All Things Must Pass: differenze tra le versioni

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|registrato = 26 maggio [[1970]]-ottobre 1970, [[Abbey Road Studios]], [[Trident Studios]], [[Apple Corps|Apple Studio]], Londra, [[Gran Bretagna]]
|formati = [[Long playing|LP]] da [[12"]], [[Audiocassetta|MC]], [[Stereo8]], [[4-track cartridge]] e [[Reel to reel]]
|note = n. 1 {{Bandiera|USA}}<br />n. 1 {{Bandiera|GBR}}<br />n. 2 {{Bandiera|ITA}}<ref>[{{cita testo|url=http://www.hitparadeitalia.it/hp_yenda/lpe1971.htm |titolo=hitparadeitalia.it]}}</ref>
|numero dischi d'oro = {{Certificazione disco|CAN|oro|album|50000|{{Music Canada|All Things Must Pass|accesso = 10 luglio 2016}}}}{{Certificazione disco|DNK|oro|album|10000|{{IFPI Danmark|10874|accesso = 4 gennaio 2022}}}}{{Certificazione disco|GBR|oro|album|100000|{{BPI|11539-3516-2|accesso = 10 luglio 2016}}}}
|numero dischi di platino = {{Certificazione disco|USA|platino|album|7000000|{{RIAA|George Harrison|opera = All Things Must Pass|accesso = 26 gennaio 2022}}|7}}
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|data singolo3 = 15 febbraio 1971
}}
'''''All Things Must Pass''''' è il terzo album solista di [[George Harrison]] (il primo dopo lo scioglimento dei [[Beatles]]), pubblicato il 27 novembre [[1970]] su etichetta [[Apple Records]]. Il vinile originalmente pubblicato era costituito da due [[Long playing|LP]] di canzoni rock e in più un terzo LP di [[jam session]] strumentali. ''All Things Must Pass'' fu il primo album triplo in studio pubblicato da un artista solista; fu un successo sia di critica che di pubblico raggiungendo il 1º posto in classifica nel [[Regno Unito]] e negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. Quando uscì sorprese notevolmente la critica, che aveva sottovalutato per lungo tempo il talento del chitarrista. L'album contiene nel complesso 23 tracce, tra le quali ''[[My Sweet Lord]]'' e ''[[Beware of Darkness (George Harrison)|Beware of Darkness]]''.
 
Stilisticamente, l'opera riflette l'influenza delle attività musicali di Harrison con artisti come [[Bob Dylan]], [[The Band]], [[Delaney & Bonnie]] e [[Billy Preston]] durante il periodo 1968-70.<ref>Perasi, Luca. ''I Beatles dopo i Beatles'', Lily Publishing, Milano, pag. 52, ISBN 978-88-909122-4-5</ref> Inoltre, ''All Things Must Pass'' introdusse il caratteristico sound di Harrison, con le sonorità della [[chitarra slide]] in evidenza in molti brani, e le tematiche spirituali che avrebbero riempito tutti i suoi lavori solisti successivi. Alcuni critici ed appassionati interpretarono la fotografia opera di [[Barry Feinstein]] che funge da copertina dell'album, dove George Harrison siede su una sedia in un prato circondato da quattro nani da giardino, come una dichiarazione di indipendenza ed emancipazione dai Beatles.
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La lavorazione dell'album iniziò agli [[Abbey Road Studios]] di Londra nel maggio 1970, con prolungate sessioni di sovraincisione e [[missaggio]] che proseguirono fino all'ottobre successivo. Tra il folto gruppo di musicisti che parteciparono alle sessioni per il disco ci furono [[Eric Clapton]] e i membri del gruppo Delaney & Bonnie's Friends – tre dei quali avrebbero poi formato con Clapton i [[Derek and the Dominos]] durante le sessioni stesse – oltre che [[Ringo Starr]], [[Gary Wright]], [[Billy Preston]], [[Klaus Voormann]], [[Alan White (batterista 1949)|Alan White]], [[John Barham]], i [[Badfinger]] e [[Pete Drake]].
 
L'album venne co-prodotto da Harrison insieme a [[Phil Spector]], il quale fece ampio uso della sua tecnica di produzione detta "[[Wall of Sound]]".<ref name=RS1971>Ben Gerson, [{{cita testo|url=https://www.rollingstone.com/music/albumreviews/all-things-must-pass-19710121 |titolo="George Harrison ''All Things Must Pass''"]}}, ''[[Rolling Stone]]'', 21 gennaio 1971, pag. 46.</ref> ''All Things Must Pass'' viene spesso indicato come il migliore di tutti gli album solisti pubblicati dagli ex-Beatles.<ref>Larkin, p. 2635.</ref>
 
Durante il suo ultimo anno di vita, Harrison supervisionò la ristampa dell'album in occasione del trentesimo anniversario della pubblicazione. La rivista ''[[Rolling Stone]]'' ha classificato il disco alla posizione numero 368 nella lista "[[Lista dei 500 migliori album secondo Rolling Stone|500 Greatest Albums of All Time]]" da loro redatta.<ref>{{cita web|url=https://www.rollingstone.com/music/music-lists/best-albums-of-all-time-1062063/george-harrison-all-things-must-pass-2-1062865/|titolo=500 Greatest Albums of All Time|lingua=en|editore=[[Rolling Stone]]|accesso=15 dicembre 2023}}</ref> Nel gennaio 2014, ''All Things Must Pass'' è stato inserito nella [[Grammy Hall of Fame Award|Grammy Hall of Fame]].
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=== Origine e storia ===
[[File:Wonderwall by George Harrison.jpg|thumb|upright|130px|Pubblicità dell'album ''[[Wonderwall Music]]'' apparsa su ''[[Billboard]]'' (1968)]]
Il giornalista musicale John Harris identificò l'inizio del "viaggio" che avrebbe portato [[George Harrison]] a produrre ''All Things Must Pass'' con la sua visita negli Stati Uniti della fine del 1968, dopo le tribolate sessioni dei [[Beatles]] per il ''[[The Beatles (album)|White Album]]''.<ref name="Harris p 68">Harris, pag. 68.</ref> Mentre si trovava a [[Woodstock (New York)|Woodstock]] in novembre,<ref>George Harrison, pag. 164.</ref> rilassandosi con l'amico [[Bob Dylan]],<ref name="Harris p 68" /> la creatività di Harrison venne stimolata dalla conoscenza della musica del gruppo musicale [[The Band]], completamente diversa dallo stile dei Beatles.<ref>Leng, pp. 39, 51–52.</ref><ref>Tillery, pag. 86.</ref> In concomitanza con questa visita ci fu un'impennata nella produzione di canzoni da parte di Harrison,<ref name="Leng p 39">Leng, pag. 39.</ref> a seguito del suo rinnovato interesse verso la chitarra, dopo tre anni passati a studiare il [[sitar]] indiano.<ref>George Harrison, pp. 55, 57–58.</ref><ref>Lavezzoli, pp. 176, 177, 184–85.</ref> Oltre ad essere uno dei pochi musicisti a comporre canzoni insieme a Dylan,<ref name="Harris p 68" /> Harrison aveva recentemente collaborato con [[Eric Clapton]] per la scrittura del brano ''[[Badge (Cream)|Badge]]'',<ref>Leng, pp. 39, 53–54.</ref> che divenne un grosso successo per i [[Cream]] nella primavera del 1969.<ref>[{{cita testo|url=http://www.officialcharts.com/artist/_/cream/ |titolo="Artist: Cream"]}}, [[Official Charts Company]].</ref>
Una volta tornato a Londra, e con le sue composizioni che stentavano sempre a trovare posto su un album dei Beatles,<ref>Sulpy & Schweighardt, pp. 1, 85, 124.</ref><ref>Martin O'Gorman, "Film on Four", ''[[Mojo (periodico)|Mojo Special Limited Edition]]: 1000 Days of Revolution (The Beatles' Final Years – Jan 1, 1968 to Sept 27, 1970)'', Emap (Londra, 2003), pag. 73.</ref> Harrison si dedicò a progetti diversi producendo dischi di artisti della [[Apple Records|Apple]] quali [[Billy Preston]] e [[Doris Troy]], due cantautori statunitensi le cui influenze soul e gospel influenzeranno ''All Things Must Pass'' tanto quanto la musica dei The Band.<ref>Leng, pp. 60–62, 71–72, 319.</ref> Inoltre, George registrò con [[Leon Russell]]<ref>O'Dell, pp. 106–07.</ref> e [[Jack Bruce]],<ref>Rodriguez, pag. 1.</ref> ed accompagnò Clapton in un breve tour con [[Delaney & Bonnie]].<ref>Miles, pp. 351, 360–62.</ref> In aggiunta, egli identificò il proprio coinvolgimento con il [[Associazione internazionale per la coscienza di Krishna|movimento Hare Krishna]] quale fonte di un "altro tassello del [[puzzle]] che rappresentò il viaggio spirituale da lui iniziato nel 1966".<ref>Clayson, pp. 206–08, 267.</ref> Nel gennaio 1970,<ref>Miles, pag. 367.</ref> George invitò il produttore discografico [[Phil Spector]] a partecipare alle sessioni di registrazione di ''[[Instant Karma!]]'', il nuovo singolo della [[Plastic Ono Band]] di [[John Lennon]].<ref>Rodriguez, pag. 21.</ref><ref>George Harrison, in ''[[George Harrison: Living in the Material World]]'' DVD, [[Village Roadshow]], 2011 (diretto da Martin Scorsese; prodotto da Olivia Harrison, Nigel Sinclair & Martin Scorsese).</ref> Questa associazione portò Spector a lavorare sui nastri delle sessioni ''Get Back/Let It Be'', che produssero l'album ''[[Let It Be (album The Beatles)|Let It Be]]'' (1970),<ref>The Beatles, pag. 350.</ref><ref>Spizer, pag. 28.</ref> e successivamente a produrre ''All Things Must Pass''.<ref>Schaffner, pp. 137–38.</ref>
 
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[[File:Phil_Spector_2000.jpg|miniatura|right|[[Phil Spector]], co-produsse l'album insieme a George Harrison, facendo ampio ricorso alla sua tecnica "[[Wall of Sound]]"]]
 
Anche se Harrison dichiarò nel corso di una intervista radiofonica a New York che le sessioni per il suo album solista sarebbero durate non oltre le otto settimane,<ref name="Badman p 6">Badman, p. 6.</ref><ref name="ContraBand/Pity">[{{cita testo|url=https://beatlechat.blogspot.com.au/2012/03/its-really-pity.html |titolo="It's Really a Pity"]}}, Contra Band Music, 15 marzo 2012.</ref> le operazioni di registrazione, sovraincisione e [[missaggio]] di ''All Things Must Pass'' durarono cinque mesi, fino alla fine di ottobre.<ref name="Madinger & Easter p 427">Madinger & Easter, p. 427.</ref><ref>Badman, pp. 6, 10, 15.</ref> Il ritardo fu dovuto, in parte, alle condizioni di salute della madre di Harrison, alla quale era stato diagnosticato un tumore, in quanto l'ex-Beatle le faceva spesso visita a Liverpool.<ref name="RollingStone">''Rolling Stone'', pag. 40</ref><ref name="Clayson p 289">Clayson, p. 289.</ref> Alcuni partecipanti alle sedute di registrazione indicarono anche il comportamento erratico di Spector come altro fattore di ritardo nel completamento dell'album.<ref name="Madinger & Easter p 427" /><ref>Leng, pp. 80–81.</ref> George Harrison raccontò in seguito che a Spector ci volevano circa "18 drink" prima che fosse pronto a lavorare, situazione che lo costrinse spesso ad occuparsi da solo della produzione.<ref name="Harris" /><ref name="Clayson_B">Clayson, pag. 289</ref> Nel luglio 1970, quando le sessioni ripartirono ai [[Trident Studios]],<ref name="Badman_A">Badman, pag. 10</ref> Spector cadde in studio rompendosi un braccio.<ref name="Leng" /> Poco tempo prima, la lavorazione di ''All Things Must Pass'' aveva subito un arresto temporaneo per permettere a George di stare al capezzale della madre per l'ultima volta (la donna morì il 7 luglio).<ref>Badman, p. 12.</ref> La tragedia personale della perdita della madre ispirò a Harrison il brano ''[[Deep Blue (George Harrison)|Deep Blue]]'', pubblicato su singolo nel 1971.<ref>Greene, p. 178.</ref><ref>Inglis, pp. 33–34.</ref> Le pressioni della [[EMI]] circa lo sforamento del budget per i costi dello studio di registrazione si aggiunsero ai motivi di stress di Harrison,<ref>Leng p 81.</ref> ed ulteriore complicazione fu l'infatuazione di Clapton per sua moglie, [[Pattie Boyd]]. Dopo essere stato inizialmente da questa respinto nel novembre 1970, Clapton iniziò ad assumere [[eroina]] distrutto dai sensi di colpa per aver tradito la fiducia dell'amico.<ref name="Harris" />
 
==== Sovraincisioni ====
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==== ''My Sweet Lord'' ====
{{Vedi anche|My Sweet Lord}}
Canzone composta nel 1969 mentre Harrison si trovava in tournée con [[Delaney & Bonnie]], è un inno religioso che ibrida felicemente pop rock e gospel con un coro che comprende la preghiera [[Veda|vedica]]: ''«Gururbrahmaa, Guru Visnuh, Gururdevo, Mahesvarah, Gurussaakshaat, Param Brahma, Tasmai Shri, Gurave Namhah»'' oltre che la parola di lode cristiana ed ebraica ''«Hallelujah»''.<ref>Perasi, pag. 252.</ref> Pubblicata come singolo apripista per l'album, ''My Sweet Lord'' ebbe un successo mondiale strepitoso, bissato negli Stati Uniti da ''[[What Is Life]]'', diventando la canzone più celebre di un ex-Beatle insieme a ''Imagine'' di [[John Lennon]].<ref>Perasi, pag. 251.</ref> Il brano però, provocò a Harrison una causa per plagio intentata dai detentori dei diritti del successo del 1963 delle [[The Chiffons|Chiffons]], ''He's So Fine'' — una questione che si sarebbe protratta per anni. George spiegò che si era ispirato al brano gospel ''[[Oh Happy Day]]'' e non al brano delle Chiffons. Più tardi, un giudice stabilì che Harrison aveva inconsapevolmente copiato la melodia della canzone; la qual cosa ispirò Harrison a scrivere il brano ''This Song''. George acquistò anche i diritti di ''He's So Fine'' in modo da prevenire qualsiasi altra granacontroversia futura.
 
==== ''Wah-Wah'' ====
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==== ''Isn't It a Pity'' ====
{{Vedi anche|Isn't It a Pity}}
Inclusa in due versioni sull'album, rappresenta una delle composizioni più vecchie di Harrison del triplo LP: risale infatti al 1966, ma a John Lennon il brano non piaceva e aveva messo il veto alla pubblicazione a nome dei Beatles,<ref>Sulpy & Schweighardt, pag. 269.</ref> quindi George, in un primo momento aveva pensato di offrire la canzone a [[Frank Sinatra]].<ref>Sulpy & Schweighardt, p. 269.</ref> Sebbene molti pensino che tratti del deterioramento dei rapporti di amicizia tra i membri dei Beatles, l'autore, nel corso di un'intervista concessa nel 2000 a ''[[Billboard]]'', disse che ''Isn't It a Pity'' era solamente "un'osservazione sulla società. Di come le persone chiedano e prendano sempre qualcosa senza mai restituire o dare nulla in cambio".<ref>[{{cita testo|url=https://www.billboard.com/articles/news/80788/george-harrison-all-things-in-good-time |titolo="George Harrison: 'All Things' In Good Time"]}}, billboard.com.</ref>
 
==== ''What Is Life'' ====
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==== ''Beware of Darkness'' ====
{{Vedi anche|Beware of Darkness (George Harrison)}}
Ballata a tinte fosche, nel testo si riflette sulla filosofia del [[Radha Krishna Temple]], frequentato dallo stesso George Harrison: l'immaterialità deve sempre essere superiore alla materialità, e quindi alla corruzione.<ref>{{Cita libro|autore=Ian Inglis|titolo=The Words and Music of George Harrison|editore=Preager|anno=2010|cid=Inglis}}, pag. 28, 43, 125</ref> Nel testo, l'ascoltatore viene messo in guardia circa il pericolo delle varie influenze e tentazioni che possono corrompere un individuo. Tra le potenziali influenze negative sono citati i ciarlatani truffatori (''«soft shoe shufflers»''), i politici avidi (''«greedy leaders»'') e gli idoli pop di poca sostanza (''«falling swingers»''). In aggiunta, il testo mette in guardia verso i pensieri negativi (''«thoughts that linger»''), in quanto essi possono portare al concetto del "[[Māyā (dottrina)|Māyā]]" (la natura illusoria dell'esistenza), che distrae le persone dalla corretta via.<ref name=faq>{{Cita libro|titolo=Fab Four FAQ 2.0: The Beatles' Solo Years 1970–1980|url=https://archive.org/details/fabfourfaq20beat0000rodr|autore=Rodriguez, Robert|p=[{{cita testo|url=https://archive.org/details/fabfourfaq20beat0000rodr/page/148 |titolo=148]}}|anno=2010|editore=Hal Leonard|isbn=978-0-87930-968-8}}</ref> Alcuni commentatori hanno avanzato l'ipotesi che ''Beware of Darkness'' possa essere un velato attacco nei confronti di [[Allen Klein]], allora manager di George, di [[John Lennon]] e di [[Ringo Starr]], e, sino a pochissimo tempo prima, dei [[Beatles]]; un attacco contro l'ultimo amministratore dei Fab Four si trova anche nella canzone ''[[Steel and Glass]]'' di Lennon, apparsa nell'album ''[[Walls and Bridges]]'' del [[1974]].<ref>{{cita web|lingua=en|url=http://www.beatlesbible.com/people/john-lennon/songs/steel-and-glass/|titolo=John Lennon: Steel and Glass|editore=''The Beatles Bible''|accesso=17 luglio 2014}}</ref>
 
==== ''Apple Scruffs'' ====
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=== ''Apple Jam'' ===
Nel formato originale in triplo vinile, il terzo disco, intitolato ''Apple Jam'', è costituito quasi esclusivamente da improvvisazioni strumentali tratte da [[jam session]]. Quattro delle cinque tracce, ''Out of the Blue'', ''Plug Me In'', ''I Remember Jeep'' e ''Thanks for the Pepperoni'' sono brani strumentali costruiti su minimi cambi di accordo,<ref name="Clayson">Clayson, pag. 292.</ref> o, come nel caso di ''Out of the Blue'', un singolo [[riff]].<ref>Leng, pp. 101–02.</ref> Il titolo ''I Remember Jeep'' deriva dal nome del cane di Eric Clapton, che appunto si chiamava "Jeep",<ref name="Spizer_A">Spizer, pag. 226.</ref> mentre ''Thanks for the Pepperoni'' è tratto da una battuta del comico [[Lenny Bruce]].<ref>Huntley, pag. 60.</ref> Nel corso di un'intervista del dicembre 2000 concessa a ''[[Billboard]]'', Harrison spiegò: «Circa le jam, non volevo semplicemente buttarle nel cestino, ma allo stesso tempo non facevano parte dell'album; ecco perché le misi tutte su un disco separato, come una sorta di bonus.»<ref name="BB 2000">Timothy White, [{{cita testo|url=https://www.billboard.com/articles/news/80788/george-harrison-all-things-in-good-time |titolo="George Harrison: 'All Things' In Good Time"]}}, [[Billboard|billboard.com]], 8 gennaio 2001.</ref> L'unica traccia vocale è ''It's Johnny's Birthday'', cantata sulla melodia del pezzo ''Congratulations'' di [[Cliff Richard]] del 1968, e registrata come regalo per il trentesimo compleanno di John Lennon.<ref name="Madinger_&Easter_A" /> Come ''My Sweet Lord'', anche ''It's Johnny's Birthday'' causò a George Harrison problemi legali dovuti al copyright, in quanto gli autori del brano di Richard non erano stati citati nei crediti. Per questa ragione, nel dicembre 1970, Bill Martin e Phil Coulter (autori di ''Congratulations'') intentarono causa chiedendo il pagamento dei diritti d'autore e l'inserimento dei loro nomi nelle successive ristampe dell'album,<ref name="Madinger_&Easter_A" /> cosa che avvenne per soddisfare le loro richieste.<ref name="Spizer_A" />
 
=== Artwork e copertina ===
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{{Recensioni album
| recensione1 = [[AllMusic]]
| giudizio1 = {{Giudizio|5|5}}<ref>[{{cita testo|url=http://www.allmusic.com/album/all-things-must-pass-mw0000194979 |titolo=Recensione Allmusic]}}.</ref>
| recensione2 = ''[[Rolling Stone]]''
| giudizio2 = {{Giudizio|4.5|5}}<ref>[{{cita testo|url=https://www.rollingstone.com/music/artists/george-harrison |titolo=Recensione Rolling stone]}}.</ref>
| recensione3 = ''[[Blender (rivista)|Blender]]''
| giudizio3 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="DuNoyer/Blender">Paul Du Noyer, "Back Catalogue: George Harrison", ''[[Blender (periodico)|Blender]]'', Aprile 2004, pp. 152–53.</ref>
Riga 192:
| giudizio4 = C<ref name="Christgau p 171">Christgau, pag. 171.</ref>
| recensione5 =[[Ondarock]]
| giudizio5 = {{Giudizio|8.5|/10}}<ref name="ondarock.it">[{{cita testo|url=http://www.ondarock.it/recensioni/georgeharrison_allthingsmustpass.htm |titolo=George Harrison All Things Must Pass]}}</ref> (pietra miliare)
| recensione6 = ''[[Mojo (periodico)|Mojo]]''
| giudizio6 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="Harris/Mojo2011">John Harris, "Beware of Darkness", ''[[Mojo (periodico)|Mojo]]'', Novembre 2011, pag. 82.</ref>
| recensione7 = [[Piero Scaruffi]]
| giudizio7 = {{Giudizio|6.5|/10}}<ref>[{{cita testo|url=https://www.scaruffi.com/vol1/beatles.html#solo |titolo=The History of Rock Music]}}</ref>
| recensione8 = [[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]]
| giudizio8 = {{Giudizio|9|/10}}<ref name="Greene/Pitchfork">Jayson Greene, [{{cita testo|url=http://pitchfork.com/reviews/albums/22037-all-things-must-pass/ |titolo="George Harrison: ''All Things Must Pass''"]}}, ''[[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]]'', 19 giugno 2016</ref>
| recensione9 = ''[[Q (rivista)|Q]]''
| giudizio9 = {{Giudizio|5|5}}<ref name="Qmag">Album review, ''[[Q (rivista)|Q]]'', March 2001, pp.&nbsp;122–23.</ref>
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L'album raggiunse il primo posto negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e anche in [[Gran Bretagna]], Australia, Canada, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, il secondo in Italia, il quarto in Giappone ed il decimo in Germania; ed è unanimemente considerato dai critici il miglior lavoro di [[George Harrison]] solista. Avendo vinto sette dischi di platino è l'album di un ex-Beatle ad avere venduto di più.
 
''All Things Must Pass'' restò in vetta alla classifica britannica per otto settimane di fila, anche se fino al 2006, i resoconti delle classifiche riportarono erroneamente che l'album si fosse fermato alla posizione numero 4. L'errore fu dovuto a un disguido postale occorso nel Regno Unito durante il periodo febbraio-marzo 1971, quando gli addetti alla compilazione dei risultati delle classifiche nazionali non ricevettero nessun dato di vendita dai negozi di dischi. Nel luglio 2006, l'[[Official Charts Company|Official UK Charts Company]] corresse i propri registri dimostrando che ''All Things Must Pass'' arrivò fino al numero 1.<ref name="last">[{{cita testo|url=http://www.liverpoolecho.co.uk/whats-on/music/number-one-harrison-last-3516990 |titolo="Number one for Harrison at last"]}}, ''[[Liverpool Echo]]'', 31 luglio 2006.</ref> Anche nella classifica nazionale di ''[[Melody Maker]]'', l'album rimase in vetta per otto settimane, dal 6 febbraio al 27 marzo, in coincidenza con la permanenza di ''My Sweet Lord'' alla posizione numero 1 della classifica dei singoli.<ref>Castleman & Podrazik, pp. 340–41.</ref> Negli Stati Uniti, ''All Things Must Pass'' trascorse sette settimane al numero 1 della classifica [[Billboard 200|''Billboard'' Top LP]], dal 2 gennaio al 20 febbraio, e un tempo simile in vetta alle classifiche di ''[[Cash Box]]'' e ''[[Record World]]'';<ref>Spizer, pag. 219</ref> per tre di queste settimane, ''My Sweet Lord'' fu al numero 1 della [[Billboard Hot 100|''Billboard'' Hot 100]].<ref>Castleman & Podrazik, pp. 352, 362.</ref> Scrivendo nell'aprile 2001 sulla rivista ''[[Record Collector]]'', il giornalista [[Peter Doggett]] descrisse George Harrison come "probabilmente la maggior rockstar del pianeta agli inizi del 1971", con ''All Things Must Pass'' che aveva "surclassato facilmente" gli altri dischi solisti dei Beatles come ''[[Ram (album)|Ram]]'' di McCartney, e ''[[Imagine (album John Lennon)|Imagine]]'' di Lennon.<ref>Peter Doggett, "George Harrison: The Apple Years", ''[[Record Collector]]'', aprile 2001, pag. 37.</ref> La cosiddetta "doppietta di ''Billboard'' di Harrison" – dove un artista detiene le prime posizioni sia nella classifica riservata agli album sia in quella dei singoli – fu un risultato che nessuno dei suoi ex compagni di gruppo eguagliò fino al giugno 1973, quando ci riuscì Paul McCartney con gli [[Wings (gruppo musicale)|Wings]].<ref>Castleman & Podrazik, pp. 353, 364.</ref> Ai [[Grammy Awards]] del 1972, ''All Things Must Pass'' ricevette una nomination come [[Grammy Award all'album dell'anno|Album of the Year]] e ''My Sweet Lord'' come [[Grammy Award alla registrazione dell'anno|Record of the Year]], ma Harrison perse in entrambe le categorie in favore di [[Carole King]].<ref>Grammy Awards 1972</ref><ref>[{{cita testo|url=https://books.google.com/books?hl=pt-BR&id=bSgEAAAAMBAJ&q=Grammy#v=snippet&q=Grammy&f=false |titolo="1971 Grammy Champions"]}}, ''[[Billboard]]'', 25 marzo 1972, pag. 6.</ref>
 
''All Things Must Pass'' fu certificato [[disco d'oro]] dalla [[Recording Industry Association of America]] il 17 dicembre 1970<ref>Castleman & Podrazik, p. 332.</ref> e da allora è diventato sei volte [[disco di platino]].<ref name="Spizer p 219">Spizer, p. 219.</ref><ref name="riaa">[{{cita testo|url=https://riaa.com/goldandplatinumdata.php?resultpage=1&table=SEARCH_RESULTS&action=&title=&artist=Harrison&format=ALBUM&debutLP=&category=&sex=&releaseDate=&requestNo=&type=&level=&label=&company=&certificationDate=&awardDescription=&catalogNo=&aSex=&rec_id=&charField=&gold=&platinum=&multiPlat=&level2=&certDate=&album=&id=&after=&before=&startMonth=1&endMonth=1&startYear=1958&endYear=2010&sort=Artist&perPage=75 |titolo=Gold & Platinum Database Search: "Harrison"] {{Webarchive|urlurlarchivio=https://archive.todayis/20130201072534/http://riaa.com/goldandplatinumdata.php?resultpage=1&table=SEARCH_RESULTS&action=&title=&artist=Harrison&format=ALBUM&debutLP=&category=&sex=&releaseDate=&requestNo=&type=&level=&label=&company=&certificationDate=&awardDescription=&catalogNo=&aSex=&rec_id=&charField=&gold=&platinum=&multiPlat=&level2=&certDate=&album=&id=&after=&before=&startMonth=1&endMonth=1&startYear=1958&endYear=2010&sort=Artist&perPage=75# |data=1 febbraio 2013 }}, [[Recording Industry Association of America]].</ref> Secondo quanto dichiarato da [[John Bergstrom]] del sito [[PopMatters]], al gennaio 2011, ''All Things Must Pass'' aveva venduto più copie di ''Imagine'' (1971) e di ''[[Band on the Run]]'' (1973) messi assieme.<ref name="PopMatters review 135411">John Bergstrom, [{{cita testo|url=http://www.popmatters.com/pm/review/135411-george-harrison-all-things-must-pass/ |titolo="George Harrison: All Things Must Pass"]}}, [[PopMatters]], 14 gennaio 2011.</ref> Sempre nel 2011, [[Gary Tillery]] lo definì "l'album di maggior successo di un ex-Beatle".<ref>Tillery, pag. 89.</ref>
 
=== Recensioni contemporanee ===
''All Things Must Pass'' venne accolto molto positivamente dalla critica alla sua pubblicazione<ref>Chris Hunt (ed.), ''[[New Musical Express|NME Originals]]: Beatles – The Solo Years 1970–1980'', IPC Ignite! (Londra, 2005), pag. 22.</ref> – sia dal punto di vista musicale sia da quello del contenuto dei testi in virtù del fatto che si trattava di un lavoro del presunto "Beatle sottovalutato".<ref name="Clayson_A" /><ref name="Schaffner_A">Schaffner, pag. 140.</ref><ref>Badman, pag. 24.</ref> Lo scrittore Robert Rodriguez fece notare come l'attenzione dei critici dell'epoca fosse monopolizzata dalla scoperta di "un sorprendente talento nascosto, che era rimasto in ombra per tutti questi anni" oscurato dal binomio Lennon & McCartney.<ref>Rodriguez, pag. 147.</ref> Molti recensori liquidarono il terzo disco (''Apple Jam''), dichiarando che si trattava di un'aggiunta "inutile" inserita per giustificare l'alto prezzo al dettaglio dell'album,<ref name="Clayson" /><ref name="Carr_&Tyler">Carr & Tyler, pag. 92.</ref> sebbene a posteriori [[Anthony DeCurtis]] indicasse proprio le [[jam session]] contenute in ''Apple Jam'', come prova evidente della "libertà artistica dell'opera".<ref>''Rolling Stone'', 2000</ref>
 
Ben Gerson della rivista ''[[Rolling Stone]]'' definì ''All Things Must Pass'' "uno sfarzo di fede, sacrificio e gioia"<ref>Perasi, pag. 257.</ref> e concluse dichiarando che il triplo album di Harrison poteva essere considerato "il ''[[Guerra e pace]]'' del rock 'n' roll".<ref name="RollingStone_A">''Rolling Stone'', 1971</ref> Inoltre Gerson lodò la produzione dell'album definendola "di classiche proporzioni Spectoriane, [[Richard Wagner|Wagneriana]], [[Anton Bruckner|Bruckneriana]]; musica delle cime delle montagne e dei vasti orizzonti".<ref name="RollingStone_A" /> Sul ''New Musical Express'', Alan Smith definì le canzoni di Harrison "musica della mente", aggiungendo: "cercano e vagano, come nei ritmi morbidi di un sogno, e alla fine lui [Harrison] le ha messe su carta utilizzando parole che sono spesso profonde e profondamente belle."<ref>Smith, ''NME''</ref> ''Billboard'' salutò l'uscita di ''All Things Must Pass'' definendolo "una miscela magistrale di rock e pietà, brillantezza tecnica ed umore mistico, e un vero sollievo dalla noia del rock di tutti i giorni".<ref name="BB review/google">[{{cita testo|url=https://books.google.com/books?id=mSkEAAAAMBAJ&pg=RA1-PA50&dq=%22a+new+stroke%22&hl=en&sa=X&ei=WA22UMi4POmTmQXEioDACw&ved=0CDQQ6AEwAA#v=onepage&q=%22a%20new%20stroke%22&f=false |titolo="Album Reviews"]}}, ''[[Billboard]]'', 19 dicembre 1970, pag. 50.</ref>
 
Richard Williams del ''Melody Maker'' riassunse la sorpresa che molti provarono nei confronti dell'apparente trasformazione di Harrison: ''All Things Must Pass'', scrisse, fornì "l'equivalente rock dello shock provato dagli spettatori al cinema nell'anteguerra quando [[Greta Garbo]] parlò per la prima volta in un film sonoro: ''La Garbo parla! – Harrison è libero!''"<ref name="Schaffner_A" /> [[William Bender]] della rivista ''[[Time]]'' descrisse il disco una "affermazione personale eseguita in maniera classicamente espressiva; ... uno dei migliori album rock in circolazione da anni", mentre Don Heckman scrisse sul ''[[The New York Times]]'': "Se qualcuno aveva dubbi che George Harrison fosse un grande talento, ora può rilassarsi... Questo è un disco da non perdere."<ref>Frontani, pag. 158, nota 19 (pag. 266).</ref>
 
Fuori dal coro delle lodi fu invece il noto critico musicale [[Robert Christgau]] del ''[[The Village Voice|Village Voice]]'', che scrisse quanto ''All Things Must Pass'' fosse caratterizzato da una "eccessiva fatuità" e da "una musica poco interessante".<ref>Robert Christgau, [{{cita testo|url=http://www.robertchristgau.com/xg/bk-aow/beatles.php |titolo="Living Without the Beatles"]}}, robertchristgau.com.</ref> Nel loro libro ''[[The Beatles: An Illustrated Record]]'', [[Roy Carr]] & [[Tony Tyler]] criticarono l'omogeneità della produzione e "la natura lugubre delle composizioni di Harrison".<ref name="Carr_&Tyler" /> Scrivendo in ''The Beatles Forever'' nel 1977, tuttavia, [[Nicholas Schaffner]] lodò l'album come un "traguardo glorioso" nelle rispettive carriere di Harrison e Spector, indicando le tracce ''All Things Must Pass'' e ''Beware of Darkness'' come le "due canzoni più eloquenti del disco... sia musicalmente che liricamente".<ref>Schaffner, pp. 138, 142.</ref>
 
=== Recensioni moderne ===
[[Richie Unterberger]] di [[AllMusic]] definì ''All Things Must Pass'' "Harrison al suo meglio... un disco molto toccante",<ref name="allmusic.com">[{{cita testo|url=https://www.allmusic.com/album/all-things-must-pass-mw0000194979 |titolo=Recensione su Allmusic]}}</ref> mentre Roger Catlin di [[MusicHound]] descrisse l'album "epico e audace", con la sua "densa produzione e le ricche canzoni completate dal disco extra di jam session".<ref>Graff & Durchholz, pag. 529.</ref> La rivista ''[[Q (rivista)|Q]]'' lo considera una fusione esemplare di "rock e religione", e "l'album migliore in assoluto pubblicato da un ex-Beatle". Il regista [[Martin Scorsese]], a proposito del disco, scrisse del "potente senso di ritualità che si percepisce nell'album", aggiungendo: "Ricordo che sentivo come avesse la grandiosità della [[musica liturgica]], delle campane usate nelle cerimonie del buddismo tibetano."<ref>Olivia Harrison, pag. 7.</ref> Scrivendo su ''Rolling Stone'' nel 2002, Greg Kot descrisse la "grandeur" dell'opera come una "cattedrale del rock in excelsis" dove le "vere stelle" sono le canzoni di Harrison;<ref>''Rolling Stone'', pag. 187.</ref> nella stessa pubblicazione, Mikal Gilmore definì l'album "il miglior lavoro solista mai prodotto da un ex-Beatle".<ref>''Rolling Stone'', pag. 42.</ref> Nel suo articolo del luglio 2001 per la rivista ''[[Mojo (periodico)|Mojo]]'', John Harris lodò l'opera come "l'album solista inaugurale che rimane ancora oggi il miglior disco solista di un Beatle".<ref name="Harris p 68" /> Nella ''[[The Rolling Stone Album Guide]]'' (2004), Mac Randall scrisse che l'album è eccezionale, ma "un tantino sopravvalutato" da quei critici che finsero di non vedere come gli ultimi 30 minuti di jam strumentali blues fossero "pezzi mediocri che nessuno si sarebbe preso la briga di ascoltare più di una volta".<ref>Brackett & Hoard, pag. 367.</ref> In maniera simile, Unterberger cita l'inclusione nell'album del terzo LP denominato ''Apple Jam'' come "un difetto molto significativo" dell'opera, sebbene lo consideri "storicamente rilevante dal punto di vista musicale", per la presenza della prima formazione dei [[Derek and the Dominos]].<ref name="allmusic.com" /> Nel 2016, scrivendo per [[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]], Jayson Green dichiarò che Harrison era l'unico tra gli ex-Beatle ad aver "cambiato i termini di cosa potesse essere un album rock" poiché, pur non essendo ''All Things Must Pass'' il primo album triplo della storia del rock, "nell'immaginario collettivo, è ''il'' primo triplo album discografico pubblicato da un artista di primo piano." Nel 2014, il recensore del sito Ondarock descrisse ''All Things Must Pass'': "Un vero mondo immaginario, interiore quanto materiale, meno provocatorio di quello descritto da ''Imagine'', ma forse anche più profondo e comprensivo... ".<ref name="ondarock.it" /> Il sito web storiadellamusica.it assegna all'album 8 stellette su 10 scrivendo: "''All Things Must Pass'' raccoglie gli sforzi e le idee migliori di Harrison" [...] "il disco simboleggia dunque il periodo d’oro del chitarrista dei Beatles, entrato in forma, per così dire, proprio mentre la formazione a cui apparteneva si era sfaldata".<ref>[{{cita testo|url=http://www.storiadellamusica.it/pop-music/pop_rock/george_harrison-all_things_must_pass(apple-1971).html# |titolo=George Harrison - All Things Must Pass]}}</ref>
 
=== Riconoscimenti ===
''All Things Must Pass'' viene citato in libri quali ''[[Mojo (periodico)|The Mojo Collection: The Greatest Albums of All Time]]'',<ref>Irvin, pp. 238–39.</ref> ''[[1001 Albums You Must Hear Before You Die]]'' di Robert Dimery e ''[[1,000 Recordings to Hear Before You Die]]'' di Tom Moon.<ref>Moon, pp. 345–46.</ref> Nel 1999, ''All Things Must Pass'' apparve al numero 9 della classifica "Alternative Top 100 Albums" del ''[[The Guardian]]'', dove il giornalista Tom Cox lo descrisse "il migliore e più sofisticato di tutti i dischi solisti dei Beatles".<ref>Tom Cox, [{{cita testo|url=https://www.theguardian.com/albums/Story/0,,209103,00.html |titolo="The alternative top 10"]}}, ''[[The Guardian]]'', 29 gennaio 1999.</ref> Nel 2006, il sito [[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]] lo classificò alla posizione numero 82 nella lista "Top 100 Albums of the 1970s".<ref name="Pitchfork Top 100">[{{cita testo|url=http://www.pitchforkmedia.com/article/feature/36725-top-100-albums-of-the-1970s|titolo="Top 100 Albums of the 1970s"|accesso=3 settembre 2018|dataarchivio=1 luglio 2008|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080701134138/http://www.pitchforkmedia.com/article/feature/36725-top-100-albums-of-the-1970s "Top 100 Albums of the 1970s"]|urlmorto=sì}}, [[Pitchfork (sito web)|Pitchfork]], 23 aprile 2006.</ref> Sei anni dopo, la rivista ''[[Rolling Stone]]'' ha inserito ''All Things Must Pass'' al 433º posto nella sua [[Lista dei 500 migliori album secondo Rolling Stone|lista dei 500 migliori album di sempre]].<ref>[{{cita testo|url=https://www.rollingstone.com/music/lists/500-greatest-albums-of-all-time-20120531/george-harrison-all-things-must-pass-19691231 |titolo="500 Greatest Albums of All Time: George Harrison, 'All Things Must Pass'"]}}, ''[[Rolling Stone]]''.</ref> Secondo il sito internet [[Acclaimed Music]], ''All Things Must Pass'' è inoltre apparso nelle seguenti liste dei migliori dischi redatte da critici musicali: ''The World Critics Best Albums of All Time'' di [[Paul Gambaccini]] (1977; posizione numero 79), "100 Best Albums of All Time" del ''The Times'' (1993; posizione 79), ''The 100 Greatest Pop Albums of the Century'' di [[Allan Kozinn]] (2000), "The 50 (+50) Best British Albums Ever" della rivista ''Q'' (2004), "70 of the Greatest Albums of the 70s" della rivista ''Mojo'' (2006), "100 Greatest British Albums Ever" del ''New Musical Express'' (2006; numero 86), "The 70 Best Albums of the 1970s" della rivista ''[[Paste (periodico)|Paste]]'' (2012; numero 27), e ''The 100 Best Albums of All Time'' di [[Craig Mathieson]] & [[Toby Creswell]] (2013).<ref name="Acclaimed">[{{cita testo|url=http://www.acclaimedmusic.net/Current/A199.htm |titolo="George Harrison ''All Things Must Pass''"] {{Webarchive|urlurlarchivio=https://web.archive.org/web/20141110185928/http://www.acclaimedmusic.net/Current/A199.htm# |data=10 novembre 2014 }}, [[Acclaimed Music]].</ref> Nel gennaio 2014, ''All Things Must Pass'' è stato inserito nella [[Grammy Hall of Fame Award|Grammy Hall of Fame]].<ref>Kyle McGovern, [{{cita testo|url=https://www.spin.com/2013/12/grammy-hall-of-fame-2014-inductees-u2-neil-young-run-dmc-rolling-stones/ |titolo="Grammy Hall of Fame 2014 Inductees: U2, Neil Young, Run-D.M.C., Rolling Stones, and More"]}}, ''[[Spin (rivista)|Spin]]'', 3 dicembre 2013.</ref>
 
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web|url=http://www.ondarock.it/recensioni/georgeharrison_allthingsmustpass.htm|titolo=Recensione del disco su Ondarock}}
 
{{All Things Must Pass}}