Vincenzo Gemito: differenze tra le versioni
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Autodidatta, in gran parte, e insofferente ai canoni accademici, Gemito si formò attingendo dai vicoli del centro storico di Napoli e dalle sculture del museo archeologico. La sua prolifica attività artistica, che lo portò all'apice del successo ai ''Salons'' di Parigi nel 1876-77, fu interrotta a causa di un'intima crisi intellettuale, per via della quale si segregò dal mondo per diciotto anni; riprese la vita pubblica solo nel 1909, per poi spegnersi venti anni dopo.
La produzione gemitiana comprende vigorosi disegni, figure in terracotta e un gran numero di sculture, tutte ritraenti con un'elevata intensità pittorica scene popolaresche napoletane; tra le sue opere principali si possono ricordare il ''Pescatorello'', l
== Biografia ==
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Di indole assai turbolenta e riottosa, il giovane Gemito ebbe un'adolescenza assai irrequieta, allietata solo dall'amicizia che lo legò ad un suo coetaneo, Antonio Mancini (detto «Totonno»), con il quale iniziò ad assaporare anche i confini di pittura e scultura. L'iniziale formazione artistica del Gemito avvenne nell'ambito della bottega di [[Emanuele Caggiano]], scultore di gusto accademico, che conobbe a nove anni mentre faceva da fattorino a un sarto; ma poco dopo, nel 1862, il giovane Vincenzo passò sotto la guida di [[Stanislao Lista]], che gli trasmise i rudimenti dello studio del vero nella scultura.
Il 23 aprile 1864 venne pure ammesso al [[Accademia di belle arti di Napoli|Regio Istituto di belle arti]], ma ben presto lasciò le chiuse aule dell'Accademia, preferendo prendere ispirazione dall'atmosfera vibrante dei vicoli del [[centro storico di Napoli]]. In questi anni si pone pure l'esordio artistico del Gemito, che nel 1868 espose alla Società promotrice di belle arti di Napoli il ''[[Giocatore di carte]]'', scultura che attinge il suo spunto narrativo proprio dall'ambiente popolare napoletano, cristallizzata nella figura dello ''scugnizzo'' che gioca a carte. Questa novità viene ribadita dallo scultore con l'esecuzione nel 1869 del ''[[Ritratto del pittore Petroccelli (Gemito)|Ritratto del pittore Petrocelli]]'', dove confermò la propria ribellione nei confronti dell'arte scultorea ufficiale, in bilico tra gli ultimi esiti delle correnti canoviane e le incertezze del [[Romanticismo]].<ref name=EB/>
=== I primi successi ===
==== Formazione artistica ====
[[File:Gemito Ritratto1a50.jpeg|thumb|Diomede Marvasi, ''Ritratto di Gemito con
Vincenzo Gemito realizzò un busto di [[terracotta]] in onore di [[Vincenzo Petrocelli]], nel 1869.<ref>Emanuela Bianchi (2000). [http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-gemito_(Dizionario-Biografico)/ Gemito, Vincenzo] ''Dizionario Biografico degli Italiani'', volume 53. Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana.</ref>
Frattanto, Gemito riunì attorno a sé un folto gruppo di artisti insofferenti alla codificazione accademica dell'arte scultorea, che contava - oltre all'inseparabile "Totonno" - anche [[Giovanni Battista Amendola]], [[Achille D'Orsi]], [[Ettore Ximenes]], [[Vincenzo Buonocore]] e [[Luigi Fabron]]; insieme a quest'ultimi si rifugiò nei sotterranei del [[complesso di Sant'Andrea delle Dame]], dove stabilì il proprio ''atelier''. Fu in quest'ambito che Gemito - tra il 1870 e il 1872 - eseguì la pregevolissima serie di testine di terracotta, «mirabili per vivacità di sguardi e naturalezza di atteggiamenti»; di questi anni sono ''Moretto'', ''Scugnizzo'' e ''Fiociniere''. Ad esser ritratti erano trovatelli come lui, presi per le strade del centro antico e allettati per pochi soldi. [[Salvatore Di Giacomo]] ci restituisce un'immagine molto vivida dello studio di Gemito:<ref>{{cita|Di Giacomo||SDG}}.</ref>
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Nel 1873 conobbe Matilde Duffaud, fanciulla dal carattere docile e sottomesso che divenne sua compagna e modella nel suo nuovo ''[[atelier]]'' sulla collina del Mojarello, a Capodimonte. Allo stesso anno risalgono i busti in terracotta raffiguranti ''Francesco Paolo Michetti'' e ''Totonno l'amico mio'', e quelli bronzei raffiguranti ''Domenico Morelli'' e ''Giuseppe Verdi''. Dell'anno successivo<ref>{{cita web|url=http://www.coliseum.it/mostra-foto?libro=8832&titolo=Vincenzo%20Gemito%20fotografia%20di%20G.%20Marvasi&autore=Marvasi%20G|titolo=Marvasi G. Vincenzo Gemito fotografia di G. Marvasi|accesso=6 maggio 2016}}</ref> è invece il ''Ritratto di Guido Marvasi'', figlio di quel prefetto Diomede che sarà uno dei primi mecenati dell'artista.<ref name=EB/>
==== L'astro del ''Pescatorello'' e dell
Nel 1876 Gemito trasferì il proprio studio presso il museo archeologico di Napoli, onde esercitarsi nel rilievo delle famose statue di Ercolano e Pompei che vi erano raccolte. L'anno successivo il giovane artista partenopeo partecipò all'Esposizione nazionale di belle arti di Napoli e al ''Salon'' parigino dove, presente per intercessione di [[Alphonse Goupil]] (figura assai influente nel panorama artistico della Parigi di quegli anni), ottenne uno sfolgorante successo con il ''Gran pescatore'' o ''Pescatorello'', che nell'opera appare in equilibrio precario su uno scoglio, nell'atto di trattenere al petto dei pesciolini guizzanti.<ref name=EB/>
[[File:Vincenzo Gemito (1852-1929) Busto di Giuseppe Verdi (1874), Museo della Scala di Milano, collezione Sambon.jpg|thumb|left|''Busto di Giuseppe Verdi'' (1874), Museo della Scala]]
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=== La crisi intellettuale ===
L'eco della fama del Gemito raggiunse anche la Corona sabauda, tanto che [[Umberto I]] subito gli offrì un incarico assai onorevole. Sul prospetto principale del [[palazzo Reale di Napoli]], infatti, erano state ricavate otto nicchie, dove il monarca volle collocare altrettante statue raffiguranti i più illustri sovrani delle varie dinastie ascese al trono partenopeo: all'artista venne affidata pertanto l'esecuzione di una statua effigiante [[Carlo V d'Asburgo]]. Disorientato dall'insolita tematica storica (per la quale nel 1885 ripartì per Parigi, dove si consultò con Meissonier), l'artista poté realizzare solo il modello in gesso e il bozzetto bronzeo del ''Carlo V'', non riuscendo a tradurla in marmo: la travagliata realizzazione dell'opera, che era concepita accademicamente all'antica ed era totalmente avulsa dalla sua poetica, concorse nel provocare un grave esaurimento nervoso che lo portò al ricovero nella casa di cura Fleuret.
Gemito fuggì dal nosocomio nel 1887, per chiudersi in isolamento volontario nella sua dimora a via Tasso, dove in seguito trascorse - in condizioni quasi ascetiche, tra deliri e digiuni - ben diciotto anni, vigilato dalla moglie, dalla figliuola e dal patrigno. In questo periodo Gemito si diede prevalentemente alla grafica, alternando momenti di diligente lavoro a fasi di ira e follia.
Nel periodo di segregazione, al di fuori delle mura dell'abitazione al Vomero, Gemito nel frattempo raccolse un vivo successo personale, confermato dai numerosissimi riconoscimenti ufficiali: a [[Buenos Aires]], nel 1886, vinse la medaglia d'argento di prima classe; a Parigi, nel 1889 e nel 1890, il ''grand prix'' per la scultura; ad Anversa, nel 1892, il diploma d'onore; a Parigi, di nuovo il ''grand prix'' nel 1900. Intanto [[Gabriele
{{citazione|Egli aveva nome Vincenzo Gemito. Era povero, nato dal popolo; e all'implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungeva talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua}}
[[File:Vincenzo gemito, zingara, 1885.JPG|thumb|La ''Zingara'']]
=== Gli ultimi anni e la morte ===
Gemito guarì dalle allucinazioni solo nel 1909 all'età di cinquantasette anni, quando - morte la madre e la moglie - emerse dal suo «crepuscolo tragico» (come lo definì Di Giacomo) per consegnare il ''Pescatorello'' a Margherita da Elena d'Orléans, duchessa d'Aosta; quest'ultima lo persuaderà a partecipare alla VIII [[Biennale di Venezia]] con diversi disegni sulla realtà vernacola napoletana, che lo resero poi universalmente celebre. In questo periodo ritrasse principalmente figure femminili, quali ''zingare'' o popolane, in disegni che ormai non erano più semplici bozzetti preparatori, ma veri e propri punti d'arrivo: degna di menzione anche la fitta produzione di autoritratti, dove Gemito ci appare con una barba fluente e l'aspetto da profeta michelangiolesco, e le diverse sculture, delle quali si segnalano ''Sorgente e Giovinezza di Nettuno'' (1910), ''Medusa'' (1911), e varie opere ascrivibili al quadriennio 1914-18 (''Inverno'', ''Tempo'', ''Vasaio'', ''Fanciulla greca'', ''Sibilla Cumana'', ''Sirena''), dove Gemito si presenta convertito al nuovo gusto [[simbolismo|simbolista]].<ref name=EB/>
Furono questi anni assai intensi: scolpì la ''Madonnina del Grappa'', stese un disegno per una ''Fede'', da collocare nel monumento funebre di [[Pio X]] (scomparso nel 1914) e infine fu espositore, nel 1913 e nel 1915, alla XI Esposizione di belle arti di Monaco e all'Esposizione universale di San Francisco. Visitò assiduamente [[Roma]], dove ritrasse numerose ''ciociare'' e ritrovò l'amico Mancini, dal quale si era separato trent'anni prima, a causa di un aspro litigio; espose pure alcune opere a una mostra organizzata dalla rivista ''La Fiamma'', incentrata proprio sulla produzione plastica gemitiana. In questi anni fu spinto dal desiderio di ottenere un'abitazione e una fucina presso [[Castel Sant'Angelo]], costruzione indissolubilmente legata al nome dell'invidiato [[Benvenuto Cellini]]; sebbene si confrontasse con diversi parlamentari del tempo (arrivando pure a chiedere un'udienza al Re), Gemito non ottenne mai il sospirato alloggio a causa di varie lungaggini burocratiche che dilazionarono la vicenda. Ormai rassegnato a non ottenere il castello, l'artista fece quindi ritorno a Napoli, per non fare più ritorno nell'Urbe.<ref name=EB/>
Dopo un ultimo, inappagante, viaggio a Parigi (1924) Gemito vide le proprie energie creative lentamente esaurirsi: la sua fama, tuttavia, era ancora viva, tanto che lo Stato Italiano (su volontà di [[Benito Mussolini]]) gli assegnò un premio di centomila lire, e mostre antologiche sulla sua produzione si tennero nella galleria di Lino Pesaro a [[Milano]] (1927) e nel [[Maschio Angioino]] di Napoli (1928).
Uno degli ultimi ammiratori, patrono e collezionista di Gemito fu Edgardo Pinto (morto nel 1933) che nel 1919 venne nominato Direttore della sede di Napoli della [[Banca Italiana di Sconto]], che continuò la sua attività come Banca Nazionale di Credito.▼
▲Uno degli ultimi ammiratori, patrono e collezionista di Gemito fu Edgardo Pinto (morto nel 1933) che nel 1919 venne nominato Direttore della sede di Napoli della Banca Italiana di Sconto, che continuò la sua attività come Banca Nazionale di Credito.
Il Pinto rimase a Napoli, come Direttore della Filiale fino al 1923, quando fu nominato Consigliere della Banca Nazionale di Credito e si trasferì a Milano. Tra il 1919 ed il 1923 (ma forse anche dopo) fu mecenate di Vincenzo Gemito negli ultimi anni di vita di quest'ultimo ed ebbe molte sue importanti opere originali. Esiste una vecchia foto sbiadita del suo studio che mostra la sua collezione di bronzi e di disegni di Gemito, tra i quali un busto di Verdi, una testina dell'acquaiolo, un ''Busto di Fanciulla napoletana'' ed altre opere non identificabili, tra le quali una grande testa baffuta inclinata a sinistra.
Diverse opere furono acquistate dal Pinto, per la Sede del Banco a Napoli (in particolare uno splendido grande ''Sole'' d'oro e d'argento), ove sono forse ancora esibite nell'ingresso.
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I soggetti prediletti della produzione plastica e grafica di Gemito - che si sostanzia di numerose copie - furono, sin dagli esordi, gli ''scugnizzi''; nelle sue opere, i monelli di strada napoletani sono caratterizzati da un'accentuata freschezza fisica, da un calore sensuale e sentimentale, e sono animati talvolta da un'energia sul punto di prorompere, talvolta da una profonda malinconia.<ref name=stile/> I fanciulli del popolo di Gemito risentono inoltre dell'influenza esercitata dal modello ellenistico, con il quale l'artista lavorò assiduamente a confronto diretto nel museo Archeologico; con questi vagheggiamenti classici gli ''scugnizzi'' acquisiscono un carattere indefinito e atemporale, senza tuttavia ripetere meccanicamente e fiaccamente schemi già esauriti nell'antichità.<ref name=EB/>
Per i disegni, che eseguì numerosi soprattutto agli scorci del Novecento, Gemito scelse come costante iconografica le popolane, le cosiddette ''zingare'', ritraendole con una gestualità e vivacità quasi «pittorica» da sole, insieme a bambini, impegnate nelle diverse attività quotidiane (''Maria la zingara'', ''Nutrice'', ''Carmela'' sono alcuni esempi di questa fase artistica gemitiana); eseguì anche diversi disegni familiari e autoritratti (notevole l{{'}}''Autoritratto con Matilde Duffaud''). In questi anni, insomma, Gemito confermò la propria conversione alla [[grafica]], dove ebbe modo di abbandonarsi al proprio estro creativo, non essendo più condizionato dal vincolo progettuale; nei disegni padroneggiò sia la forma che la luce, resa con le tecniche più disparate, quali la matita, la penna, il pastello, e l'acquerello.<ref name=EB/>
== Fortuna critica ==
La ricezione che la produzione artistica gemitiana ha avuto in Italia e nel resto del mondo ha subito fasi alterne di apprezzamento e di oblio da parte dei critici e del pubblico. Al successo mondano ottenuto ai ''Salons'' di Parigi nel 1876-77 seguì infatti il terribile tracollo psicologico che colpì l'artista nel 1887, per via del quale si alienò nella sua abitazione al Vomero; quando riprese a partecipare alla vita artistica italiana, nel 1909, Gemito era ormai considerato un uomo folle e perturbato.<ref>{{cita news|editore=La Repubblica|autore=Mario Franco|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/11/28/a-capodimonte-le-opere-di-gemito-che-furono-salvate-dal-suo-mecenateNapoli14.html|titolo=A Capodimonte le opere di Gemito che furono salvate dal suo mecenate|data=28 novembre 2014|accesso=14 maggio 2016}}</ref>
Ma se da un lato sembrava essere travagliato da un'irreversibile crisi, dall'altro Gemito era venerato come un vecchio patriarca: nel 1905 [[Salvatore di Giacomo]] ne scrisse una corposa biografia, e il suo nome lo ritroviamo anche nelle commedie di [[Raffaele Viviani]]. L
[[File:Palazzo zevallos, sala di vincenzo gemito.JPG|thumb|Sculture di Vincenzo Gemito in esposizione al [[palazzo Zevallos]], a Napoli]]
Gemito fu particolarmente apprezzato da [[Giorgio de Chirico]], che riconobbe la modernità della sua prassi artistica:<ref name=dp>Denise Pagano, ''Gemito nella storia e nel mito'' (2009).</ref>
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== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore = Emanuela Bianchi|titolo = GEMITO, Vincenzo|anno = 2000|editore = Istituto dell'Enciclopedia Italiana|città = Roma|url = http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-gemito_(Dizionario-Biografico)/|accesso = 14 maggio 2016|volume = 53|SBN =
*{{cita libro|editore=Bompiani|anno=1942|titolo=Narrate, uomini, la vostra storia|autore=[[Alberto Savinio]]|cid=AS}}
*{{cita libro|autore=[[Salvatore di Giacomo]]|anno=1905|titolo=[https://archive.org/details/vincenzogemitol00giacgoog/page/n218/mode/2up Vincenzo Gemito: la vita, l'opera]|cid=SDG|editore=A. Minozzi}}
*{{Cita libro|titolo = Vincenzo Gemito|autore = [[Carlo Siviero]]|curatore = |illustratore = |url = |via = |editore = Morano|città = Napoli|anno = 1953|lingua = |volume = |opera = |edizione = |capitolo = |p = |pp = |SBN =
*Achille della Ragione - Collezione della Ragione, pag. 60 - 61 - Napoli 1997
*Achille della Ragione - Mostra di Gemito al museo di Capodimonte - Napoli 2020
==Voci correlate==
* [[Elisabetta Mayo]]
== Altri progetti ==
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{{Controllo di autorità}}
{{Portale|arte|biografie|scultura}}
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