All Things Must Pass: differenze tra le versioni
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{{Album
|tipo
|titolo = All Things Must Pass
|artista = George Harrison
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|numero di tracce = 23
|registrato = 26 maggio [[1970]]-ottobre 1970, [[Abbey Road Studios]], [[Trident Studios]], [[Apple Corps|Apple Studio]], Londra, [[Gran Bretagna]]
|formati = [[Long playing|LP]] da [[12"]], [[Audiocassetta|MC]], [[Stereo8]], [[4-track cartridge]] e [[Reel to reel]]
|note = n. 1 {{Bandiera|USA}}<br />n. 1 {{Bandiera|GBR}}<br />n. 2 {{Bandiera|ITA}}<ref>
|numero dischi d'oro = {{Certificazione disco|CAN|oro|album|50000|{{Music Canada|All Things Must Pass|accesso = 10 luglio 2016}}}}{{Certificazione disco|DNK|oro|album|10000|{{IFPI Danmark|10874|accesso = 4 gennaio 2022}}}}{{Certificazione disco|GBR|oro|album|100000|{{BPI|11539-3516-2|accesso = 10 luglio 2016}}}}
|numero dischi di platino = {{Certificazione disco|USA|platino|album|
|precedente = [[Electronic Sound]]
|anno precedente = 1969
|successivo = [[The Concert for Bangladesh]]
|anno successivo = 1971
|singolo1 = My Sweet Lord/Isn't It a Pity
|data singolo1 = 23 novembre 1970
|singolo2 = My Sweet Lord/What Is Life
|data singolo2 = 15 gennaio 1971
|singolo3 = What Is Life/Apple Scruffs
|data singolo3 = 15 febbraio 1971
}}
'''''All Things Must Pass''''' è il terzo album solista di [[George Harrison]] (il primo dopo lo scioglimento dei [[Beatles]]), pubblicato il 27 novembre [[1970]] su etichetta [[Apple Records]]. Il vinile originalmente pubblicato era costituito da due [[Long playing|LP]] di canzoni rock e in più un terzo LP di [[jam session]] strumentali. ''All Things Must Pass'' fu il primo album triplo in studio pubblicato da un artista solista; fu un successo sia di critica che di pubblico raggiungendo il 1º posto in classifica nel [[Regno Unito]] e negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. Quando uscì sorprese notevolmente la critica, che aveva sottovalutato per lungo tempo il talento del chitarrista
Stilisticamente, l'opera riflette l'influenza delle attività musicali di Harrison con artisti come [[Bob Dylan]], [[The Band]], [[Delaney & Bonnie]] e [[Billy Preston]] durante il periodo 1968-70.<ref>Perasi, Luca. ''I Beatles dopo i Beatles'', Lily Publishing, Milano, pag. 52, ISBN 978-88-909122-4-5</ref> Inoltre, ''All Things Must Pass'' introdusse il caratteristico sound di Harrison, con le sonorità della [[chitarra slide]] in evidenza in molti brani, e le tematiche spirituali che avrebbero riempito tutti i suoi lavori solisti successivi. Alcuni critici ed appassionati interpretarono la fotografia opera di [[Barry Feinstein]] che funge da copertina dell'album, dove George Harrison siede su una sedia in un prato circondato da quattro nani da giardino, come una dichiarazione di indipendenza ed emancipazione dai Beatles.
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La lavorazione dell'album iniziò agli [[Abbey Road Studios]] di Londra nel maggio 1970, con prolungate sessioni di sovraincisione e [[missaggio]] che proseguirono fino all'ottobre successivo. Tra il folto gruppo di musicisti che parteciparono alle sessioni per il disco ci furono [[Eric Clapton]] e i membri del gruppo Delaney & Bonnie's Friends – tre dei quali avrebbero poi formato con Clapton i [[Derek and the Dominos]] durante le sessioni stesse – oltre che [[Ringo Starr]], [[Gary Wright]], [[Billy Preston]], [[Klaus Voormann]], [[Alan White (batterista 1949)|Alan White]], [[John Barham]], i [[Badfinger]] e [[Pete Drake]].
L'album venne co-prodotto da Harrison insieme a [[Phil Spector]], il quale fece ampio uso della sua tecnica di produzione detta "[[Wall of Sound]]".<ref name=RS1971>Ben Gerson,
Durante il suo ultimo anno di vita, Harrison supervisionò la ristampa dell'album in occasione del trentesimo anniversario della pubblicazione. La rivista ''[[Rolling Stone]]'' ha classificato il disco alla posizione numero
== Il disco ==
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=== Origine e storia ===
[[File:Wonderwall by George Harrison.jpg|thumb|upright|130px|Pubblicità dell'album ''[[Wonderwall Music]]'' apparsa su ''[[Billboard]]'' (1968)]]
Il giornalista musicale John Harris identificò l'inizio del "viaggio" che avrebbe portato [[George Harrison]] a produrre ''All Things Must Pass'' con la sua visita negli Stati Uniti della fine del 1968, dopo le tribolate sessioni dei [[Beatles]] per il ''[[The Beatles (album)|White Album]]''.<ref name="Harris p 68">Harris, pag. 68.</ref> Mentre si trovava a [[Woodstock (New York)|Woodstock]] in novembre,<ref>George Harrison, pag. 164.</ref> rilassandosi con l'amico [[Bob Dylan]],<ref name="Harris p 68" /> la creatività di Harrison venne stimolata dalla conoscenza della musica del gruppo musicale [[The Band]], completamente diversa dallo stile dei Beatles.<ref>Leng, pp. 39, 51–52.</ref><ref>Tillery, pag. 86.</ref> In concomitanza con questa visita ci fu un'impennata nella produzione di canzoni da parte di Harrison,<ref name="Leng p 39">Leng, pag. 39.</ref> a seguito del suo rinnovato interesse verso la chitarra, dopo tre anni passati a studiare il [[sitar]] indiano.<ref>George Harrison, pp. 55, 57–58.</ref><ref>Lavezzoli, pp. 176, 177, 184–85.</ref> Oltre ad essere uno dei pochi musicisti a comporre canzoni insieme a Dylan,<ref name="Harris p 68" /> Harrison aveva recentemente collaborato con [[Eric Clapton]] per la scrittura del brano ''[[Badge (Cream)|Badge]]'',<ref>Leng, pp. 39, 53–54.</ref> che divenne un grosso successo per i [[Cream]] nella primavera del 1969.<ref>
Una volta tornato a Londra, e con le sue composizioni che stentavano sempre a trovare posto su un album dei Beatles,<ref>Sulpy & Schweighardt, pp. 1, 85, 124.</ref><ref>Martin O'Gorman, "Film on Four", ''[[Mojo (periodico)|Mojo Special Limited Edition]]: 1000 Days of Revolution (The Beatles' Final Years – Jan 1, 1968 to Sept 27, 1970)'', Emap (Londra, 2003), pag. 73.</ref> Harrison si dedicò a progetti diversi producendo dischi di artisti della [[Apple Records|Apple]] quali [[Billy Preston]] e [[Doris Troy]], due cantautori statunitensi le cui influenze soul e gospel influenzeranno ''All Things Must Pass'' tanto quanto la musica dei The Band.<ref>Leng, pp. 60–62, 71–72, 319.</ref> Inoltre, George registrò con [[Leon Russell]]<ref>O'Dell, pp. 106–07.</ref> e [[Jack Bruce]],<ref>Rodriguez, pag. 1.</ref> ed accompagnò Clapton in un breve tour con [[Delaney & Bonnie]].<ref>Miles, pp. 351, 360–62.</ref> In aggiunta, egli identificò il proprio coinvolgimento con il [[Associazione internazionale per la coscienza di Krishna|movimento Hare Krishna]] quale fonte di un "altro tassello del [[puzzle]] che rappresentò il viaggio spirituale da lui iniziato nel 1966".<ref>Clayson, pp. 206–08, 267.</ref> Nel gennaio 1970,<ref>Miles, pag. 367.</ref> George invitò il produttore discografico [[Phil Spector]] a partecipare alle sessioni di registrazione di ''[[Instant Karma!]]'', il nuovo singolo della [[Plastic Ono Band]] di [[John Lennon]].<ref>Rodriguez, pag. 21.</ref><ref>George Harrison, in ''[[George Harrison: Living in the Material World]]'' DVD, [[Village Roadshow]], 2011 (diretto da Martin Scorsese; prodotto da Olivia Harrison, Nigel Sinclair & Martin Scorsese).</ref> Questa associazione portò Spector a lavorare sui nastri delle sessioni ''Get Back/Let It Be'', che produssero l'album ''[[Let It Be (album The Beatles)|Let It Be]]'' (1970),<ref>The Beatles, pag. 350.</ref><ref>Spizer, pag. 28.</ref> e successivamente a produrre ''All Things Must Pass''.<ref>Schaffner, pp. 137–38.</ref>
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=== Produzione ===
{| class="toccolours" style="float: right; margin-left: 1em; margin-right: 2em; font-size: 85%; background:#c6dbf7; color:black; width:30em; max-width: 40%;" cellspacing="5"
| style="text-align: left;" | «Andai da George a Friar Park; [...] e lui mi disse: "Ho qualcosa da farti ascoltare". Non finiva più! Aveva letteralmente centinaia di canzoni ed erano una meglio dell'altra.»
|-
| style="text-align: right;" | — [[Phil Spector]]<ref name="Olivia p 282" />
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[[File:Phil_Spector_2000.jpg|miniatura|right|[[Phil Spector]], co-produsse l'album insieme a George Harrison, facendo ampio ricorso alla sua tecnica "[[Wall of Sound]]"]]
Anche se Harrison dichiarò nel corso di una intervista radiofonica a New York che le sessioni per il suo album solista sarebbero durate non oltre le otto settimane,<ref name="Badman p 6">Badman, p. 6.</ref><ref name="ContraBand/Pity">
==== Sovraincisioni ====
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==== ''My Sweet Lord'' ====
{{Vedi anche|My Sweet Lord}}
Canzone composta nel 1969 mentre Harrison si trovava in tournée con [[Delaney & Bonnie]], è un inno religioso che ibrida felicemente pop rock e gospel con un coro che comprende la preghiera [[Veda|vedica]]: ''«Gururbrahmaa, Guru Visnuh, Gururdevo, Mahesvarah, Gurussaakshaat, Param Brahma, Tasmai Shri, Gurave Namhah»'' oltre che la parola di lode cristiana ed ebraica ''«Hallelujah»''.<ref>Perasi, pag. 252.</ref> Pubblicata come singolo apripista per l'album, ''My Sweet Lord'' ebbe un successo mondiale strepitoso, bissato negli Stati Uniti da ''[[What Is Life]]'', diventando la canzone più celebre di un ex-Beatle insieme a ''Imagine'' di [[John Lennon]].<ref>Perasi, pag. 251.</ref> Il brano però, provocò a Harrison una causa per plagio intentata dai detentori dei diritti del successo del 1963 delle [[The Chiffons|Chiffons]], ''He's So Fine'' — una questione che si sarebbe protratta per anni. George spiegò che si era ispirato al brano gospel ''[[Oh Happy Day]]'' e non al brano delle Chiffons. Più tardi, un giudice stabilì che Harrison aveva inconsapevolmente copiato la melodia della canzone; la qual cosa ispirò Harrison a scrivere il brano ''This Song''. George acquistò anche i diritti di ''He's So Fine'' in modo da prevenire qualsiasi altra
==== ''Wah-Wah'' ====
{{Vedi anche|Wah-Wah (brano musicale)}}
Scritta durante il burrascoso periodo dei Beatles ai Twickenham Film Studios per il progetto ''Get Back/Let It Be'', la canzone fu una reazione di Harrison al suo temporaneo abbandono della band il 10 gennaio 1969, dovuto a contrasti con Paul McCartney e John Lennon. Nella sua autobiografia, ''[[I, Me, Mine (autobiografia)|I, Me, Mine]]'', Harrison spiega come il titolo della canzone fosse un riferimento sia al pedale [[wah-wah]] sia a una metafora per indicare un "mal di testa". Il [[wah-wah]] era un effetto chitarristico da lui molto utilizzato durante le sedute iniziali del progetto ''Get Back''.<ref>Sulpy & Schweighardt, pp. 63–64, 77.</ref><ref>Winn, pag. 250.</ref> Il messaggio della canzone
==== ''Isn't It a Pity'' ====
{{Vedi anche|Isn't It a Pity}}
Inclusa in due versioni sull'album, rappresenta una delle composizioni più vecchie di Harrison del triplo LP: risale infatti al 1966, ma a John Lennon il brano non piaceva e aveva messo il veto alla pubblicazione a nome dei Beatles,<ref>Sulpy & Schweighardt, pag. 269.</ref> quindi George, in un primo momento aveva pensato di offrire la canzone a [[Frank Sinatra]].<ref>Sulpy & Schweighardt, p. 269.</ref> Sebbene molti pensino che tratti del deterioramento dei rapporti di amicizia tra i membri dei Beatles, l'autore, nel corso di un'intervista concessa nel 2000 a ''[[Billboard]]'', disse che ''Isn't It a Pity'' era solamente "un'osservazione sulla società. Di come le persone chiedano e prendano sempre qualcosa senza mai restituire o dare nulla in cambio".<ref>
==== ''What Is Life'' ====
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==== ''Let It Down'' ====
{{Vedi anche|Let It Down}}
Composta a fine 1968, in un periodo nel quale il matrimonio tra George e [[Pattie Boyd]] era già in crisi<ref>{{cita web|lingua=en|url=https://www.dailymail.co.uk/femail/article-473174/Pattie-Boyd-My-hellish-love-triangle-George-Eric--Part-One.html|titolo=Pattie Boyd: "My hellish love triangle with George and Eric" - Part One|editore=''[[Daily Mail]]''|accesso=12 luglio 2014|autore=[[Pattie Boyd]]}}</ref>, e proposta da Harrison agli altri Beatles durante le travagliate ''[[Let It Be (album The Beatles)#Storia#Le sessioni di registrazione|Get Back Sessions]]'' del gennaio 1969 ma da loro rifiutata; secondo alcuni critici la canzone parlerebbe di lussuria ed infedeltà coniugale,<ref>{{Cita libro|autore=Ian Inglis|titolo=The Words and Music of George Harrison|url=https://archive.org/details/wordsmusicofgeor0000ingl|editore=Praeger|anno=2010|cid=Ian Inglis}}, pag. 27</ref> ma l'autore non si espresse mai circa il significato del pezzo, non citandolo nemmeno nella sua autobiografia ''[[I, Me, Mine (autobiografia)|I, Me, Mine]]'' del 1980.<ref>{{Cita libro|autore=[[George Harrison]]|titolo=[[I, Me, Mine (autobiografia)|I, Me, Mine]]|editore=Chronicle Books|anno=2002|cid=George Harrison}}, pag. 383 - 386</ref>
==== ''Run of the Mill'' ====
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==== ''Beware of Darkness'' ====
{{Vedi anche|Beware of Darkness (George Harrison)}}
Ballata a tinte fosche, nel testo si riflette sulla filosofia del [[Radha Krishna Temple]], frequentato dallo stesso George Harrison: l'immaterialità deve sempre essere superiore alla materialità, e quindi alla corruzione.<ref>{{Cita libro|autore=Ian Inglis|titolo=The Words and Music of George Harrison|editore=Preager|anno=2010|cid=Inglis}}, pag. 28, 43, 125</ref> Nel testo, l'ascoltatore viene messo in guardia circa il pericolo delle varie influenze e tentazioni che possono corrompere un individuo. Tra le potenziali influenze negative sono citati i ciarlatani truffatori (''«soft shoe shufflers»''), i politici avidi (''«greedy leaders»'') e gli idoli pop di poca sostanza (''«falling swingers»''). In aggiunta, il testo mette in guardia verso i pensieri negativi (''«thoughts that linger»''), in quanto essi possono portare al concetto del "[[Māyā (dottrina)|Māyā]]" (la natura illusoria dell'esistenza), che distrae le persone dalla corretta via.<ref name=faq>{{Cita libro|titolo=Fab Four FAQ 2.0: The Beatles' Solo Years 1970–1980|url=https://archive.org/details/fabfourfaq20beat0000rodr|autore=Rodriguez, Robert|p={{cita testo|url=https://archive.org/details/fabfourfaq20beat0000rodr/page/148|titolo=148}}|anno=2010|editore=Hal Leonard|isbn=978-0-87930-968-8}}</ref> Alcuni commentatori hanno avanzato l'ipotesi che ''Beware of Darkness'' possa essere un velato attacco nei confronti di [[Allen Klein]], allora manager di George, di [[John Lennon]] e di [[Ringo Starr]], e, sino a pochissimo tempo prima, dei [[Beatles]]; un attacco contro l'ultimo amministratore dei Fab Four si trova anche nella canzone ''[[Steel and Glass]]'' di Lennon, apparsa nell'album ''[[Walls and Bridges]]'' del [[1974]].<ref>{{cita web|lingua=en|url=http://www.beatlesbible.com/people/john-lennon/songs/steel-and-glass/|titolo=John Lennon: Steel and Glass|editore=''The Beatles Bible''|accesso=17 luglio 2014}}</ref>
==== ''Apple Scruffs'' ====
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==== ''Hear Me Lord'' ====
{{Vedi anche|Hear Me Lord}}
Composta durante le sessioni del progetto ''Get Back/Let It Be'' del gennaio 1969, provata con i Beatles che però si dimostrarono alquanto indifferenti al pezzo, si tratta di una canzone scritta sotto forma di preghiera ed accorata supplica a Dio, nella quale Harrison chiede aiuto al Signore per seppellire il [[desiderio sessuale]], da lui considerato autolesionistico<ref name="II1">{{Cita libro|autore=Ian Inglis|titolo=The Words and Music of George Harrison|url=https://archive.org/details/wordsmusicofgeor0000ingl|editore=Praeger|anno=2010|cid=Ian Inglis}}, pag. 31</ref> in vista di una maggiore consapevolezza spirituale. Insieme a ''My Sweet Lord'' e ''Awaiting On You All'', è tra i brani dal contenuto più religioso di ''All Things Must Pass''.
=== ''Apple Jam'' ===
Nel formato originale in triplo vinile, il terzo disco, intitolato ''Apple Jam'', è costituito quasi esclusivamente da improvvisazioni strumentali tratte da [[jam session]]. Quattro delle cinque tracce, ''Out of the Blue'', ''Plug Me In'', ''I Remember Jeep'' e ''Thanks for the Pepperoni'' sono brani strumentali costruiti su minimi cambi di accordo,<ref name="Clayson">Clayson, pag. 292.</ref> o, come nel caso di ''Out of the Blue'', un singolo [[riff]].<ref>Leng, pp. 101–02.</ref> Il titolo ''I Remember Jeep'' deriva dal nome del cane di Eric Clapton, che appunto si chiamava "Jeep",<ref name="Spizer_A">Spizer, pag. 226.</ref> mentre ''Thanks for the Pepperoni'' è tratto da una battuta del comico [[Lenny Bruce]].<ref>Huntley, pag. 60.</ref> Nel corso di un'intervista del dicembre 2000 concessa a ''[[Billboard]]'', Harrison spiegò: «Circa le jam, non volevo semplicemente buttarle nel cestino, ma allo stesso tempo non facevano parte dell'album; ecco perché le misi tutte su un disco separato, come una sorta di bonus.»<ref name="BB 2000">Timothy White,
=== Artwork e copertina ===
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{{Recensioni album
| recensione1 = [[AllMusic]]
| giudizio1 = {{Giudizio|5|5}}<ref>
| recensione2 = ''[[Rolling Stone]]''
| giudizio2 = {{Giudizio|4.5|5}}<ref>
| recensione3 = ''[[Blender (rivista)|Blender]]''
| giudizio3 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="DuNoyer/Blender">Paul Du Noyer, "Back Catalogue: George Harrison", ''[[Blender (periodico)|Blender]]'', Aprile 2004, pp. 152–53.</ref>
Riga 191 ⟶ 192:
| giudizio4 = C<ref name="Christgau p 171">Christgau, pag. 171.</ref>
| recensione5 =[[Ondarock]]
| giudizio5 =
| recensione6 = ''[[Mojo (periodico)|Mojo]]''
| giudizio6 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="Harris/Mojo2011">John Harris, "Beware of Darkness", ''[[Mojo (periodico)|Mojo]]'', Novembre 2011, pag. 82.</ref>
| recensione7 = [[Piero Scaruffi]]
| giudizio7 =
| recensione8 = [[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]]
| giudizio8 =
| recensione9 = ''[[Q (rivista)|Q]]''
| giudizio9 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="Qmag">Album review, ''[[Q (rivista)|Q]]'', March 2001, pp. 122–23.</ref>
Riga 203 ⟶ 204:
| giudizio10 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="Uncut">Nigel Williamson, "All Things Must Pass: George Harrison's post-Beatles solo albums", ''[[Uncut]]'', febbraio 2002, p. 60.</ref>
}}
L'album raggiunse il primo posto negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e anche in [[Gran Bretagna]], Australia, Canada, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, il secondo in Italia, il quarto in Giappone ed il decimo in Germania; ed è unanimemente considerato dai critici il miglior lavoro di [[George Harrison]] solista. Avendo vinto
''All Things Must Pass'' restò in vetta alla classifica britannica per otto settimane di fila, anche se fino al 2006, i resoconti delle classifiche riportarono erroneamente che l'album si fosse fermato alla posizione numero 4. L'errore fu dovuto a un disguido postale occorso nel Regno Unito durante il periodo febbraio-marzo 1971, quando gli addetti alla compilazione dei risultati delle classifiche nazionali non ricevettero nessun dato di vendita dai negozi di dischi. Nel luglio 2006, l'[[Official Charts Company|Official UK Charts Company]] corresse i propri registri dimostrando che ''All Things Must Pass'' arrivò fino al numero 1.<ref name="last">
''All Things Must Pass'' fu certificato [[disco d'oro]] dalla [[Recording Industry Association of America]] il 17 dicembre 1970<ref>Castleman & Podrazik, p. 332.</ref> e da allora è diventato sei volte [[disco di platino]].<ref name="Spizer p 219">Spizer, p. 219.</ref><ref name="riaa">
=== Recensioni contemporanee ===
''All Things Must Pass'' venne accolto molto positivamente dalla critica alla sua pubblicazione<ref>Chris Hunt (ed.), ''[[New Musical Express|NME Originals]]: Beatles – The Solo Years 1970–1980'', IPC Ignite! (Londra, 2005), pag. 22.</ref> – sia dal punto di vista musicale sia da quello del contenuto dei testi in virtù del fatto che si trattava di un lavoro del presunto "Beatle sottovalutato".<ref name="Clayson_A" /><ref name="Schaffner_A">Schaffner, pag. 140.</ref><ref>Badman, pag. 24.</ref> Lo scrittore Robert Rodriguez fece notare come l'attenzione dei critici dell'epoca fosse monopolizzata dalla scoperta di "un sorprendente talento nascosto, che era rimasto in ombra per tutti questi anni" oscurato dal binomio Lennon & McCartney.<ref>Rodriguez, pag. 147.</ref> Molti recensori liquidarono il terzo disco (''Apple Jam''), dichiarando che si trattava di un'aggiunta "inutile" inserita per giustificare l'alto prezzo al dettaglio dell'album,<ref name="Clayson" /><ref name="Carr_&Tyler">Carr & Tyler, pag. 92.</ref> sebbene a posteriori [[Anthony DeCurtis]] indicasse proprio le [[jam session]] contenute in ''Apple Jam'', come prova evidente della "libertà artistica dell'opera".<ref>''Rolling Stone'', 2000</ref>
Ben Gerson della rivista ''[[Rolling Stone]]'' definì ''All Things Must Pass'' "uno sfarzo di fede, sacrificio e gioia"<ref>Perasi, pag. 257.</ref> e concluse dichiarando che il triplo album di Harrison poteva essere considerato "il ''[[Guerra e pace]]'' del rock 'n' roll".<ref name="RollingStone_A">''Rolling Stone'', 1971</ref> Inoltre Gerson lodò la produzione dell'album definendola "di classiche proporzioni Spectoriane, [[Richard Wagner|Wagneriana]], [[Anton Bruckner|Bruckneriana]]; musica delle cime delle montagne e dei vasti orizzonti".<ref name="RollingStone_A" /> Sul ''New Musical Express'', Alan Smith definì le canzoni di Harrison "musica della mente", aggiungendo: "cercano e vagano, come nei ritmi morbidi di un sogno, e alla fine lui [Harrison] le ha messe su carta utilizzando parole che sono spesso profonde e profondamente belle."<ref>Smith, ''NME''</ref> ''Billboard'' salutò l'uscita di ''All Things Must Pass'' definendolo "una miscela magistrale di rock e pietà, brillantezza tecnica ed umore mistico, e un vero sollievo dalla noia del rock di tutti i giorni".<ref name="BB review/google">
Richard Williams del ''Melody Maker'' riassunse la sorpresa che molti provarono nei confronti dell'apparente trasformazione di Harrison: ''All Things Must Pass'', scrisse, fornì "l'equivalente rock dello shock provato dagli spettatori al cinema nell'anteguerra quando [[Greta Garbo]] parlò per la prima volta in un film sonoro: ''La Garbo parla! – Harrison è libero!''"<ref name="Schaffner_A" /> [[William Bender]] della rivista ''[[Time]]'' descrisse il disco una "affermazione personale eseguita in maniera classicamente espressiva; ... uno dei migliori album rock in circolazione da anni", mentre Don Heckman scrisse sul ''[[The New York Times]]'': "Se qualcuno aveva dubbi che George Harrison fosse un grande talento, ora può rilassarsi... Questo è un disco da non perdere."<ref>Frontani, pag. 158, nota 19 (pag. 266).</ref>
Fuori dal coro delle lodi fu invece il noto critico musicale [[Robert Christgau]] del ''[[The Village Voice|Village Voice]]'', che scrisse quanto ''All Things Must Pass'' fosse caratterizzato da una "eccessiva fatuità" e da "una musica poco interessante".<ref>Robert Christgau,
=== Recensioni moderne ===
[[Richie Unterberger]] di [[AllMusic]] definì ''All Things Must Pass'' "Harrison al suo meglio... un disco molto toccante",<ref name="allmusic.com">
=== Riconoscimenti ===
''All Things Must Pass'' viene citato in libri quali ''[[Mojo (periodico)|The Mojo Collection: The Greatest Albums of All Time]]'',<ref>Irvin, pp. 238–39.</ref> ''[[1001 Albums You Must Hear Before You Die]]'' di Robert Dimery e ''[[1,000 Recordings to Hear Before You Die]]'' di Tom Moon.<ref>Moon, pp. 345–46.</ref> Nel 1999, ''All Things Must Pass'' apparve al numero 9 della classifica "Alternative Top 100 Albums" del ''[[The Guardian]]'', dove il giornalista Tom Cox lo descrisse "il migliore e più sofisticato di tutti i dischi solisti dei Beatles".<ref>Tom Cox,
== Tracce ==
Riga 264 ⟶ 265:
|Titolo2 = [[Apple Scruffs (brano musicale)|Apple Scruffs]]
|Durata2 = 3:04
|Titolo3 = [[Ballad of Sir Frankie Crisp (Let It Roll)
|Durata3 = 3:46
|Titolo4 = [[Awaiting On You All]]
Riga 344 ⟶ 345:
* [[Eric Clapton]] — chitarra elettrica ed acustica, cori
* [[Ringo Starr]], [[Jim Gordon (musicista)|Jim Gordon]], [[Alan White (batterista 1949)|Alan White]], [[Phil Collins]], [[Ginger Baker]] — [[Batteria (strumento musicale)|batteria]], [[percussioni]], [[conga]]
* Gary Wright, [[Bobby Whitlock]], [[Gary Brooker]], [[Billy Preston]], [[Tony Ashton]] — [[pianoforte]], [[organo Hammond]], [[piano elettrico]]
* [[Klaus Voormann]], [[Carl Radle]] — [[basso elettrico]]
* [[Dave Mason]], [[Peter Frampton (musicista)|Peter Frampton]] — chitarra
Riga 359 ⟶ 360:
* Sam Brown — voce aggiuntiva in ''My Sweet Lord'' <small>(versione del 2001)</small>
== Nastri demo e
{{Vedi anche|Beware of ABKCO!}}
Oltre alle diciassette composizioni pubblicate sul primo e secondo disco dell'album originale,<ref>''Rolling Stone'', pag. 137.</ref> Harrison registrò almeno altre venti canzoni – sotto forma di provino da far sentire a Phil Spector, poco tempo prima dell'inizio ufficiale delle sessioni per l'album.<ref name="Badman_A" /><ref name="Madinger & Easter pp 426-27">Madinger & Easter, pp. 426–27.</ref> Le registrazioni costituirono in seguito il [[bootleg]] ''[[Beware of ABKCO!]]'' In una intervista del 1992, George commentò la quantità di materiale inedito che aveva all'epoca: «Non avevo molti brani sui dischi dei Beatles, quindi fare un album come ''All Things Must Pass'' fu come essere costipato da anni e poi andare al bagno a liberarsi.»<ref>Womack, pag. 26.</ref> Oltre a brani poi inclusi nell'album come ''Wah-Wah'', ''Art of Dying'', ''All Things Must Pass'', e ''Let It Down''; del gruppo di canzoni fatte ascoltare a Spector da Harrison facevano parte anche le seguenti:<ref name="Madinger_&Easter_C">Madinger & Easter, pag. 426.</ref>
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web|url=http://www.ondarock.it/recensioni/georgeharrison_allthingsmustpass.htm|titolo=Recensione del disco su Ondarock}}
{{All Things Must Pass}}
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