La neutralità ===
{{Vedi anche|Neutralità italiana (1914-1915)}}
[[File:Promised Borders of the Tready of London.png|miniatura|In giallo i territori promessi all'Italia con il [[Patto di Londra]]]]
Nella [[prima guerra mondiale]] l'Italia rimase inizialmente neutrale. L'azione austro-ungarica contro la Serbia era contraria agli interessi italiani. Roma non desiderava l'egemonia asburgica nella regione balcanica, ma ammetteva pure l'ipotesi di fornire all'alleata sostegno contro la Serbia, in cambio di compensi territoriali, ai sensi dell'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza. Per Roma, tali compensi territoriali dovevano consistere nelle province italiane dell'impero asburgico. Il governo asburgico concesse la legittimità dell'interpretazione italiana dell'articolo VII, ma respinse seccamente l'idea che i compensi potessero consistere in territori del suo impero (come il Trentino). Ciò persuase il governo italiano che gli eventuali compensi concessi non sarebbero stati tali da giustificare lo sforzo bellico, né a convincere l'opinione pubblica italiana dell'opportunità di scendere in guerra con Vienna e Berlino. La neutralità fu dunque il risultato di una situazione in cui l'Italia aveva molto da rischiare, e poco da guadagnare, dalla partecipazione alla guerra al fianco di Vienna e Berlino.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Giordano Merlicco|titolo=La crisi di luglio e la neutralità italiana: l'impossibile conciliazione tra alleanza con l'Austria e interessi balcanici|rivista=Itinerari di ricerca storica|volume=XXXII|numero=2/2018|pp=13-26|url=http://siba-ese.unisalento.it/index.php/itinerari/article/view/20146}}</ref>
Poi l'Italia scelse di scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto [[Patto di Londra]]. L'accordo prevedeva che l'[[Italia]] entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, e in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], il [[Tirolo]] fino al [[Passo del Brennero|Brennero]] ([[Provincia autonoma di Bolzano|Alto Adige]]), la [[Venezia Giulia]], l'intera [[Istria|penisola istriana]], con l'esclusione di [[Fiume (Croazia)|Fiume]] e la [[Dalmazia]] settentrionale.
Per quanto riguarda i possedimenti coloniali l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del [[Dodecaneso]] (occupato, ma non annesso a colonia dopo la [[guerra italo-turca]]), la base di [[Valona]] in [[Albania]], il bacino carbonifero di [[Adalia]] in [[Turchia]], nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già [[Libia italiana|Libia]], [[Somalia italiana|Somalia]] ed [[Colonia eritrea|Eritrea]]).
=== L'ingresso nella prima guerra mondiale ===
[[File:Italian Front 1915-1917.jpg|sinistra|miniatura|In viola: territori conquistati dall'Italia nella prima offensiva sul fronte dell'Isonzo terminata il 16 giugno 1915]]
Lo Stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915. Il comando dell'esercito venne affidato al generale [[Luigi Cadorna]], che aveva come obiettivo il raggiungimento di [[Vienna]] passando per [[Lubiana]].<ref>{{Cita libro|titolo=L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=683}}</ref> Vittorio Emanuele III si dimostrò ancora una volta favorevole all'entrata in guerra a fianco di [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]]. Allo scoppio della [[prima guerra mondiale]], Il re si recò personalmente al quartier generale in [[Veneto]], lasciando la luogotenenza del Regno allo zio [[Tommaso di Savoia-Genova|Tommaso, duca di Genova]].
All'alba del 24 maggio il [[Esercito|Regio Esercito]] sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a [[Cervignano del Friuli]] che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di [[Manfredonia]]; alle 23:56, bombardò [[Ancona]]. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, [[Riccardo Di Giusto]]. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le [[Alpi]], dallo [[Stelvio]] al [[mare Adriatico]]. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli dell'[[Isonzo]], in direzione di [[Lubiana]].
Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di [[Guerra di trincea|posizione]] simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul [[Fronte occidentale (1914-1918)|fronte occidentale]] le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino e oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.
[[File:Flitscher Klause 01.jpg|miniatura|Un bastione austro-ungarico presso [[Plezzo]]]]
L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla [[quinta battaglia dell'Isonzo]] che non portò ad alcun risultato. Negli scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], occupando l'[[Altopiano dei Sette Comuni|altopiano di Asiago]]. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'[[Carso|altopiano del Carso]]. Lo scontro fu chiamato [[battaglia degli Altipiani]].
Il 4 agosto 1916 fu conquistata [[Gorizia]] che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.
Oltre alla conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino. Il 18 agosto 1917 ebbe inizio la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto territoriale né tanto meno alla conquista di postazioni strategiche. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).
=== Lo sfondamento degli austriaci ===
{{vedi anche|Battaglia di Caporetto}}
[[File:Postcard from WWI Italian front.JPG|miniatura|La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia]]
[[File:Battle of Caporetto IT.svg|sinistra|miniatura|Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana]]
Nell'ottobre 1917 la [[Russia]] abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione [[Comunismo|comunista]]. Le truppe degli [[Imperi centrali]] furono spostate dal [[Fronte orientale (1914-1918)|fronte orientale]] a quello occidentale. Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª [[Armata]] comandata dal generale [[Luigi Capello]]. I generali Luigi Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per {{M|150|u=km}} in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro<ref>Puntata di "La grande storia" dal titolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre</ref> fu la 3ª, guidata da [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto di Savoia]], cugino di re [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]].
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'[[Mare Adriatico|Adriatico]] fino alla [[Valsugana]], in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume [[Tagliamento]], con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al [[Mincio]].[[File:Armando Diaz.jpg|miniatura|[[Armando Diaz]]]]A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave. La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal generale [[Armando Diaz]] nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale [[Luigi Capello]], ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un altro effetto della disfatta fu l'elevato malcontento nelle truppe, i disordini furono frequenti, e molti si conclusero con sommarie fucilazioni. Sul piano politico il governo presieduto da [[Paolo Boselli]] fu costretto alle dimissioni per essere subito sostituito da [[Vittorio Emanuele Orlando]],
=== La vittoria ===
{{Vedi anche|Battaglia del solstizio|Battaglia di Vittorio Veneto}}
[[File:Battle of Vittorio Veneto.jpg|sinistra|miniatura|Schema della [[Battaglia di Vittorio Veneto]] nel [[1918]] risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra]]
La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò determinò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 fu chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “[[Ragazzi del '99]]”).
Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.
L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15-22 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello Stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche e impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.
Da [[Battaglia di Vittorio Veneto|Vittorio Veneto]], il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a [[Villa Giusti]], presso [[Padova]] l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a [[Trento]] mentre i [[bersaglieri]] sbarcarono a [[Trieste]], chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate [[Rovigno]], [[Parenzo]], [[Zara]], [[Lissa (isola)|Lissa]] e [[Fiume (Croazia)|Fiume]]. Quest'ultima - pur non prevista tra i territori promessi dal Patto di Londra - venne occupata in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi e la presa del potere da parte di truppe croate, aveva proclamato l'unione della città all'[[Italia]] sulla base dei [[Quattordici punti|principi wilsoniani]].
Secondo alcune ricostruzioni, l'esercito italiano avrebbe inteso occupare anche [[Lubiana]], ma fu fermato poco oltre [[Postumia (città)|Postumia]] dalle truppe serbe. Il 5 novembre reparti della [[Regia Marina|Marina]] entravano a [[Pola]], occupata per alcuni giorni da alcuni reparti militari sloveni e croati già facenti parte dell'esercito austriaco, a nome dell'appena costituito (ed effimero) [[Stato degli Sloveni, Croati e Serbi]]. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a [[Sebenico]] che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.
L'ultimo caduto italiano è stato il [[sottotenente]] [[Alberto Riva Villa Santa]] di 19 anni, appartenente all'[[8º Reggimento bersaglieri]], caduto poco prima delle ore 15 del 4 novembre 1918 a [[Paradiso (Pocenia)|Paradiso]] poco distante da [[Udine]].
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{{Vedi anche|Vittoria mutilata|Impresa di Fiume}}
[[File:Kingdom of Italy 1919 map.svg|miniatura|Il confine italiano nel 1924 stabilito dai trattati di [[Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919)|Saint-Germain-en-Laye (1919)]], [[Trattato di Rapallo (1920)|Rapallo (1920)]] e [[Trattato di Roma (1924)|Roma (1924)]]]]
Alla [[Conferenza di pace di Parigi (1919)|conferenza di pace di Parigi]] le richieste territoriali italiane stabilite col [[patto di Londra]] non furono accettate dagli [[Alleati della prima guerra mondiale|Alleati]], in particolare si oppose il presidente statunitense [[Thomas Woodrow Wilson]], che in base al principio dell'[[autodeterminazione dei popoli]] riteneva l'annessione della Dalmazia all'Italia lesiva nei confronti delle popolazioni slave che vi risedevano. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal [[Danubio]]. La "[[questione adriatica]]" provocò la protesta dell'Italia: [[Vittorio Emanuele Orlando]]<nowiki/> e [[Sidney Sonnino]] abbandonarono la conferenza di pace, mentre le altre potenze vincitrici furono libere di continuare le trattative. Con la firma del [[trattato di Versailles]] l'Italia acquisì dall'[[Impero austro-ungarico]] il [[Trentino-Alto Adige]], la [[Venezia Giulia]], l'[[Istria]] e alcuni territori del [[Friuli]], mentre la Dalmazia fu incorporata nel neonato [[Regno dei Serbi, Croati e Sloveni]] con l'eccezione di [[Zara]], a maggioranza italiana, e dell'isola di [[Lagosta (isola)|Lagosta]]. Sul piano coloniale al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'[[Oltregiuba]] in [[Somalia britannica]], oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e il [[Ciad]], già possedimento francese, anche se di fatto all'Italia non fu concesso partecipare alla ripartizione delle [[colonie tedesche]].
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni e alla propaganda nazionalista si infiammò il mito della ''[[vittoria mutilata]]'', emersero le organizzazioni di reduci e in particolare quelle che raccoglievano gli ex-''[[arditi]]'' (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte. Il 12 settembre 1919 [[Gabriele D'Annunzio]], contando sulla complicità dei comandi militari, [[Impresa di Fiume|occupò la città di Fiume]] inaugurando la [[reggenza italiana del Carnaro]] e aprendo una crisi internazionale.
=== Il "biennio rosso" e la nascita del fascismo ===
{{Vedi anche|Biennio rosso in Italia|Fasci italiani di combattimento}}
Il prezzo delle annessioni fu però altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.<ref>G. Mortara, ''La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra'', Yale University Press, New Haven, 1925.</ref><ref>D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, ''The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt'' (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo) {{cita testo|url=http://www.demographic-research.org/Volumes/Vol13/15/default.htm|titolo=The effects of war losses on mortality estimates for Italy}}</ref><ref>{{cita web|url=http://dawinci.istat.it/daWinci/jsp/dawinci.jsp?q=pl01000100112000|titolo=Dati Censimento Istat}}</ref> Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta della sua forza lavoro causando la rovina di moltissime famiglie. Le casse statali erano quasi vuote anche perché la [[Lira italiana|lira]] durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione da bellica a civile e ad assorbire l'abbondanza di [[manodopera]] accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Nella primavera del 1919 gli operai nelle fabbriche e i braccianti nelle campagne scesero in sciopero per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di vita; ma agiva in loro anche il richiamo alla rivoluzione socialista, sull'esempio di [[Rivoluzione russa|quella]] in atto nella Russia di [[Lenin]], iniziava il [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]. Il movimento popolare, indirizzato dai sindacati e dal [[Partito Socialista Italiano]] (PSI) , mancò di una chiara linea di conduzione perché venne disorientato dalle divisioni all'interno della sinistra, in particolare dallo scontro tra massimalisti e riformisti. Nel 1919 fu fondato dal sacerdote [[Luigi Sturzo]] il [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]] (PPI), sotto gli auspici della Chiesa. In queste condizioni si tennero le [[Elezioni politiche in Italia del 1919|elezioni politiche del 1919]] che videro l'affermazione di due maggiori partiti di massa: il PSI e il PPI a dispetto delle liste liberali.
Nel giugno del 1920 fece ritorno alla [[Governo Giolitti V|presidenza del consiglio Giolitti]], che per esperienza e prestigio si pensava potesse comporre i contrasti politici. Egli risolse la [[questione adriatica]], firmando con la [[Jugoslavia]] il [[Trattato di Rapallo (1920)|trattato di Rapallo]] (12 novembre 1920), che riconosceva all'Italia [[Zara]] e le [[Cherso (isola)|isole di Cherso]], Lussino, Pelagosa, Lagosta e Cazza. Le legioni fiumane furono cacciate dalla città dal Regio Esercito nel cosiddetto "[[natale di sangue]]" e fu istituito lo [[Stato libero di Fiume]] (riaccorpato all'Italia nel 1924 col [[Trattato di Roma (1924)|trattato di Roma]]). l 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese ([[Trattati di Tirana|accordo di Tirana]] del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su [[Valona]]) e ad un accordo con la [[Grecia]], l'isola di [[Saseno]] entrò a far parte dell'Italia, la quale la voleva per la sua posizione strategica all'imbocco del [[Mare Adriatico]]. Nel [[1923]] il [[Trattato di Losanna (1923)|trattato di Losanna]] assegnava ufficialmente il Dodecaneso e Rodi all'Italia; sarebbero rimaste sue colonie fino al 1945. Le difficoltà per Giolitti vennero dalla situazione interna, perché cresceva nei ceti medi e nei possidenti, allarmati dalle vittorie socialiste alle [[Elezioni amministrative in Italia del 1920|elezioni amministrative]], l'attesa di una risposta autoritaria, mentre l'opinione pubblica moderata era turbata dal disordine e dalle violenze generate dai tumulti del movimento operaio da quanti speravano di innescare una situazione rivoluzionaria, a somiglianza di quanto era da poco accaduto in Russia, e che stava accadendo in quegli anni in altri paesi dell'Europa centrale come, ad esempio, nell'effimero caso della [[Repubblica Bavarese dei Consigli]]. Giolitti decise così di evitare di reprimere le rivolte del "[[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]", che culminarono con l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920 per poi terminare. Dal timore di una possibile rivoluzione comunista sull'esempio russo, scaturì l'inizio della reazione della piccola e media borghesia, che decise di fare affidamento ai [[Fasci italiani di combattimento]], [[Fondazione dei Fasci italiani di combattimento|fondati]] da [[Benito Mussolini]] il 19 marzo 1919. Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "[[Terza via (fascismo)|terza via]]". Nel movimento confluirono arditi, futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena venti giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate [[Squadrismo|squadre d'azione]] si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista ''[[L'Avanti!]]'', devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra [[Squadrismo|squadrista]].
=== Lo squadrismo fascista ===
{{Vedi anche|Squadrismo}}
[[File:Spedizione punitiva a Roma presso una sede sindacale socialista.jpg|miniatura|Devastazione di una sede sindacale a Roma nel 1920]]
Nel giro di qualche mese le [[Squadre d'azione|squadre fasciste]] si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze fasciste con la sostanziale inazione da parte delle istituzioni. I fascisti espressero la volontà di «trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana» autodefinendosi "partito dell'ordine" riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei fasci si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari. Mussolini riuscì così a catalizzare sia le ambizioni di crescita sinora frustrate della piccola borghesia, disposta persino all'uso della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo, a questi si aggiungevano, come "cani sciolti", i molti studenti universitari affascinati dalla carica eversiva e rivoluzionaria dell'[[arditi]]smo come dall'idealismo e dalla mistica fascista e infine tutti quei nazionalisti declinanti al [[patriottismo]] massimalista. Iniziarono allora le violenze delle squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista.
Il 12 novembre 1921 il movimento fascista fu trasformato nel [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il [[Partito Socialista Italiano|PSI]] aveva superato di poco i 270.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti [[Emilia-Romagna|emiliani]] e [[Toscana|toscani]]. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ''ras'' furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del [[manganello]] e dell'[[olio di ricino]], o addirittura commettendo [[Omicidio|omicidi]] che restavano il più delle volte impuniti. Nel frattempo il fronte socialista andava sfaldandosi, nel 1921 a Livorno con una [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|scissione]] in seno al PSI [[I Congresso del Partito Comunista d'Italia|nacque]] il [[Partito Comunista d'Italia]] (PCd'I) con [[Antonio Gramsci]] come leader. Di fronte alla situazione politica mutata Giolitti convocò nuove elezioni alleandosi con i fascisti. Alle [[Elezioni politiche in Italia del 1921|elezioni politiche del 1921]] ci fu un lieve arretramento dei socialisti, mentre i fascisti ottennero 35 seggi.
== Il regime fascista (1922-1943) ==
{{Vedi anche|Storia del fascismo italiano}}
=== Il fascismo al governo ===
{{Vedi anche|Governo Mussolini|Marcia su Roma|Delitto Matteotti|Secessione dell'Aventino}}
[[File:March on Rome 1922 - Quirinale.jpg|sinistra|miniatura|Sfilata delle squadre fasciste il 31 ottobre 1922 in seguito al giuramento del [[governo Mussolini]]]]
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1922 le [[squadre d'azione]] del [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), capeggiate da un quadrumvirato composto da [[Italo Balbo]], [[Cesare Maria De Vecchi]], [[Emilio De Bono]] e [[Michele Bianchi]], cominciarono ad affluire in massa verso Roma, esercitando sulle istituzioni una pressione di tipo paramilitare per favorire l'ascesa al potere di [[Benito Mussolini]]. Le avvisaglie della "[[marcia su Roma]]" provocarono la crisi del [[Governo Facta II|secondo governo Facta]], che rassegnò definitivamente le dimissioni la mattina del 28 ottobre in seguito al rifiuto di [[Re d'Italia (1861-1946)|re]] [[Vittorio Emanuele III]] di firmare il decreto sullo [[stato d'assedio]] della capitale. Sfumata l'ipotesi di un governo guidato da [[Antonio Salandra]] che includesse anche ministri fascisti, il 29 ottobre il re conferì a Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo. Il [[governo Mussolini]] nacque quindi come un governo di coalizione, comprendendo oltre ai ministri fascisti, anche quelli di area liberale e popolare, ottenendo la maggioranza nel voto parlamentare. Nel [[Discorso del bivacco|discorso d'insediamento]] mussolini tranquillizzò la classe dirigente economica e liberale. Fra le prime iniziative intraprese dal governo vi fu il tentativo di istituzionalizzare le squadre fasciste, che continuavano a commettere violenze, con la creazione della [[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale]] (MVSN). Il governo inoltre introdusse provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche [[Riforme De' Stefani|riduzioni della spesa pubblica]], la [[riforma Gentile]], che gerarchizzò il corpo scolastico istituì l'[[Insegnamento della religione cattolica in Italia|insegnamento della religione cattolica]] nelle scuole, la firma degli accordi di [[Washington]] sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di [[Jugoslavia]] circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in [[Dalmazia]].
[[File:Giacomo Matteotti 3.jpg|miniatura|verticale|[[Giacomo Matteotti]] dopo [[Elezioni politiche in Italia del 1924|elezioni politiche del 1924]]]]
In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale, la cosiddetta "[[Legge Acerbo]]", che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse raccolto il 25% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. La [[Lista Nazionale]] guidata da Mussolini ottenne il 60,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla Camera [[Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924|contestando i risultati delle elezioni]]. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. L'opposizione rispose al [[delitto Matteotti]] sospendendo i lavori parlamentari, la cosiddetta "[[secessione dell'Aventino]]", ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di [[Roma]]. I maggiori esponenti dell'area liberale come [[Ivanoe Bonomi]], [[Antonio Salandra]] e [[Vittorio Emanuele Orlando]] esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito, ma [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] appellandosi allo [[Statuto Albertino]] replicò: ''«''Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato''»'' e quindi non intervenne. Per risolvere la crisi, il [[Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925|3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera]], Mussolini si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti, dando di fatto inizio alla dittatura.
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{{Vedi anche|Politica economica fascista|Politica agraria del fascismo italiano|Propaganda fascista|Tassa sul celibato}}
[[File:Bundesarchiv Bild 102-09844, Mussolini in Mailand.jpg|sinistra|miniatura|Benito Mussolini in Piazza Duomo a Milano, nel maggio 1930]]
Nel biennio tra il 1925 e il 1926 il governo emanò una serie di provvedimenti liberticidi, le cosiddette [[leggi fascistissime]]: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato il ''[[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale]]'' con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime. Nel 1928 fu introdotta la [[Legge elettorale italiana del 1928|legge elettorale pelebiscitaria]].
Il primo grosso problema che la [[dittatura]] dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della [[prima guerra mondiale]] portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e a un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo Stato. Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i [[debiti di guerra]] contratti con [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e [[Gran Bretagna]]. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla [[Lira italiana|lira]], che si svalutò pesantemente nei confronti di [[dollaro]] e [[sterlina britannica]]. Tra le mosse per contrastare la crisi ci furono l'aumento delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la [[tassa sul celibato]], vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli. Nel 1929 l{{'}}''[[autarchia]]'' entrò anche nel linguaggio comune: furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta e orale: ad esempio [[Chiave (meccanica)|chiave inglese]] diventò ''chiave morsa'', [[Cognac (distillato)|cognac]] diventò ''arzente'', [[Traghetto|ferry-boat]] diventò ''treno-battello pontone''. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome [[Lingua francese|francofono]] dell'[[Italia nord-occidentale]] e con nome [[Lingua tedesca|tedescofono]] dell'[[Italia nord-orientale]]: secondo la [[toponomastica]] fascista, per fare un paio di esempi, [[Courmayeur]] diventò ''Cormaiore'' e [[Caldaro sulla Strada del Vino|Kaltern]] diventò ''Caldaro''. Inoltre si scoprì che anche l'uso del ''lei'' aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del ''lei'' con il ''voi'', capeggiata dal segretario del partito [[Achille Starace]].
[[File:Patti Lateranensi.jpg|miniatura|I partecipanti e firmatari dei [[Patti Lateranensi]]]]
L'11 febbraio 1929 furono firmati i [[Patti Lateranensi]], che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il [[Regno d'Italia]] e lo Stato della [[Città del Vaticano]]. Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla cosiddetta [[legge delle Guarentigie]] approvata unilateralmente dal [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 13 maggio 1871 dopo la [[presa di Roma]], questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici. Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in [[Italia]] non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista. Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di Stato in Italia e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della [[Santa Sede]].
All'inizio degli [[Anni 1930|anni trenta]] la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide, e in questo periodo l'aeronautica ricevette un forte impulso e furono organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel Mediterraneo e la prima trasvolata dell'[[Oceano Atlantico|Atlantico meridionale]] (1931), nel 1933 il quadrumviro della [[marcia su Roma]], [[Italo Balbo]], organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della [[Regia Aeronautica]] il 28 marzo 1923. A bordo di 24 [[Idrovolante|idrovolanti]] [[Savoia-Marchetti S.55|SIAI-Marchetti S.55X]] dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a [[New York]] e ritorno attraversando tutte le maggiori nazioni europee e buona parte degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. L'impresa, al tempo rilevante per il numero di velivoli che la portarono a termine e il basso tasso di problemi tecnici, diede al ferrarese notevole fama, tanto che a Chicago (tappa finale in quanto sede dell'[[Expo 1933|Esposizione universale]]) gli venne subito dedicata un'importante arteria stradale, ''Balbo Avenue''.<ref>{{cita news|lingua=it|autore=Giordano Bruno Guerri|url=https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/trasvolata-balbo-unimpresa-mediatica-che-mand-orbita-1414096.html|titolo=La trasvolata di Balbo un'impresa mediatica che mandò in orbita l'orgoglio nazionale E ingelosì Mussolini|pubblicazione=il Giornale|data=28 giugno 2017|accesso=30 agosto 2022}}</ref>
L'[[Eritrea]] fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore [[Jacopo Gasparini]], che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. Il [[governo Mussolini]] cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'[[Etiopia]] cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente [[Hailé Selassié]]. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore [[Jacopo Gasparini]] cercò di ottenere un protettorato sullo [[Yemen]] e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma [[Benito Mussolini|Mussolini]] non volle inimicarsi la [[Gran Bretagna]] e fermò il progetto. Negli [[Anni 1920|anni venti]] e [[Anni 1930|trenta]] l'amministrazione del [[Dodecaneso]] da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di [[lingua greca]], con la presenza di una minoranza [[Lingua turca|turca]] ed [[Lingua ebraica|ebraica]]. Durante il regime fascista furono ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a [[Eritrea]], [[Somalia]], [[Libia]], [[Dodecaneso]] e la [[Concessione italiana di Tientsin|concessione di Tientsin]], entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata [[Etiopia]] e l'[[Albania]]. Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in [[Etiopia]], divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a [[Incidente di Ual Ual|Ual Ual]], nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo Stato etiopico.
=== La guerra d'Etiopia e la nascita dell'Impero ===
{{Vedi anche|Africa Orientale Italiana|Guerra d'Etiopia|Crimini di guerra italiani|Sanzioni economiche all'Italia fascista}}
[[File:Soldatietiopia.jpg|sinistra|miniatura|Coloni e soldati italiani in partenza per conquistare e colonizzare l'Abissinia nel 1935]]
[[File:Italy and Possessions September 1939.png|miniatura|L'Impero coloniale italiano nel 1939, nel momento di massima espansione]]
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli [[Anni 1920|anni venti]], [[Benito Mussolini|Mussolini]] manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto ''libero'' da ingerenze straniere era l'[[Impero d'Etiopia]], nonostante fosse membro della [[Società delle Nazioni]]. Mussolini nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esteri francese, [[Pierre Laval]] per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.<ref>Langer, William L. ed., ''An Encyclopaedia of World History''. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.</ref> Pochi mesi più tardi la [[Società delle Nazioni]] riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a [[Cagliari]] non erano soddisfatti. Il 2 ottobre [[Benito Mussolini|Mussolini]] dichiarò guerra all'Etiopia e il giorno successivo ebbero inizio le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di [[Emilio De Bono|De Bono]], sia da quelle somale, sotto il comando di [[Rodolfo Graziani]]. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno Stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana.<ref>{{cita testo|url=http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=22063|titolo=Da “Tesi on-line}}</ref>
[[File:Rodolfo Graziani 1.jpg|miniatura|[[Rodolfo Graziani]]]]
Il progetto d'invasione ebbe inizio all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine; gli scontri terminarono con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. A novembre [[Pietro Badoglio]] sostituì De Bono al comando delle truppe. Dopo la [[Guerra d'Etiopia|guerra del 1935-1936]], l'Etiopia era stata conquistata quindi dalle truppe italiane, comandate dal generale [[Pietro Badoglio]]. L'Italia era quindi divenuta impero come da progetto del regime. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il [[Re d'Italia (1861-1946)|Re d'Italia]] [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] assunse il titolo di [[Imperatore d'Etiopia]] (con il titolo di ''[[Qesar]]'', anziché quello di [[Negus|Negus Neghesti]]), Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a [[Pietro Badoglio|Badoglio]] fu concesso il titolo di Duca di [[Addis Abeba]]. La colonia [[Eritrea]] venne inglobata nell'[[Africa Orientale Italiana]] nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di ''Libia''. A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia,<ref>Antonicelli, Franco. ''Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945'' p. 67</ref> durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi<ref>Mockler, Anthony. ''Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941''p. 48</ref>) alcune atrocità e crimini contro l'umanità.<ref>Angelo Del Boca. ''Italiani, brava gente?'', Editore Neri Pozza, 2005.</ref><ref>Angelo Del Boca. ''A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini'', Baldini Castoldi Dalai, 2007</ref>
L'11 ottobre [[1935]] l'[[Italia]] venne sanzionata per la guerra d'[[Etiopia]]. Le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] in vigore dal 18 novembre consistevano in: embargo sulle armi e sulle munizioni; divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia; divieto di importare merci italiane; divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica. Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte a embargo mancavano [[petrolio]] e i semilavorati. In realtà fu soltanto la [[Gran Bretagna]] a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La [[Germania]] hitleriana così come gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La [[Russia]] rifornì di [[nafta]] l'[[Esercito Italiano]] per tutta la durata del conflitto, e anche la [[Polonia]] si dimostrò piuttosto aperta. In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La [[Gran Bretagna]] venne etichettata col termine di ''perfida Albione'', e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un ''posto al sole''. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'[[autarchia]], secondo la quale ''tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato''. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il [[carcadè]], il [[carbone]] con la [[lignite]], la [[lana]] con il [[lanital]] (la lana di caseina), la [[benzina]] con il ''carburante nazionale'' (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché ''«fa male»'' e sostituito con il "caffè" d'orzo.
=== L'alleanza con la Germania nazista e le leggi razziali ===
{{Vedi anche|Asse Roma-Berlino|Leggi razziali fasciste|Guerra civile spagnola}}
[[File:Benito Mussolini and Adolf Hitler.jpg|miniatura|verticale|[[Benito Mussolini]] con [[Adolf Hitler]] nel 1937]]
Il 18 luglio 1936 scoppiò in [[Spagna]] la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la [[Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista|Falange]], una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di [[Francisco Franco]]. Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e [[Adolf Hitler|Hitler]] fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la [[Seconda repubblica spagnola]] erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.
Dal 1938 in [[Europa]] si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'[[Austria]] e i [[Sudeti]] e con la successiva [[Conferenza e accordo di Monaco|Conferenza di Monaco]] gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la [[Cecoslovacchia]]. Il 22 maggio 1939 i due ministri degli esteri: [[Galeazzo Ciano]] e il tedesco [[Joachim von Ribbentrop]], firmarono il [[patto d'Acciaio]], un accordo che sanciva aiuto reciproco in caso di un conflitto e si definì così l'[[Asse Roma-Berlino]]. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso [[Galeazzo Ciano]], firmatario per l'Italia, definì il patto una ''«vera e propria dinamite».''
Il 14 luglio 1938 fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il ''[[Manifesto degli scienziati razzisti]]''. In questa sorta di ''tavola'' redatta da cinque cattedratici ([[Arturo Donaggio]], [[Franco Savorgnan]], [[Edoardo Zavattari]], [[Nicola Pende]] e [[Sabato Visco]]) e da cinque assistenti universitari ([[Leone Franci]], [[Lino Businco]], [[Lidio Cipriani]], [[Guido Landra]] e [[Marcello Ricci]]) venne fissata la ''«posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza»''. Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle [[Leggi razziali fasciste|leggi razziali]].
Nell'aprile del 1939 l'Albania fu [[Invasione italiana dell'Albania|occupata militarmente]] e fu imposto come sovrano [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]], che assunse anche il titolo di [[Re d'Albania]].
=== Il fascismo nella seconda guerra mondiale ===
==== La non belligeranza ====
{{Vedi anche|Entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale|Italia nella seconda guerra mondiale}}L'Italia non navigava in buone acque, non c'era stato il tempo per recuperare e riorganizzare dalle campagne d'Etiopia e di Spagna, nonché dalla Grande Guerra; i fucili erano vecchi, logori e antiquati, così come l'Aviazione, mentre la marina disponeva di navi moderne. Il dislivello con le altre potenze europee (e più in là extra europee) non era ignorabile, così si decise per non intervenire, una decisione di non belligeranza, comunicata alla Germania il 26 Giugno 1939. Anche Vittorio Emanuele III era personalmente contrario all'entrata in guerra al fianco della Germania.
Ciò non durò molto, innanzitutto perché la non belligeranza non era in linea con l'ideologia e la propaganda fascista, fortemente bellica e nazionalista. Altro motivo fu che Mussolini, viste le vittorie rapide ottenute dai nazisti, che avevano già conquistato Lussemburgo, Belgio, Olanda, Francia e Polonia grazie alla tattica della [[guerra lampo]] (''blitzkrieg''), valutò che la guerra sarebbe giunta rapidamente alla vittoria dei nazisti, e non poteva lasciare la gloria e l'egemonia dell'Europa ai tedeschi, doveva esserne partecipe da alleato di [[Adolf Hitler|Hitler]]. Inoltre diversi territori del bacino mediterraneo e dei Balcani, che non interessavano ai nazisti, erano d'interesse del regime fascista e per citare una dichiarazione di Mussolini "un pungo di morti da usare al tavolo delle trattative" avrebbe fatto da aiuto per perseguire gli obbiettivi dell'espansionismo fascista. Ricordiamo inoltre che l'economia italiana era strettamente legata alla Germania (il 60 % del carbone combustibile arrivava dalla Germania nazista).
==== La "guerra parallela" ====
[[File:Nave Conte di Cavour Taranto.jpg|miniatura|La corazzata Cavour parzialmente affondata nella [[Notte di Taranto]] dall'aviazione inglese]]
Così nel 10 Giugno 1940 l'Italia entrò in guerra ufficialmente e già tra il 21 e il 24 Giugno le truppe italiane si scontrarono contro l'esercito francese sulle Alpi occidentali (la Francia si arrese il 22 ai nazisti, Parigi conquistata il 14). Ciò portò allo Stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di [[Nizza]]. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni in [[Africa]]. Il 3 agosto venne attaccata la [[Somalia Britannica]], che venne conquistata il 19 agosto.
Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale [[Rodolfo Graziani]] attaccarono gli inglesi stanziati in [[Egitto]] e si spinsero fino a [[Sidi Barrani]]. Nello stesso momento lo Stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in [[Grecia]]. Più volte bloccati dalla [[Germania]] durante l'estate nell'ottobre del 1940 gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in [[Albania]]. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della ''Corazzata Cavour'' e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al [[porto di Taranto]]. Intanto la situazione peggiorò anche in [[Africa]].
Gli insuccessi in [[Grecia]] portarono, il 4 dicembre 1940, alle dimissioni di [[Pietro Badoglio]] dal ruolo di [[Capo di stato maggiore dell'Esercito italiano|capo di Stato Maggiore]] che venne sostituito dal [[generale]] [[Ugo Cavallero]]. Pochi giorni dopo, tra il 6 e l'16 dicembre gli inglesi intrapresero un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi [[Sidi Barrani]] e la [[Baia di Sollum]].
Nel febbraio 1941 gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in [[Egitto]] penetrando anche in [[Libia]] nella regione della [[Cirenaica]]. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il 20 maggio con la resa del [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Duca d'Aosta]] dopo la [[Seconda battaglia dell'Amba Alagi|battaglia sull'Amba Alagi]]. In questa occasione all'[[Regio Esercito|esercito italiano]] fu reso l'[[onore delle armi]] da parte dei britannici.
Nel marzo ripresero poi le operazioni in [[Grecia]], ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della ''Guerra parallela'', così chiamata da [[Benito Mussolini|Mussolini]].<ref name="Repubblica">{{Cita libro|titolo=La seconda guerra mondiale e il dopoguerra|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=147}}</ref>
==== La "guerra subalterna" ====
[[File:Kingdom of Italy 1942 with provinces.svg|miniatura|Il Regno d'Italia tra il 1941 e il 1943, con la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia di Cattaro]] e il [[Governatorato di Dalmazia]]]]
[[File:Bundesarchiv Bild 183-B27180, Russland, italienische Soldaten mit Mauleseln.jpg|sinistra|miniatura|Soldati dell'ARMIR in [[Unione Sovietica|URSS]] nel 1942]]
Nell'aprile 1941 l'Italia partecipò all'[[Invasione della Jugoslavia|invasione del Regno di Jugoslavia]] assieme alle altre Potenze dell'Asse e alla relativa spartizione del paese balcanico: nelle aree annesse dall'Italia furono istituiti la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia del Carnaro]], e il [[Governatorato di Dalmazia]]; inoltre all'Italia fu concesso anche di mettere nominalmente a capo del neo costituito [[Stato Indipendente di Croazia]] un rappresentante di [[Casa Savoia]] - l'influenza italiana sullo Stato Indipendente di Croazia si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato [[Ante Pavelić]], l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della [[Croazia]].<ref name="Repubblica" />
L'intervento tedesco nei [[Penisola balcanica|Balcani]] fece rinviare la campagna in [[Russia]], che venne intrapresa nel giugno [[1941]], con l'[[Operazione Barbarossa]]. Il governo italiano decise un'ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il [[CSIR|Corpo di Spedizione Italiano in Russia]] al comando del generale [[Giovanni Messe]]. Contemporaneamente l'arrivo di [[Erwin Rommel]] in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a [[Malta]] fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.
Nel [[1942]] le operazioni italiane si concentrarono in [[Unione Sovietica]] e in [[Africa]]. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche [[Volgograd|Stalingrado]], mentre nel Nordafrica Rommel si spinse in [[Egitto]], conquistando varie città, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò a una sconfitta nella battaglia di [[Seconda battaglia di El Alamein|El Alamein]], che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto e i campi petroliferi del [[Medio Oriente]]. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci, vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni [[Divisione Ariete|Ariete]] e [[Divisione Littorio|Littorio]] che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.
La situazione peggiorò poi anche in [[Russia]] con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'[[Reparti italiani al fronte orientale|ARMIR]],<ref>{{Cita libro|titolo=La seconda guerra mondiale e il dopoguerra|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=194}}</ref> ex [[CSIR]]. Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre [[1942]] cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.
=== La
{{Vedi anche|
[[File:SC180476.jpg|miniatura|Lo sbarco [[sbarco in Sicilia]] a [[Gela]] nel luglio 1943]]
Le sconfitte sia sul fronte africano sia su quello russo causarono in Italia gli [[scioperi antifascisti]] e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. A maggio venne presa [[Tunisi]], ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di [[Isola di Lampedusa|Lampedusa]] e [[Pantelleria]], dando inizio allo [[Sbarco in Sicilia]]. Il 10 luglio alcune armate anglo-americane sbarcano in Sicilia, che fu liberata il 17 agosto.
Le difficoltà militari colpirono anche [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Il 24 luglio si riunì il [[Gran consiglio del fascismo]] e il mattino seguente, con la votazione dell'[[ordine del giorno Grandi]], il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con [[Pietro Badoglio]]. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini fu arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il 26 luglio il duce venne portato a [[Ponza]], in carcere. Successivamente fu trasferito a [[La Maddalena]] e quindi il 27 agosto sul [[Gran Sasso]] a [[Campo Imperatore]]. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio, il cui mandato iniziò ufficialmente il 26 luglio 1943, annunciò la continuazione della guerra al fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente cominciò a trattare l'[[armistizio]] con gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], che venne firmato a [[Armistizio di Cassibile|Cassibile]] il 3 settembre 1943.
== Il crollo dello Stato monarchico (1943-1946) ==
=== Il Regno del Sud e la Repubblica Sociale Italiana ===
{{Vedi anche|Resistenza Italiana|Repubblica Sociale Italiana|Regno del Sud|}}
[[File:Bundesarchiv Bild 101I-567-1503C-18, Gran Sasso, Mussolini vor Hotel.jpg|sinistra|miniatura|Mussolini con i militari tedeschi durante l'[[operazione Quercia]] il 12 settembre 1943]][[File:Repubblica Sociale Italiana 1943 Mappa.png|miniatura|Repubblica Sociale Italiana: le aree segnate in marrone facevano ufficialmente parte della R.S.I. ma erano considerate dalla Germania zone di operazione militare e sottoposte a diretto controllo tedesco.]]l'[[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|8 settembre 1943]] Badoglio annunciò la firma dell'[[Armistizio di Cassibile|armistizio con le forze Alleate]], e il giorno successivo insieme a re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] [[Fuga di Vittorio Emanuele III|abbandonò la capitale]] per fuggire a [[Brindisi]], che divenne sede provvisoria del governo, mentre alcune armate alleate giunsero a [[Taranto]] e a [[Salerno]]. I tedeschi allora per mantenere il controllo dell'Italia centro settentrionale attuarono l'[[operazione Achse]], catturando {{M|815000}} soldati italiani privi di ordini e destinandoli a diversi lager con la qualifica di IMI ([[Internati Militari Italiani]]). Il 12 settembre con l'[[operazione Quercia]] i tedeschi liberarono Mussolini dal confino, che fu prima condotto a [[Monaco di Baviera|Monaco]] da Hitler e poi riaccompagnato in Italia, dove il 23 settembre costituì la [[Repubblica Sociale Italiana]] (RSI), o Repubblica di [[Salò]], centro amministrativo della RSI. Nel frattempo con l'[[operazione Nubifragio]] assunsero il controllo della [[Venezia Giulia]] stabilendo la [[Zona d'operazioni del Litorale adriatico]], la stessa sorte toccò anche al [[Trentino-Alto Adige]] che fu inserito nella [[Zona d'operazioni delle Prealpi]]. L'Italia si trovò così divisa in due: la Repubblica Sociale Italiana sostenuta dai tedeschi al nord, e un [[Regno del Sud]] sostenuto dagli Alleati, che il 13 ottobre 1943 aveva dichiarato guerra alla Germania. Nel gennaio del 1944 la sede provvisoria del governo fu trasferita a [[Salerno]]. Nella RSI l'11 gennaio 1944 furono fucilati a [[Verona]], dopo un [[Processo di Verona|drammatico processo pubblico]], gli ex gerarchi fascisti [[Galeazzo Ciano]], [[Emilio De Bono]], [[Luciano Gottardi]], [[Giovanni Marinelli]], [[Carluccio Pareschi]], a seguito della condanna a morte che il tribunale decretò a tutti coloro che avevano votato la sfiducia a Mussolini.
In breve tempo nelle città principali e nelle valli dei territori controllati dai tedeschi si costituirono le [[Resistenza italiana|prime formazioni partigiane]], che si organizzarono nel [[Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia]] (CLNAI) e nel [[Corpo volontari della libertà]] (CVL). Nella guerra partigiana contro le forze nazifasciste ci furono più aspetti contemporaneamente presenti: la "[[Resistenza italiana|guerra patriottica e lotta di liberazione]]" da un invasore straniero, [[Insurrezione|insurrezione popolare]] spontanea, "[[guerra civile]]" tra [[Antifascismo|antifascisti]] e [[Fascismo|fascisti]], "[[Lotta di classe|guerra di classe]]" con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte dei gruppi partigiani [[Socialismo|socialisti]] e [[Comunismo|comunisti]].<ref>C. Pavone, ''Una guerra civile'', pp. 169-412; G. Oliva, ''La resistenza'', ''passim''.</ref> Tra il 28 settembre e il 1º ottobre 1943 a Napoli i partigiani combatterono le [[quattro giornate di Napoli]]. Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani effettuarono lo [[sbarco di Anzio]] allo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla [[Linea Gustav]] e di liberare Roma. Il 15 febbraio 1944 dei bombardamenti danneggiarono gravemente l'[[abbazia di Montecassino]]. Nel frattempo in tutta la penisola alle azioni guerra partigiana seguirono le [[Crimini di guerra nazisti in Italia|rappresaglie nazifasciste]], come l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], reazione all'[[attentato di via Rasella]]. Nell'agosto 1944 i partigiani liberarono [[Firenze]], mentre nel novembre dello stesso anno il fronte si stabilizzò lungo la [[Linea Gotica]], ai piedi dell'[[Appennino tosco-emiliano]]. A partire dall'estate del 1944 nacquero diverse [[repubbliche partigiane]]: tra luglio e agosto la [[Repubblica di Montefiorino]]; tra agosto e settembre la [[Repubblica libera della Carnia]]; il 10 settembre si formò la [[Repubblica dell'Ossola]], che terminerà il 10 ottobre 1944 (i "40 giorni di libertà"); ad [[Alba (comune italiano)|Alba]] i partigiani presero il potere fra l'ottobre e il novembre del 1944.
[[File:Wkroczenie oddziałów 2 Korpusu Polskiego do Bolonii Rudnicki Bohusz-Szyszko NAC 24-515-7.jpg|miniatura|Le truppe alleate a Bologna durante la liberazione il 21 aprile 1945]]
Nel Regno del Sud, l'ostilità verso Badoglio e il re delle forze politiche antifasciste venne superata dal segretario del [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) [[Palmiro Togliatti]], che nell'aprile del 1944 con la "[[svolta di Salerno]]" acconsentì alla nascita di un [[Governo Badoglio II|secondo governo Badoglio]] sostenuto da tutti i partiti. Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la [[liberazione di Roma]], [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]] nominò il figlio [[Umberto II di Savoia|Umberto]] ''Luogotenente Generale del Regno'', nel vano tentativo di ritardare il più possibile il momento dell'[[abdicazione]], e in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]] (CLN), che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto dunque poteva di fatto esercitare le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimaneva a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a [[Salerno]]. Con le dimissioni di Badoglio, il [[Governo Bonomi II|governo Bonomi]] dovette gestire i rapporti col CLNAI e il e il CVL, che il 24 agosto accettarono di rispettare le disposizioni alleate e di sottostare alle autorità del Regno del Sud. Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 e il 1945 in primavera gli alleati lanciarono l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la [[Linea Gotica]] portando gli alleati alla [[liberazione di Bologna]] il 21 aprile 1945. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il [[Anniversario della liberazione d'Italia|25 aprile]], due giorni dopo Mussolini cercò la fuga in Svizzera con [[Claretta Petacci]], ma venne riconosciuto dai partigiani a [[Dongo]] e [[Morte di Benito Mussolini|giustiziato il giorno dopo]] a [[Giulino di Mezzegra]], sul [[lago di Como]]. Le [[potenze dell'Asse]] in Italia capitolarono il 29 aprile 1945, e il 2 maggio il comando tedesco firmò la [[resa di Caserta]] delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI. Il 1º maggio, truppe partigiane jugoslave occupavano [[Trieste]], anticipando le truppe inglesi, che giunsero il 3 maggio. Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto il 9 maggio 1946, per ritirarsi in esilio ad [[Alessandria d'Egitto]], dove morì il 28 dicembre 1947.
=== La riorganizzazione dello Stato ===
{{Vedi anche|Periodo costituzionale transitorio|Nascita della Repubblica Italiana}}
[[File:Umberto II, 1944.jpg|miniatura|verticale|sinistra|[[Umberto II di Savoia|Umberto II]], ultimo re d'Italia]]
Con la fine della guerra l'Italia sottoscrisse il [[Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate|trattato di Parigi]] acconsentendo a cedere l'[[Istria]] e la [[Dalmazia]] alla [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia]], inoltre fu creato il [[Territorio Libero di Trieste]] uno stato indipendente suddiviso in due aree: una anglo-americana e l'altra jugoslava. L'occupazione delle forze jugoslave provocò l'[[esodo giuliano dalmata]] della popolazione italiana durante il quale oltre il 90% della popolazione di [[lingua italiana]], in quantità stimata tra un minimo {{M|250000}} e un massimo {{formatnum:350000}} persone,<ref>A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi {{cita testo|url=http://www.adesonline.com/recensionelibroermannomattioli.htm|titolo=Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli}} e {{cita testo|url=http://www.istoreto.it/pubblicazioni/studi_documenti/marenegliocchi.htm|titolo=Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto|postscript=nessuno|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110722040237/http://www.istoreto.it/pubblicazioni/studi_documenti/marenegliocchi.htm}}</ref> abbandonò i territori [[istria]]ni e [[Dalmazia|dalmati]]; una parte degli esuli emigrò in seguito nelle Americhe o in Australia. L'Italia cedette anche il colle di [[Briga Marittima|Briga]] e il [[colle di Tenda]] alla [[Francia]], che durante la guerra aveva [[Tentativo di annessione della Valle d'Aosta alla Francia|tentato di annettere la Valle d'Aosta]], riaccorpata il 7 settembre 1945 alla [[provincia di Torino]],<ref>{{Cita legge italiana|tipo=DLL|anno=1945|mese=09|giorno=07|numero=545|titolo=Ordinamento amministrativo della Valle d'Aosta.|articolo=1|originale=si}}</ref> e poi ricostituita nella forma di [[Regione italiana a statuto speciale|regione autonoma a statuto speciale]].<ref>{{Cita legge italiana|tipo=LC|anno=1948|mese=02|giorno=26|numero=4|titolo=Statuto speciale per la Valle d'Aosta.|articolo=1|originale=si}}</ref> L'Isola di [[Saseno]] fu restituita all'Albania, il [[Isole italiane dell'Egeo|Dodecaneso]] alla Grecia e furono persi tutti i [[Colonialismo italiano|possedimenti coloniali in Africa]], da cui furono rimpatriati oltre 100.000 italiani.
La seconda guerra mondiale lasciò l'Italia con un'economia notevolmente compromessa ed una popolazione politicamente divisa. La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i combattimenti e i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe alleate. Il numero di [[Conteggio delle vittime della seconda guerra mondiale per nazione|italiani morti]] a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili)<ref>Giulio De Martino, ''La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale'', Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4</ref> e 443.000 morti,<ref>Secondo il rapporto ''Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45'', compilato nel 1957 da ''Roma: Istituto Centrale Statistica'' i morti militari furono 291.376, di cui 204.346 prima dell'armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 111.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l'armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153.147 (123.119 dopo l'armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda {{cita testo|url=http://www.demographic-research.org/|titolo=qui|postscript=nessuno}}. A questi vanno aggiunti 15.000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64.000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30.000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5.927 schierati con gli alleati, 17.166 partigiani e 13.000 della [[Repubblica Sociale Italiana]]. {{formatnum:1000}} persone del [[Rom (popolo)|popolo rom]] e 8.562 ebrei morirono.</ref> stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di {{formatnum:43800000}} persone si arriva conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani. In queste condizioni nacque il [[governo Parri]], che dopo pochi mesi fu sfiduciato dalla [[Democrazia Cristiana]] (DC) e dal [[Partito Liberale Italiano]] (PLI) e sostituito dal [[Governo De Gasperi I|governo di Alcide De Gasperi]], segretario della DC. Il governo De Gasperi sospese la [[commissione di epurazione]] mentre il ministro della giustizia, il segretario del PCI [[Palmiro Togliatti]] dispose l'[[Amnistia Togliatti|amnistia verso i crimini fascisti]].
[[File:Corriere repubblica 1946.jpg|miniatura|Prima pagina del ''[[Corriere della Sera]]'' del 6 giugno 1946]]
Dopo la fine della guerra si cominciò a mettere in discussione la [[forma di Stato]] monarchica. Il re Vittorio Emanuele III tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del [[Umberto II d'Italia|figlio Umberto II]], tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della [[monarchia]] e la [[nascita della Repubblica Italiana]]; in contemporanea vennero eletti i delegati a un'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]], col compito di redigere una nuova Costituzione. Per la prima volta nella storia italiana, anche le donne ebbero il [[Suffragio universale|diritto al voto]]. Dalle elezioni emersero tre principali partiti di massa la [[Democrazia Cristiana]] (DC), il [[Partito Comunista Italiano]] (PCI) e il [[Partito Socialista Italiano]] (PSI). I risultati furono proclamati dalla [[Corte di cassazione (Italia)|Corte di cassazione]] il 10 giugno 1946, mentre il giorno successivo tutta la stampa dette ampio risalto alla notizia. Nella notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente [[Alcide De Gasperi]], prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di [[Capo provvisorio dello Stato]]. Re Umberto lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno 1946, diretto a [[Cascais]], una città nel sud del [[Portogallo]], senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946, passando così alla storia come il "Re di maggio". Nel lasciare l'Italia, l'ex re lanciò un proclama agli italiani, in cui denunciava "l'atto rivoluzionario" del Governo.<ref name=":0">Senato della Repubblica, ''<span class="plainlinks">{{cita testo|titolo=Proclama di Umberto II agli Italiani|url=http://www.senato.it/documenti/repository/leggi_e_documenti/approfondimenti/RASSEGNE/Storia/Articoli/a021.pdf}}</span>'', ("L'esortazione del Re ad evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese", Roma, 13 giugno 1946 - rassegna storica)</ref> Il 1º luglio [[Enrico De Nicola]] venne eletto dall'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] [[capo provvisorio dello Stato]]. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] con [[Giuseppe Saragat]] alla presidenza; la nuova [[Costituzione della Repubblica Italiana|costituzione repubblicana]] entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|curatore=Zygmunt G. Baranski|curatore2=Rebecca J. West|titolo=The Cambridge Companion to Modern Italian Culture|autore-capitolo=Anna Cento Bull|capitolo=Social and political cultures from 1860 to the present|editore=Cambridge University Press|anno=2006|url=https://www-cambridge-org.wikipedialibrary.idm.oclc.org/core/books/cambridge-companion-to-modern-italian-culture/social-and-political-cultures-in-italy-from-1860-to-the-present-day/FFAEF5115DD4EDFF0EA87C3BE7ECB1F7|pp=35-62|lingua=en|cid=Cento Bull}}
* {{cita libro|autore=Franco Favre|titolo=La Marina nella Grande Guerra|edizione=2008|editore=Gaspari|città=Udine|cid=Favre}}
* {{cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | wkautore=Guido Crainz|titolo=Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta | anno=2003 | editore=[[Donzelli Editore]] | città=Roma | isbn=88-7989-989-9 }}
* {{cita libro | cognome=Crainz | nome=Guido | titolo=Autobiografia di una repubblica. Le radici dell'Italia attuale | anno=2009 | editore=[[Donzelli Editore]] | città=Roma | isbn=978-88-6036-384-8 }}
* {{cita libro|autore=[[Scipione Guarracino]]|autore2=[[Peppino Ortoleva]]|autore3=[[Marco Revelli]]|titolo=Storia dell'età moderna. Dall'assolutismo alla nascita delle nazioni|editore=Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori|anno=1993|cid=Guarracino et al.}}
* {{cita libro|autore=Fabrizio Marinelli|autore2=Fabrizio Politi|titolo=Fisco e Stato moderno|editore=Giappichelli|anno=2022|cid=Marinelli e Politi}}
* {{cita libro|autore=[[Pasquale Villani]]|titolo=L'età contemporanea|editore=il Mulino|anno=1993|annooriginale=1983|cid=Villani}}
== Voci correlate ==
* [[Brigantaggio postunitario italiano]]
* [[Entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale]]
* [[Evoluzione territoriale dell'Italia]]
* [[Guerre di indipendenza italiane]]
* [[Italia]]
* [[Questione meridionale]]
* [[Regno d'Italia (1861-1946)]]
* [[Repubblica italiana]]
* [[Rinascimento italiano]]
* [[Risorgimento]]
* [[Risorgimento giuridico]]
* [[Rivoluzione italiana]]
* [[Storia d'Italia]]
* [[Storia economica d'Italia]]
* [[Storia delle religioni in Italia]]
* [[Storia militare dell'Italia durante la seconda guerra mondiale]]
{{portale|storia d'Italia}}
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