San Calocero al Monte: differenze tra le versioni
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Tra il VI e il VII secolo si ha la forte presenza bizantina, con diversi manufatti di questo periodo. Tra questi sono stati scoperti sette pilastrini, nessuno durante gli scavi ma erano stati già asportati per essere riutilizzati, conservati in parte a [[Palazzo Oddo]], al Civico Museo Ingauno o nei depositi della Soprintendenza Archeologica della Liguria, anche se [[Nino Lamboglia]] aveva già evidenziato la presenza di pezzi marmorei utilizzati nei muretti a secco nel 1934. Uno di questi venne donato nel 1963 da Battista Vio Maglione che lo aveva rinvenuto in un suo magazzino in via Gian Maria Oddo dove veniva usato come scalino. I pilastrini hanno un'altezza di 110 cm circa, e venivano usati come arredo liturgico, probabilmente nell'area dell'altare maggiore. Nell'VIII secolo cambia la dominazione e cambia anche lo stile, tuttavia prosegue il processo di monumentalizzazione del complesso, con la realizzazione di plutei, archivolto, architravi, capitelli e sarcofagi realizzati in marmo decorato.
Tuttavia nel IX e X secolo si hanno le incursioni saracene che rendevano estremamente precaria la vita fuori dalle mura cittadina; in questa fase viene realizzato il muro di cinta esterna e viene edificato il monastero di San Martino al Monte, posizionato in un luogo dove si poteva vedere il mare e l'Isola, più difendibile rispetto a San Calocero, e che dista da questi solo 200 m, ma che cambia profondamente la vita dei monaci, che potevano, in caso di vista di navi saracene, correre a ripararsi in Città. È possibile che in quest'epoca una parte del materiale presente in San Calocero venne demolito per essere riutilizzato in San Martino, almeno secondo [[Nino Lamboglia]], ma la presenza della tomba del Santo rendeva comunque ancora vivo il monastero, anche se probabilmente ridimensionato. A San Calocero durante i vari scavi è emersa una comune condizione, cioè quella che tutte le tombe sono state violate e profanate, non solo quelle più importanti alla ricerca di reliquie sante, o quelle relative alle tombe da essere riutilizzate per altre persone, ma tutte e in maniera violenta. Questa evidenza porta alla
Nel 1286 si ha una traslazione delle reliquie del santo per opera dell'abate del monastero di San Martino della Gallinara, Giovanni e del vescovo Lanfranco di Negro, questo fatto rappresenta una ritrovata amicizia tra le due più importanti istituzioni religiose ingaune, nonché un avvicinamento tra il potere dei genovesi e la resistenza indipendente degli orgogliosi ingauni. La fattura di tale epigrafe è simile a quella che Lanfranco di Negro fece fare per la costruzione di una torre presso Castelvecchio di Oneglia, riconducibile alla stessa bottega se non allo stesso autore. Tale lapide venne traslata nel nuovo edificio consacrato a San Calocero e Santa Chiara nel [[Centro storico di Albenga]] consacrato nel 1618, dove risulta presente fino al 1855, poi venne ritrovata nel 1956 ma nuovamente scomparsa. L'analisi del materiale ritrovato nelle sepolture e delle ceramiche ha portato a evidenziare un'attività edilizia a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, riconnesso con l{{'}}''inventio'' del 1368 che ha portato alla riqualificazione della struttura come polo religioso, con la conversione in convento femminile. Infatti sembrerebbe che al termine del periodo delle incursioni saracene, e dell'abbandono totale o parziale del convento, con l'opera dell'Abate Giovanni, ci sia stato un rilancio del monastero, con successive opere edilizie di riqualificazione. Le reliquie sono state ritrovate e poste in un'urna di marmo e traslate sotto l'altare della navata centrale della chiesa di San Calocero al Monte.
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* [[Complesso di San Domenico]]
* [[Santuario di San Calocero]]
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
{{portale|architettura|cattolicesimo|Liguria}}
[[Categoria:Albenga]]
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